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REPUBBLICA ROMANA 1798-1799 PRIMA REPUBBLICA ROMANA 1798-1799
Sorella della Repubblica Francese proclamata il 15 febbraio 1798
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La Repubblica Romana fu una repubblica sorella della Repubblica Francese, proclamata il 15 febbraio 1798 e composta di territori sottratti allo Stato Pontificio dal generale Louis Alexandre Berthier, che aveva invaso Roma, strappandola al dominio temporale di papa Pio VI, il 10 febbraio. Nel 1799 fu unita alla Repubblica Tiberina, ma già nel 1800 lo Stato Pontificio era stato ripristinato. Storia La Repubblica Romana fu una delle repubbliche sorelle filofrancesi e giacobine proclamate a seguito delle conquiste francesi subito dopo la rivoluzione.
Berthier, invasero la città dando inizio alla cosiddetta occupazione francese di Roma. Pretesto fu l'uccisione di un loro generale dell'ambasciata francese, MathurinLéonard Duphot, avvenuta il 28 dicembre 1797 durante un tumulto popolare provocato da alcuni rivoluzionari italiani e francesi. Il generale Berthier marciò sulla città senza incontrare resistenza, dandosi al saccheggio dei tesori d'arte del Vaticano. Il 15 febbraio 1798 fu dichiarato decaduto il potere temporale del papa Pio VI e fu proclamata la Repubblica Romana, sul modello francese.
Pochi giorni dopo, il 20 febbraio, il papa Il 10 febbraio 1798 le truppe di venne scortato via dalla città; morì in Napoleone, guidate da Louis Alexandre esilio in Francia l'anno successivo.
PRIMA REPUBBLICA ROMANA 1798-1799
Il 25 febbraio scoppiò una sommossa popolare l'autorità papale. Dopo solo sei giorni Ferdinando che fu duramente repressa dai francesi. IV entrò a Roma da conquistatore. Ma il 14 dicembre dello stesso anno una immediata e Il 7 marzo 1798 alla Repubblica Romana vennero risoluta controffensiva francese costrinse i aggregate la Repubblica Tiberina e la Repubblica napoletani a una ritirata che ben presto si Anconitana. trasformò in rotta. I francesi entrarono a Napoli il Il 20 marzo 1798 fu promulgata, sul modello di 23 gennaio 1799 e istituirono la Repubblica quella francese, la Costituzione della nuova partenopea. repubblica, che prevedeva l'elezione di un Il 19 settembre 1799 i francesi abbandonarono Tribunato di 72 membri e un Senato di 32, che Roma, rioccupata il 30 settembre dai napoletani, avevano il potere legislativo e che desiganvano che posero così fine alla Repubblica Romana. cinque Consoli ai quali era demandato il potere esecutivo; ma in realtà a comandare erano i Le truppe francesi rientrarono in città soltanto il 2 francesi. f e b b r a i o 1 8 0 5 , a n n e t t e n d o l a a l l ' I m p e ro napoleonico il 17 maggio 1809. Il nuovo regime fu accolto freddamente dalla popolazione romana che dopo aver subito i I territori passati ai francesi furono restituiti allo saccheggi che avevano accompagnato la presa Stato della Chiesa il 24 gennaio 1814.Il della città, dovette accollarsi le pesanti imposte documento manoscritto originale che ammetteva richieste dai dirigenti francesi. Mentana nella Repubblica Romana il 14 ventoso del 1798 firmato dai Consoli napoleonici Bonelli e Il 28 novembre 1798 la Repubblica Romana fu Angelucci, segretario Laurenzi, con la nomina a invasa dall'esercito napoletano, forte di 70.000 deputato del Cittadino Giuseppe Stochi con altri uomini al comando dal generale austriaco Karl autografi fa parte dell'archivio storico privato del von Mack appoggiati dalla flotta britannica Prof. Francesco Guidotti. dell'ammiraglio Nelson, che intendevano ristabilire
REPUBBLICA ROMANA ASSEGNATI 1798 Moneta della repubblica creata dai francesi In campo monetario la Rivoluzione aveva prodotto una carta moneta innovativa, l’assegnato, che però da più di un anno e mezzo aveva dovuto abdicare dalla sua funzione: le matrici e i torchi di stampa erano stati distrutti con ignominia. Ma a Roma la legge del 10 settembre 1798 lo risuscitava per imporlo, a fianco dei resti creati dai B a n c h i c o n t ro l e c e d o l e pontificie in piena svalutazione. Non avrebbe raggiunto miglior risultato nei pochi mesi di vita della repubblica (15-02-1798/30-09-1799).
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Assegnato di Dieci Paolo
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
La Repubblica Romana del 1849 nota come Seconda Repubblica Romana La Repubblica Romana del 1849 (nota anche con la denominazione di Seconda Repubblica Romana, per non confonderla con quella di epoca napoleonica) fu uno stato sorto a seguito di una rivolta liberale che nei territori dello Stato pontificio estromise Papa Pio IX dai suoi poteri temporali. Fu governata da un triumvirato composto da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini ed Aurelio Saffi. La piccola repubblica, nata nel contesto dei grandi moti del 1848 che coinvolsero tutta Europa, ebbe come quest'ultimi vita breve (5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio), a causa dell'intervento della Francia di Napoleone III che per convenienza politica ristabilì l'ordinamento pontificio, in deroga ad un articolo della costituzione francese. Tuttavia quella della repubblica romana fu un'esperienza significativa nella storia dell'unificazione italiana, vide l'incontro e il confronto di molte figure di primo piano del Risorgimento accorse da tutta la Penisola, fra cui Giuseppe Garibaldi. In quei pochi mesi Roma passò dalla condizione di stato tra i più arretrati d'Europa a banco di prova di nuove idee democratiche, fondando la sua vita politica e civile su principi (quali, in primis, il suffragio universale maschile, l'abolizione della pena di morte e la libertà di culto) che sarebbero diventate realtà in Europa solo circa un secolo dopo.
Le fasi iniziali della prima guerra di indipendenza La notizia delle Cinque Giornate di Milano causò un vero e proprio sconvolgimento politico nell'intera penisola: il 21 marzo Leopoldo II di Toscana, dichiarò guerra all’Impero Austriaco ed inviò l’esercito al comando del generale Cesare De Laugier verso il Quadrilatero, mentre due giorni dopo Carlo Alberto passò il Ticino e si mise in lenta marcia verso Verona. Il 24 marzo Pio IX permise la partenza, da Roma per Ferrara, di un corpo di spedizione al comando del generale Giovanni Durando. Si trattava di un ben completo corpo di spedizione, in assetto da campagna, per un totale di 7'500 uomini, seguiti, due giorni dopo, da un corpo di volontari, la Legione dei Volontari Pontifici formata da uomini provenienti dal centro Italia, affidato al generale Andrea Ferrari. Un forza tutt’altro che trascurabile, se si considera che l’esercito di Carlo Alberto ne contava circa 30'000. Ed ad essi andava aggiunti anche i 7'000 toscani e, quando fossero giunti, i 16'000 napoletani.
