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L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO
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Città del Vaticano
sabato 15 febbraio 2014
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Nella festa di San Valentino Papa Francesco spiega a quindicimila coppie di fidanzati in piazza San Pietro come far durare un matrimonio
Insieme per sempre Se l’amore è «solo un sentimento, uno stato psicofisico», «non si può costruirci sopra qualcosa di solido». Ma se «è una relazione, allora è una realtà che cresce, e possiamo anche dire a modo di esempio che si costruisce come una casa. E la casa si costruisce assieme, non da soli!». Così Papa Francesco si è rivolto a circa quindicimila coppie di fidanzati che, provenienti da oltre trenta Paesi, si sono ritrovate in piazza San Pietro questa mattina, 14 febbraio, giorno di San Valentino. E questa casa per vivere insieme per sempre, ha aggiunto il Pontefice, non va fondata «sulla sabbia dei sentimenti che vanno e vengono, ma sulla roccia dell’amore vero, l’amore che viene da Dio». È stato, quello del Papa con le giovani coppie di fidanzati, un vero e proprio dialogo fatto di domande
e di risposte, nel corso del quale il Pontefice ha come disegnato i contorni di un modo di vivere insieme, come famiglia, che, se si vuole felice e per sempre, si incardina su tre parole: «permesso, grazie e scusa». «Vivere insieme — ha spiegato il Papa ai giovani — è un’arte, un cammino paziente, bello e affascinante. Non finisce quando vi siete conquistati l’un l’altro. Anzi, è proprio allora che inizia!». «Tanti che si preparano al matrimonio — ha messo in guardia — dicono “stiamo insieme finché dura l’amore”. E anche un seminarista disse al suo vescovo “voglio essere prete per dieci anni”». Esempi che il Papa ha usato per far capire ai giovani che «oggi tante persone hanno paura di fare scelte definitive, per tutta la vita». In effetti viviamo in tempi in cui, ha osservato, «tutto
cambia rapidamente, niente dura a lungo». Ma, ha scandito, «non dobbiamo lasciarci vincere dalla cultura del provvisorio». Bisogna quindi intraprendere un cammino che «ha delle regole che si possono riassumere» proprio in tre parole, permesso, grazie e scusa. E ne ha spiegato il senso. Poi il Papa ha consigliato i fidanzati su come pregare insieme. E ha ricordato la preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre Nostro, nel quale «invece che il consueto “D acci oggi il nostro pane quotidiano”, i fidanzati possono, anzi, devono pregare: “Signore, dacci oggi il nostro amore quotidiano”». «L’amore vero non si impone con durezza e aggressività». È invece «la cortesia che conserva l’amore». Purtroppo, ha proseguito il Pontefice, «oggi nelle nostre famiglie, nel nostro mondo, spesso violento e arro-
gante, c’è bisogno di molta più cortesia. E questo può cominciare a casa». Ecco, ha detto, il segreto del vero amore. E ha concluso esortando i fidanzati a crescere insieme per lasciare ai figli l’eredità «di aver avuto un papà e una mamma che sono cresciuti insieme, facendosi — l’un l’altro — più uomo e più donna». PAGINA 8
Il Papa ai vescovi della Repubblica Ceca
La Chiesa alleata dell’uomo PAGINA 7
Prorogata la tregua a Homs ma non si registrano sviluppi nel negoziato a Ginevra
Diplomazia ancora in stallo sulla Siria GINEVRA, 14. In Siria, è stata prorogata ieri per tre giorni la tregua in vigore da venerdì scorso per consentire i soccorsi ai civili di Homs, ma tardano sviluppi negoziali. La seconda tornata di colloqui alla conferenza Ginevra 2, infatti, si avvia oggi a conclusione senza prospettive di significativi passi in avanti verso una soluzione negoziata del conflitto. Un prolungamento di questa sessione negoziale era stato ipotizzato nei giorni scorsi dalla portavoce dell’Onu a Ginevra, Corinne Momal-Vanian, ma nulla al
I retroscena del bombardamento di Montecassino
Tragici errori e ciniche scelte GAETANO VALLINI
A PAGINA
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Legalizzata in Belgio l’eutanasia per i bambini senza limiti di età
Il più grave passo falso di FERDINAND O CANCELLI a proposta di legge per estendere anche ai minori in fin di vita la possibilità di chiedere l’eutanasia, adottata alla fine del novembre scorso dalle commissioni riunite per gli Affari sociali e la giustizia del Senato belga, è stata definitivamente approvata il 13 febbraio con 86 voti a favore, 44 contrari e 12 astensioni. Il Belgio è quindi il primo Paese al mondo a legalizzare senza limiti d’età l’eutanasia per i bambini, andando anche oltre il limite dei dodici anni in vigore in Olanda. Può veramente un bambino chiedere di essere ucciso? Chi deciderà se accordargli il “diritto di morire”? La legge prevede che a svolgere tale compito siano uno psicologo, un medico e i genitori. Uno psicologo stabilirà se il bambino possieda o meno la capacità di intendere e di volere. Sarà possibile però determinare con un colloquio psicologico che un bambino gravemente malato chieda lucidamente un’iniezione letale? È anche solo immaginabile che una simile valutazione sia scientificamente, umanamente e razionalmente accettabile? Un medico certificherà se siano presenti «sofferenze fisiche insopportabili e non lenibili» causate da un incidente o da una malattia.
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La medicina palliativa, ormai in grado di controllare la quasi totalità dei sintomi fisici, insegna che in presenza di un sintomo «non lenibile», utilizzando i comuni farmaci che non alterano il livello di coscienza, è possibile comunque ricorrere alla sedazione palliativa, far dormire cioè profondamente il paziente e annullarne la percezione della sofferenza. I genitori dovranno dare il proprio assenso all’iniezione letale. Se risulta difficile accettare che uno psicologo anziché ascoltare e confortare il piccolo paziente emetta un giudizio di via libera all’eutanasia e un medico anziché ricorrere a tutti i mezzi che la moderna medicina offre per lenire l’umana sofferenza si limiti a certificare l’esistenza di sintomi “insopportabili”, decisamente incredibile appare affidare ai genitori il carico di acconsentire all’uccisione del proprio figlio, un atto, come ricordavano i responsabili religiosi belgi già nel novembre scorso, che «non solamente uccide ma distrugge un po’ alla volta i legami che esistono nella nostra società». È forse questo l’aspetto più inquietante della decisione presa in Belgio, il più grave passo falso commesso su un sentiero che sta diventando sempre più ripido e scivoloso. Consentire l’uccisione del proprio figlio rischia di scardinare dal di den-
tro uno dei legami più forti della famiglia umana. Alcuni pediatri belgi hanno cercato nei giorni scorsi di chiedere al presidente della Camera di rinviare la votazione; alcuni parlamentari, soprattutto cristiano-democratici, si sono opposti fino all’ultimo e i rappresentanti di tutte le religioni, nessuna esclusa, hanno ripetutamente tentato di fare appello al senso di responsabilità e di umanità degli esponenti politici. Ciò che era in corso da tempo tuttavia non si è arrestato: anziché restare accanto a genitori disperati e a bambini sofferenti la politica in Belgio ha scelto per entrambi la via breve. Eppure resta la convinzione che nulla di quanto fatto per opporsi a una simile legge sia stato vano. Le vicende umane ci ricordano gli effetti che apparentemente deboli voci hanno avuto nel risvegliare le coscienze in tempi bui, la storia sacra ci insegna che strumenti fragili e quasi insignificanti hanno annunciato l’alba di tempi nuovi. Ieri i malati adulti in fin di vita, oggi i bambini, forse domani i malati di Alzheimer o di altre malattie neurodegenerative: pietre di scandalo che sempre resteranno sul cammino di chi vorrebbe scavalcarle senza inciampo, sguardi di vita che non si possono evitare per legge.
momento sembra avallare tale prospettiva. L’inviato dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, che presiede la conferenza, ha incontrato ieri Wendy Sherman, vicesegretario di Stato americana, e Ghennady Gatilov, vice ministro degli Esteri russo. Secondo Brahimi, c’è l’impegno statunitense e russo a sbloccare i negoziati. Fonti diplomatiche concordi, peraltro, sostengono che l’incontro non ha avvicinato le posizioni. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha anzi denunciato questa mattina le intenzioni di fare fallire i colloqui, definendo controproducenti i tentativi di fissare una scadenza alla conferenza Ginevra 2 dopo solo due tornate negoziali. «Assistiamo a sistematici tentativi di trovare qualsiasi pretesto per far deragliare una soluzione politica», ha detto Lavrov, chiamando in causa direttamente Stati Uniti e Francia. Secondo il ministro russo, i presidenti Barack Obama e François Hollande «hanno di nuovo incominciato a sostenere che la questione siriana non possa concludersi solo con il negoziato». Quando «si fanno passi, alcuni anche pubblici, come dichiarazioni che l’uso della forza rimane un’opzione possibile, questo suscita in noi preoccupazione», ha detto Lavrov. L’intervento di Lavrov conferma che il confronto diplomatico conti-
Una famiglia dopo un bombardamento ad Aleppo (Afp)
nua anche in sede di Consiglio di sicurezza dell’Onu. La Russia si accinge a presentare una bozza di risoluzione incentrata sulla necessità di combattere il terrorismo, espressione con la quale tanto Mosca quanto Damasco definiscono in pratica tutti i gruppi armati che operano in Siria. In precedenza,
Mosca aveva annunciato il veto a un progetto di risoluzione che diversi Paesi, comprese Francia e Gran Bretagna, intendono presentare con lo scopo dichiarato di aprire corridoi umanitari. Secondo Mosca, invece, il testo mirerebbe a porre le basi per future operazioni militari contro Damasco.
NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: — Dominik Duka, Arcivescovo di Praha, con l’Arcivescovo emerito Miloslav Vlk, e con gli Ausiliari, le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori Václav Malý, Vescovo titolare di Marcelliana, Karel Herbst, Vescovo titolare di Siccesi, in visita «ad limina Apostolorum»; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Jan Graubner, Arcivescovo di Olomouc, in visita «ad limina Apostolorum»; — Vojtĕch Cirkle, Vescovo di Brno, con il già Ausiliare, Sua Eccellenza Reverendissima Petr Esterka, Vescovo titolare di Cefala, in visita «ad limina Apostolorum»; — František Václav Lobkowicz, Vescovo di Ostrava-Opa-
va, in visita «ad limina Apostolorum»; — Jiří Paďour, Vescovo di České Budějovice, con l’Ausiliare, Sua Eccellenza Reverendissima Pavel Posád, Vescovo titolare di Ptuj, in visita «ad limina Apostolorum»; — Jan Vokál, Vescovo di Hradec Králové, con l’Ausiliare, Sua Eccellenza Reverendissima Josef Kajnek, Vescovo titolare di Acque di Dacia, in visita «ad limina Apostolorum»; — Jan Baxant, Vescovo di Litoměřice, in visita «ad limina Apostolorum»; — František Radkovský, Vescovo di Plzeň, in visita «ad limina Apostolorum»; — Ladislav Hučko, Vescovo titolare di Orea, Esarca Apostolico per i cattolici di rito bizantino residenti nella Repubblica Ceca, in visita «ad limina Apostolorum».
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Signor Moysés Louro de Azevedo Filho, Fondatore e Moderatore Generale della «Comunidade Catolica Shalom» (Brasile).
Nomine di Vescovi ausiliari Il Santo Padre ha nominato Vescovo titolare di Summa ed Ausiliare di Buenos Aires (Argentina) il Reverendo Alejandro Giorgi, del clero della medesima Arcidiocesi, finora Rettore del Seminario Metropolitano di Buenos Aires. Il Santo Padre ha nominato Vescovo titolare di Tisedi ed Ausiliare di San Roque de presidencia Roque Sáenz Peña (Argentina) il Reverendo Monsignor Gustavo Alejandro Montini, finora Vicario Generale della Diocesi di Rafaela.
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sabato 15 febbraio 2014
L’Ue contro Berna
In Italia al via le consultazioni per formare un nuovo Esecutivo
Intervista con il presidente di Cipro
Non negoziabile la libera circolazione delle persone
Letta si è dimesso Renzi verso l’incarico
Per un Mediterraneo di pace e dialogo
BERNA, 14. L’Europa rispetta l’esito del referendum svizzero di domenica scorsa — che introduce il sistema delle quote per l’immigrazione degli europei — «ma non si può nascondere che pone dei problemi seri». Lo ha detto ieri il presidente della commissione Ue, José Manuel Durão Barroso. A margine di un incontro a Bruxelles con il primo ministro olandese, Mark Rutte, Durão Barroso ha dichiarato: «Come presidente della commissione, devo difendere l’interesse generale europeo. La verità è che noi offriamo alla Svizzera una situazione eccezionale. Berna ha accesso senza restrizioni al nostro mercato interno e gli svizzeri possono vivere ovunque in Europa, ce ne sono circa 430.000 che vivono e lavorano nell’Ue». «Allora — ha sottolineato — non è giusto che l’Europa offra alla Svizzera queste condizioni e che la Svizzera non lo faccia». Esiste un accordo internazionale fra la Svizzera e l’Unione europea «che deve essere rispettato». A questo punto, ha osservato Durão Barroso, è la Confederazione che deve proporre delle soluzioni. «Ho preso nota dell’annuncio del Consiglio federale che ha elaborato un piano entro giugno per presentare un progetto di legge entro la fine dell’anno. Aspettiamo questa decisione, mentre continuano i contatti fra il servizio di azione esterna e la Svizzera, ma non negozieremo i principi della libera circolazione delle persone». Berna, ha proseguito il presidente dell’Esecutivo europeo, «deve prendere una decisione e poi ne potremo discutere, ma nel rispetto dei principi essenziali. È nell’interesse della Svizzera, oltre che dell’Unione europea, di gran lunga il primo partner commerciale: dobbiamo lavorare per un rapporto costruttivo, ma non si può nascondere che questa decisione, che rispettiamo, pone dei problemi e dei problemi seri». E in attesa di capire le ripercussioni del voto del referendum, l’Unione europea — come anticipato nella riunione preparatoria di ieri — ha confermato il rinvio dei negoziati con la Svizzera sull’accordo istituzionale, che avrebbe dovuto comprendere oltre cento intese bilaterali e affrontare le modalità di risoluzione di eventuali controversie. Lunedì scorso, la Commissione Ue aveva annunciato il congelamento dei negoziati tecnici con la Svizzera sull’accordo sul mercato elettrico, per la necessità di dover condurre nuovi esami dopo il referendum. Bruxelles ora attende che il Governo della Confederazione faccia una proposta di legge, per misurarne poi l’impatto sugli accordi in essere con l’Ue.
