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Immersione tecnica di Massimo Boyer
L ll concorso foto-video-sub nato nel 2005 dal team di Scubaportal si svolgerà come al solito on line, i partecipanti, potranno inviare le foto in base alle specifiche indicate nel regolamento www.zeropixel.it/myshot/ Le foto dovranno essere inviate entro il 31 Gennaio 2020 Data e location della premiazione verranno confermate a chiusura lavori. I premi dell’edizione 2020 sono offerti da:
a prima definizione di immersione tecnica deriva dai limiti imposti dalla fisiologia umana e dalla fisica dei gas con l’aumento della profondità, quindi della pressione. Normalmente si assume una respirabilità dell’aria fino a 40 metri (limite fissato per l’immersione ricreativa, senza decompressione), ma se vogliamo essere precisi il calcolo non dovrebbe considerare la profondità quanto la pressione parziale dell’ossigeno. Le didattiche tecniche considerano accettabili una pressione parziale di ossigeno entro 1,4 bar (con alcune eccezioni estendibile a 1,6) che si presenta, respirando aria compressa, a una profondità massima pari a 56 metri. Oltre questa soglia si può andare incontro alla tossicità dell’ossigeno, che è davvero pericolosa, può portare a danni permanenti. Per evitare danni se si pianifica di scendere a profondità maggiori si devono utilizzare miscele diverse dalla comune aria, con una percentuale variata di ossigeno, che richiedono un addestramento specifico superiore a quello richiesto per un’immersione ricreativa. L’immersione tecnica è spesso un’immersione profonda, che richiede tappe obbligate per la decompressione, e quindi tempi maggiori e uso di miscele decompressive più ricche in ossigeno e povere in azoto. Può essere definita anche in base alla necessità di respirare gas differenti dall’aria, come nitrox, trimix, heliox, heliair, hydrox, hydreliox, secondo la profondità. Può essere indicata talvolta dall’impossibilità di una risalita diretta in superficie, per via di ostruzioni o ostacoli tecnici: in particolare tappe di decompres-
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sione obbligatorie o un impedimento fisico. Infine è praticata con un’attrezzatura specifica. Spesso, per via della durata dell’immersione, si ha la necessità di aumentare il numero di bombole o di utilizzare un rebreather e, nel caso di lunghe decompressioni, si devono predisporre bombole di riserva alle quote di decompressione. Insomma, la tecnica ha aperto la strada a una galassia di nuove didattiche, di nuove attrezzature, di nuovi gas, di nuovi limiti e tecniche di immersione, dando nuova linfa a tutta l’industria che ruota attorno alla subacquea. Oggi al sub si apre una scelta fondamentale, restare ricreativo, cioè fare immersioni senza decompressione e senza frapporre ostacoli a una risalita diretta, o dedicarsi anima e corpo all’immersione tecnica, approfondendo l’addestramento e curando molto l’attrezzatura e la condizione fisica. È anche un fatto filosofico, vogliamo prendere la subacquea come un hobby leggero, non troppo impegnativo, “take it easy”, rimanendo sempre consapevoli dei nostri limiti, o vogliamo farne un’attività sportiva che in ogni immersione ci metta alla prova, con maggior cura, impegno, attenzione? Siamo tutti diversi, e credo che la cosa importante sia che ciascuno di noi tragga piacere dall’immersione, senza mai rischiare la pelle. Diamo la parola ad autori fra loro diversissimi per formazione e per livello di addestramento, sperando che i loro contributi siano di vostro interesse come al solito.
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SOMMARIO
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Immersione tecnica di Massimo Boyer
NEWS
managing and editorial director
Massimo Boyer massimo@zeropixel.it
Le origini della subacquea tecnica in Italia di Cesare Balzi
art director & graphic executive
Francesca Scoccia - francesca@zeropixel.it
III edizione del Trofeo di Assetto Costante Gianluca Genoni/SSI di Gianluca Genoni News di prodotto
contributors this issue
Massimo Boyer • Cesare Balzi • Gianluca Genoni • Francesco Turano • Luca Lucarini • Donatella Telli • Andrea Piasentin • Ornella Ditel • Marco Lausdei • Andrea Alpini • Carlo Roncoroni • Roberto Antonini • Claudio Ziraldo • Orante Trabucco • Omar Scialpi • Marco Daturi • Miroslaw Rozloznik • Peter Buzacott • Matt Jevon • Claudio Di Manao •
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BIOLOGIA
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle immagini senza il consenso dell’autore.
Workshop sui pesci di reef alle Maldive di Massimo Boyer
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Alcionari mediterranei di Francesco Turano
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Santa d’amare, conoscere il mare con le aree marine protette di Francesco Turano
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VIAGGI
Pubblicità: info@scubazone.it Download at www.scubazone.it
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Incomprensione della decompressione Luca Lucarini
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Le crociere tecniche firmate Albatros Top Boat di Donatella Telli
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XTrim Divers le migliori destinazioni per i subacquei tecnici di Andrea Piasentin
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Immersioni tecniche a Sharm El Sheikh di Ornella Ditel
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Un sogno nel reef... Un sogno ad occhi aperti di Marco Lausdei
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DESK IMMERSIONI La bettolina fluviale armata di finale ligure di Andrea “Murdock” Alpini
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Il corallo rosso di Portofino, una discesa all’Altare di Massimo Boyer
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Lago d’Iseo, la secca ritrovata di Carlo Roncoroni
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Deep Dive in Tech di Roberto Antonini
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VIDEO/FOTO SUB Storie di fantasmi di Claudio Ziraldo
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ATTREZZATURA Manutenzione delle attrezzature di Orante Trabucco
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Test Mares Scuba Ranger la linea sub per i bambini di Omar Scialpi
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Computer Action e Action HR Seac di Marco Daturi
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Pinne Subea 500 con cinghiolo elastico di Marco Daturi
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FOTO DI COPERTINA di Janez Kranjc Modella Ivana Orlovic Kranjc fotografata al relitto del ‘Stubborn’ a Malta
SALUTE Oltre i limiti ricreativi di Miroslaw Rozloznik e Peter Buzacott
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RIFLESSIONI Perché diventare Tec? di Matt Jevon
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RELAX Oroscosub di Claudio Di Manao
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Libri (a cura di Massimo Boyer) ›› Polluce Naufragio Furto Scavo: le vicissitudini di un piroscafo di Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto
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NEWS
LE ORIGINI DELLA SUBACQUEA TECNICA IN ITALIA di Cesare Balzi
Nell’ambito della seconda edizione delle conferenze EUDITEK, Fabio Ruberti, pioniere della subacquea tecnica in Italia, ha presentato: “Storia della subacquea tecnica, dagli inizi degli anni novanta ai giorni nostri”. Questo articolo è basato su di essa e sui suoi appunti.
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abio Ruberti, non ha bisogno di presentazioni, queste le sue credenziali che attestano una vita passata a fare ed insegnare la subacquea: 50 anni di attività subacquea, Instructor PADI dal 1983 fino al 1998, Course Director PADI dal 1988 fino al 1998, Istruttore e Trainer IANTD dal 1993 ad oggi, licenziatario IANTD dal 1993 al 2003, proprietario IANTD S.r.l. dal 2003 ad oggi, 26 anni di subacquea tecnica e IANTD in Italia, 36 anni di carriera didattica come istruttore e 31 come direttore di corso e trainer. Nella gremita sala conferenze dell’Excelsior Hotel di Rapallo, esordisce così: “Sono sinceramente molto compiaciuto e ammirato del livello qualitativo e dei successi che la subacquea tecnica ha raggiunto nel nostro paese e sono orgoglioso delle mete raggiunte dai giovani impegnati in questa attività. Ritengo che l’anzianità e il ruolo mi impongano di contribuire ancora, ma in forma differente, alla conoscenza di questa attività, non più in una sana competizione con i giovani, bensì raccontando e facendo capire da dove veniamo e che il punto da dove possono spiccare le loro imprese è stato raggiunto con sacrificio da chi li ha preceduti”. La presentazione si è incentrata sullo sviluppo della subacquea tecnica in Italia con richiami di sviluppi precedenti all’estero, soprattutto USA e UK, basata su documenti e sulla sua testimonianza, poiché Ruberti è stato non solo uno dei pionieri della subacquea tecnica, ma il primo in assoluto che ha iniziato la sua diffusione in Italia affrontando le ostilità delle agenzie didattiche e dell’industria legata alla subacquea ricreativa. La subacquea tecnica si è sviluppata direttamente da quest’ultima, infatti, una delle definizioni che le furono assegnate era anche Subacquea Ricreativa non Convenzionale. Indubbiamente, la principale protagonista dello sviluppo della subacquea ricreativa era stata la PADI, poi seguita dalle altre agenzie didattiche, che semplificando il livello addestrativo richiesto determinò negli anni ’80 e ’90 del secolo passato un aumento esponenziale della popolazione subacquea, creando un grande bacino sociale per il successivo sviluppo di
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quella tecnica. La PADI allora aveva addirittura una lezione specifica del corso istruttori (IDC) che analizzava la componente sociale della subacquea e sottolineava la necessità di mantenerla esclusivamente ricreativa. Ovviamente, vi erano precedentemente in ogni paese subacquei che effettuavano immersioni profonde sia ad aria che in miscela, ma erano attività principalmente legate ad aspetti lavorativi non ordinari, come ad esempio i corallari nel Mediterraneo o a recuperi subacquei su relitti, oppure a attività puramente esplorative come nel caso della speleo sub. Queste attività, però, oltre ad essere numericamente esigue, non erano supportate da agenzie didattiche e da un insegnamento istituzionalizzato, perciò, erano nella maggioranza dei casi estremamente empiriche e supportate da scarse conoscenze tecnico-scientifiche che causavano numerosi incidenti. Però le principali agenzie didattiche ricreative internazionali non colsero da subito le potenzialità di questo sviluppo, vedendo piuttosto in questa nuova attività un ritorno di quella pratica pericolosa dell’attività subacquea che avevano combattuto e vinto tra gli anni settanta e ottanta (negli USA, in Italia tra gli ottanta-novanta). Le principali ditte produttrici che nell’espansione a un pubblico generico e ricreativo avevano vissuto un notevole aumento delle loro vendite, le riviste e tutte le strutture d’opinione si conformarono a questa visione. Il nitrox stesso era considerato come pericoloso per l’attività sportivo-ricreativa. Tutto questo determinò alla fine un rallentamento nello sviluppo dell’attività subacquea tecnica. Nel 1990, la subacquea tecnica nasce negli USA con la IANTD quando Tom Mount acquisisce da Dick Rutkowski la IAND, fondata nel 1985, che si occupa-
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va solo di nitrox. In seguito Rutkowski, insieme ad Ed Betts, fondò la ANDI, che agli inizi si occupava solo di corsi con nitrox. Il Dott. Bill Hamilton Jr. si dedicò
alla parte medico scientifica dell’agenzia. Nello stesso anno, Tom Mount e l’editore della prima rivista di subacquea tecnica Michael Menduno furono i creatori del neologismo “Technical Diver” (Subacqueo Tecnico). Tom Mount lo registrò come marchio, infatti oggi tale dicitura è consentita solo sui brevetti della IANTD. Invece, il fisiologo e medico iperbarico Bill Hamilton Jr., creatore del metodo NOAA Repex e delle tabelle per la IANTD, la definì Subacquea Ricreativa Non Convenzionale (Non Conventional Recreational Diving) delineata dalle seguenti specifiche caratteristiche: 1) sviluppata da sub sportivi a loro spese e pericolo; 2) non si attiene a regole di sicurezza lavorative; 3) impiega tecniche oltre quelle della subacquea spor-
NEWS tiva; 4) impiega miscele, tecniche di gestione dei gas e di decompressione; 5) richiede programmazioni dettagliate; 6) richiede l’uso di multi-gas o di rebreather; 7) nitrox e aria profonda non sono attività tecniche, ma preparatorie. A seguito di questa creazione iniziò negli USA anche un tentativo di commercializzazione per convincere gli istruttori, i negozi e i centri d’immersione ad abbracciare questa nuova attività. “Nel 1990, al DEMA di Orlando – continua Fabio Ruberti - conobbi Michael Menduno, editore della prima rivista di subacquea tecnica aquaCORPS, che in seguito mi introdusse nell’ambiente. Perciò, anche in Italia la subacquea tecnica nacque sempre con la IANTD, quando decisi di importarla tre anni dopo, nel 1993. Il vessillo con il quale la subacquea tecnica cercò di entrare in un circuito più vasto della subacquea ricreativa era l’utilizzo del nitrox. Questo comportò una reazione molto ostile durante il DEMA di Huston del 1992”. In quell’anno, infatti, la direzione della fiera proibì l’iscrizione di tutte le ditte che favorirono o insegnavano l’uso del nitrox, tra queste, prima della lista, la IANTD, ma anche l’ANDI e ditte importanti di produzione come la Dive Rite e la DUI e la prima rivista di subacquea tecnica aquaCORPS. Queste reagirono organizzando una affollata e infuocata conferenza nell’Hotel Hilton. Fra gli organizzatori si rammentano tra i più importanti: Tom Mount, Billy Deans, Brett Gilliam, Mark Nease e Frans Vandermolen per la IAN-
TD, Dick Rutkowski e Ed Betts per l’ANDI, Michael Menduno per aquaCORPS, Hal Watts per PSA, Lamar Hires e Mark Leonard per la Dive Rite, Dick Long per la DUI, Richard Nordstrom per la Cislunar e molti altri. Ruberti, informato da Michael Menduno, direttore di aquaCORPS, di ciò che stava accadendo, andò ad assistere alla conferenza insieme a Carla Binelli. “Ne fummo molto colpiti – racconta Fabio Ruberti - e al termine decidemmo di andare a seguire un corso di nitrox a Key West, nel centro del trainer e vicepresidente della IANTD Billy Deans che ci era stato presentato alla conferenza da Michael Menduno. Fummo entusiasti del corso e Billy ci consigliò di contattare Tom Mount se volevamo diventare i responsabili della IANTD per l’Italia”. Sempre nel 1992, Kevin Gurr, Rob Palmer e Richard Bull fondarono la IANTD UK, la prima sede in Europa della IANTD. La proibizione del DEMA al nitrox e alla subacquea tecnica ebbe una decisiva reazione molto più importante nella creazione delle Tek Conferences organizzate da Michael Menduno e dalla rivista aquaCORPS, la cui prima edizione fu presentata nel 1993 ad Orlando, in Florida, immediatamente prima del DEMA. Dopo le Tek Conferences e il DEMA, Fabio Ruberti e Carla Binelli, continuarono i corsi a Key West, al termine dei quali, proseguirono per Miami e firmarono con Tom Mount il contratto di licenza. Al ritorno in Italia iniziarono ad organizzare le traduzioni dei manuali. Avendo allora un contratto di esclusiva con la PADI come
Direttore di Corso, Fabio Ruberti chiese l’autorizzazione per poter sviluppare il campo del nitrox e dell’immersione tecnica in quanto fuori dell’interesse commerciale della PADI. Fu chiamata IANTD Italia-Adria, perché comprendeva l’Italia e gli stati della ex-Jugoslavia. Nel 1994, le seconde Tek Conferences si svolsero a New Orleans dal 12 al 16 gennaio, prima del DEMA. Al termine Carla Binelli e Fabio Ruberti continuarono i corsi a Key West con Billy Deans e a Miami con Tom Mount per diventare istruttori e trainer IANTD di relitti e subacquea tecnica. La IANTD organizzò in quegli anni anche le prime spedizioni come si intendono oggi, le più famose quelle di Billy Deans sui relitti del Cazador e del Wilkes Barre, quelle di Tom Mount sull’Andrea Doria e su molti altri. Al ritorno in Italia ad aprile Carla insegnò il primo Corso ufficiale di subacquei nitrox e Fabio a maggio quello per istruttori di nitrox che poi furono seguiti da corsi di subacqueo tecnico. Questi furono i primi corsi di nitrox e subacquea tecnica svolti in Italia. Allora furono brevettati molti istruttori IANTD, alcuni che hanno proseguito lo sviluppo della subacquea tecnica con IANTD e altri con altre agenzie nate nel frattempo, fra i quali: Mario Arena, Marco Braga, Maurizio Brenna, Aldo Ferrucci, Fabrizio Giannelli, Neven Lukas, Massimo Patania, Edoardo Pavia, oltre a molti altri. Vennero allora presentati i primi analizzatori di O2, wings, illuminatori, reel della Dive Rite e tutta l’accessoristica necessaria. A questo scopo nacque la ditta Ac-
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quamarina, la prima specializzata nella vendita di prodotti per la subacquea tecnica, allora totalmente inesistenti in Italia. Nacquero allora anche i primi programmi di calcolo della decompressione: il Proplanner di Kevin Gurr, che diventò il programma ufficiale IANTD, e l’Abyss. Sempre nel 1994, Mauro Pavan prese la licenza per l’Italia dell’ANDI che allora insegnava solo corsi nitrox. Lo stesso anno iniziò la sua attività anche la SNSI di Umberto Pepoli che allora gestiva anche la SSI Italia che come agenzia didattica ricreativa non supportava lo sviluppo della subacquea nitrox e tecnica. La SNSI allora insegnava solo due corsi: il Nitrox I con il 32% di O2 e il Nitrox II con il 36% di O2 con una PpO2 massima di 1,4 ata e richiedeva tutto l’equipaggiamento pulito per ossigeno incluso il gav. A novembre 1994 Marco Braga fondò in Italia la PSA come agenzia didattica. Negli USA essa era una scuola subacquea che insegnava principalmente corsi di immersione profonda ad aria fino a 99 metri nel laghetto di Hal Watts Forty Fathom Grotto. All’epoca Watts era anche un trainer IANTD e insegnava corsi tecnici IANTD. L’estremizzazione della immersione profonda ad aria, come si è precedentemente visto, non era considerata immersione tecnica. Propedeutica, se insegnata entro certi limiti, troppo pericolosa oltre questi limiti, principalmente a causa della narcosi d’azoto. Nel 1995, inizia per la subacquea tecnica un grande successo in Italia: vengono brevettati dalla IANTD i primi Technical Instructor e i primi Instructor Trainer. Nel mese di ottobre, sponsorizzato dalle riviste aquaCORPS e DIVER, venne organizzato il primo Eurotek svolto durante il Dive Show di Birmingham, nel corso del quale la PADI e la BSAC dichiarano pubblicamente di non voler avversare il nitrox e la subacquea tecnica, aprendosi al nitrox, seguite poi dalle altre agenzie ricreative (SSI, NAUI, eccetera). Nel gennaio 1996, ci fu la quarta ed ultima Tek Conferences e DEMA a New Orleans. Visto il successo delle Tek Conferences e della subacquea tecnica il DEMA si arrese e la accettò e inglobò nella sua fiera decretando la fine delle Tek Conferences di Menduno. Sempre al DEMA, durante la riunione dei trainer IANTD, dopo una accesa discussione con Tom Mount, Brett Gilliam e Mitch Skaggs fondarono la TDI. In Italia, nel corso dell’EUDI Show a Bologna, per la prima volta in assoluto
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venne presentata la IANTD, la subacquea tecnica e gli equipaggiamenti necessari ad una fiera della subacquea italiana, con grande successo di pubblico. Nel 1997, il DEMA a Orlando inglobò definitivamente la subacquea tecnica e fece sparire le Tek Conferences, mentre in Italia, Claudio Corti fondò la TSA. Nell’estate di quell’anno Maurizio Mongelli e Fernando Ferrari acquisirono la licenza della TDI per l’Italia. Kevin Gurr (IANTD UK) iniziò le Tek Conferences in Inghilterra, la prima a Swindon e poi in seguito a Coventry. Lo stesso anno, sempre Kevin Gurr (IANTD UK) e Alexander
Sotiriou (IANTD Greece) organizzarono la prima spedizione sul relitto del Britannic, dando inizio alla “passione” per le spedizioni su relitti storici. Il 2000 fu un anno di grande sviluppo dell’immersione in trimix da parte della IANTD con numerosi corsi per subacquei ed istruttori. L’anno seguente Andrea Neri e Massimo Barnini fondarono l’UTR. Nel 2002 Mario Arena confluisce nella GUE. A luglio dello stesso anno, Edoardo Pavia diventa IANTD CCR Instructor e da grande sviluppo in Italia all’utilizzo di questi apparati elettronici brevettando numerosi primi subacquei,
NEWS molti dei quali in seguito diventeranno istruttori. A luglio 2003 ebbero inizio le IANTD Expeditions con la prima spedizione sul relitto della corazzata Szent Istvàn (Santo Stefano) con il patrocinio del Ministero della Cultura Croato. Sono le prime spedizioni in Italia che utilizzano metodologie di subacquea tecnica, sono strutturate con un preciso regolamento e organizzazione, la parte operativa è sempre seguita da un’opera di diffusione mediante articoli su riviste subacquee e pubblicazioni scientifiche, documentari, conferenze e libri. La diffusione della subacquea tecnica proseguì in Europa con le conferenze: nel 2007 Tomek Stachura organizzò il primo Baltictech a Gdynia in Polonia e nel 2008 Carl Spencer, Leigh Bishop e Rosemary E Lunn organizzarono la prima Eurotek Conferences a Birmingham. Nel 2014 le Tek Conferences ritornarono negli USA con l’edizione Tek Dive USA a Miami. Nel 2017 viene lanciato il primo Euditek Mediterranean Convention a Montegrotto Terme e nel 2019 la seconda edizione a Rapallo.
