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PREMESSA DELL’AUTRICE
Avevo compiuto da qualche mese quarantacinque anni e percepivo di aver raggiunto molti traguardi che mi ero prefissa, ma l’appagamento era velato da un senso di insoddisfazione che mi invogliava ad apportare qualche cambiamento alla mia vita.
La direzione verso il cambiamento è spesso offuscata e confusa in mezzo ai doveri e alle richieste che la vita pone quotidianamente e in questa nebbia cercavo il faro che mi indicasse la Via.
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Più luci in diverse direzioni mi imponevano di restare ferma fino al momento in cui una avrebbe brillato più delle altre: molte persone di cui mi prendevo cura e a cui insegnavo le tecniche nell’intimità domestica, mi domandavano su quale testo poter continuare lo studio della Coppettazione; amici che praticavano terapie manuali mi spronavano ad attivare corsi professionali con il rilascio di attestato di qualificazione; le risate dei miei figli, la musica a tutto volume, la richiesta di rimettermi sui libri scolastici per aiutarli nella comprensione, i loro amici che riempivano senza alcuna difficoltà la casa troppo piccola e mi chiedevano se avessi da fare perché desideravano confrontarsi con me su argomenti che riguardavano i percorsi dell’anima o chiedevano di ascoltare i propri problemi, i litigi avuti con i genitori e di mettere in scena le dinamiche per comprendere meglio dove stessero le proprie colpe e dove le ragioni dei genitori; le telefonate dei miei genitori che per tutta la loro vita avevano rinunciato a se stessi per dedicarsi a noi e aiutarci a realizzare i nostri sogni, insegnandoci ad amare, a donarci agli altri, a farci bastare con riconoscenza ciò che la vita aveva previsto per noi, trovando sempre il lato positivo in ogni esperienza e senza mai chiedere nulla in cambio.
Tante luci e tutte brillanti! Le mie priorità volevo dirigerle ai miei figli, dono prezioso del Cielo che dopo tanti anni di controlli ginecologici, che finivano con il verdetto di sterilità, giunsero nella mia vita direttamente dall’incontro delle mie preghiere con la Volontà Divina (senza voler togliere nulla all’atto fisico concreto); ai miei genitori ormai anziani e affetti da patologie per le quali avevo visto morire più persone, i cui giorni venivano allungati dai sorrisi e dall’ironia con cui sapevano cogliere il significato del proprio star male, ma che necessitavano di cure e attenzioni; agli amici di ogni età che desideravano aver rimossi dolori fisici e trovare pace interiore.
A tutto ciò che desideravo fare si aggiungevano i doveri che avrei demandato volentieri: pulizie di casa, lavare e stirare biancheria, fare la spesa, cucinare, lavare la cucina, chiamare i tecnici per gli innumerevoli guasti domestici, portare l’auto dal meccanico, dall’elettrauto, dal gommista, pagare bollette e sbrigare pratiche burocratiche, tempo sprecato che cercavo di ridurre al minimo per ritagliare qualche spazio anche per me stessa. Infatti, quando i miei figli trascorrevano pomeriggi, fine settimana e vacanze sancite dall’atto di separazione, a casa del loro papà, studiavo, frequentavo corsi, praticavo sport, mi recavo in riva al mare a farmi nutrire dal sole e mi dedicavo alla mia salute ricevendo trattamenti.
Eppure, altre due luci mi invitavano a seguirle: scrivere un testo semplice da comprendere e dedicarmi all’insegnamento delle pratiche. Ma quando? E con quali risorse economiche?
Rimasi in ascolto dei segni che si incontrano nella quotidianità e tutti gli amici di cui mi prendevo cura mi dicevano, senza che lo chiedessi, che sarebbe toccato a me scrivere il libro che non c’era. Chiesi un parere a un mio amico astrologo, pregai parecchio e consultai sia la Bibbia che l’I Ching per comprendere se il sacrificio del mio poco tempo libero fosse scritto nel mio destino per cavalcare quel cambiamento che pulsava nel petto, come quando ci si prepara a incontrare il proprio amante.
Tutte le risposte furono positive, ma mancava ancora l’innesco e mi nascondevo dietro all’impossibilità economica, anche se l’esperienza mi aveva insegnato che tutto è perfettamente sincronizzato affinché si realizzi ciò che è scritto, se si ha il coraggio di dire “eccomi” e ci si attiva nell’azione concreta. Infatti, mi giunse una piccola somma che avrei potuto utilizzare nell’investimento del mio progetto.
Cominciai con il demandare qualche incombenza domestica, così da ritagliare mezz’ora al giorno da dedicare allo studio o alla scrittura e mi tranquillizzai per le spese che avrei dovuto affrontare per l’acquisto di testi specifici, per proseguire gli studi e per dare i compensi a tutte le persone che partecipavano alla realizzazione del mio lavoro, con il loro apporto professionale.
Ma ancora mancava l’innesco, che giunse di lì a poco, perché il destino, se ci trova pronti a camminare lungo il suo sentiero, sa essere da pungolo, a volte sfruttando il peggio di noi, come accadde a me che fui invasa da un senso di stizza per una risposta mancata a una mia provocazione.
