N.07/08
http://scribacchione.jottit.com
Editoriale Giallo Bus Arrivi e partenze. Non solo stazioni ma voglia di prendere il volo. La scrittura si muove così, a zig zag, come quelle striscie gialle che non ti aspetti, abituato come sei al bianco sul nero graffiato. A volte è meglio fermarsi, schiaccciare un bottone, lasciarsi scendere e aspettare che la scrittura faccia il suo corso. Una nuvola che passa, un sole che brilla, una persona che mangia un cioccolatino su una panchina. Una parola può nascondersi anche lì in mezzo. E perchè no? Forse un’intera avventura. Poi certo bisogna avere il coraggio di riprendere la corsa, lasciarsi tutto alle spalle e sperare in un’altra isola gialla, magari ancora più fortunata. un sorriso davide nonino http://paroleappiccicate.tumblr.com/
Fotografia di copertina di Giuseppe Usai Grafica a cura di Alessandra Bosi
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INDICE i testi
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LA FELICITA’ lo zio rigo
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IO E IL FARO, NOI DUE IN MEZZO AL MARE
parole per immagini le foto del mese
jasmine longo
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claudia del giudice
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CAFFE’ TOSTATO gaia brunello
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DE UMBRIS VITAE MEAE valeria di iasio
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FEDERICA ORLATI
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MASSIMO DEL FRATE
le rubriche
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la foresta incantata
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work in progress
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sognami sognando
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storia di un clic
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bocconcino prelibato
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lei, come me
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pan di stelle e strisce
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storie di stra-ordinaria quotidianita'
Silvia Bellinelli
Serena Dal pos
Marzia
Giulia Sambo
Giulia Possenti
Marina Sgamato
Aurora
Anna Piazza
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energia comunicativa
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aforismi & citazioni
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tr@shik
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a(t)tratti dalla blogosfera
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seshat e la settima arte
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cool hunters!
Alessandra Z.
Felice Maria Campolo
Daniela sergio
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Michela Bellotti
Giulia Z.
LA FELICITA’
lo Zio Rigo
La felicità è racchiusa in piccoli momenti, istanti così brevi da non esser percepiti ma che sbriciolano il cuore, spalancano le porte senza chiedere il permesso ammesso e non concesso che di porte ve ne siano.. la felicità si cerca dopo lacrime sprecate, nelle pagine cantate di una storia non reale inventata per donare una speranza a chi sa amare, una ragione a continuare, poter creder di cambiare.. la felicità si trova negli sguardi delle donne, nel profondo di uno sfondo incorniciato da quegli occhi, troppe volte violentati nelle sere prima di essere asciugati.. basta un palloncino in aria a fare ridere un bambino a noi non basterebbe il mondo per sentirci un poco meglio, resto sveglio per cercare la mia gioia e se ci impiegherò una vita spero che non sia per no ia, si nasconderà in parole di cui ignoro l’esistenza salterò la superficie per tuffarmi nell’essenza..
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testo es est
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IO E IL FARO, NOI DUE IN MEZZO AL MARE
jasmine longo Cammino, un passo dopo l’altro, sul ponte di legno che mi porterà al faro, sento il mare, i miei pensieri, il rumore dei miei passi, lo scricchiolare del legno sotto i miei piedi. Bellissime le lucine gialle che illuminano il cammino e d’un fascino estremo la luce sicura e lampeggiante che si espande dalla piccola torre rosso fuoco. Arrivo al faro e tutto intorno a me solo onde, solo mare, il pensiero va a cose lontane, potesse esistere più niente... Il fascino di questa situazione è troppo forte, è ancora inverno, il buio scende velocemente e sono molto lontana dalla spiaggia. La mia ombra si staglia gigantesca sul faro. Bello, bello, bellissimo solo io e il faro, tutto intorno a noi solo mare che entra prepotentemente nelle membra e riempie la mente di emozioni indescrivibili... Improvvisamente però mi accorgo che le lucine lungo il ponte vengono oscurate a intervalli quasi regolari nella mia direzione e capisco che sì, qualcu no sta arrivando. Vorrei rimanere ancora qui insieme al mio faro, ma ormai non posso più, troppo rischioso. Devo vedere chi sta arrivando da laggiù. Mi avvio lungo il ponte verso la terraferma e capisco che si tratta di due persone. Penso “...potrebbe finire male”, è inverno, sono quasi le nove di sera e a pochi verrebbe in mente di passeggiare così lontano dal centro. Non potendo ancora, per via dell’oscurità circostante, capire se si tratta di uomini o di donne decido di avvicinarmi...devo evitare di rimanere nel punto che potrebbe trasformarsi da luogo di dolce evasione mentale a gabbia di legno e di mare. La tensione tenta di impadronirsi del mio corpo, ma concentrandomi riesco ad eliminare l’irrigidimento e a sembrare accettabilmente sicura di me stessa. Prego comunque il mio angelo custode che questi che vedo non si rivelino uomini malintenzionati. A circa venti metri di distanza posso vedere meglio le due sagome e tirare un sospiro di sollievo nel capire che si tratta di due giovani donne che, forse a loro volta turbate alla vista di una presenza estranea, camminano strette e incerte facendo guizzare il loro sguardo sulla mia figura fino a quando non passo loro oltre. Ho superato le donne e la paura del momento, si sta però facendo veramente tardi e non posso fermarmi oltre. Più buio diventa e più il pericolo incombe...e per questa volta è andata bene così. Mi fermo solo un attimo ancora sull’ingresso al ponte, tiro fuori il mio quaderno e inizio a scrivere di questa mia avventura, ma di colpo vengo accecata da due fari d’automobile che puntano dritto ai miei occhi...è solo un taxi che sta facendo una manovra, ma decido che a questo punto è meglio tornare definitivamente a luoghi più sicuri, anche se molto meno affascinanti. Dover lasciare così presto tutto questo mi sconvolge, mi volto verso il faro ancora una volta e vengo sopraffatta dall’esagerata bellezza di questo momento, di questo stato d’animo... In questo luogo meraviglioso devo tornare.
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claudia del giudice Scriverei un libro sull’incostanza del tuo volo. Avvelena le mie ali e precipito in silenzio. Inaspettatamente mi incanta il fiume, ma questa è la riva sbagliata. Piovono parole e grida con i guanti. Dove ripararsi quando la sensibilità è una ghigliottina? Odio l’odore di queste scale di memoria. E mi nausea questo dolore così morbido.
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CAFFE’ TOSTATO gaia brunello “Me ne vado. Basta.” Le parole scivolarono dalle labbra con calma inattesa, eppure del tutto naturali. (Non era abituato a quella fermezza e capì che stava succedendo davvero.) Era serena e decisa. Stranamente leggera. Un moto d’orgoglio, forse un breve sguardo al futuro, la smossero daquel divano di pelle scura su cui già sedeva le giovani ore soffocanti.Da tempo vi sperimentava l’umiliazione di furiosi litigi causati dallasemplice quanto devastante assenza di fiducia. Con essa aveva subìto ilsospetto, l’ingiusta accusa, l’insulto. Lì, aveva assistito impotenteal tramutarsi dell’amore di lui in gelosa follia, in ira, in qualcosache pareva ora mescolare il sesso alla violenza, mentre la sua acerbavita si ritirava confusa in un guscio di timori e rinunce. Sedeva ancora, mentre il ragù sobbolliva borbottando, il salotto con isuoi tristi fiori finti sul tavolo era ill uminato dal monitor bluastrodi un computer sempre acceso, sotto le dita la superficie morbida e unpo’ pelosa della tovaglia nera. Divenne chiaro in quei giorni che era la testardaggine e non l’affettoa trascinarla quotidianamente nella tormentata storia, cui immolava ilvoluttuoso corpo di ballerina. A lungo aveva perseverato nella speranzadi riuscire a dimostrargli l’importante errore che commetteva nelconsiderarla pari ad una meretrice. Fu senza preavviso che quella sera gettò la spugna. Improvvisamente vincere non le importò più. Stremata, prese la borsa con la sua parte di sogno e varcò la porta della casa altrui. (La seguì petulante cercando ripetutamente di abbracciarla, ridicolo come il falso mendicante che anela all’elemosina. Ma il contatto la turbava.) Lo respinse infine, irrevocabile gli volse le spalle. Tornò ad avvertire l’aroma di caffè tostato che precede la pioggia d’Aprile.