di MARCO BELLIZI Su una cosa Matteo Renzi ha sicuramente ragione: da oggi il segretario del Partito democratico (Pd) si gioca tutto. Il dato da aggiungere è che con lui si gioca in buona parte anche il futuro prossimo dell’Italia. E, se si volesse completare il quadro, si potrebbe dire che si gioca anche buona parte del futuro del Pd, il quale, dopo aver consumato una riunione di direzione con una voracità quasi bulimica, è riuscito di nuovo a dare di sé l’impressione di un apparato litigioso e minato da lotte personali che fatalmente lo relegano al ruolo di eterno incompiuto. Un’immagine che non corrisponde del tutto alla realtà e che non rende giustizia a un partito dove le voci sono plurali e legittimamente si confrontano su una base paritaria, come non accade in altre formazioni politiche. Tuttavia ciò che rimane, agli occhi degli italiani e degli osservatori oltre confine, è il consumarsi di un’ennesima crisi di Governo dalle motivazioni e dai rituali che sanno di stantio. Renzi rischia tutto anche per questo: perché si è assunto il compito di tirare una linea e di aprire una fase nuova, per il Paese e per la stessa sinistra, da sempre un po’ allergica alle leggi e ai compromessi della comunicazione e ai leader troppo leader. Il presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, si è recato questa mattina, venerdì, al Quirinale per presentare le sue dimissioni al capo dello Stato, mentre Renzi è al lavoro per preparare la sua squadra di Governo composta da dodici o quindici ministri. Le opposizioni hanno chiesto una “parlamentarizzazione” della crisi e dunque un voto di sfiducia in aula, che non c’è stato quando invece Berlusconi ha posto fine alla sua ultima esperienza a Palazzo Chigi. Napolitano avvierà invece le consultazioni già dalle 17 di oggi pomeriggio, al fine di arrivare a varare un nuovo Esecutivo in tempi stretti. La volontà del presidente della Repubblica è infatti quella di limitare al massimo questa fase di crisi pilotata, che male si accompagna all’identità parlamentare disegnata dalla Costituzione, così come male vi si accompagna anche una legge
elettorale che sembra fatta apposta per garantire l’ingovernabilità del Paese. Ingovernabilità che si verificherebbe anche qualora si tornasse subito alle urne. Con Renzi arriva perciò il momento nel quale deve voltare pagina l’Italia intera, dopo venti anni poco utili, almeno sotto l’aspetto della modernizzazione istituzionale ed economica. Il contesto sembra favorevole, con i primi timidissimi segnali di uscita dalla crisi e con un quadro politico che pare poter definitivamente prescindere dal dualismo del pro o contro Berlusconi. Renzi dovrà giocare proprio su questi due tavoli. Uno è quello delle riforme strutturali, quella “rivoluzione liberale” che non è stata realizzata dal centrodestra. L’altro è quello delle riforme istituzionali, con in testa una nuova legge elettorale e quindi l’abolizione del bicameralismo perfetto e la riforma del Titolo V della Costituzione. Il segretario del Pd potrà alzarsi vincente da questi due tavoli solo giocando parallelamente su entrambi. Letta — al quale si deve riconoscere quanto meno la capacità di aver restituito al Paese un’immagine di serietà e di minima affidabilità, passando indenne, fra l’altro, attraverso gli scossoni che hanno accompagnato l’uscita di Berlusconi dal Parlamento — non ha avuto il tempo o, secondo i suoi avversari, la capacità di farlo. Renzi dovrà riuscirci potendo contare presumibilmente sulla stessa maggioranza, all’interno della quale è presente in maniera determinante anche il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. L’incognita principale è allora se e in quale modo un Governo, che si definisce di legislatura in quanto a vocazione politica, possa mettere in opera un programma con obiettivi così ambiziosi e trasversali. E, sotto questo aspetto, come si comporterà il Pd di fronte a una rivoluzione copernicana che coinvolge la sua identità e il suo modo di porsi di fronte agli elettori. Fino ad ora tempi e modalità di questa crisi sono apparsi ancora legati al passato: il Governo Renzi, se nascerà, lo farà dunque con una sorta di peccato originale. Durante la sua vita dovrà dimostrare di sapersene redimere.
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La necessità di recuperare e valorizzare l’eredità cristiana e la convivenza tra le religioni; il contributo che alla pace nel Vicino oriente può venire dal Paese europeo vicino a quella regione; il destino delle migliaia di migranti che cercano di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo; le ripercussioni sociali della crisi economica in atto. Su questi temi si è espresso il presidente di Cipro, Nikos Anastasiades, in un’intervista rilasciata al nostro giornale. Il suo Paese ha radici cristiane profonde. Una delle preoccupazioni più importanti del Papa è il futuro dei cristiani in Medio Oriente. Cosa può fare la comunità internazionale per evitare che la presenza cristiana venga cancellata da quella regione? In effetti, Cipro è stata benedetta da una forte eredità cristiana, che risale agli apostoli Barnaba e Paolo. Allo stesso tempo, storicamente Cipro è sempre stata un faro di coesistenza pacifica tra diverse religioni; cristianesimo e islam hanno vissuto l’uno accanto all’altro per secoli prima dei deplorevoli eventi del 1974 che, tra le altre cose, hanno portato a una divisione innaturale dell’isola su linee etniche e religiose. Questo aspetto è tra i primi che vengono in mente pensando a Cipro: uno Stato insulare nell’est del Mediterraneo, nel crocevia tra Europa, Asia e Africa; uno Stato membro dell’Unione europea nel suo angolo sudorientale; un crogiolo di religioni e culture; un Paese che, malgrado la sua recente storia tragica, ambisce a diventare nuovamente un rifugio, un modello, soprattutto, di coesistenza pacifica delle religioni monoteistiche del mondo. La nostra storia è la dimostrazione del fatto che condividiamo assolutamente le preoccupazioni del Santo Padre riguardo al futuro del cristianesimo nelle nostre immediate vicinanze. Proteggere i diritti delle minoranze religiose, inclusi i cristiani, è essenziale per salvaguardare il principio fondamentale dei diritti umani. Allo stesso tempo, sostenere i diritti religiosi significa promuovere la pace in questa area instabile del sud del Mediterraneo. Ciò non
è interesse solo dei Paesi della regione e dei loro vicini, ma anche del mondo in generale. A tale riguardo, crediamo fortemente che la comunità internazionale condivida la grande responsabilità di prendere misure per proteggere e promuovere i diritti e le libertà religiose dei cristiani nella tumultuosa regione del sud del Mediterraneo. Il Papa ha invitato i fedeli di tutte le religioni a una giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Siria. E ora si sta svolgendo una conferenza internazionale per raggiungere una transizione politica. Cipro è il Paese europeo più vicino al Medio Oriente. In che modo può aiutare a raggiungere la pace in quella regione? La nostra posizione geografica e la nostra storia rendono per noi imperativo contribuire a ogni sforzo per assicurare un futuro stabile nella regione e una transizione tranquilla verso una soluzione politica in Siria. Sebbene sia facile essere sopraffatti da gravi sviluppi come quelli che stanno avvenendo in Siria e considerare come marginale la protezione della religione, dobbiamo però essere consapevoli che si tratta di un elemento del conflitto, ma anche di un elemento centrale della graduale stabilizzazione. Stiamo facendo il massimo per aiutare a risolvere la
Secondo il commissario Ue all’Allargamento sono passi urgenti da compiere per risolvere la crisi
Sollecitata una riforma costituzionale e un cambio della squadra di Governo a Kiev
Vietata in Russia l’adozione a coppie omosessuali MOSCA, 14. Entra in vigore in Russia la legge che vieta le adozioni internazionali alle coppie omosessuali straniere e ai singoli dei Paesi in cui queste unioni sono legalizzate. Il decreto, firmato lunedì dal primo ministro russo, Dmitri Medvedev, e pubblicato sul sito web del Governo, è operativo da ieri. Il bando riguarda quindici Paesi che consentono il matrimonio tra omosessuali. Finora la questione non era regolamentata in Russia, ma comunque l’adozione non veniva concessa di prassi a coppie che si dichiaravano omosessuali.
di GIUSEPPE FIORENTINO
Il presidente Ianukovich con il commissario Ue all’Allargamemto Füle (Afp)
GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio caporedattore
Gaetano Vallini segretario di redazione
direttore generale
KIEV, 14. Il commissario Ue all’Allargamento, Štefan Füle, ha sottolineato ieri a Kiev «la necessità di adottare misure urgenti in Ucraina per una riforma costituzionale e per la formazione di un nuovo Governo che riunisca tutte le forze presenti e per future elezioni libere e trasparenti». Anche l’opposizione — lo ha ribadito ieri il leader del partito Udar, Vitali Klitschko — chiede una riforma costituzionale per tornare di fatto al testo del 2004 e limitare i poteri del capo di Stato. Solo dopo, ha detto il leader dell’opposizione, sarà possibile la formazione di un Governo tecnico. Füle — che ha incontrato nel corso della sua missione a Kiev il presidente Viktor Ianukovich — ha sottolineato l’importanza della «fiducia nel processo politico» che «non può essere raggiunta finché continuano gli arresti, le intimidazioni e le molestie contro i manifestanti» antigovernativi in Ucraina. Il commissario Ue all’Allargamento ha inoltre affermato che il Fondo monetario internazionale sarà al centro di ogni tipo di assistenza finanziaria che verrà fornita a Kiev in futuro. A inizio febbraio, l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Catherine Ashton, aveva detto
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in un’intervista al «Wall Street Journal» che Ue e Stati Uniti stavano preparando un piano congiunto di assistenza finanziaria in favore dell’Ucraina. Ma il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, è tornato ad avvertire l’Occidente contro ogni tipo di interferenza nella crisi ucraina e ha accusato Bruxelles di volere creare una «sfera di influenza», facendo pressione su Kiev perché scelga l’integrazione europea, a scapito delle relazioni con Mosca. Parlando oggi nel corso di una conferenza stampa, dopo il suo incontro con l’omologo tedesco, Frank-Walter Steinmeier, il capo della diplomazia del Cremlino ha ribadito che ai cittadini deve essere permesso di risolvere la crisi da soli. «Noi crediamo che siano gli ucraini stessi a dover trovare una soluzione alla crisi politica — ha dichiarato — ci aspettiamo che tutti gli altri partner dell’Ucraina seguano questo principio». In un articolo uscito a sua firma ieri sul giornale «Kommersant», Lavrov aveva scritto che la crisi politico-istituzionale in Ucraina segna il «momento della verità» nei rapporti tra la Russia e l’Unione europea.
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crisi siriana. Sosteniamo le trattative alla conferenza di Ginevra 2 attualmente in corso, come anche gli sforzi per alleviare la tragica situazione umanitaria. Recentemente abbiamo partecipato alla seconda Conferenza dei donatori per la Siria organizzata in Kuwait e ci siamo impegnati a favore di un sostegno finanziario. Allo stesso tempo, abbiamo collaborato con le Nazioni Unite e con l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche al fine di istituire una base di appoggio a Cipro per la missione congiunta delle due organizzazioni per la distruzione dell’arsenale chimico siriano. Ritengo davvero che uno dei modi migliori per realizzare un cambiamento sia quello di dare l’esempio. Per quanto riguarda Cipro il nostro obiettivo è proprio questo; la riunificazione pacifica della nostra amata patria e la risoluzione del nostro annoso problema certamente avranno effetti positivi sulla turbolenta regione dell’est del Mediterraneo. Un’altra grande preoccupazione espressa dal Papa riguarda il destino delle migliaia di migranti che cercano di raggiungere le coste meridionali dell’Europa attraversando il Mediterraneo. Secondo lei che cosa si può fare per evitare le tragedie che si verificano tanto spesso? Cipro condivide molte delle priorità di politica estera della Santa Sede, come la protezione dei diritti umani e religiosi, la lotta al traffico di esseri umani e la necessità di affrontare la questione della migrazione. Riteniamo che migrazione illegale e traffico di persone vadano affrontati con un approccio umanitario, rispettando e sostenendo i diritti umani. Cipro e gli altri Stati mediterranei dell’Unione europea sono in prima linea nell’affrontare i problemi che nascono da queste realtà. Le politiche europee devono essere potenziate e sviluppate per affrontare i problemi fondamentali dei Paesi d’origine dei migranti in termini di sviluppo, assistenza finanziaria, stabilità politica e tutela ambientale. Molti Paesi della Comunità europea hanno dovuto affrontare una crisi economica e finanziaria profonda. Quali misure si possono prendere per evitare che ciò accada di nuovo? È davvero piuttosto demoralizzante che la vita di tanti cittadini europei sia stata colpita in maniera così grave dagli effetti della crisi economica globale. Le sfide poste dall’alto tasso di disoccupazione e dalla perdita di reddito purtroppo hanno avuto ripercussioni su milioni di europei. La cosa è particolarmente dolorosa per le giovani generazioni, che hanno attese per il futuro e il diritto di sperare. La crisi finanziaria globale non poteva non colpire anche Cipro. Grazie agli aiuti internazionali, abbiamo evitato il pericolo imminente della bancarotta, anche se con gravi ripercussioni sulle nostre condizioni e sui nostri standard di vita. Stiamo rispondendo con i fatti e affrontando con determinazione le difficoltà.
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sabato 15 febbraio 2014
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Riprendono le violenze nella regione congolese
Duecentomila persone costrette dall’eruzione del Kelud a lasciare la casa
Decine di vittime civili nel Nord Kivu
Fuga dal vulcano in Indonesia
KINSHASA, 14. Una settantina di donne e uomini della provincia orientale congolese del Nord Kivu sono rimasti vittime di esecuzioni sommarie, tra fine gennaio e inizio febbraio, nei centri di Nyamaboko I e II, nel territorio del Masisi. Nel darne notizia, la Monusco, la missione dell’Onu nella Repubblica Democratica del Congo, ha attribuito le stragi a non meglio identificati gruppi armati attivi da decenni nella ricca provincia mineraria.
Fossa comune scoperta nella Repubblica Centroafricana BANGUI, 14. La scoperta di nuovi orrori e la denuncia di ininterrotte violenze confermano il progressivo dilagare della tragedia della Repubblica Centroafricana, sprofondata nel caos dopo il colpo di Stato del marzo scorso, quando il presidente François Bozizé fu rovesciato dagli ex ribelli della Seleka. Una dozzina di corpi senza vita sono stati trovati in una fossa comune nel centro della capitale Bangui dai soldati della Misca, la missione inviata dai Paesi confinanti e passata lo scorso 19 dicembre sotto la responsabilità dell’Unione africana. La fossa si trova nei pressi di una caserma che fino a poche settimane fa aveva servito da base alle milizie della Seleka, originariamente una coalizione di oppositori di Bozizé senza particolari connotazioni confessionali, ma da tempo formata in maggioranza da combattenti stranieri, in massima parte di matrice fondamentalista islamica, provenienti soprattutto da Sudan e Ciad. Alle violenze della Seleka sono seguite quelle delle milizie conosciute come antibalaka (balaka significa «machete» in lingua locale sango), contro la popolazione musulmana, Sempre ieri, fonti missionarie hanno denunciato all’agenzia Misna il recente massacro di una ventina di civili musulmani a Nzakoum, un villaggio al confine con il Ciad.
Nonostante la sconfitta militare della ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), lo scorso novembre, in Nord Kivu le violenze non si fermano. Malgrado la firma di accordi di pace con il Governo di Kinshasa, l’Onu sospetta che l’M23 continui a reclutare uomini nella confinante provincia Orientale, con il sostegno dei vicini Rwanda e Uganda. Al tempo stesso, sono in corso operazioni militari congiunte della Monusco e dell’esercito congolese contro i groppi armati stranieri da tempo attivi nell’area, come gli ugandesi delle Forze alleate democratiche - Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu) e i rwandesi huto delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), riparate in territorio congolese dopo il genocidio dei tutsi in Rwanda del 1994. Questo nonostante che Adf-Malu e Fdlr abbiano assicurato all’inizio del mese di aver messo fine alle proprie attività militari. La scorsa settimana, come previsto dagli accordi di pace firmati con l’M23 su pressione dei Paesi dell’area, il Parlamento di Kinshasa ha approvato un’amnistia a favore dei combattenti che non siano accusati di crimini di guerra. Ora il
provvedimento legislativo aspetta la firma del presidente Joseph Kabila. L’Onu ha lanciato al tempo stesso l’allarme per il rischio di catastrofe umanitaria in un’altra ricca provincia mineraria congolese, quella del Katanga, nel sud-est. Martin Kobler, rappresentante speciale dell’Onu nella Repubblica Democratica del Congo, ha annunciato che la Monusco intende rafforzare la presenza dei caschi blu in Katanga, per contrastare altri gruppi armati, tra i quali la milizia indipendentista Mai Mai Bakata Katanga. Negli ultimi mesi tale milizia ha attaccato una decina di villaggi e incendiato centinaia di case nella zona tra le località di Manono, Mitwaba e Pweto, provocando oltre quattrocentomila sfollati. Inoltre, l’ultimo rapporto dell’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, ha denunciato il reclutamento forzato da parte dei gruppi armati del Katanga di duemila bambini e ragazzi di età compresa tra sette e 17 anni, a partire da ottobre 2012. I bambini vengono anche sfruttati illegalmente per scavare nelle miniere delle provincia. Secondo le ultime stime a disposizione circa 43.000 minatori di meno di 16 anni sono stati censiti nei siti di estrazione di Kipushi, Kolwezi e Likasi.