Ero arrabbiatissima e riflettevo sul fatto che quando si scopre o si riscopre una tecnica curativa che ha la capacità di lenire il dolore, all’inizio si ha quasi timore di proporla agli altri, per paura di essere derisi ma, quando si diffonde e diventa una moda, subentra un senso di possesso e di gelosia verso di essa legata all’avidità del lucro.
La Coppettazione vanta una storia millenaria sia in Oriente che in Occidente, anche se io l’appresi tredici anni fa. Mio padre, quasi novantenne, ricordava che il medico eseguiva la praticava sulla schiena di suo cugino, quando era un bambino, per curare la pleurite e insegnava la tecnica alle famiglie, così da essere alla portata di uomini di scienza e contadini.
Eppure, osservavo i commenti di medici moderni che l’additavano come eretica, attribuendole effetti nocivi, in contrapposizione alla pubblicità mediatica con cui personaggi dello spettacolo e dello sport mostravano orgogliosamente i segni sul proprio corpo come trofei.
Il desiderio di fare chiarezza fermentava silenzioso.
Tranne rare scuole di Medicina Cinese e pochi maestri che continuavano a trasmettere le tecniche con competenza, nel silenzioso rispetto verso qualcosa che ancora percepivano sacra, si assisteva al proliferare di corsi che offrivano, dietro pagamenti esorbitanti, la conoscenza di tecniche di Coppettazione a freddo, pur valide per l’auto trattamento e per la risoluzione di problematiche manifeste in zone del corpo sulle quali vige il divieto di applicazione con la tecnica a fuoco, come vedremo, ma facilmente utilizzabili senza l’intermediazione di un maestro.
Fra questi mi colpii un corso pubblicizzato su Facebook che riceveva la risposta ansiogena di centinaia di persone che facevano a gara per prenotarsi, ignare di cosa fosse la Coppettazione e spinte dalla smania di acquisire la nuova moda. Tutti ricevevano messaggi di risposta, compilati con la massima educazione, per cui pensai di poter aprire un dialogo, scrivendo anche io un commento in cui chiedevo se il corso prevedesse l’insegnamento delle tecniche a fuoco, spiegando le mie motivazioni. Altri messaggi dopo il mio ebbero risposte educate. Il mio commento rimase sospeso, congelato nell’indifferenza. Mi offesi. Mi adirai. Esplose in petto l’orgoglio e percepii la guerriera che riposava serafica nell’amorevolezza del desco, sfilare il guanto e gettarlo in faccia a chi aveva osato ignorarla. Sfoderai la penna e iniziai il combattimento affinché la mia voce fosse più forte di quel silenzio e arrivasse a tutti i terapeuti con cui avevo condiviso lo spazio virtuale e a tutte le persone che affidandosi a loro sapessero cosa dover ricevere in risposta alla propria domanda d’aiuto.
Acquistai degli occhiali nuovi e li inforcai gettandomi a capofitto nello studio e, in questa smania di acquisto, mi capitarono fra le mani alcuni testi intessuti di sentimenti di competizione verso tecniche o pensieri difformi da quelli palesati dagli autori, che proclamavano la propria idea come la scoperta del secolo.
Si inserivano tempestivamente nel mio percorso di crescita per raddrizzare un sentiero imboccato erroneamente. Tra le righe vibravano le stesse emozioni che erano state da innesco all’inizio del mio lavoro e percepivo la stonatura fra la competizione e lo scopo più profondo che mi aveva indotto a desiderare la divulgazione di queste tecniche.
Ognuno vantava la propria tecnica come unica ed esclusiva, portando discredito ad altre forme di terapia o alla classe medica.
Mi fermai a riflettere, domandandomi se non stessi facendo la stessa cosa.
Ascoltai profondamente la mia anima e mi misi in ascolto degli intenti di cia- scuno scrittore. Ascoltai per giorni i racconti di malattia di molte persone e le strategie usate per guarire. E giunsi alla conclusione che ogni essere umano è unico e necessita dell’apporto di un ventaglio variegato di trattamenti e cure: lavori spirituali, cure esclusivamente medico chirurgiche, approcci psicologici, trattamenti terapeutici esterni, medicina alternativa, dietetica, terapie che prevedono l’uso del movimento o lo sport, ecc.; spesso in combinazione tra di loro e richiedenti la collaborazione di diverse figure professionali.
La mia anima si rilassava. Giudizio e offesa avevano messo in moto un meccanismo energetico talmente potente da diventare bacino di risorse per nutrire la capacità di pensiero (collegata alla Milza e all’energia del proposito e della riflessione) e la creatività (collegata al Fegato e all’energia dell’ideazione e della capacità d’espressione, verso le quali ho incanalato l’energia della rabbia e della frustrazione). Con questa consapevolezza riuscii a reindirizzare le mie energie deviandole, dall’orgoglio di dimostrare che le tecniche esterne con l’uso del fuoco fossero le terapie più efficaci, verso uno scopo più elevato per donare uno strumento in più a mani generose.
Più volte ho pensato di dovere rinunciare, ma il sogno dentro di me pulsava a un ritmo incessante così da non farmi percepire la stanchezza e il tempo che prima dedicavo a me stessa lo riversavo nel flusso delle parole, diventando io stessa parola e non desiderando altro oltre questo.
Quando mi facevo coinvolgere tanto, da trascurare i miei figli o i miei genitori, ripetevo nel mio cuore l’ordine delle priorità da rispettare affinché il mio animo fosse ricolmo di felicità e ridimensionavo la spinta alla scrittura per dedicarmi alle persone che amavo.
