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GALILEO® HUD™
UN COMPUTER A MANI LIBERE
Ti presentiamo il Nuovo Galileo HUD, il rivoluzionario computer subacqueo a mani libere con montaggio sulla maschera e visore virtuale in sovrimpressione, pensato per offrirti una libertà mai provata durante l’immersione.
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SOMMARIO
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ScubaZone è un pr odotto Zero Pixel Srl www.zeropixel.it - info@zeropixel.it
DESK Il valore terapeutico dell’immersione? di Massimo Boyer
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owner
Zero Pixel Srl Via Don Albertario 13 20082 Binasco (MI) Italia P.iva e Cod.fiscale. 09110210961
SALUTE Forma fisica ed immersione subacquea di G. Yancey Mebane Fitness per la subacquea di Marco Daturi
managing and editorial director
Massimo Boyer massimo@zeropixel.it
NEWS
art director & graphic executive
Francesca Scoccia - francesca@zeropixel.it
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BIOLOGIA
contributors this issue
Massimo Boyer • G. Yancey Mebane • Marco Daturi • Francesco Turano • Adriano Marchiori • Renato La Grassa • Donatella Telli • Cristian Umili • Sebastiano Guido • Andrea Piasentin • Ornella Ditel • Claudia Benedetti • Andrea Alpini • Filippo Camerlenghi • Roberto Antonini • Annalisa Durighello • Claudio Ziraldo • Pino Tessera • Jimmy Muzzone • Orante Trabucco • Walter Defendenti • Claudio Di Manao
Il benessere dei pesci di Massimo Boyer
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Il Balestra del Mediterraneo di Francesco Turano
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Il Lago di Garda, istruzioni per l’uso di Adriano Marchiori
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VIAGGI
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle immagini senza il consenso dell’autore.
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Subacquea, viaggi e benessere Renato La Grassa
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Una settimana per rigenerarsi: emozioni uniche da vivere nelle magiche Maldive di Donatella Telli
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Alonissos nel cuore delle Sporadi di Cristian Umili
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La spugna che cammina di Sebastiano Guido
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Immersioni, relax e yoga di Andrea Piasentin
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Immersioni in Mar Rosso: un toccasana per la mente e per il corpo di Ornella Ditel
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La subacquea che mi mette a dieta? Chi l’avrebbe mai detto! di Claudia Benedetti
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FORMA FISICA ED IMMERSIONE SUBACQUEA di G. Yancey Mebane
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orma fisica ed immersione subacquea; forma fisica per l’immersione subacquea; forma fisica nell’immersione subacquea; idoneità fisica alle immersioni. Come subacquei, avrete sentito queste espressioni durante i corsi d’addestramento, nelle pubblicazioni inerenti alla subacquea e nelle discussioni fra i compagni d’immersione. Anche se enunciato in maniera un po’diversa in ciascun’occasione, essenzialmente stiamo collegando l’idea che le
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condizioni fisiche e la subacquea, come due buoni compagni d’immersione, lavorano meglio quando vanno in coppia. Le buone condizioni fisiche hanno un valore inestimabile per noi subacquei e, più semplicemente, come esseri umani. La verità è che quando ci sentiamo bene, lavoriamo bene, qualsiasi cosa stiamo facendo. Ed il modo in cui ci sentiamo - sia fisicamente che mentalmente – ci può influenzare direttamente quando c’immergiamo. Non tutte le immersioni richiedono grande forza o capacità di resistenza. A
differenza dei subacquei professionisti, i subacquei ricreativi possono scegliere il tempo ed il luogo per le loro immersioni per abbinarle alla propria resistenza ed abilità. Siamo tutti concordi, tuttavia, che non importa quanto sia facile o semplice un’immersione, la forma fisica in realtà aggiunge piacere e sicurezza alla circostanza. Ogni immersione richiede un certo grado di sforzo e di esercizio, che spesso sono di maggior entità rispetto alle normali esigenze giornaliere cui è sottoposto il nostro organismo.
SALUTE Questa accresciuta attività muscolare a sua volta incrementa il lavoro del cuore nel trasportare l’ossigeno e le sostanze nutritive ai muscoli sotto sforzo. Il cuore ed i vasi sanguigni rispondono a questo sovraccarico amplificando il flusso sanguigno ed incrementando la sua fuoriuscita dal cuore. Tutte le attività associate con l’immersione subacquea – il trasporto della pesante attrezzatura, arrampicarsi sulle scalette e nuotare - richiedono un aumento del consumo d’ossigeno. Il cuore, in condizioni normali, possiede una considerevole riserva per poter rispondere a queste esigenze ma, per poter mantenere questa riserva ad elevati livelli bisogna sottoporsi ad un programma di “addestramento fisico”. Intorno ai 30 anni, sia la forza fisica che la capacità d’esercizio iniziano un declino che continua per tutta la durata della vita che ci resta. La capacità dell’organismo di massimizzare la trasformazione dell’ossigeno nella produzione di energia raggiunge un picco verso la fine dei 20 anni, dopodiché inizia a declinare. Questo declino è il risultato di molte cause. Alcune sono dovute ai mutamenti sostanziali nella fisiologia che intervengono con l’invecchiamento. Fortunatamente, i normali programmi d’esercizio possono migliorare le vostre riserve e ritardare e/o ridurre il tasso di declino delle prestazioni fisiche. Potete misurare la vostra riserva cardiovascolare con il test da sforzo. Questo implica di solito un esercizio su una pedana mobile o su una cyclette, mentre la risposta all’esercizio viene monitorata attraverso un elettrocardiogramma. Talvolta viene anche misurato il consumo d’ossigeno. Questo test è spesso utilizzato per rilevare eventuali patologie delle arterie coronariche, ma è abbastanza utile per valutare anche la capacità generale di esercizio e per determinare la risposta del cuore all’aumentato carico di lavoro. Sebbene lo sforzo connesso con l’immersione subacquea possa interessare fasci muscolari differenti rispetto a quelli utilizzati nel camminare o nell’andare in bicicletta, il carico cardiovascolare è simile per ogni attività.
SIETE IN FORMA? A questa domanda può essere facile rispondere, ma potrebbe anche essere difficile. Cominciate a chiedervi se siano presenti quei fattori di rischio che sono ben noti per essere associati con le patologie cardiache:
■■ C’è qualcuno nella vostra famiglia che soffre di una patologia cardiovascolare? Provate a ricordare se un parente prossimo sia morto prematuramente di infarto o per ictus. ■■ Siete di sesso maschile? Le malattie cardiovascolari negli uomini compaiono prima rispetto alle donne, ma con il procedere dell’età l’incidenza tende a livellarsi in entrambi i sessi. ■■ Come reagite allo stress? Gli sforzi e lo stress inducono modelli di comportamento e di personalità che incidono sul cuore. I sistemi ormonali dell’organismo, nel nostro tempo, si comportano come si comportavano nel periodo dell’Età
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Siamo tutti concordi che non importa quanto sia facile o semplice un’immersione, la forma fisica in realtà aggiunge piacere e sicurezza alla circostanza
della Pietra: quando si affronta una sfida, la frequenza cardiaca accelera e la pressione sanguigna aumenta, in modo da essere pronti alla “lotta o alla fuga”. Se non lottate e non fuggite, questi ormoni rimangono in circolo per un certo tempo e mantengono il cuore ed i vasi sanguigni sotto una pressione costante e di livello qualitativo minore. ■■ Siete una persona attiva? Secondo numerosi studi clinici, l’inattività è manifestamente associata con le patologie cardiache. Le persone attive hanno un cuore in uno stato migliore rispetto a quello degli individui sedentari. Altri fattori ugualmente importanti sono l’ipertensione, un elettrocardiogramma a riposo anomalo, l’obesità, il colesterolo elevato ed il diabete. Il tabagismo è un fattore vitale nella determinazione della forma fisica generale. Se volete raggiungere i massimi livelli di forma fisica, evitate il tabacco.
PER CONCLUDERE, CHE COSA DIRE DEGLI ESERCIZI? Ora, visto che siete arrivati fino a questo punto, è giunto il momento di chiedervi: “Sono pronto ad iniziare un programma d’allenamento?” Se avete identificato i vostri fattori di rischio ed avete messo
a punto un programma per occuparvi di quelli che possono essere eliminati, vi rimane ancora una cosa da fare prima di cominciare un programma d’allenamento aerobico: una visita medica. Ecco alcune linee-guida: ■■ Se avete meno di 30 anni, non siete ancora immuni dalle patologie cardiache, anche se il vostro rischio è inferiore rispetto alle persone più anziane. Dovreste esservi sottoposti ad una visita medica e ad un’anamnesi completa non oltre 12 mesi prima dell’inizio del vostro programma d’allenamento. ■■ Se la vostra età è compresa tra i 30 ed i 35 anni, dovreste esservi sottoposti ad una visita medica, ad un’anamnesi completa e ad un elettrocardiogramma a riposo nell’arco dei sei mesi precedenti all’avvio del programma. avete più di 35 anni, l’esame dovrebbe essere messo in atto nell’arco dei tre mesi precedenti all’inizio del vostro nuovo programma. L’esame dovrebbe comprendere un test all’esercizio o una prova da sforzo, monitorati attraverso un elettrocardiogramma. Per appurare che il vostro cuore non possieda aree critiche, è essenziale verificare come si comporta sotto sforzo. Anche se vi possono essere alcune condizioni che non rivelano le difficoltà del cuore quando esso stia operando ad un elevato tasso di velocità nell’ambito di un carico di lavoro, la prova darà una buona valutazione della capacità generale all’esercizio e probabilmente metterà in mostra la maggior parte degli eventuali problemi. Il principio è lo stesso di quello adottato, ad esempio, con la vostra automobile, quando la spingete ad elevata velocità per vedere se funziona bene. Le prove da sforzo possono essere eseguite quasi dappertutto; il vostro medico personale può prenotarvene una ed in seguito interpretarne i risultati.
INTRAPRENDERE UN PROGRAMMA D’A LLENAMENTO Avete identificato i vostri fattori di rischio. Ora potete dare avvio al vostro programma d’allenamento. Come cominciare? Potreste essere abbastanza fortunati da avere un medico interessato all’addestramento aerobico - uno che può darvi una “prescrizione di esercizi”. Questa prescrizione vi descrive dettagliatamente il programma di allenamento. Altre risorse possono essere ricercate presso i reparti di medicina dello sport, dove solitamente si trovano persone qualificate
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SALUTE della fatica e così di presentarci ad ogni immersione con la necessaria lucidità. Non dimentichiamo che la fatica non colpisce solo l’apparato muscolare, ma l’intero apparato psicofisico causando un calo dell’attenzione, qualità indispensabile per condurre un’immersione in sicurezza. Un appropriato programma dovrà prevedere l’allenamento della resistenza aerobica, della forza e dell’elasticità muscolare. Quello che si vuole proporre sono degli esercizi, facili da eseguire in qualsiasi luogo e senza l’ausilio di attrezzature, che consen-
tano una preparazione fisica generale di base. Per chi volesse approfondire l’argomento, il nostro consiglio è sempre quello di rivolgersi a un istruttore qualificato che potrà realizzare uno specifico programma per le vostre necessità. In ogni caso prima di intraprendere un’attività fisica è necessaria una visita medico-sportiva che accerti lo stato di salute. Dedicate del tempo a imparare la corretta esecuzione di ogni esercizio e poi successivamente aumentate la durata, il numero di ripetizioni o di serie: procedete sempre per gradi.
LAVORO AEROBICO Qualità dell’esercizio aerobico sono il miglioramento della funzionalità dell’apparato cardiocircolatorio e di quello respiratorio, il rafforzamento dei muscoli interessati, il miglioramento del massimo consumo di ossigeno durante lo sforzo (VO2max) da cui ne deriva una maggiore resistenza allo sforzo, grande vantaggio durante lunghe e multiple immersioni. L’attività aerobica può essere svolta nei modi più vari, all’aperto (corsa, ciclismo) oppure indoor (nuoto in piscina, cyclette, tapis roulants, ecc.). L’importante è cominciare per gradi fino ad arrivare, col tempo, ad almeno 30-45 minuti di esercizio continuo, per poter ottenere tutti i vantaggi che l’allenamento aerobico comporta per la salute e le prestazioni fisiche. L’allenamento deve essere compreso tra il 65% e l’85% della frequenza massima
cardiaca, ottenibile sottraendo a 220 la propria età. Se non disponete di un cardiofequenzimetro dovete basarvi su altri
parametri. Quando avete poco fiato per parlare durante l’esercizio vuol dire che state facendo un buon allenamento.
RAFFORZAMENTO MUSCOLARE Gli sforzi compiuti sott’acqua non richiederebbero in sé un potenziamento muscolare, è tuttavia consigliabile effettuare una serie di esercizi per poter meglio affrontare gli sforzi e le fatiche pre-immersione: trasporto bombole, attrezzatura, ecc. Qui a lato trovate alcuni esercizi che potete praticare comodamente dovunque e che vi daranno parecchi benefici, al di là della subacquea.
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Rafforzamento muscolare: flessioni sulle braccia
Muscoli principali esercitati: pettorali, tricipiti, deltoidi. Benefici: rafforza la parte superiore del corpo, permette di maneggiare con più facilità l’attrezzatura (pesi, bombole) e di compiere le immersioni con minore fatica. Esecuzione: assumere la posizione di partenza: distribuire il peso del corpo sulle braccia e sull’avampiede mantenendo collo, schiena e gambe diritte, in perfetto allineamento. Ora, abbassarsi lentamente il più possibile, mantenendo la corretta postura, portando il petto più vicino possibile al suolo e poi spingendo verso l’alto ritorna alla posizione di partenza. Durante l’esecuzione dell’esercizio è importante mantenere il corretto allineamento del corpo controllando il tronco e contraendo i glutei e gli addominali. Bisogna mantenere un ritmo costante nelle due fasi dell’esercizio, ad esempio 3 secondi a scendere e 3 secondi a salire, e ricordarsi di inspirare durante la discesa ed espirare quando si risale.
1 Esecuzione semplificata dell’esercizio: soprattutto le ragazze e coloro che non hanno mai esercitato questi gruppi muscolari possono incontrare delle difficoltà nell’eseguire correttamente questo esercizio. Si può quindi eseguire una variante semplificata per poi passare alla corretta esecuzione una volta raggiunta una migliore condizione fisica. Esecuzione: sempre mantenendo il corretto allineamento della schiena bisogna spostare il peso del corpo dall’avampiede alle ginocchia. Il peso sarà quindi distribuito sulle due braccia e sulle ginocchia, mentre i piedi rimangono incrociati tra di loro e portati verso l’alto.
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Rafforzamento muscolare: flessioni sulle gambe
Muscoli principali esercitati: glutei, quadricipiti. Benefici: rafforza le gambe, consente di alzarsi con facilità con l’intera attrezzatura indossata, nel caso si debba raccogliere qualche oggetto da terra e di salire agevolmente sulla scaletta della barca. Una maggiore forza nelle gambe permette di nuotare con più facilità affaticandosi di meno ed evitando la comparsa di crampi nel caso si debba nuotare contro corrente. Esecuzione: mettersi in posizione eretta con i piedi alla stessa larghezza dei fianchi o leggermente superiore con le punte rivolte verso l’esterno. Ora prendere un bastone (es. manico di scopa) e posizionalo sulla parte alta della schiena a circa 2-5 cm dalla parte superiore dei deltoidi, l’importante è che si trovi sotto la settima vertebra cervicale. Adducendo le scapole e contraendo i muscoli della schiena si crea un naturale “promontorio di muscoli”, questo è il punto dove posizionare il bastone. Tenendo la schiena diritta e contratta, abbassarsi finché le cosce non saranno parallele al pavimento e poi torna alla posizione iniziale. Sia nella fase negativa (discesa) che nella fase positiva (salita) il peso deve rimanere sui talloni e lo sguardo diritto in avanti.
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Rafforzamento muscolare: addominali
Muscoli principali esercitati: retto addominale Benefici: avere degli addominali forti è molto importante per l’intero benessere fisico in quanto questi muscoli sono coinvolti in tutti i movimenti. Ogni volta che solleviamo un carico come la cintura dei pesi o il jacket con la bombola, ci pieghiamo o ruotiamo il busto con l’intera attrezzatura indossata o cambiamo posizione, la forza è trasferita attraverso gli addominali. Addominali forti assicurano una postura corretta e prevengono i problemi alla parte bassa della schiena. Esecuzione: sdraiarsi in posizione supina e mantenendo i piedi appoggiati a terra piegare le gambe con un angolo di 45 gradi distanziate tra di loro, le braccia devono essere incrociate sul petto. Mantenendo la bassa schiena il più possibile appoggiata al suolo sollevare il busto verso l’alto sollevando le scapole non più di 15-20 cm e poi ritornare nella posizione di partenza. Il collo deve essere rilassato e il mento leggermente rivolto in avanti. Evitare gli slanci, pensare di arrotolare le spalle
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Rafforzamento muscolare: lombari
Muscoli principali esercitati: lombari Benefici: se addominali forti proteggono la schiena, la cosa migliore è avere anche una buona forza nei muscoli che la compongono, soprattutto nei lombari. Il rafforzamento di questi muscoli completa l’indispensabile rafforzamento dell’intero tronco. Possiamo così indossare tutto l’equipaggiamento senza paura di ritrovarci alla sera o al risveglio il giorno successivo con una noiosa lombalgia. Esecuzione: in posizione prona mani e piedi distesi sollevarli di circa 20 cm da terra, mantenere la posizione per qualche secondo e poi ritornare al suolo. Col tempo si può aumentare il tempo di mantenimento della posizione e il numero di ripetizioni.
