ScubaZone n.50

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SOMMARIO

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ScubaZone è un pr odotto Zero Pixel Srl www.zeropixel.it - info@zeropixel.it

DESK I record della subacquea di Massimo Boyer

owner

Zero Pixel Srl Via Don Albertario 13 20082 Binasco (MI) Italia P.iva e Cod.fiscale. 09110210961

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NEWS News di prodotto

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managing and editorial director

Massimo Boyer massimo@zeropixel.it

BIOLOGIA

art director & graphic executive

Record e primati nel mondo animale di Massimo Boyer

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Bavosa occhiuta, il blennide con l’occhio finto di Francesco Turano

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Massimo Boyer • Francesco Turano • Giulia Calogero • Simone Montano • Mario Marconi • Donatella Telli • Francesca Chiesa • Nuova Caledonia Turismo • Andrea Piasentin • Simone Musumeci • Antonio Di Franca • Marco Daturi • Andrea Alpini • Roberto Antonini • Alberto Balbi • Claudio Di Manao

Il caso orche in Liguria: un’odissea mediterranea iniziata in Islanda di Giulia Calogero

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Fantastiche notizie per i coralli delle Maldive di Simone Montano

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Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle immagini senza il consenso dell’autore.

L’anello mancante di Mario Marconi

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Albatros Top Boat ti porta a nuotare ed immergerti con mante e squali balena di Donatella Telli

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Cape Kri, Raja Ampat di Francesca Chiesa

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Il mare lungo la costa ovest della Nuova Caledonia di Nuova Caledonia Turismo

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Hanifaru Bay, Maldive di Andrea Piasentin

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Francesca Scoccia - francesca@zeropixel.it

contributors this issue

VIAGGI

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Un gigante liberato di Simone Musumeci e Antonio Di Franca

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BIOLOGIA

RECORD E PRIMATI NEL MONDO ANIMALE di Massimo Boyer

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nche il mondo animale ha i suoi record. Agli animali interessa ben poco di stabilire un primato, siamo noi che siamo curiosi, che vogliamo sapere chi è e cosa sa fare, e allora vediamo una carrellata dei primati del mondo animale, ovviamente insistendo su quelli connessi col mondo marino. Chi è il primatista animale di immersione in apnea? Si pensa che il capodoglio (Physeter macrocephalus) per cacciare i calamari giganti che sono sua preda abituale si immerga fino a 3000 m per 90 minuti e oltre, ma in realtà queste immersioni mitiche non sono mai state registrate ufficialmente: le immersioni tipiche del capodoglio avvengono attorno ai 400-600 m di profondità.

È vero che il capodoglio è uno straordinario apneista. In una giornata-tipo, è in grado di passare quasi un ora in immersione, riemergere per pochi minuti, e tornare giù per un’altra oretta, e ripetere questo schema per tutto il giorno. Qualcuno ha detto che se noi, che dedichiamo alla subacquea qualche ora alla settimana, ci definiamo “subacquei”, i capodogli che passano sott’acqua i tempi più lunghi andrebbero chiamati “emersori” o qualcosa del genere. Nel capodoglio sono stati studiati gli adattamenti che lo aiutano a immergersi. L’enorme testa è piena di una sostanza grassa (lo spermaceti, che anticamente si pensava avesse una funzione riproduttiva) che per scendere viene raffreddata, si solidifica, si contrae, e aumenta la spinta negativa aiutando una discesa veloce. Al

momento di risalire basta deviare la circolazione del sangue, scaldare lo spermaceti, per ristabilire il galleggiamento positivo e ridurre lo sforzo per la risalita. La gabbia toracica è particolarmente morbida e flessibile per fronteggiare variazioni di pressione enormi senza collassare. I muscoli contengono quantità enormi di mioglobina, una proteina simile all’emoglobina che accumula ossigeno negli organi che lo utilizzano. La circolazione del sangue trasporta ossigeno a muscoli, cuore e cervello, evitando gli organi come fegato e reni, che possono passare a un metabolismo anaerobico. Il cuore rallenta i suoi battiti per consumare di meno. Per evitare il rischio di malattia da decompressione, che sarebbe non trascurabile con apnee tanto lunghe e profonde, quando scendono in profondità lo fanno

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a polmoni vuoti: il collasso dei polmoni riduce al minimo la quantità di azoto che passa nel sangue. Inoltre lo scambio di azoto tra polmoni e sangue è tanto veloce che questo durante la risalita lascia il circolo sanguigno ed è espulso col soffio prima di poter formare bollicine. Ciò nonostante si è visto che lo scheletro di vecchi capodogli mostra segni di corrosione delle ossa, che negli umani è spesso associata con la malattia da decompressione. Si sa inoltre che emersioni improvvise possono anche risultare letali anche per i mammiferi marini.

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Comunque come dicevo tutte le volte che si sono misurate con strumenti le profondità raggiunte, i capodogli si sono fermati a quote più “umane”, per cui il record di profondità misurato per un mammifero marino va assegnato a uno zifio (Ziphius cavirostris), una specie di grosso delfino raramente avvistato (evidentemente è un altro “emersore” che trascorre in apnea la massima parte del suo tempo), che si è immerso fino a 2992 m per la durata di 137,5 min. Nella infografica trovate altri dati, sottolineo alcune curiosità importanti.

Non molto tempo fa, vicino all’isola di Guam, un pesce osseo è stato filmato alla profondità di 8143 m. Si tratta di una specie nuova, Pseudoliparis swirei o pesce lumaca delle Marianne, appartenente alla famiglia dei Liparidae. Non si pensava che la pressione ambientale potesse permettere a un vertebrato di scendere così in profondità, il suo segreto è la molecola della Trimetilammina-N-ossidata (TMAO), un enzima che aiuta le proteine a mantenere la loro forma originale all’aumentare della pressione. L’animale più grosso vivente, e probabilmente mai vissuto, con 33,5 m di lunghezza e 190 t di peso, è la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus). Mangia plancton, piccoli crostacei e pesciolini, animali piccolissimi. Può sembrare un controsenso, non lo è: il plancton è molto abbondante in mare, la sua biomassa complessiva è l’unica che possa soddisfare il fabbisogno calorico giornaliero di un corpaccione enorme (1,5 milioni di Kcal). Tutti gli animali marini più grandi si nutrono di plancton, si nutrono ai livelli bassi della piramide alimentare, dove il cibo disponibile è tanto e si rinnova in fretta. Allo stesso modo si nutre di pesciolini e di plancton lo squalo balena, il più grande di tutti i pesci viventi, con 15 m di lunghezza (esistono misurazioni maggiori, ma sono stime, non dimostrate). Esiste una diversa strategia evolutiva tra i pesci cartilaginei, che puntano molto su una taglia XL (la taglia media degli elasmobranchi viventi è di 1,5 m, la specie più piccola è sui 10 cm), e i pesci ossei che all’opposto tendono ad essere di taglia S. Il più grande dei pesci ossei come biomassa è il pesce luna (Mola mola), che arriva a pesare 2268 kg per una lunghezza di 3,33 m, ma l’80% delle specie misura tra 1 m e 10 cm. Un pesce è il vertebrato più piccolo del pianeta, Paedocypris progenetica, che misura da adulto 7,9 mm, e per rimanere alle specie più familiari ai sub Hippocampus pontohi può riprodursi a una taglia attorno al centimetro e Kionemichthys rumengani, per quanto più lungo ha una biomassa ridottissima. Interessante anche il vertebrato più longevo, lo squalo di Groenlandia, un animale di grossa taglia che, vivendo in acqua fredda, ha un metabolismo bassissimo. L’età record misurata è di 392 anni, si ritiene che possa superare i 400, insomma, alcuni animali potrebbero essere nati quando erano ancora vivi Leonardo da Vinci e Cristoforo Colombo.



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BIOLOGIA

BAVOSA OCCHIUTA

IL BLENNIDE CON L’OCCHIO FINTO di Francesco Turano

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i son pesci in Mediterraneo che oserei definire unici. Tra questi, un posto di spicco lo merita la bavosa occhiuta. Un incontro non frequente, ma molto interessante. Ho visto quasi sempre la bavosa occhiuta ben nascosta in rifugi di ogni tipo, a tutte le profondità. Potrei stilare un elenco di tane tutte diverse, soddisfacenti per un pesce stranissimo e dallo sguardo minaccioso, con l’occhio vigile che ti osserva dall’interno della sua abitazione. Barattoli di vetro, lattine di pelati, stracci aggrovigliati, pentole, tubi, bottiglie di vetro o plastica semidistrutte, bicchieri, boccali di birra, conchiglie vuote e altro ancora sono tra gli oggetti che per fattura e dimensione sono adeguati alle esigenze di un pesce introverso e scontroso, regolarmente aggressivo e anche molto coraggioso, territoriale da morire, specie nel periodo della cova delle uova, momento che vede il maschio particolarmente impegnato e sempre presente con o senza la sua compagna. Ho avuto la fortuna di assistere più di una volta alla cova e alle cure parentali di questa interessantissima specie. La scelta del nido, dalle osservazioni in natura e dai documenti fotografici raccolti, credo proprio sia ben ponderata: ogni volta ho visto nidi che nascondevano quasi completamente le uova e che nello stesso tempo offrivano una certa protezione fisica alla femmina. Il maschio, guardiano e protettore della futura prole, rimane accanto alla compagna ed esce dal suo rifugio solo per allontanare gli intrusi o procurare il cibo. Da lui dipende un po’ tutto, sembra anche l’ossigenazione delle uova all’interno del nido. Una volta incontrai due simpatiche bavose dentro un barattolo di vetro: mi accorsi della presenza delle uova dalla trasparen-

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za del contenitore. Ma non feci in tempo a rendermi conto della situazione che vidi il maschio venir fuori rapidamente e aggredire a morsi le fodere di neoprene dei miei lampeggiatori. Il blennide, in un primo momento, uscì dal suo rifugio e nuotando a mezz’acqua fronteggiò l’intruso, osservandone l’aspetto e le intenzioni. Mi sentivo osservato da questo coraggiosissimo pesciolino e quasi lo temevo, pensando contemporaneamente a quanto “fegato” doveva avere lui per porsi al cospetto di un essere gigantesco e sconosciuto quale un subacqueo poteva rappresentare per un piccolo abitante del mondo sommerso. Attacchi a sorpresa, con morsi violenti, arrivavano puntuali e ripetuti. Piccoli e sfegatati, questi blennidi, sono territoriali e incoscienti come pochi: tra una picchiata e l’altra il maschio tornava al nido e cingeva la femmina con il corpo e la coda; femmina pigra e sulle sue, che si affacciava appena dal rifugio solo per capirci qualcosa. La bavosa occhiuta è solita piegarsi a “U”, è un suo modo di essere caratteristico. Anche quando nuota, assume spesso un atteggiamento a “S”, ha cioè un nuoto serpentiforme, come se stentasse ad assumere una posizione li-

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neare, che è tipico dei blennidi ma accentuato in Blennius ocellaris. Spettacolare e incantevole al tempo stesso è ammirare le evoluzioni che il grosso maschio compie lontano dal fondo quando osserva il nemico e si prepara a sferrare l’attacco. Lo spettacolo è dato da un lato dal suo atteggiamento e dalle posizioni che assume a pinne “spiegate”, dall’altro dal tipo di pinne, ampie e disegnate da raggi evidenti come bassorilievi, con una dorsale che è unica, alta come una vela e scolpita da un finto occhio nero bordato di bianco (da cui il nome del pesce); una dorsale i cui primi raggi sono lunghi e con le estremità libere, come filamenti fluttuanti, una dorsale grande nata dalla fusione delle due pinne del dorso in una sola, altra caratteristica comune alle bavose. Per apparire più grande e temibile la bavosa sventola la sua enorme pinna sollevandola, mettendo in evidenza la macchia ocellate e ingannando il nemico o il probabile predatore. Così fa anche col subacqueo curioso e invadente, quale devo essere io quando, nelle vicinanze di un nido, mi soffermo molti minuti e scatto molte fotografie, aspettando i momenti migliori per cogliere la coppia negli

atteggiamenti più intimi o il maschio sospeso nel blu durante le sue acrobazie a pinne tese. Ho dedicato intere immersioni all’osservazione di questi blennidi particolarmente intriganti. Lo sguardo cattivo di quegli occhi arancioni, sovrastati da pallide corna ramificate, le tondeggianti guance maculate, con quella grande e muscolosa bocca, sempre pronta a mordere quel che capita a tiro, mi hanno stregato e turbato sin dal primo momento, tanto che ancora oggi, quando incontro la bavosa occhiuta, mi soffermo molto e, quando posso, rompo le scatole al punto da farle aprire la pinna dorsale ed assistere almeno a una sintetica serie di evoluzioni, tanto per gradire… La cura del nido e delle uova dura all’incirca una o due settimane, al termine delle quali nascono larve di circa 4 millimetri. Lo sviluppo del pesciolino è piuttosto rapido e quando raggiunge i due centimetri si nota già l’inconfondibile pinna del dorso. Mi è capitato di vedere esemplari di ogni dimensione in natura, ma mai abbastanza piccoli per analizzarne i caratteri in quella fase. Ho anche assistito ad azioni di caccia da parte di questa specie, svoltesi soprattutto durante le ore not-