Tutto ciò che riempiva la mia quotidianità era già il risultato di sogni e desideri passati che si erano realizzati e, per confermare a me stessa la scelta cosciente di porre il libro all’ultimo posto, ripetevo come un mantra: “Segui i tuoi sogni ma non trascurare i sogni che si sono già realizzati”.
Altre volte mi domandavo se toccasse proprio a me il compito di scrivere questo libro o se ci fosse qualcun altro in qualche parte del mondo dedito al mio stesso lavoro e più competente nel farlo, ma i segni mi consigliavano di proseguire.
Ci sono stati momenti in cui mi immobilizzavo con la penna puntata sul foglio bianco o con le mani sui tasti del pc e sognavo di aver completato l’opera. Immaginavo il libro nelle mani di persone assetate come me di maggiore conoscenza e percepivo la loro riconoscenza nell’aver donato le tecniche. Dialogavo con loro, approfondivo protocolli e ci abbracciavamo come fratelli.
Immaginavo che il libro capitasse nelle mani di sapienti dall’animo nobile e osservavo il tenero sorriso di un padre letterato che coglie l’impegno espresso nel tema del proprio bambino, sorvolando sugli errori e commuovendosi per i valori della sua anima.
Come una bufera che giunge improvvisa l’immagine si spostava sulla visione del giudizio insindacabile, espresso con attacco indomabile, che mi faceva sentire piccola, come quando a scuola venivo giudicata “appena sufficiente, potrebbe rendere di più”. La bambina era diventata adulta e non si lasciava più intimidire dalle proprie insicurezze. Aveva chiaro cosa dovesse fare e non prestava più ascolto al giudizio altrui. Ma quell’immagine tornava insieme a un senso di disgusto che proveniva dal lettore sdegnato. Immaginavo un famoso chef cui passava per le mani un libro di ricette che raccoglieva le esperienze di una madre, vissute nel quotidiano impegno di nutrire i propri figli con amorevolezza. Sfogliava le pagine e metteva in ridicolo i consigli elargiti, puntando il dito sulla mancanza di conoscenza tecnica accademica. Ma quella madre, cui ogni giorno veniva posta la richiesta di attenzione, faceva crescere la propria conoscenza attraverso l’accensione dei fuochi e la combinazione dei materiali a sua disposizione, nonostante le limitate risorse, vedendo crescere bene coloro che nutriva.
Altre madri, altri padri, altri nonni, altri figli, altri fratelli e sorelle le domandavano le ricette, apprezzandone il sapore, sentendosi ritemprati, e lei le donava nella forma in cui le aveva sperimentate con successo. Questo libro non si pone intenti di sfida, ma è un invito a chiunque sia nelle condizioni di trasmettere conoscenza a fiancheggiarmi, per la necessità di diffondere, con concetti semplici, tecniche economiche accessibili a tutte le famiglie, così da poter migliorare il proprio benessere.
L’invito si estende inoltre a quei padri letterati e amorevoli affinché suggeriscano con discrezione le lacune da colmare e mi donino i propri segreti così da sostenere il mio percorso di crescita.
Forse qualcuno si starà chiedendo chi sia io e da dove sia spuntata. Chi sono?
Di solito ci si identifica nei titoli di studi, nei successi accademici e nello status sociale con il quale si mostra il proprio volto al mondo.
Un’elencazione del mio percorso didattico può solo far comprendere quanti anni ci siano voluti affinché percepissi con chiarezza quale fosse il mio scopo nella vita e quante tribolazioni, che vi risparmio, mi siano servite per superare paure e insicurezze, per rimodulare il senso del giusto socialmente accettato verso il senso del giusto rispetto alla mia indole, per raggiungere la sintonia tra il desiderio di costruire una famiglia e il bisogno di dar voce alla mia realizzazione come essere unico e indipendente, del coraggio e della forza, trovate precipitando sul fondo della disperazione, che hanno dato una spinta propulsiva alle mie gambe per balzare sulla scia che mi passava accanto luminosa e cavalcarla a pelo per seguire il mio mandato.
Dagli studi di Ragioneria delle scuole superiori, scelti tatticamente per via del fatto che mio papà fosse funzionario di banca, passai agli studi di Statistica, solo perché la mia compagna di banco scelse quella facoltà universitaria. Ma per il desiderio di studiare psicologia, per cui la facoltà più vicina mi avrebbe costretto a cambiare città (troppa paura!), rimanevo sempre insoddisfatta. Ritentai contem- poraneamente in un secondo percorso di scuola superiore, studiando da esterna per il diploma magistrale. Un’altra occasione si affacciava nello stesso periodo e la colsi frequentando il corso regionale di Tecnico della sicurezza aziendale, in cui era incluso un percorso di tecniche di comunicazione, che mi fece desiderare lo studio di testi sull’argomento.
Completato il corso regionale, a metà degli studi universitari con il massimo della media, e superati gli scritti degli esami di Stato, un episodio sconvolse la mia vita e quella della mia famiglia. Iniziai a non stare bene e cominciai a combattere per quasi due anni scoprendo, malgrado le mie resistenze, la forza della preghiera.