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III EDIZIONE DEL TROFEO DI ASSETTO COSTANTE GIANLUCA GENONI/SSI di Gianluca Genoni
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i è svolto lo scorso 15 settembre, sul lago d’Orta, per la precisone a Orta San Giulio, la III edizione del Trofeo di Assetto costante Gianluca Genoni/SSI. L’evento, organizzato da Gianluca Genoni in collaborazione con Sub Novara laghi, ha visto al via circa 50 apneisti, complicato prendere più iscrizioni, visto che ogni atleta parte da solo ed ha a disposizione tutto il campo gara e il team di assistenza, contrariamente alle gare indoor dove è
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possibile fa partire più atleti contemporaneamente. La gara è nata come evento promozionale per la disciplina dell’assetto costante ed in genere delle specialità in acque libere, viste la pochissime gare dedicate alla profondità, dove tutti i partecipanti possono cimentarsi in massima sicurezza secondo le proprie capacità. Il primo anno la profondità massima raggiungibile dagli atleti era di 50m, non raggiunta da nessuno dei partecipanti, lo scorso anno il vincitore, il Bellunese
Luca Viezzer, ha raggiunto i 50m e quindi come da regolamento quest’anno la profondità massima è stata spostata a 52m, raggiunta da ben 6 atleti, tra i quali il Pattese Massimo Mollica, quindi il prossimo anno la profondità massima per gli atleti più forti sarà spostata a 54m. Questo a testimonianza che il livello e il numero dei partecipanti sta crescendo molto anche nell’outdoor basta stimolare gli appassionati nella giusta maniera. Ricordo che quando 15 anni fa organizzai il primo trofeo in piscina dedicato all’ap-
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nea statica e dinamica, anche le competizioni indoor erano una rarità mentre ora sono molto diffuse su tutto il territorio nazionale. Sono consapevole che l’organizzazione per le gare in mare o al lago è molto più complessa e per garantire la sicurezza sono necessari molti più mezzi e precauzioni, ma credo anche che sono tanti gli appassionati preparati. Inoltre per molti il fascino del grande blu è più stimolante dell’apnea dinamica in piscina. Fare apnea al lago non è esattamente come praticarla in mare, la visibilità è limitata ma soprattutto la temperatura dell’acqua condiziona molto le prestazioni degli atleti, infatti se in superficie raggiunge i 22°, oltre il 28/30 metri scende fino a 6°, con acqua limpidissima ma molto buia dove e possibile vedere un minimo solo grazie alla luce delle torce posizionate sul fondo o utilizzate dai sub di assistenza per illuminare il percorso. Anche quest’anno erano presenti atleti provenienti da tutta Italia, dalla Sicilia a Belluno, da Ancona a Cuneo. La giornata di domenica é iniziata presto, quest’anno con un sole spendente, e alle 8, la giuria regolarizzava le iscrizioni degli ultimi ritardatari. Più di 30 persone, tra giudici e assistenti in acqua sono stati
coinvolti nell’organizzazione e come sempre si sono dimostrati all’altezza e pronti ad intervenire all’occorrenza, così come in barca la giuria ha gestito al meglio tutti i dati che arrivavano. Come sempre succede l’interesse per la prova diventava sempre più forte man mano che le profondità aumentavano e molti degli atleti che già avevano gareggiato si fermavano in acqua, in silenzio assoluto, a guardare le prove degli atleti che li seguivano, salvo poi esultare con loro alla fine della prova. Mentre negli atleti che partivano per ultimi quindi che dovevano raggiungere le profondità maggiori si percepiva un pizzico di tensione per la prova che stavano per intraprendere Alla fine della prova, in campo maschile, visto che sei atleti hanno raggiunto la profondità massima, la classifica è stata stilata in base a quanto il tempo realizzato per portare a termine la prova si avvicinava al tempo dichiarato e la vittoria è andata a Massimo Mollica, con uno scarto di meno di 2’’, secondo Jun Matsuno con uno scarto di poco più di 3’’ e terzo Luca Viezzer con 7’’ di differenza In campo femminile la vittoria è andata Marta Sali, del team Apnea Feeling,
con 41m davanti a Silvia Mancarelli con 36m, che ha preceduto Consuelo Valoppi con 31m. Ma ancora una volta i vincitori del trofeo, secondo quello che è sempre stato lo spirito della manifestazione, sono stati tutti i partecipanti. Una manifestazione che ha permesso a tutti i partecipanti di esprimersi secondo le proprie possibilità senza eccessive pressioni agonistiche. Osservando direttamente dall’acqua lo svolgimento della manifestazione, ho raccolto le confessioni dei partecipanti cogliendo in alcuni di loro l’emozione di partecipare per la prima volta a una gara di apnea, quella sensazione di confusione e ansia che li coglieva al momento della partenza e che rendeva completamente diverso quel tuffo rispetto ai tanti altri che avevano fatto a quelle quote durante gli allenamenti oppure nel caso dei più esperti e competitivi che riuscivano a trasformare le emozioni e la tensione della gara in energie positive, quindi in prestazioni oltre le attese. l’appuntamento con tutti ora è per il prossimo settembre per misurarsi di nuovo con se stessi e con le profondità del lago d’Orta.
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NEWS GAV 500B SUBEA
Il GAV 500B SUBEA a galleggiabilità dorsale offre una notevole libertà di movimento e un buon equilibrio in acqua. L’imbragatura è indipendente dalla camera d’aria, il che permette di non sentire la pressione. É dotato di due tasche laterali per zavorre sganciabili, due fisse dorsali e 6 anelli di trasporto. La cinghia pettorale è provvista di fischietto integrato per segnalare la propria presenza in superficie. Super: Galleggiabilità dorsale, Resistenza, Modularità
MARES MUTA STAGNA XR1 AQS KEVLAR SILICONE ■■ nuovo trilaminato NTS traspirante, ultra leggero e ad alta resistenza; ■■ nuovi rinforzi in kevlar/XR su parte posteriore, ginocchia e tibie; ■■ nuovo sopranastro iperdenso nero XR; ■■ nuovo metodo di cucitura e incollaggio (muta e tasche); ■■ collo e polsi conici in silicone si-tec grigio ad aggancio rapido, tenute stagne SLT sia sui polsi sia sul collo (possono essere immediatamente sostituite dall’utente); ■■ nuove valvole di scarico e gonfiaggio esclusivamente dedicate; ■■ nuovo design rielaborato e migliorato per massima flessibilità e vestibilità ■■ 2 cerniere ykk anteriori in plastica: una ad alta resistenza e una del nuovo modello ykk “aquaseal dry”; ■■ coulisse in vita e sottocavallo regolabili; ■■ comode bretelle larghe elastiche pre-montate e regolabili;
■■ stivali integrati in neoprene da 4mm a suola rigida; ■■ collo del piede rinforzato e cinghiolo regolabile in velcro per una chiusura perfetta; ■■ 2 tasche a quattro scomparti, autodrenanti, chiuse da cerniere ad alta resistenza e dotate di più elastici all’interno; ■■ cordoncino intorno al risvolto della tasca per una presa migliore; ■■ tenuta stagna intorno al collo e completo isolamento dal cappuccio per evitare infiltrazioni d’acqua; ■■ nuovo cappuccio stagno liscio da 4mm; ■■ nuova borsa tappetino più robusta ■■ per subacquei tecnici estremamente esigenti, lunghe immersioni in grotta, profonde e su relitti; ■■ estremamente resistente e durevole, eppure versatile: facilita tutti i movimenti come la pinneggiata a rana collo e l’accesso alla rubinetteria.
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BEUCHAT INNOVA CON INFINITY, RIVOLUZIONARIO GAV MODULARE Sia che tu ti stia immergendo vicino a casa e stia cercando il massimo comfort, o che tu stia partendo per un viaggio ai tropici e voglia viaggiare leggero, Infinity fa per te! E puoi anche impegnarti in immersioni più profonde ... un vero GAV 3 in 1! Infinity è un GAV rivoluzionario modulare, che si adatta alla tua attività, ai tuoi desideri, alle tue esigenze e al tuo sviluppo. Principali vantaggi per i subacquei: • Adattabilità • Grazie alla sua modularità, Infinity si adatta ai diversi livelli e alle nuove prestazioni richieste. • Modularità. • Come GAV modulare con multiple configurazioni, opzioni e accessori, Infinity può essere personalizzato per adattarsi a diversi subacquei individuali e/o soddisfare le esigenze dei subacquei che desiderano selezionare le loro attrezzature in base al tipo di immersione. • Differenziazione, unicità. • Sei tu a configurare Infinity, facendone un GAV costruito su misura per te, per accompagnarti nelle tue immersioni. È ben diverso da un prodotto in serie. • Comfort. • Infinity si adatta perfettamente alla forma del tuo corpo (ergonomia ottimale).
TORCIA TEK 5 DI DAWOSUB
Tek 5 nasce per il subacqueo più esigenze, i suoi 5200 lumen concentrati in un fascio a spot di 11, riescono a penetrare il muro di acque torbide che si trova ad esempio
nei laghi o in certe grotte. La testa illuminante è costruita lavorando dal pieno alluminio aereonautico con anodica nero opaco. Il canister o pacco batteria, è composto invece da differenti materiali, la parte superiore è anch’essa in alluminio, mentre per la parte inferiore la scelta costruttiva è stata di una resina acetalica copolimero caratterizzata da elevata resistenza meccanica, rigidità e durezza con elevata resistenza all’urto anche a basse temperature. Il pacco batteria ha una capacità in versione standard di 15Ah che permettono all’illuminatore di rimanere acceso alla massima potenza fino oltre le 2h. Il cavo di connessione, fra testa e canister, è di tipo robotico Super-Flex con sezione 2x1. Nel suo interno vi sono trefoli in Kevlar per permettere allo stesso di sopportare eventuali strappi accidentali. Il cavo è facilmente removibile, ciò permette di affrontare viaggi aerei in sicurezza disconnettendo la batteria dall’apparato illuminante senza rischio di accensioni accidentali.
MUTA STAGNA SEAC DRY PLUS 4.0 Muta stagna in neoprene da 4.0mm ad alta densità bifoderato nylon e nastratura stagna in neoprene. Calzarino: stagno in neoprene e suola con protezione in PU Print ad alta tenacità. Valvole di carico e scarico: Si-Tech. Cerniera dorsale: in metallo BDM con flap di protezione. Collo: Neoprene in Glide Skin esterno e Nylon Superstretch con flap di protezione esterno. Sistema di chiusura dei polsi: Neoprene in Nylon Superstretch e Glide Skin interno. Tasca laterale: in neoprene con cerniera YKK. Ginocchiere: in Tatex. Cappuccio: separato in neoprene superstretch con buckle per l’aggancio nella zona della tasca. Altre caratteristiche: sacca in tessuto, frusta e bretelle incluse.
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NEWS ASSOSUB
Dopo quasi trent’anni di onorato servizio, l’icona di Assosub con il subacqueo va in meritata pensione. L’evoluzione della società e della comunicazione impone anche ad Assosub la necessità di cambiamenti e aggiornamenti indispensabili. Si tratta di trasformazioni sia di contenuti sia di forma. Nei contenuti, oltre ai processi di cambia-
mento radicale imposti da alcuni anni all’evento rappresentativo dell’associazione: in Eudi Show si è visto anche iniziare un processo d’iniziative sviluppate verso aspetti importanti, quali quelli della sicurezza e della tutela dell’ambiente; ne sono un esempio l’iniziativa della rottamazione delle bombole (in accordo con un’ importante azienda produttrice) e quella del porta mozziconi (in collaborazione con SEE Life). Una strada che è solo agli inizi ma che Assosub ha intrapreso per percorrerla sino in fondo. Anche per questo si è reso necessario trovare per la comunicazione un elemento identificativo dell’Associazione. In un mercato frenetico ed esigente, ogni marchio per essere identificato, indipendentemente dal settore in cui opera, deve essere attraente e ispirare fiducia. Del resto il compito di trasmettere gli aspetti immateriali di un’associazione spetta proprio al logo. Ed è grazie al logo che si è riconosciuti e che ci si differenzia. Per raggiungere questi obiettivi si è partiti da alcune parole d’ordine quali: Semplicità e Riconoscibilità. Tutto questo senza aver paura di lasciare le proprie origini a favore del nuovo.
Un’operazione complessa e articolata che l’associazione ha voluto affidare a una primaria società. È stata affidata al Gruppo FMA, un’importante Agenzia di Branding e Comunicazione internazionale che grazie all’approccio innovativo è in grado di progettare esperienze identità di marca combinando analisi strategica e visione creativa mettendo sempre al centro del progetto l’utilizzatore finale. Tra i clienti di FMA si annoverano PIRELLI, FERRERO, PROCTER & GAMBLE, HEINEKEN, DUCATI, MTV, GRUPPO PSA e non ultima la FISU (Federazione Internazionale Sport Universitari). Dopo alcuni mesi e diversi studi, ecco che si è giunti alla versione definitiva che da qui in avanti caratterizzerà l’associazione. Uno stimolo ancora più forte per lavorare ora sui contenuti che dovranno dare un nuovo segnale a questo cambiamento. Il primo appuntamento pubblico nel quale verrà anche visto il nuovo logo Assosub è EUDI SHOW 2020 la cui 28° edizione si svolgerà a Bologna dal 28 febbraio al 1° marzo. Per tutte le informazioni come sempre www.eudishow.eu
ATLAUA – TACCUINI E RISME DI FOGLI DI CARTA IMPERMEABILE Atlaua è il nuovo brand 100% Made in Italy che si specializza in creazione di articoli di cartoleria impermeabili e ultraresistenti, pensati per l’utilizzo outdoor e in condizioni estreme. Quaderni, Taccuini e Block Notes sono realizzati artigianalmente in Sardegna e catalogati in collezioni standard reperibili sul sito ufficiale www.atlaua.it dove è possibile acquistare i singoli prodotti. Per le aziende è previsto un servizio completo di personalizzazione e creazione da zero di un articolo su misura per le loro esigenze. I prodotti Atlaua trovano largo utilizzo in diversi campi legati al mondo della subacquea, dall’istruttore che li usa per comunicare con gli allievi alle prime armi passando per i biologi marini che raccolgono dati sul campo o speleosubacquei che mappano nuove cavità effettuando i primi schizzi direttamente in immersione. L’ultima novità del marchio è l’aggiunta al proprio Shop online anche delle risme di carta impermeabile da 100 fogli, acquistabili per chi ha l’esigenza di catalogare comodamente i propri appunti una volta rientrato a casa.
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NEWS MARES 75XR SET TECNICO COMPLETO Il set include: - 2 secondi stadi dr - 2 primi stadi 75xr - 2 fruste (60 cm - 210 cm) - 1 collare elastico - 1 moschettone Le caratteristiche principali sono: ■■ vortex assisted design; ■■ mesh grid riprogettato; ■■ secondo stadio ad alte prestazioni; ■■ flusso stabile senza eccessiva pressione positiva di respirazione; ■■ (vad - vortex assisted design); ■■ nessuna necessità di regolazioni da parte dell’utente; ■■ compatto e robusto – il corpo tutto in metallo è realizzato in ottone cromato e nichelato;
■■ assetto leggermente negativo; ■■ robusto e resistente, ideale per immersioni con scooter, profonde, in acque fredde e su relitti; ■■ resistente all’acqua fredda; ■■ nuova frusta miflex in carbonio/titanio rivestita in poliuretano: maggiore resistenza a tagli, abrasioni, esplosioni e raggi uv – minore galleggiamento. tenuta stagna - flessibile e confortevole; ■■ soddisfa i requisiti relativi allo sforzo respiratorio della norma en250 alla profondità di 400 m alla frequenza respiratoria di 62,5 l/min utilizzando una miscela di 1,6% di ossigeno in elio (come da norma norsok u-101).
OCEAN FILM FESTIVAL
L’Ocean Film Festival ha inaugurato la sua terza edizione a Milano il 14 ottobre scorso presso il Teatro Nazionale CheBanca!, dando avvio a un tour che ha interessato 14 città italiane. La manifestazione, grazie alla sua formula che unisce alle tematiche ambientali quelle legate all’avventura e all’esplorazione, si è confermata per il terzo anno consecutivo un grande successo di pubblico. Siamo stati alla tappa di Milano, organizzata in collaborazione con Cerba HealthCare che ha visto sul palco Frank Lotta di Radio DeeJay a presentare Stefano
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Massaro, CEO di Cerba HealthCare Italia e il velista Roberto Ferrarese, pluricampione Mondiale e olimpionico. Tra gli sponsor in sala con piacere abbiamo applaudito Aqua Lung Italia, presente con Volvo Car Italia e SLAM. Segue l’intervento di Stefano Massaro, CEO di Cerba HealthCare Italia, che collegandosi alla tematica del festival, ha raccontato quanto sia importante la connessione con l’ambiente e la natura per la salute. “Noi di Cerba HealthCare Italia ci occupiamo di salute, di diagnostica e preven-
zione. Perché siamo qui? Perché non avrei potuto immaginare un posto migliore di questo”, così ha esordito Stefano Massaro. “Molti a Milano ci conoscono per uno dei nostri marchi, Delta Medica, che rappresenta il posto dove andare quando si parla di medicina dello sport. A noi però è sempre piaciuto associare questa specialistica all’idea di equilibrio nel vivere. L’essere umano trova il vero equilibrio quando entra in sintonia con ciò di cui si nutre, con il modo in cui utilizza il proprio corpo e con il modo in cui si relaziona agli elementi della natura, dell’ambiente e agli altri. In questi mesi ho voluto testare in prima persona un servizio che stiamo iniziando a proporre in questi giorni: test genetici su un campione di saliva ci danno informazioni accurate e personalizzate sulla nutrizione ideale e sul migliore allenamento per ciascuno di noi. Poco dopo sono partito per un viaggio in barca a vela nel mediterraneo: senza meta, senza itinerario predefinito, ma con l’idea fissa di seguire quelle prescrizioni, girando per luoghi bellissimi e vivendo intensamente il contatto con il vento ed il mare. Mi ha cambiato! La verità è che esiste un modo di vivere grazie al quale ci si sente in equilibrio con sé stessi, con la natura ed i suoi elementi. Basta solo abbracciarlo: prendetevi cura di voi stessi e della vostra salute e prendetevi cura della natura che vi circonda, proteggetela… e lasciatevi sedurre dalle 50 sfumature di blu”.
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WORKSHOP SUI PESCI DI REEF ALLE MALDIVE di Massimo Boyer
(foto sub di Massimo Boyer, foto esterne di Davide Seveso)
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ono arrivato a Magoodhoo con una barca veloce da Male. Sono nell’atollo di Faafu, Maldive. Sono venuto per fare da docente in un workshop teorico-pratico sui pesci del reef, la loro ecologia, i metodi impiegati per studiarli. Con un poco di emozione varco la soglia del centro, e mi trovo di colpo proiettato in un ambiente che non mi aspetterei di trovare qui, in una specie di santuario dedicato alla ricerca, con tutte le caratteristiche di un laboratorio di biologia marina, solo che se mi giro indietro vedo le palme, la spiaggia bianchissima e l’acqua turchina, con il colore che solo alle Maldive ha.
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Il Marine Research and High Education Center (MaRHE Centre) dell’Università Milano Bicocca è attivo dal 2009, a febbraio 2019 ha festeggiato i 10 anni di attività ed il rinnovo dell’accordo Bicocca-Governo Maldiviano per altri 10 anni. Grazie al Prof. Paolo Galli, Professore di Ecologia all’Università Milano Bicocca e Direttore del MaRHE Center, l’Ateneo ha intrapreso un progetto tanto nuovo quanto rivoluzionario: costruire ex novo alle Maldive una struttura dove ospitare studenti e studiosi di tutto il mondo per fare ricerca in ambito di biologia marina e non solo. Paolo Galli è stato per la prima volta a Magoodhoo nel 2009, si è innamorato del posto, e si è mosso scalando la burocrazia loca-
BIOLOGIA scientifiche e scaricare articoli. Infine nell’ edificio ricerca e didattica ci sono un paio di aule per lo studio, oltre che un’aula didattica attrezzata con banchi e proiettore per svolgere lezioni durante stage, master, workshop, conferenze ed altri eventi di divulgazione scientifica. Al MaRHE Center, due tipi di attività vengono principalmente svolte: attività di educazione/didattica e attività scientifica di ricerca, principalmente sugli effetti del cambiamento climatico sul reef e su come contrastarlo. Insomma, un piccolo miracolo italiano nel centro dell’oceano Indiano. Per inciso era la prima edizione del workshop, e ha avuto un grande successo, tanto che la direzione ha deciso di ripetere subito l’iniziativa.
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le per capire se la sua folle idea potesse funzionare. Il risultato è sotto i miei occhi. Il centro comprende 3 laboratori, completamente attrezzati con moderne apparecchiature tecniche: banconi, armadi, cassettiere, cappe sterili a flusso laminare, frigoriferi, congelatori, pompe a vuoto, centrifughe. Sono presenti svariati stereomicroscopi con illuminazione a LED integrata e macchina fotografica HD, microscopi ottici, microscopio a fluorescenza, piastre riscaldanti, criostato a raffreddamento a immersione (-80°C), bagnetti a immersione, stufette, vortex, set di micropipette, vetreria, provette ed altro ancora. È inoltre presente una piccola biblioteca con libri su ecologia e zoologia marina. Attraverso il wi-fi (veloce) è possibile accedere alle principali riviste
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BIOLOGIA MARZO 2020 LA SECONDA EDIZIONE DEL WORKSHOP La seconda edizione del workshop intitolato Pesci marini tropicali: identificazione ed ecologia, si svolgerà al MaRHE Center dell’isola di Magoodhoo, Maldive, organizzato dall’Università Milano-Bicocca (www.marhe.unimib.it) dal 16 al 24 marzo 2020, con un intenso programma che include ogni giorno lezioni teoriche in aula con l’aiuto di slides powerpoint e attività pratiche svolte tramite immersioni subacquee (1 o 2 immersioni al giorno). Al termine del workshop teorico-pratico lo studente sarà in grado di: • Riconoscere a livello di genere o di specie i più importanti pesci della fauna dell’oceano Indiano associati al reef. • Descrivere una comunità ittica sulla base dei gruppi trofici che la compongono. • Comprendere e descrivere le variazioni temporali e spaziali (ritmi nictimerali, zonazione del reef) delle comunità ittiche. • Progettare ed eseguire operazioni di censimento visuale, per lo studio e il monitoraggio delle comunità ittiche. • Individuare i segni di pesca eccessiva, attività che può dan neggiare intere comunità biologiche. • Elencare le specie indicatrici più significative nell’area. • Raccogliere dati fotografici utili come metodo di ricerca o come documentazione visuale. Il workshop è rivolto sia a studenti (iscritti a corsi di laurea triennale o magistrale oppure ad un corso di Dottorato) che a laureati preferibilmente nel campo scientifico (Biologia, Scienze Ambientali, Scienze Naturali, Geologia) o che comunque abbiano una conoscenza provata degli argomenti scientifici trattati.