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turne. Vermi, piccoli crostacei e qualche pesciolino sono vittima delle sue passeggiate nel buio; e anche di notte eccomi ad intromettermi nel normale svolgimento dei ritmi della natura e a fendere l’oscurità con un bel fascio di luce accecante, che disturba non poco la bavosa. Irrequieta e nervosa, cerca di scappare per sfuggire alla luce, ma io la inseguo e fotografo, scatto e riscatto, aggiungendo luce su luce, questa volta lampeggiante e più intensa. Mi son sempre chiesto quanto incide l’azione di un fotografo in natura, quando invade un territorio, un angolo di mondo sommerso, dove ogni cosa si svolge in armonia secondo leggi precise, dove di notte tutto è silenzio, è quiete. Almeno in apparenza. Oramai conosco bene la bavosa occhiuta. Il suo corpo, alto e compresso fortemente ai lati, sfoggia una livrea striata di un colorito bianco-grigiastro o bruno-rosaceo di fondo con fasce più scure verticali. La testa è sempre più scura, specie sulle guance, direi quasi marrone, ed è caratterizzata da una evidente macchiettatura, con sfumature arancioni sotto la bocca e le guance che sfumano nel bianco del ventre. Tutti questi colori sono messi in risalto dalla mucosa che ricopre

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la pelle priva di squame, che fa apparire il pesce quasi verniciato, lucido e brillante. La peculiarità del capo di questo pesce è la sua struttura tozza e robusta: il profilo quasi verticale e gli occhi, ovali e inclinati, posti in alto, con la bocca carnosa e poco sporgente, sembrano fatti apposta per aumentare l’aspetto burbero di un pesce “forzuto”, reso ancora più minaccioso dagli splendidi tentacoli sfrangiati posti sugli occhi, che ne incattiviscono lo sguardo. La bocca, notevole arma di difesa per questa specie che ne fa largo e frequente uso, ha una serie di piccoli denti con punte arrotondate, non visibili a occhio nudo. La presa delle mascelle sul nemico e formidabile: ho potuto constatarlo di persona, sulla mia pelle, e vi garantisco è formidabile. Ma gli occhi, quegli occhi arancioni e quella pupilla nera che rotea e che ti guarda e ti studia, sono e dir poco affascinanti; quando mi fermo e la osservo, la bavosa occhiuta mantiene inizialmente la calma e comincia a osservarti per capirti. Allora ecco iniziare un movimento continuo degli occhi: lo sguardo, e l’occhio con esso, si sposta da un lato, poi in alto, poi di nuovo in basso. Tutta una sequenza di rotazioni sul proprio

asse, come solo i blennidi sanno fare, che in questa specie di grandi dimensioni (nello stretto la bavosa può superare i venti centimetri di lunghezza), rende questi occhi a dir poco interessanti. Occhi che sanno anche muoversi indipendentemente l’uno dall’altro… Leggo sui libri che la riproduzione va da febbraio a settembre, ma non saprei confermare dati simili perché l’incontro col nido è sempre stato per me casuale e tutto è accaduto sempre in primavera o inizio estate. Per quanto riguarda l’habitat, si ritiene che questo pesce può trovarsi prevalentemente su fondi sabbiosi e fangosi e in questo caso credo di poter confermare non avendo mai incontrato una bavosa occhiuta in un ambiante di scogliera. I pendii di sabbia, fango e detrito delle due sponde dello Stretto di Messina rappresentano l’habitat ideale per questa specie che predilige i fondi mobili, dove generalmente trova rifugio sotto un sasso o dentro una conchiglia, ma che apprezza molto i relitti degli oggetti più strani introdotti dall’uomo in ambiente sommerso. La si può trovare da una quindicina di metri di profondità (anche meno ma di rado) fino a 300-400 metri, praticamente in acque abissali.


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IL CASO ORCHE IN LIGURIA:

UN’ODISSEA MEDITERRANEA INIZIATA IN ISLANDA di Giulia Calogero (foto di Menkab/Artescienza)

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uasi un Odissea quella delle 4 orche (Orcinus orca), che per l’intero mese di dicembre dell’anno scorso, ha interessato le acque del Mar Mediterraneo, coinvolgendo gruppi di ricerca nazionali e internazionali e generando tanta curiosità da parte del pubblico e degli addetti ai lavori. Cinque il numero di orche avvistate il 1dicembre nel porto di Genova Pra, 5.200 i chilometri percorsi dalla loro

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zona di provenienza, 18 i giorni di permanenza nel porto genovese, per poi spostarsi prima verso ponente e poi di nuovo a levante e da lì proseguire verso sud fino alle acque siciliane. Il numero originario di esemplari ammontava a cinque, il più giovane, un cucciolo di pochi mesi, non è sopravvissuto, morendo tre giorni dopo l’arrivo nella zona ligure. Proprio quello che è successo al cucciolo di orca potrebbe essere alla base della spiegazione della dinamica che

ha portato gli altri 4 animali a stazionare così a lungo nel braccio di mare compreso tra l’imboccatura del Porto di Pra e la spiaggia di Voltri. Uno spazio di mare aperto, libero per loro in entrata e uscita, ma dal quale non si sono allontanate per diciotto giorni. Le orche sono animali con complessa e intensa dinamica sociale, con gruppi a base matriarcali, chiamate pod, composte da una femmina, la sua prole, altre femmine a volte più anziane e un maschio adulto.


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Il forte legame è anche dimostrato dalla comunicazione attraverso suoni, che si articolano e cambiano col tempo fino ad essere specifici per una determinata area – o anche gruppo, creando così un vero e proprio linguaggio famigliare. Questo forte legame tra i componenti della famiglia spiega perché alla morte del cucciolo, la madre abbia elaborato un vero e proprio lutto, trasportando il corpo del piccolo e mantenendolo in superficie per quasi due settimane. Il primo avvistamento, effettuato domenica 1dicembre da un pescatore locale, segnalava la presenza di 4 orche e un cucciolo. In un misto di paura e stupore, il giovane apneista registra un video che in poche ore spopola sui social e cattura l’attenzione di esperti e non. Nei giorni

successivi per tutelare la presenza delle orche è stata emessa un’ordinanza restrittiva per quell’area, permettendo l’avvicinamento agli animali solo con le imbarcazioni della Guardia Costiera, che ha collaborato e supportato i ricercatori dell’Associazione Menkab e Università di Genova, dell’Istituto Tethys e dell’Acquario di Genova nelle loro attività di monitoraggio. “Da dove vengono e perché sono qua?”. L’avvistamento di orche nel Mar Mediterraneo è un evento non raro ma neanche frequente, generalmente l’orca è definita specie occasionale per il nostro bacino, da cui entra grazie al passaggio dello Stretto di Gibilterra. L’ultimo avvistamento nel Mar Ligure risaliva al 1985, ma altri passaggi sono stati registrati in altre

zone del Mediterraneo, in cui entrano seguendo potenziali prede, come i tonni. Le cinque esploratrici del Mediterraneo erano state avvistate a Cartagena e Carlo Forte, circa 20 e 10 giorni prima dell’arrivo a Genova. I ricercatori di Menkab e i documentaristi di Artescienza, che da più di dieci anni monitorano e filmano i cetacei nel Mediterraneo hanno cercato di documentare l’evento filmando e fotografando i cinque. Le orche come tutti gli altri cetacei, presentano delle cicatrici e delle depigmentazioni sul corpo che permettono l’identificazione di ogni singolo esemplare. I video e le foto raccolte sono state condivise con diversi gruppi di ricerca nella zona di Gibilterra dove le orche sono avvistate abitualmente nei mesi estivi. Tra tutti i ricercatori internazionali, il gruppo di Orca Guardians Iceland ha individuato i 4 all’interno del proprio database. Ecco la risposta alla prima domanda. Provenienza? L’Islanda… a ben 5.200 km di distanza Le immagini scattate da Samuele Wurtz (Artescienza), Giulia Calogero e Elia Biasissi (Presidente di Menkab e collaboratore) Biagio Violi (ricercatore di Menkab e Università di Genova) e dai colleghi del centro di ricerca islandese (Duncan Versteegh, Manon Themelin e Marie Therese Mrusczok) hanno avviato una collaborazione transfrontaliera tra il team di ricerca Menkab e Artescienza con il centro di ricerca Orca Guardians Iceland e confermato un evento inaspettato e un record mai registrato prima. Il contorno della pinna dorsale e la sagoma saddle patch, la macchia bianca presente sui fianchi, ha permesso di identificare ogni singolo individuo: Riptide SN113 (il grande maschio adulto) - Aquamarin SN116 e Dropi SN115 (la giovane femmina e il giovane maschio) e SN114, la femmina priva di nome, ma poi ribattezzata Zena, nome suggerito da un lettore di Menkab, proposto in onore della città di Genova. Il gruppo è stato identificato per la prima volta in Islanda nel 2014, riavvistato regolarmente nel 2015 e 2016 e infine nel giugno 2017. Per due anni non sono stati più segnalati fino al loro arrivo nel porto di Genova, ma quello che si sa è che la madre era stata avvistata due anni fa con un altro cucciolo, mai più rinvenuto con il pod. Questo significa che la madre potrebbe aver perso due cuccioli in pochi anni.

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Perché le orche abbiano raggiunto quest’area è una domanda alla quale non si possono dare delle risposte certe. La “curiosità e l’esplorazione” sono sicuramente due aspetti da considerare nel comportamento innato di tutti i mammiferi migratori ed esploratori degli oceani. Le condizioni meteomarine in quei giorni hanno reso difficile l’operatività, costringendo spesso a osservare solo da terra, permettendo però così di verificare la capacità delle orche di rimanere lontano dall’area durante le giornate di mare mosso. Finito il periodo di lutto, coerente con anche altri casi simili osservati (l’orca Tahlequah J35 nelle acque di Vancouver ha trasportato il suo cucciolo morto per circa due settimane, per poi riprendere la migrazione con il resto del pod), le quattro orche si sono mosse inizialmente verso ponente, entrando nel Porto di Vado Ligure, generando stupore e ammirazione tra gli incuriositi lavoratori della piattaforma MAERSK. “La prima differenza osservata era rappresentata dalla dinamicità del gruppo, in evidente assetto di caccia” – hanno confermato i ricercatori di Menkab. Dopo

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questo primo spostamento, inaspettatamente, i 4 non hanno proseguito la rotta verso ovest, ma il giorno dopo sono stati avvistati prima a Nervi, poi a Portofino e infine a Porto Venere. Il lungo viaggio delle orche è uscito dalla visuale dei ricer-

catori liguri, per riapparire il 27 dicembre sotto il castello di Scilla, all’imboccatura dello Stretto di Messina, rendendo così la loro “migrazione” ancora più da record: oltre 6000 km, con circa un mese di permanenza in acque italiane. L’avvistamen-



FANTASTICHE NOTIZIE PER I CORALLI DELLE MALDIVE di Simone Montano

(Foto di Massimo Boyer)

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e Maldive, un paradiso di isole incastonate nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, sono tra le mete preferite per milioni di turisti che ogni anno, da ogni parte del mondo, arrivano per perdersi nella miriade di pesci e coralli colorati che conferiscono a questo arcipelago un fascino unico. Tuttavia, come le formazioni coralline di tutto il mondo anche le meravigliose scogliere coralline delle Maldive sono soggette a diverse forme di disturbo. La

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più nota e pericola è quella che deriva dall’ormai sempre più citato cambiamento climatico. Questo “mostro” ha tante facce, e una di queste si manifesta con innalzamenti anomali delle temperature delle acque superficiali. Ecco, quando succede si verifica quello che tutti ormai riconoscono come il fenomeno dello sbiancamento dei coralli (il coral bleaching), ovvero quell’evento dove i nostri tanto amati coralli perdono le alghe simbionti da cui dipendono e muoiono, di fame, letteralmente.