Quando una miriade di analisi cliniche non davano alcun responso e i medici mi liquidavano con diagnosi di malattia psicosomatica, senza per altro consigliarmi come fare a curarla, cercai la guarigione fisica ed emotiva per mezzo di benedizioni di sacerdoti esorcisti. Intravedevo in quel percorso qualcosa che apparteneva alla mia anima, che risuonava forte dentro di me per ricordarmi chi fossi. Gli insegnamenti dei sacerdoti tornarono utili negli anni a venire, unendoli all’istintivo bisogno, che avevo sin dall’età di cinque anni, di apportare benessere con il massaggio, per rialzare amiche depresse o cui veniva diagnosticata malattia psicosomatica alla quale poter dare risposta solo con psicofarmaci.
Superata la fase peggiore di quella vicenda ricominciai a gettarmi nel mondo e nei divertimenti che amavo. In discoteca danzavo scatenata con il mio ragazzo (che divenne mio marito qualche anno dopo), quando incontrammo una coppia di amici suoi. La ragazza con uno sguardo e un cenno del capo mi invogliò a sedermi accanto a lei su un divanetto lì vicino e, come era consuetudine che accadesse da quando ero bambina, mi disse che aveva bisogno di parlare con qualcuno e, anche se non mi conosceva abbastanza bene, sentiva che a me avrebbe potuto raccontare esperienze extrasensoriali che l’avevano turbata e che io sicuramente ne avevo la risposta.
La musica pulsava nel petto e vibrava negli arti che volevano scatenarsi, ma restavo in ascolto e le porgevo le informazioni di cui necessitava. A un tratto cambiò argomento per parlarmi del corso di studi universitario per assistenti sociali e le sue parole vibrarono con una tonalità più profonda della musica.
Probabilmente se fosse esistita una professione nella quale identificarmi pienamente non sarei ancora così assetata di sapere e sempre alla ricerca di nuovi stimoli, come se niente bastasse a placare l’arsura e a farmi sentire appagata.
Mi rimisi in gioco e conseguii la triennale in Assistenza sociale, desideravo aiutare gli altri, ma riuscii a lavorare solo in modo saltuario con contratti di collaborazione a tempo determinato per cooperative che non avevano chiaro il concetto della remunerazione del lavoratore e dell’aiuto al sofferente, tranne pochi onesti; la delusione delle aspettative fu grande e, malgrado il rapporto con gli utenti si rivelasse una fonte di crescita e di scambio armonioso, decisi di dileguarmi dalla società attiva.
Coppettazione a fuoco senza l’uso di supporti
Questo tipo di metodologia prevede che il fuoco venga immesso nella boccia prima che questa si applichi sulla cute, diversamente dalla Coppettazione in cui il supporto infuocato si poggia sulla superficie corporea prima dell’applicazione della boccia su di essa.
20.1 Coppettazione con “Lampo di Fuoco”
In base alla mia esperienza è la tecnica più semplice da utilizzare, poiché limita al minimo le conseguenze negative, che potrebbero verificarsi qualora la carta o il cotone infuocati fuoriuscissero dalla boccia ancora ardenti (in riferimento alle altre metodologie senza supporto), oppure determinate da movimenti imprevedibili che possano far cadere il supporto infuocato sulla cute.
La Coppettazione con “Lampo di Fuoco” prevede l’eliminazione dell’ossigeno all’interno della boccia attraverso l’immissione del fuoco: con una mano si impugna una pinza chirurgica emostatica, alla cui estremità viene inserito un batuffolo di cotone impregnato di alcool infuocato. Con l’altra mano si sostiene la base della boccia, si fa passare la fiamma al suo interno, evitando di sfiorare i bordi con il fuoco.
Questa tecnica permette di dosare la potenza dell’aspirazione in funzione della necessità dettata da una serie di parametri: tipo di pelle, trofismo della muscolatura, zona corporea, effetto da apportare e soglia del dolore del ricevente. Inoltre, è la metodologia consigliata per effettuare la tecnica delle “coppette mobili” o “strusciate” (vedi paragrafo 23.2), che consiste nel far scorrere la boccia su una vasta area corporea.
20.1.1 Potenza dell’aspirazione
Vi sono quattro variabili che, articolate in funzione della necessità soggettiva, possono determinare una scala di suzione da un minimo impercettibile a un massimo di trazione cutanea:
• la quantità di cotone utilizzato;
• la qualità dell’alcool;
• il tempo di permanenza della fiamma nella boccia;
• la velocità d’applicazione.
Il cotone idrofilo
In commercio si trovano un’infinità di tipologie di cotone, dal formato famiglia a quelli specifici per la Coppettazione, pretagliati nel diametro adeguato.
L’unico modo per scoprire quale sia il più adatto è quello di sperimentare, per accertarsi che la qualità sia tale da non emanare puzza di petrolio bruciato e da non sfibrarsi durante l’esecuzione.
Quando viene appallottolato deve compattarsi senza che fuoriescano filamenti che bruciando potrebbero staccarsi, aderire al vetro della boccia e far rischiare che s’incollino alla cute determinando l’ustione.
Un’altra caratteristica che deve possedere è quella di poter essere spento e riacceso più volte nell’arco dello stesso trattamento, senza indurirsi o scurirsi repentinamente.
A questo proposito però intervengono anche la qualità e la quantità di alcool.