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STRETCHING Oltre ad avere una buona forza e resistenza è utile possedere una buona elasticità muscolare. Delle articolazioni sciolte ci aiutano a compiere con minore fatica ogni movimento, sia sportivo (nuotare,
SALUTE indossare l’attrezzatura) sia quotidiano. Qui proponiamo alcuni esercizi di base utili e semplici da eseguire sia come allenamento regolare che dopo le lunghe giornate di immersione, in cui il corpo è sottoposto a sforzi per lungo tempo, in grado di diminuire l’indolenzimento muscolare, ridonare la corretta elasticità alle articolazioni e prevenire i crampi. Si tratta di esercizi di stretching statico in cui viene mantenuta una posizione di allungamento per 20-30 secondi: questa tecnica è facile da eseguire e non comporta rischi. La posizione di massimo allungamento, che può variare da persona a persona, va raggiunta lentamente, senza molleggiare e mantenendo sempre una respirazione lenta e profonda in modo da rilassarci il più possibile. Bisogna avvertire una leggera tensione e mai un dolore.
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e tenere questa posizione per 20-30 secondi.
4.Esercizi per l’elasticità dei quadricipiti In piedi, appoggiarsi a un sostegno con la mano destra per mantenere l’equilibrio. Sollevare il piede sinistro dietro di sé e afferrarlo con la mano sinistra cercando di tirare il tallone verso il gluteo. Ripetere l’esercizio cambiando braccia e gambe.
Esercizi per l’elasticità delle spalle
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Esercizi per l’elasticità della testa
In piedi, portare il braccio sinistro teso verso l’alto, piegare il gomito e portare la mano verso il basso al centro della schiena. Adesso con la mano destra prendere il gomito sinistro e portarlo dolcemente verso il basso. Ripetere dall’altra parte. In piedi, portare il braccio diritto davanti al corpo, piegare il gomito sinistro verso la spalla destra. Ora con la mano destra prendere il gomito e spingerlo verso l’altra spalla. Ripetere l’esercizio dall’altra parte.
Esercizi per l’elasticità della coscia
A terra portare la gamba sinistra distesa in avanti e la gamba destra piegata con il piede all’inguine. Flettersi in avanti allungando entrambe le mani verso il piede, se non ci si arriva fermarsi prima (ginocchio, stinchi). Ripetere dall’altro lato.
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2. Esercizi per l’elasticità degli adduttori Divaricare entrambe le gambe, flettere il busto in avanti e cercare di toccare contemporaneamente i piedi con le mani. Non è necessario arrivare ai piedi, ci si può fermare prima.
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Esercizi per l’elasticità dei polpacci
Salire su un gradino (scala, step) con entrambi i piedi appoggiando solo l’avampiede, per mantenersi in equilibrio appoggiarsi a un sostegno. Spostare il peso del corpo sul piede sinistro alzando contemporaneamente il piede destro, il tallone naturalmente si abbasserà e il polpaccio si stirerà. Ripetere l’esercizio dall’altra parte.
In piedi o seduti, piegare la testa di lato verso la spalla sinistra, tornare nella posizione di partenza e ripetere l’esercizio dall’altra parte verso la spalla destra. Adesso, ruotare la testa di lato verso sinistra ritornare in centro e poi verso destra. Spingere il mento verso il basso cercando di avvicinarlo al petto. Lentamente, ruotare la testa compiendo dei cerchi in senso orario e antiorario. Ripetere ogni esercizio almeno dieci volte.
Esercizi per l’elasticità della schiena
Mantenendo la schiena e il collo a contatto con il suolo portare entrambe le ginocchia al petto aiutandosi con le mani
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EROGATORE APEKS XL4 Apeks XL4 è particolarmente adatto per il subacqueo che si dedica all’esplorazione tecnica in acque fredde. Compatto e leggero, aiuta a ridurre l’affaticamento mascellare nel corso delle lunghe immersioni a basse temperature. Progettato con una innovativa terminazione di chiusura sovrastampata che, unitamente al diaframma a tenuta stagna, aiuta a prevenire la formazione di ghiaccio. L’erogatore XL4 rappresenta un’opzione eccellente e altamente performante per il subacqueo tecnico che è molto attento ad ottimizzare la funzionalità riducendo il peso al minimo. Il passo avanti decisivo è rappresentato dall’innovativa chiusura
del primo stadio sovrastampata con diaframma a tenuta stagna, che aiuta a prevenire la formazione di ghiaccio e la conseguente autoerogazione in situazioni estreme. Inoltre, protegge il primo stadio di eventuali danni derivati da urti. Il 2°stadio compatto e leggero migliora il comfort e aiuta a ridurre l’affaticamento mascellare nel corso di lunghe sedute subacquee.
EROGATORE SUBEA 900 DIN L’équipe Subea ha sviluppato un erogatore bilanciato a membrana nel primo stadio. È compatto e leggero per rispondere a tutte le esigenze di immersione e può essere utilizzato con temperature inferiori a 10°. L’erogatore 900 è dotato di sei uscite pre-orientate per bilanciare la posizione delle fruste intorno alla testa. Il morso è a doppia densità: la zona di contatto con la gengiva è più morbida rispetto al resto per limitare le irritazioni. Erogatore certificato EN250:2014.
MUTA SEMISTAGNA MARES FLEXA Z THERM
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Una semistagna innovativa, con zip diagonale e sistema a soffietto in vita, disegnata per essere indossata e tolta in totale autonomia. È la massima espressione nell’ambito delle mute semistagne: vestizione e svestizione, compresa la chiusura della cerniera, in completa autonomia. In breve le caratteristiche: ■■ cerniera anteriore diagonale g-lock con patte interne per aumentare il comfort termico e la protezione della pelle nella zona della cerniera; ■■ 100% ultraelastica con pannelli posizionati strategicmente e taglio speciale; ■■ concetto trilastic per una migliore vestibilità nelle zone più critiche (vita + collo/schiena + ascelle); ■■ sistema telescopico innovativo: personalizzazione per le taglie maggiori grazie alla regolazione del sottocavallo; ■■ maggiore comfort termico nelle zone più critiche e aumento della comodità in vita e sulla parte lombare; ■■ tasca elastica compatta integrata nella muta sulla coscia destra; ■■ tenute migliorate su polsi e caviglie che riducono l’ingresso dell’acqua.
NEWS COMPUTER MARES GENIUS Il nuovo computer per immersioni Genius, grazie al suo nuovo algoritmo che lo rende compatibile con Trimix e Nitrox , è il nuovo punto di riferimento tra i dive computer. Le caratteristiche principali sono: • nuovo algoritmo zh-l16c con fattori di gradiente e modalità predittiva multimiscela adatto a nitrox e trimix, fino a 5 gas; • display a colori ad alta risoluzione; • bussola con compensazione di inclinazione completa, memoria di rilevamento e cronometro; • integrazione dei dati della bombola senza frusta per un massimo di cinque trasmettitori; • pressione della bombola con codice colore per una leggibilità a colpo d’occhio; • modalità profondimetro con profondità media azzerabile e cronometro; • pianificatore di immersioni con decompressione con funzione aggiuntiva per l’intervallo di superficie; • logbook luminoso con grafici multipli; • memoria logbook: oltre 1000 ore di profilo di immersione con intervalli di rilevamento ogni 5 secondi; • sistema di gestione dei consumi intelligente, 40 ore di tempo di immersione con batteria carica; • connessione bluetooth per il collegamento diretto allo smartphone;
• funzione schermo notte; • funzione di visualizzazione mappa durante l’immersione • grafico di saturazione dei tessuti con informazioni dettagliate; • menù subacqueo che consente di modificare alcune impostazioni durante l’immersione; • decompressione futura e allarme di deco esponenziale (funzioni esclusive).
GALILEO HUD, IL COMPUTER A MANI LIBERE
Nello scorso numero abbiamo presentato il Nuovo Galileo HUD Scubapro, il rivoluzionario computer subacqueo a mani libere con montaggio sulla maschera e visore virtuale in sovrimpressione, pensato per offrirti una libertà mai provata che ti permetterà di gustarti l’immersione senza dover distogliere lo sguardo per controllare i dati. Per un errore della redazione lo screenshot pubblicato si riferiva a un prototipo del computer, che ha i caratteri molto più definiti e leggibili. A titolo di esempio pubblichiamo due screenshot riferiti alla versione in commercio del Galileo HUD.
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BIOLOGIA
IL BENESSERE DEI PESCI di Massimo Boyer “Grandezza e progresso morale di una nazione si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali”. (Mahatma Gandhi)
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enessere dei pesci? E a chi può interessare? Se da tempo ci si preoccupa del benessere di cani e gatti, finalmente negli ultimi anni si è cominciato a riconoscere il diritto di soffrire, di provare emozioni, di stressarsi anche ai pesci (e il dovere, per gli operatori che ci lavorano, di risparmiare loro sofferenze e stress inutili). Abbiamo già presentato in ScubaZone n. 10 argomenti contro il vecchio e assurdo pregiudizio per cui i pesci non proverebbero dolore, per cui diamo per assodato che possono provare dolore e stress, cosa dimostrata da un esperimento del 2009.
Nel corso degli anni, lo studio del benessere animale ha assunto un significato sempre più importante, non solo per motivi etici, ma anche perché, se parliamo di animali allevati a scopo alimentare, in fondo conviene a tutti. Il discorso dall’etica si sposta rapidamente verso l’economia. Migliorando le condizioni in cui gli animali sono mantenuti migliorerò anche la qualità della produzione, i tassi di crescita e di conversione alimentare. Le potenziali condizioni di sofferenza degli animali in allevamento, sia terrestri che acquatici, sono state definite comunque in base alla violazione di una delle cinque libertà del benessere animale:
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1. libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione; 2. libertà di avere un ambiente fisico adeguato; 3. libertà da ingiurie, malattie, ferite e traumi; 4. libertà di manifestare le normali caratteristiche comportamentali specie-specifiche; 5. libertà dalla paura. Negli allevamenti intensivi il sovraffollamento nelle gabbie, il digiuno e metodi di uccisione inumani mettono spesso a durissima prova questi concetti teorici. Negli allevamenti intensivi grandi numeri di pesci sono rinchiusi in piccole gabbie. Un salmone di 75 cm di taglia può vedersi assegnato lo spazio equivalente a una vasca da bagno. Questo sovraffollamento produce suscettibilità a malattie, stress, aumento dell’aggressività, ferite delle pinne. Inoltre può provocare una diminuzione della quantità di ossigeno a disposizione, con conseguente peggioramento della qualità della vita. I bisogni comportamentali dei pesci allevati non sono quasi mai tenuti in conto. Per esempio l’allevamento in
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gabbie impedisce ai pesci di nuotare normalmente. I salmoni sono migratori, in natura coprono distanze lunghissime, in gabbia sono ridotti a nuotare in cerchio, strofinandosi contro le reti e l’un l’altro. Prima di procedure stressanti come trasporto, selezione per taglia e macellazione i pesci sono sottoposti a un digiuno che può durare per 2 settima-
ne, nonostante 2-3 giorni siano normalmente sufficienti per ripulire il corto intestino di questi animali. Tra i metodi usati per la macellazione alcuni causano sofferenze intense, come la somministrazione di anidride carbonica o il taglio delle branchie praticato a pesci vivi e vigili. Non è raro che i pesci siano semplicemente lasciati soffocare in aria o sul ghiaccio, o eviscerati mentre sono ancora vivi. I metodi di uccisione più “umani” prevedono lo stordimento con una scarica elettrica o la classica mazzata in testa. Esistono alternative, che consistono nel concedere spazi più grandi per animale, uccisione con metodi umani, digiuno limitato al necessario, cibo selvatico catturato in modo sostenibile. Ma spesso discorsi di questo genere si scontrano con le esigenze economiche dell’allevatore, portando a dei compromessi quanto meno risibili. I pesci catturati in ambiente ovviamente non hanno di questi problemi durante la loro vita, vivono bene in ambiente, anche se muoiono con sistemi di cattura e uccisione che sono di solito inumani. Se gli va bene, un pesce pescato verrà lasciato morire per soffocamento, schiacciato tra i suoi simili agonizzanti. Pensiamo sempre che i pesci sono l’ultima grande risorsa alimentare sulla Terra che viene raccolta in ambiente, soggetta a cattura, spesso con metodi irrispettosi dell’animale e del suo ambiente. Qualcosa sta cambiando? Lentamente, ma sì, qualcosa sta cambiando. Molti studi recenti dipingono i pesci come animali intelligenti e sensibili, e qual-
BIOLOGIA
cuno prova anche a difenderli. Leggendo sui quotidiani gli articoli che parlano di avvistamenti o anche di incidenti con squali fino a poco tempo fa lo squalo era il mostro, invasore di un ambiente “nostro” dove veniva per saziare la sua fame di carne umana. Ultimamente si accetta che ci siano squali in mare, sta passando il concetto per cui siamo noi a invadere il loro spazio, e a interagire con loro con i rischi che ne conseguono. Ahimè, ce ne sono sempre meno, ma questo è un altro discorso. Sta cambiando lentamente il modo di vedere e di descrivere il pesce, che spesso anche sui media è finalmente diventato un essere senziente. Un lavoro scientifico del 2019 dimostra che il labride pulitore Labroides dimidiatus è in grado di riconoscersi riflesso in uno specchio. Il pesciolino vede il proprio riflesso nello specchio, controlla la posizione di una macchia di colorante posta dai ricercatori, e corre a sfregarsi
contro una roccia per eliminarla. Gli scienziati sono soliti usare il test dello specchio per valutare se un animale sia capace di riconoscere sé stesso, e quindi abbia un’autocoscienza. Fino a ieri il club esclusivo egli animali dotati di autocoscienza comprendeva oltre all’uomo, le grandi scimmie antropomorfe, gli elefanti, i delfini, le gazze. Ma oggi, dopo un lavoro sperimentale condotto con rigore, dobbiamo ammettere nel club un piccolo pesce del reef. Non molti anni fa un politico di uno degli ultimi paesi europei a estendere il diritto di voto alle donne, intervistato sul suffragio universale se ne uscì con una frase doppiamente infelice, che suonava più o meno così: «Diritto di voto alle donne? Di questo passo finiremo per parlare di diritti degli animali». Non voglio aggiungere niente, la frase si commenta da sola. Spero solo che i diritti dei pesci vengano sempre più rinforzati, dimostrando il valore profetico della triste sentenza.
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BIOLOGIA
IL BALESTRA DEL MEDITERRANEO di Francesco Turano
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alestra, pesce tipico dei mari tropicali. Difficile associare questa specie al Mediterraneo. Eppure un balistide vive anche qui, ed è uno dei pesci mediterranei che più incuriosisce e attira per la sua forma bizzarra e per il suo nuoto atipico. I subacquei lo vedono di rado, salvo che in qualche occasione presso relitti affondati su fondali di sabbia o di fango, o direttamente su quei fondi mobili dove ama trascorrere la gran parte della sua esistenza. Non si trat-
ta, è bene dirlo, di un pesce tropicale immigrato in seguito al riscaldamento delle acque, bensì di un pesce diffuso nel Mare Nostrum e tipico dell’Atlantico e del Mediterraneo. Oggi i pesci balestra, che fino a poco tempo fa erano più frequenti nel Mediterraneo meridionale, cominciano a vedersi occasionalmente anche a nord, persino in Adriatico, dove un tempo erano considerati molto rari, creando inizialmente stupore e confusione. La presenza di Balistes capriscus in Mediterraneo è documentata addirittura da
tempi remoti, persino dal Neolitico, specie con riferimento alle coste mediterranee di Israele. Il limite termico di questo pesce oscilla tra un minimo di 18°C e un massimo di 24 °C (Whintehead & al., 1984), non tollerando, questa specie, generalmente acque al di sotto dei 12°C. Il suo nome nasce da una caratteristica tipica della prima pinna dorsale che, dotata di robusti raggi spinosi, può essere sollevata o abbassata a piacimento con un movimento a scatto; a riposo, la pinna e i suoi robusti raggi alloggiano in un’apposita scanalatura presente sul dorso,
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scomparendo quasi alla vista. Il movimento a scatto, simile a quello effettuato per armare il grilletto nelle antiche armi da fuoco a pietra focaia (e forse, precedentemente, anche delle balestre), ha ispirato il singolare appellativo, che deriva dalla traduzione del termine anglosassone “trigger fish”, che letteralmente significa poi “pesce grilletto”. Mi son sempre avvicinato al mare passando dalle pagine dei libri agli ambienti sommersi, giungendo preparato e con un minimo di nozioni per capire e conoscere meglio quanto, di volta in volta, si presentava davanti ai miei occhi. La prima volta che incontrai il balestra era notte, ero già fotosub da qualche tempo (non molto) e mi trovavo a pochi metri di profondità (una decina) su un fondo di sabbia e pietre sparse. Ricordo un bell’esemplare, conservo ancora quelle prime foto, e ricordo i suoi colori, accesi come sovente accade col buio per molte specie di pesci quando, colti nel sonno, restano fermi, offrendosi inermi a qualche lampo di luce accecante nell’oscurità, come può essere il flash di un fotografo subacqueo. Il suo corpo è alto, compresso lateralmente, ed ha forma romboidale; si di-
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stingue bene, anteriormente all’occhio ed inferiormente ai fori nasali, uno stretto solco obliquo, privo di squame. Dopo la prima dorsale, la cosiddetta pinna “a scatto”, si torva un’elegante pinna dorsale a cui è si oppone, ventralmente, un’altrettanto bella pinna anale (l’unica ventrale che possiede); le due pinne, contrapposte, vengono ondulate a un
ritmo cangiante in perfetta sincronia, da risultarne un nuoto strano, diverso dal solito, forse paragonabile solo al nuoto del pesce San Pietro, anche se il balestra risulta essere molto più veloce del San Pietro. La coda del balestra è infatti grande e arrotondata, potente, capace di fornire la forza per scatti veloci in avanti. Negli esemplari più grandi la
BIOLOGIA coda, dal profilo inizialmente convesso, diviene lunata, con raggi superiori ed inferiori assai prolungati, filamentosi. Poco avanti alle piccole e ovoidali pinne pettorali si trovano le branchie, appena visibili, che hanno una struttura a fessura. Lo sguardo del balestra, per la posizione degli occhi piccoli, molto mobili e dislocati in alto, appare curioso, quasi furbo. Tipici della famiglia sono poi i denti, molto robusti (specie gli incisivi), che denotano abitudini alimentari legate ad una dieta costituita da organismi bentonici dotati di guscio solido, come anellidi tubicoli, molluschi ed altre specie abbondanti e reperibili in prossimità di fondali sia rocciosi che sabbiosi o detritici. I denti sono nascosti in una bocca appuntita piuttosto piccola e con labbra carnose. Ciò che è più sorprendente è la sua incantevole livrea, generalmente grigio-azzurra con bande irregolari brune sui fianchi e puntinatura blu sparsa sui fianchi; altre volte la livrea può presentarsi invece bruno-cinerea, con sfumature violacee. Sulle pinne si possono notare anche delle linee ondulate con diverse sfumature di giallo. La pelle è coriacea, spessa, quasi cuoiosa e armata interamente di placchette a losanga, che formano una specie di corazza; come per tutti gli altri membri della famiglia, il risultato finale è un pesce forte, robusto, territoriale, temibile da altri pesci e, in alcuni casi, anche dal subacqueo (che non poche volte è stato attaccato senza il minimo indugio). Sembra che il pesce balestra del Mediterraneo possa raggiungere i 50-60 cm di lunghezza, ma gli esemplari che si incontrano generalmente non superano i 30/40 cm o poco più. I giovani sono più portati a riunirsi in gruppi molto numerosi mentre gli adulti, in genere, sono orientati a una vita poco sociale. I pesci balestra si riproducono verso la fine di giugno o al principio di luglio. La femmina prepara un bellissimo nido, soffiando con la bocca sulla sabbia del fondo e asportando boccate di sabbia e ciottoli in modo da creare una buca ampia e profonda, in cui depositare poi le uova. Durante l’incubazione, che in media dura 3 giorni, il maschio fa la guardia poco distante. Le uova si schiudono durante la notte e le larve sono planctoniche. Una raccomandazione: se vi capita di incontrare un balestra in prossimità del suo nido prestate attenzione. Se si tratta del maschio a guardia delle uova,
è possibile essere aggrediti. La difesa del nido è prioritaria e, vi assicuro, un morso ben assestato di balestra non è tanto trascurabile. Fotografare i balestra non è semplice, hanno un carattere piuttosto cangiante. Di giorno, per esempio, è importante trovare esemplari con carattere docile, disponibili a un approccio ravvicinato. Ma generalmente è col favore delle tenebre che è più facile avvicinarsi ad esemplari colti nel sonno: in questo caso, oltre ad osservare il pesce con più calma ed avere maggiori possibilità di successo
fotograficamente, riusciremo a godere appieno dei suoi dettagli e delle sue insolite fattezze, singolari al punto da rendere questa specie a mio avviso estremamente interessante e fotogenica. Un consiglio: se mentre navigate in gommone vi capita di avvistare oggetti galleggianti, soffermativi a vedere cosa può esserci all’ombra di una tavola piuttosto che di una cassetta in balia delle onde: non è difficile trovare giovani balestra, desiderosi di starsene a galla e al fresco; in questo caso avvicinarsi a osservarli può regalare grandi soddisfazioni!