Eventi che hanno compromesso l’integrità di questo ecosistema sono già accaduti nel passato, con uno dei più drammatici che si ricordi datato 1998. Da quella data però la natura ha fatto il suo corso e i coralli sono tornati a farla da padrone facendoci perdere la memoria di quanto pericoloso è questo fenomeno. Questo fino al 2016, quando un altro evento estremo di surriscaldamento delle acque ha di nuovo seriamente cambiato l’aspetto delle scogliere coralline nei primi metri d’acqua, causando eventi


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di mortalità localizzati di oltre il 90%. In alcuni punti anche del 100% . Un deserto per intenderci. Sebbene questi eventi stiano aumentando di intensità e frequenza rendendo i ricercatori di tutto il mondo “pessimisti” sul futuro di questo ecosistema, le Maldive mostrano ancora una volta un’estrema, quasi inaspettata, capacità di ripresa.

Sembra fantasia ma è tutto vero. La natura sta facendo il suo corso come meglio non potrebbe fare. Infatti, la testimonianza dei ricercatori del MaRHE Center, un outpost dell’Università degli Studi di Milano Bicocca che si trova a Magoodhoo nell’atollo di Faafu, riporta la ricrescita dei coralli laddove sembravano scomparsi. Ma c’è di più. Infatti i

tassi di crescita sembrano apparentemente alti, soprattutto per il genere di corallo più abbondante dell’arcipelago: l’Acropora. Questa ripresa sta alimentando la speranza dei ricercatori che non escludono un completo recupero in tempi brevi. Ovviamente si parla di anni, almeno 5, se non 10, prima di tornare allo splendore precedente il disastro e questo sempre che altri eventi estremi non tornino a rifare danni. Queste aree hanno un valore inestimabile in quanto fonti di nuove generazioni di coralli, adattati a situazioni ambientali differenti e forse più resistenti ai cambiamenti climatici che sicuramente in futuro dovranno affrontare. Per questo alle Maldive ci si porta anche avanti. I ricercatori del MaRHE center si stanno adoperando per aiutare la ripresa delle scogliere coralline, allevando e trapiantando (si proprio come le piante, uno ad uno) quelli che ritengono essere i coralli più resistenti e che più velocemente ricostruiranno l’habitat perduto. Diverse tecniche vengono sperimentate, tutte con il medesimo concetto: si parte da un frammento, posizionato in strutture chiamate nurseries, e fatto crescere fino alla taglia desiderata prima di essere

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trapiantato sul reef. Con loro, la speranza è che aumentino i pesci e tutta la fauna associata da cui dipende la sopravvivenza di questo magnifico ecosistema marino. E per non farsi mancare nulla, e per salvare più coralli possibile, ci si inventa anche dottori!! I dottori dei coralli. Fa ridere un pochino, ma grazie ad una collaborazione con l’istituto Italiano di Tecnologia di Genova e l’Università di Milano Bicocca è stato sviluppato un trattamento con “cerotti” intelligenti in grado di curare i coralli danneggiati dall’attività dell’uomo. Infatti, oltre al sopra citato sbiancamento dei coralli, questi animali sono ultimamente sempre più soggetti a malattie di origine biologica, ovvero causati da batteri, virus o funghi. Le patologie che possono causare la morte di questi animali sono più di 40, ma purtroppo ad oggi non esistono interventi curativi efficaci atti a prevenire o curare queste patologie, mettendo sempre di più a rischio l’ecceziona-

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le biodiversità di questo ecosistema. Per questo studio sono stati utilizzati i coralli appartenenti alla specie Acropora muricata, coralli costruttori tipici dei mari tropicali e inseriti dalla IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) tra le specie a rischio di estinzione. I ricercatori hanno sviluppato un trattamento con cerotti smart, completamente biocompatibili e biodegradabili da applicare sulle “ferite” dei coralli, che rilasciano in modo controllato principi attivi (ad esempio antibiotici e antiossidanti) e che ne permettono l’adesione al corallo, curandolo. Il trattamento consiste nell’applicazione di un primo cerotto che rilascia farmaci direttamente nella ferita del corallo evitando che questi ultimi vengano dispersi nell’ambiente, per poi successivamente sigillare la parte danneggiata dell’organismo con un secondo cerotto in modo da fermare il potenziale ingresso di ulteriori agenti patogeni. Il cerotto, sperimentato in la-

boratorio e nel mare delle Maldive, agisce localmente ed in modo controllato senza alcun danno per gli organismi o l’ambiente circostante Quest’applicazione rappresenta una novità assoluta nello studio delle malattie dei coralli. Sempre più patologie mettono a rischio la sopravvivenza dei coralli e l’integrità delle scogliere coralline in tutto il mondo. Seppur molto diffuse, pochi sono gli studi e le tecniche che possono essere utilizzate per ridurne gli impatti. Tra queste, la più comune, è la totale rimozione della colonia o della parte della colonia malata, con conseguente ulteriore danno alle comunità coralline. Grazie a questo studio la possibilità di curare direttamente in loco i coralli malati con cerotti specificatamente preparati per la cura selettiva di alcune malattie diventa realtà e apre nuovi orizzonti verso una conservazione più efficace di uno degli ecosistemi naturali più meravigliosi del nostro pianeta.


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L’ANELLO MANCANTE di Mario Marconi

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ecord, una definizione che ho sempre ritenuto appartenere alla mera prestazione sportiva piuttosto che al mondo della subacquea , è una parola che costituisce la motivazione per l’atleta puro a migliorarsi ,senza soluzione di continuità , al fine di riuscire a spostare l’asticella un pochino più in la ma, secondo me, non può rappresentare l’alibi nelle immersioni profonde. Quando con Alessandro Scuotto e Pim van Der Horst ci preparavamo per affrontare l’immersione sul battello “Milano” sul lago Maggiore, nessuno di noi ha mai “visualizzato” il concetto di record

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relativo a quell’ immersione, gli obiettivi come discusso e dichiarato in altre occasioni erano molteplici e, uno in particolar modo, si identificava nel capire (concedetemi il termine) e verificare se le varie teorie decompressive in auge in quegli anni fossero valide in una immersione che credo possa essere definita sperimentale se si considera che ad oggi, non mi risulta siano state effettuate altre immersioni in CCR così profonde in team… ed a 4°C! Alla fine di quell’immersione, io ne sono uscito in perfette condizione fisiche, Pim ha avuto problemi di ipotermia dati dall’allagamento della stagna durante la risalita ed Alessandro ne è uscito con

una pdd a livello vestibolare. Eppure eravamo tutti giovani, in perfetta condizione psicofisica, con un buon allenamento in immersioni sotto i -100 mt ed abbiamo rispettato perfettamente il piano decompressivo. Vabbè… è statistico potremmo dire se si considera che ai tempi in tutto il mondo le immersioni scuba sotto i -200 mt erano in totale poco più di una ventina e circa l’80% di queste avevano riscontrato problemi più o meno gravi e, se tiriamo due conti della serva considerando che alla fine 3 persone con rebreathers, 4’ di fondo effettivo a -240mt in un lago… ed un evento di pdd vestibolare ci può stare no? La risposta è SI se ci si concentra sulla pura statistica e si pren-


VIAGGI degli anni ho modificato molte delle mie “abitudini” decompressive, discutendo o prendendo spunto da chi con più o meno esperienza adottava filosofie diverse dalla mia e ne sono sempre uscito dall’immersione (tranne una volta dove per mia totale negligenza ho vinto una pdd al sistema linfatico) in ottima forma, senza che nulla mi inducesse a pensare che avrei dovuto modificare qualcosa, quindi, tutto era a posto! E invece no! Ancora un po’ di pazienza e arrivo al punto spiegandovi perché dico di no, perché non andava bene quello che facevo? Se prendiamo come presupposto la sola considerazione che venivo fuori dalle immersioni in ottima forma fisica allora si, stavo percorrendo la giusta via ma, scambiando opinioni con speleosub che negli ultimi anni hanno condotto esplorazioni in grotta oltre i -200 mt (molto oltre), ho potuto verificare che adottassero strategie decompressive agli antipodi tra loro, eppure ne uscivano anzi ne escono fuori bene! Allora funziona tutto, tutte le teorie, filosofie, credenze ecc. ecc. Sono comunque valide no? Ma qualche dubbio mi è sorto… per fortuna. Eppure non può essere così, tanto più

che in diverse discussioni con il mio amico Dr. Luca Lucarini, espertissimo subacqueo tecnico e profondo conoscitore dei vari studi universitari e scientifici relativi alla nostra cara attività, i quali, spesso vengono lasciati fine a se stessi, è venuto alla luce che molte delle mie scelte erano in totale controtendenza a studi accademici di indiscutibile attendibilità! Ma porca miseria… non è possibile, qui ci manca qualche passaggio tra lo svolgimento (la nostra decompressione) e il risultato, l’anello mancante tra il teorizzato e quello che accade nel nostro organismo! Per fortuna, sembra che questo anello mancante sia stato trovato! Da qualche tempo, un’azienda francese la Azoth Systems, dopo un periodo di ricerca e sviluppo di 10 anni, collaborando anche con aziende del calibro della Comex (una delle prime al mondo per expertise sulle immersioni in saturazione) ha iniziato a commercializzare quello che ho voluto definire “L’anello mancante”: l’O’Dive! Si tratta di un rilevatore doppler portatile di uso semplice ed intuitivo, il sistema è disponibile in due versioni, una per

de a riferimento i molteplici casi di pdd che annualmente si hanno in tutto il mondo in immersioni ricreative entro i -40mt, allora si, siamo di fronte ad un successone ma, se come premesso uno dei target in un’immersione del genere è acquisire know how da utilizzare nelle immersioni future allora “no”, non possiamo fermarci di fronte ad una statistica che ci darebbe anche ragione. Ma come si può “capirne” di più? Come facciamo a capire se la nostra scelta di strategia decompressivia è valida oppure no? Se ciò che abbiamo studiato, imparato, visto, copiato durante la nostra carriera subacquea è veramente valido per noi. Vabbè è facile, se esci dall’acqua e stai bene, non hai nessun dolore, nessun sintomo riconducibile a pdd e non sei stanco è fatta, hai fatto una decompressione da “campioni”! E invece No! Dopo questa noiosa premessa vorrei spiegarmi meglio se avete ancora un po di pazienza… Nel corso degli anni ho effettuato molte immersioni sotto i -100mt e diverse sotto i 150mt, alcune delle quali in esplorazioni speleosubacquee o semplice di allenamento al lago, ovviamente nel corso

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ALBATROS TOP BOAT TI PORTA A NUOTARE ED IMMERGERTI CON MANTE E SQUALI BALENA

CROCIERA MANTA TRUST 2020 - ITINERARIO ATOLLI DEL NORD! di Donatella (Dodi) Telli (foto subacquee ©Guy Stevens e ©Luca Miccoli)

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mmergersi e nuotare con decine di mante che “danzano” intorno a noi e’ il sogno di molti amanti del mondo sommerso. Albatros Top Boat ha scoperto la vera rotta delle mante, grazie all’incontro fortunato con Guy Stevens fondatore di Manata Trust, un’organizzazione nata nel 2011 alle Maldive con lo scopo di studiare, censire e proteggere questo meraviglioso animale marino. Lo studio ha portato alla conoscenza del dove e quando poter nuotare con numerosissimi gruppi di mante, non solo alle Maldive ma anche nel mondo.