Prerequisiti obbligatori per la partecipazione al workshop sono: • Essere in possesso di un brevetto subacqueo (qualsiasi livello e didattica) con un minimo di 20 immersioni registrate oppure con un minimo di 15 immersioni di cui 5 immersioni svolte nei 6 mesi precedenti al workshop. • Essere in possesso di assicurazione subacquea DAN o simili. Per lo svolgimento di alcune attività pratiche è consigliabile essere in possesso di una macchina fotografica subacquea e di una torcia subacquea. Se interessati iscrivetevi al più presto contattando: marhe@unimib.it Info e programma: http://www.marhe.unimib.it/tropical-marine-fishes/
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BIOLOGIA
ALCIONARI MEDITERRANEI di Francesco Turano
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olti anni fa, quando ancora la mia fotocamera era limitata alle 36 pose della pellicola, ebbi il piacere di conoscere uno degli animali invertebrati più belli del Mediterraneo: l’alcionario. Sapevo di cosa si trattava, grazie alle mie letture di biologia marina, ma vederlo dal vivo fu una grande emozione e ancora oggi conservo i ricordi del primo approccio naturalistico con questa specie. La curiosità era grande e l’attenzione nell’osservazione meticolosa. Trovandomi a tu per tu con un particolare tipo di alcionario, l’Alcionyum palmatum, mi concentrai per realizzare delle immagini che ne valorizzassero la bellezza, fotografandolo con non poca difficoltà; dovendo stare incollato al fondale sabbioso (posizione necessaria per includere in campo il prepotente sfondo nero della notte), scattai cercando di evidenziare il suo candore e le sue forme, con i lunghi polipi ben aperti e pronti alla cattura dello zooplancton. Volgarmente noto come “Mano di San Pietro”, questa specie vive a grandi profondità su fondi mobili sabbiosi o fangosi, ma non è escluso trovarlo anche nel fango di fondi misti con cigliate che si affacciano verso l’abisso. Conservo ancora quelle diapositive e devo dire che ogni volta che mi ricapita uno di questi animali, mi ritengo sempre molto fortunato, vista la sua rarità nel reperirlo sui fondali mediterranei abitualmente frequentati dai sub. In Mediterraneo gli alcionari sono rappresentati da poche specie, sono poco frequenti e di piccole dimensio-
ni, soprattutto se confrontati con i parenti della fascia tropicale del pianeta. Tuttavia la loro bellezza è tale che l’incontro con una di queste creature rappresenta un’esperienza avvincente. La specie più diffusa negli ambienti di scogliera classici è la cosiddetta “Mano di morto”, ossia l’Alcyonium acaule. Il curioso appellativo è riferito all’aspetto dell’animale e ai movimenti che questo può compiere una volta pescato (capita di strapparlo al fondale con reti da pesca). Questo incantevole antozoo è privo di scheletro e si sostiene in posizione eretta gonfiandosi d’acqua. Il nome lugubre è stato coniato alla fine del 1500 dal naturalista italiano Ulisse Aldrovandi. La struttura del suo corpo è composta essenzialmente da spicole calcaree, unità che gli conferiscono una consi-
stenza discreta nonostante la mancanza di un asse scheletrico. La funzione di sostegno è in ogni caso svolta dall’acqua, utilizzata per gonfiarsi e sollevarsi dal fondale sul quale aderisce. Il corpo ha una parte basale, per la presa al substrato, priva di polipi e definita, pertanto, zona sterile o caule, e una parte apicale digitata, con un numero di appendici variabili (di solito da cinque a sette). Durante il giorno si alternano periodi in cui l’animale mantiene chiusi i suoi polipi e il corpo sgonfio a periodi in cui, viceversa, il corpo è ben eretto e con i polipi aperti in bella mostra. Di notte è più stabile la posizione eretta a polipi aperti. La colorazione di fondo varia dal rosa salmone, con varianti giallo-crema o arancioni, al più raro rosso carminio. I polipi sono biancastri e semitrasparenti, piuttosto alti e allunga-
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ti. Amante dei fondali sabbiosi e fangosi con poca luce, non disdegna quelli rocciosi, anche se, in ogni caso, necessita di un ambiente con acqua quasi sempre fredda (14-15° C) e con correnti abbastanza sostenute. Le dimensioni medie dell’animale oscillano tra i 10 e i 15 cm di altezza. Come nel caso di altri cnidari, anche questa specie viene colonizzata da piccoli organismi: si tratta di minuscoli crostacei copepodi, che vivono a spese dei tessuti della colonia. Anticamente si credeva che questo animale, una volta cotto ai ferri, potesse essere utilizzato efficacemente contro il gozzo. Simile e facilmente confondibile con l’Alcyonium acaule è infatti Alcyonium palmatum, diverso sia per la forma del corpo che dei polipi. Manca del tutto la parte basale sterile tipica della specie affine, il cosiddetto caule, poiché le colonie partono dal fondale su cui aderiscono direttamente digitate. Le dimensioni dell’animale sono maggiori e ci sono esemplari che possono arrivare e superare i 30 cm di altezza. La sua colorazione varia, anche in questo caso, dal bianco al rosa, con esemplari rosa salmone davvero
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spettacolari. I polipi sono generalmente bianchi e traslucidi. Per quel che riguarda la riproduzione si possono riferire solo pochi dati, ottenuti da poche osservazioni in natura. Le uova compaiono intorno al mese di agosto mentre le larve si osservano nel mese di luglio, motivo per cui si deduce che occorre poco meno di un anno perché si compia un intero ciclo riproduttivo. Diffuso in tutto il Mediterraneo, A. palmatum è poco frequente e reperibile a profondità elevate su fondi fangosi o sabbiosi. L’osservazione in natura è entusiasmante, sia per la forma che per i colori dell’animale. Peccato che la difficoltà di reperimento per il subacqueo sia piuttosto alta, legata sia alla profondità che al mimetismo e alle dimensioni contenute della specie. Meno bella è poi un’altra specie di alcionario, Paralcyonium spinulosum, dalla struttura ad alberello e dal colore trasparente tendente al verde oliva o grigio. Poco comune, ma abbondantemente diffuso in alcuni ambienti rocciosi mediterranei, divide il substrato disponibile con madrepore, gorgonie e corallo rosso, prediligendo acque fredde e/o profonde.
Un discorso a parte va fatto sul Parerythropodium coralloides, di color rosso cardinale con polipi bianchi dal colletto trasparente bordato di giallo; questo è un rappresentante della famiglia che non si contenta di gonfiarsi d’acqua per sostenersi ma utilizza come scheletro quello di gorgonie parzialmente morte o danneggiate, preferibilmente della specie Eunicella cavolinii e E. singularis o di Paramuricea clavata. Anche quest’ultima specie ha livree diverse, con bellissime varianti rosa o bianche, anche se il colore più frequente è il rosso vinaccio. Le colonie sono costituite da lamine carnose e da formazioni incrostanti su substrati duri di varia natura. Si notano poi zone più spesse, dove si concentrano i polipi, alternate a zone di tessuto liscio che ne sono quasi totalmente prive. Le dimensioni variano in base al substrato. La larva planctonica, che si origina dalle uova fecondate, si porta verso il fondo alla ricerca di un substrato dove attecchire e svilupparsi. Grazie a forma, colore e struttura corporea, gli alcionari del Mediterraneo sono splendidi soggetti per il fotosub, nonostante la loro staticità.
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SANTA D’AMARE
CONOSCERE IL MARE CON LE AREE MARINE PROTETTE di Francesco Turano
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e idee per diffondere la conoscenza del mare nascono sempre con l’esperienza e, anche se guardandoti intorno a volte non sai da dove iniziare, capita di riuscire a concretizzare qualcosa di buono unendo gli sforzi di persone che al mare dedicano la vita. Dopo alcuni anni di immersioni e fotografia nel mare di Portofino, area marina protetta dal 1999, nasce una bella amicizia con Andrea Galliadi, oggi titolare di Diving Evolution, un centro aperto a un approccio consapevole col mare e diverso sotto molti punti di vista. Andrea lavora
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come professionista subacqueo dal 1996, come staff nei villaggi turistici di Maldive, Zanzibar, Seychelles e Turks & Caicos. Nel 2005 inizia ad immergersi nell’AMP di Portofino, dapprima come co-titolare del San Fruttuoso Diving Center, poi come responsabile unico del Diving Evolution, nella stessa sede di S. Margherita Ligure. Laureato in biologia, guida e divulgatore ambientale, ha sempre unito la sua passione per il mare ad un profondo rispetto per l’ambiente, valori che cerca di trasmettere nella sua vita privata e lavorativa. E questo fa la differenza ed è alla base della nostra collaborazione.
Diving Evolution decide di dedicare ogni anno un po’ di spazio a eventi e workshop fotografici, con professionisti del calibro di Marco Colombo e col sottoscritto; negli ultimi tempi abbiamo potuto così diffondere una buona educazione alla fotosub naturalistica, approfittando della notevole biodiversità di questi fondali e della disponibilità dei pesci a posare per i fotografi; i seminari sono stati condotti sempre con l’appoggio di Isotecnic per quanto concerne la attrezzature fotosub, azienda per la quale sono oggi ambasciatore italiano. Andrea è Trainer Reefcheck per la formazione di Eco-Divers, al fine di mo-
BIOLOGIA immersione. A titolo di esempio ricordiamo che ad un cliente di Diving Evolution si deve la prima segnalazione fotografica di una cernia bruna affetta da encefalopatia virale verso la fine della stagione estiva 2019. Il diving ha anche promosso e organizzato la pulizia dei fondali della baia di Paraggi, sconvolta dalla mareggiata del 29 Ottobre 2019, in collaborazione con la Guardia Costiera, l’AMP di Portofino, il Comune e la Croce Rossa di S. Margherita Ligure. Un’ultima importante iniziativa da segnalare è l’impegno a utilizzare sempre e solo borracce in alluminio, bicchieri lavabili, posate in acciaio e un distributore d’acqua gratuita per i clienti (il diving è plastic free ormai da 4 anni). Dopo tanti workshop e alcuni anni di collaborazione con Andrea e il suo staff, lo scorso anno penso di proporre qualcosa di nuovo, rivolto a tutti, non solo ai subacquei. Ovviamente trovo disponibilità e collaborazione a creare quella che è stata poi intitolata “Santa d’amare”, una rassegna che, con il patrocinio del Comune di Santa Margherita, del FAI delegazione Tigullio e Portofino, dell’AMP di Portofino e col sostegno di Worldrise, vuole puntare alla diffusione della conoscenza del Mediterraneo attraverso le esperienze vissute in AMP, con filmati, proiezioni e interventi qualificati a carattere divulgativo. Con due sponsor del calibro di Cressi e Northsails, Andrea si è messo in moto per organizzare tutto ciò che si è reso necessario per arrivare al successo di questa prima edizione. L’ultimo week end di settembre nitorare le risposte dell’ambiente marino costiero ai cambiamenti climatici e al surriscaldamento degli oceani. A proposito di ambiente, recentemente ha iniziato a collaborare con Worldrise onlus, per accogliere tirocinanti laureandi provenienti dalle facoltà scientifiche dell’Università di Genova. Diving Evolution Aderisce ai progetti Sea Sentinels, promosso dal Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali dell’Università di Bologna e MPA-adapt (Interreg Mediterranean), quest’ultimo promosso da Padi e Dan (Dive Alert Network) per attività di visual census sui pesci, ed è inoltre il diving di riferimento dell’AMP di Portofino, con cui collabora nelle attività di monitoraggio, dal censimento della Pinna nobilis nel 2018 alla segnalazione di comportamenti con rilevanza scientifica (post sul corteggiamento e spawning delle cernie) a tutte quelle anomalie riscontrate in
L’iniziativa promossa a Santa Margherita Ligure a sostegno della conoscenza e della tutela del nostro mare è stata possibile grazie anche al sostegno di CRESSI e NORTHSAILS. Cressi è molto orgogliosa di produrre la stragrande maggioranza dei suoi articoli ancora nella sua sede centrale di Genova. Tale scelta consente un elevato livello di qualità ed un minuzioso controllo da parte della proprietà Cressi, che è in grado in questo modo di seguire personalmente il processo produttivo su base giornaliera. Genova si trova a 30 minuti di distanza dalla splendida baia marina di Portofino, un paradiso per le immersioni dal 1940, e questo permette al signor Cressi ed al suo Team di tecnici di testare direttamente in acqua ogni prodotto realizzato. Cressi è una Family Company che crea
prodotti di alta gamma per le persone che praticano sport acquatici e che amano l’acqua e il mare. Il principale obiettivo di questa storica azienda italiana è quello di sviluppare prodotti di altissima qualità e questa filosofia modella ogni articolo in produzione. Northsails ha una grande reputazione nella produzione di vele. L’azienda progetta e produce le migliori vele in assoluto al mondo. Leader in tutti i mercati, si occupa di fornire un valore superiore a tutti i velisti. Dall’epoca del suo fondatore Lowell North, passando per gli anni di Terry Kohler e la nuova e potente generazione di tigri oggi al timone, North Sails è divenuta l’azienda produttrice di vele leader nel mondo, attraverso un impegno continuo per assicurare prestazioni superiori, innovazione tecnica e una grande esperienza di navigazione per tutti i suoi clienti.
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Diving Evolution ha così dato il via a questa nuova iniziativa, offrendo la possibilità ai subacquei di immergersi in AMP come sempre, o magari per la prima volta (per capire cosa significa immergersi in area marina protetta), e fissando in sabato 28, alle ore 18, l’incontro serale x dibattito e proiezioni; il tutto in una location mozzafiato: Villa San Giacomo, a Santa Margherita. Inutile dire che in sala non son bastate le sedie. L’apertura della serata, a cura del
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direttore dell’AMP, ha aperto gli occhi sulla realtà odierna, con gli indiscutibili cambiamenti climatici e l’effetto che questi producono inevitabilmente sulla vita nel mare. A seguire il mio intervento, con una proiezione di immagini che hanno messo a confronto il Mediterraneo in generale con quello dell’AMP di Portofino, per comprendere i meccanismi che si innescano nei casi in cui ci si impegni per tutelare gli ecosistemi costieri e i fondali marini con
la loro biodiversità. Chi non si immerge ha così ha avuto la possibilità di apprezzare, attraverso le fotografie subacquee, le peculiarità del Mare Nostrum e le opportunità che potremmo offrire al mare con una efficacia azione di diffusione della conoscenza e conseguente tutela. Chi si immerge ha potuto invece comprendere quanto veloce può essere il mare nella sua ripresa se amato e rispettato, valutando le differenze tra gli ambienti di una AMP come quella di Portofino con altri habitat di altre aree non sottoposte a tutela. In conclusione Mariasole Bianco, presidente di Worldrise e membro della Commissione Mondiale delle Aree Protette, ha illustrato le problematiche relative all’inquinamento degli oceani in generale e del Mediterraneo in particolare, stimolando l’attenzione dei presenti sul problema della presenza della plastica in natura e nel mare e proiettando un interessante cortometraggio realizzato per invitare l’umanità al rispetto degli ambienti marini. A conclusione di serata, nella splendida cornice di Villa San Giacomo, è stato offerto un rinfresco ai partecipanti che, al piano terra e in apposita sala, hanno potuto ammirare anche una splendida mostra di pittura sul mare e il mondo sommerso curata dall’artista Matteo Malingambi.
BIOLOGIA AMP DI PORTOFINO L’Area Marina Protetta di Portofino è coinvolta in diversi progetti europei che vertono su tematiche differenti. Nell’estate 2019 di è concluso il progetto Interreg MED MPA-adapt che ha visto protagoniste 5 Aree marine protette italiane tra cui Portofino, due importanti enti di ricerca, CSIC (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale) e IUCN (International Union for Conservation of Nature). Il progetto aveva come obiettivo principale quello di fornire alle AMP degli strumenti per potersi adattare all’era dei cambiamenti climatici, attraverso l’applicazione di protocollo di monitoraggio condivisi, stazioni di rilevamento della temperatura e citizen science. In particolare sono stati messi a punto protocolli per valutare la mortalità di alcuni organismi maggiormente sensibili all’innalzamento della temperatura, come le gorgonie; il progetto ha visto anche la produzione di un documentario ad hoc sul tema che si è rivelato uno strumento utile per la comunicazione. Il coinvolgimento dei pescatori artigianali è stato inoltre il fulcro di un altro progetto da poco concluso FishMPABlue2, dove l’AMP Portofino è stata uno dei siti pilota in cui sperimentare metodologie di gestione della piccola pesca in sinergia con i pescatori artigianali locali. In particolare il progetto ha avuto l’intento di far acquisire sempre più un ruolo chiave ai pescatori come supporto nell’attività di sorveglianza della stessa amp. Da marzo 2019 è invece partito un nuovo progetto riguardante l’attività subacquea e l’AMP Portofino è Capofila nel progetto Interreg-Marittimo Neptune, che vede tra i partecipanti il Parco Nazionale di Port Cros, Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, Region sud provence Alpes cote d’azur, Regione Liguria, Regione Sardegna, Centre de Découverte du Monde Marin. Il progetto intende sviluppare la subacquea (e le attività acquatiche in generale) in maniera sostenibile aumentandone la qualità e identificando alcuni siti pilota in Liguria che abbiamo particolare interesse naturalistico o culturale, valorizzando in particolare quelli poco conosciuti. L’AMP è coinvolta anche in due progetti LIFE, entrambi che si occupano di una tematica, la restoration, di cui si parla molto oggi, attraverso il ripopolamento di organismi nella zona
di marea e dell’infralitorale. Il primo si chiama ROC-POP e ha come scopo ripristinare le popolazioni di alcune specie di alghe brune del genere Cystoseira, le cui porzioni fertili vengono raccolte nei siti donatori (AMP Portofino e Strunjian), riprodotte e fatte crescere in laboratorio (Università di Genova e Università di Trieste) e impiantate nei siti riceventi (AMP 5 Terre ed AMP Miramare). Il secondo si chiama RELIFE (LIFE NAT/IT/000771) ed è focalizzato sulla reintroduzione di Patella ferruginea in Liguria, un tempo presente e ora estinta a causa del consumo umano. L’idea è quella di traslocare alcuni esemplari dall’Area Marina Protetta di Tavolara in Sardegna e posizionarli in parte nella zona A dell’AMP
Portofino e in parte tentare di riprodurli in laboratorio per poi portare i giovanili anche a Bergeggi e Cinque Terre. Nel progetto sono coinvolte ovviamente l’Università di Genova che si occupa di tutta la parte scientifica e della riproduzione, Acquario di Genova che si occupa della comunicazione e Softeco Sismat che si è occupato del sito web del progetto e ha creato un software per il monitoraggio degli esemplari in mare attraverso l’applicazione di microchip particolari. Infine l’AMP lavora sempre molto a livello internazionale ed è parte del Board dei Direttori di Medpan, l’associazione che cerca di fare Network tra le Aree Marine Protette del Mediterraneo e ha in serbo tanti progetti per il futuro.
INCOMPRENSIONE DELLA DECOMPRESSIONE di Luca Lucarini
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o scrivente non avrà alcuna responsabilità per danni di qualsiasi natura derivanti dall’utilizzo di quanto riportato in questo articolo che tratta di ricerche e sperimentazioni ancora non validate per l’utilizzo umano nelle attività subacquee ed iperbarche in genere. Senza scomodare la teoria della relatività , è ormai acclarato dai tempi di Galilei che una cosa è vera quando può essere misurata. Misurare se una deco è giusta o meno non è facile per non dire che è impossibile. Aver fatto un’analisi di 1000 immersioni con un determinato profilo senza incorrere in PDD (Patologia Da Decompressione) non significa nulla!. Magari il campione di persone utilizzato era costituito da giovani in perfetta forma
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fisica, con abitudini e stili di vita sani , con una buona acquaticità e che durante le immersioni in acque temperate utilizzavano DPV (Diving Propulsion Vehicle) come accadeva a Wakulla Springs! Quindi non fidatevi delle esperienze di team o addirittura di singoli subacquei anche se hanno effettuato e sono sopravvissuti ad immersioni estreme. Gli stessi identici profili potrebbero generare problemi se adottati da subacquei che magari sono fumatori, obesi, disidratati, con malattia metabolica incipiente che in definitiva sono ormai la maggior parte dei tecnici della prima ondata, ossia quelli che hanno iniziato agli albori della subacquea tecnica. Sono oltremodo convinto che 5 minuti in più o in meno, oppure 3 metri più su o giù , non cambino la sostanza della decompressione. I profili ormai sono più o
meno quelli. Si è passati da tabelle decompressive che,pur prevedendo l’uso di ossigeno fin dai 15 metri, ti facevano stare in acqua fintanto che non si veniva colonizzati da cozze e cirripedi, ai grandi casini degli anni ‘90, quando gli ideatori dei software decompressivi facevano a gara a chi generava più PDD nel tentativo di vincere la gara a chi accorciava di più i tempi. Ritengo che, in attesa di una vera rivoluzione come la respirazione liquida, le miscele e i profili che utilizziamo oggi avranno pochi miglioramenti. Siamo allo stato dell’arte! Come si spiegano, allora, tutta una serie di esperienze e racconti dove PDD (Patologie Da Decompressione) arrivano inaspettate ed immeritate e altre volte, dove ci aspetterebbe il peggio, invece va tutto liscio?