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IL LAGO DI GARDA
ISTRUZIONI PER L’USO di Adriano Marchiori
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entiamo direttamente da Adriano Marchiori, il nostro fotosub specializzato nelle acque dolci e lacustri. Adriano, che abita nelle vicinanze, non perde occasione per immergersi nel lago, che conosce come le sue tasche. A lui la parola. Le immersioni nel lago di Garda possono essere molto impegnative e pericolose. È necessaria una buona preparazione fisica e mentale, specialmente per un fotografo. Prima di portare una macchina fotografica costosa in acqua bisogna saper gestire tutto con destrezza. Il primo segreto per portare a casa delle belle foto è la perfetta gestione dell’assetto idrostatico, prima cosa per prevenire il movimento del fondo melmoso e automaticamente per evitare la sospensione, soprattutto nelle foto ambiente. Un colpo di pinne mal dato può tradursi immediatamente in una miriade di puntini bianchi nella foto, il cosiddetto backscatter. Ma parliamo di tecnica fotografica. Sempre per evitare al massimo i fenomeni dovuti alla torbidità, la potenza dei flash (in manuale) va ridotta al minimo. Piuttosto può valer la pena di aumentare la sensibilità ISO per ottenere una giusta esposizione. Personalmente controllo spesso l’istogramma delle esposizioni in macchina, cercando di stare uno stop verso la sottoesposizione piuttosto che sovraesporre. E a questo punto resta la cosa fondamentale: soprattutto in macrofotografia, avvicinarsi moltissimo al soggetto. Questa è una delle regole fondamentali della fotografia subacquea: bisogna fare in modo che fra obiettivo e soggetto ci sia meno acqua possibile, con tutte le particelle che anche l’acqua più limpida contiene.
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BIOLOGIA
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SUBACQUEA, VIAGGI E BENESSERE di Renato La Grassa (foto di Renato La Grassa e apnea ©freediving Coron)
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a subacquea è una attività diffusa in tutto il mondo grazie all’indiscutibile fascino che il mare ha sempre esercitato sull’uomo, le cui motivazioni psicologiche e fisiche che lo inducono a immergersi sono ancora oggetto di studio e approfondimento da parte della comunità scientifica.
LE MOTIVAZIONI PSICOLOGICHE. L’immersione nelle profondità del mare, come citano alcuni testi, può considerarsi una risposta alle esigenze del no-
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stro inconscio di recuperare un rapporto primordiale che ci riporta al nostro stato originale, cioè alla condizione intrauterina dove la vita, appunto, si svolge nell’acqua. Questa connessione fra l’inizio della vita e l’elemento liquido facilita lo sviluppo di una naturale acquaticità, facilmente riscontrabile osservando la tranquillità di un bimbo di pochi mesi quando si trova in acqua a stretto contatto con i suoi genitori, e alla sua spontanea interruzione della respirazione appena il viso entra in contatto con l’acqua.
L’immersione subacquea, svolta in apnea o con l’autorespiratore, rappresenta pertanto l’occasione per ritrovare quelle sensazioni di quiete e serenità spesso dimenticate nel corso degli anni, con un impatto positivo sul nostro stato di benessere psico-fisico e sulle capacità di gestione del nostro autocontrollo. Offre, altresì, piacevoli sensazioni come quelle di interagire in un mondo esente da rumori e di sentirsi parte integrante di un universo non proprio. Rafforza la capacità di autocontrollo, dona sensazioni di pace e positività impresse dalle az-
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zurre tonalità del mare e dai caleidoscopici colori osservabili durante le esplorazioni delle sue meraviglie sommerse. La subacquea svolge, nei seguenti due modi, anche un importante ruolo sociale: ■■ Attraverso la presenza nel territorio di numerosi circoli ricreativi, dove i subacquei trovano risposte al loro desideri di aggregazione, si confrontano e svolgono varie attività di tipo associativo; ■■ Essendo oggi la subacquea connotata da aspetti più ricreativi che sportivi, grazie ad alcune didattiche specializzate la pratica di questa attività è stata allargata anche alle persone con disabilità, con tutte le ripercussioni psicologiche positive immaginabili.
LE MOTIVAZIONI FISICHE Sono diverse le ragioni che differenziano l’attività subacquea da altre discipline sportive. Ad esempio, età, sesso e forza fisica non sono elementi rilevanti. Gli anni 70 e 80, nei quali la subacquea era destinata soprattutto ai soli uomini “macho”, sono fortunatamente passati e oggi tali caratteristiche discriminanti non sono più contemplate. La subacquea è per tutti, dunque, ed è un ottimo sport per tenersi in forma. Basti pensare al grado di sollecitazione degli arti inferiori e dei muscoli addominali
per vincere la resistenza dell’acqua, allo sforzo fisico per contrastare una improvvisa corrente contraria o al dispendio di energie per gestire un assetto scorretto o una zavorra eccessiva. Inoltre, l’aumento della PO2 nel sangue causata dalla maggiore pressione ambientale rispetto a quella di superficie produce ulteriori benefici all’organismo a livello muscolare, all’apparato scheletrico e al cervello, a condizione che non si superino determinati limiti oltre i quali la PO2 risulta tossica.
IL MONDO DELL’APNEA Una disciplina affascinante e in continua espansione, che fonda le sue basi sugli aspetti psicologici piuttosto che fisici. Attraverso metodi di allenamento specifici basati su percorsi di rilassamento e concentrazione, il subacqueo impara ad abbandonare le tensioni , l’ansia e lo stress per lasciare posto ai pensieri positivi. Con l’apnea si instaura un rapporto indissolubile tra il corpo, la mente e l’acqua, riscoprendo una dimensione che ci riporta all’origine della nostra vita, recuperando quell’acquaticità latente da lungo tempo facendo affidamento solo alle nostre forze e ai nostri limiti fisici e mentali. Insomma, l’immersione in apnea è un bellissimo sport che può regalare incre-
dibili sensazioni e benefici non solo in mare, ma anche nella vita di tutti i giorni.
VIAGGI E BENESSERE “Viaggiare fa bene alla salute”. Una frase letta o sentita chissà quante volte. Un argomento analizzato da numerosi studi scientifici che hanno dimostrato la correlazione fra il viaggiare e il proprio benessere psicofisico, elencando le ragioni fondamentali di questa equazione: Riduce lo Stress, Migliora la Capacità di Problem Solving, Rende Più Creativi, Rende felici, Aiuta a Conoscersi Meglio, Arricchisce il Bagaglio Culturale, Rinforza le relazioni e Fa Sentire Più Sicuri. Va da sé che viaggiare rappresenti, per i subacquei, la scelta migliore per garantirsi il più alto grado di benessere, dovuto ai benefici indotti dalle immersioni, e a quelli generati dal fatto stesso di viaggiare. Da tale consapevolezza nascono i viaggi di Mete Subacque, Tour Operator specializzato in viaggi e crociere subacquee con proposte di destinazioni, anche esclusive, in ogni parte del globo. Sempre attente a garantire la massima soddisfazione dei clienti, Elena ed Erika, sorelle e subacquee titolari del T.O., creano pacchetti di viaggio individuali e di gruppo, per sole donne o misti, fornendo
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UNA SETTIMANA PER RIGENERARSI:
EMOZIONI UNICHE DA VIVERE NELLE MAGICHE MALDIVE di Donatella Telli (Dodi) (fotosub di Leonardo Olmi e Arrigoni Alberto)
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are azzurro e una miriade di lacrime di sabbia bianca e palme che si estendono a perdita d’occhio in un orizzonte che sembra non finire mai. Il tutto che si trasforma in un’emozione impossibile da trasmettere e da raccontare; è assolutamente da vivere. Poi il calore dell’aria, il suo profumo, il rumore del mare ed il suo silenzio, la sua gente e i suoi colori ed infine il tempo che si ferma e che rigenera da tutto. Svegliarsi in mezzo al mare con la possibilità di sdraiarsi sotto i primi raggi del sole in una atmosfera di assoluto silenzio assaporando il profumo dell’aria e rigenerando la propria energia facendo yoga. Le Maldive rapiscono con il loro fascino, la loro semplicità e bellezza che ti predispone fin dai primi momenti ad immetterti in questa dimensione di assoluta pace interiore che ti fa dimenticare tutto. E che dire dei profumi dell’India che di tanto in tanto si avvertono nell’aria, del sandalo e degli ingredienti per la preparazione degli oli da massaggio che rilassano ed allontanano la mente da ogni pensiero. Oli preparati quotidianamente con passione ed esperienza di anni, con erbe ed ingredienti dell’antica cultura Ayurvedica. In Ayurveda, l’antica arte medica Indiana risalente a circa 6000 anni fa, i trattamenti di bellezza del corpo sono di fondamentale importanza per il benessere generale dell’organismo, sono considerati come una forma di pulizia esterna che si attua dopo una depurazione. Per questo motivo le preparazioni in barca non si limitano ai soli oli da massaggio ed ai preparati per i trattamenti di bellezza, ma anche alle tisane depurative di foglie e radici naturali miscelate a seconda delle esigenze terapeutiche e necessarie a co-
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ALONISSOS NEL CUORE DELLE SPORADI di Cristian Umili
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lonissos è un’isola di 130km² ed è il centro del parco marino delle Sporadi Settentrionali in Grecia nel Mar Egeo. Parlando di Grecia si ha subito in mente isole più vicine a noi come Corfù o Zante oppure la festaiola Mikonos o Santorini. Di Skiathos, Skopelos o Alonissos se ne sente parlare poco e ancor meno se si pensa alle immersioni, partendo per questo viaggio ero curioso di conoscere questi fondali di cui ho trovato poco anche in internet, infatti dal punto di vista del turismo subacquei sono fondali vergini ancora poco sfruttati.
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ALONISSOS È l’isola più lontana dalla costa raggiungibile con il traghetto, è in buona parte ancora selvaggia ricca di macchia mediterranea e camminando per i sentieri si viene subito avvolti dagli odori forti e famigliari delle piante mediterranee. Il paese principale è Patitiri dove arrivano anche i traghetti e l’aliscafo, qui troviamo molti ristoranti e bar oltre a supermercati e panifici. È una cittadina tranquilla in cui tutto è a portata di cammino. Troviamo anche un museo dell’isola. Sempre in paese ci sono due centri immersioni il Triton Diving Center che ha la base operativa
in porto, e una comoda barca con ottima piattaforma posteriore, l’altro diving center è l’Ikion Diving che ha un ufficio a Patitiri ma ha la sua base operativa a Steni Vala, un piccolo borgo con molo appena fuori il centro abitato principale. Sull’isola sono presenti diverse possibilità di alloggio dal resort con animazione, all’hotel, al bed & breakfast, e per la parte ristorazione, dal ristorante allo street food, ce ne è veramente per tutti i gusti. Sull’isola troviamo molte spiagge sia libere che attrezzate, per poterle visitare consiglio il noleggio di una macchina. Da non perdere sicuramente è un aperitivo ad Alonissos old town, in posizione rial-
VIAGGI sul canale tra Alonissos e gli isolotti di Agios Georgios. Io ho fatto quella sulla punta di Agios Georgios che guarda Alonissos. L’acqua è cristallina, attorno ai 20 metri iniziano a vedersi dei bei ventagli di Eunicella cavolini, man mano che si segue la parete verticale, attorno ai 25 metri, iniziano le gorgonie rosse (Paramuricea clavata) e sotto i 30 metri troviamo un vero bosco di grossi ventagli di gorgonie rosse, a 45 metri ho iniziato a trovare qualche ramo di falso corallo nero mediterraneo (Savalia savaglia). Attorno alle gorgonie troviamo gli immancabili Anthias e all’interno della foresta anche qualche murena, nella parte superficiale dell’immersione siamo accompagnati da un nuvolo di donzelle pavonine, qualche castagnola e zata, che offre una vista mozzafiato; old town era il borgo originario che fu praticamente distrutto dal terremoto del 1965, solo dagli anni ‘80 arrivarono sia inglesi che italiani e ricostruirono, oggi è un bel borgo in cui ritroviamo l’architettura greca delle isole. A fianco ad Alonissos troviamo l’isola di Peristera che ha un’eccezionale importanza per via di antichi naufragi di epoca greca che dimostrano che le Sporadi eranoun antico incrocio di civiltà. Per tale ragione, la conservazione e valorizzazione di reperti antichi da parte dei servizi archeologici, in collaborazione con le autorità locali, costituisce una delle finalità più importanti del parco marino.
LE IMMERSIONI Essendo parco marino ma anche zona archeologica le immersioni e i siti di immersioni sono strettamente regolamentati. Ne sono stati individuati 22 diversi sia come ambiente che come profondità, perciò indipendentemente dal livello le immersioni soddisferanno tutti. Il fondale in diversi punti scende rapidamente oltre i 50 metri. Per ora i diving sono attrezzati per immersioni in aria e nitrox ma stanno già pensando di dotarsi di ricariche trimix visto il tipo di fondali. Queste sono tre tipologie di immersioni che potete trovare ad Alonissos: • Gorgonia Wall in realtà ci sono tre siti di immersioni con pareti quasi verticali fino a circa 60 metri piene di gorgonie, si trovano tutte
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possiamo trovare i nudibranchi: cratene, flabelline e dondici. In questa immersione mi sono fermato a 48 metri e guardando sotto di me vedevo il fondale a 60 e probabilmente più metri e questo muro di gorgonie che continuava. La tentazione di scendere di più c’è stata ma avevo una seconda immersione da fare e mi sono trattenuto. • Il Relitto delle anfore greche Questo relitto sarà aperto al pubblico solo nel 2020 come test e poi dal 2222 saranno aperti altri 4 relitti con anfore posizionati a diverse profondità proprio per venire incontro sia ai neofiti che ai subacquei tecnici. Il relitto che ho avuto la fortuna di visitare in anteprima si trova nelle acque di Peristera di fronte al borgo di Steni Vala su Alonissos. Il relitto è all’interno di una baia ad una profondità che varia dai 25 ai 28 metri, le anfore greche sono tutte raggruppate e molte intere come se fossero ancora stivate nella barca di legno. Il relitto è del 5° secolo avanti Cristo, sono presenti due tipi di anfore: le anfore Peparethian prodotte nell’attuale Skopelos e anfore di tipo Mendaian costruite nella città di Chalkidice. Trasportava più di 1000 anfore per il trasporto di olio e vino; il primo strato di anfore è quello visibile, sotto ci sono altri due strati. È il mercantile più grosso ritrovato di epoca greca antica, per vederne altri così grossi si dovrà aspettare l’epoca romana. All’interno delle anfore trovano riparo diversi apogon, sciarrani, murene e attaccati alle anfore c’è qualche grosso spirografo e spugna.