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Dal 2014 Albatros Top Boat è diventato ambasciatore ufficiale di Manta Trust e con la loro collaborazione ha ideato crociere tematiche alle Maldive per realizzare proprio il sogno di chi ha sempre desiderato l’incontro ravvicinato con questi meravigliosi esemplari. Queste crociere sono state pianificate per coincidere con le correnti determinate dalle fasi lunari e con specifici venti monsonici che influenzano le migrazioni e le abitudini alimentari delle mante di scogliera L’obiettivo delle nostre spedizioni è, infatti, quello di avvalersi di esperti della Manta Trust, per trovare i

principali siti di aggregazione e offrire agli ospiti la magica esperienza di immergersi in mezzo a questi magnifici giganti marini. L’atollo di Baa è fuori dalle rotte classiche delle principali barche safari e con la nostra spedizione ci addentreremo all’estremo nord di questo atollo alla ricerca dei punti di approvvigionamento delle mante, ma anche di qualche squalo balena e pesci chitarra, erroneamente chiamati squali. Nuotare fra questi enormi esemplari è un’esperienza indimenticabile.. Quest’anno proponiamo un nuovissimo itinerario: visiteremo e faremo immersio-



CAPE KRI ~ RAJA AMPAT

LA BARRIERA CORALLINA: UNA MERAVIGLIA NATURALE NEL CUORE DI UNA LAGUNA ISCRITTA AL PATRIMONIO DELL’UNESCO di Francesca Chiesa (Foto di Massimo Boyer)

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nche in paradiso la sveglia suona, e nonostante siano le 6 del mattino mai stata più felice di salutare il nuovo giorno. È la vita che si risveglia in una esplosione di energia. Il sole sta sorgendo e il mare sembra ribollire avvolto da lunghe fiamme rosso acceso: questa mattina l’alba ha il colore della passione.

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Ma non perdiamoci in chiacchiere. Prendo il computer, il mio inseparabile cappellino bianco e raggiungo il gruppo per il briefing non prima di essere passata dal ristorante per una colazione da regina. “Buongiorno ragazzi, dove si va oggi?” chiedo. “Avrei pensato a Cape Kri, chi è d’accordo alzi la mano” risponde Marcello, il nostro angelo custode che insieme Jody si prenderà cura di noi durante le immersioni.

Tutte le braccia si alzano in una sorta di “ola” accompagnata da un esplosivo coro da stadio: e Cape Kri sia! Gli instancabili ragazzi del diving hanno già caricato bombole e attrezzature sull’Agusta 2 che oggi ci condurrà su uno dei siti più belli che si posso trovare a Raja Ampat, e a noi non resta altro che prendere le mute dalle apposite rastrelliere che, nonostante siano state appese tutta la notte, sono ancora umidicce.


VIAGGI Una volta a bordo il controllo attrezzatura è d’obbligo. Lo so è un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare! Rovisto nella cesta: calzari ok. Maschera ok. Cintura ok. Pedagno ok. Cappuccio ok. Pinne ok. Controllo anche il gruppo. Perfetto. Aria 200 bar. Per me si può partire. Nel giro di pochi minuti siamo tutti pronti e la barca molla gli ormeggi per dirigersi a est . Il mare è un caleidoscopio di colori, calmo e quasi piatto. Il vento è solo una leggera brezza e il sole si sente sulla pelle. I motori girano al massimo della loro potenza, le eliche squarciano le acque lasciandosi alle spalle una ferita biancastra che contrasta con il blu che le avvolge. Il tragitto è breve. Dall’Agusta Eco Resort ci vogliono circa 20 minuti per raggiungere il paradiso. Sì perché Cape Kri è il paradiso. Prima di immergerci si verifica la forza e la direzione della corrente che troveremo una volta sgonfiati i Gav: oggi è leggera e ci porterà sulla punta senza un eccessivo dispendio di energie. Ottimo, mi dico, minimo sforzo, massima resa! Una dolce discesa controllata mi porta presto ai 30 metri dove iniziamo una

lenta pinneggiata a ridosso della parete. L’acqua è calda, 29 gradi, e la visibilità è perfetta. Questa volta sono in coppia con Jody, una giovanissima guida indonesiana nata con le branchie e occhi da falco: vede cose infinitamente piccole che voi umani non potete neppure immaginare. Come un segugio setaccia la parete perdendosi fra anemoni dai tentacoli spettinati, ventagli di gorgonie, coriacei alcionari e coralli duri di tutte le fogge, alla ricerca di qualsiasi forma di vita le cui dimensioni raggiungono a mala pena il mezzo centimetro di lunghezza. Mi indica una macchiolina bianca fra i tentacoli di un corallo del genere Fungia. La Fungia, spesso scambiata per un’anemone, ha uno scheletro piatto a forma di disco da cui fuoriescono spessi tentacoli arancioni le cui estremità terminano tutte con una specie di bottone bianco. Che cosa ha mai di speciale il “bottoncino” che Jody mi indica? Non capisco. Con le dita mi fa il segno del gamberetto. Continuo a non capire. Io non vedo niente se non una grande fungia a forma di attinia con un piccolo bottone bianco che però, a ben vedere,

è più frastagliato rispetto agli altri. Con delicatezza Jody lo muove ad allora capisco che è sulla sua diversità che devo concentrarmi. La macchiolina frastagliata è un esserino dalla testa della stessa tonalità di arancione dell’organismo che lo ospita ben nascosta da una folta chioma bianca, con tanto di occhi, zampette, chele e corpo trasparenti che lo rendono invisibile agli occhi del mondo. Siamo di fronte a un mushroom coral ghost shrimp o conosciuto anche come gamberetto popcorn. Una meraviglia della natura in fatto di mimetismo. Lasciamo il nostro nuovo amico e risaliamo di qualche metro abbandonandoci alla corrente che con grazia ci trasporta lentamente come fossimo fragili pacchi su un nastro trasportatore. Ora la nostra attenzione si sposta nel blu quand’ecco che Cape Kri si mostra in tutto la sua magnificenza. Vengo completamente avvolta da un banco di fucilieri dalla livrea di una colorazione vivace che, per niente intimoriti dalla mia presenza, mi accettano come nuovo membro del gruppo nonostante la mia oggettiva diversità. Mi si avvicinano quasi a sfiorarmi per poi

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IL MARE LUNGO LA COSTA OVEST DELLA NUOVA CALEDONIA

LA BARRIERA CORALLINA: UNA MERAVIGLIA NATURALE NEL CUORE DI UNA LAGUNA ISCRITTA AL PATRIMONIO DELL’UNESCO Testo di Nuova Caledonia turismo (Foto dall’archivio NCTPS)

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scritta al Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, la laguna della zona costiera occidentale è una delle più belle della Nuova Caledonia, in particolare grazie alla straordinaria barriera corallina che si estende da Bourail a Moindou. Da non dimenticare anche le meravigliose isole e isolette: dall’Île Verte a Bourail all’îlot Ténia a Boulouparis.

BOURAIL Dal momento in cui i soldati neozelandesi vi stabilirono il proprio campo per le “vacanze” nel 1942, Bourail iniziò a essere considerata tra le mete turistiche caledoniane. Viste dall’alto, la laguna e la sua barriera corallina (patrimonio mondiale dell’UNESCO) sono uno spettacolo a dir poco sublime.

Patrimonio mondiale dell’UNESCO, la laguna di Bourail e la sua barriera corallina rasentano la bellezza assoluta Arrivati a Bourail non si può non visitare la celebre Roche Percée. Questa è una vera e propria istituzione per i caledoniani, che ritrovano in questa zona costiera anche altri due importanti simboli del Paese: il Bonhomme e il sentiero delle tre baie che

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si affaccia su un’isoletta ormai leggendaria: l’Île Verte.

L’ÎLE VERTE è una riserva naturale facente parte della riserva marina speciale di Bourail. Questa località è nota in quanto figura tra i luoghi in cui le tartarughe verdi vengono a deporre le uova. Inoltre, si presta particolarmente per la pratica dello snorkeling. Ovviamente sono necessari in questo caso alcuni accorgimenti: la natura di “riserva” di quest’isola vieta qualsiasi forma di pesca o di raccolta. Giustamente, quando si ha la fortuna di potersi godere un piccolo angolo di paradiso…è bene rispettarlo!

L’ILOT TENIA Situata a una ventina di minuti di navigazione partendo dalla banchina di Bouraké, a Boulouparis, l’isoletta Tenia è una meta ambita anche dai caledoniani. Si tratta di una destinazione da sogno, perfetta per rilassarsi, per immergersi tra la barriera corallina nel cuore di un’eccezionale riserva naturale e per approfittare della ricchezza di una densa e colorata fauna acquatica. I più fortunati potranno incrociare sul proprio percorso alcuni del-

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fini venuti ad accompagnare il taxi boat e a giocare davanti alla prua. Essendo area marina protetta (della Provincia Sud), l’isoletta è considerata riserva. È pertanto vietato introdurre animali, disturbare gli uccelli, prelevare sabbia, conchiglie o lasciare qualsiasi detrito. Inoltre, sull’isola vivono popolazioni di berte del Pacifico e di gabbiani australiani. A parte tali regolamentazioni necessarie per garantire la tutela e la salvaguardia di questi luoghi,

è possibile fare una sosta sull’isoletta con la propria imbarcazione utilizzando le strutture di attracco messe a disposizione dei diportisti.

DALL’ISOLETTA AL PASSAGGIO DI SAINT VINCENT A soli pochi minuti si trova il passaggio di Saint Vincent, località famosa per il surf. Il Taxi Boat imbarcherà gratuitamente la vostra attrezzatura e vi acco-mpagnerà tranquillamente dall’isoletta Ténia fino al


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passaggio. Cosa c’è di più magico che fare surf in mezzo all’oceano, tra la laguna e il mare aperto? Un’alternativa altrettanto entusiasmante può essere lo snorkeling tra la barriera corallina. In acque poco profonde, circa cinque metri, potrete ammirare le meraviglie del fondale marino con acque cristalline: coralli e pesci di tutti i colori vi stanno aspettando! Patrimonio mondiale dell’Unesco, Poum e la sua barriera corallina sono un vero splendore naturale Nell’eccezionale contesto di Poum, all’estremità settentrionale della Grande Terre, si può scegliere tra numerose escursioni in barca verso le isolette in prossimità della costa, pratica della pesca al largo con fondali profondi o varie immersioni. Tutto ciò non sorprende, considerando che la laguna di Poum è parte integrante della “Zona costiera Nord e Est” iscritta al Patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO. Nella laguna e relativa barriera corallina una straordinaria biodiversità sottomarina attende solo che vi

immergiate alla scoperta di questa meraviglia. L’importanza del mare per questa località viene testimoniata ogni anno nel mese di maggio in occasione della Festa del Mare.

L’ARCIPELAGO DI BÉLEP Situato all’estremo nord della Nuova Caledonia, circa 60 km al largo di Poum, l’arcipelago di Bélep (Dau Ar in lingua nyelävu, ovvero “isole del sole”) fa parte della provincia del Nord e si estende per una quarantina di chilometri. L’arcipelago conta tre isole principali: Art, Pott e Dau Ac. Tra queste solamente la più grande, Art, col suo capoluogo Waala, è abitata. La zona della laguna neocaledoniana in cui si trova l’arcipelago di Bélep fa parte delle 6 segnalate nel 2008 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) per entrare a far parte del patrimonio mondiale dell’umanità. Sprovvisto di strutture per l’accoglienza turistica, l’arcipelago conserva un’auten-

ticità pressoché unica in Nuova Caledonia. Consapevoli che queste particolari caratteristiche gli conferiscono un’inconfondibile identità propria, sarebbe opportuno prendere qualche accorgimento prima di andarci. Pertanto, prima di visitare questi luoghi, non dimenticate di prevedere un piccolo dono (coutume) per il capo della tribù, in quanto le tradizioni qui sono molto più rispettate che altrove.