VIAGGI Come amavo dire scherzosamente a Corrado Bonuccelli 20 anni or sono, se si vogliono migliorare le performance decompressive, è quasi del tutto inutile lavorare sui numeri ma bisogna concentrarsi sulla fisiologia e COMPRENDERE una serie di meccanismi ancora poco conosciuti. Sicuramente sono importanti i gas utilizzati e come vengono gestiti, ma parimenti, lo è il nostro organismo che ormai, si è appurato, non si comporta nell’ambiente iperbarico come un mero insieme di tessuti ma interagisce con esso con modalità infinite. Sono trascorsi anni da quando si è scoperto che le PDD sono il risultato di un complesso fenomeno che coinvolge microbolle, elementi del sangue sia corpuscolati che non e soprattutto l’endotelio vasale. In parole povere ciò che determina l’instaurarsi del fenomeno è riconducibile ad una risposta infiammatoria. Quindi più che delle bolle, tanto studiate dai ricercatori con il doppler, dobbiamo aver paura dello stress ossidativo e del danno endoteliale. Chi segue i miei scritti dai tempi della teklist , potrà ricordare tutta una serie di mie indicazioni per migliorare le performance decompressive che qui elenco sinteticamente: 1. preossigenazione; 2. esercizio fisico aerobico nelle 24h precedenti l’immersione. Anche esercizi intensi poco prima dell’immersione condizionano positivamente l’organismo dallo stress decompressivo; 3. sauna nelle 24h precedenti; 4. pedana vibrante pre immersione; 5. idratazione forzata senza esagerare, visti i casi di edema polmonare riscontrati soprattutto in aree con clima molto caldo; 6. somministrazione di complessi vitaminici; 7. dieta e stile di vita che minimizza i radicali liberi; 8. utilizzo di farmaci che inibiscono l’instaurarsi dei processi infiammatori; 9. assunzione di cioccolato fondente con min 85% cacao; 10. adinamia degli arti inferiori durante l’immersione . L’utilizzo di DPV minimizza il build up della CO2; 11. set point pO2 1,1/1,2 per evitare la ritenzione della CO2 che può facilitare l’irritazione dei tessuti e quindi l’attivazione dell’infiammazione; 12. se possibile, rimanere al fresco in
profondità e al caldo durante la decompressione. Muta umida e termoclino giocano a nostro favore; 13. moderata ed intermittente attività fisica durante la decompressione; 14. assunzione di arginina e citrullina come precursori dell’ossido nitrico (NO). Tali aminoacidi sono i precursori del NO ma non necessariamente assumerli significa disporre di donatori di NO. La nitroglicerina è invece un donatore di NO e spruzzare uno spray orale di tale sostanza prima di un’immersione da un notevole vantaggio decompressivo; 15. risalita lentissima negli ultimi metri e soprattutto nei 3 finali; 16. vietato qualsiasi sforzo una volta giunti in superficie e per le successive 4 ore.
Quanto sopra è quello che allo stato attuale rientra nelle conoscenze di ogni subacqueo tecnico ben informato ma per il futuro prossimo ci sono molte cose che bollono in pentola. La decompressione può essere condizionata da un’infinità di fattori e la ricerca medica ogni giorno ne trova uno nuovo come ad esempio l’intestino e il suo microbiota. Una interessantissima ricerca compiuta in Francia e che ha coinvolto diversi istituti, ha puntualizzato che una dieta che favorisce un microbiota intestinale prono alla fermentazione e alla produzione di gas, favorisce le PDD. I subacquei scorreggioni sono stati, quindi, avvisati! In Cina i ricercatori stanno andando oltre e tentano di valutare e quantificare la capacità di metabolizzazione dell’azoto da
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VIAGGI parte del microbiota. Aver appena terminato una terapia antibiotica potrebbe significare minor capacità del microbiota di compiere correttamente la sua funzione. Un’altra cosa interessante è costituita dal fatto che l’immersione condiziona e cambia il microbiota. Un’altra ricerca ha appurato che avere uno sforzo inspiratorio più elevato permette una maggiore eliminazione dell’inerte. Ergo i nostri erogatori delle stages decompressive dovranno essere “duri”. Anche il rebreather durante la decompressione dovrà essere regolato con uno sforzo inspiratorio più elevato; sarà sufficiente respirare adattando l’assetto o regolando i volumi dei sacchi respiratori. Non tutti sono a conoscenza che anche se non abbiamo un PFO ( forame ovale pervio), nel nostro organismo ci sono molte possibilità in diversi distretti di avere uno shunt dal torrente circolatorio sinistro al destro con conseguenze facilmente immaginabili. Forse lo shunt più importante è proprio quello polmonare e si è visto che un esercizio intenso oppure alcuni farmaci (es. dopamina e dobutamina) lo fanno aumentare in modo sostanziale. Invece respirare ossigeno iperbarico riduce drasticamente lo shunt. Si è dimostrato, quindi, in modo scientifico, il motivo delle raccomandazioni dei vecchi subacquei che suggerivano di non fare mai sforzi intensi in decompressione. A proposito di PFO, recenti ricerche hanno dimostrato che, in subacquei con pervietà atriale che seguono profili conservativi, non presentano sostanziali differenze di episodi di PDD rispetto a soggetti normali. È invece quadruplicata la possibilità di incorrere in aritmie nei pazienti che hanno subito la chiusura chirurgica con occlusore del PFO. Un’altra novità che merita di essere segnalata è costituita dal fatto che ricercatori cinesi abbiano individuato bolle contenenti gas nelle ernie dei dischi intervertebrali. La cosa ancora più sconcertante è che, nei casi di soggetti affetti da ernie espulse, si reperta con una certa frequenza la presenza di gas nel sacco epidurale! In considerazione che la quasi totalità dei subacquei è affetto da ernia del disco, anche se spesso asintomatica, molti dei mal di schiena e dei problemi spinali post immersione possono trovare una spiegazione alternativa alla lombalgia da cintura dei pesi.
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Anche le proprietà viscoelastiche dell’albero circolatorio sembrano avere un ruolo determinante sulla produzione di bolle a seguito di un’immersione. Quindi la ricerca si sta concentrando sui fattori e le sostanze che possono migliorare questo aspetto. Una sostanza su tutte sta riscuotendo l’attenzione dei ricercatori: l’escina che è derivata dall’ippocastano e ha un’azione vasoprotettrice ed antinfiammatoria. Fino ad ora è stata usata per le varici, la debolezza dei capillari e nelle sindromi post flebitiche ma anche per le emorroidi. L’escina, si è visto, può essere un valido aiuto come prevenzione delle PDD in quanto agisce apportando benefici a livello dell’endotelio vasale che riesce così a sopportare meglio lo stress ossidativo. Anche a livello di aggregazione piastrinica sono stati notati dei grandi vantaggi. In termini di benefici sembra che l’escina abbia proprietà anti tumorali e anti metastatiche. Un’altra novità che involontariamente rappresenta un futuro presidio per la decompressione sono le statine. Le statine sono dei farmaci sempre più diffusi, che ormai vengono prescritti a chi ha dei valori della colesterolemia superiori a 220. Big Pharma ha investito tanto sulle statine e attraverso i suoi opinion leaders ha influenzato a suo vantaggio il pensiero medico mondiale. Con immenso piacere di Big Pharma e anche del sottoscritto si è evidenziato, in tempi più recenti che, oltre a ridurre il colesterolo, le statine hanno un’azione di protezione dell’integrità endoteliale, di riduzione dei danni da ischemia e riperfusione, di riduzione dell’infiammazione del processo di coagulazione attraverso le proprietà pleiotropiche che coinvolgono la up regolazione dell’enzima NO sintetasi (eNOS). La statine potrebbero quindi essere un farmaco ideale per garantire una protezione da eventuali PDD se non ci fosse un effetto rebound al momento di un’eventuale sospensione con un’induzione alla miopatia per deplezione del coenzima Q10. Lo stato di forma, l’alimentazione, le abitudini di vita e l’assunzione di farmaci possono incidere sulla decompressione. Una dieta chetogenica diminuisce gli effetti della tossicità dell’ossigeno nei confronti del SNC (Sistema Nervoso Centrale). Un’ ulteriore novità si è affacciata sul Mondo subacqueo ed è costituita dalla respirazione nelle fasi di decompressione di H2.
Una percentuale del 2% di idrogeno nella miscela respiratoria ha dimostrato un beneficio sullo stress ossidativo con diminuzione delle citochine infiammatorie e minore attivazione degli immunociti. Certamente rimane inquietante il ricordo di Arne Zetterström... quindi attenzione a non fare esperimenti sulla vostra pelle! Tutto quanto sopra deve essere considerato come un’estrapolazione delle ricerche in campo medico e che, nella quasi totalità dei casi, è il risultato di esperimenti effettuati su cavie da laboratorio. Nulla di questo articolo può essere utilizzato come un’indicazione ad effettuare decompressioni in modo diverso da quello suggerito dalle agenzie didattiche. Questo scritto è, in conclusione, niente altro che uno sguardo su quelli che potranno essere gli sviluppi futuri in campo subacqueo. Mete Subacque, Tour Operator leader in viaggi subacquei e non sub, forte dell’esperienza già maturata nell’organizzazione di viaggi per divers tecnici sia in Polinesia che in altre aree geografiche del pianeta, è a disposizione della gentile clientela per individuare, nelle destinazioni richieste, tutte quelle strutture in grado di fornire servizi professionali dedicati appunto al mondo delle immersioni tecniche.Ovviamente con un occhio di riguardo alle strutture ricettive, sempre nell’ottica di garantire il più conveniente rapporto qualità-prezzo vincolato alla massima soddisfazione del cliente, obiettivo che da sempre contraddistingue l’operato di Mete Subacque.
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LE CROCIERE TECNICHE FIRMATE ALBATROS TOP BOAT di Donatella Telli (Dodi)
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a subacquea tecnica, fino a non molto tempo fa baluardo di pochi selezionatissimi soggetti, oggi è appannaggio dei più, complici anche certe configurazioni che strizzano l’occhio alle astute scelte di speleologi e profondisti, che consentono a chiunque affronti un’immersione a qualsiasi livello di sentirsi un po’ più cool con quella frusta lunga montata sull’erogatore primario, o per la ridondanza di sicurezza del doppio primo stadio, e via discorrendo. Ma la tecnica vera esige dedizione, disciplina, coerenza. E se tali virtù sono richie-
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ste ai fruitori del settore, è tanto più imperativo pretenderle da chi eroga il servizio logistico. Oggi mi piacerebbe parlarvi di come gestiamo l’organizzazione pratica di spedizioni che necessitano di attrezzature particolari, e prevedono profili impegnativi e più delicati del normale. Alle Maldive i centri Albatros Top Boat sia a terra che in barca (MY Conte Max, MY Duca di York, ATD Huraa Diving Center) sono da anni attenti anche alle esigenze dei subacquei tecnici. Più volte l’anno ospitiamo gruppi di subacquei coi loro rebreather, macchina ri-respiratrice che
consente tempi di fondo più lunghi e grazie alla scarsa emissione di bolle permette una migliore esperienza d’interazione con la vita marina. I pesci non si spaventano e si lasciano avvicinare più volentieri. Ideale per fotografi, video-operatori, semplici entusiasti della natura o, perché no? della tecnologia. La gestione del rebreather non è così elementare o banale come si potrebbe pensare, richiede centraline di miscelazione e apparecchiature sofisticate che travasino l’Ossigeno nelle apposite bombole, e la gestione del tutto è demandata a operatori specializzati. In Albatros annoveriamo booster (TECNO-
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DIVE modello TB130), di qualità ormai da anni, e un personale addetto addestrato e aggiornato costantemente sulle procedure di sicurezza e sugli ultimi ritrovati della tecnologia. Le Maldive non sono soltanto meta di maniaci di squali, mante o pelagico in genere. Sono appetibili anche per gli appassionati di sidemount. Non lasciatevi ingannare dalla mancanza di springs, o cenotes, anche qui si possono esplorare crepacci, gole, spaccature fra le thile, per non parlare del blue hole (ma questa è un’altra storia). Anche per questa particolare disciplina i nostri centri sono in grado di fornire tutta l’assistenza logistica necessaria, dagli imbraghi per le bombole ai primi stadi extra. In questo modo i subacquei non avranno altro pensiero che pianificare la loro immersione, farsi portare sul punto preciso dal dhoni dotato di gps e ecoscandaglio, montarsi le bombole di fianco e buttarsi in un tripudio di sfumature di blu. Nel nostro parco attrezzature, oltre a quanto necessario per miscelare i gas, travasarli, esportarli e utilizzarli, vantiamo anche una serie di scooter subacquei Suex modello XJOY7 di ultima generazione, grazie ai quali le immersioni in corrente non saranno più le stesse. Immaginate cosa sia possibile fare con un mezzo a propulsione in un punto dove la corrente non consentirebbe di marciare in direzione
diversa. O ancora meglio, quanto più ampie distanze potremmo coprire rispetto al normale tragitto di un’ora, indipendentemente dalla configurazione. Un ulteriore servizio ai nostri clienti che siamo certi ci collochi nell’olimpo degli operatori, e posizionino i nostri itinerari un gradino più in alto degli altri. In Mar Rosso il nostro favore e la nostra scelta vertono sulle barche a marchio Red Sea Explorers (RSE). Già dal nome si intuisce come la mission della compagnia sia quella di esplorare: fondali, cer-
to, ma soprattutto nuovi punti di interesse, pareti, secche e soprattutto relitti, che, grazie a un abile lavoro di diplomazia del patron di RSE Faisal Khalaf, stanno annualmente aumentando di numero. In inverno infatti, le barche di RSE sono sovente dedicate a spedizioni di ricerca di nuovi, inesplorati relitti. La compagnia ha recentemente localizzato e esplorato una serie di relitti vergini nella zona del Nord del Mar Rosso. Il primo, un cargo lungo 100 m, a una profondità di 78 m. Poco lontano, il secondo residuato è una nave
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MALDIVE M/Y Conte Max con Centro Massaggi NITROX INCLUSO – REBREATHER friendly – SCOOTERS subacquei Design e standard qualitativi eccellenti, per uno yacht di 33 metri di lunghezza e 10 di larghezza pronto a soddisfare le esigenze di una clientela di alto livello. Dispone di nove cabine eleganti e confortevoli con aria condizionata indipendente ed oblò o vetrate, dotate di spaziosi bagni con acqua calda, fredda e box doccia. M/Y Duca di York - con Centro Massaggi NITROX INCLUSO – REBREATHER friendly – SCOOTERS subacquei Albatros Top Boat presenta il M/Y Duca di York, un raffinato yacht in legno per 36 metri di lunghezza e 11 di larghezza, curato nei minimi particolari per soddisfare le esigenze di una clientela esclusiva. Dispone di 11 cabine eleganti e confortevoli con aria condizionata indipendente ed oblò o vetrate, dotate di spaziosi bagni con acqua calda, fredda e box doccia.
MAR ROSSO MV Tala Il MV Tala è un’imbarcazione da 37 metri con scafo in acciaio, che accoglie i suoi 22 ospiti con am-pie sale climatizzate, aree relax all’aperto e 11 cabine con bagno privato. Il MV Tala è un’imbarcazione stabile dotata di una gamma completa di attrezzature sub tra cui scooter subacquei, bombole e gas, è inoltre altamente riconosciuta per il supporto che è in grado di fornire alla subacquea tecnica. MV Nouran Il MV Nouran è una barca da 36 metri con scafo in mogano che accoglie i suoi 24 ospiti con 12 ca-bine e bagni privati; dispone di un ampio salone con aria condizionata, una sala da pranzo e diverse aree relax all’aperto tra cui scegliere. Completamente equipaggiata con scooter subacquei, bombole, attrezzatura sub, è inoltre specializzata per la subacquea tecnica con guide altamente preparate. M/Y Princess Diana Il M/Y Princess Diana è un’imbarcazione a 5 stelle, perfettamente attrezzata per sub, kitesurfer ed amanti del sole. Dispone di 13 cabine per 26 ospiti; tutte sono dotate di aria condizionata e bagno privato, un’ampia sala da pranzo e uno spazioso salone interno. Una grande piattaforma per le immersioni situata nella parte posteriore della barca offre ampio spazio per riporre le bombole, conservare e sciacquare l’attrezzatura.
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a vapore del tardo XIX secolo, anch’essa a 78 mt. Il terzo obiettivo consiste in una nave di rifornimento carbone inabissata a 65 mt. Questi sono solo i primi di oltre 150 siti che RSE intende esplorare lungo il Golfo di Suez. Le settimane di esplorazione sono pianificate durante l’anno. I subacquei interessati e qualificati per immersioni prolungate in acque libere, in stagioni di mare impegnativo e forti correnti, possono iscriversi e unirsi alle spedizioni, entrando a far parte effettiva delle squadre di ricerca e osservazione. Il programma è altamente impegnativo, lunghi giorni di ricerca e immersioni faticose. I profili di immersione possono variare dai 30 agli 80 mt di profondità, e i subacquei con meno esperienza sono ugualmente benvenuti, in qualità di squadra di supporto. Quale migliore occasione per un aspirante esploratore? Anche in questi frangenti il supporto logistico di RSE prevede l’utilizzo di apparecchiature per ricarica di miscele arricchite, non solo di Ossigeno ma anche di Elio (Trimix, Triox), per ottimizzare l’esperienza del sub, già provato dalla ricerca e dalle condizioni, e minimizzare l’impatto delle alte pressioni parziali a cui è sottoposto il suo organismo durante i tuffi. Oltre a questo, un parco pressoché sconfinato di scooter Suex Xjoy 7 e 14, in grado di trasportare i subacquei anche più pesantemente configurati. Immaginate il vantaggio di potersi affidare a un sostegno motorizzato, carichi di bibo, stage di trasporto e risalita, più quanto necessario a mappare e documentare i ritrovamenti! Ma non ci sono solo i relitti misteriosi ancora inesplorati che costellano il Mar Rosso, nel menu di RSE. Se le date non corrispondono alle disponibilità dei subacquei, la logistica tecnica è offerta durante tutto l’arco dell’anno, e dunque i famosi relitti del Nord del Mar Rosso sono fruibili in miscele e configurazioni tecniche, con la possibilità di venire guidati da istruttori certificati per quei profili. C’è una bella differenza fra l’immergersi sul celeberrimo SS Thistlegorm -per citarne uno noto a tutti- in assetto ricreativo, per un massimo di utilizzo consentito dai NDL degli algoritmi dei computer per subacquei avanzati, e il visitarlo in tutta calma e sicurezza in una o più soluzioni ma per tempi prolungati, onde indugiare sui dettagli che altrimenti scorrerebbero veloci per non perdere neanche un millimetro di esplorazione!
VIAGGI In RSE l’attenzione alla sicurezza è elevatissima. Al punto che il centro è stato eletto centro GUE di riferimento per il Mar Rosso del Sud. Corsi di tutti i livelli, da principiante a istruttore, di questa didattica sono erogati durante tutta la stagione, per consentire a chiunque di avvicinare questo innovativo, intelligente e sicuro sistema subacqueo. Quindi, una volta individuato il tipo di crociera desiderata, la modalità di immersioni e configurazioni relative, non resta che prenotare. Con Albatros Top Boat e Red Sea Explorer la logistica è garantita a qualsiasi livello.
ALBATROS TOP BOAT Diving Tour Operator Tel. 0323-505220 . Cell. 335-6773164 Email: info@albatrostopboat.com Sito web: www.albatrostopboat.com
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XTRIM DIVERS: LE MIGLIORI DESTINAZIONI PER I SUBACQUEI TECNICI di Andrea Piasentin
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e proposte di Xtrim Divers dedicate agli amanti dei relitti e della loro storia, comprendono un mix di destinazioni e strutture selezionate attentamente per garantire un supporto completo ai subacquei tecnici siano essi in circuito aperto o chiuso (stage, bibo, bombolini e materiale assorbente per rebreather, ricariche di ossigeno puro e trimix, guide ecc…). In Italia i pacchetti comprendono le immersioni sui relitti dello Stretto di Messina (già teatro del primo viaggio di gruppo targato Xtrim), del Golfo di Cagliari e della
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costa Ionica della Calabria. Gli amanti del Mediterraneo potranno anche scegliere di visitare Malta, conosciuta oltre che per i relitti d’interesse storico (Polynesien e Stubborn solo per citarne alcuni) anche per quelli affondati con la tecnica dello “scuttling” al fine di favorire il ripopolamento ittico. Nelle mete a medio raggio non poteva mancare l’Egitto con crociere dedicate ai relitti del Nord o soggiorni a Sharm el Sheikh con immersioni in full day, sul famoso relitto del Thistlegorm e, per i subacquei tecnici con brevetto ipossico, sul Lara o sui resti dello Yolanda a -90m, che
non compaiono nei programmi normalmente offerti dagli operatori del settore. Tra le mete più esotiche troviamo la laguna di Truk, sogno nel cassetto di tutti gli amanti dei relitti perché teatro dell’operazione “Hailstone” (che portò all’affondamento di un’intera flotta da guerra della marina Giapponese) con possibilità di visitare decine di relitti tra i 10 e gli 80m di profondità e, sempre in Micronesia, Palau teatro dell’operazione “Desecrate I” che sempre nella II Guerra Mondiale portò all’affondamento di oltre 60 tra navi e aerei della marina Americana e Giapponese.
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continua evoluzione, non si ferma alle destinazioni dedicate agli amanti dei relitti, ma offre interessanti mete di viaggio per tutti i subacquei tecnici; le destinazioni, con schede dettagliate dei siti d’immersione, si trovano sul sito dell’operatore all’indirizzo www.xtrim-divers.it.