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testo st
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DE UMBRIS MENTAE MEAE
valeria di iasio In un giorno dedito allo studio delle lettere cominciai questo bramato lavoro di scrittura e vagando confusamente nei miei pensieri, all’angosciosa ricerca di un buon incipit per lo scritto ancora informe, mi sovvennero alcune riflessioni nonché alcuni dubbi. Mi parve subito chiaro che essi avrebbero incarnato il ruolo di fedeli compagni e rigidi aguzzini, ogni qualvolta mi fossi accinta ad usare il prediletto strumento della penna. Ed eccoli prendere forma e rendersi ben visibili anche a te, lettore: è forse il mio linguaggio discontinuo, talvolta ridicolamente altisonante e talvolta vergognosamente povero? Riuscirò io a tenere fede a me stessa e a tracciare un veritiero profilo del mio io adolescente senza perdermi nelle mie stesse parole? solo il tempo, giudice guaritore, saprà dissolvere questi quesiti. Essi sono ora così vividi in me da assume re, nella mia ancora fanciullesca immaginazione, i connotati di diaboliche fiere indomabili, che giocano a guidare i fragili fili della mia anima di burattino. Mi accorgo con sgomento di essere posseduta da un’irrefrenabile smania, direi quasi ossessiva, di ricercatezza e di elevazione nello stile e al contempo, da una simile tendenza al raffinamento di pensieri e di sentimenti. Dico di più: mi sorprendo spesso ad ammirare profondamente, circostanza alquanto insolita per me, l’arte dello scrivere, cosa da cui, in passato, avevo preso rigorose distanze. Quale entità sia stata l’artefice di tale cambiamento rimane per me mistero. Chiamo quindi in causa il destino, schivo detentore delle redini del mio futuro. Ecco in parte spiegata la natura volutamente pomposa del mio lessico. Essa è tesa a soddisfare l’intimo bisogno di avvicinamento a quella parvenza di perfezione che alberga nei modi e nelle parole dei letterati. Non so dire, lettore, per quanto ancora il nobile impe to saprà muovere il mio fluttuante animo, né dove lo condurrà. Vigileremo assieme, se ciò ti aggrada, sui futuri repentini mutamenti del mio cuore. Caro confidente, non provo vergogna nel confessare che ad altro dovrei volgere il mio studio, ma è cosa ardua dominare le ragioni interiori, e tediosa. Asseconderò quindi l’intelletto interiore, fino al momento in cui da solo perderà vigore. Questo sovrapporsi di parole, questo vagabondare di concetti e pensieri, espressi in modo macchinoso e desueto, sono privi di scopo e devo porre loro fine. mi duole prenderne congedo e mi domando, lettore, come ti lascio e con quali pensieri. Ti chiedo, in ultimo, d’essere clemente nel tuo giudizio e di comprendere la mia difficoltà nel parlare delle cose, se non per nebulosi accenni. Io stessa, difatti, rimango attonita di fronte alla mia innocente, puerile e incolmabile, seppur tollerata, ignoranza.
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testo est 8
parole per immagini
federica orlat i
http://www.flickr.com/photos/lastellablu
Giardino segret o
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before t he happiness
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solit ude st anding
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l la
fforesta
Volete proporre un vostro racconto fantasy? Scrivete a Silvia Bellinelli, laforestaincantata@gmail.com
FENICIA E LA CORONA D’ARGENTO - seconda parte di Renata Morbidelli Subito scese dal cielo un raggio di luce e mi sollevai da terra. Un’enorme Aquila m’apparve di fronte e mi afferrò con i suoi artigli senza procurami alcun graffio. L’animale si rivolse a me: “Dimmi, mia cara, cosa desideri da me?” Stupita, ma non spaventata, gli chiesi: “Tu chi sei?” Con semplicità mi rispose: “Io Sono Colui che È”. Capii di essere di fronte all’Autore della Vita. Fiduciosa gli chiesi: “Che devo fare per salvare il mio amico?”. “Gli devi donare il tuo cuore”. Rispose e, come se avesse compreso la mia preoccupazione, aggiunse: “ Fidati di me,Ti darò un Cuore Nuovo.”. Chiusi gli occhi e m’assopii. Sentii i suoi artigli aprire il mio torace. Al mio risveglio era accaduto in me ciò che dicono le Scritture: “Vi darò un Cuore Nuovo …” Il Soffio della Vita era dentro di me.
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sognami g gn gnami sognando
Per me un sogno è una magia e non è solo un' illusione in cui è dolce cullarsi. Mi fa vivere Serena. Serena Dal Pos sognamisognando@l ibero.ti
Angelo mio, ti ritrovo ogni notte e sembri sempre nasconderti dietro i tuoi occhi cristallini, riflettenti una fragile anima ma tagliente come una lama che trafigge e riempie di fuoco come il calore che brucia il pensiero e gela i movimenti. Impassibile ti osservo di fronte a me mentre ti avvicini e mi sussurri all’orecchio Un vortice di emozioni mi confonde In un attimo ti ho già perso Ma la quasi certezza di rivederti Mi fa riprendere
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bocconcino prelibat o Ricette & sfizi di Marzia
m.boccone@t in.it
Era il lontano agosto del 1998 quando, in un ristorante balinese, assaggiai per la prima volta questo piatto della cultura Jap. Inutile dire che fu un colpo di fulmine. Da allora ho cercato ricette, blog e consigli di gastroamici che avessero un che di fondato e tradizionale. Oggi lo faccio in casa a modo mio, non pretendo di essere una brava tagliatrice di pesce, ma mi diletto. Per 6 persone Per il riso: 300 gr. di riso per sushi acqua 650cc 3 cm di alga kombu aceto di riso o di vino bianco o di mele 180cc zucchero 5 cucchiai sale 2 cucchiai 150g tonno una fetta 150g salmone una fetta 8 gamberoni 150g spada una fetta un cetriolo semi di sesamo tostati in padella, o granella di nocciole o noci o mandorle tostate wasabi in pasta o polvere zenzero sott’aceto a fette alghe nori tostate salsa di soia scura 1. Lavare abbondantemente il riso e risciacquare fino a quando l’acqua non risulti pulita come quella appena messa. Mettere a bollire l’acqua in una casseruola col coperchio pesante, possibilmente di vetro. Buttare dentro il riso e la kombu e agitarlo fino a che riprende a bollire. Tenere la fiamma viva per un paio di minuti, quindi abbassarla e continuare la cottura fino a che il riso abbia assorbito tutta l’acqua, togliere la kombu. Spegnere e tenere il coperchio chiuso per un quarto d’ora. Mescolare bene con un cucchiaio di legno e porre uno strofinaccio tra la pentola e il coperchio, in modo che assorba il vapore, e richiudere. 2. Preparare il condimento per il riso: aceto di riso, zucchero e sale fino. Scaldare appena l’aceto SENZA FARLO BOLLIRE e versare sale e zucchero. Mescolare fino a completo scioglimento. Innaffiare con questa mistura il riso e rigirare bene sventolando. Il risultato finale deve essere un riso lucido e appiccicoso.