Foto crediti: Foto di apertura e foto pag. 43 di Darren Jew / NCTPS Foto in alto pag. 44 di M. Dosdane / NCTPS Foto in basso pag. 44 di P. Laboute / NCTPS Foto pag. 55 di R. Pacta / NCTPS.

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HANIFARU BAY - MALDIVE di Andrea Piasentin

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e Maldive sono un “must” per ogni subacqueo, una delle mete più amate e con il più alto numero di repeaters grazie ai suoi paesaggi mozzafiato, all’ottimo livello delle immersioni e dello snorkeling e non per ultimo, per la grande varietà di strutture e liveaboard, in grado di soddisfare ogni tipologia di viaggiatore, anche il più esigente. Poste a una distanza di circa 600 chilometri a sud-ovest dell’India, nel cuore dell’Oceano Indiano, le Maldive, “il regno delle Mille Isole” come erano

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chiamate un tempo, sono costituite da 26 atolli disposti su due fasce parallele in direzione nord-sud e da 1.192 isole coralline, delle quali solo 200 sono abitate. Tra le innumerevoli possibilità, la crociera rimane senza dubbio la scelta migliore se si desidera cogliere appieno il fascino del mondo sommerso delle Maldive! Grazie ai numerosi itinerari è possibile immergersi nei più emozionanti siti d’immersione spostandosi fra i vari atolli e immergendosi in zone lontane dal turismo di massa e non raggiungibili soggiornando in resort.

Le immersioni alle Maldive permettono incontri di ogni tipo: tartarughe, razze, mante, aquile di mare, squali grigi, squali di barriera, squali balena, banchi di barracuda e tonni oltre a una moltitudine di piccoli pesci e nudibranchi che popolano la vivace barriera corallina. Negli atolli settentrionali si trova Hanifaru Bay, un’area marina protetta (dichiarata patrimonio dell’UNESCO nel 2011) situata nell’atollo di Baa. Si tratta di una baia naturale, abitata da un grande numero di mante che in particolare da Maggio a Novembre, durante il periodo di fioritura del plancton, si raduna in


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questa “piscina naturale” offrendo uno spettacolo unico al mondo semplicemente facendo snorkeling. In questa stagione oltre ad incontrare centinaia di mante è anche possibile avvistare lo squalo balena che attratto dalla grande quantità di plancton viene a cibarsi all’interno della laguna. Per il 2020 Nosytour propone una selezione di 14 imbarcazioni , dalla categoria Superior alla Extra Lusso per soddisfare le necessità e i desideri di tutti. Ovviamente ad ogni crociera è abbinabile un soggiorno in qualche meravigliosa isola: infatti, oltre alle imbarcazioni da crociera, Nosytour propone interessanti resort in molti atolli da Male Nord a Male Sud, da Ari a Rashdoo, da Lhavijani a Faafu, da Meemu a Raa con ben 16 strutture presenti nel catalogo elettronico, oltre ad altre 26 strutture fuori catalogo, da quelle semplici ed essenziali a quelle prestigiose e raffinate per poter costruire la migliore soluzione su misura per ogni cliente. Tutti i dettagli con caratteristiche, foto e prezzi, si possono trovare sul sito di Nosytour all’indirizzo www.nosytour.it.

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UN GIGANTE LIBERATO di Simone Musumeci e Antonio Di Franca

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l giorno d’oggi è facile trovare video sui social media e su internet, dove si vedono animali terrestri e marini che a causa dell’impatto antropico sul nostro pianeta affrontano una morte lenta e dolorosa. Tuttavia, quando arriva il giorno in cui ti trovi davanti al pesce più grande del mondo bisognoso di aiuto le cose sono ben diverse rispetto ad essere a casa comodamente seduti sul divano a vedere la tv.

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Una bellissima immersione. L’incontro con uno squalo balena, uno squalo volpe, una gigantesca manta oceanica nella punta nord dell’isola di Fuvahmulah, all’estremo sud delle Maldive. Mentre i subacquei stavano lentamente risalendo sul nostro Dhoni, la nostra guida Gianluca, che si trovava già a bordo, ci urla: “squalo balena!”. Rimetto la maschera sul viso e guardo sott’acqua. Un maestoso animale si dirige verso di noi con una cima enorme attorno al collo incastrata sulle pinne pettorali.

Quasi tutti gli squali, a causa della loro morfologia, hanno pinne pettorali fisse e sono obbligati a nuotare incessantemente per respirare, quindi era praticamente impossibile che si riuscisse a sfilare la grossa cima dalla parte anteriore del corpo. Senza pensarci due volte, metto l’erogatore in bocca, sgonfio il GAV che mi faceva galleggiare in superfice e mi immergo nuovamente andando in contro a questo enorme animale di sette metri circa. Era una femmina e non sembrava


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IMMERSIONI record certificati dal Guinness: nel 2016 La distanza percorsa in orizzontale in acque libere più lunga al mondo, nel 2017 La Passeggiata subacquea più lunga al mondo in apnea, nel 2018 La danza più lunga al mondo in apnea, nel 2019 l’apnea nella posizione yoga Ponte più lunga al mondo.

COSA SI PROVA LAGGIÙ, DA SOLO, DURANTE UNA GARA – UN TENTATIVO DI RECORD? Luca: In realtà sono talmente concentrato su di me e sull’attrezzatura che non ho modo di distrarmi, i pensieri riaffiorano solo a fine immersione quando, uscito dall’acqua, ho raggiunto il risultato. Penso solo a non commettere imprudenze e a capire quando è il momento esatto per risalire senza farmi sopraffare dalla voglia di andare oltre. Claudia Serpieri, ha stabilito i primati mondiali femminili di immersione profonda con bombole, con 211 m (Nisida, 2000) e di immersione profonda in lago con 180 m (Maggiore, 2001), attualmente primati italiani. Claudia ha iniziato dedicandosi all’esplorazione di relitti profondi, vive a Sharm el Sheikh, perennemente in acqua per usare le sue parole. Gianluca Genoni, nel corso della sua carriera ha stabilito 18 record mondiali nelle varie discipline dell’apnea profonda, l’ultimo il 29 settembre 2012 con 160 m di profondità con l’aiuto di un propulsore elettrico. Ha preso parte a una lunga serie di esperimenti con CNR, università di Milano e DAN. Nel settembre del 2003 è stato il primo uomo al mondo ad immergersi in apnea a 5100m di quota ai piedi dell’Everest e nel novembre del 2008, dopo aver respirato ossigeno si è immerso per più di 18’ in una piscina termale a Goito. Alessia Zecchini, apneista, è la donna più profonda del mondo in apnea. Impressionante la lista dei primati che detiene: record mondiali: Assetto costante: -113 m, 2019, Assetto costante senza pinne: - 73 m, 2018, Free Immersion: - 100 m, 2019, Jump Blue: 190 m, 2015, Apnea dinamica con monopinna (in orizzontale): 253 m, Apnea dinamica senza pinne (in orizzontale): 193 m, Apnea dinamica con bi-pinna (in orizzontale): 228 m. E ci fermiamo qui... Marina Kazankova, attrice e psicologa, nel 2004 è stata Campionessa mondiale di apnea CMAS e ha stabilito il record mondiale jump blue, detiene i seguenti

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Danilo: Durante il record di permanenza ho avuto molto tempo per pensare. Nelle prime ore ero lucido e i ragionamenti erano concreti, col passare delle ore la realtà mi sfuggì di mano e i pensieri erano molto confusi. Determinazione e concentrazione all’obiettivo finale, erano i pensieri costanti, soprattutto durante i momenti difficili. Lungo la discesa verso i 220 metri ero molto “cool”, determinato ad arrivare sul fondo con le giuste tempistiche, staccare il cartellino e risalire. 5 minuti in tutto. Oltre a molta adrenalina, esplodeva in me la voglia di farcela e di vincere. Lungo la risalita era la speranza di non avere problemi dopo 4 ore e mezza di decompressione. Michele: Lo stress è molto alto nei giorni prima, la mattina del tuffo si entra in uno stato di trance e ci si isola dal resto del mondo. In acqua scattano tutti gli automatismi impostati in centinaia di test e visualizzazioni. L’immersione è un viaggio mentale in un mondo surreale, nel silenzio più assoluto e nel buio più scuro la tensione è massima, si sente il proprio battito ed ogni metro in più di profondità viene sorseggiato con delicatezza al pari di un vino d’annata. L’immersione forse dal punto di vista emotivo è la parte più facile, anche

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nei momenti più delicati si procede senza pensare ai rischi. Dopo alcuni giorni ci si rende realmente conto di quello che si è fatto ed un pizzico di paura arriva. Claudia: poco tempo per pensare al sentire, concentrati sul da farsi! Adrenalina, paura, euforia, chi me l’ha fatto fa’, ma che figo... un mix di sensazioni che a distanza di anni ricordo, molte belle, alcune meno, ma sicuramente il primo evento, lago d’Iseo (un primo record a -165 m, dove per problemi tecnici son dovuta andare da sola) mi ha dato le sensazioni più belle, ed e stato il lago più nero e brutto! Gianluca: Quando scendo in profondità, può sembrare strano a chi non pratica apnea, ma la sensazione che provo è di pace e benessere, a patto che non si superino certo quote, oltre le quali avvertivo problemi di narcosi e questo mi rendeva meno sicuro, soprattutto dopo che per una serie di problemi tecnici avuti a circa 150m di profondità, ho perso conoscenza. Da solo a grande profondità non ci sono mai andato, avevo sempre con me un team di subacquei di assistenza che mi davano sicurezza e serenità e quando ho avuto il problema, che ho scritto sopra, sono stati rapidi e molto bravi ad interve-

nire e rimandarmi in superficie salvandomi la vita. Da quel momento in poi, anche alla luce di incidenti successi a grande profondità ad altri apneisti, non ho più preso nemmeno in considerazione di poter scendere da solo a certe quote Alessia: Prima della gara sicuramente una concentrazione massima, cerco di evocare sensazioni positive per prepararmi al tuffo. Durante la gara la concentrazione è al 100%, l’unica cosa che conta è rimanere focalizzati su quel che si sta facendo. Ogni tanto quando raggiungo il piattello sento una sferzata di adrenalina, di quella gioia che in fondo mi accompagna un po’ sempre nella vita. Nella risalita forse anche un po’ di narcosi aiuta le sensazioni positive a venire fuori, e a lasciar sfogare tutta la felicità. Marina: Si prova il silenzio e la connessione con l’Universo!

QUALI SONO I PROBLEMI PIÙ GROSSI CHE HAI INCONTRATO DURANTE IL TUO PERCORSO? Luca: Sono sempre stato molto determinato e motivato a raggiungere i miei obiettivi e superare i miei limiti. Mi sono fatto distrarre poco dalle invidie che purtroppo popolano il mondo sportivo e ho


IMMERSIONI

continuato ad allenarmi e a scegliere con cura la mia attrezzatura per non lasciare mai nulla al caso. Spesso la notorietà fa commettere errori ma nelle immersioni estreme uno sbaglio potrebbe essere fatale. Fisicamente e mentalmente sono molto forte e questo mi ha aiutato a spingere sempre un po’ più in là il mio limite. Danilo: Durante le 50 ore ho avuto molti problemi: dalla foratura del guanto stagno durante la manovra di attacco della frusta della stagna, alla voglia di mollare alla 24° ora per una crisi psicologica. Ma la più grave sono state le allucinazioni intorno alla 40° ora. Un cane con me in piattaforma che mi guardava preoccupato… Durante le quasi 5 ore dell’immersione profonda non ho avuto grossi problemi. È andato tutto come speravamo. I problemi, o meglio le difficoltà più grosse sono state, durante le prove, nel trovare la logistica migliore per l’evacuazione di un subacqueo con problemi, che potevo essere io ma anche un sub di assistenza profonda. Michele: L’organizzazione ed il coordinamento di tutte le persone che orbitano intorno al record. Le condizioni meteo marine che purtroppo non dipendono da

noi, ma dobbiamo prevederle e preparare dei validi piani alternativi. Claudia: A S. Angelo, Ischia, per una mia negligenza, svista, mettila come ti pare ci stavo rimanendo, ma visto che in qualche modo ho sempre avuto qualcuno che mi ha dato una mano, posso essere qui a raccontarlo... il fatto e descritto sul libro del Perozzi, Aria Profonda, quindi

non lo riracconto... Altri problemi? Organizzare questi eventi è di una difficolta incredibile, ma ho avuto la fortuna di essere sempre affiancata da un team incredibile, che mi manca un sacco, e che mi ha permesso da fare quel poco che ho fatto. I record erano mirati solo ad avere l’attenzione per fare altro: esplorazioni, ricerca medica.