Per chi sceglie di visitare la Micronesia, Xtrim Divers, offre anche la possibilità di abbinare le due destinazioni per un viaggio davvero indimenticabile. Nelle Filippine, Xtrim Divers, propone soggiorni a Coron Bay, a nord di Palawan, dove è possibile visitare 12 (gli unici finora scoperti) dei ventiquattro relitti affondati dalla marina Americana alla fine della
II Guerra Mondiale; infine, per gli appassionati dei relitti che non temono il freddo, Xtrim Divers propone “Scapa Flow”, baia situata nell’arcipelago delle isole Orcadi nel Regno Unito, dove al termine della Prima Guerra Mondiale i Tedeschi autoaffondarono 52 navi per evitare che cadessero in mani nemiche. La programmazione di Xtrim Divers, in
XTRIM DIVERS Technical Diving Tour Operator www.xtrim-divers.it 011/199.50.691 info@xtrim-divers.it
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© SEAC® _ ADV Department _ Photo by Francesca Cambi
acTion acTion hr H I G H
R E S I S T A N C E
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OS / WINDOWS COMPATIBLE
ACTION
ACTION HR
SCUBA MODE: gestione completa del profilo dell’immersione ricreativa con algoritmo di decompressione Bühlmann ZHL-16C per 1 o 2 miscele (aria, Nitrox e miscele con concentrazione di O2 fino al 99%). GAUGE MODE: profondimetro e cronometro per la gestione in autonomia dei profili d’immersione. FREEDIVING MODE: Dive/surface time, profondità attuale/massima. MEMORIA LOGBOOK: SCUBA mode: 40 ore con record ogni 5”. FREEDIVING mode: 18 ore di attività con record ogni 2”. Avvisi di sicurezza: allarme superamento MOD, di violazione sosta di decompressione, di velocità di risalita, calcolo tempi di NoFly e di desaturazione, avviso altitudine massima concessa. Dive Planner “NDL only”. Dive Manager software per MAC/PC disponibile sul sito seacsub.com. Download dati con cavo USB. Struttura ultra-robusta e trattata per una maggiore resistenza agli urti, alla corrosione e agli sbalzi termici. Schermo LCD con contrasto e retroilluminazione a intensità regolabile. Batteria a lunga durata CR2450. Disponibile in versione con corona, pulsanti e fibbia in acciaio inox (ACTION) o con trattamento HR (ACTION HR).
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IMMERSIONI TECNICHE A SHARM EL SHEIKH di Ornella Ditel (foto di Camel Dive Club e Nigel Wade)
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no stereotipo ricorrente sulle immersioni tecniche fa pensare a subacquei che trasportano a fatica bombole e attrezzatura ingombrante e avanzano con fare da macho verso profondità abissali, poco interessati ai colori e più alla competizione con se stessi. Forse ti è capitato di incontrare sottacqua alcuni di questi curiosi personaggi, che vivono le immersioni in maniera molto diversa da te, e ti sembrano appartenere a una élite irraggiungibile. Le immersioni tecniche non sono solo questo. Grazie alle conoscenze acquisite in corsi Tec, i sub possono per esempio penetrare una grotta per 2 ore, a profondità
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irrisorie, non superando i 10 m. Possono fare un’immersione tecnica a una profondità di 20 m, prolungando il tempo di fondo ed eseguendo le soste di decompressione con diverse miscele di gas. Oppure possono avventurarsi in sicurezza sotto il ghiaccio, a soli 5 m di profondità. La profondità è un fattore molto importante nell’immersione tecnica, ma non è sicuramente tutto ciò che conta. I sub tecnici non sono supereroi, non sono nati con abilità speciali né hanno superpoteri. I sub tecnici seguono un percorso che inizia dalle basi e si perfeziona con l’esperienza, esattamente come capita con le immersioni ricreative. Come di consueto, abbiamo chiesto aiuto agli ospiti del Camel Dive Club & Hotel di Sharm El Sheikh per riflettere insieme
sul tema di questo numero: la tecnica. Federico, Paolo e Giovanni sono tre amici di Milano che hanno scelto Sharm El Sheikh per la loro prima vacanza sub insieme fuori dall’Italia. Come è nato l’amore per la subacquea tecnica? Federico: “Sono diventato un subacqueo quattro anni fa, dopo che Paolo mi ha assillato per almeno un anno. Purtroppo, poco dopo il primo brevetto sono rimasto vittima di un incidente, nonostante mi fossi immerso in curva di sicurezza. In quella occasione ho scoperto di avere il forame ovale pervio, che ha causato la Malattia da Decompressione e mi ha costretto a un ricovero ospedaliero e terapia iperbarica per quasi un mese. Durante le sedu-
VIAGGI sale su gommone (con spazi poco confortevoli), ci si tuffa e si torna a casa. Per le immersioni tecniche a Sharm El Sheikh, ho contattato via email le ragazze del Camel e da lì è stato semplice organizzare il tutto. Risposte chiare prima dell’arrivo e poi la nostra guida, Omar, che ci ha seguito per tutta la vacanza, assistendoci durante l’assemblaggio di bibo, piastre e stage. Una grande attenzione sia prima che durante il tuffo. Poche guide sono così attente.”. Federico: “A Marzo 2019 insieme a Paolo e Giovanni abbiamo prenotato la nostra prima vacanza subacquea insieme. L’obiettivo era fare sia tuffi tecnici che ricreativi. Abbiamo richiesto informazioni via email al Camel, trovando risposte rapide, soluzioni ai nostri interrogativi e una cortesia eccezionale. Per me è stata la prima volta: una folgorazione. Il primo giorno, quando la barca ha salpato gli ormeggi te in camera iperbarica ho riflettuto molto e ho capito di voler aumentare le mie conoscenze sul corpo in immersione. Ecco perché, dopo essere completamente guarito, il mio ritorno sottacqua ha coinciso con il primo corso tecnico”. Giovanni: “Ho ottenuto il primo brevetto PADI ad Agosto del 2003. Purtroppo, dopo pochissimo, ho dovuto mettere da parte questa passione, per poi riprenderla dopo più di dieci anni, quando ho ri-frequentato il corso Open e subito dopo l’Advanced. In quella occasione ho conosciuto i miei due buddy Paolo e Federico, e assieme a loro ho iniziato il mio percorso tecnico. La subacquea tecnica mi ha permesso di approcciarmi a tutte le immersioni con maggior consapevolezza, attenzione e pianificazione. Devo ammetterlo: sinché non sono diventato un sub tecnico, non davo particolare importanza al concetto di sistema di coppia. Ora è tutto diverso e mi diverto di più, sia in configurazione ricreativa che tecnica.”. Paolo: “Ho iniziato a interessarmi alla tecnica dopo un centinaio di tuffi ricreativi. L’aspetto per me più interessante è senz’altro relativo ai maggiori tempi di fondo, più che al raggiungimento di determinate profondità.”. Perché avete scelto il Mar Rosso per la vostra vacanza sub? Paolo: ”C’è molta differenza tra i tuffi tecnici in Italia e in Egitto. In Italia è quasi sempre un mordi e fuggi: i sub partono al mattino presto e raggiungono il Diving, si
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ho sentito il sapore di libertà, durante la navigazione essere circondati dalla distesa blu mi ha riempito di gioia. Giovanni: “In Mar Rosso è stato semplice programmare le nostre immersioni tecniche grazie alla preparazione della nostra guida Omar, che è stato un compagno d’immersione eccezionale. Anche grazie al periodo di bassa stagione è stato possibile conciliare in una sola barca sia subacquei ricreativi che tecnici, senza nulla togliere al divertimento e alla comodità a bordo. Sicuramente consiglierei a chiunque, subacqueo tecnico e non, di passare almeno una decina di giorni a Sharm: il luogo, le persone, la vita, i sapori e ovviamente le immersioni ti restano nell’anima per sempre”. Che differenze avete trovato rispetto alle uscite in Italia? Giovanni: “Non è possibile paragonare, e non credo sarebbe neanche giusto farlo, le immersioni nel Mediterraneo o al lago con quanto è possibile avvistare sottacqua in Mar Rosso. La differenza più inte-
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ressante secondo me riguarda la gestione della deco, che normalmente in Italia si fa lungo la cima. In Mar Rosso, invece, la tappa di decompressione ha un valore aggiunto e diventa un’occasione per “curiosare ancora in giro”, imponendo però di prestare maggior attenzione ai tempi.” “In primis sicuramente gli spazi in barca e un comfort maggiore rispetto alla logistica in Italia“, ci dice Paolo. Federico, invece, fa notare un aspetto più sociale della sua esperienza sharmese: “I tuffi che ho fatto fino ad ora in Italia si sono sempre svolti in giornata, uscendo in gommone e quindi senza la possibilità di vivere intensamente l’esperienza della barca o di un vero e proprio centro sub. Il clima vissuto al Camel, le persone incontrate, la professionalità e la simpatia di tutto lo staff, i colori e la ricca fauna marina mi hanno spinto a tornare dopo pochi mesi per un’altra vacanza, da solo. Progetti tec futuri? Qui i 3 amici sono concordi nel voler tutti cimentarsi in un Corso Cave al più presto.
Come dar loro torto? L’Italia e il mondo sono pieni di mete subacquee meravigliose, alcune visitabili tutto l’anno e a poche ore di volo dall’Italia, dove combinare, come a Sharm El Sheikh, esigenze ricreative e tecniche a prezzi contenuti e condizioni logistiche e ambientali eccezionali. L’immersione tecnica non è per tutti. Ha più rischi delle immersioni ricreative e richiede un impegno superiore, insieme a grandi soddisfazioni. Essere un subacqueo tecnico, non significa immergersi a 150 m di profondità dal primo giorno, ma è certamente una buona ragione per sentirsi orgogliosi di se stessi. È un orgoglio personale, che ha a che fare con il miglioramento di sé e non con un senso di superiorità nei confronti degli altri. Può anche essere, come per Federico, Paolo e Giovanni un modo per consolidare l‘amicizia e imparare a fidarsi dei propri compagni di immersione, sia a terra, quando ci si prepara al tuffo, che sottacqua: nelle calde acque del Mar Rosso, come sul relitto della Haven in Italia.
Centro sub a gestione italiana
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CAMEL DIVE CLUB & HOTEL SHARM EL SHEIKH
7 notti con colazione, 5 giorni/10 immersioni e trasferimenti aeroportuali a partire da € 349 per persona in doppia 3 giorni di immersioni €135
DISPONIBILITA’ LIMITATA
5 giorni di immersioni €210
VALIDO PER ARRIVI dal 10.01.2020 al 29.02.2020 PRENOTA ENTRO IL 31.12.19 Codice promo: SCUBADICEMBRE /cameldive.sharm
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IL RIPOSO NEL REEF... ...UN SOGNO AD OCCHI APERTI di Marco Lausdei
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aaahhhhh, un po’ di meritato riposo! Che sia dopo uno stancante impegno lavorativo o di una appagante serata romantica, dopo una lunga e rilassante passeggiata o una giornata all’insegna dell’avventura, il momento in cui ci si rifugia tra le accoglienti braccia del proprio giaciglio, è sicuramente uno dei più piacevoli e intimi della giornata. È il momento in cui si rimane soli con le pro-
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prie emozioni più profonde; i pensieri, dapprima lucidi e presenti, si fanno via via più eterei, per poi magicamente tramutarsi in sogni. Già, i sogni, sebbene qualcuno possa pensare di non sognare, tutti sogniamo e lo facciamo praticamente ogni notte, semplicemente a volte non ce ne ricordiamo. E nel magico mondo del reef cosa succede? I pesci sognano? Chissà se un giovane pesce angelo, dalla tipica li-
vrea concentrica, sogni di diventare uno splendido e multicolore esemplare adulto, o se un pesce pagliaccio sogni un reef traboccante di soffici e protettrici anemoni. Forse un giorno la scienza e il progresso tecnologico amplieranno le nostre conoscenze su questi originali quesiti, per il momento possiamo solo fantasticare, ed immaginare questo o quell’altro pesciolino sognante che muove le pinne velocemente, a guisa di un cane che sogna di correre.
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Quello che per ora sembra certo, è che anche i pesci dormono, o forse più correttamente, si riposano. Non hanno una cameretta con il letto, non si addormentano sul divano dopo la domenica sportiva e nemmeno vestiti a causa di un drink di troppo, ma i pesci e gli abitanti del reef in generale si riposano per dei periodi di tempo, come la stragrande maggioranza di tutti gli altri esseri viventi e lo fanno nei modi più sorprendenti, come la natura è solita essere. Come prima cosa c’è da dire che i cicli di riposo e veglia sono molto differenti da quelli umani e si alternano in maniera più frequente. Alcune specie prediligono riposare durante le ore diurne, come i pesci leone, gli scorfanidi in generale, le murene e i crostacei, altri preferiscono le ore notturne, come avviene per gran parte dei pesci di barriera, tra i quali i pesci farfalla, i pesci angelo, i pesci balestra, i pesci pappagallo, i pesci lima e molti altri. Ma nel complesso quanto spietato mondo del reef, anche durante il meritato riposo, non si può mai dare nulla per scon-
tato e la lotta per la vita è più accesa che mai. Ma allora come fare per riposarsi ed essere al sicuro allo stesso tempo? Le risposte sono svariate e sorprendenti! I pesci di piccola taglia generalmente preferiscono riposare rifugiandosi in piccoli giacigli o spaccature del substrato roccioso. Un esempio pertinente è quello del pesce balestra blu, il più piccolo della sua larga famiglia. Dorme infilato in piccoli buchi lasciando fuori solamente la coda, la quale assomiglia molto alla chela di un astice o più in generale di un crostaceo. Quante volte ho visto subacquei immortalare con la propria GoPro o macchina fotografica una di queste “gigantesche chele”. Altri pesci, come il pesce palla, possono dormire sonni relativamente tranquilli e starsene in bella vista appoggiati ad esempio su un’acropora. La loro anatomia è ben conosciuta dai predatori, i quali, conoscendo l’altissima tossicità della potenziale preda, la evitano senza pensarci due volte. Chissà se il pesce lima, che ne imita la livrea, senza tuttavia averne la medesima tos-
sicità, dorma sonni altrettanto tranquilli? Il substrato corallino del reef offre comunque notevoli opportunità di rifugio per i suoi assonnati abitanti. Durante le ore notturne, tra i coralli a corna di cervo, perfetti per struttura ad offrire un inespugnabile riparo, si annidano pacificamente molte specie, tra le quali i pesci farfalla, gli idoli moreschi o i magnifici quanto schivi pesci lima arlecchino, che finalmente si concedono ad alcuni scatti, altrimenti estremamente complessi da realizzare durante le fasi attive. Se tra i pesci che abitano il reef una buona parte gode di dimensioni abbastanza ridotte da trovare facilmente un anfratto dove riposare, altrettanto non si può dire per altre specie, come ad esempio il pesce pappagallo, che raggiungono dimensioni notevoli. Ma quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare e dove le dimensioni per una volta non aiutano, subentra la genialità: rinchiudersi in una bolla di muco da lui stesso prodotta, isolandosi dall’ambiente esterno. In questo modo il pesce pappagallo impedi-
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sce il rilevamento della sua presenza ai propri predatori, sia da un punto di vista olfattivo che di campo elettromagnetico. Geniale no? Spostandoci per un attimo su più larga scala non possiamo non menzionare l’incredibile soluzione adottata dai delfini. Questi magnifici mammiferi marini, noti per la loro suprema intelligenza, non finiscono di stupire nemmeno quando si tratta di riposare. Per rimanere sempre vigili ed attivi, poter nuotare, evitare ostacoli e pericoli, i delfini entrano in un un particolare stato di sonno chiamato “emisferico ad onde lente”. In sostanza riescono ad isolare metà dell’encefalo che si “ricarica”, mantenendo attivo l’altro emisfero. Una volta “ricaricato” un emisfero, il processo si inverte. In questo modo il delfino non perde mai il contatto con l’ambiente circostante, garantendosi riposo e sopravvivenza allo stesso tempo. Nonostante questi ingegnosi stratagemmi, quella del riposo rimane sempre una fase molto delicata, gli equilibri sono sottili e gli organismi possono essere facilmente disturbati. I subacquei dovrebbero avere premura nel rispettare questi
momenti, al fine di non impattare troppo negli equilibri dell’ambiente in cui si immergono e avere una condotta il meno possibile invasiva. Non si dovrebbe mai dimenticare ad esempio, che praticamente tutti gli abitanti del reef sono sprovvisti di palpebre. Facendo lavorare la fantasia, proviamo per un attimo ad immedesimarci in un pesce e invece che sul letto di casa, adagiamoci su un bel corallo, scelto con cura, con tutti i polipi espansi che fanno da materasso. Ci apprestiamo a passare la nostra prima notte sul reef. Aaahhh come si sta bene! Un leggero sciabordio della risacca concilia il sonno, stiamo per addormentarci, quando all’improvviso, un gruppo di fasci luminosi e disordinati, incrociandosi come spade laser squarciano la quiete circostante. Si avvicinano rumorosi, creando strane colonne gassose che si perdono verso l’alto nello scuro della notte. Si guardano intorno, disordinati, in cerca di non si sa bene che cosa. Ma chi sono? Ci scovano. Ci scrutano. Uno ad uno ci puntano quelle accecanti torce dritte nelle pupille. Che fastidio incredibile, facciamo di tutto per girarci e nasconderci ma
niente, la luce, accecante, continua ad inondarci per lunghi interminabili minuti! Questo giocoso esempio potrebbe essere verosimilmente ciò che passa per la testa di un qualsiasi organismo marino che abbia la “sfortuna” di incrociare un gruppo di subacquei in immersione notturna. Ovviamente sono tutt’altro che esenti dal discorso i fotografi subacquei, anzi. Generalmente si potrebbe ragionare un attimo di più sui settaggi delle nostre fotocamere, evitando di mitragliare con 30 lampi un qualsiasi inerme soggetto prima di tirare fuori uno scatto soddisfacente. Ce ne sarebbe sicuramente grato! La natura fa il suo corso, la vita sul reef procede con tutti i suoi delicati equilibri, compresi quelli che regolano le fasi di riposo dei suoi abitanti. Come ospiti occasionali di questi magnifici ecosistemi, noi subacquei, specialmente gli addetti ai lavori, dovremmo non solo cercare di essere sensibili, ma di sensibilizzare a nostra volta anche su questi aspetti presumibilmente di secondaria importanza, al fine di rendere il riposo dei nostri amici pinnuti e non, un vero e proprio... sogno ad occhi aperti.
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LA BETTOLINA FLUVIALE ARMATA DI FINALE LIGURE di Andrea “Murdock” Alpini (foto di Marco Mori)
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n’occhiata di sole mi accieca in questo momento, eppure fino a cinque minuti fa la pioggia era battente. Nel 1943 tra i porti francesi e quelli liguri transitano chiatte fluviali armate e motozzattere requisite dai tedeschi in Francia e in Belgio. Artilleriefährprahm (AFP) o “Traghetti Armati” sono imbarcazioni armate derivate dalle MFP. Queste navi erano utilizzate come mezzi di scorta a convogli, in bombardamenti costieri e per la stesura di campi minati. L’armamento tipico era costituito da due pezzi FlaK 88 e un pezzo di artiglieria contraerea leggera da 20mm. Questi mezzi nacquero ufficialmente in
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due forme distinte: nel 1940 come Flakjäger-Gruppe e successivamente, nel 1941, come battelli più ammodernati della Flakjäger-Flottille. La 1ª Flottiglia Trasporto prese corpo in Francia nel mese di maggio 1943. Dalla metà del mese di luglio dello stesso anno, ben diciassette mezzi, furono spostati verso la Liguria. Si trattava di “Peniches” francesi (barche fluviali, chiatte, bettoline riconvertite e armate) e mezzi Seelöwe-Pmot (mezzi da sbarco similari a quelli usati per l’invasione dell’Inghilterra). La base di riferimento fu stabilita inizialmente a Sanremo e in seguito a Imperia. Sul finire del mese di agosto 1943 la 1ª Flottiglia Trasporto era completata e pronta ad agire, sem-
pre sotto il controllo e il comando della 7ª Sicherungs-Divisionen (7ª Divisione Sicurezza), con il ruolo di pattugliare le coste italiane. L’affondamento della Bettolina Fluviale Armata di Finale Ligure, o di Caprazoppa, armata con due FlaK 88 e un FlaK 38 a poppa potrebbe essere un’imbarcazione di tipo AFP, inviata già alla fine del 1942 nelle acque liguri per controllare le coste italiane. Questa Bettolina Fluviale Armata – se non fosse affondata per siluramento, in data 14 gennaio 1943, per mano del sommergibile britannico HMS Sahib (P 212) – probabilmente sarebbe entrata a far parte della 1ª Flottiglia Trasporto, che sarebbe nata da lì a pochi mesi.
IMMERSIONI
IL SOMMERGIBILE HMS SAHIB (P 212) Il Sommergibile britannico HMS P 212, classe S, fu costruito presso i cantieri navali di Cammell Laird Shipyard (Birkenhead, U.K.) e divenne operativo dal 19 gennaio 1942. Il suo equipaggio era composto da 6 ufficiali e 42 uomini, il sommergibile era alimentato da motori di tipo diesel/elettrico in grado di sviluppare potenza fino a 1.900 cavalli vapore che davano propulsione a due eliche. L’armamento di bordo principale era composto da 7 tubi lancia siluri da 21pollici (6 a prua e 1 supplementare esterno a poppa), 13 siluri, 1 pezzo di contraerea tipo MG e un armamento leggero da 3 pollici. Il P 212 aveva lunghezza pari a 66m, un dislocamento pari a 715tsl e una velocità di crociera in superficie di quasi 14 nodi, che si riduceva a 9 nodi durante l’immersione.