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MAKI Sono i rotolini con alga nera e riso e pesce, quando il riso è freddo mettere l’alga nori dalla parte lucida all’interno del tappetino di bambù foderato di pellicola trasparente. Mettere un piccolo strato di riso che copra quasi tutto il quadratino d’alga e poi nel mezzo mettere un’idea di wasabi e:salmone tagliato a strisce rettangolari oppure: tonno cetriolo gamberi scottati uova di salmone polpa di ricci Il California roll è in maki all’incontrario ossia si mette prima il riso poi l’alga nori e poi il composto che vuoi si sceglie, pesce o gamberi scottati. Arrotolare tutto e poi passalo nei semi di sesamo o altro. Tagliare poi le rondelle con un coltello ben affilato bagnando ogni tanto. NIGIRI ovvero le polpettine lunghe di riso con sopra idea di wasabi e fettine di pesce: tonno salmone spada gambero scottato frittata di uova e salsa di pesce polpo scottato calamaro scottato
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pan di
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I golosi momenti di Giulia alla scoperta dell’ america Giulia Sambo bibi_giulla@yahoo.it
strisce
La mia destinazione non è New York. La grande mela non l’ho vista nemmeno dall’alto, da lontano, tra le nuvole del cielo. La New York del mio primo giorno in America non è altro che l’imponenza del JFK, la minuziosa precisione negli occhi di un suo freddo dipendente che timbra energicamente il mio visto, una diffidente inserviente nera che trascina qua e la un carrello con scope e bidone della spazzatura, una gigantesca bandiera stelle e strisce appesa sul muro della prima stanza dell’aeroporto che ogni passeggero vede. Che egocentrismo, mi viene naturale pensare. Ma non so che presto cambierò idea. Che presto quelle immagini avranno un perché. New York diventa solo un punto di passaggio per me. Ma diventa anche il gruzzoletto delle mie prime fotografie scattate senza una macchina fotografica. Nuovi odori e nuovi colori nell’aria. Ad aspettarmi all’uscita c’è un ragazzo gentile di cui non ricordo il nome; in fondo so solo che è lui che deve accompagnarmi fino a La Guardia, dove mi aspetta il mio volo per Columbus, Ohio. E’ amichevole fin da subito, mi saluta con un sorriso e con qualche slang accentuato che mi fa immediatamente sentire a mio agio. E’ vestito da rapper e gesticola come un rapper. Mi sembra di averlo già visto in qualche film o in qualche video su MTV. Peccato che gli slang non li capisca ancora, che timida mi ritrovi a blaterare due misere parole del mio inglese scolastico. Ma lui non sembra farci caso, è un vulcano, è contento di darmi il benvenuto nel suo paese. Una delle cose degli americani che imparerò ad apprezzare di più: la profonda ospitalità. Mi sembra di conoscerlo da sempre. Mentre aspettiamo che ci vengano a prendere, sono attratta dalla diversità delle auto che ci sfrecciano vicino. Non sono abituata a questi modelli, non ne trovo una che abbia già visto in Europa. Ricordo solo di un modellino della polizia che mio fratello aveva tra i suoi giocattoli. Sono tutte identiche a quella, larghe e piatte, con i fari quadrati. Bellissime. Basta essere nati sull’altra sponda dell’oceano e tutto cambia. Assurdo. Il pulmino arriva, ci stringiamo un po’ e ci immergiamo nel grigio traffico di quella zona adiacente al downtown. Siamo circondati da auto targate “New York”, sfondo azzurro e scritta in stampatello. Ogni stato ha la sua targa speciale, coloratissima. La Guardia non è distante, è un aeroporto più piccolo, da cui partono i voli interni. Ho fame e faccio il mio primo grande errore: ordino un trancio di pizza. Ecco, se c’è una cosa che gli americani non sanno proprio fare, quella è la pizza.
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energia comunicativa uno sguardo al mondo che comunica anche se non sa di farlo Di Alessandra Z. comunicanchetu@yahoo.it
... Lo cerco su Google! Siamo diventati Web-addicted! Il passaggio è stato così graduale che non ce ne siamo nemmeno accorti, ma oggi non possiamo più negarlo. Chi di noi non si precipita su Google per soddisfare anche una minima curiosità? Chi non controlla di tanto in tanto il sito di Ryanair sognando di fare una vacanza al prezzo di una colazione al bar? Chi non ha degli amici che sente solo tramite Internet e che altrimenti forse non sentirebbe mai? Possiamo comunicare il nostro umore giornaliero tramite una frase accanto al nostro nome, controllare in nostro conto in banca online, partecipare ad un’asta per aggiudicarci oggetti rari da un venditore che sta dall’altra parte del mondo, fare la spesa via Internet riempiendo il nostro carrello elettronico e ricevendo tutto direttamente a casa, scrivere il nostro diario e renderlo pubblico e commentabile, condividere le nostre foto, realizzare video e caricarli su YouTube, e addirittura sfogliare una rivista online come stiamo facendo proprio adesso. Le possibilità di “vivere online” si moltiplicano e a pensarci bene suddividiamo il nostro tempo tra social media e social life. Parte della mia vita sociale è diventata digitale: tra MySpace, Facebook, Messenger, riesco a tenermi in contatto con tanta gente. E’ un contatto continuo, immediato, fatto di immagini, di applicazioni, di pensieri carini, ma è una comunicazione povera, riduttiva. Mi chiedo spesso se incontrando faccia a faccia quella persona avrei voglia di comunicare allo stesso modo o se magari mi limiterei ad un solo “ciao, come va?”. Internet ci dà tante possibilità, ci apre tante porte, ma di conseguenza ci fa allontanare da altre. Il Web 2.0 ci ha trasformato nella generazione del contenuto: siamo quelli che tramite Internet non hanno solo accesso ad informazioni, ma interagiscono, creano contenuti, tengono un blog, partecipano alle discussioni in forum e community e così via. Utilizziamo le nuove tecnologie per creare nuovi spazi in cui dare libertà alla creatività ed alla nostra voce...e senza Internet proprio non sapremmo più vivere! Ci chiamano “generazione in movimento” per i nostri aspetti collaborativi, partecipativi e sociali sul Web, ma possiamo davvero considerarci in movimento? Oppure siamo soltanto una “generazione seduta”...davanti al pc?
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Tr@shik
tutto ciò che non è très chic? Felice Maria Campolo confidaloafelice@gmail.com
“… un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nell’oscurità incatenarli…” Tolkien “… diamonds are a girl’s best friends” sentenziò a suo tempo la sempreverde diva Marilyn, da allora altre definizioni sono state coniate intorno all’amichevole presenza dei preziosi, quale irrinunciabile letizia delle donne. Ma se i diamanti sono quei sinceri amici, la cui frequentazione si spera possa durare in eterno, i brillocchi appartenenti ad una spicciola bigiotteria rientrano nella cerchia provvisoria dei conoscenti, che molto probabilmente hanno breve durata? A tal proposito, nell’Italia del Nord-Est, a circa trentadue chilometri da Padova, si estende un paesino di appena settemila abitanti di nome Tombolo. Nonostante la sua assai esigua consistenza demografica, ospita al suo interno quasi duecento attività industriali. Proprio per tale motivo, Tombolo esprime col suo stesso nome la tipologia della gente che ivi dimora: uomini il cui conto corrente non ha subito una sola raffica di vento dalla bufera della crisi economica mondiale… e donne (consorti degli uomini sopraccitati) che vivono la loro quotidianità nella spensieratezza del punto-croce e del punto-“tombolo” che occupa buona parte delle mattine, dei pomeriggi e delle sere. Dentro questo affresco di famiglia tradizionale, la cui assoluta protagonista è una provinciale divisione dei ruoli di mogli e mariti, è nota per la gente del luogo e dei comuni limitrofi una raccapricciante tendenza femminile: la permanenza di vistosissimi anelli nelle dita delle signore che contano. È evidente, presa coscienza della fiorente economia locale, che il numero delle suddette sia oltremodo notevole. Gli anelli in questione in realtà sono minuscole strutture di metallo non estremamente raro dove trovano eterna stabilità patacche da due centesimi, scadenti imitazioni di gemme e brillanti, la cui mole rischia di superare quella “antonelliana”. Ahinoi, non è un mistero quel che si cela dietro la scelta di questa moda locale. Il motivo per cui ogni dì Via Vittorio Veneto diventi il red carpet della “compagnia dell’anello tarocco” è chiaro ai più. Queste “delicate signorotte” affibbiano al termine sobrietà il poco appropriato significato di miseria, non considerando che anche il gingillo più semplice, quello meno incensato dalle pubblicità, può palesare il buon gusto di chi lo indossa. Due quesiti, pertanto, nascono spontanei: è mai possibile che nel ventunesimo secolo esista ancora un certo tipo di ignoranza estetica che induce una donna “fortunatamente ricca” a pensare che un cospicuo numero di anelloni le permetta di risalire il proprio prestigio sociale? È possibile che in un paesino come Tombolo, i cui residenti hanno fatto “tombola” nel settore finanziario, venga espressa soltanto una pacchiana rappresentazione della ricchezza? Nella speranza che quanto riportato venga letto dal presidente di Banca Mediolanum (Ennio Doris, per l’appunto, è di Tombolo), che con i suoi innumerevoli interventi televisivi può plasmare il buon senso dei suoi compaesani, chiedo venia a chi dello zircone ne ha fatto un consueto conforto e a chi custodisce la bigiotteria in forzieri con una combinazione a dieci cifre… Che Iddio salvi Bulgari, Tiffany e Cartier!!!