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• Il relitto del Christoforos È una nave cargo, partita dal porto del Pireo in direzione dell’Algeria, nel 1983 fu sorpresa da una tempesta, cerco riparo nella baia di Panormos sull’isola di Skopelos, si ruppe un boccaporto e inizio ad imbarcare acqua, il 3 ottobre del 1983 di adagiò in assetto di navigazione su un fondale sabbioso di 42 metri. La nave è lunga circa 82 metri, il ponte della nave si trova ad una profondità di circa 30 metri mentre la parte più alta inizia attorno ai 20 metri di profondità. Scendendo dalla cima del pedagno, il relitto man mano che si scende prende forma e di vede bene la zona di prodiera perfettamente intatta, mettendosi davanti alla prua sembra che stia ancora na-
vigando, solo le lamiere che toccano il fondo sono appena contorte, effetto del contatto con il fondale marino. Risalendo la prua si arriva sul ponte dove troviamo il grosso argano delle ancore, proseguendo sorvoliamo le stive e arriviamo al cassero, all’interno troviamo presenza di cavi e altre strutture perciò se ci si vuole entrare lo si può fare ma bisogna essere esperti. La parte prodiera invece è la meno interessante perché ci sono parecchie lamiere contorte e si capisce che la nave ha toccato il fondo prima con le eliche e il timone e poi solo in un secondo momento con la prua. Il relitto è incrostato di spugne, idrozoi oltre alla presenza di qualche anthias, è una zona di passaggio per ricciole e altro grossi pesci a caccia.
LA SPUGNA CHE CAMMINA di Sebastiano Guido
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draiata sul fondo, tra tante che le somigliano, una spugna allunga una zampa e si sposta. “L’autore deve avere bevuto”, penserà qualcuno; ma non è così: sono certo, si è mossa. Del resto possono testimoniarlo anche le altre spugne, che, per conoscere più a fondo una così dinamica conspecifica, laverebbero i piatti tutta la vita. Imperturbabile, la camminatrice prosegue, andando poi a sdraiarsi su un’altra spugna, e lasciando le rimanenti gialle d’invidia. Poiché le spugne son mute, la fortunata che ha fatto da cuscino ha
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taciuto, pur sprizzando felicità da tutti i pori. Non che io sia curioso, ma l’episodio meritava un’indagine. Mi sono avvicinato, per osservare meglio: come tutti i poriferi, anche questa spugna ha il corpo gibboso, costellato di fori. L’esame ravvicinato, però, mi rivela che ogni orifizio è dipinto; ma con un’abilità e un dettaglio, da potersi confondere coi fori dei poriferi vicini. Chi ha realizzato il capolavoro forse ha letto il “De pictura” dell’Alberti e appreso perfettamente ogni tecnica. Se fosse un uomo, potrebbe fare il falsario e terrorizzerebbe ogni banca centrale. Ma l’Interpol, al momento, può starsene tranquilla,
almeno fino alla prossima metempsicosi. Se le forze dell’ordine non han nulla da temere, non è però così per molti pesci: uno che si camuffi in tal modo, non è certo animato da spiriti samaritani. L’essere se ne sta immobile con, sopra a un’estremità, una poco visibile antenna terminante in un piccolo fiocco chiaro che oscilla leggermente. Escludo che sia un fazzoletto e che voglia salutare qualcuno. Poi osservo che lo strano attrezzo penzola sopra una spaccatura della spugna. Eh no!.. Non è una spugna, questa... Quella fenditura è una bocca, e la sedicente spugna è un pesce: un antennario.
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Il corpo degli antennari è un goffo ovale, talvolta bitorzoluto o peloso, compresso sui fianchi, da cui sbucano le pinne pettorali. Queste hanno una curiosa piega a gomito e, poggiate al substrato dove il pesce riposa, gli garantiscono stabilità in ogni posizione; utilizzate poi come zampe, consentono al nostro amico di camminare come un rospo ed aggrapparsi a sporgenze dove sia possibile cacciare con profitto. Le altre pinne e la coda, con gli stessi disegni del corpo, abitualmente sono rilassate, perché il pesce è pigro e rifugge dall’usarle. Quando proprio deve nuotare, per risparmiare forze, lui si aiuta col getto delle branchie, che sfociano dietro alle pettorali in tubicini simili al sifone dei polpi. Quasi tutte le specie di antennari, infatti, sono sprovviste di vescica natatoria e questo le affatica negli spostamenti. Dalla fronte e dal dorso del pesce escono tre spine. Le più arretrate sono nascoste da lembi cutanei, mentre la prima, chiamata illicio (che in latino significa adesco), sovrasta la bocca: è una spina assai mobile, che termina in un’appendice che mima vermi o organismi marini e che
il pesce agita per procurarsi un pasto senza alzarsi da tavola. Come avrete capito, l’antennario non ama stancarsi e, in assenza d’un cameriere che gli colmi il piatto, l’unico sforzo che fa per
mangiare non lo copre certamente di sudore. Se un novello Ovidio volesse aggiornare le Metamorfosi, potrebbe prendere un pescatore svogliato, metterlo su una poltrona fronte mare, far-
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VIAGGI iare tutto il vostro stipendio, e forse ne vorrebbe dell’altro. Così, adesso, avete idea di come funziona la bocca del pesce, che, a differenza del manufatto, ha un cardine mobile nella mandibola che ne raddoppia l’apertura, ed una plica che allunga la mascella. Lo scatto d’apertura della bocca e la chiusura contemporanea dello sfintere esofageo e delle branchie, trasforma la cavità orale in una caverna aspirante dodici volte maggiore del suo volume iniziale, che risucchia l’acqua antistante e chi ci stava nuotando dentro. Poi, la voragine si chiude sull’ingenuo: il tutto si è svolto in millisecondi e, nel tempo che ci avete messo a leggere, il nostro pescatore, se pagato a cottimo e messo in un allevamento di sarde, con quel ritmo ne avrebbe raccolte molti chili. Ma lui non è un cottimista e trangugiata la preda, prima del pisolino post prandiale, appoggia canna ed esca sulla fronte e le ripone in una plica cutanea. Poi, da bravo pescatore che controlla l’attrezzatura, ora si prende cura del guadino. Quale guadino? Ah... la bocca! Vi è mai capitato di scorgere un antennario che sbadiglia? Se succederà, vedrete che il pesce, che non è annoiato, non ha sonno e nemmeno minaccia d’ingoiarvi, trasforma la bocca in un grosso tubo, che tiene aperto per qualche secondo. L’ipotesi è che stia riallineando la cerniera della mandibola, forse slogata dall’ultimo pasto, per prepararla al prossimo festino. -Ma come fa a slogarsi la mandibola?Semplice... basta mangiare in un sol boccone qualcuno più grosso di voi e lui lo sa fare benissimo. Finisce di sbadigliare e, copiato da chi scrive, inizia il meritato riposo. gli oscillare lentamente la canna e trasformarlo per incanto in questo pesce. Ecco fatto! L’animale, che ha barattato l’ottomana con una spugna, oscilla la canna da pesca frontale, cui è appesa la sua speranza di pranzo. Le imprime moti discontinui con lievi soste e accelerazioni, finché, attirata l’attenzione della preda, fa fingere la fuga allo zimbello. Il pesce che lo insegue, quando sta per acciuffarlo, come per incanto scompare alla nostra vista. La bocca dell’antennario si è trasformata in una voragine, apertasi come per magia sotto all’incauto. Avete presente i vecchi borsellini con la chiusura a scatto in metallo? Recuperatene uno ed apritelo. Da piatto com’era, il portamonete ora può ingo-
Il protagonista della storia vive nei fondali di Lembeh, dove mi sono immerso partendo dal resort White Sands Beach Resort Lembeh, l’unico del suo genere a presentare una splendida spiaggia bianca ed un reef incredibilmente bello. La struttura è nuovissima, con pochi bungalow curati con gusto italiano dal proprietario, Andrea Bensi che da quasi vent’anni vive nella zona e la conosce palmo a palmo. Per info: www.eco-divers.com/new-eco-divers-resort-lembeh/ Email info@eco-divers.com
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IMMERSIONI, RELAX E YOGA di Andrea Piasentin
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a vita è dura, inutile negarlo. Vale la pena, però, per i “piaceri” che ci regala e per i “vizi” che ci concediamo… Giusto per pareggiare i conti con le fatiche, si intende. Il piacere è: poterci dedicare alle nostre passioni. La nostra passione è: la subacquea, non si discute. Però comporta anche impegno, attenzione, concentrazione; dunque come riprendersi dopo una “faticosa” giornata di immersioni? Viziandoci con qualsivoglia forma di benessere: vanno bene sia un massaggio defatigante che una sauna, sia un idromassaggio che un trattamento olistico... Ancora meglio se tutti assieme! L’importante è che il “relax” si impadro-
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nisca totalmente della mente e del fisico: sentirci coccolati fa si che la mente si liberi da ogni pensiero ed il corpo si rigeneri. Nosytour, seguace del “vivere bene in armonia”, da sempre sceglie accuratamente le proposte della sua amplissima programmazione prediligendo, ove possibile, i diving resort professionali che dispongono anche di una SPA e/ o di un centro Yoga per il post immersioni. Immaginate qualcosa di più rilassante di un massaggio sulla spiaggia, al tramonto, pensando alle meraviglie viste durante le immersioni della giornata? Qualcosa di più rigenerante per il corpo, la mente e lo spirito di una sessione Yoga con i piedi nella sabbia? Il corpo ringrazia e la mente pure.
Finalmente abbandonato (grazie al cielo) lo stereotipo delle “immersioni subacquee = sport estremo”, sempre più persone si avvicinano al mondo sottomarino per rilassarsi perché, le immersioni, hanno molto più in comune con lo yoga e la meditazione di quanto si possa pensare. In effetti, queste due attività, sviluppano competenze che si completano perfettamente a vicenda migliorando le prestazioni di ognuno in entrambi gli ambiti. Lo yoga combina esercizi di respirazione (pranayama) e posture fisiche (asana) per determinare uno stato meditativo che promuove un corpo e una mente sani (piuttosto utili sott’acqua, no?) mentre le immersioni offrono una tranquillità difficile da trovare fuori dall’acqua. A
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terra, a volte, è difficile spegnere l’interruttore ma, quando ci si immerge, le preoccupazioni vengono lasciate in superficie. Se sei già uno yogi hardcore ti innamorerai sicuramente delle immersioni subacquee: è molto più facile rilassarsi quando si sentono solo bolle. Se sei già un subacqueo, cominciare a praticare yoga o meditazione, migliorerà in modo significativo la tua esperienza subacquea: noterai che le tue immersioni dureranno più a lungo, la galleggiabilità sarà migliore e sarai in grado di affrontare molto
più facilmente tutte le situazioni stressanti o difficili che si presenteranno. Le nostre vite stressanti relegano la meditazione sul fondo delle nostre priorità: anche quando troviamo il tempo, lottiamo mentre le nostre menti tendono a vagare e portarci fuori rotta. È qui che entra in scena la subacquea. La meditazione subacquea è altamente accessibile. Come subacquei raggiungiamo uno stato mentale meditativo quasi ogni volta che entriamo in acqua, diventando più consapevoli dei nostri corpi mentre connettiamo il nostro respiro al
movimento. Le sensazioni che proviamo in immersione possono creare un profondo senso di calma che è molto più difficile da raggiungere a terra. L’oceano offre il luogo perfetto per calmare la mente e concentrarsi veramente sul momento presente: il cellulare non squilla sott’acqua (ancora per poco, temo) e non ci sono social media a distrarre. Non occorre fare uno sforzo mentale per allontanarsi dal mondo reale perché fisicamente lo si è già! Le immersioni subacquee offrono al cervello alternative serene su cui concentrarsi: dall’abbondante vita marina ai coralli colorati si ha a disposizione una serie inesauribile di bellissime tonalità blu. La prima regola delle immersioni è: “non trattenere mai il respiro”. Come nello yoga! Le immersioni subacquee si concentrano su un fattore chiave: la respirazione. La respirazione continua e costante è un’abilità di cui ogni yogi e ogni subacqueo hanno bisogno. Lo yoga pone l’accento sulla corretta inspirazione ed espirazione, poiché la respirazione è considerata la connessione essenziale tra corpo e mente. Questo è altrettanto importante nelle immersioni subacquee, dove si impara a rilassarsi attraverso la respirazione lenta e costante. Praticato regolarmente, lo yoga, promuove la respirazione profon-
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da e lenta e insegna a calmare la mente. Queste tecniche incoraggiano il corpo a sfruttare appieno la capacità dei polmoni e ad assorbire e utilizzare l’ossigeno in modo più efficiente. L’impulso di respirare è innescato dall’accumulo di anidride carbonica piuttosto che dal desiderio di ossigeno. Se non si espira completamente, l’anidride carbonica può accumularsi nel corpo. Ciò innesca una respirazione irregolare e superficiale che può portare a un aumento dell’ansia e del panico sott’acqua. Quindi, espirando completamente, si rimuove più anidride carbonica il che mantiene il respiro costante e la calma. Così facendo, non solo si migliorerà la galleggiabilità ed il consumo di aria ottenendo più tempo sott’acqua ma si avranno anche mente e corpo più rilassati. Un sub rilassato nel corpo, nel respiro e nella mente, diventa tutt’uno con l’acqua. Quando la tensione e l’ansia vengono rimosse ci si può abbandonare completamente al momento presente. La quiete dello yoga permette di lasciarsi andare e di “essere” nell’acqua, apprezzando appieno il momento. Di strutture di lusso che offrono bellissime SPA se ne trovano in tutto il mondo ma, le destinazioni che meglio coniugano immersioni, benessere, wellness e yoga, a nostro parere, si trovano in oriente, principalmente a Bali (Indonesia), nelle Filippine e nelle Maldive. I migliori diving Resort con SPA, massaggi o corsi yoga della nostra programmazione sono:
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BALI:
. Siddhartha Ocean Front Resort & Spa – Tulamben
. Mimpi Resort Menjangan (con sorgenti termali interne) - Pemuteran . Matahari Beach Resort & Spa - Pemuteran FILIPPINE: . Atmosphere Resorts & Spa – Dumaguete
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Pura Vida Beach & Dive Resort – Dumaguete . Buceo Anilao Beach & Dive Resort – Anilao . Turtle Bay Dive Resort – Moalboal (Cebu) . Buena Vida Resort & Spa – Malapascua (Cebu) . Amorita Resort – Bohol . El Rio Y Mar Resort – Coron (Palawan) . Coco Grove Beach Resort – Siquijor MALDIVE:
. The Residence - Huvadhoo
. Eriyadu Island Resort – Male Nord . Oblu By Atmosphere At Helengeli – Male Nord . Gangehi Island Resort – Ari Nord
. Angaga Island Resort & Spa – Ari Sud . Vilamendhoo Island Resort & Spa – Ari Sud . Dreamland The Unique Sea & Lake Resort & Spa – Baa. Una menzione particolare merita il Taveuni Island Resort & Spa alle isole Fiji.
Per maggiori informazioni: NOSYTOUR - Diving Travel Concept Tel. 011/360.934 www.nosytour.it . info@nosytour.it
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IMMERSIONI IN MAR ROSSO:
UN TOCCASANA PER LA MENTE E PER IL CORPO di Ornella Ditel (foto di Rinie Luykx e Valentina Cucchiara)
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a prima volta che ho visto un acquario ero nella sala d’aspetto di un dentista, avevo forse 6 anni e non mi sentivo a mio agio. Ricordo bene quel momento, non tanto per la sensazione di disagio, ma per la serenità che guardare i pesci muoversi in quella scatola di vetro dava ai miei occhi di bambina impaurita per
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un’esperienza mai provata prima: l’incontro con il dentista. Ricordo anche che durante la visita, per mascherare la paura e il dolore, continuavo -ad occhi chiusi- a pensare a quell’acquario che non solo mi aveva tenuto compagnia nell’attesa, ma che mi aveva soprattutto regalato una pace nuova, sconosciuta e ammaliante. La prima volta che mi sono immersa con
le bombole, circa 20 anni dopo quell’appuntamento con il dentista, ho riprovato la stessa emozione: un misto di tensione e di voglia di star bene, lasciando in superficie, come in un limbo fuori dalla mia mente, le sensazioni e i pensieri negativi. Ora, dopo centinaia di immersioni in mari straordinari e la raggiunta consapevolezza che i pesci vanno ammirati in acqua (non dentro un acquario!), la subacquea
VIAGGI le sensazioni provate sottacqua per loro sono simili ai benefici della meditazione. Non so se sia vero -ci dice Gianluca, commerciante di Reggio Emilia- non ho mai provato tecniche di meditazione o yoga, ma so di sicuro che durante l’immersione dimentico tutti i miei problemi e mi sento meno vulnerabile e più bilanciato”.
3. MIGLIORAMENTO DELLE CAPACITÀ DI CONCENTRAZIONE “In superficie sono piuttosto maldestra e purtroppo non mi sento per nulla a mio agio con il mio corpo a causa di qualche chilo di troppo. Quando sono sottacqua mi viene invece naturale mantenere una postura elegante, mentre controllo l’assetto con il ritmo del mio respiro, e allo stesso tempo sono focalizzata sull’ambiente che mi circonda. Ho notato che più mi immergo, più riesco a mantenere la concentrazione e la consapevolezza di chi e cosa mi sta intorno”, ci spiega Rachele, avvocato di Parma reduce da un divorzio tumultuoso.
4. APRE LE PORTE A VIAGGI PARADISIACI
è diventata la mia personalissima forma di auto-terapia, soprattutto quando le cose in superficie non vanno proprio nel verso giusto. Uno studio di Psicologia americano conferma che addirittura il tipo di flora e fauna marina osservate in immersione ha un impatto sul livello di benessere generale dei subacquei, sia sottacqua che in superficie. Secondo gli autori, le immersioni in aree con un’alta biodiversità e coralli e pesci dai colori sgargianti sono un vero toccasana per il nostro benessere. Come al solito, ci siamo fatti aiutare dagli ospiti e dallo Staff del Camel Dive Club & Hotel di Sharm El Sheikh, per identificare -senza alcuna pretesa scientifica- alcuni aspetti positivi riconosciuti da chi si im-
merge regolarmente durante le proprie vacanze in Mar Rosso.
1. MIGLIORAMENTO DEL BENESSERE EMOTIVO “Stare sottacqua ci riporta al senso di sicurezza, felicità e calma generale che si prova nella placenta materna. Non è certo un segreto che i benefici di una mente rilassata aiutano ad avere un’attitudine positiva e quindi ad allontanare il rischi della depressione”, ci racconta Simonetta, psicologo di Padova.