HMS SAHIB (P 212) ATTACCA LA BETTOLINA FLUVIALE ARMATA DI CAPRAZOPPA Presso gli Archivi Nazionali di Londra è conservato il documento dell’Ammiragliato che contiene alcune significative
informazioni circa l’attività del sommergibile in forze alle Royal Navy HMS Sahib (P 212), comandato dall’ufficiale John Henry Bromage. Il giorno di Natale dell’anno 1942 il P 212 conclude la sua quinta azione di guerra in Mediterraneo, ad Algeri; si ricongiunge quindi alla 8ª Submarine Flotilla. All’inizio del 1943, il 10 gennaio riceve l’ordine di recarsi nel Golfo di Genova per la sua sesta azione in Mediterraneo. Saranno
tre le navi affondate in pochi giorni. L’11 gennaio il sommergibile Sahib affonda il mercantile San Antonio, tre giorni più tardi colpisce e affonda il mercantile Oued Tiflet. Lo stesso giorno, il 14 gennaio 1943, in località prossima a Caprazoppa (Finale Ligure) ingaggia un inseguimento con un mezzo tedesco a “vocazione mercantile” ma armato. Il P 212 lancia tre siluri, di cui uno andrà a segno colpendo la poppa della Bettolina Fluviale Armata
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oggetto di studio. Due siluri arriveranno sulla costa.
LA PRIMA IMMERSIONE Verde, ancora verde, sempre più verde. Più scendo e più l’acqua diventa un amalgama scuro che mi avvolge. La cima ha molto bando: lo sapevamo dalla superficie quando la corrente tendeva ad affondare la boetta provvisoria messa per segnare il punto. La distanza che ci separa dall’ipotetico relitto che dovremmo trovare sul fondo è di circa 120m. L’ecoscandaglio batte una leggera alzata a questa distanza dal punto di discesa. Il fondale si trova a -85m, siamo pronti.
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Verifico doppiamente la direzione bussola nel caso diventi necessario tirare un reel sul fondo per cercare “Betty Love”. Questo non è il nome dell’imbarcazione, ma il soprannome che amichevolmente le ho dato nel periodo antecedente l’immersione, quando ho iniziato a fare le ricerche preliminari sul relitto. La “Barcaccia”, come è chiamata dai locali che ne hanno memoria, è un relitto che ritrovato da Piero dell’Amico e successivamente conosciuto da Edoardo Pasini e Marco Colman. L’appoggio logistico utilizzato durante le immersioni per identificare e ricostruire la storia di questa imbarcazione è stato il Marina Diving di Loano di Corrado Ambrosi.
L’ancora di zavorra del nostro pedagno volante, gettata un paio di giorni prima, ha arato un po’ il fondale proprio a causa della corrente che è sempre stata presente nei giorni passati. Continuo a guardare il profondimetro per darmi un orientamento; d’altra parte, visivamente è tutto limitato ai 2 metri di sagola che ho di fronte. A circa -78m accendo i fari video. Continuando a scendere, qualche metro più sotto si vede il fango. Poi una porzione dell’àncora: giusto il tempo di afferrarla e girare lo sguardo verso l’alto che compare un lembo di rete di strascico coricata su un pezzo di lamiera, di ferro. Ci siamo! Sistemo un po’ il pedagno con un paio di nodi del barcaiolo su una porzione adeguata e salda del relitto. Ora è il momento dell’elastico per la luce stroboscopica. Inizia la nostra perlustrazione. La parte in cui mi trovo è tutta sconquassata. Alza qualche metro in più rispetto alla tuga. È assai contorta, confusa. Giro tutt’attorno giusto per avere sia un’idea chiara della conformazione dello scafo sia per familiarizzare con il punto da cui riprenderò la via del ritorno. La murata di sinistra è la prescelta per iniziare la navigazione verso prua, in direzione mare aperto. Compare subito una stiva piuttosto collassata con del materiale vario all’intero di dimensioni e forme irregolari. L’occhio necessita di qualche istante per abituarsi a leggere gli elementi parzialmente ricoperti dal sedimento limaccioso. Metto a fuoco visivamente, mi concentro. È lui! È proprio lui, il grosso pezzo di artiglieria, caduto dal suo supporto originale, che ora giace quasi immerso nel fango. È integro, compatto, con la canna lunga che apriva il fuoco sulle navi nemiche durante il pattugliamento costiero nella Seconda Guerra Mondiale. Vado oltre. Riguadagno quota e mi sposto verso il centro nave in corrispondenza della murata di dritta, dove si trova una grossa e tozza bitta. Una putrella collega i due lati opposti dello scafo e separa nella parte sommitale l’ampia stiva sottostante, frazionandola solo visivamente in due parti. A prua si trova un possente argano che occupa quasi tutta la larghezza dello scafo. A un paio di metri di distanza, verso il centro nave è collocato un modesto albero di carico, un paranco, utilizzato per caricare il materiale sulla nave. L’estremo profilo di prua assomiglia quasi a una poppa per la forma. È alta, ricurva e panciuta. Conferisce un carattere un po’ goffo allo scafo, ma è perfettamente in linea con il disegno della barca da cui è
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stata ricavata questa bettolina fluviale armata. Si tratta di un’imbarcazione lunga circa 45 metri che in origine era adibita al trasporto fluviale. La Kriegsmarine l’ha armata per trasformarla in un pattugliatore costiero che soffriva l’incresparsi del Mar Ligure. Un’ancora a due marre scende dall’occhio di cubia, posto quasi sulla mezzeria dello scafo, leggermente a sinistra. Un pezzo di rete a strascico ne cela la visione d’insieme. Inverto la rotta, prendo la murata di dritta e, appena dopo l’albero di carico, segnalo a Marco Mori che scenderò nella stiva per vedere come sarà all’interno. Aleggia una nebbia spettrale che riduce ulteriormente la visibilità dai 4 metri della parte alta, al paio di metri qui sotto. Andando in direzione dell’argano incontro una parete coloniz-
zata da una miriade di gamberi rossi, poi sul fondo compare una scatola metallica che si è concretizzata al tal punto da rendersi solidale con lo scafo sottostante. Dalla forma sembrerebbe essere un porta cartucce di armamento leggero, ma in questo momento ogni ulteriore valutazione o supposizione sarebbe ingiustificata. Procedo in direzione opposta e, a una decina di metri di distanza, compare del materiale vario. Non dovrebbe essere lì, ma è pur sempre vero che il relitto è esploso prima di inabissarsi e, complice anche il tempo, molti elementi si trovano di conseguenza nei posti più disparati. Recupero qualche metro di quota. Punto i fari verso il fondale per godermi un po’ il paesaggio “carsico” attorno al relitto. Intanto auspico sempre di vedere qualco-
sa d’interessante che attiri la mia attenzione. E così è! Una lamiera piegata, un altro pezzo, un altro ancora. Poi d’un tratto le lamiere prendono una forma compiuta. Mi fermo. Cerco di intravedere la luce stroboscopica. Cadenzati arrivano i lampeggi. Sono a circa una dozzina di metri a destra rispetto alla murata di sinistra. Lo scafo è spezzato in due tronconi, uno ortogonale all’altro. Sfanalo un po’ in direzione opposta per richiamare l’attenzione del mio compagno. Questa parte del relitto ha una bella vocazione fotografica: si trovano il castello di poppa, il supporto circolare della mitragliatrice, la timoneria e quel che resta della sala macchine. L’estrema poppa è solamente più larga della prua ma ne mantiene la forma e il profilo curvilineo. Il piccolo castello poppiero presenta finestrature orizzontali nette, rettangolari. Sono due livelli esterni ma di poca altezza. Sulla linea mediana dello scafo è impostata più sotto la timoneria. Dal fondale emerge solo metà pala, un po’ tozza, mentre l’elica si trova qualche metro più in basso completamente insabbiata. Impossibile vederla, bisogna immaginarla. Risalendo di qualche metro, sulla murata di destra coperta da un pesante ormeggio collassato, si trova un’altra àncora identica a quella di prua. Le bettoline fluviali avevano infatti un doppio sistema di ancoraggio, posto in maniera asimmetrica alle due estremità dello scafo. Il taglio pulito e squadrato dell’apertura della sala macchine è affascinante. Ho solo il tempo di infilare la macchina video, poi bisogna andare. Domani, se saremo fortunati, tutto ricomincerà da qui; ora ci aspettano 120 minuti tra risalita e decompressione prima di tornare a vedere il sole.
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Conosciamo meglio i fondali liguri
IL CORALLO ROSSO DI PORTOFINO: UNA DISCESA ALL’ALTARE di Massimo Boyer L’ Area Marina Protetta di Portofino è frequentata da subacquei di tutto il mondo per i suoi bellissimi paesaggi sommersi, caratterizzati da pareti tappezzate di gorgonie, animati da pesci di ogni specie e taglia, e impreziositi dalla presenza del corallo rosso
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ortofino: il paese si porta dietro la sua fama di meta esclusiva, costosissima, ma per noi sub Portofino è soprattutto il nome di un’Area Marina Protetta, che coincide con il promontorio omonimo (o con il monte, come è chiamato da queste par-
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ti), una delle più belle e importanti non solo in Liguria ma in tutta Italia. L’Area Marina Protetta di Portofino è suddivisa in tre zone: zona A (18 ha, a protezione integrale), zona B (185 ha) e zona C (57 ha) con diversi livelli di protezione. Il grosso delle attività dei diving center si svolge nella zona B, che coin-
cide con la costa meridionale del promontorio, la più bella e naturale. L’area è stata dichiarata Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo. Siamo diretti all’Altare, uno dei tanti punti di immersione dell’area. Sarebbe sbagliato fare graduatorie, ognuno ha i suoi punti di interesse e i suoi estimatori. Da
IMMERSIONI un punto di vista didattico l’Altare, per l’alternarsi delle comunità biologiche, è molto rappresentativa di quello che sto per raccontare. La roccia formatasi nell’oligocene disegna scorci suggestivi e piccole insenature, con la vegetazione che tocca quasi il mare, questo mare scuro, di un colore unico. La falesia precipita in mare, formando pareti verticali che scendono a elevate profondità spesso a 50 m e oltre e ospitano una fauna marina che per biodiversità ha pochi uguali in Mediterraneo. Scendiamo veloci lungo la parte più superficiale della scogliera sommersa, ci soffermeremo durante la risalita a esplorare le tipiche associazioni di alghe fotofile del Mediterraneo occidentale. Scendendo in profondità attorno ai 20-25m il paesaggio cambia radicalmente e le alghe cedono il passo a una notevole biocenosi a coralligeno, che si distingue per l’abbondanza di gorgonie (Paramuricea clavata e tutte le specie di Eunicella) anche a profondità relativamente basse. Il coralligeno è una comunità biologica formata da alghe e animali a scheletro calcareo (briozoi, policheti), concrezionanti, che alla loro morte diventano substrato per nuovi organismi, roccia, in una struttura che si accresce come una teglia di lasagne, lasciando tra gli strati successivi piccoli anfratti, che si popolano di altri animali (spugne, molluschi, crostacei), in una matrioska di biodiversità. Deve il suo nome al fatto che sia l’habitat preferito di... sua maestà. Siamo entrati infatti nel regno del corallo rosso (Corallium rubrum). Portofino è caratterizzato infatti da una popolazione importante di questo ottocorallo, anche se storicamente non ha mai avuto una fiorente industria di lavorazione dei derivati. Il corallo di Portofino ha una struttura molto porosa, che lo rende difficile da lavorare e di scarso valore commerciale, e che è stata probabilmente la sua salvezza. Risultato: tutte le pareti strapiombanti, a partire da 20-25 m di profondità (secondo la zona) sono elegantemente ornate di rametti rossi, fioriti di polipi bianchi. Il corallo rosso è una gorgonia... non sto delirando, il nostrano corallo non è imparentato strettamente con i coralli costruttori delle scogliere tropicali (che dovremmo chiamare propriamente madrepore o sclerattinie). Questi sono esa-
coralli, caratterizzati da polipi con i tentacoli in numero multiplo di sei, mentre il nostro è un ottocorallo, con i suoi otto tentacoli piumosi. Vale a dire un cugino delle gorgonie, rispetto alle quali il suo scheletro, fortemente impregnato di sali di calcio, ha una durezza e una rigidità notevoli, che però non bastano per difenderlo dalle nostre pinnate, attenzione. Uno studio recente dimostra che nelle zone più battute dai sub è più facile trovare frammenti di corallo sul fondo, abbattuti da subacquei distratti. Risalendo, incontriamo un’altra presenza comune nell’Area: la Posidonia oceanica, che forma praterie sui fondali sabbio-
si (in particolare nelle Zone C) e chiazze sparse anche sul fondale roccioso. L’area marina protetta è una zona molto amata e frequentata dai subacquei, che la riconoscono, anche per organizzazione e accessibilità, come una delle zone di immersione migliori. Ma l’elemento che ha ricevuto dalla protezione, iniziata nel 1999, il maggiore impulso è probabilmente la fauna ittica. Incontriamo numerose grasse cernie (Epinephelus marginatus), maestose corvine (Sciaena umbra) e dentici in caccia (Dentex dentex), non parliamo dei banchi di salpe (Sarpa salpa) e saraghi fasciati (Diplodus vulgaris). Il
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di Portofino copre un ruolo importantissimo nell’economia del territorio, tanto che, dopo i contrasti iniziali, ora i benefici per il turismo e il benessere dei residenti sono chiari a tutti, in termini di aumento del numero dei visitatori. La gestione è affidata a un consorzio che comprende i Comuni di Camogli, Portofino, Santa Margherita, la Città Metropolitana di Genova, l’Università di Genova. Per i subacquei, la fruizione della zona B è regolata quasi completamente dai diving center autorizzati a praticare immersioni nell’area. È possibile anche entrarvi da privati, richiedendo un permesso.
cambiamento climatico e la protezione hanno portato ad un aumento dei barracuda (Sphyraena viridensis), che era difficile vedere negli anni ’90 mentre adesso in zone precise sono diventati una presenza costante. Risalendo, tra le alghe, ossserviamo una folla di pesci più piccoli e legati ad ambienti superficiali, tra cui il labride Thalassoma pavo (la donzella pavonina), un pesciolino ad affinità meridionale che dagli anni ’80 sta risalendo lungo le coste italiane, testimone silenzioso di un cambiamento in corso. Trattandosi di un’area a vocazione fortemente turistica, l’Area marina protetta
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LAGO D’ISEO: LA SECCA RITROVATA
SUBACQUEA E SCIENZA, CONNUBIO PERFETTO di Carlo Roncoroni
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omenica 7 luglio, nelle acque prospicienti Monte Isola sul Lago di Iseo, si è vissuto un evento particolare: una immersione tecnica nelle fredde e verdi acque con scopi prettamente esplorativi, scaturita da una innata passione e curiosità scientifica dell’Ing. Marco Pilotti. Docente di Idraulica alla Facoltà di Ingegneria della Università di Brescia, profondo conoscitore ed appassionato del Sebino, ha prodotto una mappa batimetrica di grandissimo dettaglio del fondo del lago. Da allora, in tutti gli incontri con i subacquei Marco Pilotti non manca di ricordare questa straordinaria particolarità batimetrica del lago, invitandoli ad esplorarla. Per questa ragione, amichevolmente è stata chiamata “Secca di Pilotti” la secca che un gruppo di subacquei ha esplorato nel corso della recente immersione. In realtà, il primo ad aver studiato il fondale del Lago d’Iseo è stato l’Ingegnere, Salmoiraghi, il quale nel 1884 decise di
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condurre una campagna di misura dettagliata per sondare il fondo di questo lago, con 268 misure di profondità. Con suo grande stupore, giunto al centro del lago, ad ovest dell’Isola di Loreto, lo
scandaglio che poco più a est e a ovest si era fermato a circa 240 m, si fermò a poco più di 80 metri di profondità. In questo punto anzi egli perse lo scandaglio, deducendone una conformazione parti-
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colarmente aspra del fondo o quantomeno delle pareti limitrofe alla secca. Egli aveva individuato una delle particolarità morfologiche più stupefacenti del lago d’Iseo. Negli ultimi 10 anni Marco Pilotti di studi ne ha fatti tanti in queste acque. Tra le altre cose, ha realizzato e gestisce una serie di stazioni di monitoraggio attorno al lago. La sua preoccupazione è capire e come sia possibile fermarne il degrado, ma contemporaneamente anche farlo conoscere nelle sue molte ragioni di fascino e di interesse. I subacquei sono suoi alleati in questa attività e quando è arrivata la notizia
che si poteva intervenire direttamente in acqua, conoscendo il punto esatto della secca e poter esplorare quanto ancora ignoto, è scattata la macchina organizzatrice. Fabio Carrara e Marco Rubagotti organizzatori dell’evento, con la Scuola Submania e l’Hundred Trimix Team Explorer, hanno messo a punto tutta la logistica del caso : tutto è funzionato alla perfezione. L’equipaggiamento sulla comodissima barca da lavoro del diving partita dalla sede di Riva di Solto, prevedeva di tutto e di più per la sicurezza in acqua dei sub, e Dario Nicolai e Omar Consonni sono stati semplicemente perfetti nella gestio-
ne delle operazioni. Mentre un secondo motoscafo procedeva nella ricognizione con satellitare ed ecoscandaglio l’arrivo dell ‘Ing. Pilotti su una terza imbarcazione, completava il quadro logistico in superficie. Marco Pilotti ha fornito la esatta posizione, la forma del fondo, la sua esatta profondità e il profilo a cavallo della secca Allertata la Protezione Civile, i primi subacquei ad andare in acqua e raggiungere la profondità di 70 metri alla temperatura di 7 gradi, sono stati Marco Rubagotti e Fabio Carrara. A loro il compito importante di portare in superficie le immagini del fondo per poter fornire indicazioni ed informazioni su quanto visto . Dotato di potenti illuminatori, il Rubagotti ha effettuato un interessantissimo video, già per altro sotto esame . A seguire nella discesa in acqua sono stati Ivan Rolli e Carlo Roncoroni, dotati di scooter subacquei, con l’intento di allargare ulteriormente il raggio d’azione della ricerca, adoperando miscele ipoossigenate per la ricognizione sul fondo e miscele iperossigenate per le forzate tappe di decompressione preparate dal tecnico di miscelazione Pietro Bonomi. Sebbene il fondo era previsto a 70 mt ma molto probabilmente degradante a maggiori profondità , sono stati adoperati bibo 12+12 caricati con 15/50 , una stage con Ean 40 o ean 50 ed ossigeno puro
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per la tappa finale in decompressione . Da una prima analisi delle immagini estrapolate dalla profondità, l’Ing. Pilotti trae conferma dell’ipotesi che dal fondo si liberino significativi quantitativi di metano, una ipotesi di cui da tempo cercava prove evidenti. Il fondo si presenta come un piano ondulato, caratterizzato da piccoli crateri e da fessure che sono i punti di uscita del gas, originato dalla decomposizione all’interno dei sedimenti della materia organica che si depone nel lago. Le zone di più recente emersione del gas sono poi ricoperte da concrezioni biancastre la cui natura deve ancora essere chiarita. Si tratta di immagini straordinarie ed è affascinante pensare che pochissimi prima di oggi avevano probabilmente mai visto il fondo in questo punto. Questa immersione e il filmato che è stato fatto, sono una dimostrazione di quella che in lingua anglosassone viene chiamata “citizen science”, ovvero la partecipazione di appassionati a rilevazioni che possono avere un valore di contributo alla conoscenza naturalistica e scientifica dell’ambiente in cui si opera. Speriamo che a questa ne seguano altre, e magari incappare nello scandaglio ottocentesco perso allora.