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seshat e la
settima
arte
Dedicato agli scrittori che amano il cinema Daniela Sergio danielasergio73@@yahoo.it
A kind of magic Wall-e: il cinema dei miracoli In un tempo dove sulle immagini vengono rovesciate montagne di parole, dove spesso agli sceneggiatori si insegna che una commedia si differenzia da un film d’azione anche per la maggiore quantità di dialoghi che la caratterizzano, ecco che arriva Wall-e. Il compito di questo robot, che ha la forma di un trattore e la maschera a cannocchiale, consiste appunto nello smembrare la montagna di rifiuti che ricopre il pianeta, per poi ricompattarli in cubi, pronti ad essere smaltiti chissà dove. Un gesto meccanico e ripetitivo attraverso cui possiamo pregustare, fin dalle prime scene, la ricchezza semantica di questo film, che si presta a più livelli di interpretazione. Ai rifiuti, che sommergono la città di New York, che già di per sé descrivono lo scenario di un futuro possibile e probabilmente non molto lontano, si possono ricondurre innumerevoli metafore, dove la spazzatura diventa il simbolo di tutte quelle negatività che soffocano la società odierna. Ma qui si parla di scrittura e così mi vengono in mente le parole. “Fiumi di parole”, cantavano i Jalisse in un festival di Sanremo di qualche tempo fa, che si rovesciano sul mondo continuamente per pubblicizzare prodotti, per vendere la propria immagine, o per creare sensazionalismo in un telegiornale e così fare audience con una notizia. A questo punto di saturazione irrompe la magia del gesto di Wall-e che, facendo il suo gioco, da un lato ridimensiona l’uso della parola e dall’altro le conferisce il ruolo che più le si addice, che poi è quello di dare corpo ai sentimenti, come si fa in un bel testo letterario, in una poesia, una canzone, o semplicemente quando si pronuncia il nome della persona
amata. Ma non si può ricostruire una città sulle macerie, bisogna prima raderla al suolo per ricominciare. Così la pellicola ci introduce in un luogo dove regna il silenzio assoluto, accompagnato solo dalla colonna sonora, come del resto accadeva nel cinema muto. Qui avviene il miracolo, che poi dovrebbe caratterizzare ogni buona pellicola, e cioè che le immagini, da sole, dicono tutto e sono abbastanza eloquenti da farci compiere, quasi inconsapevolmente, un viaggio alla scoperta del vero significato dell’esistenza. Wall-e, cubo su cubo, scava negli strati di falsità e di ipocrisia, dietro cui ci trinceriamo spesso proprio attraverso l’uso del linguaggio, per creare un varco alla verità e farla sgorgare al di là di ogni “direttiva” che questa società ci appiccica addosso. La magia consiste nel fatto che sullo schermo è un robot ad insegnarci ad amare, attraverso i suoi sospiri e soprattutto quando teneramente cerca di trasmettere all’amata Eve i suoi sentimenti, attraverso il semplice gesto di tenersi per mano di fronte a un tramonto. Un fotogramma in cui è racchiusa una poesia immensa, nonostante il sole sia offuscato da una nube inquinante e il panorama non sia un mare azzurro e cristallino, bensì una distesa di immondizia. Una scena che interroga e ci mette in discussione sul fatto che forse, il primo cambiamento di cui l’umanità ha bisogno, per non andare allo sfacelo, non è esterno a noi, ma deve giungere dal di dentro. Solo così il corso della storia è mutato per sempre, perché Wall-e, contravvenendo alla sua direttiva, si catapulterà nello spazio pur di inseguire la sua Eve e la aiuterà così a portare a termine la sua missione: comunicare agli umani che un germoglio verde è spuntato in mezzo ai rifiuti: forse la vita è ancora possibile
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sul pianeta Terra. Una sceneggiatura magistralmente scritta dove le parole non dette acquistano un significato profondo e così un germoglio è piantato nel cuore dello spettatore: risuonerà a lungo il modo in cui i due robot innamorati continuano a chiamarsi per nome, da lì si tesseranno poesie, si racconteranno nuove storie, si scriveranno canzoni e il mondo ricomincerà a vivere.
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parole per immagini
massimo del frate http://www.massimovision.blogspot.com
Giardino segret o
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work workin inprogress progress Giulia Giulia Possenti Possenti jiulie_@hotmail.com jiulie_@hotmail.com
Posso darle Possodel darle tu??...che del tu??...che scherzi? scherzi? È una batÈ una bat-Correlazione Correlazione tra lo studio tra lo estudio l’insegnamento e l’insegnamento di di tuta??...tuta??... una lingua una lingua morta, morta, quale ilquale latino, il latino, e la creazione e la creazione 16.20 p.m. 16.20così p.m. inizia cosìlainizia telefonata la telefonata con il Prof. con il Prof. e diffusione e diffusione di una di lingua una lingua eterna,eterna, la musica? la musica? di latino di elatino autore e autore di “la superficie di “la superficie del mare”, del mare”, alalbum inbum vendita in vendita dal 9 maggio dal 9 maggio 2008. Voce 2008.calda, Voce calda, Essendo Essendo la lingua la lingua latina, latina, proprioproprio per com’è per com’è accogliente, accogliente, caratterizzata caratterizzata da un inconfondida un inconfondi-strutturata, strutturata, una lingua una lingua carica di carica musicaldi musicalbile e distinto bile e distinto accentoaccento bresciano. bresciano. ità, paradossalmente ità, paradossalmente ha un sistema ha un sistema ritmicoritmico molto più molto vicino più vicino a quelloa quello ingleseinglese che a quello che a quello Su cosaSu si cosa basa si la basa tua cultura la tua cultura musicale? musicale? dell’italiano. dell’italiano. Direi che Direi è cantabilissima, che è cantabilissima, molto più molto degli piùendegli enMa, dunque, Ma, dunque, diciamodiciamo il pop inglese il pop inglese degli anni degli anni decasillabi decasillabi italiani,italiani, quindi quindi dal punto dal di punto vistadi vista 80/90 a80/90 partire a partire dagli Smith dagli eSmith poi quello e poi quello dei finedei fine tecnico,tecnico, rompermi rompermi le scatole le scatole e romperle e romperle agli agli anni ‘80 anni primi ‘80anni primi‘90,gli anni Sweet, ‘90,gli Sweet, i primiiBlur. primi Blur. altri –i altri suoi –i alunnisuoi alunnicon la metrica con la metrica latina mi latina mi Ho sempre Ho sempre amato il amato pop inglese, il pop inglese, perchéperché in In- in Inaiuta tantissimo, aiuta tantissimo, dal punto dal di punto vistadiumano, vista umano, non non ghilterra ghilterra si può fare si può pop fare senza popche senza questo che questo sig- sigte lo saprei te lo dire. saprei dire. nifichi nifichi automaticamente automaticamente produrre produrre spazzatura, spazzatura, Direi banalità Direi banalità dicendodicendo che ci sono che cicose sono scritte cose scritte invece invece in Italia, in da Italia, un lato da un si èlato pressati si è pressati spesso spessoda gente dadefunta gente defunta da duemila da duemila anni che anni sono che sono per banalizzare per banalizzare il più possibile il più possibile arrangiamenti arrangiamentimolto più molto attuali più attuali di cosedi che cose si sentono che si sentono dire dire e produzioni e produzioni artistiche, artistiche, dall’altro, dall’altro, c’è un certo c’è un certo oggi però, oggièperò, vero…a è vero…a volte levolte banalità le banalità sono tali sono tali tipo di tipo pubblico di pubblico che, a priori, che, a priori, escludeesclude la pos- la pos-perchéperché vere...