Antefatti Moti rivoluzionari e costituzioni Le vicende che portarono alla proclamazione della Repubblica Romana ebbero inizio nel gennaio 1848, quando giunse notizia della insurrezione di Palermo contro i Borboni di Napoli, scoppiata il 12. Seguì una rivoluzione a Napoli, il 27, che costrinse, due giorni dopo, Ferdinando II a promettere la Costituzione, promulgata l'11 febbraio. Lo stesso 11 febbraio Leopoldo II di Toscana, cugino primo dell’imperatore in carica Ferdinando I d'Austria, concesse la Costituzione, nella generale approvazione dei suoi sudditi. Dopodiché gli eventi si susseguirono incalzanti: il 22-24 febbraio la rivoluzione a Parigi si trasformò nell'instaurazione della Seconda Repubblica; il 4 marzo Carlo Alberto concesse ai suoi Stati lo Statuto Albertino; il 14 marzo Pio IX concesse lo statuto; il 13 marzo ci fu un'insurrezione a Vienna che portò alla caduta di Metternich; il 17 marzo una grande manifestazione popolare a Venezia impose al governatore la liberazione dei detenuti politici, fra cui Daniele Manin; infine il 18 marzo iniziarono le Cinque Giornate di Milano.
Le cinque giornate di Milano
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La battaglia del ponte di Goito
Pio IX cambia fronte Nel frattempo, Pio IX aveva cominciato a sconfessare gli entusiasmi patriottici dei mesi precedenti. Con l'Allocuzione al concistoro del 29 aprile 1848 condannò la guerra all'Austria: "ai nostri soldati mandati al confine pontificio raccomandammo soltanto di difendere l'integrità e la sicurezza dello Stato della Chiesa. Ma se a quel punto, alcuni desideravano che noi assieme con altri popoli e principi d' Italia prendessimo parte alla guerra contro gli Austriaci .. ciò è lontano dalle Nostre intenzioni e consigli". Addirittura concludeva invitando gli italiani '"di restare attaccati fermamente ai loro principi, di cui sperimentarono già la benevolenza e non si lascino mai staccare dalla debita osservanza verso di loro". Egli si trovava, infatti, nell’insostenibie imbarazzo di combattere una grande potenza cattolica: "abbiamo saputo altresì che alcuni nemici della religione cattolica hanno colto da ciò occasione per infiammare gli animi dei tedeschi alla vendetta e staccarli dalla Santa Sede … I popoli tedeschi pertanto non dovrebbero nutrire sdegno verso di Noi se non ci fu possibile frenare l'ardore di quei nostri sudditi che applaudirono agli avvenimenti antiaustriaci dell'Italia settentrionale … altri sovrani europei, che dispongono di eserciti più potenti del nostro non hanno potuto di recente frenare l'agitazione dei loro popoli". Ciò rese evidenti a tutti le contraddizioni e le incompatibilità della posizione del Papa come capo della Chiesa universale ed allo stesso tempo capo di uno stato italiano, cioè tra il potere spirituale e quello temporale. Inoltre Pio IX aveva l'impressione di stare combattendo una guerra la cui vittoria avrebbe beneficiato solo il Regno di Sardegna.
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
La guerra dellʼesercito romano in Veneto Entrata in combattimento dellʼesercito romano Nel frattempo, le truppe di Durando erano entrate nel Veneto austriaco, a Padova e Vicenza, evacuate da Costantino d'Aspre sin dallo scoppio delle Cinque Giornate, per portarsi, con giusto intuito della situazione, a Verona, vera chiave dei possessi austriaci in Italia, ove si era ricongiunto con Radetzky, reduce dell'umiliante sconfitta subita a Milano. Informate dell'allocuzione del 29 aprile, l’esercito pontificio decise di non ubbidire al Papa e rimase a svolgere l’incarico affidatogli: coprire le città libere del Veneto, appoggiandosi alla solida roccaforte di Venezia, governata da Manin. Egli, tuttavia, non venne mai raggiunto dai notevoli rinforzi (circa 16'000 uomini) inviati dal Regno delle Due Sicilie, giunti al Po ed in procinto di entrare in Veneto. Proprio al passaggio del fiume, infatti, quel corpo di spedizione venne raggiunto dall’ordine di Ferdinando II di Borbone di rientrare a Napoli: rifiutarono l’ordine solo il generale Guglielmo Pepe, un vecchio patriota, insieme all’artiglieria ed al genio (le ‘armi dotte’) con le quali raggiunse Venezia ove gli venne affidato il comando supremo delle truppe ed avrebbe offerto un meraviglioso contributo lungo l’intero corso dell’assedio della città. Ma non poté, in alcun modo, sostenere Durando.
Prima invasione austriaca delle Legazioni Poi venne la serie di scontri passati alla storia come la battaglia di Custoza, il 23-25 luglio. Di lì Carlo Alberto cominciò una veloce, ma ordinata, ritirata verso l’Adda e Milano. Giunto Carlo Alberto in Milano, lì si svolse, il 4 agosto la battaglia, al termine della quale il sovrano si risolse a chiedere l’armistizio di Salasco. I preliminari vennero sottoscritti il 5, il definitivo il 9, a Vigevano. Gli Austriaci non avevano, tuttavia, atteso tanto per aggredire lo Stato della Chiesa: dopo una prima incursione, probabilmente con fini di saccheggio, respinta dagli abitanti di Sermide, non appena Carlo Alberto si mise in marcia per Milano, Radetzky inviò il generale Franz Ludwig Welden e passò il Po verso Ferrara a partire dal 28 luglio (mentre Franz Joachim Liechtenstein marciava su Modena e Parma, per reinstaurare i deposti duchi). Dopo una avanzata che si segnalò per saccheggi e riscatti Welden occupò Ferrara e si presentò davanti a Bologna. Qui, il podestà Cesare Bianchetti cercò un accomodamento, ma avvenne un incidente e Welden ne approfittò per ordinare l’ingresso in città. Al che la popolazione insorse e, il 9 agosto, Welden ripiegò verso il Po.
La dura reazione di Pio IX In effetti Welden agiva senz’alcuna autorizzazione da parte del governo papale e, anzi, Pio IX aveva protestato energicamente: scriveva di "invasione austriaca" e smentiva "altamente ... le parole del signor maresciallo Welden … dichiarando che la condotta del signor Welden stesso è tenuta da Sua Santità come ostile alla Santa Sede ed a Nostro Signore". Tutto ciò considerato, quindi, i bolognesi si comportarono da fedeli sudditi di Pio IX e, infatti, ricevettero il plauso del ministro degli interni del governo papale, il conte Fabbri, che in un proclama ai Romani, parlò di "tracotanza dell'insolente straniero", "eroica difesa", "attentato allo Stato della Chiesa".