JAKARTA, 14. Oltre duecentomila persone sono state costrette oggi a lasciare le loro abitazioni poco prima dell’eruzione del vulcano Kelud, in Indonesia. Ma l’eruzione — scrive il quotidiano «Jakarta Post» — ha già ucciso almeno due persone e costretto alla chiusura tre aeroporti nell’isola di Giava. Il monte Kelud è considerato uno dei vulcani più pericolosi sull’isola principale dell’arcipelago asiatico, perché densamente popolato su uno dei lati. Poche ore dopo la fuga degli abitanti, il vulcano ha iniziato ha eruttare violentemente cenere e rocce roventi e le immagini televisive hanno
mostrato la pioggia di lapilli che cadeva sui trentasei villaggi circostanti. L’Agenzia nazionale per la gestione dei disastri ha confermato che la cenere vulcanica è stata trasportata, in alcuni casi, fino a duecento chilometri di distanza, investendo anche le città di Surabaya e di Yogyakarta. L’allarme resta alto, dato che i tremori alla base del vulcano continuano. Si calcola che il Kelud — uno tra i circa 130 vulcani attivi nell’arcipelago — abbia causato 15.000 morti dal sedicesimo secolo ad oggi. Nel 1568, in particolare, una tremenda eruzione provocò più di 10.000 vittime.
Significativo spiraglio nelle relazioni tra Pyongyang e Seoul
Via libera a riunioni sulle famiglie coreane divise
Calma a Tripoli dopo l’annuncio di un golpe TRIPOLI, 14. Non c’è alcun tentativo di golpe in corso a Tripoli. Lo ha affermato il Consiglio supremo per la sicurezza (Css), citato dalla televisione satellitare Al Arabiya. Anche il premier libico, Ali Zeidan, ha negato in un breve discorso televisivo che sia in atto un colpo di Stato. Sembrano quindi prive di fondamento le voci circolate in mattinata in merito a elementi dell’esercito vicini al generale Khalifa Haftar che avrebbero preso il controllo della capitale e “sospeso” Governo e Parlamento. La stessa Al Arabiya ha trasmesso un video in cui Haftar, ex comandante delle forze di terra, annuncia la sospensione delle istituzioni e una Road map in cinque punti. Il Consiglio supremo per la sicurezza è un organismo costituito nel 2011 per garantire la sicurezza del Paese in seguito al vuoto di potere prodottosi con la caduta del regime dell’ex leader libico, Muammar Gheddafi. La vicenda odierna sembra intrecciarsi con quanto ha detto ieri il ministro della Difesa, Abdullah Al Thani, che ha annunciato alla stampa locale che un tentativo di golpe da parte di ufficiali dell’esercito e di alcuni politici è stato sventato. Al Thani ha affermato che il golpe era destinato a sospendere Parlamento e Governo e che il capo delle forze armate, Nuri Abu Sahmain, ha emesso un ordine di arresto per tutti gli uomini coinvolti nel piano.
Residenti in fuga dopo l’eruzione del vulcano Kelud (Ansa)
Le delegazioni delle due Coree nel villaggio smilitarizzato di Panmunjom (Reuters)
Rousseff riceve i rappresentanti dei Sem Terra BRASILIA, 14. La presidente brasiliana, Dilma Rousseff, ha ricevuto ieri nel palazzo di Planalto una trentina di rappresentanti del movimento Sem Terra, che mercoledì ha portato in piazza a Brasilia oltre ventimila persone per protestare contro la mancata approvazione della riforma agricola. Il movimento ha chiesto alla presidente di mantenere la promessa di assegnare terreni del nord-est alle circa centomila famiglie di contadini accampate e senza terre da coltivare. Il Governo ha promesso di trovare una soluzione entro l’anno per trentamila famiglie, secondo quanto riporta l’agenzia Brasil. Secondo i Sem Terra, nel nord-est ci sono ottantamila lotti di terreno liberi, con acqua e infrastrutture necessarie per l’agricoltura.
SEOUL, 14. Le due Coree terranno il ciclo di riunioni delle famiglie separate dalla guerra del 1950-53 dal 20 al 25 febbraio, come concordato, malgrado il regime comunista di Pyongyang avesse ventilato un rinvio a seguito delle imminenti manovre militari tra Seoul e Stati Uniti previste dal 24 febbraio. Le parti, nel secondo round di incontri ad alto livello, hanno anche deciso di evitare «ogni commento diffamatorio» contro l’altro, al fine di aumentare la fiducia reciproca, ha riferito il capo della delegazione sudcoreana, Kim Kyou Hyun, citato dall’agenzia di stampa Yonhap. Kim, inoltre, ha riferito che le due Coree hanno promesso ogni sforzo per migliorare le relazioni, concordando sul proposito di tenere un altro round di colloqui ad alto livello in una data ancora da determinare. L’accordo è stato raggiunto nel confronto, il secondo in soli tre giorni, presso il villaggio di frontiera di Panmunjom. «Mi aspetto — ha concluso Kim — che le due Coree continuino a costruire la fiducia attraverso il dialogo anche nel futuro». Intanto, ieri, al termine di una breve visita a Seoul, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha ribadito che gli Stati Uniti non accetteranno che la Corea del Nord possa essere uno Stato con potenziale atomico, e ha chiesto, invece, che «la denuclearizzazione sia verificabile». I colloqui a sei sulla denuclearizzazione del regime comunista di
Mandato di cattura in Venezuela contro leader dell’opposizione CARACAS, 14. La giustizia venezuelana ha emesso ieri sera un mandato di cattura contro Leopoldo López, esponente di spicco dell’opposizione, accusandolo di istigazione a delinquere per il suo presunto ruolo negli scontri scoppiati mercoledì a margine di un corteo di protesta, con un bilancio di tre morti e 25 feriti. Lo stesso López, dopo i disordini, aveva imputato al Governo del presidente Nicolás Maduro, delfino e successore del defunto Hugo Chávez, di aver orchestrato la violenza di piazza. L’ordine di arrestare l’oppositore, leader del partito Primero Justicia, è arrivato dopo che Maduro aveva annunciato in un discorso che erano stati identificati i responsabili materiali e morali degli scontri. Il ministro degli Esteri, Elías Jaua, aveva additato direttamente López come “assassino”.
López, che era presente nella manifestazione studentesca di opposizione, aveva denunciato che gli scontri dopo lo scioglimento del corteo erano stati provocati ad arte nell’ambito di «un piano orchestrato dallo Stato», accusando la polizia di non aver impedito l’arrivo in piazza di squadracce armate inviate per sparare sui manifestanti. Intanto, il canale colombiano Ntn24 ha denunciato ieri che il Governo di Caracas ha censurato le sue trasmissioni, eliminando il segnale dalle due reti via cavo che arrivano in quel Paese, mentre stava informando sulle manifestazioni dell’opposizione. «È stato un atto di censura contro la libertà di stampa, una violazione del diritto che hanno tutti i cittadini di informarsi e un attentato alla libertà di espressione», ha detto la direttrice del canale, Claudia Gurisatti.
Pyongyang, che coinvolge le due Coree, Stati Uniti, Giappone, Russia e Cina è in una fase di stallo dalla fine del 2008, ma una sua ripresa deve poggiare sulla reale predisposizione nordcoreana a discutere.
Kerry a Pechino a colloquio con Xi Jinping PECHINO, 14. Il segretario di Stato americano, John Kerry, dopo la missione di ieri nella Corea del Sud, è stato ricevuto oggi a Pechino dal presidente cinese Xi Jinping. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. Kerry è arrivato a Pechino nel quadro di una missione volta a ridurre la tensione nel Pacifico, dove la Cina ha in corso una serie di dispute territoriali con Paesi alleati degli Stati Uniti tra cui Giappone, Filippine e Vietnam. Altro importante punto in discussione è il programma nucleare della Corea del Nord, della quale Pechino è l’unica alleata. Dopo la Cina Kerry proseguirà la sua missione in Indonesia e negli Emirati Arabi Uniti.
Tempesta di neve sulla costa orientale degli Stati Uniti WASHINGTON, 14. Non si placa la tempesta di neve e ghiaccio abbattutasi sul sud degli Stati Uniti e che ora sta imperversando sulla costa orientale, con forti nevicate a New York, Washington, Boston e Filadelfia. Nella capitale tutti gli uffici federali sono rimasti chiusi. Ovunque chiuse anche le scuole. Almeno ottocentomila le persone rimaste al buio e al freddo per i blackout. New York si è svegliata totalmente imbiancata, e la neve ha causato ritardi soprattutto alle linee della metropolitana, anche se alcune scuole e molti uffici hanno regolarmente aperto. Serrata invece a Washington, completamente paralizzata, dove è stato anche sospeso il servizio di autobus per quella che si prevede sia la peggiore nevicata dell’anno.
Ripresa la sede del Governo a Bangkok BANGKOK, 14. La polizia thailandese è riuscita a riprendere oggi il controllo della sede del Governo a Bangkok, occupata dall’opposizione antigovernativa da inizio dicembre, nell’ambito di una vasta operazione lanciata all’alba con l’obiettivo di rimuovere i manifestanti da alcuni siti strategici. Lo hanno annunciato i media thailandesi, specificando che l’intervento delle forze di sicurezza (in assetto antisommossa) si è svolto senza violenze e di fronte a un esiguo gruppo di manifestanti. Tuttavia, piccoli gruppi di attivisti — proveniente in particolare dal sud nazionalista del Paese asiatico — mantengono il controllo di alcune aree nella zona dei ministeri. L’operazione della polizia non riguarda, invece, gli accampamenti della protesta nelle aree più commerciali della capitale. Per il Governo della premier, Yingluck Shinawatra, da tre mesi sotto la pressione dell’opposizione, che ne chiede a gran voce le immediate dimissioni, è una temporanea vittoria. Dopo dieci morti e oltre 600 feriti, la situazione sul campo si è parzialmente calmata, anche se la tensione rimane molto alta, soprattutto dopo la recente decisione della Corte costituzionale di ritenere valide le legislative del 2 febbraio scorso, boicottate dall’opposizione. Le elezioni suppletive si dovrebbero tenere in aprile, con il rischio di prolungare di chissà quanti mesi l’impasse politico-istituzionale. Il Governo rimane nel frattempo ad interim, con scarso potere decisionale e al momento pure incapace di pagare migliaia di agricoltori del riso, nell’ambito di un controverso programma di sussidio che ha aperto una ulteriore voragine nel bilancio statale. Ma altre nubi minacciose si addensano all’orizzonte dell’Esecutivo. La stessa premier è infatti indagata per negligenza in relazione al disastroso sussidio del riso, mentre 250 deputati del partito di maggioranza, il Puea Thai, rischiano di essere interdetti dalla politica per cinque anni, accusati di avere tentato di cambiare la Costituzione rendendo il Senato completamente eletto. Con l’influente esercito che ha — almeno per il momento — escluso un colpo di Stato, una Thailandia sempre più spaccata al momento non è in grado di capire come tutto possa terminare.
L’OSSERVATORE ROMANO
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sabato 15 febbraio 2014
Come Romano Guardini scelse san Bonaventura
Ai Musei vaticani
S’innamorò del vero nibile all’insegnamento della teologia dogmatica nel seminario vescovile di Magonza. A tirarlo fuori da questa impasse fu un giovane libero docente (aveva appena quattro anni più di lui), il professor Engelbert Krebs, che di lì a un lustro sarebbe succeduto a Carl Braig nella cattedra di Teologia dogmatica a Friburgo. Fu Krebs a proporre a Guardini come argomento della tesi di laurea il tema della redenzione negli scritti di san Bonaventura. Fino allora, né Krebs né Guardini avevano mai letto una sola riga di Bonaventura. Nessuno dei due, peraltro, era sconosciuto nella repubblica delle lettere: Krebs aveva al suo attivo quasi duecento voci bibliografiche; Guardini, pur novizio in essa, ne contava un promettente manipolo. Eppure entrambi si misero al lavoro con convinzione. Erano in questo favoriti dalla coraggiosa Opera omnia bonaventuriana, da qualche anno uscita (1883-1902, in dieci tomi) dal Collegio degli storici francescani di Quaracchi e dai loro propri torchi. Questo il campo di lavoro del trentenne Guardini, che accumulò estratti su estratti (come lui li chiamava, ossia passi, brani, ma anche transunti), schede su schede di bibliografia (1.500 per l’esattezza), organizzando così il materiale delle 1.350 note della futura tesi indicative di fonti, rimandi e Il 17 febbraio a Roma, all’Antonianum, verrà dati documentali. Questo, prima presentata l’edizione del Bonaventura di Romano ancora di stendere il testo, come Guardini (Brescia, Morcelliana, 2013, pagine 780, fosse tutto già scritto nella sua euro 52), diciottesimo titolo dell’opera omnia del mente. teologo. Pubblichiamo un articolo del curatore del Terminata la ricognizione di tutta volume. l’opera omnia, egli si sentì innamorato del “vero” in Bonaventura. A interessarlo non erano gli aspetti storici (tanto amati e apprezzati negli amfondatore della psicologia sperimentale. Fu, questo, un momento buio per Guardi- bienti accademici del tempo), le ascendenze ni. Alla fine del suo curriculum di studi, egli culturali del Dottore serafico, le opinioni di non aveva ancora non solo un proprio pro- questo o quel pensatore, le stesse grandi tragetto culturale per la conclusione del corso dizioni teologiche pur presenti nei possenti universitario, ma neppure un maestro dal quaracchiani tomi in folio, quanto piuttosto quale essere diretto nella stesura della tesi di il “vero” inseguito da Bonaventura in tutti i laurea. Lontano dalla sua diocesi di Magon- suoi scritti, da quelli di scuola (il “terribile” Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo) za, egli sentiva poi tutta la sfiducia nutrita a quelli più strettamente teologici, o anche verso di lui dai superiori messi di fronte alle mistico-ascetici, e (perché no?) anche quelli sue continue tergiversazioni, senza dire del sull’ordine francescano. clima — come egli stesso ci ricorda nei suoi Da tutti gli scritti bonaventuriani egli rileAppunti per un’autobiografia (Brescia, Morcel- vò «pensieri inerenti al dogma della redenliana, 1986) — di «scarsa comprensione che zione» e male fanno gli studiosi — osservava ivi si aveva in generale per l’attività scientifi- — a «prendere in considerazione solo gli ca». I tempi, dunque, si facevano sempre più scritti sistematici di Bonaventura, ossia il stretti. Egli doveva laurearsi per essere dispo- Commento alle Sentenze, il Breviloquium ed di ILARIO TOLOMIO
u del tutto casuale l’incontro di Romano Guardini con Bonaventura da Bagnoregio, il Dottore serafico. Prete ormai da cinque anni (era stato ordinato nel 1910), al termine degli studi universitari di Teologia dogmatica compiuti a Friburgo, doveva scegliere il campo della sua tesi di laurea e con il campo anche il relatore della sua dissertazione. L’incontro con Martin Grabmann (cattedratico di dogmatica, celebre storico del pensiero medievale) non gli fu di alcuna utilità; quello con il docente di Teologia pastorale, di Storia dell’arte nonché di Liturgia, Karl Künstle, si concluse in un nulla di fatto: per l’anziano professore universitario la proposta, fatta da Guardini, di esaminare i responsori dei mattutini del Breviario romano non era abbastanza storicizzata; quello con Carl Braig fu addirittura fallimentare: nello psicologismo maniacale del tempo propose a Guardini di fare un confronto fra Tommaso d’Aquino e Wilhelm Wundt, il
F
Opera omnia
Cultura e arte indonesiana
eventualmente anche l’Itinerarium mentis in Deum». Infatti, scriveva, «solo nei suoi scritti “liberi”, negli opuscula dogmatici e misticoascetici, erompe con forza lo spirito vero del Doctor seraphicus». E il grande “vero” nella teologia della redenzione era che Dio aveva avuto misericordia dell’uomo caduto nel peccato e l’aveva redento inviando il Figlio suo, che come uomo-Dio avrebbe potuto riparare il «crimine di lesa maestà» commesso dall’uomo nei confronti di Dio stesso. Mistero della soddisfazione-riparazione vicaria di Cristo! Concetto fortemente sentito da Anselmo, questo. Ma Bonaventura, pur accogliendo questo fondamento della teologia medievale, a esso non si arresta. Con dolcezza nei confronti dell’uomo, àncora il suo pensiero teologico alla agostiniana misericordia divina. Non solo. Supera anche la misericordia di Dio, ammettendo persino che l’incarnazione sarebbe potuta avvenire pure in assenza del peccato e, questo, per completare l’opera della creazione.