(ride..) vere...(ride..) sibilità sibilità che si possa che sifare possa pop fare in pop un certo in unmodo, certo modo, Sai l’idea Saidil’idea portare di portare avanti un’idea avanti un’idea culturale culturale cioè, con cioè, unacon certa unaraffinatezza, certa raffinatezza, credibilità. credibilità. Ho Ho che molti checontestano molti contestano – abolizione – abolizione o menoo meno sempresempre ammirato ammirato questo questo degli inglesi. degli inglesi. dell’insegnamento dell’insegnamento della lingua della lingua latina nei latina licei-. nei licei-. Dall’altra Dall’altra parte ilparte cantautorato il cantautorato italiano, italiano, Tenco Tenco e Ciampi, e Ciampi, sopra tutti. sopra tutti. Favorevole Favorevole o contrario? o contrario? Ecco queste Ecco queste sono lesono due maggiori le due maggiori influenze. influenze. Bhè, forse Bhè,5 forse ore in5 secondo ore in secondo superiore superiore sono sono QuindiQuindi secondo secondo te esisteteun esiste popun italiano? pop italiano? troppe,troppe, ma abolirlo ma abolirlo del tutto…no! del tutto…no! Io vorrei Io che vorrei esistesse, che esistesse, sarei bizzarro sarei bizzarro nel direnel direVisto ilVisto discorso... il discorso... riformariforma Gelmini Gelmini o manifeso manifesche oggi che come oggioggi come esista oggiin esista senso instrutturato senso strutturatotazionetazione studentesca? studentesca? e continuo, e continuo, aiutatoaiutato dagli addetti dagli addetti ai lavori, ai lavori, che che siano case siano discografiche, case discografiche, giornalisti giornalisti o critica. o critica.Forse nessuna Forse nessuna delle due delle cose, duenel cose, senso nelche senso le che le Samuele Samuele BersaniBersani è uno dei è uno pochi deiche pochi secondo che secondo manifestazioni manifestazioni studentesche studentesche avendola avendola vissutevissute me in Italia me insta Italia un po’ sta un in quel po’ in concetto quel concetto lì, lì, in prima in persona prima persona da giovane da giovane purtroppo purtroppo spesso spesso cantautore cantautore sì ma con sì ma unacon vena unapop, vena lopop, fa con lo fa consono unsono po’ un manipolate po’ manipolate o meglio o meglio c’è un po’ c’è un di po’ di una credibilità una credibilità che secondo che secondo me è sempre me è sempre più in piùpressapochismo, in pressapochismo, non so non se ti so è capitato se ti è capitato di as- di ascrescita, crescita, o Gazzè, o Gazzè, quel modo quel di modo starediunstare po’ un nelpo’ nel coltarecoltare interviste interviste fatte a tradimento fatte a tradimento ai ragazzi ai ragazzi mezzo-mezzonon pernon essere per democristiani essere democristiani (ride...)(ride...) durante durante le manifestazioni, le manifestazioni, dove questi dove danno questi danno per prendere per prendere il meglio il meglio dei duedei mondi, due mondi, non solo non solo delle risposte delle risposte agghiaccianti, agghiaccianti, che poiche è anche poi è anche il peggio. il peggio. ovvio che ovvio a 16 che anni a 16è difficile anni è difficile sapere sapere tutti i tutti i
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decreti a memoria. Più che la riforma Gelmini, quindi al dettaglio del precariato- che poi oltre tutto lo sono anche io quindi ne sono assolutamente coinvoltosinceramente ti risponderei che io non vorrei ci fosse una riforma Gelmini, non ci fosse la riforma Moratti, non ci fosse la riforma Berlinguer, ma ci fosse una riforma “della scuola” organica, ragionata, non pensata sull’”inciucio” all’italiana tra le due parti ma un ripensamento serio della scuola non nell’ottica dei Guelfi e dei Ghibellini della serie “ho vinto io, rifaccio la scuola a mia immagine e somiglianza”. Io penso ci debba essere un po’ più di rispetto per i lavoratori perché sono successe delle cose stranissime che accadono in pochissimi settori. Tipo? Tipo diritti acquisiti in teoria sacrosanti, messi in discussione. Gente che è andata a lavorare appositamente in montagna perché si ha più punteggio per chi lavora lì -perché situazione disagiata- e cosa che poi è stata abolita con effetto retroattivo, che è una cosa tutta italiana; c’è gente che ha impostato tutta la sua vita nel vivere ad esempio tre anni in montagna perché sarebbe stato come insegnare sei in un posto vicino casa e si è trovato poi, ad aver buttato via il tempo. Quindi la questione “Gelmini si Gelmini no” è un discorso molto più complicato che prende in esame varie questioni, tra qui la valutazione degli insegnanti, a cui non sono contrario ma come avrebbe detto Totò poi “chi controlla è il controllore”. Il discorso scolastico dovrebbe essere un discorso politico ma nel senso etimologico dell’amministrazione della polis non nel senso “mi faccio i fatti miei” o “smantello la scuola pubblica perché voglio favorire la scuola ecclesiastica” oppure “faccio delle riforme solo per accontentare un certo tipo di sindacato”. Cambiando discorso, quanto ti senti emergente e quanto veterano nel quadro musicale? Io mi sento veterano per lo sbattimento (ride...) del resto ci ho messo otto nove anni per realizzare il disco… Mi ricorderò sempre che a fine marzo del 2001 ero in un bar a Milano con uno della casa discografica – con cui poi non ha firmato- che mi
disse: “Ehi ascolta, sei, sette mesi e il tuo disco è nei negozi…” sono passati sei sette anni, non mesi da quando mi è stata detta questa cosa. (ride…) Ma ti dirò, meglio così, non ero assolutamente pronto, sarei stato travolto e avrei fatto un disco bruttissimo. Quindi veterano sì, nel senso dell’impegno, delle cantonate, dalle grossissime delusioni che si prendono, dalla fatica... ma non certo per l’esperienza vera e propria, ho fatto alcune cose, ma insomma, c’è né da fare. Emergente non so, è una parola a mio avviso un po’ abusata, sto avendo il mio riscontro, non mi sarei mai aspettato di avere il mio singolo su deejay, di avere la mia critica, qualche stroncatura è arrivata, ma anche delle recensioni positive, anche da insospettabili tipo rockit, che in qualche modo la Bibbia della musica indipendente in Italia. Quindi un misto di cose, è poi avendo 33 anni sono un giovanissimo della musica italiana, perché poi c’è questa cosa (ride...) che in Italia e non solo nella musica, fino ai trenta e rotti anni sembra quasi impossibile fare le cose, quindi sono anagraficamente in linea…(ride...) Cosa pensi dell’azienda musica in Italia? E bèh, di sicuro non mi invento io che non è un bel momento, ma non è un bel momento per nessuna azienda, ma nella musica si sa che le cose si sono un po’ complicate, e vedo i dati di fatto, io ho un editore major ma la casa discografica è un’etichetta indipendente, ma vedo che le major investono ben poco sulle cose nuove, io ho avuto la fortuna di incontrare questo editore che lavora un po’ come negli anni ‘60/’70 lasciandomi un sacco di tempo per maturare, per crescere, senza farmi fretta, è un caso, non dico unico, ma molto raro. In generale i contratti che vengono messi sotto il naso sono agghiaccianti, tipo, “singolo + opzione per un altro” … (silenzio…), e poi c’è un altro dato di fatto, i dischi non si vendono. Perché secondo te? È complicato fare un business dove il business non c’è. Il business si è spostato su altre cose le suonerie ecc. e da qui nasce quest’interesse della televisione, da qui “X Factor” e cose varie e quindi le risorse poi vengono impiegate lì.