Crisi politica a Roma e fuga di Pio IX Ricadute sul governo papale
Pio IX benedice i combattenti per l'indipendenza italiana
Le due battaglie di Vicenza Lasciato solo con circa 10'000 soldati pontifici, oltre ai volontari veneti, Durando non riuscì ad impedire il ricongiungimento del corpo dʼarmata di Nugent, che marciava dallʼIsonzo verso Verona, con Radetzky. Ma respinse bravamente lʼassalto a Vicenza di ritorno di 20'000 austriaci, conclusosi il 24 maggio. Grandi furono gli elogi, in quei giorni, per i soldati dello Stato della Chiesa di Durando, che avevano dimostrato un genuino spirito nazionale, battendosi con valore a difesa di una città veneta, guidando i volontari veneti. Ma nulla poterono quando Radetzky, respinto ad occidente dallʼesercito di Carlo Alberto a Goito, rovesciò il fronte e portò lʼintero esercito (circa 40'000 uomini) direttamente su Vicenza. Durando venne investito il 10 giugno: ancora una volta i suoi accettarono battaglia e si portarono assai bene ma dovettero, infine, capitolare. Secondo i patti, lʼesercito di Durando consegnò Vicenza e Treviso e promise di non combattere gli austriaci per tre mesi. In cambio, venne loro permesso di evacuare oltre il Po.
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Nel frattempo, a Roma e in tutto lo Stato della Chiesa, Pio IX aveva cominciato a risentire di una crescente opposizione politica, dovuto alla inopinata allocuzione del 29 aprile ed alle sue conseguenze. Giacché a segnare il tragico distacco del Papato dalla causa nazionale non poteva certo bastare il generico richiamo alla "desiderata pace e concordia". Già nei giorni successivi, a Roma la Guardia Civica aveva occupato Castel Sant'Angelo e le porte della città. Mentre giungevano al capo di governo, cardinale Antonelli, le rimostranze dei governi sardo, toscano, dei rappresentanti di Sicilia, Lombardia e Venezia. Seguivano le dimissioni di ben sette ministri (fra cui il Minghetti) ed un malposto proclama papale del 1° maggio, in cui, richiamate le passate "dimostrazioni d'affetto" e le riforme, ribadiva che "Noi siamo alieni dal dichiarare una guerra, ma nel tempo stesso Ci protestiamo incapaci di frenare l'ardore di quella parte di sudditi che sono animati dallo stesso spirito di nazionalità degli altri Italiani" ed invitava i sudditi ad essere "obbedienti a chi li governa". Il corpo di spedizione veniva descritto come "figli e sudditi che già si trovano senza nostro volere esposti alle vicende della guerra". Dopodiché, il 3 maggio Pio IX compiva un estremo tentativo di raddrizzare la situazione: affidando l’incarico per un nuovo governo al conte Mamiani e scrivendo una lettera privata a Ferdinando I, che invitava a rinunciare al Lombardo-Veneto. Ciò che dimostrò, una volta per tutte e se ancora ve ne fosse bisogno, la grande inesperienza politica del pontefice.
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
degli interni ed inaugurò una politica ultra democratica, ovvero, nella terminologia politica dell'epoca, volta alla unione con gli altri stati italiani ed alla ripresa congiunta della guerra all'Austria. Restava aperta la questione romana, ove regnava ancora Pio IX e Pellegrino Rossi era sostanzialmente ostile. Egli non negava lʼesigenza della rigenerazione nazionale, ma riprendeva, in pratica, il programma moderato, spazzato via allʼimprovviso dalle cinque giornate di Milano. Nei termini del dibattito dellʼepoca, Rossi si diceva sostenitore di una lega di principi, mentre i piemontesi Rosmini e Gioberti miravano ad una confederazione. Ciò voleva dire affermare la piena autonomia dello Stato della Chiesa e negare ogni sostegno a piemontesi e toscani, nel caso di una eventuale ripresa della guerra all'esercito di Radetzky.
L'assassinio di Pellegrino Rossi e la conseguente crisi politica del Papato Il 15 novembre riaprì il Parlamento e il nuovo ministro dell’interno venne accoltellato da un gruppo di cui faceva parte un figlio del capopopolo democratico Ciceruacchio. In serata lo stesso Ciceruacchio, insieme a Carlo Luciano Buonaparte, inscenò sotto il Quirinale, una tumultuosa manifestazione, per chiedere "un ministro democratico, la costituente italiana e la guerra all'Austria". La folla portò anche un cannone, che puntò contro il palazzo: si venne allo scontro a fuoco con gli Svizzeri e restò ucciso un monsignore. Pio IX convocò il corpo diplomatico e dichiarò che cedeva alla violenza e che considerava nulle tutte le Ritratto di Marco Minghetti concessioni che avrebbe fatto. Dopodiché assecondò le pressioni popolari, incaricando il democratico Bartolomeo Galletti di formare un nuovo ministero. La scena si ripeté due I governi Mamiani e Farini giorni più tardi, la sera del 17, quando la stessa folla armata Ferdinando I, infatti, nemmeno rispose e Mamiani (dopo aver si ripresentò davanti al Quirinale, chiedendo l’allontanamento inagurato il parlamento romano il 5 giugno) il 12 luglio diede a degli Svizzeri. Ancora una volta Pio IX preavvisò il corpo sua volta le dimissioni, per dissenso rispetto alla linea diplomatico e cedette. strettamente neutralista del pontefice, esattamente come il precedessore Minghetti. Il 2 agosto Mamiani venne sostituito Fuga di Pio IX a Gaeta da Odoardo Fabbri. Il nuovo governo inviò nelle Legazioni Luigi Carlo Farini, giunto il 2 settembre, a ripristinare l’ordine La sera del 24 novembre il Papa fuggì da Roma, vestito da pubblico, gravemente turbato dai postumi della fallita prete ‘semplice’, in carrozza chiusa ed accompagnato da un invasione di Welden. Ciò che, tuttavia, costrinse il ministero suo collaboratore segreto. Raggiunse il conte Spaur, ambasciatore di Baviera e, la sera del 25, era già al sicuro alle dimissioni, il 16 settembre. nella fortezza napoletana di Gaeta.
Il governo di Pellegrino Rossi
Pio IX tentò, allora, l’ultima carta, e sostituì Fabbri con il conte Pellegrino Rossi, già ambasciatore di Luigi Filippo, rimasto a Roma dopo la rivoluzione del febbraio 1848. Rossi si mostrò attento alle istanze patriottiche, decretando sussidi e pensioni ai feriti e alle vedove di guerra e chiamò a dirigere il dicastero della Guerra il generale Zucchi, già generale di Eugenio di Beauharnais e patriota risorgimentale.
Cause della debolezza del governo Rossi La questione che dominava la poltica italiana, tuttavia, era direttamente legate alla prossima ripresa delle ostilità fra il Regno di Sardegna e lʼImpero Austriaco. Vigeva, infatti, armistizio di Salasco), che entrambe i contendenti principali (Carlo Alberto e Radetzky) sapevano temporaneo. Il governo sardo e i patrioti democratici, cercavano, quindi, di profittare della tregua per allineare quante più forze possibili. Persa ogni illusione rispetto a Ferdinando II delle Due Sicilie, la questione fondamentale riguardava lʼatteggiamento di Firenze e Roma. Nel Granducato le cose si erano ormai chiarite a favore della causa nazionale quando Leopoldo II, dopo aver licenziato il governo moderato Ridolfi, il 17 agosto, e Capponi, il 9 ottobre, aveva, il 27 ottobre, conferito lʼincarico al democratico Montanelli. Egli prese il Guerrazzi come ministro
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Roma senza il Papa Avuta la notizia, il 3 dicembre il ministero Galletti si dimise ma la Camera dei Deputati confermò i poteri del governo ed inviò una deputazione a Gaeta che, partita il 6 dicembre, fu respinta ai confini napoletani. L'8 dicembre il governo protestò vivacemente e, il 12 dicembre, la Camera decretava la costituzione di una “provvisoria e suprema Giunta di Stato” composta anche da Galletti. Il 17 dicembre il Papa protestò vivacemente, lamentando la “usurpazione dei Sovrani poteri”. Il 20 dicembre la giunta emise un proclama in cui prometteva la convocazione di una Costituente romana. Il 23 si dimise, fra gli altri, il Mamiani e venne formato un nuovo governo. Il 26 la giunta sciolse il parlamento e convocò le elezioni per il 21 gennaio-22 gennaio 1849. Il 1° gennaio il Papa minacciò scomunica a tutti coloro che avessero partecipato alle elezioni. Esse si svolsero comunque e decretarono la vittoria dei democratici (legittimisti e moderati si erano astenuti). Vennero eletti, fra gli altri, Garibaldi, Mazzini, Enrico Cernuschi.