2. DIMINUZIONE DELLO STRESS Avere una mente serena aiuta il nostro sistema nervoso centrale a raggiungere il suo equilibrio fisiologico. “Molti sub che frequento mi dicono che
Paola, insegnante di Inglese alle scuole medie, ha imparato a immergersi al lago, d’inverno. Dopo aver provato il Mar Rosso sceglie sempre mete subacquee calde durante le vacanze scolastiche. Ci dice: “Immergersi in mari caldi come il Mar Rosso minimizza la fatica, riduce la necessità di indossare mute troppo spesse (e quindi riduce anche la quantità di zavorra necessaria), consente di prendersi una pausa a basso costo dall’inverno italiano e inevitabilmente apre le porte a esperienze nuove per il corpo e per la mente.” Come non darle ragione?
5. IL POTERE CURATIVO DELL’ACQUA DI MARE E DEL SOLE “L’acqua di mare aumenta l’elasticità della pelle e ne migliora l’aspetto; la luce solare aumenta i livelli di vitamina D che sono essenziali per l’assorbimento del calcio nelle ossa, rendendole più sane e più forti”, sottolinea Marzia, fisioterapista di Pisa. Ormai è risaputo che l’esposizione al sole fa aumentare la produzione di endorfine nel nostro cervello, stimolando sensazioni di gioia e felicità. “Cicli regolari di relax durante l’immersione e nel dopo immersione sono per
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me vere e proprie iniezioni di vitalità e benessere”, conclude Marzia.
6. VIVERE LA NATURA E LA SUA CONSERVAZIONE DA PROTAGONISTA “Immergermi mi avvicina alla natura, sia in senso letterale che in senso figurato”, ci dice Pietro, farmacista di Novara. “Mi sono reso conto che da quando sono diventato un subacqueo apprezzo molto di più la Natura. Sottacqua mi sento parte del mondo sommerso e cresce in me la voglia di preservarlo, evitando comportamenti irrispettosi dell’ambiente sia in immersione che a terra”.
7. COSTRUIRE RELAZIONI DURATURE CON ALTRE PERSONE “La vita frenetica da ufficio spesso lascia poco tempo alle frequentazioni personali”, sottolinea Annalisa, di Perugia. “Tutti hanno i propri impegni familiari o lavorativi e non sempre le amicizie di lunga data condividono con me gli interessi
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nati da adulta, come la subacquea. Tutte le mie vacanze sub in solitaria al Camel Dive Club & Hotel sono state occasioni preziose e garantite di incontrare persone che condividono la mia passione per il Mare e che sono diventate in alcuni casi i miei nuovi compagni di viaggio e di chiacchiere spensierate. In vacanza è più facile conoscere persone nuove e sentirsi quindi parte di una comunità gioiosa, non sempre facile da ritrovare nella vita di tutti i giorni.
8. AUMENTO DELLA SICUREZZA IN SE STESSI, DELL’ AUTOSTIMA E DEL SENSO DI LIBERTÀ Laura, contabile inglese, ci dice “La subacquea è stata fondamentale nel recupero psicologico dopo l’incidente che mi ha reso diversamente abile. La sensazione di essere senza peso e libera da qualsiasi ostacolo fisico al mio movimento è ancora oggi, dopo 20 anni in sedia a rotelle, il mio porto sicuro. Quando sono sottacqua mi sento più bella, più forte, più “Io”.
Stefano, guardia forestale friulana, aggiunge una prospettiva interessante a questa testimonianza. “La subacquea aumenta la percezione che abbiamo di noi stessi, proprio grazie al fatto che per immergerci dobbiamo entrare in un ambiente molto diverso dalla superficie. Sapere come gestire il mio movimento sottacqua mi fa sentire sicuro di me e appagato anche a terra.”
LA SUBACQUEA CHE MI METTE A DIETA? CHI L’AVREBBE MAI DETTO! di Claudia Benedetti
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uò qualcosa di così lontano da te, qualcosa che non ti saresti mai immaginato di poter fare, un percorso che non avresti mai e poi mai pensato di percorrere, portarti infine benefici collaterali che possono migliorare la qualità della tua vita? Me lo sono chiesta spesso negli ultimi mesi, e la risposta, neanche a dirlo, è sempre stata la stessa. La subacquea, quel mondo che con me non era mai c’entrato nulla, ci era riuscita. A farmi del bene, anche se indirettamente. Fisicamente graziata fino a pochi anni fa da un metabolismo che mi permetteva di mantenere una forma decente nonostante qualche eccesso di golosità e una con-
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genita antipatia per la palestra, mi sono invece ritrovata per la prima volta, a 37 anni appena compiuti, a sentirmi spesso fuori forma. Non parlo solo di rughe e smagliature, e di una pelle che non è più visibilmente elastica come un tempo, ma anche di stanchezza, stress e acciacchi che fino a qualche mese fa ritenevo esclusivo appannaggio di mia madre e della sua generazione. “Claudia non hai più vent’anni” mi sono spesso sentita rispondere, ma non nego che la mia testa e il mio spirito di contraddizione abbiano fatto non poca fatica ad accettarlo. E così me ne stavo seduta 8 ore alla mia scrivania recitando il copione della donna in carriera che non ha tempo per la
palestra, e allo stesso modo la sera non trovavo attività più gratificante e rilassante che stare seduta sul divano a guardare la televisione facendo finta di essere troppo stanca per svolgere qualsiasi tipo di esercizio fisico, anche il più banale. La sedentarietà aveva alla fine preso il sopravvento su di me. “La bellezza è comunque destinata a sfiorire”, mi ripetevo, “Non ho abbastanza tempo”, aggiungevo, accompagnando a questi pensieri l’amara consapevolezza che non stavo facendo il meglio per me. Ma da quel primo sudatissimo brevetto Open Water, le cose sono cambiate. Perché qui c’era in gioco di più, oltre alla taglia 38.
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Nonostante praticassi la subacquea solo a livello ludico ricreativo, mi sono infatti resa conto fin da subito di come uno stile di vita sano, sia da un punto di vista alimentare che da un punto di vista dell’attività fisica fosse necessario a garantirmi una buona performance sott’acqua, soprattutto in condizioni dove è richiesto un particolare sforzo cardiovascolare o nelle immersioni contro corrente. Se da un lato la subacquea aveva in poco tempo migliorato il mio autocontrollo, pompato la mia autostima e diminuito il mio livello di stress, mi avrebbe certamente potuta aiutare anche a mantenere un grado accettabile di benessere fisico, compatibilmente ai miei impegni quotidiani e al mio lavoro. Sebbene in acqua si abbia la percezione di essere privi di peso e nonostante avessi sempre considerato le immersioni più uno svago che un’attività fisica, ho dovuto imparare, proprio grazie alla subacquea, ad impormi regole e disciplina, soprattutto in vista dell’arrivo dell’inverno che per me era sempre stato sinonimo indiscusso di pigrizia. Studiai un piano di fitness, niente di complicato, ma che mi aiutasse a sentirmi meglio e a rientrare in quella stilosissima muta taglia XS comprata solo pochi mesi prima e che adesso mi stringeva ovunque. Nuoto e corsa svolti con regolarità un paio di volte alla settimana per non sentirmi
mancare il fiato dopo 30 metri di pinneggiata contro corrente, allenamento in palestra con pesi per essere finalmente più autonoma nel maneggiare la mia attrezzatura, nel risalire sulle barche o semplicemente nel sollevare le bombole. Allenare la respirazione per diminuire il consumo di aria e mantenermi calma e focalizzata, oltre che per dosare al meglio l’aria nei polmoni, andava anche a tutto vantaggio dell’assetto, da sempre il mio punto debole. Un combinato di attività aerobica e anaerobica, oltre a migliorare visibilmente il mio corpo, mi ha anche e soprattutto consentito di affrontare le immersioni subacquee con maggiore consapevolezza e sicurezza, e a non sentirmi inferiore e di intralcio a chi questo sport lo mastica ogni giorno, facendomi stupire di alcune mie prestazioni sott’acqua e di alcune particolari condizioni che mai avrei immaginato di poter affrontare con successo. In questi 10 mesi il mio brevetto Open è diventato un Advanced. A Raja Ampat, dopo un viaggio di 36 ore, se non fossi stata allenata e in forma, quelle tre immersioni quotidiane previste nel programma settimanale del resort, quasi sicuramente non sarei riuscita a sostenerle, o quantomeno a godermele. E sarebbe stato un vero peccato. Posso dire che la subacquea mi sia stata utile ancora una volta? Certamente. Sia a livello mentale, che sul piano fisico, rega-
landomi equilibrio e voglia di rimettermi in gioco. Il benessere psicofisico necessario per affrontare questo sport è uno stimolo a tenermi in forma, a mangiare più sano e a prendere il lavoro con un po’ più di leggerezza. È uno stimolo a vivere meglio. Oggi è passato un mese dalla mia ultima immersione. Ho voglia di ritornare sott’acqua, di sentirmi leggera e in armonia con quel mondo incredibile che ho scoperto esistere. Penso che andrò a trovare Luca di Click and Travel, so che lui saprà consigliarmi la destinazione perfetta per il mio prossimo viaggio sub, lui che riesce ad interpretare i miei desideri e le mie esigenze in vacanza, lui che fino ad ora non ha mai sbagliato un colpo.
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IRELAND WRECK TOUR: SS LAURENTIC di Andrea “Murdock” Alpini (foto di Nicola Faulks)
PAGINA DAL LOCH Un’occhiata di sole mi accieca in questo momento, eppure fino a cinque minuti fa la pioggia era battente. La nostra barca ha da poco mollato gli ormeggi. È mattino presto. La marea è bassa, oltre 2.4m sotto il livello zero. Il Pontoon oggi è da percorrere in discesa per caricare tutte le attrezzature. Tra trenta minuti circa saremo all’uscita del Loch, la laguna che separa il nostro attracco dall’Oceano Atlantico.
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Le onde sono alte poco meno di un paio di metri, il vento soffia a 15 nodi, condizioni “normali” o quanto meno accettate per uscire sui relitti.
SS LAURENTIC Tutti i subacquei hanno pensato almeno una volta di immergersi su un relitto che contenga un tesoro. Eccolo servito. 350 milioni di dollari in lingotti d’oro era il valore a bordo che è stato recuperato in toto nei decenni scorsi, restano perduti sul fondale circa una dozzina di tavel-
le dorate. Già, ma dove? Il relitto lungo oltre 200m è completamente sfasciato a causa delle due mine che ne hanno causato l’affondamento. L’SS Laurentic era una lussuosa nave che effettuava trasporto passeggeri dalla Gran Bretagna al Canada acquistata dalla compagnia White Star Line che ne cambio il nome da Alberta in Laurentic. Allo scoppio della Grande Guerra la nave fu trattenuta in Canada e armata con pezzi d’artiglieria di tutto rispetto. L’elegante trasporto passeggeri con
IMMERSIONI scarpe in vernice lasciò quindi il passo agli stivali delle truppe. 354 furono le vittime di quella tragica notte, quando il 25 gennaio 1917, la nave affondò. Molti morirono per il freddo subito a bordo delle scialuppe, altri nello scoppio delle mine e la maggior parte delle persone imbarcate morirono congelate nelle ghiacciate acque invernali dell’Atlantico. È innegabile che immergersi qui abbia un significato storico ma anche umano assai rilevante.
IL COLORE DEL FERRO Il primo fatto che ho notato immergendomi sono il colore e la forma che il ferro assumono qui nelle acque poco saline del Nord. Le spesse lamiere della nave sono virate cromaticamente tra l’arancione e il rosso anche se la maggior parte delle volte hanno tonalità simili a quelle dell’albume. Sono sbiadite, come in una vecchia foto d’epoca. Spugne e coralli molli le ricoprono completamente. Il ferro è poco corroso se paragonato al tempo in cui questo relitto giace sul fondale oceanico. Le varie componenti della nave
non perdono la propria sezione, tutti gli elementi sono facilmente riconoscibili. È suggestivo. Un grosso winch è il primo elemento che mi trovo di fronte una volta sul fondo,
a - 38m. Se si guardasse la profondità chiunque immaginerebbe un’immersione facile, altro che tecnica. Ecco, non è andata proprio così. La corrente contraria è assai sostenuta, la visibilità lungo i 200m
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LA STORIA, UN PO’ STRANA, DEL LAGO DI COMO di Filippo Camerlenghi (foto di Carlo Roncoroni)
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onostante anche i libri di scuola continuino a sostenere l’origine glaciale dei quattro principali laghi lombardi, è oramai assodato che i ghiacciai, nella formazione dei nostri laghi, abbiano contribuito solo con un leggerissimo e recentissimo “makeup”, mentre la vera origine sia invece da ascrivere a processi più antichi e affascinanti. Andiamo con ordine; chiariamo prima il concetto di genesi e poi di morfologia del Lago di Como intendendo, con il primo,
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la causa che ha portato alla formazione del profondo solco che ospita le acque del lago e, con il secondo, la causa che ne ha determinato la forma arrotondata dei versanti e la loro acclività. Tutto nasce dall’aver constatato attraverso i rilievi geosismici come il fondo del lago, almeno del ramo comasco, raggiunga una profondità di circa 400 metri. Interessante poi capire che il fondale stesso non è costituito da roccia ma da detriti che hanno ricolmato un canyon di più antica origine, profondo ulteriori 500 metri. In poche parole il solco del lago
è scavato nella roccia a circa 900 metri sotto l’attuale livello del lago e 700 metri sotto l’attuale livello del mare. Parlando poi della forma dei versanti del lago, dalle ricerche appare come quello sotto il livello dell’acqua ricordi la lettera “V” mentre il profilo della valle del lago al di sopra dell’acqua la lettera “U”. Rifacendoci ancora una volta ai libri di testo, ci ricordiamo che ci insegnavano che per una valle con profilo ad “U” si risale all’azione di un ghiacciaio, con profilo a “V” a quella di un fiume. È difficile pensare che un fiume abbia scavato il no-
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stro lago sotto l’attuale livello del mare perché un fiume, nel suo corso, scava l’alveo su cui scorre fino a raggiungere il livello del mare e non può scavare più in basso. Per avere una risposta si è ipotizzato prima, e scientificamente confermato poi, che il Mare Mediterraneo in passato si sia prosciugato.
Questo evento, verificatosi circa 6 milioni di anni fa a seguito della chiusura dello stretto di Gibilterra e a un cambiamento climatico in un regime più caldo, ha portato alla repentina evaporazione del mare (diventato lago) Mediterraneo e la conseguente escavazione dei solchi vallivi lacustri dovuti ai fiumi che
hanno dovuto “inseguire” la nuova linea di costa centinaia di metri più in basso. Di conseguenza il corso dei fiumi si allungava e questi scavavano anche dove non avevano mai scavato prima formando valli sempre più profonde… In questo modo i fiumi avrebbero scavato maggiormente per raggiungere il livello del mare, che si era abbassato di circa 1000 metri. Quando poi si aprì ‘definitivamente’ lo stretto di Gibilterra, l’acqua occupò nuovamente il bacino del Mediterraneo che ritornò al suo livello abituale. Iniziò a formarsi la Pianura Padana per l’accumulo dei sedimenti fluviali circa 4 milioni di anni dopo iniziò il Quaternario con le sue grandi glaciazioni che portarono la zona dei laghi subalpini alla situazione attuale che ben conosciamo. In seguito, durante poche decine di migliaia di anni, la situazione è tornata a quella attuale. Nell’ultimo milione di anni, infine, le glaciazioni hanno rimodellato l’antico solco fluviale in quello glaciale che osserviamo quotidianamente. In definitiva quindi, parlando dei nostri laghi, la definizione corretta è parlare di genesi fluviale e morfologia glaciale.