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E l’anno prossimo lo sarà ancora più, le grandi etichette andranno tutte lì- in tv-. Circolo vizioso? Mmh sì, non voglio banalizzare, ne attaccare chi lavora in questo campo perché ho saputo che hanno avuto delle difficoltà grosse, anche date dalla cultura generale italiana. Cioè? Vedi la musica dal vivo! in Italia fai spendere anche 80 euro di aperitivi ma se gli chiedi 5 euro per un concerto avrà da protestare, e parecchio anche. Una cosa che mi piacerebbe moltissimo è che si mischiassero i club con musica, non so, house, da discoteca, con musica dal vivo, cosa che non succede mai. In Inghilterra è normale, vai nel locale si ascolta il concerto e poi inizia la discoteca, qui succede solo nei locali di rock, indie ecc. che però sono di nicchia, e riguardano un gruppo di persone, e purtroppo non c’è comunicazione tra questa piccola nicchia e il grosso pubblico che inizia ad andare a vedere i concerti solo quando sei veramente veramente famoso. Viste le foto, visto la canzone –cravatta rossache significato si cela sotto la cravatta? Ho sempre amato il completo, la cravatta, nei momenti giusti, perché è un ottimo modo di sottrarsi alle mode che sono molto pericolose, essere alla moda è molto pericoloso, perché da lì a due anni si diventa ridicoli. Sai l’effetto foto, quando uno riguarda le foto degli anni passati e si dice “mamma mia che capelli avevo”, ecco ho scelto per esempio di non avere capelli anche per questo (ride...). E poi un modo per sottolineare a me stesso l’impegno, la serietà con cui faccio questa cosa. Ma in realtà, non me lo sono mai neanche troppo chiesto. Quindi niente immagini simboliche “nodo della cravatta = cappio”… Nel singolo “cravatta rossa” –secondo singolo estratto dal suo album d’esordio- parla proprio della cravatta ma in un senso diverso, ha una sfumatura erotica, un accenno al sadomasochismo, ma era soltanto una metafora, in realtà
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l’idea è di parlare di indumento-arma, nel senso della metafora del soffocamento, quel soffocamento che la cravatta da specialmente per chi non è abituato ad indossarla, quel tipo di soffocamento lo trasformi in un gioco erotico e soprattutto una metafora che, le persone che stanno insieme da un po’, tengono ad esercitare l’una sull’altra. Però tra l’altro “cravatta rossa” è stata scritta in un periodo in cui la cravatta non la indossavo neanche, non c’è una logica, mi sono trovato molte volte a fare questa scelta che è estetica ma anche etica, è un sottrarsi all’attualità. Parlando di estetica, cos’è l’essere bello? Vivo un po’ per estremi da questo punto di vista, il tipo di estetica che secondo me ha un senso è o quella totalmente, clamorosamente fine a se stessa, ciò che è bello perché ha una sua grazia, è piacevole, consola, salva, ma senza nessuna ragione, semplicemente per il mistero della bellezza, l’armonia di linee che è anche innata per certi versi, alcune cose sono belle perché il secolo impone che lo siano ma altre lo sono da sempre e per sempre; oppure c’è un altro tipo di bello quello estetico- etico che giustifica, quello alla greca, che è la concretizzazione di un’idea. La concettualizzazione dell’estetica italiana a cavallo tra gli anni 50 60 era una cosa straordinaria perché il segno di un’epoca che respirava valori diversi, ecco, non credo molto nel postmoderno, la cultura delle forme e non della sostanza, mi fa rimaner perplesso. Gianmarco Martelloni cantante e… Bhè malato di mente, visto che non bastava la musica ma anche l’insegnante (ride...), non saprei, già cantante è una definizione con cui faccio fatica a definirmi, faccio musica ma non mi ritengo un cantante, ho fatto fatica a cantare. Stonato? Stonato come una campana, ho deciso di imparare a farlo e ho deciso di imparare a modo mio, quindi senza lezioni. Avevo paura, studiando lo spartito e nel modo tradizionale, di perdere di sostanza, quindi ho deciso di provarci a modo mio.
Ed ora ti piaci? Ultimamente di più, mi sto avvicinando al centro di quello che voglio fare. C’è ancora da fare. “la superficie del mare”… È un disco che ha un suo punto, è per tutti quelli che amano la forma canzone, è una raccolta di canzoni, alcuni molto riuscite altre meno, disegna un mondo e io penso possa arrivare. Sei felice? Sono soddisfatto. Progetti futuri… Mi chiuderò a casa, ed è una cosa che non faccio da molto. Tra poco andremo a girare il video di “cravatta rossa”. Anticipazioni? Bhè lo giriamo in uno studio, sarà molto diverso dal precedente –messalina- che è stato girato interamente all’aperto, a Berlino. Questo sarà a camera fissa su di me, per tutta la canzone mi vedrò solo io, è una cosa totalmente diversa. Uno spazio per dire ciò che vuoi… Un semplice appello a quelle persone che vanno a vedere i live, “trascinate tutti quelli che non vanno a vedere musica dal vivo”…sembra un po’ l’appello di “salvate la balena”(ride…)… ma sarebbe bello poter ampliare questa cultura, farla diventare, perché no, un rito sociale.
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storia di un clic.
NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA FOTOGRAFIA Marina Sgamato marinascribacchiona@gmail.com
Gli anni ’70 hanno regalato alla storia della fotografia una figura singolare: Diane Arbus! Diane ( pronunciato Di-Ann come lei stessa voleva), nacque a New York da una ricca famiglia di origine russa, a diciotto anni sposa Allan Arbus (da quì il cognome) con cui condivise la passione per la fotografia. Dopo la guerra aprirono a New York uno studio fotografico: Allan curava il lato tecnico, ma la mente e le idee erano di Diane. I due rimasero insieme fino agli anni ’50 quando si separarono prima professionalmente e poi sentimentalmente. Diane dopo la rottura decise di cimentarsi in una carriera tutta sua: col suo carattere bizzarro e la depressione sempre più forte passava dall’entusiasmo per i nuovi progetti a crisi che le impedivano anche di uscire di casa. Per le sue fotografie prediligeva soggetti strani che definiva freaks (mostri) che riteneva persone speciali, come dichiarò nel 1967 a ‘Newsweek’: “La maggior parte delle persone vive con la paura di dover sopportare un esperienza traumatica. I mostri sono nati con il loro trauma. Hanno passato il test della vita. Sono degli aristocratici”. Per Diane era molto importante riuscire a conquistarsi la fiducia dei suoi freaks, passava infatti molto tempo con loro, ma la sua vera abilità era nel riuscire a catturare il lato oscuro di persone all’apparenza normali. Nonostante la sua intraprendenza e il successo, il suo lavoro le dava non pochi problemi dal punto di vista economico, non aveva mai imparato a fare economia nè a pretendere di essere pagata dagli editori, in questo l’ex marito le era di enorme aiuto... aiuto che le venne meno quando Allan decise di trasferirsi in California con la seconda moglie. Il problema era nel fatto che le sue idee non erano molto commerciali per i giornali, in più non poche celebrità rifiutavano di collaborare con lei perchè piuttosto che esaltarne la bellezza lei puntava a sminuirli, “un’idea troppo
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in anticipo sui tempi” nota bene Howard Sounes. Nel giugno 1971 Diane cadde in una depressione ancora più forte; nei suoi giorni migliori vagava per Manhattan alla ricerca di persone infelici e spesso si recava nel New Jersey in ricoveri per ritardati che le diedero nuova forza, infatti quelle fotografie sono tra i suoi migliori lavori, ma sfortunatamente anche gli ultimi. Il 28 luglio, un amico della fotografa, non riuscendo a rintracciarla si recò al suo appartamento dove la trovò rannicchiata in un angolo del bagno: due giorni prima Diane aveva deciso di togliersi la vita, usando barbiturici e tagliandosi le vene di entrambi i polsi. A 48 anni scomparve così un genio della fotografia, e come troppo spesso accade, solo dopo la sua scomparsa venne consacrata per il suo valore artistico. Marina Sgamato Intervista riportata in: Howard Sounes, Anni 70. La musica, le idee, i miti. Editori Laterza, Bari 2007, p. 102.