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
Proclamazione della Repubblica
Proclamazione della Repubblica Romana
numerose artiglierie e la flotta su Messina, che venne duramente bombardata, presa e saccheggiata il 6-7 settembre (ciò che guadagnò a Ferdinando II l’intramontato soprannome di "re bomba"). A quel punto Ferdinando aveva ripreso saldamente in mano la situazione: prorogò ulteriormente la riapertura delle camere al 30 novembre, subì un nuovo voto patriottico ed, infine, le sciolse per sempre, il 12 marzo 1849. Si erano poste, così, in pratica tutte le condizioni che avrebbero prodotto, 11-12 anni più tardi, al collasso del Regno sotto l’urto di Garibaldi e della sua spedizione dei mille. Ma, per il momento, Ferdinando era l’unico sovrano ben saldo al potere in Italia centromeridionale, ed il migliore alleato della restaurazione austriaca.
Conseguenze della proclamazione della Repubblica Romana
L’assemblea venne inaugurata il 5 febbraio e votò la Le conseguenze nel Granducato di Toscana proclamazione della repubblica (contrario il Mamiani). Il Giunta a Firenze notizia della Costituente romana, il primo "decreto fondamentale" del 9 febbraio, stabiliva: ministro toscano Montanelli richiese al granduca l'elezione di trentasette deputati toscani da mandarsi alla Costituente romana. Fece approvare la proposta dal parlamento, ma la « Decreto fondamentale della Repubblica necessaria controfirma del Granduca non giunse mai in Romana quanto, il 30 gennaio, questi abbandonò Firenze per Siena, da dove, il 21, salpava per Gaeta, ove si mise sotto la Art. 1: Il papato è decaduto di fatto e di ■ protezione di Ferdinando II. A Firenze il 15 venne proclamata la repubblica e, il 27 marzo, Guerrazzi dittatore.
diritto dal governo temporale dello Stato Romano.
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Art. 2: Il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per l'indipendenza nell'esercizio della sua potestà spirituale.
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Art. 3: La forma del governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana.
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Art. 4: La Repubblica Romana avrà col resto d'Italia le relazioni che esige la nazionalità comune. »
(Assemblea Costituente Romana. Roma, 9 febbraio 1849. Un'ora del mattino. Il Presidente G. Galletti)
La repressione della rivoluzione siciliana La medesima crisi politica si produsse anche nel Regno delle Due Sicilie. Il 15 giugno, ad un mese di distanza dalla controrivoluzione del 15 maggio, Ferdinando II di Borbone celebrò nuove elezioni generali. Ma ottenne solo la rielezione di quasi tutti i deputati del disciolto parlamento. La questione poltica era chiaramente posta: il sovrano desiderava unicamente reprimere la insurrezione siciliana, il Parlamento rispondeva che: "la nostra politica di rigenerazione non può essere perfetta senza l'indipendenza e la ricostituzione dell'intera nazionalità italiana”. Cosicché accedde che, già il 5 settembre, il sovrano prorogò la riapertura delle camere al 30 novembre ed inviò Carlo Filangeri, con 24'000 uomini,
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La richiesta di intervento delle potenze reazionarie Giunta a Firenze notizia della Costituente romana, il primo ministro toscano Montanelli richiese al granduca l'elezione di trentasette deputati toscani da mandarsi alla Costituente romana. Fece approvare la proposta dal parlamento, ma la necessaria controfirma del Granduca non giunse mai in quanto, il 30 gennaio, questi abbandonò Firenze per Siena, da dove, il 21, salpava per Gaeta, ove si mise sotto la protezione di Ferdinando II. A Firenze il 15 venne proclamata la repubblica e, il 27 marzo, Guerrazzi dittatore.
La richiesta di intervento delle potenze reazionarie Giunto a Gaeta, Leopoldo II richiese (o, piuttosto, accettò) la offerta di protezione che gli veniva da suo cugino, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Era stato di poco preceduto dal Segretario di Stato di Pio IX, cardinale Antonelli, il quale, il 18 febbraio, inviò ad Austria, Francia, Regno delle Due Sicilie e Spagna una nota diplomatica: “avendo il Santo Padre esauriti tutti i mezzi che Ritratto di erano in suo potere, spinto dal Giuseppe Montanelli dovere che ha al cospetto di tutto il mondo cattolico di conservare integro il patrimonio della Chiesa e la sovranità che vi è annessa, così indispensabile a mantenere, come Capo Supremo della Chiesa stessa … si rivolge di nuovo a quelle stesse potenze, e specialmente a quelle cattoliche … nella certezza che vorranno con ogni sollecitudine concorrere … rendendosi così benemerite dell'ordine pubblico e della Religione".
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
L'uscita di scena del Regno di Sardegna Lo stesso giorno, Radetzky fece partire da Verona un piccolo corpo di spedizione di 6’000 uomini, che invasero lo Stato Pontificio. Ma si limitarono ad occupare Ferrara, in attesa degli eventi. La repressione della Repubblica Romana e della Repubblica Toscana, infatti, richiedeva una ingente spedizione militare che, pendente il provvisiorio armistizio di Salasco, né Austria né Regno di Sardegna potevano permettersi di impiegare. Mentre il Regno delle Due Sicilie era impegnato nella repressione della insurrezione siciliana (Messina venne investita il 6 settembre e saccheggiata il 7) e del Parlamento napoletano. Occorreva, quindi, che una guerra decidesse, definitivamente, della supremazia in Lombardia. Il momento venne il 12 marzo, quando l’inviato di Carlo Alberto comunicò al Radetzky la denuncia dell'Armistizio di Salasco. La guerra si concluse rapidamente, il 22-23 marzo con la sconfitta di Novara e l'armistizio del 24. A quel punto il nuovo sovrano sardo, Vittorio Emanuele II, dovette concentrarsi sulla caotica situazione politica interna (30 marzo scioglimento delle camere e nuove elezioni, governo d’Azeglio 1-5 aprile repressione di Genova, arresisi il 10, 18 giugno sgombero austriaco da Alessandria, 6 agosto Pace di Milano). La maggiore conseguenza della sconfitta fu la rinuncia del Regno sardo ad ogni influenza in Italia. Almeno finché l’ordine non fosse ristabilito. E sarebbero occorsi alcuni anni.