A lavoro finito, in un’altra lettera del 25 maggio 1914 sempre all’amico Weiger manifesta un senso di liberazione nell’informarlo: «Il mio lavoro è pronto, trascritto a macchina proprio in questo momento. Grazie a Dio! (...) Una volta finito, penserò a riposarmi un po’». Bonaventura aveva liberato Guardini anche da quel razionalismo che, con il pretesto di dare solidi fondamenti al pensare teologico, finiva per mortificare la speSentiva tutta la sfiducia dei superiori culazione teologica stessa. In questo senso aveva ragione Silvano Zucal messi di fronte alle sue continue esitazioni nell’affermare che Bonaventura era il A tirarlo fuori dall’impasse «maestro segreto» di Guardini. Un fu il giovane docente Engelbert Krebs maestro che gli insegnava a non dipendere da costruzioni nelle quali incasellare, e così limitare, il proprio sapere. Un Guardini fu affascinato da questo universo maestro che lo spingeva — come gli aveva di salvezza. Liberato dalle secche del razio- suggerito Max Scheler all’indomani della nalismo teologico e filosofico, nonché da chiamata alla cattedra di Filosofia della reliquello storicistico, gli piaceva di Bonaventu- gione e Weltanschauung cattolica — a «conra quella sua teologia “aperta”, mai conclusa, templare il mondo, le cose, l’uomo, le opere che apre sempre nuovi spazi di ricerca all’uo- facendo tutto questo come un cristiano como viator. sciente della propria responsabilità». E, tutto Bonaventura aveva liberato Guardini da questo, necessariamente in maniera non sistequella teologia che era «ampiamente segnata matica. dal pensiero storico» (Joseph Ratzinger, La Bonaventura poi riunendo nel suo discormia autobiografia, Cinisello Balsamo, Edizioni rere teologico aspetti diversi e distinti era diSan Paolo, 1998). Fu una pena per lui rispet- ventato, per così dire, il crogiuolo della teotare nella sua tesi la metodologia di ricerca ria della opposizione polare, elaborata da propria del tempo. La stesura di essa fu let- Guardini in giovinezza assieme al compagno teralmente costellata da scoraggiamenti, in- di vita fanciullesca, di studi teologici e di vocertezze, dubbi. Nel novembre del 1913, cazione presbiterale Karl Neundörfer. Per esall’amico Joseph Weiger, giovane prete della sa ogni dottrina poggia su questa dinamica diocesi di Rottenburg, scriveva: «La corre- di pensiero, un pensiero mai concluso e semzione della tesi è una cosa davvero noiosa e pre aperto a nuovi sviluppi. Questo, per avfastidiosa. Non mi piacciono così tanti nu- vicinarsi il più possibile al mistero dell’uomo, meri e note. Cioè, quello che chiamano lavo- al manzoniano «guazzabuglio» del cuore umano. ro “scientifico”».
Renato Guttuso tra fede e arte sacra
Oltre la soglia delle visioni di SILVANO M. MAGGIANI La presentazione degli studi di Crispino Valenziano costituisce in genere per il recensore una vera sfida perché si è ben consapevoli di trovarsi di fronte a testi densi di continui rimandi, dotte referenze e apparenti allusioni enigmatiche; a contenuti di densità semantica sempre rigorosa; a sintassi e grammatica a tratti arcaiche e a tratti di ardita modernità. Non ci si deve scoraggiare di fronte alle sue arditezze testuali, ma provare a immergersi in pagine che sono scritte per essere lette con attenzione e non scorse o sorvolate. Per incoraggiare il lettore del volume Guttuso ...credeva di non credere... (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 151, euro 24) devo subito proporre un diverso avviso preliminare: il testo si legge come un romanzo. La narrazione è scoppiettante come un gioco pirotecnico. Sembra che i colori vivissimi di Guttuso suggeriscano al narratore uno stile altrettanto vivace. Il fatto che il narrato racconti l’esperienza di vita del pittore Guttuso, fondandola diacronicamente sulla sua creatività pittorica, permette al lettore di lasciarsi coinvolgere nel mistero della vita di un uomo e nel rispetto assoluto del suo «credere di non credere». La mediazione tra storia e realizzazione dell’opera d’arte è una feconda modalità perché come conferma Guttuso in una delle numerose citazioni presentate da Valenziano: «Il pittore ha idee ma non dipinge idee; il pittore dipinge solo le cose, ma dal modo come le dipinge scaturiscono le idee (...) Riprendere in considerazione i valori della pittura in direzione realistica, significa essere guidati dalla mano del pittore e vedere con più intensità il visibile. Solo così il pittore ci farà vedere l’invisibile. E in questo guidarci a vedere, a penetrare, a conoscere, consiste la “filosofia” del pittore, il modo attraverso cui il pittore esprime la “filosofia” sua».
Renato Guttuso, «Il legno della croce» (1980)
La mediazione che le opere guttusiane offrono tra iconologia e iconografia — soprattutto quelle a carattere religioso — favoriscono l’accostamento a una filosofia che include il religioso e più propriamente lo specifico cristiano e aprono a un universo che vibra di una profonda testimonianza oltre la semplice materia del dipinto. È la testimonianza di un credere cristiano ricevuto, perseguito nei ritmi del tempo di una lunga vita, e tuttavia mai ostentato perché come attestava Guttuso: «Io non penso sia tanto importante dire se credo o non credo (...) Non potrei mai dire, tuttavia, che sono ateo perché mi sembrerebbe sbagliato affermarlo (...) Non ho paura di Dio perché se Dio c’è non può punirmi per questo. E però ogni volta che tento dire di non credere mi sento preso da un grande sgomento; sono ateo, io non lo dirò mai. Non ne ho il co-
raggio e non troverei la forza per farlo». Valenziano non costringe Guttuso a dire il Dio di Gesù Cristo, ma tenta di vedere nelle parole affidate alle immagini l’emergere di visioni che evocano una presenza di alcuni aspetti del mistero cristiano, in particolare la crocifissione. Molte pagine sono dedicate alla Crocifissione del 1940, frutto di studi precedenti, presentata alla quarta edizione del Premio Bergamo nel 1942, vincitrice del secondo premio, ma coinvolta in una tempesta di spiacevolissime reazioni che trovarono convergenti giudizi di gerarchie ecclesiastiche, politici del regime, critici d’arte non sempre neutrali e ponderati nelle valutazioni. La ferita fu profonda tanto che più tardi Guttuso si rifiutò di donare la Crocifissione che gli era stata richiesta per la Galleria di Arte Moderna del Vaticano.
Gli eventi di Bergamo sono narrati da Valenziano con acribia interpretativa, una specie di pre-testo nel testo. Il narratore colloca o prende spunto dalle vicende di Guttuso per narrare e sviluppare ciò che è accaduto nella esperienza ecclesiale prima, durante e dopo il concilio Vaticano II circa la comprensione e la messa in opera delle declinazioni dell’arte sacra in arte religiosa, arte cristiana, arte cultuale. Valenziano offre spunti che contribuiscono ad avere una efficace ermeneutica per comprendere il settimo capitolo della costituzione liturgica Sacrosanctum concilium su «l’arte sacra e la sacra suppellettile». Ma anche per comprendere come si è sviluppato il senso di un’arte per la liturgia. Conosciamo con preziosi dati iconologici la Fuga in Egitto nelle sue diverse proposte figurative fino all’affresco che monsignor Pasquale Macchi commissionò a Guttuso in qualità di rettore per una delle cappelle del santuario del Sacro Monte di Varese, nel 1983; e conosciamo il suggestivo Ingresso in Gerusalemme richiesto a Guttuso da monsignor Valenziano nel 1983 a nome della Conferenza episcopale italiana «in occasione dell’allestimento di un Evangeliario delle Chiese d’Italia; libro liturgico da oltre mezzo millennio andato in disuso e mai venuto alla luce in esemplari a stampa». Questa richiesta, a cui Guttuso rispose «generosamente e riflessivamente», fu l’inizio di dialoghi cordiali e costruttivi che si allargarono per coinvolgere il cardinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo. Il volume riporta una lettera di riconoscenza che il pittore con tratto incisivo, intenso e gentile indirizzò agli inizi del 1984 al cardinale. Con il capitolo sesto la narrazione volge al termine tramite una virata conclusiva del racconto che si vuole concentrare come epilogo, su ciò che io chiamerei il “corpo vissuto”, ovvero nelle numerose “mani
dipinte” che comprendono, mani sacre e mani profane, mani per la carne e mani per lo spirito “manifestazione”, capacità di far “toccare con mano” gli enigmi che Guttuso pensa di rivelare e il mistero che vuole che gli si riveli. E il racconto si concentra poi sul Volto di Cristo, raramente dipinto da Guttuso che si scherniva dicendo di non sapere
Io non penso sia tanto importante dire se credo o non credo Non potrei mai dire tuttavia che sono ateo se lo conosceva, e di non ritenersi quindi capace di dipingerlo, se non tratteggiarne i profili. I dipinti degli anni delle “mani” e i Volti di Gesù “velati” o in profilo sono sintesi di un desiderio aperto di poter toccare e vedere oltre la soglia delle “visioni” dei dipinti. Guttuso nel credere di non credere diventa testimone del non dicibile, del non raffigurabile, orientamento verso possibilità simboliche per conoscere, vedere e toccare.
Il 14 febbraio ai Musei vaticani è stato aperto al pubblico «Indonesia, organizzata Land of harmony», l’esposizione dedicata a una selezione di manufatti provenienti dal Paese del Sud-Est asiatico. A un anno dalla presentazione del nuovo allestimento dei bassorilievi del tempio di Borobudur, viene nuovamente dedicata all’Indonesia e al suo patrimonio artistico un’importante iniziativa espositiva. Nelle intenzioni del curatore del Museo Etnologico, padre Nicola Mapelli, questo genere di operazioni serve ad avviare o rilanciare e rendere più solido il dialogo tra culture diverse. Anche per questo Mapelli è spesso in viaggio per coinvolgere le popolazioni e fare
Divinità con testa di elefante (VIII-IX secolo)
opera di riconnessione tra l’oggetto d’arte e la cultura di provenienza. Questa è una specifica missione del Museo etnologico che in questa prospettiva utilizza il Laboratorio di restauro polimaterico — un team di sette donne capeggiato da Stefania Pandozy — che si occupa di oltre centomila opere conservate presso i musei e provenienti da cinque continenti. «Prendendoci cura di questo materiale — sottolinea Pandozy — affrontiamo un tema che è il senso del nostro lavoro, essere uniti nella diversità, che in questo caso richiama anche il titolo della mostra». Proprio in Indonesia, continua la studiosa, «si riescono a conciliare diverse culture e religioni grazie al rispetto reciproco». Per scegliere nelle collezioni vaticane le opere da mettere in mostra è arrivata dal museo di Jakarta una squadra di specialisti che hanno anche collaborato alla stesura delle didascalie. La speranza, sottolinea ancora la responsabile del Laboratorio, è che «questo atteggiamento di apertura trasformi il Museo etnologico in un museo contemporaneo, che accolga le culture». In questa prospettiva si muove l’esposizione che propone oggetti di uso quotidiano accanto a opere d’arte, valorizzando tra l’altro il lavoro degli scultori, che godono di grande considerazione nel mondo indonesiano per la loro capacità di modellare la materia e trasformarla.
In tutta Italia
Giornata dei musei ecclesiastici Si tiene il 15 e il 16 febbraio in tutta Italia la seconda Giornata dei musei ecclesiastici. Lo scorso marzo la manifestazione ha fatto registrare un gran numero di presenze, consentendo a molti di scoprire la ricchezza di oltre mille musei diocesani, cattedrali, chiese, confraternite disseminati lungo l’intera penisola. Un immenso patrimonio scarsamente segnalato dalle guide turistiche delle città e poco conosciuto. «Le giornate — ricorda monsignor Giancarlo Santi, presidente dell’Associazione Musei Ecclesiastici Italiani — sono una delle tante iniziative che l’associazione ha messo in cantiere per far emergere la forza in parte ancora nascosta della realtà museale ecclesiastica italiana». L’obiettivo, ha continuato, è quello «di far conoscere questo capillare sistema museale, non inferiore né per presenza né per contenuto a quello dei musei di gestione statale o di enti locali».
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 15 febbraio 2014
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I retroscena diplomatici del bombardamento di Montecassino
Tragici errori e ciniche scelte di GAETANO VALLINI n «crimine di guerra» lo definirono i tedeschi nella loro propaganda, una «necessità militare» si difesero i britannici, un «tragico errore» ammisero poi gli americani. Settant’anni dopo, il bombardamento della millenaria abbazia di Montecassino del 15 febbraio 1944 resta ancora una delle pagine più controverse della seconda guerra mondiale. Originata dall’errata convinzione, come ormai appurato senza ombra di dubbio, che le truppe del Terzo Reich utilizzassero il monastero come fortezza o quantomeno come un osservatorio strategico nell’ambito della poderosa Linea Gustav, la distruzione fu da subito al centro di polemiche e di scambi d’accuse. Da più parti si levò un’ondata di indignazione per aver ridotto a un cumulo di macerie un luogo di grande importanza storica, artistica e religiosa, nonché per la morte di oltre duecento tra i profughi che vi avevano trovato rifugio contando sulla neutralità del monumento assicurata al Vaticano dai belligeranti. L’analisi delle vicende e delle responsabilità militari si trova in un gran numero di libri, articoli e memoriali che di fatto hanno aperto un’altra battaglia, stavolta sul piano storiografico. Ciò che è rimasto in
U
Il generale Bernard Freyberg a Cassino nel 1944
parte inesplorato è lo scenario diplomatico che precedette e seguì il tragico evento, comprese le iniziative della Santa Sede sui governi di Berlino, Londra e Washington prima per proteggere l’abbazia benedettina e poi per salvaguardare Roma. E sono proprio questi aspetti sui quali si concentra il libro di Nando Tasciotti Montecassino 1944 (Roma, Castelvecchi, 2014, pagine 325, euro 19,50) che cerca di far luce sui retroscena di quel bombardamento.