L’alcool puro si consuma più velocemente rispetto a quello etilico, determinando la consunzione del cotone in breve tempo. In riferimento alla quantità di alcool, il cotone che non viene impregnato in tutte le sue parti tende a bruciare più velocemente, perché viene combusto dalla fiamma nei punti in cui rimane asciutto.
In alternativa al cotone idrofilo si può utilizzare la garza, che non rilascia filamenti.
Il cotone, dopo essere stato acceso, deve presentarsi sempre di un color biancorosato. Qualora si annerisse eccessivamente potrebbero essere rilasciati pezzettini infuocati che si andrebbero a incollare sulle pareti interne delle bocce, rischiando di ustionare la cute.
Inoltre, la fiamma generata dal cotone annerito è meno vivida e la combustione risulta insufficiente a produrre il sottovuoto.
In tal caso bisogna spegnere il cotone, aspettare qualche istante che si raffreddi (oppure immergerlo in una ciotola d’acqua), rimuoverlo dalla pinza e sostituirlo.
Accertatevi che sia spento! Per essere più efficiente l’ho staccato dalla pinza mentre ancora al suo interno ardeva brace. Fa male!
Un’altra variabile che determina la potenza della suzione è rappresentata dalla quantità di cotone con cui si confeziona la pallina.
Minore quantità determina un’azione blanda, maggiore quantità conferisce alla boccia una potente azione di suzione.
La grandezza deve essere proporzionata anche alla tipologia di boccia, relativamente al volume interno, al diametro dell’apertura e allo spessore del vetro.
Una boccia grande e spessa richiede una quantità di cotone superiore rispetto a una boccia piccola costituita da vetro più sottile.
Approssimativamente per la misura più grande (boccia di circa 7 cm) la pallina possiede un diametro di circa 3 cm; per una boccia media (boccia di circa 5 cm) la pallina si aggira intorno ai 2 cm; per una boccia molto piccola (boccia di circa 3 cm)la pallina sarà di circa 1.5 cm.
L’ampiezza dell’apertura della boccia suggerisce inoltre di preparare una pallina di cotone tale da rispettarne il diametro, penetrando all’interno della coppa senza strofinare la fiamma sui bordi.
La qualità dell’alcool
Ho provato varie marche di alcool etilico denaturato e alcuni tipi bruciano più velocemente di altri, che invece mantengono la fiamma vivida per un buon numero d’applicazioni.
Questa caratteristica risulta necessaria quando si vuole praticare la tecnica di coppette a ripetizione (vedi paragrafo 23.3), per la quale si presenta necessario che la fiamma resti limpida, che non emani fumo nero e che garantisca uguale potenza di aspirazione tra la prima e l’ultima boccia applicata, per un periodo di tempo di almeno cinque minuti.
Una nota di pregio deve essere riservata all’alcool puro, scelta poco felice da un punto di vista economico, ma resa necessaria in un momento di pronto intervento.
Mi trovavo a casa dei miei genitori e mio padre, affetto da fibrosi polmonare da oltre dieci anni, aveva decimi di febbre e bronchite, con dolori riflessi alle spalle. Non ci pensai due volte a usare quello che avevo a disposizione nello stanzino ricolmo. Che dirvi! Emozionante!
Sembrava che la fiamma fosse viva, palpabile, energeticamente attiva, con guizzi di sfumature azzurrine intrecciate all’arancione, che non avevo mai notato du- rante la combustione dell’alcool etilico. Diversamente da quest’ultimo però tende a far consumare il cotone più velocemente che, spenta la fiamma, si presenta ridotto nelle dimensioni e indurito, così da non potere aggiungere ulteriore alcool, ma da essere necessariamente sostituito.
Il tempo di permanenza della fiamma
Il tempo di permanenza della fiamma all’interno della boccia varia in funzione della grandezza della boccia, dello spessore del vetro e della quantità di calore accumulato al suo interno durante l’uso.
Per tutte e tre le metodologie senza stoppino è consigliato l’utilizzo delle bocce in vetro dello yogurt e delle bocce cinesi, queste ultime realizzate appositamente per la pratica di ogni tipo di metodologia e tecnica.
I vasetti dello yogurt hanno un diametro di circa 5 cm e uno spessore sottile, inferiore rispetto allo spessore delle bocce cinesi.
Per questa tipologia di boccia bisogna essere molto veloci sia nel mantenere la fiamma all’interno, sia nell’applicazione. Uno o due secondi al massimo sono sufficienti a deprivarle dall’ossigeno senza surriscaldare il vetro, quindi bisogna applicarle repentinamente.
Se si indugia la boccia si riempire nuovamente di aria e non aderisce alla cute.
In tal caso si ripassa la fiamma all’interno della boccia, accertandosi, nel caso si eseguano diversi tentativi, che il bordo non sia divenuto incandescente.
Precauzione valida per tutti i tipi di applicazione a fuoco senza supporto.
La boccia cinese ha uno spessore importante, che deve essere preso in considerazione anche rispetto alla grandezza del bordo, che può variare da 3 cm a 7 cm di diametro.
La misura più piccola necessita di uno/due secondi di permanenza della fiamma, la misura più grande può necessitare di circa tre/quattro secondi, specialmente alla prima applicazione nella quale il vetro è ancora freddo.