Radetzky ha mano libera Nelle
giornate
La seconda invasione delle Legazioni L’occupazione della Toscana era necessario agli Austriaci, non solo per ragioni dinastiche, ma pure per ribadire la propria influenza sulla Italia centrale, in vista del prossimo sbarco di un corpo di spedizione francese, inviato da Napoleone III, non ancora Imperatore a reprimere la Repubblica Romana guidata dal Mazzini. Parallelamente alla azione del d'Aspre, infatti, il generale Wimpffen si presentò dinnanzi a Bologna. Questi aveva due vantaggi preziosi rispetto a Welden: agivano non più come invasori, ma “in nome del Papa Re”, e il corpo di spedizione era formato da ben 16'000 uomini, dal momento che Radetzky non aveva più necessità di tenere guarnito il confine del Ticino. L’assalto contro la città , difesa da meno di 4'000 volontari, cominciò l’8 maggio. Wimpffen venne rinforzato da Karl von Gorzkowski, giunto il 14 maggio da Mantova con truppa e cannoni d'assedio. Il 15 la città venne bombardata e si arrese, il 16 maggio. Wimpffen proseguì allora per la munita piazzaforte di Ancona, raggiunta il 25 maggio. La città era una piazzaforte ben munita, guidata dal coraggioso Livio Zambeccari, ma difesa da appena quattromila soldati. L'attacco da terra e da mare cominciò il 27. Il 6 giugno Wimpffen ricevette il parco d'assedio di Gorzkowski cinquemila Toscani inviati da Leopoldo II e condotti dal Liechtenstein. Dopo due settimane di bombardamenti, il 17 giugno Zambeccari accettò la proposta di resa avanzata dal Wimpffen, firmata il 19 e, il 21 consegnò la cittadella ed i forti.
successive a Novara, Radetzky chiuse anche la partita con i patrioti lombardi, soffocanco sul nascere alcuni tentativi di ribellione (Como) e soffocandone nel sangue altri (Brescia). Mentre continuava unicamente l’assedio di Ritratto del generale Gorzkowski
Venezia.
A regolare la pratica il feldmaresciallo inviò il suo uomo migliore: il luogotenentefeldmaresciallo Costantino d'Aspre (reduce dalle brillanti vittorie di Volta Mantovana, Mortara e Novara), che, allʼinizio di aprile, procedette alla rioccupazione di Parma, col titolo di "Governatore supremo degli Stati di Parma". Dopodiché il dʼAspre si presentò sotto lʼAppennino con 18ʼ000 uomini, cento cannoni, genio ed un poʼ tutto il necessario ad una vera e propria campagna militare. Il 5 maggio occupava Lucca, il 6 Pisa. Livorno chiuse le porte e venne bombardata il 10 maggio, assalita, presa e saccheggiata lʼ11 (fonti contemporanee parlano di 317 fucilazioni ed 800 morti). Qui la Repubblica del Guerrazzi era stata rovesciata già il 12 aprile dai moderati del municipio di Firenze, i quali aveva subito richiamato il Granduca e trasferito i propri poteri ad un suo plenipotenziario, Serristori, tornato a Firenze il 4 maggio. Ciò nonostante, il 25 maggio dʼAspre entrò in Firenze, pose la città come in stato d'assedio e sottopose alla giurisdizione dei tribunali militari austriaci anche il giudizio dei reati comuni. Leopoldo II rientrò a Firenze solo il 28, e sancì la occupazione militare austriaca con apposita convenzione militare, firmata nel 1850.
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I confini degli stati italiani nel 1848
La parallela invasione francese Nel frattempo, anche a Roma, alla notizia della disfatta di Novara venne nominato un triumvirato plenipotenziario, composto da Saffi, deputato di Forlì, Armellini, deputato di Roma, e da Giuseppe Mazzini, deputato eletto nei collegi di Ferrara e Roma: era evidente lo sforzo di tenere unite le due principali province dello Stato della Chiesa.
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
Lo sbarco a Civitavecchia Nel frattempo, il 24 aprile, il corpo di spedizione francese, guidato dal generale Oudinot, duca di Reggio, e salpato da Tolone il 22 aprile, era sbarcato a Civitavecchia con 7'000 uomini.
Il 27 aprile giunsero in porto a Civitavecchia due battelli, il "Colombo" ed il "Giulio II", salpati da Chiavari. Essi trasportavano 600 bersaglieri della disciolta 'Divisione Lombarda' dell'esercito sardo: tale divisione era stata costituita nel corso della campagna del 1848, con reclute e volontari provenienti dalle province liberate del LombardoVeneto. Rimasta inquadrata nell'armata di Carlo Alberto dopo l'Armistizio di Salasco, la divisione non partecipò alla battaglia di Novara a causa di una errata decisione del suo comandante, il generale Ramorino; dopodiché venne assegnata al Fanti e trasferita in Liguria, ove diede ad intendere di voler supportare i rivoltosi nel corso della repressione di Genova. Le conseguenze furono pari alle attese: Ramorino venne fucilato, Fanti allontanato dall'esercito (ingiustamente e per alcuni anni), la divisione sciolta. Questo rese liberi quelli che volevano combattere (peraltro impossibilitati a rientrare nel Lombardo-Veneto) di andare ove ancora ci si batteva.