Dopo un minuzioso lavoro di ricerca in archivi alleati e italiani, e soprattutto attraverso interviste a monaci e profughi, l’autore, giornalista d’inchiesta, sottolinea che su Montecassino prima, durante e dopo la distruzione, «oltre alle bombe sono piovute anche forti dosi di distorsioni e bugie. Vi contribuirono — spiega — sia i militari e i gerarchi nazisti di Hitler (che ebbe la responsabilità, primaria e decisiva, di aver fatto inserire fortificazioni della Linea Gustav anche a ridosso dello storico monastero benedettino) sia i comandanti militari alleati (Wilson, Alexander, Clark, Freyberg), ma anche il presidente americano Roosevelt e il premier britannico Churchill». Di questi ultimi, il primo disse di aver appreso del bombardamento da un giornale del pomeriggio, il secondo non ne parlò per anni. In sostanza, nonostante storici inglesi e americani abbiano sostenuto che non ci sarebbero prove per affermare che la decisione finale di bombardare l’abbazia sia stata presa a un livello superiore a quello militare, almeno nel caso del primo ministro britannico «un forte e finora inedito indizio documentale» fa supporre se non altro che non poteva non sapere. E che quindi, non intervenendo in senso contrario, di fatto avallò l’operazione. Dal 26 gennaio al 14 febbraio — secondo quanto appurato
Quella voce supplichevole e sovrana non fu ascoltata Il 24 ottobre 1964 Paolo VI andò a Montecassino per la consacrazione della ricostruita basilica cattedrale e la proclamazione — attraverso la lettera apostolica Pacis Nuntius — di san Benedetto a patrono principale dell’Europa. In un passaggio del suo discorso di saluto — incentrato sui temi della pace e del ruolo della vita monastica nel mondo moderno — Montini si soffermò sulle vicende storiche che portarono al bombardamento alleato del 15 febbraio 1944: «Parlano queste mura. È la pace che le ha fatte risorgere. Come ancora ci sembra incredibile che la guerra abbia avuto contro questa Abbazia, incomparabile monumento di religione, di cultura, di arte, di civiltà, uno dei gesti più fieri e più ciechi del suo furore, così non ci pare vero di vedere oggi risorto il maestoso edificio, quasi esso volesse illuderci che nulla è accaduto, che la sua distruzione fu un sogno e che possiamo dimenticare la tragedia che ne aveva fatto un ammasso di macerie e di rovine. Fratelli, lasciateci piangere di commozione e di gratitudine. Per dovere del Nostro ufficio presso Papa Pio, di venerata memoria, Noi siamo bene informati testimoni di quanto la Sede apostolica fece per risparmiare a questa fortezza non delle armi, ma dello spirito, il grave oltraggio della sua distruzione. Quella voce supplichevole e sovrana, inerme vindice della fede e della civiltà, non fu ascoltata. Montecassino fu bombardato e demolito. Uno degli episodi più tristi della guerra fu così consumato. Non vogliamo ora farci giudici di coloro che ne furono la causa. Ma non possiamo ancora non deplorare che uomini civili abbiano avuto l’ardire di fare della tomba di San Benedetto bersaglio di spietata violenza. E non possiamo contenere la Nostra letizia vedendo oggi che le rovine sono scomparse, che le sacre pareti di questa Basilica sono risorte, e che la mole austera dell’antico monastero ha ripreso figura nel nuovo. Benedicamus Domino!».
da Tasciotti — Churchill scambiò con i generali Alexander e Wilson almeno dieci telegrammi relativi al fronte di Cassino e all’attività del corpo neozelandese, il cui comandante, il generale Freyberg, premeva con insistenza per il bombardamento. E l’ultimo, forse decisivo, fu inviato venti ore prima dell’entrata in azione delle “fortezze volanti”. Churchill, scrive l’autore, «chiedeva ad Alexander perché non fosse stato ancora “lanciato l’attacco di Freyberg”, i cui piani (ignoti a Churchill?) prevedevano come fondamentale e “preliminare” proprio l’“ammorbidimento” della posizione dominante dell’abbazia». Tasciotti analizza anche il ruolo del Vaticano nella vicenda, e nel farlo abbraccia un’azzardata tesi: quella del “basso profilo”, quando parla di atteggiamento enigmatico e sostiene che un’azione diplomatica più energica da parte di Pio XII e della Santa Sede — che in realtà aveva esercitato pressioni sui Governi di Berlino, Londra e Washington — avrebbe potuto in qualche modo evitare la distruzione di Montecassino. E che anche in seguito, il Papa non avrebbe condannato con forza quell’azione, mantenendo una linea morbida con gli alleati. Ma una risposta viene dal gesuita tedesco Peter Gumpel, che aveva conosciuto da vicino Papa Pacelli e che per anni ne ha curato la causa di canonizzazione. Infatti in un’intervista rilasciata all’incalzante autore, Gumpel sostiene che «i Patti Lateranensi del 1929 obbligavano il Papa alla neutralità. Lui, anzi, preferiva parlare di imparzialità, non fare dichiarazioni pubbliche che potessero avvantaggiare l’una o l’altra delle parti. Nel caso di Montecassino, nel pieno
L’abbazia in ricostruzione dopo il bombardamento
centi, e per aver mentito sulla presenza dei tedeschi dentro l’abbazia. Quali sarebbero state le conseguenze? I tedeschi — aggiunge il religioso — certamente avrebbero detto: il Papa finalmente ha confermato ciò che noi abbiamo sostenuto da tempo, cioè che la propaganda degli Alleati è basata su bugie, falsità. E questo il Papa non lo voleva. Se invece avesse pubblicamente ringraziato i tedeschi per non aver occupato l’abbazia, avrebbe avuto la reazione molto negativa degli amePrima, durante e dopo la distruzione ricani». In ogni caso, a quel un diluvio punto, salvaguardare Rodi distorsioni e bugie ma «era la preoccupazione principale». La chiosa di Tasciotti è comunque monastero. Ma anche dopo il bombardamento, secondo il gesuita, più indulgente sui presunti limiti da «una protesta pubblica era pericolo- lui rilevati nell’azione della Santa Sesa e inopportuna, per il seguente de, i quali, nella catena delle responmotivo: non c’erano soltanto una sabilità, «non possono certo attenuaguerra sul fronte, ma erano in corso re, per la storia, il peso decisivo della da tempo anche una guerra diplo- preventiva “cinica scelta” dei tedeschi matica, una guerra psicologica, una di installarsi comunque a ridosso di guerra mediatica. Quindi se in quel quelle sacre mura, e l’enormità del momento il Papa avesse detto pub- “tragico errore” degli Alleati». E anche nei confronti di questi ulblicamente ciò che aveva sentito (e credeva essere vero sulla base di timi — e dei loro leader politici del quanto l’abate Diamare gli aveva tempo — manifesta riconoscenza, detto), avrebbe dovuto accusare gli collocando questa «macchia storica» americani per aver distrutto un mo- nell’ambito «della loro perennemennumento di quel valore e ucciso ad- te meritoria e vittoriosa lotta contro dirittura le vite di tanti civili inno- il nazi-fascismo». di una guerra che diventava sempre più feroce, fare una dichiarazione pubblica senza avere accertato la verità era molto pericoloso». La questione per il Papa era questa: Montecassino era stata occupata o no dai militari tedeschi? Per saperlo, aveva interpellato tedeschi e americani, ma la certezza poteva venire solo dall’abate Diamare. Che dopo il suo arrivo a Roma confermò l’assenza di truppe naziste nel recinto del
Per riaffermare il valore della pace Anticipiamo stralci della riflessione che il vescovo titolare di Fondi, segretario aggiunto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, pronuncerà ai vespri del 15 febbraio nell’abbazia di Montecassino. di GIUSEPPE SCIACCA
Paolo
VI
in preghiera presso la tomba di san Benedetto (24 ottobre 1964)
Con atteggiamento interiore di autentica pietas, che è forma nobile e vibrante di carità e di amore capace di farsi trepida memoria e di volgersi al passato, desideriamo ricordare quanto tragicamente avvenne qui settant’anni orsono, allorquando la furia cieca e insensata della guerra si abbatté, distruggendolo, su questo che, attraverso il verbo e l’azione di Benedetto di Norcia e dei suoi seguaci, era stato millenario centro irradiatore di cultura, di civiltà, e non solo di vita religiosa, per l’intero occidente. Sembrò quasi che l’antica barbarie — che nell’opera di san Benedetto aveva incontrato efficacissima opposizione al suo dilagare — si fosse presa una feroce rivincita. Ma, come ebbe a scrivere Paolo VI, Montecassino fu ricostruito da una invicta pietas, che si radica sulla buona volontà degli uomini e, ancor più a monte,
su un provvidenziale disegno della storia salvata e redenta da Cristo Signore, crocifisso e risorto, e nella quale il Bene, l’Amore, la Vita trionferà e avrà l’ultima parola. E proprio Paolo VI, vent’anni dopo la distruzione, consacrò la risorta basilica, proclamando san Benedetto celeste patrono d’Europa, quell’Europa che, grazie appunto all’opera evangelizzatrice del santo patriarca, nasce, si sviluppa e vive su radici spirituali autenticamente cristiane, misconoscere o, peggio, rifiutare le quali, sarebbe un gesto di subalternità culturale e di colpevole rinuncia alla propria identità e alla propria storia. Ma l’odierno ricordo anniversario desidera altresì riaffermare il valore, irrinunciabile, della pace e la condanna totale della guerra e di ogni forma di violenza e di sopraffazione. Pace, che non è instabile, sospettosa assenza di belligeranza, bensì disposizione profonda dell’animo, che si fonda sulla giustizia e che vede nell’altro non già un pericoloso nemico da abbattere o un concorrente da cui guardarsi, ma piuttosto un fratello col quale — seppur nella diversità e molteplicità — dialogare con rispetto, benevolenza e confrontarsi serenamente.
Andrej Končalovskij debutta nella regia teatrale in Italia con un classico shakespeariano di GIUSEPPE FIORENTINO Scenografie che rimandano a De Chirico, atmosfere che ricordano Fellini. Nessuna ipotesi si esclude per ottenere un alone di originalità nella messa in scena de La bisbetica domata in programma in questi giorni al teatro Argentina di Roma. Un appuntamento molto atteso per notorietà del regista, Andrej Končalovskij — che in passato ha diretto film di cassetta come Tango & Cash e A trenta secondi dalla fine — e soprattutto per il fatto che questa di Končalovskij è la prima regia teatrale italiana. Pubblico delle grandi occasioni alla prima, quindi, e successo di uno spettacolo che certo non annoia grazie al ritmo sostenuto, al quale del resto la commedia stessa rimanda. Ma al di là delle trovate per così dire contingenti, resta da comprendere se e come lo spettacolo riesce a comunicare la grandezza del testo shakespeariano, per l’occasione affidato alla traduzione di Masolino d’Amico. E a onor del vero, La bisbetica domata di Končalovskij — ambientata nella Padova degli anni Venti del secolo scorso, una città popolata da gerarchi fascisti e signore abbigliate in stile charleston — riesce ad andare oltre le apparenze per offrire allo spettatore
Il segreto della bisbetica un’angolazione privilegiata. Dalla quale si può cogliere un senso diverso della vicenda di Petruccio e Caterina che non sia quello ovvio e un po’ stantio della lotta tra sessi e dell’eterno conflitto tra coniugi. Certo Shakespeare usa anche questo cliché per ottenere delle soluzioni comiche che al pubblico elisabettiano dovevano davvero piacere molto, ma che ad alcuni secoli di distanza sono condannati ad apparire politicamente scorrette. Del resto è difficile pensare che nel XXI secolo sia ancora proponibile la storia della bisbetica che alla fine si piega alla volontà del marito per divenire una sorta di docile animaletto domestico. E in effetti, al di là dei cortocircuiti comici, non era questa l’intenzione di Shakespeare, al quale, come in
quasi tutte le sue opere, preme offrire una riflessione dinamica sulla qualità del teatro in generale, e del suo teatro in particolare. È questa l’angolazione — ben offerta dalla regia di Končalovskij e dall’intepretazione di Mascia Musy (Caterina) e di Federico Vanni
(Petruccio) — dalla quale finalmente si può percepire il conflitto che fa da base alla commedia come una metafora drammatizzata della condizione dell’artista di teatro. Cosa altro è Petruccio se non un regista che, molto faticosamente, si sforza di piegare alla
sua volontà quell’attrice di Caterina, che a sua volta si oppone riottosa per imporre la sua visione della commedia? La bisbetica domata non è l’unica opera — né la certo più famosa — in cui Shakespeare si lascia andare alle sue considerazioni sulla capacità del teatro di proporre letture alternative della realtà. Basti solo ricordare il percorso che passa per Amleto e Re Lear fino a giungere a La tempesta. Ma in questa commedia, come del resto accade nel Sogno di una notte di mezza estate, le meditazioni shakespeariane sono sostenute da una leggerezza tutta speciale. A volte il sorriso si fa un po’ amaro, come le vicende della vita impongono ma, da buon cattolico, Shakespeare non lascia spazio alla disperazione e all’abbandono. E quello che trapela è lo sguardo affettuoso dello scrittore sul mondo. Come affettuoso è lo sguardo del regista Petruccio sulla realtà, che faticosamente cerca di modificare, alla fine ricambiato da Caterina. Vera protagonista dell’opera: perché attraverso di lei Shakespeare lascia comprendere come quella commedia che in fondo è la vita acquisti un significato nuovo solo se ci si abbandona alla direzione del Regista. Con la R maiuscola.
L’OSSERVATORE ROMANO
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sabato 15 febbraio 2014
Il millenario in Russia, Ucraina e Bielorussia
Promessa di lavoro e di terre alle comunità caldee
In nome di san Vladimir
L’impegno per un ritorno delle minoranze in Iraq
MOSCA, 14. «La venerazione del santo principe Vladimir, fondatore della Rus’, è di fondamentale importanza per i popoli di Russia, Ucraina e Bielorussia, non solo in termini di conservazione della nostra identità nazionale, sulla base dei valori della tradizione cristiana ortodossa, ma anche per rafforzare l’unità della nostra civiltà slavoorientale, preservando l’integrità
dello spazio spirituale e culturale sviluppatosi nei milleventicinque anni successivi al Battesimo della Rus’»: lo ha detto il metropolita di Volokolamsk, Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca, nell’intervento che ha aperto, martedì scorso, la prima riunione del comitato organizzatore delle celebrazioni per il millesimo anniver-
Sarà consacrata in Antartide da un vescovo ortodosso russo
La chiesa più a sud
MOSCA, 14. Una spedizione è partita da Mosca in direzione Antartide per consacrare la chiesa ortodossa russa più a sud della Terra. Lo riferisce l’agenzia Interfax. Alla vigilia il vescovo di Naryan-Mar e Mezensk, Iakov, ha guidato una preghiera per i membri della spedizione. Nel 2011 il vescovo ha consacrato il Polo Nord, nel settembre 2013 la Northern Sea Route e ora si appresta a benedire un luogo di culto nel sesto continente. La chiesa della Santissima Trinità è stata costruita nel 2004, in cedro e larice, su King George Island, vicino alla stazione Bellingshausen.
Auspicio del Cec di una maggiore cooperazione con la Chiesa cattolica BOSSEY, 14. Si è concluso con l’auspicio di una maggiore cooperazione tra il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) e la Chiesa cattolica, soprattutto dopo le parole espresse da Papa Francesco sulla giustizia economica e la pace, l’incontro del Comitato esecutivo del Cec svoltosi nei giorni scorsi presso il Centro ecumenico di Bossey, in Svizzera. Si tratta del primo incontro di un organismo del Cec dopo la decima assemblea generale di Busan (Corea del Sud). Proprio per questo l’agenda dei lavori è stata dedicata in gran parte ai mandati dell’assemblea e in particolare alla volontà delle comunità religiose, espressa nel messaggio finale, di camminare insieme in un pellegrinaggio per la giustizia e la pace. Durante i lavori, il comitato esecutivo ha espresso profonda preoccupazione per l’esito del referendum con il quale i cittadini svizzeri hanno deciso, domenica scorsa, di limitare l’immigrazione nel Paese dagli stati dell’Unione europea. «Facciamo nostre le affermazioni delle Chiese — ha dichiarato il segretario generale del Cec, reverendo Olav Fykse Tveit — che hanno ribadito come la Svizzera debba continuare a essere un luogo che accoglie lo straniero». I timori però riguardano anche possibili ripercussioni sullo staff del Consiglio ecumenico delle Chiese, composto da persone di nazionalità diverse. «Vogliamo mantenere la diversità del nostro staff — ha sottolineato Fykse Tveit — che sta a rappresentare la comunione di tutte le nostre Chiese». Infine, il comitato si è detto convinto che camminare insieme in un pellegrinaggio di giustizia e di pace richiede un più forte impegno delle Chiese e delle organizzazioni della società civile, come pure una più stretta collaborazione tra il Cec e gli organismi ecumenici.
sario della morte di san Vladimir I di Kiev, avvenuta il 15 luglio 1015. Il comitato è stato istituito il 20 gennaio dal patriarca Cirillo, il quale, nel luglio 2013, in occasione del 1025° anniversario del Battesimo della Rus’, rivolse un messaggio ai fedeli della Chiesa ortodossa russa sottolineando, in particolare, che «la santa Rus’ è viva finché detiene le scelte fatte dal principe Vladimir, finché mantiene la sua unità spirituale, finché ricorda e onora i nostri comuni santi». Nel 2015 la celebrazione del millesimo anniversario della morte dell’artefice della cristianizzazione della Rus’ «dovrebbe interessare — ha detto Hilarion — tutto il territorio canonico della Chiesa e fuori di essa, ovunque ora vivono i successori del santo principe. È importante che la celebrazione non riguardi solo la capitale, ma anche le regioni. È necessario sostenere tutte le iniziative pubbliche affinché la festa diventi molto popolare». Per il metropolita presidente, lo sviluppo del programma generale delle celebrazioni «richiede l’armonizzazione delle varie istituzioni religiose, nonché una stretta collaborazione con la Chiesa ortodossa ucraina e con l’esarcato bielorusso», mettendo in evidenza la dimensione internazionale dell’evento, il cui principale promotore è l’Università ortodossa di studi umanistici «San Tikhon». Il gruppo di lavoro, principalmente impegnato nelle attività della Federazione russa, comprende anche il metropolita di Boryspil e Brovary, Antonij, amministratore delegato della Chiesa ortodossa ucraina, e l’arcivescovo di Vitebsk e Olshansk, Dimitrij. Hilarion ha chiesto di sviluppare entro un mese un programma di attività che sarà sottoposto all’esame del patriarca Cirillo. In vista delle celebrazioni il primate ortodosso russo ha lanciato un appello ai presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia affinché sostengano e promuovano congiuntamente quella che è una festa comune. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha aderito all’iniziativa istituendo uno speciale gruppo di lavoro.