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Vista da Nord della sezione del fondo del lago con l’Isola di Loreto e la Secca di Pilotti
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DEEP DIVE IN TECH di Roberto Antonini
(foto di Silvano Barboni)
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uando ho iniziato a fare immersioni a livello ricreativo, qualche annetto fa, cinque erano i cardini su cui si reggeva il tuffo: tempi, consumo, sistema di coppia, rispetto della curva di sicurezza, cura per l’ambiente. Per raggiungere la profondità stabilita e per sfruttare tutti i minuti a disposizione a quota prefissata, bisognava sperare che tutto filasse liscio senza nessun intoppo sia sul gruppo ara sia a livello fisico: un problema o una mal compensazione avrebbe suggerito di rimanere a quote meno profonde o di concludere anticipatamente l’immersione. È paradossale, in effetti, quanto il timore iniziale di effettuare immersioni nel lago, si
trasformi poco alla volta in curiosità nell’esplorare i suoi flutti e nel desiderio di conseguire al più presto la specialità profonda per ammirare le bellezze delle pareti che a picco svaniscono nell’abisso. Anche al mare, pur avendo più possibilità di esplorazione a quote anche meno profonde, c’è il rischio di perdersi ad osservare un relitto, un nudibranco, un polpo, un’aragosta e tempus fugit. Non si vorrebbe mai riemergere perché la durata a disposizione sembra sempre essere esigua. Come ottenere più tempo per l’immersione? La prima soluzione ricreativa per allungare i tempi di fondo è la specialità Nitrox: aiuta il recupero fisiologico e diminuisce il tempo d’intervallo tra immersioni consecutive. È forse questa la specialità
che ha acceso in me il desiderio di approfondire quello che sarebbe stata la mia nuova avventura: la subacquea tecnica. Inabissarsi alla quota stabilita e non oltre il consentito, per i minuti che solo il mio effettivo consumo avrebbe permesso, in base alle bombole utilizzate, mi dava la sensazione di aver scoperto il miglior tuffo possibile in sicurezza, confortato soprattutto dalla pianificazione dei dettagli esaminati prima dell’entrata in acqua. Runtime, sac, sosta deco, ean50, oxy, pressione parziale ossigeno: ecco i nuovi vocaboli. Il mio percorso Tec si è sviluppato in tre momenti ben distinti lontani l’uno dall’ altro. Ho conseguito poi anche il brevetto trimix normossico. Il corso tec 40 è quello a cui sono rimasto più legato: mi ha consentito un salto di qualità tanto in acqua quanto a livello di teoria subacquea. Consiglio a chi consegue il brevetto di Master Scuba diver tale percorso per una miglior scelta nel proseguo della propria carriera subacquea. Terminato il tec 50 mi ritrovo con poche persone a fare immersioni tecniche e sprono i miei buddies ad intraprendere la stessa strada. Ne sono talmente affascinato che discutendone insieme, riesco a fare breccia nei loro pensieri. Sebbene un po’ titubanti, provo
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FOTO/VIDEO SUB a persuaderli fugandone i dubbi grazie anche al lago che, d’estate, con il caldo, forma una notevole sospensione che limita la visibilità oltre i trenta metri, ma che a ridosso dei cinquanta svanisce rendendo l’acqua cristallina come quella di una piscina. L’idea di effettuare immersioni sempre con visibilità top si insinua come un tarlo nella testa dei miei compagni che in tre mesi concludono il corso. Già dalle prime immersioni si intuisce la grande differenza tra una tecnica ed una ricreativa. Quando arrivi sul fondo non hai la preoccupazione immediata di essere alla massima profondità, né che a breve dovrai risalire ad una quota inferiore. Hai pianificato un’immersione in cui per diversi minuti terrai la stessa profondità cercando il massimo assetto, concentrandoti sulla respirazione che diventa lunga e profonda. Trovi modo di rilassarti, di muoverti con la massima idrodinamicità, sei esposto alla narcosi che rallenta i tuoi pensieri e di conseguenza le tue manovre ma, immergendoti almeno due volte la settimana, ne sarai sempre meno soggetto. Cerchi una postura più orizzontale rispetto a prima, effettui la pinneggiata a rana lavorando solo con la roteazione delle caviglie; se galleggi sospeso come una libellula, rimani basito dalla spinta che avrai ottenuto e dalla propulsione in avanti. Cambi il modo di risalita in verticale a non più di 10m/m con di fianco il tuo buddy che risale alla tua stessa velocità a fronte parete per avere sempre un riferimento visivo mentre i tuoi occhi sono sul computer...arrivare ai 21 metri, bloccarsi e mantenere la quota. Quante prove, quanti sbagli, quante volte prima che il tutto diventi ...naturale...ma che bella è “la tecnica”? Pur non facendo parte di nessun “club”, ma partecipando attivamente alle immersioni dei gruppi più importanti di Varese, ci accorgiamo, in breve, di essere dei pesci “ fuor d’acqua” in mezzo a tanti ricreativi e, poche sono le volte, in cui qualche amico si stacca per farci compagnia a quote più profonde pur avendone i requisiti. Una sera al bar ci guardiamo negli occhi e decidiamo di creare un “Gruppo tecnico” Siamo in quattro: Mauro Soffientini, Roberto Cuccuru, Elisa Giani nota rosa e sorridente del clan ed io Roberto Antonini. Ci accorgiamo ben presto che il mondo subacqueo é pieno di “cani sciolti” che hanno la nostra stessa passione e che, a volte, per una questione di tempo, famiglia o lavoro non riescono ad effettuare immersioni notturne in settimana. Il sabato mattina,
infatti, rimane il giorno preferito dalla maggioranza; ultimamente il gruppo si è fatto più nutrito; abbiamo conosciuto nuove persone che, tramite il passa parola, hanno coinvolto gli amici ed ora, ad immergerci, siamo sempre più numerosi. Tutti sanno che almeno uno di noi è sempre presente per scendere in acqua a Castelveccana, a Punta Granelli, una delle immersioni tecniche più amate e popolari, conosciuta dai sommozzatori della zona, ambita ed invidiata dai divers di Milano, Como e dagli amici svizzeri. Il sabato pomeriggio siamo disponibili a “ guidare” chi per la prima volta vuole esplorare o cimentarsi in acque lacustri. I profili da poter effettuare sono tanti, tutti ricchi di fascino e adatti ad ogni
tipologia di brevetto. Siamo pronti inoltre ad entusiasmare chi vorrà buttarsi nelle acque verdi e cristalline della “Viennetta”. La domenica è la seconda tappa obbligatoria: collabora attivamente con noi anche Silvano Barboni il “nostro” fotografo di fiducia, spesso impegnato da solo o in compagnia degli amici Nadir e Bea, di Zero Emissions con i reb, pronto ad immortalare con “scatti “ suggestivi, soggetti che fanno da modello in ogni angolo segreto di roccia e pareti. L’ impegno di tutti noi è quello di immergersi e divertirsi insieme a tanti divers, che hanno i requisiti per immersioni tecniche, ma che non vogliono affrontare da soli questa avventura. Unitevi a noi! Vi aspettiamo!
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STORIE DI FANTASMI di Claudio Ziraldo - www.ziraldo.net (Ricerca Tassonomica di Alessandro Ziraldo)
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Solenostomidi, meglio conosciuti come pesci fantasma, sono una famiglia di pesci osteitti, singnatiformi; famiglia che comprende l’unico genere Solenostomus; distribuito nei mari della fascia tropicale dell’Oceano Indiano, Pacifico e Mar Rosso. Raggiungono la lunghezza di 16 cm, ma difficilmente si trovano esemplari così grandi che a me è capitato di vedere solo nella specie Solenostomus cyanopterus; in genere si trovano individui intorno ai 10 cm. Wikipedia parla di cinque specie, Rudi Kuiter e Helmut Debelius nel loro volume World Atlas of Marine Fishes, citano “circa” sei specie. In realtà credo ce ne siano altre, non classificate, vedi per esempio a pag. 175 del volume In a sea of dream di Christopher Newbert, una spettacolare immagine di una coppia si Solenostomidi coperti di peluria fulva e non classificati. Inoltre, alle volte, si individuano esemplari che, pur apparentemente appartenenti ad una data specie, presentano caratteristiche morfologiche che lasciano adito a dubbi. Tra le specie classificate la più colorata e spettacolare è certamente il pesce fantasma arlecchino, per la scienza Solenostomus paradoxus. Lo si può incontrare un po’ in tutti gli habitat, compreso fondi sabbiosi o fangosi, dove in genere è di passaggio; preferisce però di gran lunga alloggiare tra le braccia dei crinoidi o nei rami di gorgonie e corallo nero. In genere questi pesci si spostano in coppia dove il maschio è l’esemplare più piccolo, ma si possono incontrare anche esemplari singoli o piccoli gruppi. I problemi fotografici non sono molti, in
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(foto di apertura, 60 mm macro/1 flash)
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primis bisogna impiegare un’ottica macro, data la dimensione dei soggetti. Occorre poi trovarli ma, solitamente, ci pensano le guide; al riguardo un consiglio: non abituatevi a lasciar fare la ricerca soltanto agli accompagnatori, ma fatelo anche per conto vostro, così le possibilità aumenteranno e soprattutto imparerete a diventare autonomi. Una cosa importante è il substrato che, sia che si abbia a che fare con un cromatismo contrastante (foto di apertura), sia tono su tono (foto2), contribuisce a fornire una marcia in più alle nostre foto. Come ho già avuto modo di scrivere oc-
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corre che il pesce si presenti ortogonale all’asse ottico dell’obiettivo e che si abbia la pazienza di aspettare che il nostro fantasma abbia pinne e coda completamente estese. Quando siamo di fronte ad un gruppetto le cose si complicano, il tempo è sempre tiranno e si deve cercare di mettere a fuoco più esemplari possibile; inoltre in tali occasioni i pesci in genere sono in movimento e la profondità di campo davvero poca. Non possiamo che fare del nostro meglio e, anche qui come in altri casi, un piccolo aiuto della “Dea Bendata” non guasta (foto 3, 60 mm macro/2 flash)
Quando si trova una femmina (in questo caso il maschio era fuori del campo inquadrato), vale la pena di guardare se è un po’ più… cicciottella di quanto siamo abituati a vedere, potrebbe avere le uova; infatti le “signore” hanno tra le pinne pettorali una sorta di sacca pelvica in cui tengono le uova e, guardando attentamente nella foto in alto a destra, si vedono in trasparenza. La foto 4, in basso nella pagina accanto è stata scattata con il 105 mm macro/1flash. Si tratta di un’occasione particolare, per la quale ho tentato il tutto per tutto, diaframmando per aumentare la profondità di campo ed avvicinandomi il più possibile; ho fatto diversi… buchi nell’acqua ma qualche scatto a mio avviso interessante mi è riuscito; propongo quello che mi piace di più. Ma lasciamo i nostri arlecchino per altre specie. I due fantasmi bianchi della foto 5 (60 mm. macro – 2 flash) sono stati definiti da alcuni Autori con la denominazione volgare di “Velvet Ghost Pipe Fish” per la trama vellutata del mantello; di fatto sono una specie non scientificamente identificata, così come il fantasma rosso che si è messo in una perfetta posizione verticale nelle acque dello Stretto di Lembeh. Come si può constatare i due fantasmini bianchi hanno il mantello compatto, mentre quello rosso presenta alcune asperità e non è dato di comprendere alla osservazione visiva (occorrerebbe esame DNA) se siano della stessa specie o meno, per cui ad entrambi attribuiremo il semplice appellativo Solenostomus sp. Torniamo nuovamente a “personaggi conosciuti”, nelle foto 7 e 8 (60 mm. macro/2 flash) delle pagine successive sono immortalate due coppie di Solenostomus cyanopterus; questa specie ama i fondi sabbiosi, fangosi e con presenza di alghe, tra le quali si nasconde. Non presenta colori sgargianti, i toni di base sono quelli delle foto, ma ne ho fotografati anche di molto scuri, quasi neri. Mancando la componente cromatica dovremo puntare, per quanto possibile per dare un po’ di tono alla foto, sulla plasticità della posa dei soggetti. L’ultimo “fantasma” di questo articolo (foto 9, 60 mm macro/1 flash) prende il nome dall’alga Halimeda in cui ama mimetizzarsi; viene denominato Solenostomus halimeda e, di fatto, presenta una struttura morfologia praticamente identica all’alga stessa.
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FOTO/VIDEO SUB Anche questo pesce non è caratterizzato da colori sgargianti, ma è abbastanza raro e riprenderne uno in maniera corretta, penso possa essere già motivo di soddisfazione. Abbiamo fatto diverse ricerche in molti libri e nel web e sono emersi altri nomi, ma le opinioni tra gli autori sono molto contrastanti e controverse e quindi, al riguardo, credo sia corretto fermarci qui. Quale che sia la classificazione scientifica cui si vuole far riferimento, non posso che chiudere invitando gli appassionati ad osservare attentamente gli habitat in cui sono soliti mimetizzarsi questi meravigliosi pesci, così da poter raccontare con le immagini la propria… “Storia di Fantasmi”!
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Claudio Ziraldo usa attrezzature SEA&SEA www.attrezzaturafotosub.com
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ATTREZZATURA
MANUTENZIONE DELLE ATTREZZATURE di Orante Trabucco
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er il grande pubblico la stagione delle immersioni tende lentamente ad esaurirsi lasciando lo spazio ad altre attività ludiche. Le attrezzature pertanto sono lentamente destinate ad essere allocate in angoli sempre più bui di dispense, garage e magazzini. Prima che questo rituale si esaurisca con la definitiva messa in letargo di pinne e mute consigliamo di cogliere l’occasione per programmare una bella revisione delle attrezzature e in particolare di primi e secondi stadi. Le attrezzature SCUBA difficilmente danno problemi durante l’utilizzo costante ma, guarda caso, proprio quando le riponiamo in attesa di utilizzarle
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per occasioni più propizie ci troviamo di fronte spesso a brutte sorprese tipo l’OR che perde, l’eccessiva incrostazione, il decadimento delle prestazioni generali, ecc. Una corretta manutenzione durante l’uso è la prima prevenzione alle rotture ma un piano di revisione da effettuarsi periodicamente (ogni anno o anche ogni 2 anni in funzione del numero di immersioni effettuate) è il miglior regalo che potrete fare alla vostra sicurezza e al comfort in immersione. Tutti gli erogatori SCUBATEC dispongono di kit di revisione completi che, solo in mano a personale esperto e preparato, potranno ridare nuova vita al vostro erogatore un po’ appannato dall’intenso o, peggio, mancato impiego.
Non è superfluo ricordare che gli erogatori rientrano nella categoria dei dispositivi di protezione individuale normati per legge per la vendita e corretto impiego per i quali è obbligatoria la certificazione CE EN250. Per il mantenimento delle certificazioni e delle prestazioni viene caldamente consigliato di: • Non operare su erogatori personali sostituendo parti non preventivamente certificate e testate. • Affidare la riparazione e la manutenzione delle attrezzature esclusivamente a tecnici qualificati ed autorizzati dalle stesse case produttrici. Per conoscere i recapiti dei “Centri Qualificati SCUBATEC” in Italia potete scrivere a orante@scubatec.org
L’equipe Subea ha sviluppato un erogatore primo stadio bilanciato a membrana, compatto e leggero per rispondere a diverse tipologie di immersione. Può essere usato con temperature inferiori ai 10°. L’erogatore 900 è dotato di sei uscite pre-orientate per bilanciare la posizione delle fruste intorno alla testa. Il morso è a doppia densità: la zona di contatto con la gengiva è più morbida rispetto al resto per limitare le irritazioni. Erogatore certificato EN250:2014.
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TEST MARES SCUBA RANGER LA LINEA SUB PER I BAMBINI di Marco Daturi
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Il mare ha bisogno di noi e di giovani Ranger che lo proteggano. Mares c’è! Noi ci siamo!
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ares ha annunciato in Aprile la nuova linea “Scuba Ranger”, dedicata ai bambini con prodotti pensati appositamente per loro. In Giugno abbiamo potuto effettuarne i primi test e ad oggi dopo una ventina di immersioni possiamo dire qualcosa in più, insieme a Lupo che ha provato il prodotto per noi in una serie di immersioni nelle nostre acque.
Il nome Scuba Ranger è indubbiamente molto azzeccato e anche con questo Mares aiuta i più giovani a sentirsi ‘pro-
tettori del mare’, un investimento di sensibilizzazione culturale importante sulle nuove generazioni di sub, troppo spesso intrappolate in ambienti per lo più digitali. La subacquea fa bene a tutti e anche ai giovani che ora possono scegliere un prodotto studiato per loro. Questa nuova linea Mares è molto accattivante, con colori lime, nero e bianco che piacciono subito a Lupo che l’ha provata immediatamente, a secco, senza farselo dire due volte.
ATTREZZATURA
La muta Scuba Ranger a due pezzi con giacca a maniche lunghe con cappuccio e salopette separata. La indossa comodamente grazie ai vari spessori posizionati in diverse zone del corpo e anche grazie alle cerniere alle caviglie, molto utili per infilare la muta senza fatica. Ottima la soluzione dei due pezzi separati che ha permesso di scegliere quali dei due indossare a seconda della temperatura dell’acqua. Con una temperatura dell’acqua mite, intorno ai 25°C, Lupo ha quasi sempre preferito indossare solamente il corpetto con i pantaloni corti, sufficiente a tenerlo al caldo per un’immersione standard. Nelle seconde immersioni della giornata è invece stato forzato ad indossare la muta completa con pantaloni lunghi sotto agli shorty e doppia protezione di busto, schiena e addome. Il GAV Scuba Ranger, coordinato nei colori alla muta, molto compatto, è dotato di schienalino separato e due tasche con velcro molto comode da raggiungere, pensate per octopus e manometro. Il controllo del corrugato è immediato e sempre a portata di mano. A completamento della linea Scuba Ranger la maschera Comet e il comodo snorkel Pluto che, ad onor del vero, è stato poco utilizzato. Da segnalare un mezzo miracolo per le prime immersioni in mare: la maschera non si è mai appannata! Semplice, divertente e importante: semplice da indossare, divertente per i colori accesi, importante per il messaggio portato da ogni ‘Scuba Ranger’. Sicuramente Mares Scuba Ranger renderà felici molti giovani sub, per la loro gioia e per la soddisfazione dei loro genitori.
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COMPUTER ACTION E ACTION HR SEAC di Omar Scialpi
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EAC® ACTION e SEAC® ACTION HR sono i nuovi computer da polso per immersioni subacquee e attività di freediving. Facili da usare con 3 modalità
FREEDIVING MODE: Dive/surface time, profondità attuale/massima.
Download dati con cavo USB (venduto come optional).
MEMORIA LOGBOOK:
Struttura ultra-robusta e trattata per una maggiore resistenza agli urti, alla corrosione e agli sbalzi termici.
SCUBA MODE: gestione completa del profilo dell’immersione ricreativa con algoritmo di decompressione Bühlmann ZHL-16C per 1 o 2 miscele (aria, Nitrox e miscele con concentrazione di O2 fino al 99%).
Avvisi di sicurezza: allarme superamento MOD, allarme violazione sosta di decompressione, allarme velocità di risalita, calcolo tempi di NoFly e di desaturazione, avviso altitudine massima concessa.
GAUGE MODE: Profondimetro e cronometro per la gestione in autonomia dei profili d’immersione.
Dive Manager software per MAC/PC (richiede Windows 10) disponibile gratuitamente sul sito seacsub.com.
principali:
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SCUBA mode: 40 ore con record ogni 5”. FREEDIVING mode: 18 ore di attività con record ogni 2”.
Dive Planner “NDL only”.
Schermo LCD con contrasto e retroilluminazione a intensità regolabile. Batteria a lunga durata CR2450. Disponibile in versione con corona, pulsanti e fibbia in acciaio inox (ACTION) o con trattamento HR (ACTION HR).
ATTREZZATURA
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PINNE SUBEA 500 CON CINGHIOLO ELASTICO di Marco Daturi
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e pinne Subea completano il kit per il subacqueo con un nuovo prodotto sviluppato sulla base del modello 500 ma in questo caso aperto, ovvero privo della scarpetta integrata, da utilizzare con i classici calzari subacquei. Un’ottima notizia per tutti i sub che così possono camminare comodamente sulla battigia e in acqua senza soffrire. Per chi invece preferisse una pinna con scarpet-
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ta integrata può ancora scegliere il modello Subea SCD 500. La scarpetta, molto comoda, è stata sviluppata per sposare le forme del piede senza generare punti di appoggio né fastidi nella pratica e per ottimizzare l’efficienza nella spinta. Il cinghiolo bungee di serie in gomma naturale e poliammide., una vera innovazione rispetto ai modelli classici con ganci a clip, è un’ottima caratteristica che facilita la calzata e avvolge comodamente il pie-
de durante l’utilizzo. La lunghezza del cinghiolo può essere regolata in lunghezza ma per me non è stato necessario farlo. La pala di questo modello 500 è molto flessibile e sviluppata per offrire la massima spinta. Ho utilizzato queste pinne per qualche immersione e sembrano funzionare molto bene. Inizialmente ero incuriosito dall’elevata elasticità della pala che in acqua si sente meno e assicura una spinta eccellente.
ATTREZZATURA Nonostante la dimensione, queste Subea 500 sono leggere, gran cosa per il trasporto in aereo. Personalmente le ritengo ottime per l’utilizzo con mute umide mentre per immersioni con le mute stagne preferisco un prodotto piÚ pesante ma credo sia una questione di abitudine. Ben striate le suole con inserti in gomma sui punti di appoggio per assicurare maggiore aderenza sui suoli scivolosi. Sicuramente un ottimo prodotto, valido per tutti i sub, al costo di meno di 40 euro.