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PINNE ROSA DEL LAGO MAGGIORE
L’INTERVISTA (SECONDA PARTE) di Roberto Antonini (Foto di Silvano Barboni)
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e guardo mentre sorseggiano un drink e lancio alcuni semplici quesiti: “che cosa vi ha spinto ad intraprendere la disciplina subacquea?” La prima a rispondere è Beatrice: “Per quanto mi riguarda non posso che ringraziare la mia famiglia. Fin da piccola mi hanno insegnato ad amare il mare e mio padre faceva immersioni quando brevetti e regolamenti ancora non esistevano. Successivamente ha iniziato anche mio fratello ed io li seguivo sempre dalla
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superficie con la maschera. Poi un giorno, mentre facevano la sosta di sicurezza, sono scesa e mi hanno fatto respirare dall’erogatore... inutile dirlo, è stato un amore istantaneo. La passione per il mondo naturale e un po’ di follia hanno fatto il resto”. È la volta di Silvia: “Ho deciso di iscrivermi al corso Open Water Diver Padi in un momento particolare della mia vita. Il mio intento era quello di poter fare delle immersioni al mare o durante qualche viaggio verso mete esotiche. Sono sempre stata attratta dalle
scoperte subacquee ed affascinata dai numerosi documentari televisivi. Esplorare l’ambito marino è oggi, per me, la cosa più bella”. La parola va ad Elisa: “Un po’ per scherzo, un po’ per mettermi alla prova, io ho sfruttato un’occasione che si è presentata all’Acquaclub Varese: il battesimo dell’acqua, la prova con il gruppo ara sulle spalle da effettuare in piscina. Il solo pensiero di respirare sott’acqua, all’inizio mi intimoriva e mi metteva ansia, ma nello stesso tempo mi incuriosiva al punto di far scattare la
IMMERSIONI ro. All’inizio non è stato facile affrontare uno specchio d’acqua cupo ed oscuro, ma, di brevetto in brevetto, con l’acquisizione di maggior fiducia nelle mie capacità ed un equipaggiamento consono, ho cominciato ad apprezzare situazioni apparentemente insidiose che mi hanno addestrata ad affrontare al meglio anche il mare”. Cristina: “Anche nel mio caso il lago ha un valore aggiunto. Molti pensano che fare immersioni in zone lacustri sia possibile solo nel periodo estivo, al contrario, a noi che lo possiamo raggiungere facilmente, offre l’opportunità di goderne tutto l’anno. Naturalmente, in acque fredde, è basilare indossare una muta stagna. L’acquisizione del brevetto di immersione profonda (40 m) permette poi di ammirare pareti calcaree a strapiombo e canyon che l’acqua ha molla che mi ha spinto a sperimentare. L’emozione e la gioia provate sono state devastanti ed ora, nonostante gli impegni quotidiani, è difficile stare lontano dall’acqua”. Ora la palla passa a Cristina: “Merito del mio compagno se mi sono appassionata alla subacquea. Dopo diversi tentativi di convincimento, per niente persuasa, ho deciso di assecondarlo per farlo contento. Testa sott’acqua a un metro dalla superficie e, impossibile a credersi, in quel preciso istante mi sono resa conto che quel mondo mi avrebbe affascinato a tal punto da scegliere di condividere la passione del mio compagno e di seguirlo in ogni avventura”. “Che cosa rappresenta per te il lago e che rapporto hai con esso?” Beatrice: “Il rapporto che ho col lago è cambiato molto nel tempo. Da subacquea che inizialmente si immergeva solo in mare, l’incontro con l’acqua dolce è stato... particolare! Durante i primi tuffi le differenze nella temperatura, nella visibilità e nei paesaggi a cui ero abituata si sono fatte sentire. Ma col tempo ho imparato ad apprezzarle e ad amare le sue caratteristiche. Il lago ti forgia in condizioni molto diverse dal mare (e viceversa) e, ad oggi, il Lago Maggiore rimane una delle mie palestre preferite”. Silvia: “Mancava una settimana alla fine del mio corso Open quando i miei istruttori mi hanno suggerito una prova al lago. Facilmente raggiungibile da casa mia, da allora, mi immergo tre volte alla settimana e conosco tutti i luoghi più importanti di ritrovo: non avrei mai immaginato potesse diventare uno spazio così familiare in brevissimo tempo. Mi tornerà utile per imparare a fare la guida (divemaster) e ne godranno i miei allievi quando sarò istruttrice”. Elisa: “Il lago rappresenta la mia più grande palestra. Abitare vicino ai punti di immersione è stato fin da principio un vantaggio sia dal punto di vista economico che dell’ottimizzazione dei tempi e mi ha sempre permesso di far fronte, con sacrifici, agli impegni familiari e di lavo-
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abilmente costruito insinuandosi nella roccia nell’arco di migliaia di anni. Tale addestramento mi facilita nel ricercare ed ammirare, nel mare, gorgonie e relitti che si trovano alle stesse profondità”. “A questo punto mi pare inevitabile chiedere quale sia il vostro sogno nel cassetto”. Beatrice: “Più che parlare di sogno credo sia più corretto parlare di obiettivi. La lista in questo caso non è breve e, man mano che passa il tempo, continua ad allungarsi. Qualcuno però sono già riuscita a smarcarlo e sui prossimi ci sto lavorando. Diciamo che uno dei principali ora sarebbe quello di riuscire ad effettuare una discesa con un batiscafo durante una ricerca scientifica od un’esplorazione”. Silvia : “Il mio sogno nel cassetto più immediato è diventare istruttrice. Trasmettere la mia passione ad altri e poterli formare, mi stimola parecchio. (Complimenti Silvia! Sogno avveratosi appena dopo questa intervista) Appena possibile, poi, vorrei cimentarmi in immersioni tecniche”. Elisa: “Io vorrei vivere in un posto di mare. Dopo una giornata di lavoro, caricare l’auto e andare a fare un’immersione magari mentre il sole tramonta, non ha prezzo.
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Ultimamente ho fatto una mini vacanza a Malta con i miei bambini e ci siamo innamorati del luogo. Un vero Luna Park per i subacquei a qualsiasi livello e, perché no, anche per le mie piccole pesti”. Cristina: “Il sogno più a lungo termine è quello di girare il mondo alla scoperta dei fondali più attraenti. Quello più immediato è quello di diventare divemaster
ed aiutare il mio compagno come assistente nelle immersioni ricreative. Penso che non ci sia cosa più gratificante che vedere gli allievi imparare, crescere e divertirsi”. Hanno le idee chiare le nostre pinne rosa del Lago Maggiore. Mai come in questi casi è d’obbligo l’augurio “in culo alla balena” e che i vostri desideri vengano esauditi al più presto!!!
Imbarcatevi per un’affascinante odissea nell’Oceano Indiano
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CHI SONO, COME LAVORANO E PERCHÉ SOLAMENTE UN 47% RISULTA IDONEO A FINE CORSO di Annalisa Durighello
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rgogliosi del loro operato continuano a percorrere la nostra penisola devastata dagli incendi, distrutta dai terremoti e sommersa dalle alluvioni. I loro occhi e i loro visi parlano chiaro, sono persone che silenziosamente e da sempre si mettono al servizio della collettività con fatica e rischi fuori dal comune. Condizioni lavorative difficili unite alla collettiva predisposizione a far fronte alle difficoltà per salvaguardare la vita degli altri. Chi sono queste persone che davanti ad una telecamera non vediamo mai e
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perché è così difficile entrare a far parte del Nucleo Sommozzatori dei Vigili del Fuoco? Innanzitutto, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco è stata (a livello internazionale) la prima organizzazione non militare a dotarsi di Sommozzatori per scopi civili al servizio dello Stato. Ora, presenti in maniera capillare, i Sommozzatori intervengono soprattutto in incidenti e problematiche legate all’elemento acqua. La maggior parte delle volte stiamo parlando di emergenze e di operazioni svolte in luoghi angusti e di difficile accessibilità, come acquedotti, fondali, pozzi, cavità ipogee allagate, relitti, veicoli som-
mersi e reti fognarie. Il percorso formativo per diventare Sommozzatore VVF dura 22 settimane: di coloro i quali accedono al corso Sommozzatori ne risulta idoneo in media un 47% e questo perché, oltre a prove orali, scritte e puramente tecniche, ogni singolo candidato dovrà sottostare al giudizio da parte dei propri istruttori di squadra del proprio profilo psico-attitudinale, il cosiddetto PPA. In pochissime altre attività ci si deve preoccupare, oltre alla formazione fisica, di una così profonda e completa preparazione psicologica. Le caratteristiche psico-attitudinali che vengono prese in considerazione sono, oltre a quelle che riguardano il carattere
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dell’allievo (modestia, altruismo, coraggio, spirito di squadra) la pazienza, l’autocontrollo, l’attenzione, il senso dell’ordine e della precisione, il coordinamento spaziale. Tutte caratteristiche che vengono richieste al Vigile del Fuoco per risultare idoneo alla figura del Sommozzatore. Affidare i compiti dello psicologo agli istruttori può sembrare un’iniziativa coraggiosa però non si intravede altra soluzione e gli anni di esperienza uniti alle migliaia di controlli ne hanno dimostrato la validità. Evidentemente, i giudizi degli istruttori vengono facilitati anche dal fatto che, situazioni critiche di una certo tipo (soprattutto con certe temperature) mettono a dura prova il carattere di chiunque. La mia convivenza con loro mi ha fatto accedere ad un mondo di operatori del soccorso altamente qualificati e duramente selezionati da sempre. Soffia il vento della fratellanza, della riconoscenza e della solidarietà operando lontano da telecamere, negli scenari tormentati, ostili e inaccessibili ai più, riflettendo la luce dei loro mezzi e non di certo quella dei mass-media. L’unico modo per farsi mandare a quel paese da un Vigile del Fuoco è soprannominarlo “angelo” o “eroe” durante un’intervista, o addirittura basta chiedergli di concederla, un’intervista. Sembra non ne abbiano il tempo! Questi due sommozzatori hanno però dedicato a me qualche minuto spendendo qualche parola a riguardo degli interventi che più li hanno segnati.
Salvatore Milazzo ha partecipato al naufragio di Lampedusa del 3 Ottobre 2013 e al recente nubifragio che colpì la città di Casteldaccia: “Lavoriamo senza sosta da subito, il 3 ottobre 2013, a quella che viene descritta da molti come un’ecatombe di migranti, che portò alla morte di 368 persone e più di 20 dispersi. Recuperiamo inizialmente 7 corpi dal fondale profondo 47 metri. Fatico a dimenticare quello scenario. Ancora rivedo quelle immagini: le aperture laterali del barcone aprivano la visuale su un ammasso di corpi. Sembravano si stessero tenendo e abbracciando tra di
loro. Non ho mai provato una sensazione così… apocalittica. Ecco sì ragazza, quella è stata per me l’immagine dell’Apocalisse. Questi scenari mi fanno sentire davanti alla fine del mondo. In quel momento reagiamo in maniera meccanica: prendiamo i corpi, li vincoliamo e li facciamo risalire. Quello che ci portiamo dietro quando siamo implicati in questo tipo di situazioni, non lo so, non saprei proprio spiegartelo. Son passate poche settimane e ancora non riesco a dimenticare l’intervento di Casteldaccia del 4 novembre 2018. Le salme risalivano, una ad una, in su-
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perficie, a causa dell’effetto dell’acqua tiepida. Ragazzini, bambini, nonni, genitori. Abbiamo recuperato 9 salme, si trattava di un’intera famiglia. Anche noi la sera prima ci siamo fatti la barba, abbiamo visto un film con nostra figlia o abbiamo spento la candela di compleanno assieme a un caro. Siamo persone normali e trovo ridicolo quando ci chiamano EROI. Ci facciamo coraggio a vicenda tra di noi e questo è il nostro scontato segreto, vogliamo tornare il rispetto alla salma umana, sapendo che una volta in superficie potrà ricevere la giusta sepoltura.’’ Ugo Giustolisi ha partecipato alle operazioni di salvataggio e recupero salme all’interno della Nave Concordia. Durante quell’operazione i Sommozzatori dei Vigili del Fuoco, unitamente alle altre componenti del Corpo Nazionale VV.F. hanno dimostrato una lungimiranza e uno sforzo di pianificazione che dicono aver ritenuto necessario rare volte. “La Concordia affonda il 13 gennaio 2012. Nelle prime 24 ore la nave viene ispezionata con sistemi speciali di ricer-
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ca e vengono estratte vive 3 persone e recuperate 9 salme. Alla fine di gennaio, quelle 3 persone rimangono le uniche estratte vive dal relitto, mentre sono stati recuperati altri 15 corpi. Poi, buco. Un periodo di calma apparente in contemporanea ad un grandissimo lavoro di intelligence durante il quale però non si hanno risultati. Mancano 17 persone all’appello. La Concordia è un ambiente ostile, come se fosse una città ribaltata. Ci spendiamo giorni e giorni, controllando ovunque e non trovando nulla. C’è una grandissima pressione mediatica ed emotiva intorno a noi. Televisione, giornalisti, famiglie. Gli occhi del mondo puntati sull’Isola del Giglio. Ci riteniamo persone sensibili ma preparate e siamo abituati a tutto questo, chiunque abbia lavorato durante quell’operazione, durante quei giorni, ne è rimasto segnato. All’interno della Concordia non si trova nemmeno un pesce a causa dei rifiuti alimentari, tonnellate di sapone, liquami di ogni genere e cibo avariato. Abbiamo recuperato la salma di una bimba ed in quel momento la madre è salita con noi sul gommone, pregandoci di poter porre un mazzo di fiori vicino al luogo del ritrovo. Il nostro ordinario lavoro è questo. È fatto per la maggior parte di situazioni come queste. Situazioni nelle quali, quando raggiungi il tuo obbiettivo, è proprio lì che ti si gela il sangue”.
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FOTOGRAFIA SPLIT di Cristian Umili
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er fotografia split si intende la fotografia mezza fuori dall’acqua e mezza sott’acqua. È un tipo di fotografia non facile non solo dal punto di vista tecnico ma si devono avere anche le condizioni di mare ideali. Per ottenere le migliori immagini split si deve avere un mare calmo con poca onda, se possiamo il meglio è farle all’interno di una laguna oppure in mare aperto con il mare calmo, se scattiamo vicino alla spiaggia anche se il mare è calmo si forma sempre un po’ di onda di risacca dovuta alla repentina diminuzione della
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profondità. Il mare deve essere calmo perché dobbiamo riuscire a mettere nel mezzo dell’oblò il livello del mare, e avere delle onde ci rende la cosa difficile oltre a bagnare costantemente l’oblò ed avere nella fotografia gocce d’acqua indesiderate.
L’ATTREZZATURA Per fare questo tipo di immagini dobbiamo optare per un obiettivo super-grandangolare ma ancor meglio un obiettivo fish eye per riuscire a riprendere un’ampia porzione in aria e in acqua, per questo di solito si fanno usando macchine a obiettivo intercambiabile.
Oltre all’obiettivo è importante la scelta dell’oblò correttore, in commercio se ne trovano sostanzialmente di 3 misure: 4, 6 e 9 pollici. Qualche fotosub si è fatto fare un “dome” da 12 e più pollici, questi ultimi per via della quantità d’aria al loro interno aiutano a tenere stabile e far galleggiare la custodia rendendo agevole il posizionamento dello stacco aria-acqua. Per ingombro e bilanciamento sarebbe improponibile usare questi oblò così grandi sott’acqua. Ritorniamo agli oblò che troviamo in commercio, quello da 4” è ottimo per fare le foto wide-angle close up ma la cupola è troppo piccola ed è quasi impossibile
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FOTO/VIDEO SUB
TRAJE DE FLAMENCA di Claudio Ziraldo - www.ziraldo.net (Ricerca Tassonomica di Alessandro Ziraldo)
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a Ballerina Spagnola (Hexabranchus sanguineus, Ruppel & Leuckart, 1828), è un mollusco della famiglia Hexabranchidae. Il nome deriva dal colore del mantello simile a quello delle ballerine di flamenco, che indossano abiti rossi o dove il colore rosso è preponderante ed inoltre dal modo di muoversi; se disturbato infatti si allontana fluttuando elegantemente tramite contrazioni dei muscoli dorso-ventrali e muovendo il mantello, in una sorta di danza. È uno dei nudibranchi più grandi al mondo ed è di abitudini notturne. L’organo della respirazione è composto da sei branchie poste sul dorso nella parte posteriore del corpo, che la ballerina può ritrarre in apposite tasche. È dotata inoltre di una coppia di “rinofori”, tentacoli sensoriali simili a piccole corna, disposti sulla parte anteriore del dorso. Di colore variabile dal rosso con bordatura bianca, tipico della specie che vive nel Red Sea, al rosso o arancio maculato delle specie dell’Oceano Indiano e Pacifico; fino al giallo intenso degli esemplari che vivono nelle acque della Tanzania. Ho notato che la specie che vive in Mar Rosso è di dimensioni inferiori di quelle che ho trovato in Indonesia (Isole Sangihe) e alle Filippine (Isola di Cebu, Molaboal – “Sunken Island”). Si nutre di spugne di vari generi, di tunicati, molluschi ed altri piccoli organismi. Nelle branchie della ballerina spesso si trova un piccolo crostaceo simbiotico, un gamberetto della specie Periclimenes imperator, analogo a quelli che si trovano sulle oloturie, ma di colore rosso come il mantello della sua ospite. Spesso i gamberi sono due e, una volta, mi è pure capitato di intravedere, tra le
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branchie, le uova della coppia di simbionti. Ma entriamo nel vivo dell’argomento. Eravamo ancorati in un ridosso dell’Isola di Zabargad, nel Sud del Mar Rosso Egiziano e il mio amico Gigi Ferrari, che faceva da guida alla spedizione, mi propone una immersione notturna in un piccolo reef nel quale, in una crociera precedente, aveva visto alcuni esemplari di Ballerina Spagnola. Do a Gigi un piccolo servoflash dal momento che vorrei fare qualche scatto impiegandolo in controluce e concordo le modalità operative. Troviamo già qualcuno in acqua, subacquei di una imbarcazione ancorata non lontano dalla nostra; un po’ la cosa mi secca perché a volte, in questi casi, si trova un polverone; infatti…! Data la situazione “disastrosa”, decidiamo di risalire e portarci verso la barca ma, come a volte succede, la fortuna gira dalla nostra parte. Una bellissima ballerina, probabilmente disturbata dai sub che erano in acqua, “danza” appena sotto la superficie. Faccio un segnale al mio compagno che, come da accordi, si porta dietro il nudibranco a distanza di un paio di metri e punta il servoflash nella mia direzione. Eseguo qualche scatto (Foto nelle pagine precedenti) proprio sotto il pelo dell’acqua con il mio flash orientato dal basso verso l’alto, con lo scopo di far risaltare il riflesso della ballerina sotto la superficie del mare. Poi, sempre proseguendo la sua flessuosa danza, il nudibranco si abbassa un po’ di quota e quindi cerco di riprenderlo con il servoflash in controluce. In questi casi, quando il flash è orientato verso il soggetto, è opportuno che il servoflash venga tenuto con il braccio esteso; in questo modo il collaboratore risulterà più distante di un metro dal soggetto e quindi sarà meno probabile che venga illuminato dal flash principale (foto in alto a destra). Anche se si sono presi opportuni accordi prima dell’immersione non è facile ottenere il risultato voluto e spesso non si riesce ma, quando si colpisce nel segno, si ottengono immagini molto particolari e di grande effetto (foto al centro e in basso) Siamo stati un bel po’ di tempo in acqua con la ballerina e i ripetuti scatti di flash hanno attirato l’attenzione dell’altro gruppo e quindi prima veniamo at-
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FOTO/VIDEO SUB torniati da una marea di bolle e, subito dopo, “travolti” da un’orda di sub teutonici; al punto tale che perdo il contatto con il mio Buddy, che poi ho ritrovato sotto la barca. Quasi per magia, in mezzo al caos più totale, incontro di nuovo la ballerina in uno spazio di acqua pulito e libero ed eseguo alcuni scatti, propongo quello che mi piace di più.