BAGHDAD, 14. «Aiuteremo i cristiani a far ritorno nella provincia, concedendo loro un pezzo di terra da coltivare e creando al contempo opportunità di lavoro e di sviluppo per quanti sono fuggiti in passato per le violenze e la mancanza di sicurezza». È quanto ha sottolineato il leader sciita Majid Al-Nasrawi, dal giugno 2013 governatore di Bassora (nel sud dell’Iraq, al confine con il Kuwait), durante l’incontro con il patriarca di Baghdad dei Caldei, monsignor Louis Raphaël I Sako, e i vertici della Chiesa caldea. Il summit è avvenuto nei giorni scorsi in concomitanza con i festeggiamenti per l’insediamento del nuovo arcivescovo di Bassorah dei Caldei, monsignor Habib Al-Naufali. È stato un momento di gioia e di festa per tutta la comunità cristiana del Paese, che ha accolto il nuovo pastore nel corso di una concelebrazione eucaristica. L’incontro con il governatore di Bassora segue di pochi giorni la visita di cortesia compiuta da monsignor Sako al gran muftì d’Iraq, Sheikh Rafi Taha Al-Rifai, nella residenza del leader religioso musulmano, volta a rafforzare i rapporti di amicizia e fratellanza fra la comunità cristiana e musulmana, oltre che ad allargare le basi di un’azione comune per raggiungere l’obiettivo di una pace duratura nel Paese. Il governatore di Bassora ha voluto organizzare un pranzo solenne per rendere omaggio al patriarca caldeo e alla delegazione cristiana che lo ha accompagnato. Fra i presenti — oltre ai delegati del Consiglio provinciale — il nuovo arcivescovo di Bassorah dei Caldei, il nunzio apostolico in Giordania e in Iraq, arcivescovo Giorgio Lingua, il vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei, monsignor Shlemon Warduni, alcune suore caldee della congregazione delle figlie di Maria e altri sacerdoti. Durante l’incontro, il governatore Majid Al-Nasrawi ha espresso la sua gioia per la visita della leadership cristiana, confermando il forte legame che unisce la provincia con i
In Malaysia si avvicina il processo sull’uso da parte dei non musulmani della parola Allah
suoi figli cristiani. Inoltre, ha esortato i vescovi a «convincere le famiglie a restare nel Paese e a favorire il rientro di quanti sono fuggiti». Il patriarca di Baghdad dei Caldei ha confermato l’attenzione posta dalla Chiesa cattolica in Iraq al sud del Paese, e in particolare alla città di Bassora, testimone dei primi passi del cristianesimo nell’area con l’ingresso di San Tommaso Apostolo. La nomina di un nuovo arcivescovo è la conferma di un rinnovato impegno verso la comunità cristiana locale. Il patriarca di Baghdad dei Caldei, nel ricordare il bisogno di una “coesistenza pacifica” fra le diverse anime della città e della nazione, ha espresso il desiderio di creare una “Lega Caldea”: un’associazione per coordinare e favorire il contributo dei caldei alla società civile e aiutare l’Iraq a vincere le derive del settarismo confessionale ed etnico. «Come caldei — ha spiegato a Fides il patriarca Sako — viviamo un tempo di confusione e di incertezza. La nostra presenza nella società è debole, frammentata nel campo della politica, della cultura, dell’azione sociale. Una “Lega Caldea” potrà aiutarci a rendere più concreto ed efficace il nostro contributo alla vita civile del Paese. Un’associazione che non diventi strumento diretto dei politici
Solidarietà ai cristiani KUALA LUMPUR, 14. Cresce il sostegno delle comunità cristiane di tutto il mondo verso i fedeli in Malaysia, oggetto, in questi mesi, di attacchi e di una crescente pressione legata all’approssimarsi del processo relativo sull’uso della parola “Allah” da parte di non musulmani. L’ultimo in ordine di tempo a esprimere la propria vicinanza e solidarietà è il World Methodist Council (Wmc, Consiglio metodista mondiale), che ha manifestato “shock e costernazione” in merito alla sentenza dei giudici di appello, nell’ottobre scorso, di vietare l’uso della parola al settimanale cattolico “Herald Malaysia”. In una lettera indirizzata alla Federazione cristiana della Malaysia il vescovo Ivan Abrahams, segretario generale del Wmc, giudica il verdetto di ottobre un “preoccupante” tentativo di affidare a una sola religione il possesso di una terminologia universale.
Il Consiglio metodista mondiale rappresenta oltre ottanta milioni di fedeli, sparsi in 130 Paesi di tutto il mondo. Secondo il vescovo Abrahams, il verdetto potrebbe fomentare «divisioni non richieste fra cristiani e musulmani» in Malaysia e ha esortato l’esecutivo di Kuala Lumpur a non “politicizzare” un aspetto che riguarda soltanto la sfera religiosa e privata. «I figli di Abramo — ha spiegato il vescovo — condividono la fede nello stesso Dio, per questo rivendicare il possesso esclusivo di un nome è un atto fortemente divisivo». Le preghiere di milioni di fedeli del World Methodist Council si uniscono alla solidarietà manifestata la scorsa settimana anche dalla Chiesa evangelica luterana negli Stati Uniti, secondo cui tutta la controversia scatenata in Malaysia «non riguarda solo la fede, ma comprende pure la storia e la lingua». I luterani condannano inol-
tre il raid del mese scorso, durante il quale le autorità malaysiane hanno sequestrato trecento copie della Bibbia. Anche le Nazioni Unite, attraverso il rappresentante speciale per la libertà di credo e di culto, sono intervenute nella vicenda e hanno lanciato un appello alle autorità di Kuala Lumpur affinché ribaltino la sentenza della Corte che vieta al settimanale cattolico l’uso della parola. Di recente, è stata la comunità cattolica malaysiana a essere il bersaglio preferito di una serie di attacchi, fra cui la profanazione di alcune lapidi e tombe in un cimitero e il lancio di bombe molotov contro una chiesa. Anche in questi casi, alla base delle violenze ci sarebbero i contrasti circa l’uso della parola “Allah”. Il caso, si ricorda, è divampato in seguito allo scontro — giunto nelle aule di tribunale — fra padre Andrew Lawrence, direttore del settimanale cattolico “Herald Malaysia”, e il Governo. La sentenza dell’ottobre scorso ha negato il diritto di usare la parola “Allah” per definire il Dio cristiano; il sacerdote ha fatto richiesta di appello e la prima udienza in tribunale è fissata per il 5 marzo prossimo. Da un lato l’obiettivo è difendere i diritti della minoranza nelle aule di tribunale, dall’altro si cerca di lavorare per ritrovare l’armonia e favorire la convivenza pacifica fra le diverse anime del Paese. In una nazione di oltre ventotto milioni di abitanti in larga maggioranza musulmani (60 per cento), i cristiani sono la terza comunità religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni; la pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall’inizio, il termine “Allah” era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale.
In Sri Lanka aiuti a un villaggio buddista COLOMBO, 14. Venti cisterne per immagazzinare acqua piovana prima che, verso marzo, inizi la tradizionale stagione di siccità: è il dono di un’associazione cristiana tedesca, “Arbeitskreis Sri Lanka e.V. Münster” al villaggio buddista di Mullagasyaya che si trova nel distretto di Embilipitiya, nel sud dello Sri Lanka. «Questo aiuto — hanno spiegato ad AsiaNews alcune donne del villaggio — ha un valore incommensurabile che ci permetterà di sopravvivere». Il villaggio è abitato da 85 famiglie buddiste. La fonte primaria della loro sopravvivenza viene dalla coltivazione di riso, ortaggi e grano. Ogni anno però, con l’arrivo della stagione secca, gli abitanti del villaggio hanno problemi con la raccolta d’acqua. L’iniziativa benefica è nata in collaborazione con le suore della Sacra Famiglia, che aiutano gli abitanti del villaggio e nel 2009 hanno creato il collettivo femminile locale “Diriya Kaantha Ekathuwa”.
† L’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea affida alla misericordia del Signore
Mons.
VINCENZO CARBONE Lo ricorda con affetto e viva riconoscenza per il prezioso servizio di guida spirituale a bene di tante suore, di consigliere e profondo conoscitore della storia dell’Istituto medesimo. Nella preghiera implora per lui la pace eterna.
cristiani, ma cerchi di muoversi su un orizzonte più largo. L’immagine che ho presente — ha concluso — è quella di un’élite di laici, professionisti, intellettuali, esperti, persone che hanno ruoli nella vita pubblica, che si coordini e renda più efficace il contributo civile e umanitario dei caldei a servizio della società, per costruire ponti tra i cristiani e con tutti gli iracheni non solo sul piano religioso e spirituale, ma anche su quello sociale e civile. È venuto il tempo di creare un’organizzazione che sappia valorizzare le proprie competenze, al servizio di tutti».
Non c’è democrazia senza il rispetto dei più deboli GERUSALEMME, 14. «Non si può imporre la democrazia. La democrazia passa attraverso l’educazione». È quanto ha affermato monsignor William Hanna Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, nel corso di una conferenza sulla «Primavera araba» svoltasi nei giorni scorsi a Notre Dame di Gerusalemme. Il vescovo — come riferisce il sito del patriarcato — ha parlato brevemente dei rapporti tra i diversi movimenti di protesta popolare, e della preoccupazione per la democrazia espressa da parte dei politici. Ha anche proposto un criterio per verificare se una democrazia è autentica o se è illusoria: si tratta di monitorare «il rispetto delle minoranze e dei diritti delle donne e dei bambini. Si parlerebbe già di oltre la metà della società». Per quanto riguarda le minoranze, monsignor Shomali ha spiegato che «pochi cristiani nei Paesi arabi, che hanno conosciuto queste agitazioni e rivoluzioni, hanno effettivamente partecipato a questi movimenti, e ciò per paura. La democrazia deve essere preparata. Imporre la democrazia senza preparazione è come l’acquisto di mobili prima di costruire la casa». Infine, il presule ha concluso insistendo sul fatto che la maggioranza dei musulmani non è estremista. Ci sono tra loro molti musulmani moderati, e su questi bisogna far leva per arrivare a una pacificazione nazionale.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 15 febbraio 2014
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Il Papa raccomanda ai vescovi della Repubblica Ceca sinergia tra clero, religiosi e laici
La messa a Santa Marta
La Chiesa alleata dell’uomo
Avanti oltre gli ostacoli
La presenza dei cattolici nella vita pubblica voce di verità sui problemi del momento Un dialogo costruttivo con tutti, anche con coloro che sono lontani da ogni sentimento religioso affinché «le comunità cristiane siano sempre luoghi di accoglienza, di confronto aperto e pacato». Lo ha detto Papa Francesco rivolgendosi questa mattina, venerdì 14 febbraio, ai vescovi della Conferenza episcopale della Repubblica Ceca, ricevuti in occasione della loro visita ad limina Apostolorum. Questo il testo del discorso del Pontefice. Cari Fratelli nell’Episcopato, Vi accolgo in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum, con la quale avete rinnovato e consolidato la comunione della Chiesa che è nella Repubblica Ceca con la Sede di Pietro. Gli incontri e i cordiali colloqui di questi giorni, nei quali avete condiviso con me e con i miei collaboratori della Curia Romana le gioie e le speranze, come anche le difficoltà e le inquietudini delle Comunità a voi affidate, sono stati per me l’occasione di conoscere meglio la situazione della Chiesa nelle vostre regioni. Siete giustamente fieri a motivo delle solide radici cristiane del vostro popolo, la cui fede risale all’evangelizzazione dei santi Cirillo e Metodio; al tempo stesso siete consapevoli che l’adesione a Cristo non è solo conseguenza di un passato seppur importante, ma è atto personale ed ecclesiale che impegna nell’oggi della storia ogni persona e ogni comunità. Per favorire nei fedeli l’adeguata conoscenza di Gesù Cristo e l’incontro personale con Lui, voi siete chiamati anzitutto ad incrementare le opportune iniziative pastorali volte ad una solida preparazione ai Sacramenti e ad una partecipazione attiva alla liturgia. È necessario altresì l’impegno per l’educazione religiosa e per una presenza qualificata nel mondo della scuola e della cultura. Non può mancare da parte vostra un’apertura vigile e coraggiosa agli impulsi nuovi dello Spirito Santo, che distribuisce i suoi carismi e rende disponibili i fedeli laici ad assumere responsabilità e ministeri, utili al rinnovamento e alla crescita della Chiesa. Per affrontare le sfide contemporanee e le nuove urgenze pastorali, è necessaria una sinergia tra il clero, i religiosi e i fedeli laici. Ognuno nel proprio ruolo è chiamato a dare un generoso apporto affinché la Buona Novella sia annunciata in ogni ambiente, anche quello più ostile o lontano dalla Chiesa; affinché l’annuncio possa raggiungere le periferie, le diverse categorie di persone, specialmente i più deboli e i più poveri di speranza. Di cuore auspico che, fiduciosi nelle parole del Signore che ha promesso di rimanere sempre presente tra noi (cfr. Mt 28, 20), continuiate a camminare con la vostra gente sulla strada di una gioiosa adesione al Vangelo. Se per un lungo periodo la Chiesa nel vostro Paese è stata oppressa da regimi fondati su ideologie contrarie alla dignità e alla libertà umana, oggi dovete confrontarvi con altre insidie, quali ad esempio il secolarismo e il relativismo. È pertanto necessario, accanto ad un annuncio instancabile dei valori evangelici, un dialogo costruttivo con tutti, anche con coloro che sono lontani da ogni sentimento religioso. Le comunità cristiane siano sempre luoghi di accoglienza, di confronto aperto e pacato; siano operatrici di riconciliazione e di pace, stimolo per l’intera società nel perseguimento del bene comune e nell’attenzione verso i più
Lutto nell’episcopato Monsignor Louis Nganga a Ndzando, vescovo emerito di Lisala (Repubblica Democratica del Congo), è morto giovedì mattina, 13 febbraio, all’età di 91 anni. Il compianto presule era nato a Ndeke Mabela, in diocesi di Lisala, nel 1923 ed era stato ordinato sacerdote il 22 febbraio 1953. Eletto alla Chiesa titolare di Atira il 18 aprile 1961 e nel contempo nominato ausiliare di Lisala, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 9 luglio seguente. Il 25 novembre 1964 è divenuto vescovo di Lisala. Il 6 luglio 1997 aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi. Le esequie vengono celebrate, sabato mattina, 15 febbraio, nella cattedrale di Lisala.
bisognosi; siano operatrici della cultura dell’incontro. Di fronte alle condizioni di precarietà in cui vivono varie fasce della società, specialmente famiglie, anziani e malati, come pure di fronte alle fragilità spirituali e morali di tante persone, in particolare i giovani, la comunità cristiana tutta si sente interpellata, a partire dai suoi pastori, e segnatamente dal Vescovo. Egli è chiamato ad offrire ovunque la risposta di Cristo, dedicandosi senza riserve al servizio del Vangelo, santificando, istruendo e guidando il Popolo di Dio. Vi esorto pertanto ad essere perseveranti nella preghiera, generosi nel servire il vostro popolo, pieni di zelo nell’annuncio della Parola. Sarà vostra cura seguire con affetto paterno i sacerdoti: essi sono i vostri principali collaboratori, e il loro ministero parrocchiale richiede una opportuna stabilità, sia per realizzare un proficuo programma pastorale, sia per favorire un clima di fiducia e di serenità nella gente. Vi incoraggio a promuovere in modo sempre più organico e capillare la pastorale vocazionale, per favorire specialmente nei giovani la ricerca di significato e di donazione a Dio e ai fratelli. La vostra attenzione sia rivolta anche alla pastorale familiare: la famiglia è l’elemento portante della vita sociale e solo lavorando in favore delle famiglie si può rinnovare il tessuto della comunità ecclesiale e la stessa società civile. Come non vedere, poi, l’importanza della presenza dei cattolici nella vita pubblica, come
anche nei mezzi di comunicazione? Dipende anche da loro il far sì che si possa sempre sentire una voce di verità sui problemi del momento e si possa percepire la Chiesa come alleata dell’uomo, al servizio della sua dignità. Tutti conosciamo l’importanza fondamentale dell’unione e della solidarietà tra i Vescovi, come pure della loro comunione con il Successore di Pietro. Questa fraterna unione è parimenti imprescindibile per l’efficacia dei lavori della vostra Conferenza Episcopale, che può darvi anche maggiore autorevolezza nelle vostre relazioni con le autorità civili del Paese, tanto nella vita ordinaria quanto nell’affrontare i problemi più delicati. Nel campo economico è necessario sviluppare un sistema il quale, tenendo conto che i mezzi materiali sono destinati esclusivamente alla missione spirituale della Chiesa, garantisca ad ogni realtà ecclesiale il necessario e
I due santi fratelli Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, in una scultura sul Ponte Carlo a Praga
la libertà per l’attività pastorale. Occorre vigilare attentamente affinché i beni ecclesiastici siano amministrati con oculatezza e trasparenza, siano tutelati e preservati, anche con l’aiuto di laici fidati e competenti. Cari Fratelli, vi esprimo la mia gratitudine per l’instancabile lavoro pastorale che svolgete nelle vostre Chiese e vi assicuro la mia vicinanza spirituale e il mio sostegno nella preghiera. Nell’invocare su di voi e sul vostro ministero l’intercessione della Vergine Santa, vi chiedo per favore di pregare sempre per me e di cuore imparto la mia Benedizione a voi, ai vostri sacerdoti, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici.