Per ottenere il consenso allo sbarco, i francesi proclamarono che: "Il governo della Repubblica Francese … dichiara di rispettare il voto delle popolazioni romane … è deciso altresì di non imporre a queste popolazioni alcuna forma di governo che non sia da loro accettato". Nei giorni successivi le rassicurazioni vennero ripetute direttamente I 600 bersaglieri rappresentavano una forza significativa, in all'Assemblea Costituente a quanto la loro composizione sostanzialmente rispecchiava quelle già sperimentata nella 'Divisione Lombarda', Roma. probabilmente grazie alla particolare personalità del loro Esse, tuttavia, dovettero comandante comandate, Luciano Manara. scontrarsi soprattutto con la Ritratto di Luigi Giunti a Civitavecchia, essi furono sorpresi dalla presenza Buonaparte nel 1848 sorpresa dei romani di fronte delle truppe francesi di Oudinot, che cercò di impedirne lo alla inattesa comparsa delle sbarco. Dopodiché, insicuro della città appena occupata e truppe francesi. Essa non era certo di chiudere la partita entro pochi giorni, preferì stata, infatti, preceduta da alcuna dichiarazione né temporeggiare, permettendo di farli proseguire per Porto ultimatum. Si accompagnava, inoltre, alla esplicita richiesta d'Anzio, dove sbarcarono il 27 aprile, in cambio dell'impegno di permettere l’occupazione del Lazio. di Manara a non combattere prima della metà di maggio. La disonorevole pretesa era accompagnata, infine, da una Giunsero, così, a Roma, il 28, con marcia forzata, ove spiegazione ancor più umiliante: i messi dell’Oudinot avrebbero offerto un contributo assai significativo alla difesa dichiaravano che l’occupazione serviva a "mantenere la sua della Repubblica. (della Francia) legittima influenza". In termini più espliciti a "impedire l'intervento dell'Austria, della Spagna e di Napoli". Il fallito assalto francese a Roma del 30 aprile Si trattava di una affermazione figlia della più dura realpolitik, la quale sottintendeva la considerazione che ai sudditi di Pio Giunse il 30 aprile e il corpo di spedizione francese si IX, non restasse che l’alternativa fra Vienna e Parigi. Il che, presentò con 5'000 soldati di fronte a Porta Cavalleggeri e nelle condizioni date, era probabilmente esatto. Ma aveva il Porta Angelica. Venne preso a cannonate ed a fucilate dai grave difetto di non tenere in alcun conto il nuovo sentimento circa 10'000 soldati della Repubblica presenti in città (dei patriottico italiano, così forte in quel 1848-49 e già 20'000 che componevano l’esercito). Nei combattimenti, gravemente ferito dalla sconfitte di Custoza e Novara. Un durati sino a sera, si distinse Garibaldi, il quale, uscito da sentimento assai popolare anche a Roma e la cui forza era Porta San Pancrazio (poco sotto Castel Sant'Angelo) con il ben chiara ai democratici dell'Assemblea Costituente e del battaglione universitario e con la sua Legione Italiana, con un triumvirato. Molti di essi, infine, sapevano di dover temere, in attacco alla baionetta sorprese alle spalle gli assedianti a caso di insuccesso, la vendetta del partito di Pio IX. Villa Doria-Pamphili, provocandone la rotta. In serata Oudinot ordinò la ritirata su Civitavecchia, lasciando dietro di sé oltre In definitiva, le avare profferte di Oudinot erano inaccettabili e 500 morti e 365 prigionieri. come tali vennero respinte. Chiaramente, la spedizione francese soffriva di una pessima comprensione della situazione politica italiana. Ciò fu confermato dalla avventata decisione dell’Oudinot di marciare, il 28 aprile, con circa 6'000 uomini e senza cannoni su Roma. Egli ebbe l’avventatezza di proclamarlo ai propri soldati: "non troveremo nemici … ci considereranno come liberatori". In effetti un simile doppio gioco sarebbe risultato inaspettato. Anche l'art. V del Preambolo della Costituzione repubblicana francese del 4 novembre 1848 allora in vigore, recitava: "... Essa (la Repubblica Francese) rispetta le nazionalità estere, come intende far rispettare la propria; non imprende alcuna guerra a fini di conquista, e non adopera mai le sue forze contro la libertà d'alcun popolo". Un intervento militare francese per riportare sul trono di Roma il papa contro la volontà dei suoi cittadini e degli altri Italiani era pertanto del tutto illegale, come riconoscevano già allora anche alcuni parlamentari francesi non compromessi con gli interessi del futuro Imperatore francese.
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Lo sbarco a Porto d'Anzio dei Bersaglieri lombardi
Vittorioso assalto di Garibaldi fuori Porta San Pancrazio
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La giornata del 30 aprile Al termine della giornata, la Repubblica aveva ottenuto un trionfo: oltre ad aver mostrato l’attaccamento della popolazione e dell’esercito, era stata dimostrata, di fronte al mondo, la pretestuosità degli argomenti di coloro che giustificavano la repressione dell’Italia come una operazione di polizia contro le ‘tirrannidi giacobine’. E ciò oltre un mese dopo Novara, la battaglia dove la causa italiana aveva perso ogni speranza di successo. In tal senso, la giornata del 28 aprile fu davvero molto importante e può essere considerata come una delle date fondamentali della storia d’Italia. In secondo luogo, l’intervento francese si configurava ormai unicamente per quello che era, ossia una non provocata invasione volta al restauro del governo assolutistico del regime papale. Ciò che non mancò di provocare feroci reazioni nella politica parigina.
Mancato sfruttamento Tali risultati erano talmente importanti da spingere il Mazzini ad impedire a Garibaldi di inseguire i fuggitivi, compiendone la possibile strage, e a indurlo, inoltre, a liberare i numerosi prigionieri e a non comandare un assalto, pure possibile, a Civitavecchia. Tali scelte furono, in seguito, molto criticate, alla luce del successivo indurirsi della posizione francese. E certamente pesò un generale pregiudizio favorevole alla patria di Napoleone I e della grande rivoluzione. Tuttavia esso contribuì fortemente ad abbellire la immagine nobile della Repubblica e della causa italiana in Europa, inoltre occorre sottolineare che il massacro dei fuggitivi dell’Oudinot avrebbe avuto l’unico risultato di provocare una durissima reazione francese e di invogliare Radetzky ad accelerare l’invasione dello Stato della Chiesa, che già attentamente pianificava, offrendogli l’occasione di espellere i francesi dalla penisola per molti anni (gli eventi del 1859 avrebbero dimostrato l’esattezza di tale calcolo).
Lʼinvasione napoletana Luigi Napoleone rischia un'ultima umiliazione Oltre che dalle necessità elettorali, Luigi Napoleone (ed il presidente del consiglio Barrot) era spinto alla massima celerità anche dalla concorrenza delle altre potenze desiderose di esercitare la loro influenza sulla penisola italiana (e nel cuore del Pontefice): in particolare, come abbiamo visto, il Wimpffen aveva assedato Bologna fra l’8 ed il 16 maggio. E si accingeva a marciare su Ancona. Già nel 1831, a seguito dell’intervento austriaco nelle Romagne la Francia della Monarchia di Luglio aveva inviato un corpo di spedizione ad occupare Ancona, al fine di riaffermare il droit de regarde di Parigi sugli affari italiani. E il nipote di Napoleone il Grande non poteva certamente essere da meno del re borghese Luigi Filippo.
La parallela invasione napoletana e spagnola Esisteva, inoltre, un secondo concorrente: Ferdinando II, re delle Due Sicilie. Nei mesi precedenti egli era stato alle prese con l'insurrezione siciliana (che proprio in quei giorni andava spegnendosi, con l’avanzata del generale Filangieri sino a Bagheria, il 5 maggio, e la capitolazione di Palermo, il 14 maggio) e con la repressione delle libertà costituzionali a Napoli (le camere vennero sciolte una prima volta il 14 giugno 1848 e poi ancora il 12 marzo 1849, dopodiché venne restaurato il potere assoluto del sovrano). La repressione delle due opposizioni stava, tuttavia, perfezionandosi e il re di Napoli poteva contare sull’indubbio prestigio che gli derivava dall’ospitare (sin dal 25 novembre 1848) Pio IX nella munitissima fortezza di Gaeta. Ferdinando, decise di tentare l’avventura ed inviò ad invadere la Repubblica Romana il generale Winspeare, alla testa di un corpo di spedizione forte di 8’500 uomini, con cinquantadue cannoni e cavalleria.
La battaglia di Palestrina S i f e c e l o ro i n c o n t ro Garibaldi, con 2’300 uomini ben motivati, che condusse il 9 maggio fuori Palestrina. Qui venne assalito dal generale Ferdinando Lanza che c e rc ò d i p re n d e re l a cittadina. Garibaldi ed il suo capo di Stato Maggiore, Luciano Manara, con i loro bersaglieri lombardi, contrattaccarono e costrinsero Lanza alla fuga.
