Spinoza

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Terra, 10 luglio 2009, pag.10 In prima pagina: Filosofia. Un’antologia raccoglie le valutazioni su Spinoza espresse dagli studiosi tedeschi nel corso della prima metà dell’Ottocento. Un ruolo decisivo, quello del pensatore olandese, nel passaggio dall’illuminismo all’idealismo romantico. Aut Deus aut natura In libreria L’abisso dell’unica sostanza. L’immagine di Spinoza nella prima metà dell’Ottocento tedesco Riconosciuto dall’idealismo tedesco come grande metafisica dell’unica sostanza, escluso da Marx dalla storia del materialismo, lo spinozismo negli anni Sessanta fu indicato come l’unico antecedente del comunismo. L’etichetta di ateismo attribuita a Spinoza è ridicola: per Feuerbach nessuno più del filosofo olandese ha concesso maggior esistenza, maggior realtà, maggior potere a Dio. Di Noemi Ghetti Uno spettro che erra sotto ogni sorta di forme, guardato con pari reverenza dai superstiziosi e dai miscredenti: con questa metafora alla fine del Settecento Iacobi descrive la presenza dello spinozismo, che egli considera ateismo, nella Germania del tempo. «In breve: la presenza di un’assenza» commenta nell’introduzione Vittorio Morfino, che con Gianluca Battistel e Filippo Del Lucchese ha curato L’abisso dell’unica sostanza. L’immagine di Spinoza nella prima metà dell’Ottocento tedesco (Edizioni Quodlibet). Il volume è un’antologia delle valutazioni espresse sul filosofo olandese nell’arco dell’importante trentennio che da Hegel, attraverso Fichte, Schelling, Schopenhauer e Feuerbach, arriva a Marx. Una lettura agile, da cui abbiamo ricavato utili spunti di ricerca sulla cultura di sinistra degli ultimi cinquanta anni della nostra storia. La filosofia di Spinoza, guardata durante l’illuminismo come «un modello di errore e di follia (…) che toglie - scrive Morfino - ogni sussistenza al finito», viene riabilitata al volgere del secolo nel passaggio dall’illuminismo all’idealismo dell’età romantica. Nella Scienza della logica (1813) Hegel riconosce nell’unica sostanza spinoziana l’antecedente della sua idea di Spirito assoluto, rivendicandosi il merito di averla elevata e articolata, nel proprio sistema, al livello superiore del concetto. Ogni determinatezza, ogni singolarità per Spinoza non è che un attributo, una negazione della sostanza: la materia, egli scrive, «non può avere nessuna figura». L’assoluto spinoziano, chiosa Hegel, è solo la luce che illumina se stessa, analogamente a quanto accade nella rappresentazione orientale dell’emanazione. Gli manca, secondo il metodo della sua dialettica triadica, la negazione della negazione, cioè la necessità del ritorno alla prima identità, lo Spirito assoluto. A partire dal giudizio hegeliano si viene definendo tra i filosofi tedeschi della prima metà dell’Ottocento, pur con diverse ambiguità e anche con opposte conclusioni, un campo di lettura comune: Spinoza è riconosciuto come grande metafisico della sostanza, dell’infinito eterno da cui non solo il finito non è deducibile, ma è di fatto ridotto allo statuto di apparenza illusoria. Schopenhauer nello stesso 1813 osserva: «Si può dire che nello spinozismo tutto sprofonda nell’abisso, ma da esso non emerge nulla». Ma nel 1840 gli riconosce di avere visto bene, nell’Etica, quale finzione sia la tanto vantata libertà del volere umano. Più diretta e articolata è la critica di Feuerbach, che considera infondata e persino ridicola l’obiezione di ateismo o di panteismo comunemente mossa a Spinoza, affermando che nessuno più di lui ha concesso maggior esistenza, maggior realtà, maggior potere a Dio. L’identità dell’essenza con l’esistenza spinoziana non esprime altro che l’identità con se stessa della ragione, che condanna alla nullità tutte le cose la cui realtà è data dal senso. «Abbandoniamo questa contraddizione! Non “Deus sive natura” - egli conclude - ma “aut Deus aut natura” è la parola d’ordine della verità. Dove Dio è identificato o confuso con la natura (…) non c’è né Dio né la natura, ma un ibrido mistico e ambiguo».


Ne La sacra famiglia (1845) Marx esclude Spinoza dalla sua genealogia filosofica e dalla storia del materialismo, classificandolo tra i sistemi metafisici: «Corpo, essere, sostanza sono una sola e medesima idea reale. Non si può separare il pensiero da una materia che pensa. Essa è il soggetto di tutte le modificazioni. Il termine infinito è privo di senso se non significa la capacità del nostro spirito di aggiungere senza fine cosa a cosa». Poco altro troviamo negli scritti marxiani su Spinoza, se non una manciata di citazioni distratte e un quaderno di estratti dal Trattato Teologico Politico del periodo dell’Università. La precisazione è dello stesso Morfino. Ci sorprende quindi non poco, e troviamo perfino fuorviante rispetto al contesto del libro, che egli apra la sua introduzione con il giudizio di Althusser, che in Leggere «Il capitale» (1965) definì Spinoza come l’unico antenato diretto di Marx, e la sua filosofia come la più grande rivoluzione filosofica di ogni tempo. Anche al di là di quanto Marx aveva visto, Althusser ci avrebbe infatti finalmente svelato il vero volto di Spinoza, e la portata del suo pensiero come teoria della politica e della storia, liberandolo dalle “immaginarie” interpretazioni ottocentesche. Nel dibattito per il recupero di Spinoza aperto da Althusser negli anni Sessanta si inseriva, ricordiamo, anche Negri, che indicava alla sinistra come modello di modernità Spinoza, e la linea filosofica che da Spinoza, passando attraverso Hegel, culminava in Heidegger. Una grande forzatura, come ha dichiarato Michele Ciliberto (Left n. 21, 9 maggio 2009), che innestava la tradizione di pensiero metafisica e religiosa per eccellenza nel comunismo, originariamente ateo e materialista. Davvero, per dirla con Feuerbach, un ibrido misto e ambiguo, sulle cui cause e sulle cui disastrose conseguenze ci resta ancora molto da studiare.


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