lei, come me storie di donne che a volte non esistono aurora africa2006@excite.it In questa casa di campagna mi annoio. E’ estate ma io non mi diverto affatto. Me ne sto in questa stanza impolverata, dietro a questa finestra dalle tende verde mela. Fuori mia sorella gioca con l’altalena, poi saltella con la corda e raccoglie i fiori. Stupida. Sembra leggera come una libellula e vuota come una gallina, con le sue trecce e i nastrini rosso porpora. Tutte le amiche della mamma le dicono sempre quanto è bella, quanto è solare il suo sorriso, quanto è deliziosa. Odio questa parola, Blah! Io invece sarei quella brutta e scorbutica, quella che non si diverte mai. La verità è questa: è che sembro crollata, su questa terra, da un mondo lontano. Bum!!, spinta giù come in un gioco dispettoso. Uno di quei giochi che ti fan sbucciare le ginocchia. A scuola mi prendono tutti in giro perchè sono goffa e in testa sembra ch’io abbia un casco di banane..dicono. Cammino a testa bassa e odio tutti. Li odio davvero tutti. Se mi guardo allo specchio vedo la mia irregolarità. Sono davvero brutta e arrabbiata, ma so di essere abbastanza intelligente, riesco a capire quanto la mia personalità sia molto più grande rispetto a quella di molte altre persone della mia età! Ma, pare, questo poco importi. Sembra persino dispiacere. Anche i miei genitori sembrano preoccupati ma forse non si accorgono della mia infelicità. “Esci, và a giocare con tua sorella in giardino, non startene sempre rinchiusa in questa stanza, ricordati che è estate, siamo qui per rilassarci”, dicono e ridicono. Sembra che questo possa servire a qualcosa, magari serve a loro. “Comportati come una ragazzina della tua età!”. Ma come diavolo si comporta una ragazzina della mia età? Vorrei che qualcuno mi desse una dritta! Ho 13 anni e un casco di banane in testa! Come vive una ragazzina di 13 anni con un casco di banane in testa? Non bene. Ho 13 anni e non ci trovo niente di poetico nei fiori e nel riflesso della luna sul lago. Ho 13 anni e vorrei dare fuoco a questa casa. Ho 13 anni e vorrei lanciarmi giù da questo abbaino. Bum..volare giù..e per una volta scegliere da me dove poter atterrare.
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storie di stra-ordinaria
quotidianita' Rubrica di supporto emotivo Anna Piazza ann7@hotmail.it
Girando per le strade di città, ultimamente incontro facce perplesse, oserei dire atterrite, non si sa bene per colpa di chi o che cosa, ma le ipotesi di questi tempi certo non mancano… Chi per il maltempo che gli allaga la cantina, chi per la crisi finanziaria, chi per la riforma della scuola si può di gran lunga dire che questo non è proprio il periodo adatto per “saltellare” in centro con il sorriso stampato sulla faccia stile cartone animato disneyano… Non voglio diventare pessimista pure io, che sono famosa per trovare sempre il lato positivo nelle cose ma… Oggi sono incappata in un articolo del sole 24ore in cui il nostro caro governatore della Banca d’Italia Draghi avverte gli italiani di prepararsi alla recessione…ho subito pensato, che brutta parola! E il suono che ne esce quando la si pronuncia non è piacevole, incute timore solo a pronunciarla “la recessione”… Ma cari italiani, non preoccupatevi, tanto Draghi ha pensato anche a darci le istruzioni per l’uso, più o meno le stesse che si trovano dentro allo scatolone della libreria che avete appena comprato all’Ikea, avete presente? Anzi, forse queste istruzioni sono ancora più facili, e pensate un po’ contano solo 5 punti! Draghi ha evidente senso della sintesi! Cercando di avere ancora più sintesi del nostro governatore ve le elenco brevemente: 1. Le politiche macroeconomiche ( monetaria, di bilancio ecc…) devono far fronte alla crisi… (?) 2. Il capitale delle banche va rafforzato con un approccio pragmatico da parte di azionisti e manager… (!) 3. Le banche devono sostenere le famiglie “finanziariamente più vulnerabili” (alzi la mano chi non lo è diventato vulnerabile finanziariamente ultimamente…) 4. Penalizzazione fiscale dei depositi (dal 12,5% al 27%) 5. Infine, cari italiani, per ridare fluidità al mercato interbancario, passaggio indispensabile per superare la crisi di liquidità, la Banca d’Italia proporrà alle banche un nuovo sistema di scambio destinato ad “abbattere i rischi.” Preciso che io non sono una che con la politica va a nozze, volevo semplicemente portarvi l’esempio di come molte cose in questo paese alluvionato non quadrino troppo… Infondo dobbiamo pur vivere, direte voi, e forse si, meglio pensare a quale tipo di spesa fare domani al supermercato, o meglio, quella che potremmo permetterci, o bere un caffè al bar leggendo il giornale, scommettendo chi tra Obama e McCain la farà franca il 4 novembre negli Stati Uniti…oppure che so, pensare che sempre negli Usa e precisamente nello sfavillante mondo dell’intimo di Victoria’s Secret è stato realizzato e messo in vendita il reggiseno più caro del mondo: realizzato con 3.900 pietre preziose, costa 4milioni di euro! Uomini vista la recessione è inutile tenere i soldi in banca, meglio spenderli! Quindi fateci un pensierino….in fondo a Natale, manca solo un mese!
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aforismi & citazioni Michela Belotti (michela_belotti@libero.it)
“L’AFORISMA NON COINCIDE MAI CON LA VERITÀ: O È MEZZA VERITÀ O È UNA VERITÀ E MEZZA” KARL KRAUS “Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per il vostro paese”, così iniziava il famoso discorso “Ask not” di John Fitzgerald Kennedy. Un discorso che ridò fiducia e nuova speranza alla popolazione americana, durante un periodo di crisi, pieno di tensione e di paura per una nuova guerra. Thurston Clarke nel suo recente libro, in cui racconta la genesi del discorso di Kennedy e il suo insediamento alla Casa Bianca, descrive “Ask not” come breve e molto retorico, eppure allo stesso tempo affascinante e che induce la popolazione a credere nel futuro. J.F.Kennedy fu considerato uno dei presidenti che cambiò gli Stati Uniti, buono e pacifista, nonostante fu proprio lui ad inviare le prime truppe in Vietnam, anche se non fu mai del tutto convinto. Sostenne l’integrazione razziale e i diritti civili, e chiamò a sé durante la campagna elettorale la moglie dell’imprigionato Martin Luther King Jr. Kennedy fu eletto nel 1960 e divenne così all’età di 43 anni il primo presidente cattolico e il più giovane presidente eletto. Venne ucciso il 22 novembre del 1963 per mano del filo-castrista Lee Oswald a Dallas durante un corteo. Ci sono alcune ipotesi che vedono come mandanti dell’omicidio personaggi vicini ai servizi segreti o della CIA, forse per evitare che il presidente ritirasse le truppe del Vietnam. Infatti, Kennedy fu sempre contrario alle ostilità e ai conflitti, come si denota dal suo messaggio all’Onu del 1961: “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità”. John Kennedy fu un esempio lampante di come si possa cambiare la storia, senza aspettare che gli altri facciano per noi; in prima persona si batté per un mondo migliore, e come accadde durante la crisi di Cuba, cercò sempre di mantenere la pace, anche in situazioni gravissime. In un mondo che arrivato nel III millennio è di nuovo perso senza una guida, servirebbero persone con questo coraggio, determinazione e bontà d’animo, senza pregiudizi o secondi fini. È legittimo chiedersi cosa possa fare il nostro paese per noi? O forse è più corretto, una volta individuati gli obiettivi, metterci all’opera in prima persona? Se ci poniamo questi quesiti allora la citazione di J. F. K. può essere visto come una verità e mezza, ma può anche non coincidere con essa.
