Scienza
Un po’ prima del big bang Alan Lightman, Harper’s, Stati Uniti
L’universo è cominciato circa 14 miliardi di anni fa. Ma cos’è successo in quel momento? C’era qualcosa prima? Il tempo esisteva già? E soprattutto: ha senso farsi queste domande? Per i cosmologi quantistici, che cercano le risposte, sì
L’
11 febbraio 1931, Albert Einstein ebbe un incontro di più di un’ora con un piccolo gruppo di scienziati statunitensi in un’accogliente biblioteca del Mount Wilson observatory, vicino a Pasadena, in California. L’argomento della discussione era la cosmologia e in quell’occasione Einstein avrebbe fatto una delle affermazioni più importanti della storia della scienza. Con le sue teorie sulla gravità e la relatività ormai confermate da tempo e dieci anni dopo il premio Nobel, era di gran lunga lo scienziato più famoso del mondo. Per anni Einstein aveva insistito, come Aristotele e Newton prima di lui, nel sostenere che l’universo era una magnifica cattedrale, immortale e immobile nel tempo. In questa visione del mondo, il tempo scorre da un passato infinito verso un futuro infinito, e nel frattempo cambia ben poco. Quando, nel 1927, un importante scienziato belga aveva suggerito che l’universo cresceva come un palloncino gonfiabile, Einstein aveva definito l’idea “abominevole”. Ma nel 1931 il grande fisico si era già dovuto confrontare con le prove telescopiche della fuga delle galassie lontane. Quando arrivò a Pasadena, Einstein era pronto ad ammettere che esisteva un cosmo in divenire. Disse a quei signori in giacca e cravatta che lo spostamento delle galassie che era stato osservato aveva “distrutto la sua vecchia costruzione come un colpo di martello”. E batté il pugno sul tavo-
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lo per sottolineare il concetto. Dai frammenti prodotti da quel colpo di martello nacque la cosmologia del big bang: l’idea che l’universo non è statico ed eterno, che “è cominciato” circa 14 miliardi di anni fa in uno stato di altissima densità e da allora ha continuato a espandersi e assottigliarsi. Secondo i dati che abbiamo al momento, il nostro universo continuerà a espandersi all’infinito. Sean Carroll, un professore di fisica del California institute of technology, è un cosmologo del big bang. Appartiene anche a un piccolo gruppo di fisici che si definiscono cosmologi quantistici e cercano di scoprire cos’è successo nel primissimo momento del big bang, se il tempo o qualsiasi altra cosa esisteva in precedenza, e come possiamo prevedere il futuro in base al passato. Queste domande basilari della fisica, che gli scienziati si sono posti solo di recente, potrebbero essere paragonate a quella di Cartesio che cercava la prova della propria esistenza.
Un evento senza spettatori La cosmologia quantistica è una scienza speculativa, ma Carroll ci spiega perché è così affascinante: “È ad alto rischio, ma anche di grande soddisfazione”. Non abbiamo ancora una teoria completa della gravità, dello spazio e del tempo nell’era quantistica. Nonostante questo, alcune delle menti più brillanti della fisica, tra cui Stephen Hawking, Andrei Linde e Alexander Vilenkin, hanno riflettuto su questo tema. È un
campo di ricerca molto ristretto, e richiede un certo coraggio. La prima difficoltà è che la nascita del nostro universo è stata un evento unico, e noi non eravamo lì ad assistere allo spettacolo. Per comprendere l’inizio dell’universo è anche necessario capire la cosiddetta gravità quantistica: una gravità a una densità di materia e di energia enorme, impossibile da replicare. La maggior parte dei fisici è convinta che in quell’era quantistica, l’intero universo osservabile fosse circa un milione di miliardi di miliardi più piccolo di un singolo atomo. La temperatura era intorno a un milione di miliardi di miliardi di miliardi di gradi. Il tempo e lo spazio si agitavano come l’acqua che bolle. Naturalmente cose del genere non sono immaginabili, ma i fisici teorici cercano di immaginarle in forma matematica, carta e penna alla mano. In qualche modo, il tempo come noi lo conosciamo è emerso da quella pepita straordinariamente densa. O forse esisteva già, e a emergere è stata solo la “freccia” del tempo, che punta verso il futuro. I fisici sperano che più o meno entro i prossimi cinquant’anni la teoria delle stringhe o altre nuove teorie ci aiuteranno a comprendere meglio la gravità quantistica e ci spiegheranno com’è cominciato l’universo. Fino a quel momento, i cosmologi quantistici dibatteranno le loro ipotesi, ognuna delle quali è sostenuta da pagine di calcoli. Quando gli ho parlato via Skype, Carroll era nel confortevole studio di casa sua, a Los Angeles, in felpa e jeans. Io invece ero