SIMBIOSI Come ho accennato in precedenza Hexabranchus sanguineus ha un organismo simbionte, si tratta di un gamberetto della specie Periclimenes imperator, un piccolo crostaceo delle dimensioni di 2 cm. o poco più; riguardo alla foto allegata preciso che è stata realizzata in altra occasione, con obiettivo 105 mm. macro. Il fatto che il gambero imperatore viva sempre con un animale ospite pone diversi interrogativi in ordine al senso biologico di tale comportamento. Quali vantaggi possono trarre questi piccoli crostacei dalle relazioni simbiotiche? Vivendo con animali ospiti sono in grado di percorrere distanze che diversamente non potrebbero affrontare e si possono quindi spostare in habitat diversi. I gamberetti fanno inoltre parte della dieta di molti pesci ed invertebrati e, la possibilità di cercare rifugio presso stelle e nudibranchi, organismi noti per la loro velenosità, offre certamente una protezione nei confronti dei possibili predatori. Pare inoltre che i Periclimenes possano nutrirsi delle secrezioni mucose e delle particelle cutanee degli animali ospiti che ne traggono beneficio; nel caso specifico attraverso la rimozione del tessuto necrotico superficiale. I gamberi imperatore sono particolarmente abili nel nascondersi allo sguardo degli intrusi, in primis adattando il colore del mantello a quello dell’ospite ed inoltre posizionandosi sul lato opposto del loro anfitrione; nel caso della Ballerina Spagnola, invece, “mettono su casa” nella corona branchiale, dove sono praticamente invisibili. Gli Studiosi, comunque, nonostante le varie ipotesi, non sono ancora stati in grado di determinare con certezza quale sia il vero tipo di relazione che intercorre tra questo gamberetto e l’animale ospite. Claudio Ziraldo usa attrezzature SEA&SEA www.attrezzaturafotosub.com
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MIRRORLESS vs. REFLEX, O LEO3 WI vs. LEO3 di Massimo Boyer
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bbene sì, mi sono adeguato a quella che sta andando in scena, e che potrebbe essere vista come la seconda rivoluzione nel mondo della fotografia. Sono passato a una mirrorless e ho cambiato custodia sub, da Leo3 a Leo3wi. La prima rivoluzione a cui faccio riferimento, avvenuta a cavallo del millennio è stata il passaggio dalla fotografia chimica a quella digitale. Semplicemente credo che quando l’industria della fotografia si sia sentita pronta abbia realizzato il passaggio, senza porsi troppe domande, in stile Robespierre. Il che ha provocato inizialmente pianti e rimpianti da parte dei nostalgici, i più hanno preso atto del cambiamento. Quasi tutti ci siamo adeguati, adesso... alzi la mano chi tornerebbe indietro. Il passaggio al digitale, oltre ad eliminare la schiavitù dei 36 scatti e a rendere più veloce il processo di acquisizione e prima visione del risultato, si porta dietro un’altra importante conseguenza: il sistema reflex, pentaprisma, tendina e specchietto ribaltabile, progettato con lo scopo di rendere possibile la visione attraverso l’obiettivo, quindi di trasferire al mirino l’immagine che al momento
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dello scatto è vista dalla fotocamera, serve ancora? Tutto serviva, eccome, a evitare che la luce impressionasse la pellicola prima del tempo permettendo nel contempo la visione attraverso l’obiettivo, ma in un sistema digitale la luce proveniente dal soggetto
FOTO/VIDEO SUB può colpire il sensore, che invia il segnale allo schermo LCD o a un mirino elettronico, per mostrare la scena al fotografo. Il sensore al momento dello scatto registra la luce, ma non ha bisogno di essere messo al buio prima da uno specchio, quindi possiamo farne a meno (mirrorless vuol dire appunto “senza specchio”), e possiamo fare a meno anche del pentaprisma, e del vetro smerigliato per la messa a fuoco, e alleggerire e rimpicciolire l’attrezzatura. La fotocamera, la custodia, tutto insomma. Ed ecco la seconda rivoluzione, il passaggio al mirrorless, più sotterraneo e lento ma a giudizio di molti inarrestabile. Va detto che in questo caso non tutti i costruttori si trovano allo stesso punto, e così, mentre alcuni resistono e investono ancora sul mercato reflex, altri che finora erano stati ai margini della fotografia si sono buttati nel nuovo settore di mercato con grossi investimenti e collaborazioni importanti con costruttori di lenti. La prima cosa fondamentale per me è questa: si risparmiano grammi preziosi, che sommati tra loro diventano chili, e soprattutto chi viaggia in aereo sa quanto sia importante. Se per la foto esterna molti giudicano le dimensioni di una reflex quelle giuste da maneggiare, nella fotosub piccolo è meglio. A causa della distanza diversa tra l’attacco dell’obiettivo e il sensore, praticamente tutti i costruttori hanno dovuto passare a una linea dedicata di obiettivi. L’assortimento è ancora per forza di cose limitato rispetto al parco obiettivi che può avere una reflex, ma si sta rapidamente adeguando e poi, spostando il discorso sulla fotosub, quali obiettivi sono realmente necessari per fotografare sott’acqua? Nel mio caso, la mia mirrorless è la Sony α7 III, ho trovato due lenti favolose nel nuovo parco di obiettivi equipaggiati con lenti Zeiss: uno zoom supergrandangolare 12-24 mm e un 90 mm Macro. Cosa potrei desiderare di più? Ho trovato che tra i fotografi esiste un preconcetto, mirrorless = messa a fuoco lenta. Può darsi che fosse vero per le prime generazioni, ma devo dire che la mia Sony mette a fuoco a grande velocità. Non avverto differenze sensibili con quanto avveniva con la Nikon, anzi, tra le due assegnerei a Sony la palma della più veloce. Leggendo il manuale d’uso e facendo i primi esperimenti sul campo mi sono reso conto di una cosa, che i nativi digitali faticheranno a capire: nel passaggio da Nikon analogica a Nikon digitale mi ero limitato a trasferire sul nuovo sistema quanto cono-
scevo dalla fotografia chimica, continuando a fotografare come avevo imparato. Col passaggio alla mirrorless sono proiettato nella fotografia digitale, e mi trovo a sfruttare davvero (e a dover studiare) funzioni e modalità d’uso per me nuove. Alcuni esempi? Ho sempre pensato che non ci fosse alternativa a guardare nel mirino per comporre l’immagine. Sott’acqua aggiungiamo spazio tra occhio e mirino, la custodia, la maschera, e dobbiamo imparare (in un ambiente che ci penalizza) a valutare diversamente l’immagine. In un sistema mirrorless invece si usa lo schermo posteriore per com-
porre l’immagine: grande, comodo da guardare anche allontanando la custodia dal viso e avvicinandola al soggetto. E con delle caratteristiche opzionali inattese da un vecchio fotografo nato nell’era della pellicola. Per esempio la possibilità di vedere sullo schermo un’immagine luminosa sempre, indipendentemente dal terzetto tempo/diaframma/ISO selezionato: opzione utile in profondità, in notturna o quando si lavori con tempi veloci, diaframma chiuso e ISO bassi, ad esempio in macro. O, se lavoro con un fisheye e desidero uno sfondo ben illuminato dalla luce natura-
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FOTO/VIDEO SUB
le, ma sottoesposto per avere l’acqua di un bel blu profondo, posso impostare il monitor in modo che mi mostri l’immagine come apparirà nello scatto finale (a eccezione del primo piano che sarà illuminato dal flash). E così via. A onor del vero ci sono ancora due piccoli inconvenienti del sistema mirrorless. Il primo riguarda la pulizia del
sensore, che si trova dietro all’obiettivo, senza la protezione di specchio reflex e otturatore, per cui a ogni cambio di obiettivo rischia di sporcarsi. Necessario fare molta attenzione, e per fortuna il fotosub non cambia obiettivo spesso. L’altro inconveniente riguarda la durata delle batterie, sottoposte a un consumo maggiore per via del monitor che rimane
acceso e consuma energia anche nei tempi morti. La custodia Leo3 wi di Easydive ricarica la batteria della camera durante l’uso, mediante connessione USB. Inoltre, se sappiamo che non useremo la fotocamera per un po’ di tempo, ad esempio per un trasferimento a nuoto, possiamo spegnerla dall’esterno. E vi ricordiamo che si tratta di una custodia universale, adattabile a vari modelli con un semplice aggiornamento del software che avviene via email, e che, grazie ai pulsanti elettronici, è operativa a -150 m. E la stessa custodia può ospitare alternativamente diversi modelli, riconoscendoli tutti tramite collegamento wireless. Che fatica, per un nativo analogico! Ma soprattutto è compatta, leggera, maneggevole, e trasmette all’esterno in via elettronica praticamente tutte le funzioni della mia nuova Sony, nonostante la pulsantiera ridotta rispetto alla Leo3 un tasto switch permette di accedere a funzioni di uso meno frequente. Leo3 wi è la custodia subacquea più tecnologica al mondo, la prima con collegamento wi-fi. Un altro bel punto a favore di Easydive, nell’attesa che la seconda rivoluzione fotografica si concretizzi definitivamente.
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NUOVE LENTI ADDIZIONALI SUPERMACRO di Pino Tessera
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on il nome generico di “lenti addizionali” si intendono tutte quelle lenti che si possono anteporre ad un obiettivo per variarne il rapporto tra distanza di messa a fuoco e rapporto d’ingrandimento. Utilizzando una lente positiva si riduce la lunghezza focaledell’obiettivo di un apparecchio fotografico ottenendo immagini più grandi a distanze molto ravvicinate. La distanza minima di messa a fuoco del sistema obbiettivo-lente addizionale dipende invece, oltre che dalla lente addizionale, anche dalla lunghezza focale dell’obiettivo e dalla sua distanza minima di messa a fuoco. Le nuovelenti addizionali supermacro di Weefine sono realizzate in lega di
alluminio resistente alla corrosione e rivestite con trattamento duro. Questo rivestimento protegge l’esterno della lente dai facili graffi e da eventuali colpi. L’obiettivo è stato accuratamente testato in condizioni estreme (profondità, temperatura, salinità e radiazioni) per garantire resistenza e durata nel lungo periodo. Le nuove lenti macro della serie PRO sono state realizzate per coprire i sensori sino al Full Frame. Cosa significa? Ciò vuol dire che queste lenti a parità di diottrie, hanno un fattore di ingrandimento superiore(vedi tabella sopra e foto sotto) e possono essere utilizzate con tutte le fotocamere digitali, anche quelle con sensore APS, con sensore 4/3 e con sensore 1”. Fotografie riprese da Francesco RASTRELLI con Nikon Z6 in custodia Sea&/ Sea MDX-Z7, 2 flash YS-D2J con Optical TTL Converter N/1 in modalità DSTTL. Fotocamera in modalità manuale Tempo 1/125 f 18 ISO 320.
WFL03 Lente macro + 12
WFL05S Lente macro +13 Pro Acromatica
Ob. Micro Nikon 105 mm
Ob. Micro Nikon 105 mm + lente WFL03
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Ob. Micro Nikon 105 mm + lente WFL06s
WFL06S Pro Lente macro +23 Apocromatica
IL PALLONCINO MAGICO PER L’APNEA di Jimmy Muzzone www.jimmymuzzone.com (In collaborazione con ApneaSicura il gruppo che si occupa della formazione di apneisti e pescatori in apnea seguendo le principali regole della sicurezza)
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ggi si parla di questo palloncino come se fosse una scoperta strabiliante. Per noi apneisti lo è, può essere fondamentale per migliorare le proprie capacità compensatorie, personalmente ho iniziato ad utilizzare questo palloncino chiamato esattamente otovent nel 2004 quando ho riscontrato i primi problemi di compensazione. Quando ho iniziato a frequentare i primi corsi di apnea sono sorti i primi problemi di compensazione in profondità ed ecco che vengo a conoscenza di questo palloncino magico grazie ad un medico. Sembra una scoperta perché oggi se ne parla come se fosse un metodo introdotto da
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alcuni apneisti per migliorare la compensazione ma in realtà nella medicina il palloncino è usato sia dagli adulti che dai bambini . Questo dispositivo è utile in diversi casi, orecchie ovattate, disturbi come fischio e ronzii e sensazione di ovattamento che a volte può provocare dolori, per la riduzione di reflusso gastroesofageo e nella logopedia. Oggi in commercio non esiste solo otovent infatti diverse aziende hanno iniziato a fabbricare cannule e palloncini per la ginnastica tubarica e di conseguenza abbiamo più scelta.
COS’È QUESTO PALLONCINO? È un dispositivo medico composto da un palloncino in lattice da gonfiare con
il naso, questo movimento aiuta a introdurre l’aria nell’orecchio medio equilibrando la pressione interna e di conseguenza compensare e far funzionare nel modo corretto la membrana timpanica. Lo suggerisco a tutti gli apneisti che vogliono mantenere l’efficienza della Tuba di Eustachio e del velo palatino, organi fondamentali per il funzionamento dell’orecchio medio per la compensazione Come funziona e dove si acquista? Semplice da usare, come dicevo lo prescrivono medici per la ginnastica tubarica, serve per allenare la membrana timpanica. Si tratta di un palloncino con una tenuta di gonfiaggio trattata dalle aziende che lo forniscono alle farmacie
ATTREZZATURA la parte più stretta mentre la parte della cannula nasale va appoggiata alla narice e attraverso questa verrà gonfiato il palloncino chiudendo la narice che rimane aperta. 1. Calzare il palloncino sulla cannula nella parte stretta. 2. Appoggiare la cannula nella narice. 3. Chiudere la narice aperta. 4. Gonfiare il palloncino espirando con una delle due narici mantenendo chiusa quella senza cannula. 5. Lasciare gonfiare il palloncino nel naso e inspirando leggermente proviamo a deglutire. 6. Cambiare la narice e ripetere. 7. Eseguire l’esercizio per 3 volte al giorno. e permette il gonfiaggio e la ginnastica tubarica purchè venga utilizzato nella maniera corretta. Quando si acquista otovent in farmacia o da aziende diverse come per esempio Octopus non implicano l’obbligo di avere una ricetta medica, all’interno della confezione troviamo i palloncini la cannula e il libretto illustrativo, il palloncino va calzato sopra
CARATTERISTICHE: ■■ Palloncino in lattice calibrato per esercitare una pressione fisiologica tale da far aprire la tuba di eustachio. ■■ Cannula. ■■ Foglio illustrativo (chi lo prevede). ■■ Costo dai 15 ai 17€ circa.
CHI LO PUÒ USARE? Come scritto inizialmente tutti lo possono utilizzare a partire dai 3 anni ed è indicato nella disciplina dell’apnea, pesca in apnea e tutte le attività subacquee. Chi come noi pratica le immersioni in apnea deve cercare di mantenere allenata la muscolatura della tuba di Eustachio in modo tale da evitare i disturbi creati dalla pressione dell’acqua sulla membrana timpanica durante l’immersione e l’emersione, inoltre per gli amanti della profondità è utile per l’equalizzazione di Frenzel e Mouthfill. Non solo noi apneisti usiamo questo palloncino infatti anche i piloti di volo nelle due fasi di decollo e atterraggio per alleviare il fastidio della pressione.
CONTROINDICAZIONI: È sempre bene prima di acquistare otovent o qualsiasi altra marca eseguire una visita otorinolaringoiatrica per controllare lo stato dell’orecchio perché se ci fossero presenze di patologie in particolare se ci fossero delle infezioni o peggio delle perforazioni della membrana timpanica non va utilizzato il palloncino.
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“CARBON GUN METAL” BY SCUBATEC di Orante Trabucco
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on la serie “CARBON GUN METAL” by SCUBATEC l’azienda intende segnare in maniera importante il proprio cammino verso un più incisivo riconoscimento del proprio marchio a livello internazionale anche e soprattutto nei confronti dei subacquei più esigenti ed attenti ai minimi particolari. La serie CGM, rigorosamente numerata e certificata, si contraddistingue per la scelta innovativa delle materie prime e per la peculiarità delle lavorazioni. Le principali caratteristiche tecniche della serie “CARBON GUN METAL” by SCUBATEC sono le seguenti: • Primo stadio: si caratterizza per il corpo interamente in lega di ottone ad alta resistenza lavorato da pieno con macchi-
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ne CNC LATHE Pluriassi di ultima generazione. Tutta la produzione è testata ciclicamente già in fase di lavorazione nel simulatore d’immersone elettronico. Per aumentare la resistenza agli urti e ai graffi le parti esterne sono trattate con la avanguardistica tecnica PVD (Physical Vapor Deposition) al Nitruro di Cromo per sottovuoto e flash al plasma nella tonalità Gun Metal che ne aumentano la durezza superficiale e il consolidamento molecolare con il sottostrato. • Secondo stadio: si caratterizza per la cassa in tecnopolimero di nuova generazione con durezza paragonabile al metallo ma con elasticità di assorbimento degli urti tipica dei materiali plastici. La fibra base è estrusa con fibre di carbonio che conferiscono alla mate-
ria prima la tipica colorazione e finitura. Tutte le parti “metal”, come la valvola di regolazione di flusso e i raccordi, hanno le stesse finiture “Gun Metal” del primo stadio. La serie viene venduta solo in set completo, numerato e certificato, comprensivo di frusta con i raccordi trattati in tinta “Gun Metal”, per essere perfettamente outfit. Sono disponibili le seguenti configurazioni: EF22FX3200CGM: • 1° stadio F22 (pistone bilanciato con torretta girevole) con attacco DIN 200 ATM • 2° stadio FX3 con valvola di regolazione di flusso e effetto Venturi • Frusta BP da 75 cm con raccordi “Gun Metal”
ATTREZZATURA EF22FX3300CGM: • 1° stadio F22 (pistone bilanciato con torretta girevole) con attacco DIN 300 ATM • 2° stadio FX3 con valvola di regolazione di flusso e effetto Venturi • Frusta BP da 75 cm con raccordi “Gun Metal” EF30FX3200CGM: • 1° stadio F30 (membrana bilanciato con torretta girevole) con attacco DIN 200 ATM • 2° stadio FX3 con valvola di regolazione di flusso e effetto Venturi • Frusta BP da 75 cm con raccordi “Gun Metal” EF30FX3300CGM: • 1° stadio F30 (membrana bilanciato con torretta girevole) con attacco DIN 300 ATM
EF40FX3200CGM:
EF40FX3300CGM:
• 1° stadio F30 (membrana bilanciato uscite fisse) con attacco DIN 200 ATM
• 1° stadio F30 (membrana bilanciato uscite fisse) con attacco DIN 300 ATM
• 2° stadio FX3 con valvola di regolazione di flusso e effetto Venturi
• 2° stadio FX3 con valvola di regolazione di flusso e effetto Venturi
• 2° stadio FX3 con valvola di regolazione di flusso e effetto Venturi
• Frusta BP da 75 cm con raccordi “Gun Metal”
• Frusta BP da 75 cm con raccordi “Gun Metal”
• Frusta BP da 75 cm con raccordi “Gun Metal”.