Incontro del Pontefice con due fratelli ex rifugiati politici argentini
Più solidarietà con i profughi Erano fuggiti dall’Argentina negli anni della dittatura. Erano approdati in Svezia, dove avevano trovato subito accoglienza e non avevano faticato molto a integrarsi completamente nella società svedese, nella quale oggi sono perfettamente inseriti. Carlos e Rodolfo Luna, i due “fuggiaschi”argentini, sono in questi giorni a Roma e mercoledì scorso, 12 febbraio, hanno avuto la gioia di poter ricordare quei tempi difficili insieme a Papa Francesco. Un incontro molto cordiale, durato circa un’ora, durante il quale — come riferisce un ampio servizio mandato in onda dalla Radio Vaticana — si è parlato, oltreché di ricordi comuni, anche e soprattutto del dramma dei profughi nel mondo e della necessità di aprirsi all’accoglienza. Non a caso Papa Francesco durante il colloquio con i fratelli Luna, ha più volte lodato il Paese scandinavo che ha aperto le frontiere agli immigrati e ne ha favorito l’integrazione nella propria società. Non sono ovviamente mancati ricordi personali di Papa Francesco. Tra l’altro egli ha conosciuto la moglie di uno dei due fratelli, ora morta. All’epoca Jorge Mario Bergoglio lavorava in un laboratorio chimico e il suo “capo” era la signora Esther, la mamma che era anche la suocera di uno dei due fratelli argentini. Era «alquanto severa» ma nonostante ciò le è rimasto «molto affezionato». E ha anche ricordato che nel periodo in cui i due fratelli erano sotto sorveglian-
za nascose la loro biblioteca nel Collegio Máximo di Buenos Aires. Ed è stato a questo punto che il pensiero del Papa è andato a un pastore luterano, Anders Gutt, con il quale ha condiviso, a Buenos Aires, la cattedra di Teologia spirituale: «Eravamo un gesuita e un luterano — ha detto — ma ci capivamo molto bene». Parlando dell’esperienza dei due fratelli argentini e della situazione di tanti immigrati, il Papa è tornato a lodare l’apertura solidale della Svezia, un Paese, ha notato, non a caso impreziosito dalla testimonianza di santi come santa Brigida, ma anche da quella di tanti «luterani. Grandi uomini e donne luterani». E di Paesi accoglienti ce n’è un grande bisogno, hanno convenuto il Papa e i suoi ospiti, soprattutto in considerazione del fatto che oggi «abbiamo tanti rifugiati — ha sottolineato il Papa — ma nessuno li vuole. Oggi sono una “parolaccia”. Forse il messaggio è che la salvezza di un popolo sta nell’essere fratelli di quelli che stanno patendo l’esilio dalla loro patria. Perché Dio benedice questo. Questo è essere fratelli. E noi, nella nostra fede cristiana, sappiamo bene che anche Gesù è stato un rifugiato quando volevano ucciderlo da bambino». Gesù era «un rifugiato. Non un turista. Non è fuggito per motivi di lavoro. È fuggito dalla morte. Come un rifugiato». È quanto hanno compreso gli svedesi i quali «aprono il loro cuore al fratello — ha notato il Pon-
tefice — alla sorella, che non hanno dove vivere, dove lavorare, dove dormire tranquilli». La Svezia dunque «resta un modello di accoglienza: apre le frontiere, organizza corsi linguistici» riservati ai migranti, «li aiuta economicamente, li guida a inserirsi nella società. Non hanno rinchiuso nessuno in una sorta di “campo di concentramento” e in luoghi orribili simili. Questo è un esempio che possiamo presentare al mondo». Il discorso si è poi spostato su Lampedusa. Il Pontefice ha notato che nonostante spesso «la globalizzazione dell’indifferenza ci porta a dire: “Arrivano i rifugiati. Che ci pensino loro, gli altri”, a Lampedusa il popolo ha sentito la necessità di accoglierli. E accolgono! Il popolo di Lampedusa — insieme al sindaco, che è una donna, una donna forte, coraggiosa — ha capito che la sua missione è accogliere». Il ricordo si è poi spostato al lavoro svolto dai gesuiti, con l’intuizione di padre Arrupe di fondare il Centro Astalli per i rifugiati e sulla situazione dell’immigrazione in America latina. Il Pontefice ha parlato del particolare ruolo che hanno svolto le donne del Paraguay, «le più eroiche dell’America» ha detto, perché scelsero di avere figli, per salvare la patria, la lingua, la cultura e la fede. Io desidererei che un giorno il comitato del premio Nobel desse il premio alla donna paraguaiana. Per avere salvato la cultura, la patria».
Camminare, andare avanti, oltre gli ostacoli. Questo è l’atteggiamento giusto per il buon cristiano perché fa parte della sua identità. Anzi un cristiano che non cammina, che non va avanti «è malato nella sua identità». Papa Francesco — durante la messa celebrata a Santa Marta questa mattina venerdì 14 febbraio — è tornato ripetere l’invito che spesso rivolge ai fedeli che incontra: «Avanti, andate avanti». E lo ha fatto ricordando due fratelli, patroni d’Europa, Cirillo e Metodio, dei quali oggi ricorre la memoria. Come discepoli, sono stati inviati nel mondo per portare il messaggio e questo loro andare, ha sottolineato il Papa, «ci fa riflettere sull’identità del discepolo», che è l’identità cristiana. Ma, si è domandato il Pontefice, «chi è il cristiano?», «come si comporta il cristiano?». La sua risposta è stata: il cristiano «è un discepolo. È un discepolo che è inviato. Il Vangelo è chiaro: il Signore li inviò, andate, andate avanti! E questo significa che il cristiano è un discepolo del Signore che cammina, che va sempre avanti. Non si può pensare a un cristiano fermo. Un cristiano che rimanga fermo è ammalato nella sua identità cristiana». Ricordando quanto proclamato poco prima nel Salmo ha ripetuto che il cristiano è discepolo proprio per camminare, per andare: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo». (Salmo 116). Camminare per il cristiano significa però anche «andare oltre le difficoltà». Per spiegare questa affermazione Papa Francesco ha fatto riferimento alla lettura del giorno tratta dagli Atti degli Apostoli (13, 46-49), nella quale Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisìdia vedendo che gli ebrei non li seguivano «sono andati ai pagani: avanti!». Del resto, ha proseguito il Pontefice, anche Gesù alle nozze di Cana «ha fatto così, è andato avanti: gli invitati non sono venuti; tutti hanno trovato un motivo per non andare. Cosa dice Gesù, non facciamo la festa? No! Andate all’incrocio dei cammini, delle strade e invitate tutti, buoni e cattivi. Così dice il Vangelo. Ma anche i cattivi? Anche i cattivi! Tutti! Il cristiano cammina, se ci sono difficoltà va oltre per annunciare che il Regno di Dio è vicino». Secondo aspetto dell’identità del cristiano è che «deve rimanere sempre agnello. Una vecchia antifona pasquale ci fa cantare: “Questi sono gli agnelli nuovi, battezzati”». Papa Francesco si è riferito al passo del Vangelo di Luca poco prima proclamato (10, 1-9) e ha detto: «Il cristiano è un agnello e deve conservare questa identità di agnello: “andate, ecco vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”». Davide, ha ricordato, non ha accettato le armature che gli erano state offerte per lottare contro il filisteo: non avrebbe potuto muoversi, non sarebbe stato «se stesso, l’umile, il semplice Davide. Alla fine ha preso la fionda e ha vinto la battaglia». Bisogna dunque restare agnelli e «non diventare lupi, perché alle volte — ha precisato il Santo Padre — la tentazione ci fa pensare: “Questo è difficile, questi lupi sono furbi e anche io sarò più furbo di loro!”». Dunque restare «agnello, non scemo; ma agnello. Agnello, con l’astuzia cristiana, ma sempre agnello. Perché se tu sei agnello Lui ti difende. Ma se ti senti forte come il lupo Lui non ti difende, ti lascia solo. E i lupi ti mangeranno crudo». «Qual è — ha chiesto — lo stile del cristiano in questo camminare come agnello?» si è poi chiesto il Papa passando a illustrare il terzo elemento che caratterizza l’identità cristiana. «La gioia», è stata la risposta. «Isaia — ha proseguito — ci dice nel suo Libro: come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia pace, di quello che viene a dirci che il Signore è il re. Sono persone che esultano perché conoscono il Signore e portano il Signore». E ha continuato: «La gioia è lo stile del cristiano. Non può camminare il cristiano senza gioia. Non si può camminare come agnelli senza gioia». Un atteggiamento che va mantenuto sempre, anche di fronte ai problemi, nei momenti di difficoltà, anche «nei propri sbagli e peccati» perché «c’è
la gioia di Gesù che sempre perdona e aiuta». Dunque il Vangelo, ha ripetuto il vescovo di Roma, deve essere portato nel mondo da questi agnelli che camminano con gioia. «Non fanno un favore al Signore nella Chiesa — ha quindi ammonito — quei cristiani che hanno un tempo di adagio lamentoso, che vivono sempre così, lamentandosi di tutto, tristi. Questo non è lo stile di un discepolo. Sant’Agostino dice: vai, vai avanti, canta e cammina, con la gioia! E quello è lo stile del cristiano: annunciare il Vangelo con gioia». Invece «la troppa tristezza e anche l’amarezza ci portano a vivere un cosiddetto cristianesimo senza Cristo». Il cristiano non sta mai fermo: è un uomo, una donna che cammina sempre, che va oltre le difficoltà. E lo fa con le sue forze e con gioia. «Il Signore — ha concluso — ci conceda la grazia di vivere come cristiani che camminano come agnelli e con gioia».
Nomine episcopali in Argentina Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Argentina.
Alejandro Daniel Giorgi ausiliare di Buenos Aires È nato il 25 gennaio 1959 a Buenos Aires. Dopo aver seguito gli studi primari e secondari nel collegio salesiano di San Francesco di Sales della capitale argentina, ha studiato medicina presso l’Università nazionale di Buenos Aires. È poi entrato nel seminario metropolitano di Buenos Aires ed è stato ordinato sacerdote il 17 novembre 1990. Nel 1991 è stato nominato vicario parrocchiale di San Pedro Apóstol, di Villa Devoto. L’anno successivo è stato nominato prefetto e nel 1999 vicerettore del seminario metropolitano dell’Inmaculada Concepción. Nel 2010 è diventato membro del collegio dei consultori e, l’anno seguente, del consiglio presbiterale. Dal 2007 è rettore del seminario metropolitano di Buenos Aires. Ha conseguito la licenza in teologia presso la Pontificia università cattolica argentina.
Gustavo Alejandro Montini ausiliare di San Roque de Presidencia Roque Sáenz Peña È nato il 27 luglio 1970 a Raquel (Santa Fe). Ha seguito gli studi ecclesiastici nel seminario Nostra Signora di Loreto di Córdoba, dove allora si formavano i seminaristi della diocesi di Rafaela, e ha ottenuto i titoli di professore di filosofia e scienze religiose e il baccalaureato in teologia presso la Pontificia università cattolica argentina. Il 15 marzo 1996 è stato ordinato sacerdote per la diocesi di Rafaela, nella quale è stato vicario parrocchiale in tre parrocchie, professore della scuola degli agenti della pastorale, assessore diocesano e nazionale della pastorale giovanile, delegato regionale per la commissione nazionale di pastorale giovanile, vicepresidente della Caritas diocesana, delegato episcopale per l’ordine delle vergini consacrate, direttore spirituale del seminario di Paraná, vicecancelliere, cancelliere, vicario episcopale, moderatore della Curia. Dal 2008 è vicario generale della diocesi di Rafaela. Ha conseguito la licenzia in teologia spirituale presso il Pontificio istituto di spiritualità Teresianum, a Roma.
L’OSSERVATORE ROMANO
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sabato 15 febbraio 2014
Papa Francesco spiega alle coppie di fidanzati come far durare un matrimonio
Per sempre Un dialogo aperto, fatto di domande e di risposte quello svoltosi questa mattina, venerdì 14 febbraio, in piazza San Pietro tra Papa Francesco e le migliaia di giovani coppie di fidanzati giunte a Roma da diversi Paesi del mondo in occasione della festa di San Valentino. Di seguito pubblichiamo le domande rivolte dai giovani al Papa e le sue risposte.