Quando le bocce si rimuovono e si riapplicano in successione, nella tecnica con coppetta a ripetizione o coppetta volante, è opportuno valutare il tempo di permanenza anche in funzione al riscaldamento con cui viene sollecitato il vetro tra un’applicazione e l’altra Ovviamente una boccia fredda necessita di un tempo maggiore di permanenza della fiamma rispetto a una boccia che ha accumulato calore in ripetute applicazioni.
La velocità di applicazione
Tra la deprivazione di ossigeno e l’applicazione deve decorrere un tempo inferiore a un secondo.
La destrezza si acquisisce con l’allenamento e forse qualche ustione, per cui esercitatevi sulle vostre gambe o sui vostri familiari, probabilmente eviteranno di denunciarvi.
20.1.2 Riduzione dell’aspirazione
Può capitare che l’aspirazione di una o più coppette risulti eccessiva, procurando una sensazione di dolore o di fastidio difficilmente sopportabile.
In tal caso possiamo rimuoverla e ricollocarla, lasciando intercorre una frazione di secondo in più tra la deprivazione dell’aria e la sua posa, rispetto all’applicazione precedente.
Ma è più semplice lasciarla in loco ed effettuare una decompressione.
Con una mano si tiene ferma la boccia e con l’altra si esercita una lievissima pressione digitale sulla pelle in prossimità del bordo esterno della coppa. La pressione determina l’immissione dell’aria che dev’essere dosata gradatamente per evitare che la boccia si stacchi definitivamente.
Questo nell’ottica in cui si ritenga necessaria la diminuzione dell’aspirazione ma, qualora si consideri indispensabile un’aspirazione consistente per la risoluzione della sintomatologia, si potrebbe optare per un’altra soluzione: si lasciano agire le bocce in loco per pochi istanti, quindi una alla volta, cominciando dalla prima e seguendo l’ordine di applicazione, si rimuovono e si riapplicano con la stessa intensità sempre sugli stessi punti (Coppettazione a ripetizione su più punti).
Dopo aver ripetuto l’iter due o tre volte si modifica la percezione al trattamento, con una notevole diminuzione del senso di dolore e l’accrescimento della sensazione di benessere. In tal caso, però, deve essere valutato il calore che si produce con la coppa a ripetizione e, qualora ne fosse sconsigliato l’apporto eccessivo, nelle applicazioni successive le bocce andrebbero sostituite con altre a temperatura ambiente.
20.1.3 Criteri di valutazione per la potenza di aspirazione
Su quali basi possiamo determinare quale sia la potenza di aspirazione adatta alla specifica circostanza? La scelta dev’essere effettuata in funzione del tipo di pelle, della zona corporea su cui vogliamo agire, del trofismo muscolare, della reazione di colui che riceve il trattamento, del tipo di tecnica usata e dell’effetto che desideriamo ottenere.
La pelle chiara tende a irritarsi facilmente e ad avere bisogno di maggior tempo per riassorbire i segni lasciati dalla Coppettazione. È bene iniziare con applicazioni leggere e aumentare la suzione gradatamente durante gli incontri successivi. Con ciò non si nega che anche le pelli scure e resistenti possano manifestare segni che richiedano un lungo periodo di riassorbimento, specialmente sulle aree molto infiammate o adese. Dopo aver ricevuto numerosi trattamenti anche le pelli delicate rispondono prontamente a un veloce riassorbimento dei segni.
La sensibilità alla percezione varia rispetto alla zona del corpo sulla quale si riceve il trattamento. Utilizzando lo stesso metodo (per esempio Lampo di Fuoco) con eguale quantità di cotone, identica fiamma e mantenendo un ritmo temporale di posa invariato, possiamo notare che sull’addome e nelle fasce mediali delle gambe e delle braccia la percezione risulta più intensa e a volte insopportabile, rispetto ai muscoli della schiena, del pettorale, delle fasce laterali delle gambe e delle linee dorsali delle braccia, in cui prevale la sensazione di sollievo. Infine, la percezione soggettiva risulta maggiormente sensibile nelle zone corporee interessate da edema o cellulite.
La potenza di aspirazione si può dosare quindi in funzione dell’area corporea, valutando in ogni caso la reazione soggettiva, poiché laddove la struttura muscolare sia notevolmente tonica è richiesta un’intensa suzione (anche se si tratta di aree ritenute più sensibili).
Diversamente, volendo praticare la tecnica fissa sulle strutture muscolari ipotoniche è meglio procedere per gradi, così da valutare la reazione della cute (rispetto all’elasticità), aumentando man mano l’aspirazione delle bocce nei trattamenti successivi. Oppure si può optare per l’applicazione delle bocce con la tecnica a ripetizione che, con effetto tonificante, esercita un’azione temporale molto breve e stimola il trofismo tissutale. Ricordiamoci sempre che stiamo agendo per apportare benessere a un altro essere umano, la cui volontà deve precedere la nostra. Dobbiamo suggerire di ascoltare le reazioni del proprio corpo e chiedere se la percezione sia piacevole o sgradevole, troppo dolorosa o poco incisiva, così da modulare la potenza di suzione bilanciando le richieste soggettive agli effetti che ci proponiamo di apportare all’organismo.
In linea di massima le persone abituate a ricevere la terapia della Coppettazione chiedono trattamenti più incisivi rispetto a chi si approccia per la prima volta.