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Gianluca: Durante il mio percorso ho avuto diversi problemi e contrattempi come succede in ogni disciplina sportiva o attività lavorativa ma tutti superabili grazie alla buona volontà e alla passione che mi lega al mare. I problemi nel corso di 25 anni di attività sono cambiati e si sono trasformati, ma alla fine ce l’abbiamo sempre fatta . Alessia: i problemi durante la mia carriera sportiva sono stati parecchi, all’inizio soprattutto è stato difficile gestire le competizioni. Ho risolto i miei problemi con sedute di psicologia sportiva, col prof. Nardone. Altri problemi sono stati quelli dovuti al calo delle motivazioni, cosa che ho risolto facendo appello all’amore per l’apnea e soprattutto per il mare. L’amore per il mare mi spinge a impegnarmi sempre di più, da quest’anno ho deciso di abbandonare le gare in piscina per focalizzarmi sul mare. Marina: Durante il record della passeggiata subacquea a Dubai ho incontrato uno squalo proprio sul mio cammino, a 12 m di profondità. Avevano tracciato una sottile linea sulla quale dovevo camminare, e lo squalo era proprio lì, davanti a me. Nuotava lentamente e si capiva che aveva paura dell’inseguitore (me). Ho rallentato il ritmo per non spaventarlo, ma dovevo per forza andare avanti, lui si innervosiva sempre di più e a un certo punto ha cominciato a nuotare verso di me, a livello delle ginocchia. Ho dovuto saltare per farlo passare sotto, ma secondo le regole non potevo sollevare entrambe le gambe dal pavimento. E sono stata squalificata! Nel secondo tentativo sono riuscita a stabilire il record.

DAI UN CONSIGLIO A UN GIOVANE CHE SIA ATTRATTO DALLA TUA INFLUENZA. Luca: Nulla arriva per caso, i risultati sono sempre il frutto di un durissimo lavoro. Io ho dedicato la mia vita a questa disciplina, impiegando fatica e denaro. Oggi molti subacquei si improvvisano profondisti, ma corrono un grosso rischio perché senza la giusta preparazione l’incidente può avvenire e i fatti di cronaca parlano chiaro. L’attrezzatura performante è importante ma dietro c’è l’uomo, e in caso di imprevisto manca la preparazione e l’esperienza per intervenire in modo corretto. In immersione purtroppo una scelta sbagliata

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può essere pericolosa, quindi posso solo consigliare di fare tanto esercizio e di affiancare persone preparate ed esperte. Danilo: Non ci si improvvisa primatista o record man. Tanta dedizione e tantissimo allenamento sono alla base di una buona riuscita dell’impresa. Importante uno staff con le palle che anche nei momenti bui sappia intervenire e sopperire ai vari problemi. E infine…un po’ di culo! Michele: Evitare di farsi prendere dalla febbre della profondità, guadagnare metri poco alla volta e scegliersi dei

seri professionisti per l’organizzazione e l’assistenza. Onestamente, considerati gli ultimi incidenti fatali, sconsiglierei un record di profondità, lo indirizzerei piuttosto verso esplorazioni importanti su relitti o grotte. Claudia: Ce ne sarebbero tanti. Non fate i ferraristi se guidate le 500, usate sempre la testa, un po’ di incoscienza ci vuole, ma senza mai esagerare, mai provare senza la giusta preparazione. Gianluca: A tutti i giovani che si avvicinano a questa disciplina consiglio sempre di non viverla come una prova di forza o di coraggio per dimostrare agli


IMMERSIONI sfatto dei miei risultati e ho deciso che è il momento di lasciare la subacquea estrema. Restano le mie imprese per il mondo subacqueo e speleosubacqueo, e probabilmente molte esplorazioni non saranno più continuate perché troppo pericolose. Credo che arrivi un momento in cui bisogna dire basta perché il fisico lo impone. Ora mi immergo per piacere al mio lago di Garda e nei mari in giro per il mondo. Danilo: Qualcosina bolle in pentola... stay tuned. Michele: Esplorazioni di grandi transatlantici affondati, mi piacerebbe riuscire ad esplorare i più famosi e trovarne di nuovi, in profondità vorrei cimentarmi meglio nelle grotte. Claudia: Andare in acqua a trovare e cercare cose nuove che siano il relitto, il nudibranco o lo squalo... qualsiasi cosa! Amo andare là sotto, è proprio la mia terapia mentale, quindi mi auguro di andarci ancora per un bel po’ di tempo. Anche mia figlia quando vede che inizio a sclerare mi dice che è il momento di andare là! Gianluca: Per il futuro, come da ormai parecchi anni, ho un calendario di stage e corsi che mi portano in tutta Italia e sempre più anche all’estero, a raccontare e trasmettere le mie conoscenze agli appassionati e ai giovani apneisti. Negli ultimi anni si è aggiunta in maniera sempre più importante, l’attività di promozione del rispetto e della salvaguardi dei degli oceani, attività che sta particolarmente a cuore ai miei sponsor. Le due attività si combinano alla perfezione poiché credo che solo se conosci e ami il mare lo puoi proteggere e rispettare. altri quanto si è bravi. Quando si inizia la prima cosa che bisogna fare è affinare la tecnica e stare bene in acqua, non pensare alle performance, almeno nella prima fase, quella didattica, poi se si decide di prendere la strada dell’agonismo e delle competizioni, consiglio di stare sempre attenti, di ascoltarsi e non sottovalutare mai quello che si va a fare, soprattutto in mare. A grandi profondità gli errori si potrebbero pagare cari. Alessia: Come primo consiglio, iscriversi a una buona scuola. Come in ogni sport è necessario per iniziare apprendere le nozioni principali da un

buon istruttore, e non improvvisare. Ovviamente va rispettata sempre la sicurezza, anche un’uscita in snorkeling va sempre fatta in compagnia. Il terzo consiglio è di curare molto la tecnica, cercando di correggere gli errori. Una buona tecnica è la base per fare strada, guardate e cercate di imitare il movimento dei pesci, di essere belli ed eleganti come loro.

Alessia: nell’immediato c’è il Vertical Blue a giugno. Dovrò lottare con Alenka per il record di profondità. Spero di fare un buon Mondiale, che si dovrebbe disputare in Mediterraneo. Marina: Ovviamente un nuovo record per il 2020, visto che ho promesso di farne uno all’anno. E tanti film da girare a livello mondiale! Foto crediti:

PROGRAMMI PER IL FUTURO? Luca: Dopo tanti anni ai massimi livelli credo di aver raggiunto più di quello che avrei mai immaginato. Sono soddi-

Foto di apertura di Laura Babahekian Foto pag. 51 in alto e pag. 55 di Adriano Penco Foto pag. 51 in basso di Alberto Balbi Foto pag. 53 e 54 di Francesco Chiaf

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I RECORD DELLA SUBACQUEA di Marco Daturi e Massimo Boyer (Foto di Manfred Bortoli)

Questa è una raccolta di una serie di record attinenti il nostro amato hobby, la subacquea, e il mondo sommerso. Alcuni sono imprese notevoli, altri fanno un po’ sorridere ma sono comunque limiti infranti. ATTENZIONE: alcuni di questi record potrebbero essere stati superati e l’elenco potrebbe non essere completo. Se volete comunicare variazioni o inserimenti vi invitiamo a segnalarceli scrivendo a: massimo@zeropixel.it. Provvederemo ad aggiornarla su Scubaportal.it. Ci riserviamo comunque il diritto di pubblicare quelli che riterremo più interessanti. Vi ricordiamo che la subacquea non è uno sport competitivo e nessun record va mai provato senza la giusta preparazione e assistenza. Data di aggiornamento: marzo 2020, dati tratti da Guinness Word Record.

La più grande community subacquea d’Italia La più grande community sub, Poverosub, si ritrova sul forum di ScubaPortal con oltre 25.000 iscritti. www.poverosub.com

Immersione profonda in mare con respiratore Ahmed Gabr è sceso a una profondità di 332,35 metri in Mar Rosso al largo di Dahab, Egitto, il 28 settembre 2014. La

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discesa richiese solo pochi minuti, mentre per risalire occorsero più di 14 ore per consentire la decompressione.

no resspirato una miscela di Elio (50%), Idrogeno (49%) e ossigeno (1%). La decompressione è durata 18 giorni.

Subacquei autonomi più profondi (partendo da una camera sommersa)

Massima distanza nuotata in orizzontale sotto il ghiaccio

Nel 1988, 6 sub francesi della COMEX e della marina nazionale hanno condotto in tutto 28 ore di lavoro a 520 m di profondità con una punta di – 534 m. I sub han-

Catena umana subacquea

Alexey Molchanov, russia, ha nuotato per 180 m in una miniera abbandonata vicino a Mosca, febbraio 2020.


IMMERSIONI 578 persone, in Manado, Indonesia, agosto 2019.

Recupero subacqueo La massima profondità alla quale sia stata possibile un’operazione di recupero è 5258 m, per riportare in superficie un elicottero precipitato nel Pacifico nell’agosto del 1991. L’equipaggio della Salvor e il personale della Eastport International recuperarono il relitto il 27 febbraio 1992 per poter analizzare le cause dell’incidente.

Record italiano di permanenza sott’acqua Attualmente il record è detenuto da Paolo De Vizzi che lo ha stabilito a Nardò nel 2016 con 51 ore e 56 minuti.

Record di immersione prolungata in acqua fredda Danilo Bernasconi, lago di Como, con 50 ore e 6 minuti.

L’immersione più lunga del mondo in acqua dolce Jerry Hall (USA), un sub del Tennessee e non l’omonima attrice texana, rimase sott’acqua a una profondità di 3,6 m su una piattaforma sommersa nel lago Watauga, Tennessee, USA, per 120 ore, 1 minuto e 9 secondi dal 29 agosto al 3 settembre 2004, senza mai emergere.

Il reef artificiale più grande La portaerei della marina statunitense Oriskani (varata nel 1944) fu messa in disarmo nel 1976 dopo una lunga carriera. Era destinata alla demolizione quando si decise di affondarla per farne un reef artificiale nel golfo del Messico, a 38 km al largo di Pensacola, Florida, USA. Fu affondata il 17 maggio 2006, usando 226 kg di esplosivo C4 e impiegò solo 37 minuti per raggiungere il fondo del mare. Lunga 270 m, attira specie marine difficilmente osservabili nel golfo del Messico settentrionale.

La scultura sommersa più grande del mondo Si staglia verso la superficie dell’acqua, con i suoi 5 metri di altezza e 60 t di peso la statua di una bellissima e giunonica donna. È opera di Jason deCaires Taylor, lo scultore delle immersioni che realizza opere sommerse da ammirare solo indossando maschera e pinne. Ocean Atlas, questo il nome dell’opera, sorregge l’oceano sulle proprie spalle ed è il suo capolavoro realizzato al largo dell’isola di New Providence a Nassau, capitale delle Bahamas.

Area Marina Protetta più grande La più grande area marina protetta del mondo si trova in Oceano Indiano, intorno alle isole Chagos. Questa porzione di mare, con una superficie di circa 545.000

chilometri quadri, accoglie la Great Chagos Bank, grande barriera corallina con circa 220 specie di coralli e più di 1.000 di pesci. Fu proclamata nel 2010.

La piscina più profonda Y-40, costruita a Montegrotto Terme, Italia detiene il record di 42,15 metri di profondità, è riempita con acqua termale alla temperatura di circa 33°C costante.

La danza in apnea più lunga Il record è stato stabilito da una coppia di danzatori in apnea, Marina Kazankova (nelle foto in apertura), pluricampionessa di apnea, attrice e psicologa, e Dmitrij Malasenko, apneista e artista, il giorno 29/12/2018 nella piscina Y-40. Lo spettacolo è durato 3 minuti e 28 secondi.