illuminatori per la subacquea
Via Martino Longhi 31 21059 Viggiù (VA) P.iva 08524490961
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TACCUINO SUBACQUEO ATLAUA
PROVA SUL CAMPO di Massimo Boyer (Foto di Massimo Boyer e Luca Saponari)
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crivere sott’acqua? In fondo noi biologi lo abbiamo sempre fatto, ed è una parte molto importante del nostro lavoro. Teniamo presente che, volere o no, sott’acqua per l’effetto dell’azoto respirato sotto pressione siamo tutti un poco più stupidi. Anche fuori dell’acqua, se facciamo delle osservazioni interessanti ci insegnano che è meglio scriverle, annotarle, anche in fretta perché se non scriviamo tutto a fin giornata ci dimenticheremo molte cose importanti. Figuriamoci se
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aggiungiamo anche un pochino di effetto Martini. Osserviamo un fenomeno interessante, una specie sconosciuta, un comportamento mai visto prima? Una breve annotazione, magari accompagnata da uno schizzo, ci aiuterà a ricordarlo e a ricostruirlo. Già, uno schizzo aiuta molto la memoria. Non c’è bisogno di essere Giotto. Vediamo un pesce mai visto prima, con una macchia in posizione particolare? In un attimo il profilo del pesce è schizzato sul foglio, con la sua macchia nella posizione corretta, con cui andremo
poi, all’asciutto, a sfogliare libri e siti web. Non siete biologi? Non importa, tutti possono avere il desiderio di ricordare, di fissare in due parole e un veloce disegno le nostre osservazioni. Non tutti siamo fotosub, ma in cambio tutti facciamo osservazioni interessanti, che non è facile comunicare sott’acqua al nostro buddy o memorizzare nel dettaglio. La memoria dura poco (mannaggia, cosa volevo dirti?), una annotazione rimane. Lo abbiamo sempre fatto dicevo, e il nostro foglio era la lavagnetta di plastica, che a fine immersione spesso sembrava
ATTREZZATURA un campo di battaglia, coperta com’era di annotazioni, schizzi, note scritte in ogni direzione che solo noi avremmo saputo decifrare, e non sempre. Atlaua ha concretizzato una buona idea, che riprende in un certo senso il modo di lavorare di molti giornalisti e scrittori on the road del secolo scorso: rendiamo impermeabile il taccuino. Atlaua è un marchio che crea articoli di cartoleria destinati ad un uso in condizioni estreme, grazie all’utilizzo di materiali altamente tecnologici. Ho avuto modo di provare e far provare il taccuino subacqueo nel corso di un workshop sui pesci di reef organizzato dall’università di Milano – Bicocca, a cui ho preso parte come insegnante, e poi in Indonesia, in un tour fotografico. In entrambe le situazioni ho usato in modo intenso il taccuino per le mie annotazioni, apprezzandone molto e mettendo a dura prova alcune caratteristiche. Il taccuino atlaua è forte: anche sottoposto a continue prese e strattoni con le mani resiste, le pagine non si staccano. La malleabilità fa in modo che lo si possa maltrattare, sfogliandolo malamente per cercare una pagina bianca, come un poco tutti facciamo sott’acqua. La co-
pertina in neoprene lo rende galleggiante, ed è facile trovarlo appeso al GAV, ma non è troppo leggero, ha l’assetto giusto per maneggiarlo bene. La carta di origine minerale è anche una scelta ecologica, che risparmia gli alberi.E a fine giornata la lavagnetta andava cancellata, copiata in bella e ripulita con il sapone dei piatti per poterla riutilizzare.
Il notes subacqueo non si cancella mai, le annotazioni originali rimangono fissate sulla pagina, non sbiadiscono. Si gira pagina e si ricomincia. Un piccolo suggerimento per migliorare un prodotto già ottimo: l’aggiunta di un segnalibro che aiuti a ritrovare le ultime cose scritte, potrebbe essere utile in qualche occasione.
TEST MUTA SUBEA SEMISTAGNA 7MM di Marco Daturi
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egli ultimi anni ho avuto modo di utilizzare diversi prodotti Subea e devo ammettere che questo di cui scrivo ora è in assoluto quello che più mi è piaciuto della linea Subea, la muta semistagna 7 mm. Sono un amante delle stagne ma quando non sono strettamente necessarie trovo la semistagna un’ottima opzione, come per esempio nelle immersioni estive profonde con l’acqua intorno ai 12 gradi. Il calore viene assicurato dal neoprene da 7mm diversamente distribuito sul corpo per garantire confort-calore-robustezza. Per questo prodotto sono stati infatti utilizzati Thermospan su busto e dorso + Plush (bouclé nylon) sulle spalle per aumentare la sensazione di calore, Supratex sulle ginocchia per resistere meglio agli sfregamenti, tessuto stretch sul resto della muta, manicotti lisci in Glideskin alle estremità e al collo. Nonostante lo spessore di 7 mm la muta è facile da indossare grazie anche alle doppie cerniere sui polsi e sulle caviglia, molto ap-
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ATTREZZATURA prezzate da me che ho sempre un po’ di difficoltà soprattutto ad infilare le braccia. Sulla schiena una cerniera dorsale Tizip, completamente impermeabile, a garantire la tenuta fa il suo ottimo lavoro. In dotazione viene dato un grasso al silicone per la sua lubrificazione periodica. Le cuciture della muta e del cappuccio sono a tenuta stagna, con assemblaggio GBS (Glued and Blind Stitched): il neoprene viene prima incollato e poi cucito per più resistenza (l’ago non attraversa completamente il neoprene per evitare gli ingressi d’acqua). La muta è munita di un gancio per il cappuccio (in dotazione con la muta) posto sulla coscia destra, realizzato con un moschettone in materiale plastico, comodo per non perdere il cappuc-
cio durante gli spostamenti terrestri. Molto curato anche il design di questa semistagna Subea con una colorazione principale blu marino, innesti neri e grigi, rinforzi sulle spalle molto curati. Il prezzo, decisamente interessante con un listino di 269,99 euro, la rende molto appetibile per tutti. Oltre che esteticamente piacevole e comoda da indossare questa muta è decisamente robusta ed è uscita intatta dai miei numerosi stress test fatti di sfregamenti su relitti, piattaforme e rocce.
www.scubazone.it
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DIVE COMPUTER COSMIQ+
PROVA SUL CAMPO di Massimo Boyer
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prendo la confezione del mio Cosmiq+ mi trovo davanti un computer molto colorato, che fin dalla prima occhiata rivela appieno le intenzioni della ditta Taiwanese Deepblu, che sono quelle di offrire un prodotto che possa attirare le nuove generazioni verso l’immersione. Un prodotto giovane e moderno, un entry level che si localizza al top per alcune caratteristiche offrendo connettività
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bluetooth e un log book elettronico che permette di condividere subito le immersioni con un network di appassionati. Il telaio ha un aspetto compatto, robusto ma ragionevolmente piccolo. Due cinghioli tipo NATO, abbastanza lunghi per indossare l’oggetto con una muta stagna, completano il pacchetto. Completano l’offerta un cinturino elastico, due protezioni per il display, il cavetto USB per la ricarica e una comoda custodia.
IN IMMERSIONE Il display è ricco di dettagli e intuitivo, i dati importanti si leggono bene. Abbiamo provato l’oggetto in due settimane di immersioni a Raja Ampat, sito che presenta condizioni diversissime. Lo schermo luminoso si legge molto bene in condizioni di oscurità e di acqua torbida, avvicinandosi alla superficie col sole equatoriale che picchia direttamente nello schermo la lettura può diventare più difficoltosa e a volte è necessario trovare l’inclinazione giusta. In caso di deco una grossa scritta ci avvisa che abbiamo accumulato troppo azoto, il tempo totale di risalita va cercato tra i numeri in piccolo. È possibile impostare il Cosmiq+ per l’uso in Nitrox, cosa che non abbiamo fatto. Abbiamo invece provato per brevi apnee il computer nella modalità freedive, che mostra profondità, tempo di immersione, tempo totale e massima profondità, e si rivela utile per l’apneista.
IN SUPERFICIE Quello che rende speciale il Cosmiq+ è la possibilità di scaricare le immersioni
IL MARE È FEMMINA E NETTUNO È UN IMPOSTORE WWW.CLAUDIODIMANAO.COM
di Claudio Di Manao Parto da qui, dal primo capitolo di Io Sono Il Mare per raccontarvi come ci sono arrivato, a vedere il Mare come un’entità femminile. Me l’hanno chiesto in tanti. Come altri prima di me, mi sono porto una domanda: cos’altro può essere l’entità che ha generato la vita sul pianeta se non una femmina? Il Mito, quella fabbrica di simboli e archetipi che ci portiamo dentro da millenni, offre una risposta diversa. Ma solo perché c’è stato il trucco.
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u allora che vide Bahira. Camminava verso di lui come scivolando sull’acqua. I capelli neri le cadevano a ciocche pesanti sue spalle di bronzo. Lei alzò lo sguardo. Occhi così li aveva visti solo in certe ragazze beduine o afghane. Sguardi maestosi, raccolti prima che un velo li frenasse. Ma quella ragazza non era beduina. Le beduine non se andavano in giro in perizoma. E non usavano bagnoschiuma al cocco. Ciao Thomas, disse lei, noi ci conosciamo, mi chiamo Bahira. Era imperdonabile, non si ricordava. Si sforzò di far salire un sorriso alle labbra, ma gli uscì una smorfia strana. Tu, sei… Io sono il Mare. T’aspettavi un tizio con la barba inanellata e un tridente in mano?”
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Nell’antica classificazione degli elementi, e non c’è bisogno di essere dei fricchettoni new-age per comprenderne il concetto, l’acqua e la terra sono elementi femminili, mentre l’aria e il fuoco sono due maschi. L’acqua e la terra assorbono e generano, l’aria semina i pollini Il fuoco… be’, è quello che fa più casino di tutti: anche lui un maschio a tutti gli effetti. C’è da domandarsi perché i greci abbiano scelto Poseidone, (Nettuno per i romani) un brutto ceffo barbuto e col tridente, per rappresentare il Mare. È un brutto ceffo davvero, e Ulisse ne sa qualcosa L’iracondo ed erotomane Giove, in confronto, è Ugo Tognazzi. A cercare con impegno una femmina marina che conti, spunta Tēthýs, Teti o Tetide (da non confondere con Teti la nereide, madre di Achille). Per quanto abbia dato il nome a un oceano primordiale, Tetide è poco più di una comparsa, una che non dice una sola battuta in tutto il copione greco-romano. Perché è lì, nel mito? Tetide è come un VHS nell’era digitale. È ancora lì perché i greci non hanno mai osato toglierla (non si sa mai con le divinità) ma già dal loro tempo nessuno poteva più ascoltare, né vedere i suoi messaggi. Prima di diventare una silenziosa divinità obsoleta si chiama-
va Tiāmat, ed era babilonese. Non una babilonese qualsiasi, era la Dea delle Acque Salate e (udite, udite) Madre del Cosmo. Per trovare qualsiasi figura femminile che abbia la dignità di un Giove bisogna per forza tornare a Babilonia. Lì le divinità più importanti erano femmine, come Ishtar. Poi qualcosa è cambiato, la nuova società patriarcale ha cambiato il modo di leggere le cose. Così, le antiche divinità femminili di altissimo rango diventano dei VHS, tranne Afrodite ed Era, l’una figlia e l’altra moglie di Zeus-Giove. Ci siamo capiti. La madre come il mare. Era il titolo di uno speciale su Albert Camus che ho visto da piccolo, su TG7. Me lo ricordo ancora: in Francese madre (mère) e mare (mer) si pronunciano allo stesso modo e sono entrambi sostantivi femminili. Mi convinse talmente che da allora ho sempre pensato al mare come a una donna. Il Mare, nelle religioni Vudù e Candomblé, dove gli dei si chiamano Orixa, è Yemanja, Madre di tutti i figli pesci. Yemanja veste di bianco e i suoi fedeli le offrono specchi dove ammirare la sua bellezza, dei pettinini per mettere in ordine la sua lunga chioma ondulata, e dei dolcetti al cocco. A Rio de Janeiro, nella notte di capodanno, dalla spiaggia di Copacabana salpano migliaia di barchette di carta con su un lumicino in suo onore. In Sudamerica Yemanja ha avuto più fortuna di Tetide-Tiā-mat: nel trasformarsi è diventata la Madonna Nera, madre di Cristo. Così ho deciso di chiamare il Mare Bahira, manipolando il fonema arabo Bahr: Mare. Il mare è un maschio in molte lingue, ma è un errore. Come un errore è quello che stiamo tutti facendo al Mare, a nostra madre.
RELAX
SCATTI SOMMERSI - ADRIANO PENCO
A cura di Massimo Boyer
Collana “I Maestri della Fotosub italiana - vol. III di Angelo Mojetta Ed. Magenes, 2019
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n questo III° Volume della collana dedicata ai Maestri della Fotosub italiana, l’autore Angelo Mojetta, più che realizzare un incantevole portfolio del fotografo subacqueo Adriano Penco, lo rappresenta tracciandone il percorso professionale. Sfogliando l’opera si ha la percezione di come le sue trasformazioni stilistiche non dipendono solo da una maggior abilità tecnica, ma anche dallo studio e l’applicazione, dalla creatività, e dal saper inventare un proprio stile che doni vita agli elementi racchiusi nel fotogramma. Oltre sessanta fotografie sono presenti in Scatti Sommersi Vol. III°, selezionate accuratamente per attraversare e illustrare una carriera lunga poco più di tre decenni. Lo stile fa risaltare la differenza e l’innovazione di un fotografo rispetto ad un altro, che non significa mettersi in competizione, ma solo esprimere differenti interpretazioni. La successione degli scatti pone in evidenza la conversione avvenuta dalla fotografia analogica a quella digitale di Adriano Penco, passando poi al reportage per l’editoria, alla rappresentazione tramite segno, forma e colore della sua prima mostra fotografica, fino ad esaltare il movimento, l’eleganza e la relazione tra uomo e animale. Un rapporto tenero, che pone entrambi , secondo il fotosub genovese, su un livello di gioiosa condivisione del mondo sottomarino, perché la vita è nel movimento. La fotografia è ormai riconosciuta a pieno diritto come linguaggio artistico ed è presente al fianco di pittura, scultura e video nelle grandi collezioni d’arte pubbliche e private. La sua forza ed immediatezza comunicativa e la moderna evoluzione digitale ne hanno fatto la forma espressiva prediletta dagli artisti contemporanei. Sono state proprio le recenti innovazioni tecniche a favorire il definitivo superamento del confine tra reale ed immagi-
nario, liberando la fotografia dalla rappresentazione per diventare strumento di costruzioni di mondi fantastici e onirici. Anche se il digitale è acclamato come una rivoluzione, gli artisti che svolgono la propria attività gravitano tra la “fotografia pura” e la “grafica pittorica”, ed è proprio da quest’ultima che ha attinto nel 2017 il progetto dal titolo Fondali Immaginari, realizzato da Adriano Penco e la pittrice digitale Aglaja Gabriella Corbo; di cui ne dà dimostrazione il volume Scatti Sommersi a pg. 124. “Fondali immaginari” è un progetto che ha trovato fonte d’ispirazione nell’esigenza di mettere la fotografia subacquea al servizio dell’arte pittorica terrestre. Tecnica, cromatismi, semiotica, creatività, emozioni, tutte qualità già presenti nella cornice dei fotogrammi dell’autore, che sono stati reinterpretati dalla illustratrice ligure. Ne è seguito un progetto che si sgrana tra fantasiose visioni e improbabili incontri, differenti soggetti che nella realtà si sono adattati a vivere chi in mare chi in terra , ma che tra i quadri si fondono valorizzando e catturando lo spirito e la luce della natura. Questo incontro e collaborazione ha influenzato fin da subito il fotosub, spronandolo a ricercare in ogni fotogramma singolari scenografie o riproduzioni di emozioni, rivolgendosi alla realizzazione di fotografie da parete o se si preferisce da esposizione. Riproduzioni tematiche che, in una sola inquadratura, vogliono raccontare il coraggio, la felicità, la fiducia, la meraviglia, la paura e la sorpresa tanto per citare alcuni esempi. Emozioni che vengono recitate dai soggetti marini racchiusi nelle scene e dagli stessi trasmesse a chi le osserva. “Imagetelling” o “Storie in cornice”, come ama definirle Penco, sono l’ultimo progetto realizzato dal fotosub nel 2018 e trattato da Scatti d’ Autore da pg. 126 in avanti.
Immagini create per offrire in un fotogramma una narrazione diversa, non più una mera interpretazione della scena subacquea. Per seguire questa nuova vena artistica Penco ha prodotto immagini chiare dove gli elementi sono riconoscibili, attenendosi alla poetica dell’immagine che rappresenta il concetto cardine su cui ruota la propria identità , stile e sensazioni artistiche dell’autore. La monografia, di Angelo Mojetta, oltre a tracciare il percorso fotografico di Adriano Penco e di come è maturato col tempo , vuole essere anche lo strumento per dar voce ad un obiettivo del fotografo ligure: far conoscere le bellezze del mondo marino, e di quello che significherebbe perderle per colpa dei cambiamenti climatici o dell’ inquinamento, anche di microplastiche. In sintesi un incitamento e un invito a rispettare e tutelare maggiormente il nostro mare e l’intero pianeta.
www.scubazone.it
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