La potenza di suzione, come abbiamo detto, dev’essere bilanciata agli effetti che si desidera ottenere.
Per il trattamento estetico del viso la suzione dev’essere molto blanda e la metodologia prescelta è quella con i coni di silicone applicati a freddo.
Per l’azione su una sintomatologia superficiale la suzione può essere di media entità, praticata con qualsiasi metodo.
Ma, qualora si volesse agire su una patologia polmonare, su una sindrome cronicizzata, su un’adesione di notevole importanza del muscolo al sottocutaneo, è necessario praticare metodi a fuoco o metodi ad aria aspirata che possano raggiungere gradi di suzione molto elevata.
Ovviamente è bene spiegare alla persona che, per ottenere i risultati richiesti, potrebbe percepire per qualche minuto la sensazione di disagio, specialmente nei punti in cui c’è infiammazione o l’adesione è più importante.
Potete trovare altre informazioni, in merito alla potenza di aspirazione, nei paragrafi dedicati ai criteri di applicazione e ai consigli relativi alla dispersione e tonificazione con la metodologia della Coppettazione. In linea di massima la reazione è quella di piacevolezza ma, qualora si dovesse provare dolore, sarebbe sempre di entità inferiore rispetto a quello prodotto da manovre di massaggio terapeutico incisive che mirano a scollare i tessuti, a decontratturare i muscoli, a esercitare pressioni profonde su agopunti o trigger point, nell’esercizio delle quali la persona contrae spesso i fasci muscolari per difendersi, impedendo al terapeuta di arrivare alla profondità necessaria alla risoluzione del problema.
Il momentaneo dolore prodotto dall’intensità della suzione è il male minore se si desidera veramente sortire effetti e, già con 5/10 minuti di posa delle bocce (dopo la loro rimozione), possono essere esercitate manovre e pressioni sulle stesse zone, su livelli di profondità maggiori, con una percezione del dolore inferiore rispetto alle manovre eseguite prima dell’applicazione, permettendo un efficiente lavoro manuale.
Vedremo più avanti quali accortezze usare per ridurre al minimo il senso di dolore alternando diversi tipi di tecniche.
20.1.4 Occorrente
Per realizzare la Coppettazione con il metodo “Lampo di Fuoco” bisogna disporre di: cotone idrofilo, alcool etilico denaturato, pinze chirurgiche di acciaio, accendino, olio da massaggio e coppe in vetro di diverso diametro.
In un trattamento completo potrebbero servire anche dodici/quattordici bocce.
Normalmente è bene possederne almeno dieci dal diametro di cinque centimetri e una coppia per ogni misura, dalla più piccola alla più grande.
È opportuno infine tenere a portata di mano due ciotole, una per far scorrere l’alcool al suo interno e un’altra contenente acqua, da usare nel caso in cui si avesse difficoltà a spegnere la fiamma.
L’occorrente dev’essere predisposto prima dell’arrivo del cliente.
Conoscendo preventivamente la costituzione fisica e le sintomatologie su cui si dovrà agire con maggiore attenzione, si possono calcolare quantità e grandezza delle bocce che si dovranno usare.
Ad esempio, il trattamento del tunnel carpale in un soggetto esile richiede l’uso di due o tre bocce molto piccole, invece il trattamento dell’area lombare in un soggetto dalla costituzione imponente, ci suggerisce di predisporre bocce di ampio diametro, oltre una serie di bocce di media grandezza con cui completare i percorsi dei Meridiani.
Se invece non si conoscesse la persona da trattare, sarebbe opportuno tenere a portata di mano bocce di varia dimensione da scegliere in itinere.
La valutazione della quantità e della grandezza delle bocce deve inoltre prendere in considerazione l’applicazione delle stesse in modo contestuale su linee di Meridiano speculari, così da garantire la simmetria della potenza di aspirazione su entrambi i percorsi energetici.
Gli oggetti vengono disposti in modo diverso a seconda della posizione che si farà assumere alla persona: sdraiata sul lettino, seduta sulla sedia o distesa sul tatami.
Nei primi due casi ci si deve munire di carrello dotato di ruote ed è consigliato coprire il pavimento con un tappeto sul quale l’eventuale caduta di una boccia venga ammortizzata.
Nel terzo caso è utile un vassoio leggero ma robusto sul quale poggiare le bocce e gli accessori, pratico da spostare con una sola mano intorno al corpo della persona da trattare.
Stabilito il numero di bocce, le poggiamo con l’apertura verso il basso per agevolarne la presa e, fra esse e il ripiano che le ospita, poniamo qualche foglio di carta assorbente come precauzione igienica.
Dopo aver praticato la Coppettazione, specialmente la tecnica strusciata, le bocce potrebbero contenere essudati rilasciati dalla pelle.
20.1.5 Procedura
Si stacca un pezzetto di cotone e si arrotola a pallina in modo che le estremità ricadano all’interno, così da evitare che con il fuoco si sfilettino e si incollino al bordo della boccia.
Si inserisce il cotone all’estremità delle braccia di una pinza chirurgica. Quella raffigurata nella foto è di media lunghezza, con punte sottili e dentellate e dotata di un fermo di sicurezza che garantisce la stabilità del cotone.
Con una mano si impugna la pinza e con l’altra si fa scorrere l’alcool sul cotone, facendo uso di una ciotola vuota e asciutta, fino a inzupparlo in ogni sua parte.