L’apnea più lunga in posizione ponte Record stabilito nel 2019 da Marina Kazankova, nella piscina Y-40, con 4,28 min

La più lunga distanza percorsa in bicicletta sott’acqua in apnea Fabio Falla ha stabilito il record di 67.60 m (221 ft 9.41 in) al Centro Sportivo Alba Marina, Valdengo, il 29 Agosto 2013. Si tratta della distanza più lunga percorsa in bici, sott’acqua in apnea, con una bicicletta senza alcune modifiche da come viene messa in commercio a parte la zavorra.

L’immersione più profonda di un cane Dwane Folsom (USA) porta abitualmente con sé il suo cane Shadow quando si immerge nelle acque dell’isola di Gran Cayman, di solito a circa 4 m di profondità. Shadow indossa una speciale tuta da sub che comprende casco, giubbotto e respiratore collegato alla bombola del padrone.

Ciclismo subacqueo alla maggiore profondità Il 13 luglio 2005, Vittorio Innocente (Italia) pedalò a 60 m di profondità nel mare di Genova. Per l’immersione aveva modificato la sua mountain bike standard con l’aggiunta di pesi di piombo e di un’ala di plastica dietro il sellino e riempiendo d’acqua le gomme per ridurre il galleggiamento.

Il gruppo di subacquei più grande Record stabilito a Manado, Indonesia, con 3131 persone in acqua simultaneamente, agosto 2019.

la posta viene ritirata quotidianamente. È apribile solo dal personale autorizzato tramite chiavi di sicurezza mentre per i bub sono disponibili speciali cartoline impermeabili in plastica. Durante il primo anno di funzionamento della cassetta sono stati ritirati più di 4273 invii postali sottomarini.

Risalita senza attrezzature La massima profondità dalla quale è stato possibile risalire senza l’ausilio di attrezzature è 68,6 m. Il record è detenuto da Richard A.Slater (USA) che il 28 settembre 1970 riuscì a uscire dal sottomarino Nekton Beta speronato a largo dell’isola di Catalina, California Usa.

La più grande conferenza stampa sott’acqua Il 17 giugno 2006, 21 giornalisti si immersero a una profondità di 5 m nel lago Traunsee, Austria, per partecipare alla conferenza stampa di Leo Ochsenbauer e Klaus-M.Schremser per il lancio del loro nuovo libro Nullzeit, Sex und Tiefenrausch-333 Antworten auf Taucherfragen.

Trasmissione TV dal vivo La trasmissione TV in diretta dalla maggiore profondità fu presentata da Alastair Fothergill (UK). L’immersione fu trasmessa il 29 settembre 2002 da un sommergibile MIR lungo la dorsale medio-atlantica al largo della costa est degli Stati Uniti.

Trasmissione dal vivo via Internet Il 24 luglio 2001, un reportage in diretta sull’incrociatore Hood fu trasmesso via Internet da una profondità di 2800 m sul fondo dello stretto di Danimarca, dove l’imbarcazione affondò nel 1941. La trasmissione, effettuata da un veicolo subacqueo telecomandato ROV, seguì la scoperta del relitto da parte di David Mearns (UK) della Blue Water Recoveries Ltd (UK), nel corso di una spedizione organizzata da ITN Factual per Channel 4.

Rotazioni di 360° a testa in giù sott’acqua in un minuto Il 12 dicembre 2018 la sirena Ariana Liuzzi (USA) ha completato 32 rotazioni a testa in giù sott’acqua in 60 secondi a Las Vegas.

Maggior numero di anelli d’aria soffiati sott’acqua in un minuto 48, da parte di Logan Halverson (USA), 12 dicembre 2018 a Las Vegas.

Cassetta postale subacquea

Lezione subacquea più grande del mondo

La cassetta delle lettere alla maggiore profondità si trova 10 m sotto il livello dell’acqua nella baia di Susami, Giappone. La cassetta a disposizione dei sub, è gestita dall’ufficio postale di Susami e

L’immersione più lunga del mondo

Seguita da 2465 persone a Manado, agosto 2009. 192 ore, 17 min e 19 sec da Cem Karabay (Turchia) in una piscina a Istanbul.

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MILANO, L’ESPLORAZIONE DI UN BATTELLO LACUSTRE A -236M di Andrea “Murdock” Alpini con un’intervista a Mario Marconi, Alessandro Scuotto, Pim Van Der Horst

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erché vuole scalare l’Everest?” chiesero a George Mallory l’alpinista britannico impegnato per ben tre spedizioni a cercare di conquistare la vetta

del mondo. Mi ha sempre affascinato lo spirito della Montagna e di pari passo quello della Profondità. Perché lo fai? Me lo chiedo ogni volta che indosso il cappuccio prima di un’immersione. Perché lo fai chiedo ad ogni allievo che si iscrive a un mio corso con l’intento di raggiungere un obiettivo. Mallory non riuscì mai a scalare l’Everest, le motivazioni e il suo “fallimento” sono

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ricordati al pari delle grandi imprese che l’hanno seguito. La sua ultima spedizione, 29 anni prima di Hillary e Norgay, gli costò la vita. Eppure George Mallroy nonostante non avesse mai raggiunto il suo obiettivo rispose a quell’apparente semplice domanda con l’ermetica risposta bianca come un osso di seppia: “Perché è lì”. Parafrasando un vecchio disco cui sono molto legato “Non all’amore, né al denaro, né al cielo”. Questo è lo spirito che ha mosso i grandi pionieri dell’alpinismo e anche gli animi di tre subacquei: Mario Marconi, Alessandro Scuotto e Pim Van Der Horst. Il 9 maggio del 2008 si sono immersi nelle fredde e scure acque del

Lago Maggiore per esplorare e riportare in superficie le immagini del battello Milano, tragicamente affondato dall’aviazione Alleata il 26 settembre 1944. Il fascino storico di un’immersione mai tentata prima, l’attenta pianificazione tecnica e una squadra di professionisti con competenze variegate sono stati gli elementi cardine per il raggiungimento di un unico obiettivo. L’immersione sul relitto del battello Milano ha segnato un punto importante per la comunità subacquea. Attorno a questa esplorazione, come spesso accade, tanto è stato detto, vociferato o raccontato ma molti aspetti ancora non sono stati portati


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Andrea “Murdock” Alpini: Come è nata l’idea di immergersi sul relitto del battello Milano?

alla luce. Aldilà di quel che si conosce c’è una parte di questa impresa che non è mai stata divulgata: sono i video girati attraverso le tre telecamere portate sul fondo da Marconi, Scuotto e Van Der Horst. Phy Diving Equipment ha presentato un progetto ai tre pionieri del Milano: realizzare un filmato che ricostruisse la storia del battello attraverso testimonianze storiche, immagini inedite, fotografiche, documenti d’archivio, video elaborati dal ROV dei Vigili del Fuoco e che infine fosse completato dalle immagini e dal racconto dell’esplorazione a -236m. I tre subacquei hanno accettato l’invito a scavare negli archivi e nella memoria. Hanno posto un’unica condizione che, il filmato raccontasse la storia del battello Milano e la loro immersione fosse vista unicamente come una tappa del racconto e non il fulcro delle gesta di un’immer-

sione divenuta poi record. La notorietà sportiva non fu il motivo che li spinse ad immergersi nel Lago Maggiore quasi dodici anni fa. Le immagini inedite girate dai tre subacquei sono montate all’interno di un documentario insieme a fonti storiche, inchieste giornalistiche, ricostruzioni dell’accaduto con lo scopo di dare una panoramica completa della storia Battello Milano, del suo affondamento e dell’immersione a -236m nel Lago Maggiore. In attesa della proiezione integrale del documentario, che verrà successivamente organizzata, ecco un estratto delle interviste che raccontano alcuni retroscena del lavoro i corso. Le testimonianze dirette sono state raccolte nei mesi precedenti tra Napoli, Roma e la terra dei tulipani: l’Olanda.

Mario Marconi: L’idea è nata con una telefonata da parte della Presidenza della PTA (Marco Braga, ndr) che mi ha proposto di partecipare all’evento. Lo stesso invito era stato fatto ad altre quattro persone oltre al sottoscritto (Pim Van Der Horst lo ho coinvolto personalmente nell’evento). Durante le fasi iniziali della preparazione eravamo due team composti da tre persone ciascuno, successivamente ci sono state delle defezioni poiché fu avanzata da parte di alcuni l’esclusività della partecipazione, altri ponevano il problema su quale sarebbe dovuto essere il primo team dei due a scendere sul relitto per poter stabilire di chi fosse poi effettivamente il record! C’è chi poi si è ritirato perché gli è stata “rubata” l’attrezzatura e quindi non poteva garantire la partecipazione. Il nostro team mise a disposizione le attrezzature di back up per risolvere la cosa, insomma alla fine, sembra quasi una filastrocca, siamo rimasti in tre! Tre amici, a nessuno dei quali interessava chi sarebbe stato il primo a toccare il relitto e nemmeno che l’immersione fosse etichettata come da “Record”. L’interesse comune era quello di prendere parte a un evento di rilevanza storica ma soprattutto dall’alto profilo tecnico. La condivisione in amicizia fu un importante elemento per la riuscita del progetto, si lavorava nel massimo della serenità, senza nessuna prima donna.

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I BARCONI DI CALDÈ di Roberto Antonini (foto di Silvano Barboni)

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a mia prima immersione in acque libere è avvenuta sulla sponda Est del Lago Maggiore e, più precisamente, a Caldé, graziosa località turistica facente parte del Comune di Castelveccana. Se chiudo gli occhi, percepisco vivide, le emozioni di quella fredda giornata di marzo di cinque anni fa. Lasciata l’auto nel parcheggio che accoglie le poche vetture del vicino abitato, percorro una stradina sterrata che costeggia il lago fino alla spiaggetta in cui dare inizio all’immersione. Sorrido tra me e me al pensiero di quanto fossi impacciato. Tutto mi sembrava così pesante: dall’attrezzatura da montare sulle spalle alla concentrazione nel configurarla nonostante fosse composta solo da

una bombola, un jacket (bcd) e un octopus. Infilare la muta umida poi! un supplizio senza tempo considerando anche la temperatura dell’acqua a sette gradi. Affiorano nei miei ricordi tutte le difficoltà incontrate le prime volte, probabilmente come capita o è capitato a molti altri subacquei all’inizio del loro percorso. Riecheggiano ancora nelle mie orecchie prima le parole poi i rimbrotti del mio divemaster Angelo (solo di nome, non di fatto) e a seguire tutte le raccomandazioni pre-immersione. Tutto questo enfatizzato dal fatto che avrei dovuto compiere un’immersione al lago. Mi ritrovavo in una situazione che non solo mi preoccupava, ma che il mio cervello rifiutava in modo incondizionato. Il lago così oscuro e fermo non è mai stato mio alleato nemmeno

da piccolo quando d’estate, al termine delle lezioni scolastiche e prima delle agognate vacanze da trascorrere rigorosamente al mare, passavo con la mia famiglia le afose domeniche di luglio in questa stessa spiaggia o in quella poco distante, rinfrescandomi con qualche sporadico tuffo o una nuotata sempre vicino alla riva proprio perché il solo contatto con i sassi resi viscidi dalle alghe ormai in putrefazione, emanavano un odore ripugnante tale da essere per me motivo sufficiente per detestarlo. Crescendo e nonostante fossi ormai un abile nuotatore, non ho mai nascosto il fastidio e l’insicurezza che provavo anche solo a galleggiare nell’oscurità dell’ambiente lacustre. Come avrei potuto vincere le mie paure se non approfondendone