La paura del “per sempre” Santità, in tanti oggi pensano che promettersi fedeltà per tutta la vita sia un’impresa troppo difficile; molti sentono che la sfida di vivere insieme per sempre è bella, affascinante, ma troppo esigente, quasi impossibile. Le chiederemmo la sua parola per illuminarci su questo. A questa domanda di Nicolas e Marie Alexia, giovani fidanziati provenienti da Gibilterra, il Papa ha così risposto: Ringrazio per la testimonianza e per la domanda. Vi spiego: loro mi hanno inviato le domande in anticipo. Si capisce. E così io ho potuto
riflettere e pensare una risposta un po’ più solida. È importante chiedersi se è possibile amarsi “per sempre”. Questa è una domanda che dobbiamo fare: è possibile amarsi “per sempre”? Oggi tante persone hanno paura di fare scelte definitive. Un ragazzo diceva al suo vescovo: “Io voglio diventare sacerdote, ma soltanto per dieci anni”. Aveva paura di una scelta definitiva. Ma è una paura generale, propria della nostra cultura. Fare scelte per tutta la vita, sembra impossibile. Oggi tutto cambia rapidamente, niente dura a lungo. E questa mentalità porta tanti che si preparano al matrimonio a dire: “stiamo insieme finché dura l’amore”, e poi? Tanti saluti e ci vediamo. E finisce così il matrimonio. Ma cosa intendiamo per “amore”? Solo un sentimento, uno stato psicofisico? Certo, se è questo, non si può costruirci sopra qualcosa di solido. Ma se invece l’amore è una relazione, allora è una realtà che cresce, e possiamo anche dire a modo di esempio che si costruisce come una casa. E la casa si costruisce assieme, non da soli! Costruire qui significa favorire e aiutare la crescita. Cari fidanzati, voi vi state preparando a crescere insieme, a costruire questa casa, per vivere insieme per sempre. Non volete fondarla sulla sabbia dei sentimenti che vanno e vengono, ma sulla roccia dell’amore vero, l’amore che viene da Dio. La famiglia nasce da questo progetto d’amore che vuole crescere come si costruisce una casa che sia luogo di affetto, di aiuto, di speranza, di sostegno. Come l’amore di Dio è stabile e per sempre, così anche l’amore che fonda la famiglia vogliamo che sia stabile e per sempre. Per favore, non dobbiamo lasciarci vincere dalla “cultura del provvisorio”! Questa cultura che oggi ci invade tutti, questa cultura del provvisorio. Questo non va! Dunque come si cura questa paura del “per sempre”? Si cura giorno per giorno affidandosi al Signore Gesù in una vita che diventa un cammino spirituale quotidiano, fatto di passi, passi piccoli, passi di crescita comune, fatto di impegno a diventare donne e uomini maturi nella fede. Perché, cari fidanzati, il “per sempre” non è solo una questione di durata! Un matrimonio non è riuscito solo se dura, ma è importante la sua qualità. Stare insieme e sapersi amare per sempre è la sfida degli sposi cristiani. Mi viene in mente il miracolo della moltiplicazione dei pani: anche per voi, il Signore può
moltiplicare il vostro amore e donarvelo fresco e buono ogni giorno. Ne ha una riserva infinita! Lui vi dona l’amore che sta a fondamento della vostra unione e ogni giorno lo rinnova, lo rafforza. E lo rende ancora più grande quando la famiglia cresce con i figli. In questo cammino è importante, è necessaria la preghiera, sempre. Lui per lei, lei per lui e tutti e due insieme. Chiedete a Gesù di moltiplicare il vostro amore. Nella preghiera del Padre Nostro noi diciamo: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Gli sposi possono imparare a pregare anche così: “Signore, dacci oggi il nostro amore quotidiano”, perché l’amore quotidiano degli sposi è il pane, il vero pane dell’anima, quello che li sostiene per andare avanti. E la preghiera: possiamo fare la prova per sapere se sappiamo dirla? “Signore dacci oggi il nostro amore quotidiano”. Tutti insieme! [fidanzati: “Signore dacci oggi il nostro amore quotidiano”]. Un’altra volta! [fidanzati: “Signore dacci oggi il nostro amore quotidiano”]. Questa è la preghiera dei fi-
danzati e degli sposi. Insegnaci ad amarci, a volerci bene! Più vi affiderete a Lui, più il vostro amore sarà “per sempre”, capace di rinnovarsi, e vincerà ogni difficoltà. Questo ho pensato che volevo dirvi, rispondendo alla vostra domanda. Grazie!
Vivere insieme: lo “stile” della vita matrimoniale Santità, vivere insieme tutti i giorni è bello, dà gioia, sostiene. Ma è una sfida da affrontare. Crediamo che bisogna imparare ad amarsi. C’è uno “stile” della vita di coppia, una spiritualità
del quotidiano che vogliamo apprendere. Può aiutarci in questo, Padre Santo? Alla domanda postagli da Stefano e Valentina, due giovani della Ciociaria, il Papa ha così risposto:
va l’amore» (Cap. 37). Sì, la cortesia conserva l’amore. E oggi nelle nostre famiglie, nel nostro mondo, spesso violento e arrogante, c’è bisogno di molta più cortesia. E questo può incominciare a casa. “Grazie”. Sembra facile pronunciare questa parola, ma sappiamo che non è così. Però è importante! La
Vivere insieme è un’arte, un cammino paziente, bello e affascinante. Non finisce quando vi siete conquistati l’un l’altro... Anzi, è proprio allora che inizia! Questo cammino di ogni giorno ha Giovani, non abbiate paura delle regole che si possono riassumere in di sposarvi: uniti in un matrimonio queste tre parole che fedele e fecondo, sarete felici. tu hai detto, parole che ho ripetuto già (@Pontifex_it) tante volte alle famiglie, e che voi già potete imparare ad usare tra voi: per- insegniamo ai bambini, ma poi la dimesso ossia “posso”, tu hai detto gra- mentichiamo! La gratitudine è un sentimento importante: ricordate il zie, e scusa. Vangelo di Luca? Un’anziana, una “Posso, Permesso?”. È la richiesta volta, mi diceva a Buenos Aires: “la gentile di poter entrare nella vita di gratitudine è un fiore che cresce in qualcun altro con rispetto e attenzio- terra nobile”. È necessaria la nobiltà ne. Bisogna imparare a chiedere: dell’anima perché cresca questo fioposso fare questo? Ti piace che fac- re. Ricordate il Vangelo di Luca? Gesù guarisce dieci malati di lebbra e poi solo uno torna indietro a dire grazie a Gesù. E il Signore dice: e gli altri nove dove sono? Questo vale anche per noi: sappiamo ringraziare? Nella vostra relazione, e domani nella vita matrimoniale, è importante tenere viva la coscienza che l’altra persona è un dono di Dio, e ai doni di Dio si dice grazie!, di cui sempre rendere grazie. E in questo atteggiamento interiore dirsi grazie a vicenda, per ogni cosa. Non è una parola gentile da usare con gli estranei, per essere educati. Bisogna sapersi dire grazie, per andare avanti bene insieme nella vita matrimoniale. La terza: “Scusa”. Nella vita facciamo tanti errori, tanti sbagli. Li facciamo tutti. Ma forse qui c’è qualcuno che non ha mai fatto uno sbaglio? Alzi la mano se c’è qualcuno, lì: una persona che mai ha fatto uno sbaglio? Tutti ne facciamo! Tutti! Forse non c’è giorno in cui non ciamo così? Che prendiamo questa facciamo qualche sbaglio. La Bibbia iniziativa, che educhiamo così i figli? dice che il più giusto pecca sette Vuoi che questa sera usciamo?... In- volte al giorno. E così noi facciamo somma, chiedere permesso significa sbagli... Ecco allora la necessità di saper entrare con cortesia nella vita usare questa semplice parola: “scudegli altri. Ma sentite bene questo: sa”. In genere ciascuno di noi è saper entrare con cortesia nella vita pronto ad accusare l’altro e a giustidegli altri. E non è facile, non è faci- ficare se stesso. Questo è incominle. A volte invece si usano maniere ciato dal nostro padre Adamo, quanun po’ pesanti, come certi scarponi do Dio gli chiede: “Adamo, tu hai da montagna! L’amore vero non si mangiato di quel frutto?”. “Io? No! impone con durezza e aggressività. È quella che me lo ha dato!”. AccuNei Fioretti di san Francesco si trova sare l’altro per non dire “scusa”, questa espressione: «Sappi che la “perdono”. È una storia vecchia! È cortesia è una delle proprietà di un istinto che sta all’origine di tanti Dio... e la cortesia è sorella della ca- disastri. Impariamo a riconoscere i rità, la quale spegne l’odio e conser- nostri errori e a chiedere scusa.
“Scusa se oggi ho alzato la voce”; “scusa se sono passato senza salutare”; “scusa se ho fatto tardi”, “se questa settimana sono stato così silenzioso”, “se ho parlato troppo senza ascoltare mai”; “scusa se mi sono dimenticato”; “scusa ero arrabbiato e me la sono presa con te”. Tanti “scusa” al giorno noi possiamo dire. Anche così cresce una famiglia cristiana. Sappiamo tutti che non esiste la famiglia perfetta, e neppure il marito perfetto, o la moglie perfetta. Non parliamo della suocera perfetta... Esistiamo noi, peccatori. Gesù, che ci conosce bene, ci insegna un segreto: non finire mai una giornata senza chiedersi perdono, senza che la pace torni nella nostra casa, nella nostra famiglia. È abituale litigare tra gli sposi, ma sempre c’è qualcosa, avevamo litigato. Forse vi siete arrabbiati, forse è volato un piatto, ma per favore ricordate questo: mai finire la giornata senza fare la pace! Mai, mai, mai! Questo è un segreto, un segreto per conservare l’amore e per fare la pace. Non è necessario fare un bel discorso. Talvolta un gesto così e... è fatta la pace. Mai finire... perché se tu finisci la giornata senza fare la pace, quello che hai dentro, il giorno dopo è freddo e duro ed è più difficile fare la pace. Ricordate bene: mai finire la giornata senza fare la pace! Se impariamo a chiederci scusa e a perdonarci a vicenda, il matrimonio durerà, andrà avanti. Quando vengono nelle udienze o a Messa qui a Santa Marta gli anziani sposi, che fanno il 50.mo, io faccio la domanda: “Chi ha sopportato chi?” È bello questo! Tutti si guardano, mi guardano, e mi
Trentamila sì in piazza san Pietro Trentamila sì. Trentamila per sempre «vissuti, e con gioia, in un mondo che ci grida no». Perché non si sentono «strane, fuori moda o supereroi solo perché proviamo a essere cristiani» le quindicimila coppie che stamani con Papa Francesco hanno vissuto un singolarissimo incontro di preparazione al matrimonio. Quasi tutte hanno già fissato la data delle nozze entro l’anno. Eloquente, del resto, il tema della giornata voluta dal Pontificio Consiglio per la famiglia: «La gioia del sì per sempre». «Festeggiamo con il Papa un San Valentino diverso, unico» dice Alfonso «disoccupato ma fiducioso», venuto da Napoli con la fidanzata Chiara «per fare il pieno di speranza insieme a tanti ragazzi che vivono ogni giorno i nostri stessi problemi». E per Alessia, fiorentina, «in fondo non è poi così complicato andare controcorrente se si è felici». Le fa eco il suo fidanzato Alessio, suggerendo che «non ci si sposa quando i problemi sono tutti risolti, ma ci si sposa per risolvere insieme i problemi». Il Papa li ha accolti tutti in un grande abbraccio. Con loro ha pregato. Soprattutto li ha incoraggiati. Con loro ha dialogato a viso aperto, rispondendo alle domande schiette di tre coppie. La festa però non ha fatto dimenticare la solidarietà per le famiglie siriane, è stata effettuata una raccolta, e «per le fidanzate, le donne, i minori vittime delle violenze» come ha ricordato l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Dicastero della Fami-
glia, accogliendo il Papa al suo arrivo in piazza. «Non c’è felicità pensando solo a se stessi» ha ripetuto l’arcivescovo. E se è vero che «i numeri non sono tutto» va detto che «una partecipazione così massiccia di fidanzati era imprevedibile e anche il loro entusiasmo dice molto» ha affermato monsignor Paglia. E ha anche auspicato che «i responsabili della cosa pubblica siano molto più attenti nel sostenere la scelta di due giovani di sposarsi, con un’attenta politica familiare e del lavoro. Perché la famiglia è una impareggiabile ricchezza per la stessa società». Al Papa i giovani fidanzati si sono presentati con le loro storie. Francesca e Stefano sono due scout
milanesi che si sono incontrati facendo un servizio educativo, «una dimensione che ci ha resi più forti». I loro primi confronti, raccontano, sono stati «su come fare il meglio per i ragazzi che ci sono affidati». E così «dalla stima reciproca è nato l’amore». Sono tutte storie semplici quelle che hanno attraversato piazza San Pietro e «proprio per questo ancora più vere in un mondo di apparenze e superficialità» dicono Alessandra e Vito, palermitani. Al Pontefice hanno parlato «di quelle piccole sorprese d’amore capaci di riempire di gioia la quotidianità». E ai «trentamila colleghi», così li hanno chiamati, Costance, inglese, e Robert, statunitense, hanno con-
fidato con un sorriso che «venire qui oggi è stato un po’ come tornare sul luogo del delitto». Infatti si sono conosciuti proprio in questa piazza, dove tre anni fa erano venuti a vedere il presepe: si sposeranno il 3 maggio. «Condividere la stessa fede ci ha uniti di più» dicono. Poi a «dispensare qualche consiglio pratico, vissuto sul campo» ci hanno pensato Fiorella e Andrea, romani, sposati da trentacinque anni e genitori di tre figli. «Ma ci amiamo ancora come quando eravamo fidanzati» dicono, nonostante le vicissitudini della vita e una grave malattia, Con i fidanzati stamani c’erano anche tanti sacerdoti, in prima linea nella pastorale familiare e nell’animazione dei corsi di preparazione al matrimonio. A dar voce a questa «essenziale esperienza di accompagnamento spiritale» è l’attore Simone Montedoro, il noto capitano dei carabinieri della serie televisiva Don Matteo. «Sono fidanzato nella fiction e nella vita — dice — e oggi sono venuto per augurare a questi ragazzi di incontrare nella vita un sacerdote alla don Matteo, che si spenda per loro e li aiuti a costruire la loro vita insieme». L’incontro con il Papa si è concluso con un momento di preghiera. E dopo «una mattinata di festa e di consapevolezza» come dice Marta, venuta da Cagliari, i fidanzati sono tornati a casa con il regalo di nozze del Papa: un cuscinetto bianco di raso, firmato Franciscus.
dicono: “Tutt’e due!” E questo è bello! Questa è una bella testimonianza!
Lo stile della celebrazione del Matrimonio Santità, in questi mesi stiamo facendo tanti preparativi per le nostre nozze. Può darci qualche consiglio per celebrare bene il nostro matrimonio? Infine a questa domanda rivoltagli da Miriam e Marco, due giovani fidanzati di Massa Carrara, Papa Francesco ha così risposto: Fate in modo che sia una vera festa — perché il matrimonio è una festa — una festa cristiana, non una festa mondana! Il motivo più profondo della gioia di quel giorno ce lo indica il Vangelo di Giovanni: ricordate il miracolo delle nozze di Cana? A un certo punto il vino viene a mancare e la festa sembra rovinata. Immaginate di finire la festa bevendo tè! No, non va! Senza vino non c’è festa! Su suggerimento di Maria, in quel momento Gesù si rivela per la prima volta e dà un segno: trasforma l’acqua in vino e, così facendo, salva la festa di nozze. Quanto accaduto a Cana duemila anni fa, capita in realtà in ogni festa nuziale: ciò che renderà pieno e profondamente vero il vostro matrimonio sarà la presenza del Signore che si rivela e dona la sua grazia. È la sua presenza che offre il “vino buono”, è Lui il segreto della gioia piena, quella che scalda il cuore veramente. È la presenza di Gesù in quella festa. Che sia una belle festa, ma con Gesù! Non con lo spirito del mondo, no! Questo si sente, quando il Signore è lì. Al tempo stesso, però, è bene che il vostro matrimonio sia sobrio e faccia risaltare ciò che è veramente importante. Alcuni sono più preoccupati dei segni esteriori, del banchetto, delle fotografie, dei vestiti e dei fiori... Sono cose importanti in una festa, ma solo se sono capaci di indicare il vero motivo della vostra gioia: la benedizione del Signore sul vostro amore. Fate in modo che, come il vino di Cana, i segni esteriori della vostra festa rivelino la presenza del Signore e ricordino a voi e a tutti i presenti l’origine e il motivo della vostra gioia. Ma c’è qualcosa che tu hai detto e che voglio prendere al volo, perché non voglio lasciarla passare. Il matrimonio è anche un lavoro di tutti i giorni, potrei dire un lavoro artigianale, un lavoro di oreficeria, perché il marito ha il compito di fare più donna la moglie e la moglie ha il compito di fare più uomo il marito. Crescere anche in umanità, come uomo e come donna. E questo si fa tra voi. Questo si chiama crescere insieme. Questo non viene dall’aria! Il Signore lo benedice, ma viene dalla vostre mani, dai vostri atteggiamenti, dal modo di vivere, dal modo di amarvi. Farci crescere! Sempre fare in modo che l’altro cresca. Lavorare per questo. E così, non so, penso a te che un giorno andrai per la strada del tuo paese e la gente dirà: “Ma guarda quella che bella donna, che forte!...”. “Col marito che ha, si capisce!”. E anche a te: “Guarda quello, com’è!”. “Con la moglie che ha, si capisce!”. È questo, arrivare a questo: farci crescere insieme, l’uno l’altro. E i figli avranno questa eredità di aver avuto un papà e una mamma che sono cresciuti insieme, facendosi — l’un l’altro — più uomo e più donna!