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OLTRE I LIMITI RICREATIVI di Miroslaw Rozloznik e Peter Buzacott
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a comunità della subacquea “tecnica” continua a far avanzare la frontiera della subacquea “ricreativa” verso ambienti sempre più profondi e sempre meno indulgenti. I rebreather, un tempo usati quasi esclusivamente dai militari, sono ormai comuni in tutto il mondo. Le miscele di elio e nitrox sono più diffuse che mai, assieme all’addestramento per usarle. Grazie all’utilizzo di scooter con grande autonomia, i subacquei tecnici si spingono sempre più in profondità nelle grotte, spesso con programmi decompressivi che sono di natura sperimentale. Vediamo insieme
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qualche conseguenza di questi sviluppi. Prima di tutto, le manifestazioni cliniche della MDD sono spesso diverse dopo aver respirato varie miscele di gas risalendo dalla profondità di 100m. La MDD dell’orecchio interno è stata ampiamente rilevata solo negli ultimi 25 anni, e la ricerca ha dimostrato che è spesso associata con il “buco” nel cuore, ossia il forame ovale pervio (FOP). È opinione comune tra i medici che il rischio di MDD nei subacquei ricreativi con il FOP sia dalle 2,5 alle 6,5 volte più alto che negli altri, sicché il rischio è ancora troppo basso per giustificare lo screening di routine per il FOP. Ma nella
subacquea tecnica si va oltre i limiti ricreativi e quasi sempre bisogna fare tappe decompressive prima di riemergere. C’è almeno un’agenzia didattica per la subacquea tecnica che raccomanda di sottoporsi a screening per il FOP prima di affrontare immersioni con decompressione. I rebreather sono spietati se si commettono errori. Sono macchine altamente tecnologiche e richiedono un addestramento particolarmente accurato e completo, oltre che un’adeguata manutenzione ed elaborati controlli preimmersione. Ad esempio, se un subacqueo ricreativo si dimentica di aprire la valvola dell’aria
SALUTE della bombola, se ne accorgerà al primo tentativo di respirare, quando non aspirerà nulla; ma sarà probabilmente in grado di riemergere e aprire la valvola: un inconveniente, non un incidente. Con molti rebreather, invece, se il subacqueo dimentica di aprire la bombola dell’ossigeno, in un primo momento non succede nulla. Però l’ossigeno nel circuito respiratorio si consuma lentamente e impercettibilmente, finché il subacqueo improvvisamente perde conoscenza e muore, anche con l’erogatore in bocca. Questo è successo in acque molto basse. È opinione diffusa che con un rebreather il rischio di decesso sia molto più alto rispetto alle normali immersioni con autorespiratore, sebbene l’aumento del rischio non sia stato ancora quantificato con esattezza. Recentemente uno studio ha stimato che tale aumento sia tra le 4 e le 10 volte. Considerato che si ritiene che il rischio di decesso per immersioni con il circuito aperto sia tra lo 0,6 e il 2,1 per 100.000 immersioni, il rischio assoluto di morire con un rebreather potrebbe non essere così alto come qualcuno crede. Nonostante ciò, fino a poco tempo fa alcune polizze per l’attività ricreativa escludevano le immersioni con il rebreather dalla copertura assicurativa. Mano a mano che la situazione si chiarisce, i subacquei con il rebreather possono sottoscrivere polizze uguali a quelle offerte ai subacquei ricreativi. Un altro sviluppo relativamente recente della subacquea ricreativa è la possibilità di iniziare ad immergersi in giovane età. Almeno una delle maggiori agenzie didattiche offre corsi a bambini dai 10 anni, seppure con vincoli stringenti relativamente a profondità e accompagnatori responsabili. Intanto continua la ricerca sugli effetti delle immersioni sui bambini. Analogamente, all’altro estremo, solo dopo 40 anni che le immersioni con autorespiratore sono così diffuse abbiamo iniziato a considerarne gli effetti a lungo termine. Sappiamo che anche dopo immersioni considerate “sicure” nel nostro corpo si formano delle bolle, e che queste bolle decompressive hanno effetti misurabili sulle cellule e sulle funzioni dell’endotelio, il rivestimento interno dei vasi sanguigni. Dopo una vita di immersioni profonde con decompressione, avremo a lungo termine un deterioramento della memoria o altri effetti indesiderati? Un recente articolo suggerisce che ci possano essere dei cambiamenti
minimi nelle funzioni cognitive dei subacquei ricreativi, ma senza effetti negativi sulla “qualità della vita”. C’è comunque una qualche prova al riguardo relativamente ai subacquei professionisti. Intanto, le attività subacquee sono destinate a durare ed è più facile che mai imparare ad andare sott’acqua e progredire rapidamente per raggiungere profondità sempre maggiori. Anche l’attrezzatura è sempre più accessibile e più facile da usare. Quasi tutti i computer da immersione danno informazioni sulla decompressione, almeno quella di emergenza, per immersioni ripetitive ben oltre i limiti ricreativi. Prima che i computer diventassero comuni, i subacquei vecchia maniera e i medici specialisti avrebbero detto che chiunque, dopo un’immersione a 50m, avrebbe fatto meglio a non ripeterla nel pomeriggio e che sarebbe stato più sicuro far passare almeno un giorno per desaturarsi. Invece oggi non è raro che qualche subacqueo si presenti in camera iperbarica con una MDD proprio dopo immersioni di questo tipo, profonde e ripetitive. Mentre la tecnologia progredisce, cresce la preoccupazione che le conoscenze di base della subacquea siano in calo, a livelli sempre più bassi. Spesso nei moderni corsi di immersione neanche si studiano le tabelle, e capita che gli allievi non capiscano la relazione tra profondità e immersioni in curva o che non sappiano le regole per un’esposizione eccezionale all’ambiente iperbarico. C’è poco da stupirsi, allora, se qualcuno viene a sapere di queste regole per la prima volta in camera iperbarica. Persino nei corsi tecnici si impara sempre più di rado a pianificare le immersioni con le tabelle, e i nuovi subacquei tecnici potrebbero non sapere cosa fare se la batteria dei loro computer ricaricabili si esaurisse durante una lunga immersione.
COSA VERRÀ DOPO? - IL FUTURO Prevediamo che nell’addestramento subacqueo le lezioni in aula continueranno a diminuire. Internet è talmente diffuso che gli allievi dei corsi subacquei normalmente fanno online la parte relativa allo sviluppo delle conoscenze; è solo questione di tempo prima che diventino disponibili corsi completamente online. Già c’è almeno un produttore di rebreather che offre la certificazione online per la propria macchina, senza nessuna lezione frontale.
È anche verosimile che sarà sempre più cercata la ridondanza di attrezzature subacquee specializzate, con il conseguente sviluppo di attrezzature modulari e ridondanti. Questo nuovo tipo di approccio renderà probabilmente più facile la riconfigurazione dell’attrezzatura sott’acqua in caso di situazioni non previste o di emergenza, consentendo ai subacquei tecnici di affidarsi più di adesso al proprio equipaggiamento. Una particolare preoccupazione dei subacquei tecnici della “vecchia scuola” è che i computer sono visti come dispositivi a prova di errore per pianificare immersioni fuori curva. L’unione di software decompressivi per PC e computer subacquei da polso ha fatto felici sia i subacquei ricreativi che i tecnici, ma ciò non significa che le basi della pianificazione di un’immersione vadano lasciate a un computer. Avere solide basi nella teoria che spiega le relazioni tra fisiologia e forma fisica del subacqueo e profondità, tempo, obblighi decompressivi e consumi di gas dà al subacqueo tecnico la capacità di scoprire punti deboli e difetti nei modelli generati da un computer. Anche se i computer migliorano sempre di più in affidabilità e in capacità di valutazione della resistenza umana allo stress decompressivo, la pianificazione delle immersioni tramite le tabelle dovrebbe ancora essere una delle basi dell’addestramento tecnico. È un po’ come l’uso del regolo calcolatore quando iniziavano a essere disponibili i primi calcolatori elettronici: finché le capacità di calcolo non avessero soddisfatto le necessità di scienziati e ingegneri era più prudente non abbandonare le vecchie abitudini. Al momento ci troviamo in una fase transitoria e non siamo pronti ad affidarci totalmente a dei computer da immersione. Un’agenzia didattica ha addirittura preso posizione contro il loro utilizzo, perché la loro efficacia per decompressioni sicure deve ancora essere scientificamente provata. Parallela a questo sviluppo è la preoccupazione che i subacquei tecnici stiano passando a computer e a calcoli automatizzati dei consumi di gas senza aumentare le loro capacità di affrontare le emergenze quando le procedure automatizzate li dovessero tradire. È quello che succede quando si fanno immersioni ripetitive a profondità impegnative perché “il computer non ha dato nessun allarme” o quando non si ha abbastanza
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gas per la decompressione e il subacqueo riemerge prima di quanto pianificato perché “il computer segnava che ce n’era abbastanza”. Mentre ci avviamo ad affidarci alla tecnologia, manteniamo le competenze che ci hanno fatto arrivare fin qui. È capitato a diverse persone di avere un guasto al computer durante la deco e di tirare fuori il fidato “wet note” per il piano d’emergenza. Portare più di un computer non significa che non si debbano più fare i piani nell’eventualità in cui si finisse la miscela respiratoria o ci si trovi a profondità di emergenza. La decompressione per immersioni non standard (ad esempio con profilo inverso, a yo-yo o ripetitive), come se ne vedono nelle immersioni in grotta e in qualche misura anche in quelle profonde, non è ancora del tutto capita, e probabilmente va rivista alla luce di nuove ricerche sul campo. Infine, mentre l’addestramento e le procedure evolvono esortiamo tutti gli istruttori tecnici a rimanere al passo con gli ultimi sviluppi della ricerca e delle tecnologie. Questo si può fare partecipando a conferenze come EuroTek, Techmeeting, OZTeK e a forum dedicati, e leggendo riviste specializzate. Concludiamo dicendo: assorbiamo pure tutto il sapere della subacquea tecnica, consapevoli però che non è tutto esatto. La metà di quanto ci è stato insegnato è probabilmente falso – purtroppo, non sappiamo ancora quale metà. Per questo essere prudenti e conservativi è l’unica scelta sensata. È veramente un peccato dover trattare un subacqueo embolizzato inconsapevole del rischio che correva imbarcandosi in quell’immersione!
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Questo articolo è un estratto dal libro “The Science of Diving, Things your instructor never told you”. Pubblicato da Lambert Academic Publishing, può essere acquistato online, o può essere ordinato in qualsiasi libreria con il numero ISBN 978-3-659-66233-1. Il prezzo è € 49.90, e tutti i diritti derivanti dalle vendite vengono donati all’EUBS per sostenere la ricerca nella medicina subacquea.
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LE MOTIVAZIONI PSICOLOGICHE DELL’IMMERSIONE TECNICA di Matt Jevon (Traduzione di Massimo Boyer)
U
n po’ di anni fa, ero un novello psicologo dello sport, fresco di laurea dopo tre anni di internato, e non vedevo l’ora di mettere in pratica i miei studi. Uno dei miei primi incarichi fu con una squadra di motociclismo: lavoravo con i giovanissimi, 13-14 anni, e su fino ai senior. I giovani, secondo l’età, correvano nelle classi 125cc e 250cc, per poi essere ammessi alle corse del Supersport
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World Championship, e infine, ma solo i pochi migliori, al Gran Prix di Motociclismo. Al primo incontro con la squadra iniziai con un errore classico: un’assunzione sbagliata. Pensavo di dover considerare argomenti legati ai pericoli, alla velocità e ai rischi delle gare di motociclismo – forse per sviluppare strategie per gestire cali di concentrazione legati al rischio (o intrusioni cognitive, in linguaggio psicologico) in seguito a
una momentanea perdita di controllo, o un sorpasso, eccetera. Niente poteva essere più lontano dalla realtà. Delle stesse false assunzioni spesso sono vittime quelli che scoprono che io mi immergo in grotta o in immersioni profonde con miscele. Mi vedono come un drogato da adrenalina, o uno che cerca il brivido. Se dico in giro che mi piace immergermi con gli squali, si guardano attorno cercando un’infermiera o una camicia di forza. A quel pun-
RIFLESSIONI to, anche se tento di spiegare quanto sforzo metto nella sicurezza, è come se io fossi un pazzo che non capisce il rischio, o un eroe vestito di gomma. La mia attuale esperienza nella preparazione e nell’immersione con alcuni tra i migliori speleosub e sub tecnici mi ha mostrato che esistono parallelismi con i piloti motociclisti e di rally con cui ho lavorato. Nessuno di loro cercava il brivido, al contrario, senza ignorare o cancellare il rischio, lo valutavano freddamente e con calma per formulare strategie e risposte, per trattare col rischio. Una volta che lo avessero gestito, le loro menti a livello conscio e subconscio potevano mettere a fuoco il vero obiettivo... vincere. Portare a termine un’immersione o vincere una gara sono due cose che hanno molti punti in comune. Nel motociclismo c’è un detto: “To finish first, first finish!” (per arrivare primo, la prima cosa è arrivare). Lo stesso è vero nell’immersione: per completare l’immersione con successo, la prima cosa è arrivare in fondo vivo! Quindi, quali sono le motivazioni che spingono verso l’immersione tecnica e la speleologia? La sfida: per qualcuno è chiaramente la sfida: scoprire i propri limiti, il grande motivatore per molte imprese umane. Vedo molti ragazzi lavorare come dei pazzi per raggiungere il brevetto; e poi mollare dopo un paio di anni, o anche meno. Missione compiuta, finito. Autorealizzazione: per altri è l’amore verso quello che diventano, è la piena soddisfazione del proprio senso di ego, di identità, la soddisfazione di essere unico come individuo coinvolto in uno sport ai massimi livelli. È la passione di essere diverso, di eccellere, in una società che troppo spesso sembra premiare chi si metta a un livello medio o, peggio, basso. Così io posso empatizzare con chi punta all’eccellenza; aspirare a essere diverso, unico o parte di un’elite. Perché è lì: molti si immergono su un relitto o in una grotta, o scalano l’Everest “perché è lì”. La sensazione di scoprire un nuovo relitto, di esplorare una grotta vergine, di aprire una nuova via, per molti non ha prezzo. Sono disposti a soffrire, anche a superare la soglia del rischio accettabile, per la ricompensa rappresentata dall’essere il primo a vedere una nave affondata 100 anni fa, o un nuovo passaggio in una grotta. Conquista: per molti non è tanto que-
stione di soddisfare il proprio ego, ma è il compito, il percorso che porta alla vittoria. Ego e esecuzione di un compito sono entrambi fattori chiave. Una persona che si fa guidare dal proprio ego e dal percorso è uno che avrà successo. Queste caratteristiche si identificano col talento in uno sport difficile, nel business, nell’immersione. Superare le previsioni: dà una enorme soddisfazione, che si può tradurre in esultanza o in conforto, secondo se la
maggior parte del vostro sistema motivazionale è o no legato al bisogno di avere successo o di evitare la paura di fallire. Quando giocavo a rugby per me vincere era un conforto, una rivincita sui duri allenamenti. Sento lo stesso tipo di sensazione uscendo da un’immersione profonda, o da una grotta, la soddisfazione totale di aver superato le previsioni. Ho bisogno di rivivere, di assimilare questa reazione prima di assaporare il successo.
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RIFLESSIONI Le maggiori cause di stress negli sport motoristici alla fine non riguardano il rischio, ma sono: trattare con gli sponsor, le scomodità dei viaggi e delle camere d’albergo, cause legali e assicurative, famiglia, amici. Non è molto diverso dall’immersione. Il grosso lavoro psicologico risiede proprio nell’evitare che queste interferenze ci impediscano di concentrarci sugli obiettivi. Insomma, i sub cercano il brivido, il rischio? Di sicuro qualcuno sì, ne ho incontrati pochi, e non tutti avevano un grande ego. Piuttosto avevano il bisogno di spingersi al di là del limite di rischio per sentirsi vivi. Ci sono culture più soggette a cercare il pericolo e il brivido di altre. Questa è la cosa strana: chi ama il brivido probabilmente si metterà in pericolo in immersioni che potrebbero essere sicure con il giusto livello di preparazione e la giusta attrezzatura. Non posso dire di aver riconosciuto questi tratti nei sub che hanno realmente realizzato delle imprese e sono tornati a raccontarcele. Questi pionieri sanno approcciare in modo meticoloso rischi anche grandi, sanno come gestirli e minimizzarli. Qualunque sia la ragione che vi spinge a immergervi, che sia perché il relitto o la grotta è lì, o per soddisfare il vostro bisogno di unicità, o perché amate superare le previsioni in modo freddo e calcolatore, immergetevi sempre in modo sicuro. State alla larga da chi cerca solo il brivido, siate sicuri, siate concentrati.
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IMMERSIONI, SALUTE E BENESSERE
ARIETE In primavera-estate, verso i trenta metri di profondità, il tuo erogatore produrrà degli strani squittii. Non ti preoccupare, Ariete, i topi non si nascondo negli erogatori, preferiscono comode valigie Pelikan e custodie subacquee: aggiorna il tuo erogatore in rete. Problemi col buddy da febbraio a novembre. Festeggia ogni immersione con estratti rivitalizzanti alla cicoria. Occhio alle scalette a giugno.
TORO Il transito di Venere in Gommone a maggio scatenerà il tuo fascino: tutti i subacquei, a prescindere da età, sesso o fede politica s’innamoreranno di te. Alimenta il tuo appeal con una muta di Dior in titanio doppio filo. Registrarla in rete a tuo nome solo se non temi Equitalia. Riprenditi dalle fatiche subacquee ed amatorie con estratti ringalluzzenti al guaranà. Barracuda a maggio, ricciole a settembre.
GEMELLI Se non vuoi immergerti a visibilità zero aggiorna subito la tua maschera installando il nuovo sistema operativo! Una cernia gigante, bisessuale e trasgressiva a luglio ti farà volare su campi di gorgonie, distese di coralli tavolo e infine ti condurrà nella sua tana. Starà a te scegliere come comportarti col lei/lui. Recupera il tuo gemello disperso con molto yoga e tanti, tanti centrifugati di alghe e porri. Scorfani a novembre.
CANCRO Il GAV che hai ordinato su Amazon non corrisponde alle tue aspettative. Te ne accorgerai alla prima immersione, quando inizierà a gonfiarsi da solo. Risolverai la questione staccando la frusta di alimentazione e gonfiando a bocca. Lo restituirai a giugno. Una Luna transumante in Pesce Spada ad agosto ti renderà irresistibile tra i 10 e i 30 metri. Desatura l’azoto in superficie con frullati di avocado e clementine.
LEONE L’opposizione di Batman con Urano in Cassiopea ti indurrà a immersioni insulse e pozzangherose. La situazione si evolverà verso luglio con l’entrata di Jacques Cousteau nel tuo segno. Perderai una pinna a giugno. La ritroverai a settembre grazie alla nuova app Fin-finder. Scaricala adesso! Rispolvera vecchie letture, come “Cani salati nel profondo blu”. Tisane drenanti al cardo scozzese per rilasciare l’azoto residuo.
VERGINE Il 22 aprile scoprirai che la tua muta si è misteriosamente ristretta, costringendoti a una minuziosa indagine sulle cause. Non tentare lavaggi con ammorbidente: mettiti a dieta, o comprane una nuova. A luglio uno scorfano ti chiederà l’amicizia su Facebook. Dirotta le sue strane attenzioni su Twitter. Mercurio in Bombola migliorerà i tuoi consumi tra luglio e agosto. Evita i buddy Sagittario a ottobre. Castagnole a novembre.
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RELAX LA SUBACQUEA SARÀ SEMPRE PIÙ INTERNET, SEMPRE PIÙ SMART E SEMPRE PIÙ ORIENTATA AL BENESSERE PSICOFISICO. L’OROSCOPO 2020 È ATTENTO AL TUO RAPPORTO CON LE ATTREZZATURE INNOVATIVE E CON I SOCIAL. IMMERSIONI, EROGATORI, MASCHERE E CINTURE SARANNO AL PASSO COI TEMPI OGNI GIORNO DI PIÙ! E TU? SCOPRILO LEGGENDO IL TUO OROSCOPO!
BILANCIA Zorro in Barracuda causerà dei piccoli allagamenti della maschera. Cogli quei brevi momenti di stress per rivedere il tuo io subacqueo più profondo. Gli eccessi di Giove a marzo influiranno sul tuo assetto. Preparati ad una estate di follie alle secche di Tor Paterno. Vedrai due aquile di mare, per farle esistere nel mondo postale su Instagram. Concediti attimi di sogno con “Io sono il mare”. Cambierai erogatore a settembre.
SCORPIONE Il tuo nuovo smart-computer trasferirà i tuoi dati alla CIA. Non potrai farci niente: il pettegolo racconterà gli affari tuoi per tutto l’anno. Evita immersioni in Russia, Cuba, Ecuador, Venezuela, Messico, Sudan, Somalia, Siria e Iran. Favorite le immersioni in Florida e alle Isole Marshall. A febbraio Marte ti chiederà di ripassare gli esercizi dell’asseto. Fallo col GAV non in rete, non si sa mai.
SAGITTARIO Amante del pesce palla come sei ti domanderai se i giapponesi siano pazzi a servire il fugu. Se non sai cos’è e non conosci i rischi cerca su Google. Evita di immergerti nelle tonnare abusive ad aprile, quando gli uomini (e le donne) del capitano Paul Watson, fondatore di Seashepherd, irromperanno tagliando le reti e speronando gli abusivi. Squali a maggio. Anemoni dicembre.
CAPRICORNO Se i computer smart degli scorpioni parlano con la CIA, il tuo GAV cinese parla con Xi Jinping! Tu non lo sai, ma ha una telecamerina nascosta nel pulsante di gonfiaggio. Evita di immergerti in luoghi sensibili. Oppure monetizza la cessione dei tuoi dati con GAV-Money, scaricabile a QUESTO LINK. Festeggia su Facebook la tua immersione con i capodogli a settembre. Tisane al cardamomo.
AQUARIO Scommetto che la tua una bombola installa ancora Windows7. Se non vuoi vederti restituire il collo segato sbrigati a scaricare My-Tank Wizard, compatibile con Windows10 e gli ultimi iOS e Android. Questa app ti consente di monitorare corrosione e affaticamento del metallo. Piccoli problemi con il GAV a giugno. Anemoni a settembre. Zenzero e cannella per immersioni elettrizzanti.
PESCI A marzo una polpessa ti farà delle avance: scattati un selfie con lei e postalo su Instagram, altrimenti non ci crederà nessuno. Biro e Marte in Aquario consigliano un upgrade della cintura dei piombi in maggio. Balene a giugno. A luglio pubblicherai su Spotify il loro canto sperando di alzare qualche centesimo. Raggiungerai i 100 ascolti a dicembre. Rotture di cinghioli a settembre.
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Polluce Naufragio Furto Scavo: le vicissitudini di un piroscafo
A cura di Massimo Boyer
di Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto Pubblicato indipendentemente, 2019
C
on un titolo molto semplice - Polluce Naufragio Furto Scavo - è uscita la seconda edizione aggiornata del racconto di quanto accadde allo sfortunato Polluce, vascello a vapore della Compagnia Rubattino. Oltre al racconto aggiornato di come si svolse quanto accadde in quella notte senza luna del 1841 al largo di Porto Longone, tutto documentato accuratamente dagli autori Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto, è stata aggiunto per completare l’intero racconto anche quella parte che al momento della prima edizione ancora non si conosceva. Ad esempio come effettivamente fecero i predoni inglesi ad ingegnarsi per distruggere e ripulire completamente un piroscafo che allora era completamente integro; chi gli diede la caccia in anni successivi; quante monete false furono ritrovate a bordo; la scatola dei capelli di Napoleone, gli elenchi dei predoni annotati su un blocco notes nero; la campana recuperata a Parigi da parte dei Carabinieri; l’intero scavo archeologico con il recupero di quanto lasciato dai predoni. Gli autori sono noti nell’ambiente del mare. Enrico Cappelletti ha sempre lavorato in periodici specializzati di mare e subacquea ed ha scritto anche un paio di manuali di fotosub e altre storie tesori sommersi; Gianluca Mirto è una appassionato di relitti, fondatore di un sito web dedicato a questo argomento e nella vita è specializzato in ricerche sottomarine e uso delle strumentazioni. Polluce Naufragio Furto Scavo: le vicissitudini di un piroscafo. Amazon Libri, copertina flessibile, 310 pagine, prezzo 14,56 euro.
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