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la conoscenza fino a spingermi sotto la superficie? Oggi quando percorro la stessa strada sterrata, non sento più “il peso” dell’ignoto, non ho nessun motivo d’imprecare contro il mio divemaster per i duecento metri da percorrere “immutato” sotto il peso di tutta l’attrezzatura, completamente trafelato e privo di fiato prima di entrare in acqua. Non ho la preoccupazione di quanto potrà essere fredda o meno l’acqua, di concentrarmi sulla respirazione, di chiedermi se la visibilità sarà mia alleata o se dovrò brancolare nella “nebbia” di sospensione con la paura di perdere la strada dell’uscita. Non temo d’immergermi nel tetro e lugubre lago, uno dei miei peggiori incubi fino a solo cinque anni fa. Oggi vado sott’acqua e mi diverto perché il lago incredibilmente è diventato complice delle mie avventure e guai se non ci fosse! Non esiste un’immersione uguale all’altra anche con lo stesso buddy e, se ci accompagna un sub diverso dal nostro abituale amico, riscoprire i fondali con un nuovo partner è sicuramente un’altra splendida “esperienza”. Pinneggiando in superficie tra le barche ormeggiate si giunge alla boa n.791. Segno d’inte-

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sa con il compagno e giù. La catenaria raggiunge la profondità di circa 35 metri. L’acqua è limpida e la visibilità è ottima fino dai primi metri: oggi siamo fortunati! Raggiungiamo in soli tre minuti il fondo e intravediamo il primo relitto molto simile ad un Burceo: tipica imbarcazione che solcava il Lago di Como di manzoniana memoria. La barca sotto i nostri occhi si presenta con il legname ancora in ottime condizioni almeno per quanto riguarda le paratie mentre l’interno è parzialmente ricoperto da uno spessore limaccioso dalla consistenza del miglior borotalco e basterebbe uno starnuto per creare un fungo atomico. Lunga otto metri circa e larga due, rimane in perfetto assetto di navigazione. Il pensiero va subito all’epoca in cui queste barche venivano impiegate sia per il trasporto delle merci da una sponda all’altra del lago (confine elvetico) che per quello delle persone e, grazie alle giuste dimensioni, potevano risalire il fiume Ticino e raggiungere Milano tramite il Naviglio Grande favorendo il commercio. Ci spostiamo di lato, un poco più in profondità e troviamo un altro esemplare. E’ sfondato: le assi semidistrutte celano una splendida bottatrice

di notevoli dimensioni, tranquilla, per nulla infastidita dalla luce delle nostre torce. Risaliamo sulla franata degradante proseguendo sul lato opposto rispetto a quello percorso all’andata. Per raggiungere la spiaggia abbiamo per tempo posizionato la boa di segnalazione poco lontano dal parcheggio in modo da risparmiarci il viaggio di ritorno a piedi con indosso l’attrezzatura. Proseguiamo incontrando alternate ghiaia o sabbia e non di rado capita di scorgere in questa zona una ricca fauna. Lucci livrea italiana anche di notevoli dimensioni si nascondono tra le alghe pronti a colpire con uno scatto risolutore la povera preda; lucci perca sembrano quasi senza vita, saldi sul fondo, ma è solo una falsa impressione perché anch’essi sono reattivi e pronti a sferrare l’attacco vincente; persici di ogni dimensione sono i pesci più comuni, delizia dei pescatori e dei turisti desiderosi di gustarne le prelibate carni abilmente cucinate nei numerosi ristoranti che sorgono sulle sponde del Lago Maggiore. Alla profondità di circa diciassette metri, avvistiamo la barca a vela. Posizionata sotto di noi, ne scrutiamo prima la parte poppiera: alla prima


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occhiata l’imbarcazione risulta essere ancora in buono stato; è mancante del timone, ma di contro sono presenti sia il pulpito di poppa che il peterazzo. Ci

spostiamo sull’albero maestro e abbiamo una visione d’insieme da poppa a prua grazie anche alla perfetta visibilità. Posizionata una torcia in cima all’albero con il fascio luminoso rivolto verso il basso per avere profondità di campo, ogni sguardo è sul cabinato: entrambe le murate sono intatte; leggermente chinata sulla sinistra, la deriva rimane per metà

insabbiata sul fondo e spesso è rifugio di qualche sornione branchiato. Resto immobile ad osservare i giochi di luce; il silenzio, la pace e le emozioni che si assaporano quaggiù non sono altro che il dolce richiamo per centinaia di subacquei che cercano sensazioni uniche nel nostro mondo al di sotto della superficie… Non per tutti.

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letteralmente di questo pezzo di terra in mezzo al Mare e nel dopoguerra ci abitò per molti decenni edificando l’approdo, una grande villa patronale sulla sommità, e restaurando ciò che restava della torre Genovese del 1500 e della piccola chiesa del 1920. Oggi l’isola appartiene ad una società che ne gestisce il territorio, tuttavia, e consentitemi fortunatamente, sono vincolati dal fatto che dal 1989 l’isola fa parte della riserva Regionale dell’Isola Gallinara e quindi protetta.

Fin dall’Istituzione delle prime Aree Marine si parlò della Gallinara come un sito di prossimo vincolo, ma ad oggi, dopo oltre 30 anni, rimane protetta solamente da alcune ordinanze locali che vietano le immersioni a privati e rendono accessibile alle attività solo la zona compresa tra punta Sciusciaü e Punta Falconara, i due capi più esposti dell’Isola rispettivamente a Nord/Est e Sud/ovest. Bisogna tornare indietro di settanta anni per capire l’ordinanza e la protezione

che c’è stata di questi fondali: in tempo di guerra, le truppe tedesche confiscarono l’isola e ad alcuni prigionieri fecero scavare due gallerie sul lato nord e ovest molto lunghe e ampie che riempirono di munizioni, bombe e tritolo aspettandosi un attacco dal Mare. Alla fine della guerra, prima della fuga, tutte le armi, i carrelli con il tritolo e qualsiasi cosa presente nelle gallerie, venne buttata in Mare dall’armata nazista e l’isola da allora fu chiusa e interdetta ad ogni attività a meno di 50 metri dalle sue coste. Solo nel 2004, terminata la bonifica della zona tra i due capi, grazie ad un accordo con i Diving, la Capitaneria di Porto e il comune di Albenga, l’isola fu aperta alle immersioni e nonostante negli anni fosse stata soggetta a bracconaggio, la flora e la fauna presente si rivelarono incredibilmente intatte. Oggi come detto la stessa ordinanza consente di fare immersioni in questo paradiso, partendo da Loano, Albenga, Alassio e Andora dove risiedono i centri immersione che operano alla Gallinara. Le immersioni sono alla portata di tutti, dai 5 metri ai 40 metri in funzione del brevetto; in verità, nella stagione primavera estate, il termoclino presente intorno ai 20 metri, rende più gratificante e popolosa la zona compresa in quella fascia dove è possibile osservare un carosello di animali e di biodiversità difficil-

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mente eguagliabili in altre zone mediterranee. I punti di immersione sono principalmente tre: punta Sciusciaü, punta Falconara e Cristo Redentore, che possono essere eseguite con diverse tipologie di percorso. Per un neofita “rompere l’acqua” con l’immersione al Cristo Redentore è quasi d’obbligo; si tratta di una statua in bronzo alta poco meno di tre metri, posizionata nella baia retrostante l’isola su un fondale di 18 metri con le mani della statua intorno ai 15 metri. Installata nel 1998, è una attrazione per tutti, il fondale sabbioso consente di scorgere gli abitanti del sedimento per poi spingersi verso la punta sud e scovare nel coralligeno migliaia di creature in un carosello colorato di cernie, corvine, murene, aragoste e qualche bel dentice in caccia. Punta Falconara è un conglomerato roccioso stratificato, che scende con vari gradoni fino a 40 metri ( dove si trova l’unica colonia di gorgonie bianche dell’isola) ma è la grande presenza di pesce sia in estate che in inverno che rende magico questo posto, visitabile completamente con diverse immersioni. A nord invece troviamo punta Scisusciaü, il nome che in ligure significa “punta del soffiatore” deriva dal fatto che in antichità, i venti della zona che incontravano il promontorio roccioso, procuravano un fischio caratteristico e continuo e qualche

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FOTO/VIDEO SUB

MYSHOT 2020 PHOTOCONTEST LE FOTO VINCITRICI

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YSHOT, il concorso fotografico organizzato da Zero Pixel, si è chiuso nella edizione 2020 con centinaia di partecipanti che si aggiungono agli oltre 5.000 partecipanti nelle edizioni precedenti. La Giuria è stata composta da Marco Daturi, Cristian Umili, Francesco Turano, Massimo Boyer, Pietro Formis, Mauro Francesconi e Luca Coltri. Vi presentiamo le foto premiate, ricordandovi che le potete visionare anche su www.scubaportal.it dove sono visionabili anche i video.

CATEGORIA REFLEX MACRO

CATEGORIA COMPATTE MACRO

1° Raffaele Livornese

1° Marco Fantin

2° Paolo Bausani

2° Cristian Coatti

3° Alessandro Gianaccini

3° Andrea Falcomatà

CATEGORIA RAJA AMPAT 1° Franco Tulli

CATEGORIA SOPRA IL MARE 1° Mauro Apuleo

CATEGORIA REFLEX AMBIENTE

CATEGORIA COMPATTE AMBIENTE

1° Carmelo Adriano Lanzafame

1° Marco Lausdei

2° Renato La Grassa

2° Mirko Geraci

3° Paolo Bausani

3° Alberto Lorenzon

CATEGORIA VIDEOSUB AMATORI ESORDIENTI 1° Andrea Bigioni

CATEGORIA VIDEOSUB AMATORI PROFESSIONISTI 1° Alessandro Tommasi

Gli sponsor del concorso MyShot 2020 sono:

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REFLEX MACRO 1° Raffaele Livornese

2° Paolo Bausani

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REFLEX MACRO 3° Alessandro Gianaccini

REFLEX AMBIENTE 1° Carmelo Adriano Lanzafame

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2° Andrea Falcomatà

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COMPATTE MACRO 1° Marco Fantin

2° Cristian Coatti

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3° Renato La Grassa

COMPATTE AMBIENTE 1° Marco Lausdei

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2° Mirko Geraci

3° Alberto Lorenzon

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RAJA AMPAT 1° Franco Tulli

SOPRA IL MARE 1° Mauro Apuleo

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INTERVISTA AL RECORDMAN DI APNEA ANDREA ZUCCARI “GLI ESORDI, I RECORD, LA RICERCA COL DAN: “LA SICUREZZA DEVE PREVALERE SULLA PERFORMANCE”. di Claudio Di Manao

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ndrea è un recordman e un innovatore con una predisposizione naturale all’apnea. Un giorno decide di cambiare vita e di trasferirsi a Sharm el Sheikh per lavorare come istruttore e guida sub. Si ritrova tra i più grandi campioni d’apnea di tutti i tempi e inventore di un format didattico: laCompensazione Consapevole. Andrea, sembri uno cresciuto in riva al mare. Tra te e il mare è amore da sempre? Sono nato e cresciuto a Roma (Italia) e fino ai 17 anni trascorrevo le vacanze estive con i miei genitori al mare, uscivamo la

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mattina in gommone per tornare solo nel tardo pomeriggio. Passavo letteralmente tutta la giornata in acqua e mi trovavo più a mio agio sotto la superficie che sopra. I miei genitori mi raccontano che a tre anni m’immergevo già con la maschera. Poi arrivò l’immersione con le bombole… Ho sempre vissuto vicino alla barriera Il mio istruttore era uno della “vecchia scuola” e prima di darmi le bombole mi fece fare più di due mesi di apnea in piscina. Forse è stato durante quel corso che mi sono accorto di amare quello sport. Qualche anno dopo decisi di mollare il mio lavoro a Roma per trasferirmi in Egitto come guida subacquea a tempo

pieno. Sei mesi dopo diventai istruttore PADI. E membro DAN... Esattamente, mi sono iscritto al DAN per beneficiare dell’assicurazione professionale. In seguito ho aderito ad alcune iniziative della Fondazione DAN: nel 2014 all’EUDI Show mi sono sottoposto a dei prelievi per una ricerca sulla predisposizione genetica all’edema polmonare (studio insignito di premi internazionali, leggi l’articolo su AD, ndr). Poi sono stato invitato dal ricercatore DAN Danilo Cialoni a Y-40, la piscina più profonda del mondo, dove sono stato esaminato in profondità per PFO e apnea.



FOTO: MARCELLO DI FRANCESCO

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