Tregua di fatto con la Francia Verificate le intenzioni del Mazzini, Oudinot contraccambiò, mandando libero un battaglione di bersaglieri che aveva catturato a Civitavecchia e il padre Ugo Bassi, mentre impartiva l’estrema unzione ad un ferito francese. Informato degli avvenimenti, Luigi Napoleone, presidente della Repubblica francese, non mostrò alcuna esitazione: già il 7 maggio accolse per iscritto tutte le richieste di rinforzo avanzate dall'Oudinot, e il 9, a Tolone, si imbarcava in tutta fretta, un nuovo ambasciatore plenipotenziario, il barone di Lesseps, con l’incarico di pattuire una tregua d’armi. Si tratta di due reazioni a prese rapidissimamente, se si considerano i tempi necessari per le comunicazioni da Roma a Parigi. Tanta fretta era giustificata dall’approssimarsi delle elezioni legislative francesi, fissate per il 13 maggio: la restaurazione del Papa Re costituiva uno dei principali temi del dibattito e la maggioranza del corpo votante era senz’altro a favore della integrale restaurazione del potere di Pio IX. Né v’era in Italia alcuna potenza capace di opporvisi. Mentre la protestante Inghilterra giocava, come di consueto nell’ottocento italiano (nonostante quanto da molti sostenuto) un ruolo assai più defilato: la questione italiana non rappresentava certo una priorità per Londra. Se v’era ancora qualche dubbio, esso fu spazzato via dall’esito delle elezioni, che diedero ai candidati monarchici e moderati una maggioranza di 450 seggi su 750, relegando i democratici (come il Ledru-Rollin) ad un ruolo di puri spettatori.
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La battaglia di Terracina Alcuni giorni più tardi, il 16 maggio, il nuovo comandante dell’esercito romano, il generale Pietro Roselli (che era affiancato dal Pisacane, quale suo capo di Stato Maggiore) mosse i suoi 10’000 uomini verso i quartieri del Lanza su Velletri ed Albano. Qui il Lanza era stato nel frattempo raggiunto da Ferdinando II in persona e, messo di fronte ad una nuova battaglia, preferì ordinare ai suoi 16’000 soldati di ripiegare verso Terracina. Garibaldi pensò di impedirlo e, il 19, con appena 2'000 uomini tentò un avventato assalto. La sproporzione di forza era eccessiva e venne respinto dai Borbonici, che completarono il proprio ripiegamento.
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
Lʼassedio di Roma
Chiesa non occupati dalle truppe francesi. Lo scopo sarebbe stato "portare l'insurrezione nelle province".
Il 31 maggio, il generale francese Oudinot rinnegò un trattato di alleanza negoziato da Lesseps ed annunciò la ripresa delle ostilità: egli ora disponeva di 30 000 soldati ed un possente parco d’assedio. Roma venne assaltata all’alba del 3 giugno. Il primo obiettivo era la conquista del Gianicolo, monte sopra Trastevere dal quale si dominava la città. Esso venne parzialmente conquistato solo dopo una sanguinosa battaglia, nella quale si distinsero particolarmente i volontari reduci dalla prima guerra di indipendenza, guidati da uno splendido Garibaldi. Seguirono molti giorni di bombardamento, durati sino al 20. Quella notte i francesi presero un tratto dei bastioni di Trastevere. Il governo della Repubblica Romana guidato da Mazzini rifiutò, ancora una volta, di arrendersi, e Oudinot riprese con più vemenza il bombardamento: al contrario del precedente, però, esso venne rivolto direttamente sulla città, con modalità ed intenti chiaramente terroristici, volti ad indurre Roma alla resa. Dopo altri sei giorni di cannonate, il 26, venne comandato un nuovo assalto al caposaldo dei difensori sul Gianicolo, la Villa del Vascello, bravamente respinto da Medici ed i suoi volontari. Il 30 Oudinot comandò un assalto generale e si impossessò di tutti i caposaldi fuori le mura aureliane. Sul Gianicolo si combatté l'ultima battaglia della storia della Repubblica Romana. Il generale Garibaldi difende il Vascello ed i volontari attaccano i francesi alla baionetta, ci saranno 3 000 italiani fra morti e feriti. Dei francesi ne cadono 2 000, ma la battaglia per gli italiani è perduta.
L’assedio di Roma
Assalto francese ai bastioni
A tal fine, la mattina del 2 luglio Garibaldi tenne, in piazza San Pietro, il famosissimo discorso: "io esco da Roma: chi vuol continuare la guerra contro lo straniero, venga con me … non prometto paghe, non ozi molli. Acqua e pane quando se ne avrà". Diede appuntamento per le 18’00 in piazza San Giovanni, trovò crca 4'000 armati con ottocento cavalli e un cannone e, alle 20’00, uscì dalla città. Cominciò così una lunga marcia, passata attraverso l'Umbria e proseguita verso la Val di Chiana ed Arezzo. Lungo il percorso Garibaldi vede venire meno la speranza di sollevare le province e decise di tentare di raggiungere Venezia assediata. Il suo immediato oppositore, generale d'Aspre, che si trovava comandante delle truppe di occupazione in Toscana e dell’esercito toscano, in via di riorganizzazione dedicò alla caccia dei forse 2'000 superstiti della colonna una armata di circa 25'000 fanti, 30 cannoni e 500 cavalli. Sinché non costrinse Garibaldi a trovare rifugio, il 31 luglio nella neutrale Repubblica di San Marino. Da qui Garibaldi tentò l’ultima marcia, scendendo a Cesenatico, ove catturò una flottiglia di battelli da pesca e si imbarcò per Venezia. Intercettati dalla flotta austriaca i fuggitivi si dispersero: molti fuggitivi, fra i quali piace ricordare Basilio Bellotti, Ciceruacchio con il figlio Lorenzo, appena tredicenne, Ugo Bassi e Giovanni Livraghi, vennero catturati e fucilati dagli Austriaci, che occupavano le Romagne. Durante la fuga, favorita dall'aiuto della popolazione locale Garibaldi vide morire nella fuga la moglie Anita ma, assistito da innumerevoli partigiani e patrioti da Comacchio, attarverso Forlì, Prato e la Maremma giunse nei pressi di Follonica, ove si imbarcò per la Liguria, parte del Regno di Sardegna, ove poté mettersi in salvo.
La resa
L'ingresso dei francesi
I francesi entrarono il giorno successivo: verso mezzogiorno occuparono Trastevere, Castel Sant’Angelo, il Pincio e Porta del Popolo; Oudinot venne solo in serata, con 12'000 soldati e pubblicò un comunicato in cui divideva la popolazione fra "veri amici della libertà" e "pochi faziosi e traviati", definiti, inoltre, "una fazione straniera" (mentre lui rappresentava "una nazione amica delle popolazioni romane"), addiruttura "responsabile di una empia guerra". E proclamava la legge marziale, eleggendo Governatore di Roma Rostolan, generale di divisione, coadiuvato da Sauvan, Condizioni di resa: lʼuscita dei volontari di Garibaldi generale di brigata. A mezzogiorno del 1° luglio fu stipulata una breve tregua per raccogliere i morti e i feriti. All'Assemblea Costituente Mazzini dichiarò che l’alternativa era tra capitolazione totale, battaglia in città (con conseguenti distruzioni e saccheggi). Dopo la battaglia del 30 giugno era giunto Garibaldi, che confermò che oramai era impossibile continuare a resistere. Durante un discorso alla Assemblea Costituente, Garibaldi aveva proposto la ritirata da Roma e aveva detto "Dovunque saremo, colà sarà Roma."