Qualora si facesse uso di una pinza aperta, sarebbe opportuno bloccarla con un elastico, da applicare distalmente dal raggio d’azione della fiamma.
Si strizza il cotone eseguendo diverse pressioni sul bordo interno della ciotola, fino a quando rilascia tutto l’alcool in eccesso.
È sconsigliato strizzare il cotone con le mani perché subito dopo si dovrà usare l’accendino e l’alcool non avrebbe il tempo di evaporare dalla cute.
L’alcool raccolto nella ciotola può essere usato man mano che quello sul cotone si consuma a opera della combustione, ma solo se il cotone si presenta integro e non eccessivamente annerito e sempre dopo aver scrupolosamente spento la fiamma.
Quando non trovo alcuno disposto a trattarmi, applico autonomamente le bocce sulle zone dolenti.
In uno di questi episodi, seduta seminuda sul tatami con tutta l’attrezzatura a portata di mano, mi accorsi di aver dimenticato la ciotola: “Alzarmi? Non se ne parla!”.
Ruotai una boccia e lasciai scorrere l’alcool al suo interno.
Ginocchia. Metto e tolgo. Sciatalgia. Metto, tolgo e massaggio. Trapezio... mentre lanciavo la boccia nella speranza di beccare il punto giusto, mi accorsi d’aver preso quella piena d’alcool! Purtroppo per me la mano è stata più veloce del pensiero. Ma la mia pelle da squalo ha permesso all’ustione circolare di risolversi in pochi giorni.
Ho imparato che la ciotola in cui far scorrere l’alcool è indispensabile!
Dopo aver imbevuto il cotone, poggiate momentaneamente la pinza e dedicate qualche minuto al trattamento manuale per la valutazione delle condizioni del corpo, così d’avere la chiarezza dei punti o dei muscoli su cui agire.
Il massaggio serve a preparare la pelle con l’olio e a conoscere l’effettiva situazione, poiché spesso si ricevono richieste di risoluzione di dolori che sono l’irradiazione di un blocco distale o di un riflesso viscerale, cui dare la priorità rispetto alla richiesta.
Al contempo la percezione tattile ci aiuta a riconoscere la presenza di abrasioni o di nei su cui è meglio non intervenire.
Quando si è pronti a iniziare si accende la fiamma con un accendino.
La pinza dev’essere impugnata sempre nella mano più distante dal corpo della persona: se è posizionata alla nostra destra la pinza si mantiene nella mano sinistra e viceversa.
Con una mano si regge la pinza e con l’altra si impugna la base della boccia, si fa passare il suo interno sul fuoco, con un movimento fluido, veloce e convergente di entrambe le mani, facendo attenzione a non urtare i bordi e il fondo della coppa con il cotone ardente.
Se si ha il dubbio di aver urtato il bordo con il fuoco è meglio non applicarla, ma riporla momentaneamente per assicurarsi che si raffreddi ed eseguire il sottovuoto con un’altra boccia. Oppure, invece di applicarla indiscriminatamente, si poggia sul proprio polso o sul proprio avambraccio per costatare che non scotti; quindi, si fa ripassare la fiamma al suo interno con maggiore cautela rispetto alla manovra precedente.
La permanenza del fuoco all’interno di una boccia media è di un secondo o poco più.
In una frazione di tempo inferiore a un secondo la boccia deve essere appoggiata delicatamente sulla pelle.
Non bisogna lanciarla, ma si accompagna con movimento armonioso; non bisogna schiacciarla, basta poggiare il bordo e il sottovuoto farà il suo dovere; non bisogna ruotarla o tirarla per capire se ha aderito, lo si può constatare visivamente osservando l’innalzamento a cupola della pelle all’interno della boccia.
A questo punto, come vedremo più avanti, possiamo applicare una o più boc- ce con diverse tecniche operative. Se si applica la tecnica a ripetizione la fiamma deve restare accesa fino alla fine del trattamento, quindi si spegne.
Se invece si pratica la tecnica fissa, quando si è finito di disporre le bocce, bisogna sempre spegnere la fiamma effettuando su di essa un soffio deciso, prima di riporre la pinza.
Qualora la fiamma non si spegnesse potremmo porre una mano aperta, con le dita serrate, oltre la fiamma e soffiare sopra con vigore.
In ultima alternativa possiamo immergere il cotone infuocato in una ciotola contenente acqua, ma in tal caso il cotone non potrebbe più essere utilizzato.
Durante il medesimo trattamento, per effettuare successive applicazioni, il cotone mantenutosi integro può essere riutilizzato dopo averlo rinvigorito con altro alcool.
Qualora fosse stato immerso nell’acqua o si fosse annerito e consumato sarebbe necessario rimuoverlo e sostituirlo.
Mentre le bocce agiscono, nel tempo di posa necessario alla Coppettazione statica, non bisogna mai abbandonare la persona. Durante il tempo di permanenza si esercitano manovre di massaggio nelle altre parti del corpo, o si effettua la riflessologia plantare, o si stimolano gli agopunti correlati, con digitopressione o Moxibustione.
Questo vale per tutte le tecniche e per tutti i metodi di Coppettazione, esclusa la Coppettazione a ripetizione nella fase in cui la concentrazione del terapeuta dev’essere diretta esclusivamente al fuoco e alle bocce.