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A(T)TRATTI
DALLA BLOGOSFERA Parola ai blogger di Giulia Z. giulywzita@yahoo.com Questo mese sono approdata sulla piattaforma di myspace,ed ho scelto d’intervistare una band emergente di Palermo :“The City”. Potete ascoltare la loro musica e visitare il loro space a questo link http://www.myspace.com/mysuperego. Buona lettura! Come è nato il vostro progetto? « Il progetto è nato dopo una collaborazione con Maurizio in un gruppo cover che proponeva un repertorio Indie-Rock ispirato agli Strokes e ad altri gruppi appartenenti a questo filone» Come mai il nome City? « Volevamo un nome che esprimesse un contatto con la vita in una metropoli. Così abbiamo optato per la più semplice delle scelte» Quali influenze musicali sono presenti nella vostra musica? « Un po’ di tutto,ci piace molto il Punk anni 70’,quindi lavori di Richard Hell,Ramones,ecc. Poi di sicuro la nuova ondata Indie-Rock,iniziata dopo il 2000,con band come Strokes,Artic,ecc. E per finire reminiscenze anni 80’,prendendo spunto dal Synth Pop di gruppi come i Depeche Mode» Quando e come avete pensato di aprire un blog su myspace? « L’idea era presente fin da subito. Antonio,il batterista,si è unito a noi un po’ dopo rispetto alla composizione dei primi pezzi,così in mancanza di un batterista,ci siamo dedicati a registrazioni casalinghe per iniziare a far conoscere la nostra musica» Vi contattano per serate e/o concerti tramite il vostro blog? « Si,è un mezzo abbastanza funzionale da questo punto di vista. L’unica sfortuna è la collocazione geografica,dal momento che alcune richieste vengono da locali o club nel resto d’Italia e,gli spostamenti da un’isola non sono semplicissimi» La vostra città nativa,Palermo,vi da modo di esprimervi ed emergere come volete? « Temo di no,Palermo è una città che musicalmente offre poco. I gestori dei locali sono poco attenti ai gruppi emergenti,e spesso preferiscono le cover band. Le rassegne musicali note a livello siciliano,sono state soppresse dall’amministrazione comunale» Siete soddisfatti del vostro primo Ep? « “The City is working” è solo un promo nato per far ascoltare ai locali il nostro lavoro. Ha un po’ il ruolo di un biglietto da visita» Avete avuto riscontri positivi? «Non vorrei parlare troppo presto,ma direi di si,la gente sembra apprezzare le canzoni,e anche in termini di ascolto lo space sembra abbastanza frequentato» Tramite lo space avete conosciuto altre band emergenti? « Si,diverse ed un po’ ovunque nel mondo e fatto amicizia con ragazzi di altre città o addirittura di altri Paesi» Cosa ne pensate dei blog in generale? « Il blog come idea mi piace,ma è necessario che il suo proprietario sappia scrivere ed abbia qualcosa di cui scrivere,altrimenti non mi sento affatto spinto a visitare nuovamente la pagina»
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zuppa in tour per l’ Europa
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Rossella di Bidino rori.rori@libero.it Un progetto d’arte interventista e una zuppa cos’avranno mai in comune? Tutto si complica ulteriormente appena spunta l’Agenzia Turistica Filosofica. Cercando di sbrogliare la matassa, l’arte interventista percepisce e propone un’arte che vada oltre l’aspetto materiale, oltre i colori, la pietra o altri supporti fisici. Il fulcro della sua arte è la “scultura sociale” nelle sue azioni e reazioni. In questo filone si colloca l’attività dell’Agenzia Turistica Filosofica che promuove il progetto Jahressuppe, o zuppa dell’anno, attualmente in corso. O meglio bisognerebbe dire al momento in viaggio. Infatti, la Jahressuppe è nata per circolare un anno intero per l’Europa, passando di mano in mano, di cucina in cucina, di bocca in bocca. Questa avventura è cominciata il 25 gennaio 2008 con l’obiettivo di far cucinare 366 volte, giorno dopo giorno, la zuppa, giungendo a produrre ad oggi ben 900 litri.
Dei cuochi volontari, persone comuni, che vorranno aderire al progetto per impeto creativo o culinario, riceveranno dal cuoco precedente 0.5 litri della Jahresuppe. Questo rappresenterà il materiale di partenza, una sorta di ingrediente aggiuntivo alla loro minestra. Con questo mezzo litro dovranno realizzare 2.5 litri di nuova zuppa, secondo i propri gusti. Dopo aver mangiato parte della loro creazione la passeranno al volontario successivo, donandogli 0.5 litri della zuppa come dire “aggiornata”. E così via. Non si tratta quindi della solita minestra ribollita.
Se vi preoccupa l’aspetto igienico, gli organizzatori hanno una risposta anche per questo rifacendosi all’omeopatia: il principio della diluizione e continuità. Secondo tale concetto, dei 2.5 litri della zuppa fatta un dato giorno dopo tre giorni nella nuova zuppa ne rimane solo il 4%, dopo una settimana il 0.00128%. E dopo un anno, ossia quanto il progetto sarà considerato concluso, ne rimarrà solo una quantità infinitesimale esprimibile con un numero con 252 zeri dopo la virgola.
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L’arte odierna sa sfruttare le tecnologie moderne, ecco allora che sul sito della Philosophischereisebuero vengono presentate le tabelle di diluizione e continuità, le ricette dei volontari che hanno già partecipato al progetto (e sono sopravvissuti), una roadmap col percorso programmato e reale della zuppa, un blog per dare voce ai partecipanti, ma anche dei gadget. L’aspetto più curioso sono comunque le foto dei convivi a base di Jahressuppe. C’è chi ha fotografato la zuppa, forse spaventato da questa, chi una bella tavolata di amici sorridenti, chi la mamma che offre un cucchiaio al bambino o chi guarda serioso il mezzo litro di zuppa da cui deve partire. Ma c’è anche chi la fa annusare prima al cane, fidarsi è bene ma … Tutto questo signori è arte, ma non crediate che l’oggetto artistico sia la zuppa. Suvvia andate oltre le apparenze. Non fermatevi neppure all’aspetto gastronomico. Nessuna giuria d’esperti culinari esprimerà un giudizio sulla qualità del prodotto. Trattandosi di un progetto d’arte interventista l’attenzione è rivolta alla “struttura sociale”. L’obiettivo dichiarato è estetico, storico, sociologico, gastro-filosofico e quotidiano. L’Agenzia Turistica Filosofica ha scelto la zuppa, uno dei piatti più antichi dell’umanità, quale strumento di integrazione. Col suo calore incoraggia l’aggregazione ed il dialogo, come dimostrato dai pochi pasti solitari consumati a base di Jahressuppe. Inoltre, la zuppa stessa integra vari ingredienti come verdure, carne, pesce, aromi e spezie, ma anche acqua, vino, latte e succo. Non si tratta poi di un’accozzaglia casuale di elementi, dopotutto alcune regole culinarie esistono e le esigenze dei commensali devono essere tenute in considerazione. Quindi razzismo e anarchia totale sono banditi. Il processo di diluizione apparentemente sembra vanificare l’apporto dei singoli partecipanti. Cosa rimane alla fine del tempo e dell’inventiva dei volenterosi cuochi? Il nome completo del principio è diluizione e continuità. L’elemento della continuità è il perno della valorizzazione dell’apporto individuale. Si ritiene, infatti, che nessuna informazione venga persa, l’ultima zuppa comprenderà, secondo gli organizzatori, tutta l’informazione delle 366 zuppe. La Jahressuppe finale sarà un esempio d’informazione concreta, nell’ottima degli organizzatori.
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A novembre la Jahressuppe raggiungerà Roma e poi Perugina e poi chissà. Tedeschi, francesi, olandesi, irlandesi, greci, svizzeri hanno già assaggiato la zuppa. Ora tocca all’estro italico lasciare un segno in quest’opera d’arte in continuo rinnovamento. Dimostrando, senza tanti fronzoli, come cucinare sia un’arte.
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