Preso atto di questo, si trattava di valutare se esistessero alternative alla pura e semplice capitolazione. Tenuto conto delle forti perdite subite dell’Oudinot e, soprattutto, della circostanza che la consegna della città, non essendo scontata, doveva pur poter essere pagata qualche prezzo. Della circostanza si disse subito sicuro il Mazzini, spalleggiato, in questo, dal Garibaldi. Si trattava di trattare una "uscita dalla città", con quante forze combattenti avessero voluto seguire. Verso quella parte degli Stati della
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Ultimo vessillo della rivoluzione del 1848 resisteva, indomita ma assediata, solo la città-fortezza di Venezia. A Brescia, il 9-10 luglio, il governatore militare austriaco Julius Jacob Haynau, cortesemente ricordato come la “iena di Brescia”, festeggiò l’avvenimento della caduta di Roma, facendo impiccare sulla pubblica piazza dodici dei centocinquanta prigionieri catturati nel corso della repressione delle dieci giornate
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Lettera di Mazzini ai Romani
5 luglio 1849 Romani! La forza brutale ha sottomesso la vostra città; ma non mutato o scemato i vostri diritti. La repubblica romana vive eterna, inviolabile nel suffragio dei liberi che la proclamarono, nella adesione spontanea di tutti gli elementi dello Stato, nella fede dei popoli che hanno ammirato lla lunga nostra difesa, nel sangue dei martiri che caddero sotto le nostre mura Mazzini nel 1846 per essa. Tradiscano a posta loro gl'invasori le loro solenne promesse. Dio non tradisce le sue. Durate costanti e fedeli al voto dell'anima vostra, nella prova alla quale Ei vuoleche per poco voi soggiacciate; e non diffidate dell'avvenire. Brevi sono i sogni della violenza, e infallibile il trionfo d'un popolo che spera, combatte e soffre per la Giustizia e per la santissima Libertà. Voi deste luminosa testimonianza di coraggio militare; sappiate darla di coraggio civile ... Dai municipii esca ripetuta con fermezza tranquilla d'accento la dichiarazione ch'essi aderiscono volontari alla forma repubblicana e all'abolizione del governo temporale del Papa; e che riterranno illegale qualunque governo s'impianti senza l'approvazione liberamente data dal popolo; poi occorrendo
si sciolgano. ... Per le vie, nei teatri, in ogni luogo di convegno, sorga un grido: Fuori il governo dei preti! Libero Voto! ... I vostri padri, o Romani, furon grandi non tanto perché sapevano vincere, quanto perché non disperavano nei rovesci. In nome di Dio e del popolo siate grande come i vostri padri. Oggi come allora, e più che allora, avete un mondo, il mondo italiano in custodia. La vostra Assemblea non è spenta, è dispersa. I vostri Triumviri, sospesa per forza di cose la loro pubblica azione, vegliano a scegliere a norma della vostra condotta, il momento opportuno per riconvocarla. Dopo la capitolazione della Repubblica, Roma cadde in "letargo", ossia non vide più movimenti indipendentistici tra le sue mura, fino al 20 settembre 1870, quando fu liberata dai bersaglieri attraverso la breccia di Porta Pia. Mazzini, in quel momento, si trovava in carcere a Gaeta per aver fatto propaganda repubblicana e aver tenuto vivo l'ideale di Roma capitale.
Importanza sociale della Repubblica Romana La Repubblica Romana promulgò nel 1849 la Costituzione, la più democratica in Europa a quei tempi. Proponeva la libertà di culto (anche se parziale: i cittadini potevano essere solo cattolici o ebrei, mentre agli stranieri era concessa qualunque religione) e fu il primo Stato del mondo ad abolire la pena capitale nella sua Costituzione. La Costituzione della Repubblica Italiana, è palesemente realizzata sulla scia della Costituzione della Repubblica Romana. C'è da notare che in effetti la maggior parte delle Costituzioni moderne degli Stati occidentali usa questo Statuto come base di partenza.
GUIDE STORICHE SCRIPOFILIA: I DOCUMENTI PONTIFICI STATI PREUNITARI ITALIANI
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DOCUMENTI E DEBITI DELLO STATO PONTIFICIO Approfondimenti storici, curiosità e aggiornamenti sul mondo della STORIA e della SCRIPOFILIA a cura di Alberto PUPPO Per informazioni: WWW.SCRIPOFILIA.IT
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ALCUNI ESEMPLARI STATO PONTIFICIO • STATO PONTIFICIO 5% RENDITA CONSOLIDATA IN SCUDI DEL 1818
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Serie II Vincolata. Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Nella foto certificato nominativo di annua rendita di scudi 37,33 emesso a Roma dal Palazzo di Monte Citorio il 25 Giugno 1818.
Serie I Libera. Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Nella foto certificato nominativo di annua rendita di scudi 3,13 emesso a Roma dal Palazzo di Monte Citorio il 22 Settembre 1821.
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
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• STATO PONTIFICIO 5% RENDITA CONSOLIDATA IN SCUDI DEL 1823
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Senza Serie, Timbro Libera. Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Nella foto certificato nominativo di annua rendita di baiocchi 36 emesso a Roma dal Palazzo di Monte Citorio il 12 Settembre 1823
Serie I Vincolata. Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Nella foto certificato nominativo di annua rendita di scudi 9,12 emesso a Roma dal Palazzo di Monte Citorio il 20 Novembre 1828
• STATO PONTIFICIO 5% RENDITA CONSOLIDATA IN SCUDI GARANZIA MONTE DI MILANO 1826
• GOVERNO PONTIFICIO PAGAMENTO ASSEGNO ANNUO 1849
Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Nella foto certificato nominativo di annua rendita perpetua di scudi 100,00 emesso a Roma dal Palazzo di Monte Citorio il 12 Agosto 1826
Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma pontificio. Nella foto certificato nominativo di annua rendita di scudi 18,36 emesso a Roma dalla Direzione Generale del debito pubblico il 25 Gennaio 1849
SECONDA REPUBBLICA ROMANA 1849
• GOVERNO PONTIFICIO 5% RENDITA CONSOLIDATA IN SCUDI DEL 1858
• STATO PONTIFICIO 5% (colore nero) PRESTITO OBBLIGAZIONARIO SOVRANI CHIROGRAFI 1860
Timbro Vincolata. Certificato incluso nel Gran Libro del Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma reverenda Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Titolo camera apostolica. Nella foto certificato nominativo di annua provvisorio al portatore di scudi 18 e 60 Bajocchi del 1860. rendita di scudi 17,73 emesso a Roma dalla Direzione Generale del debito pubblico il 29 Maggio 1858
• STATO PONTIFICIO 5% (colore marrone)PRESTITO OBBLIGAZIONARIO SOVRANI CHIROGRAFI 1860
• STATO PONTIFICIO 5% (colore azzurro)PRESTITO OBBLIGAZIONARIO SOVRANI CHIROGRAFI 1860
Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Certificato incluso nel Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Titolo Regno d’Italia, stemma reverenda camera apostolica. Titolo provvisorio al portatore di scudi 186 del 1860. provvisorio al portatore di scudi 93 del 1860.
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