HUBBLE SM4 ERO TEAM/NASA/ESA
La nebulosa planetaria NGC 6302, detta anche nebulosa farfalla Internazionale 1139 | 5 febbraio 2016
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Scienza nella stanza degli ospiti di casa mia, a Concord, nel Massachusetts: praticamente la porta accanto, in termini cosmologici. Oltre a essere un fisico molto stimato, Carroll è un ottimo divulgatore – ha scritto articoli scientifici con titoli come “E se il tempo esistesse sul serio?” – e parla del suo argomento preferito con evidente piacere. Ha 49 anni, è piuttosto robusto, con le guance paffute, la mascella forte, una massa di capelli rossi e gli occhi che scintillano come quelli di uno scolaro birichino. Carroll è ossessionato dalla relativa omogeneità e dall’ordine dell’universo. In fisica l’ordine ha un significato concreto. Può essere quantificato. Inoltre, le condizioni di disordine sono più probabili di quelle di ordine, come è più probabile che le carte di un mazzo, una volta che è stato mescolato, siano in ordine sparso piuttosto che sistemate per numeri e semi. Applicando queste considerazioni al cosmo in generale, i fisici dicono che, data la quantità di materia esistente, dovremmo aspettarci un universo molto più disordinato e confuso. L’universo osservabile ha qualcosa come cento miliardi di galassie, ma quando si prendono in considerazione fette di spazio abbastanza ampie, appare uniforme come la sabbia di una spiaggia. Sarebbe molto più probabile, dicono i fisici, vedere quello stesso materiale concentrato in un numero molto più piccolo di enormi galassie, o in grandi ammassi di galassie, o forse in un unico gigantesco buco nero, come se tutta la sabbia di una spiaggia fosse concentrata in pochi massi di silicio. L’improbabile omogeneità dell’universo osservabile, a sua volta, indica condizioni insolitamente ordinate al momento del big bang. Non capiamo perché, ma l’ordine e l’omogeneità, che per i fisici denotano un basso livello di entropia, ci danno un’indicazione importante. “Sono convinto che la bassa entropia dell’alba dell’universo sia un mistero che la comunità dei cosmologi non prende sul serio quanto dovrebbe”, mi ha detto Carroll. “Misteri come questo offrono l’opportunità di nuove scoperte”. Carroll e altri fisici pensano che l’ordine sia intimamente collegato alla freccia del tempo. E, in particolare, che la sua direzione in avanti sia determinata dall’ordine e dal disordine. Per esempio, il filmato di un bicchiere di vetro che cade dal bordo di un tavolo e si frantuma ci sembra normale; se invece vedessimo un bicchiere in frantumi che salta dal pavimento sul bordo del tavolo e si ricompone in un bicchiere, diremmo che il filmato sta girando al contrario. Allo stesso modo, se smettiamo di occuparcene,
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con il passare del tempo una stanza pulita diventa sporca. Quello che chiamiamo futuro è una condizione di crescente disordine; quello che chiamiamo passato è di crescente ordine. La nostra capacità di distinguere tra i due dimostra che nel nostro mondo il tempo ha una direzione chiara. E ha una direzione chiara anche nel cosmo in generale. Le stelle irradiano luce e calore, consumano lentamente il loro combustibile nucleare e alla fine si trasformano in cenere fredda che vaga nello spazio. Non succede mai il contrario. E questo ci riporta all’inaspettato ordine del nostro universo. In collaborazione con Alan Guth, un pioniere della cosmologia del Massachu-
Quello che chiamiamo futuro è una condizione di crescente disordine setts institute of technology, Carroll ha ideato una teoria che ha chiamato “del tempo a due teste”. Nel loro modello, il tempo è sempre esistito. Ma a differenza di quello immaginato da Aristotele, Newton e Einstein, l’universo cambia con il passare dei millenni. L’evoluzione del cosmo è simmetrica nel tempo, quindi il suo comportamento prima del big bang è più o meno l’immagine speculare di quello successivo. Fino a 14 miliardi di anni fa, l’universo si stava contraendo. Al momento del big bang ha raggiunto le dimensioni minime (che chiameremo t=0) e da allora ha continuato a espandersi. È come una molla d’acciaio elicoidale che cade a terra, raggiunge la massima compressione all’impatto, e poi rimbalza e si espande di nuovo. A causa delle inevitabili fluttuazioni casuali richieste dalla fisica quantistica, l’universo in contrazione non sarebbe un’immagine speculare perfetta di quello in espansione: probabilmente nella fase di contrazione del nostro universo un fisico di nome Alan Guth non è mai esistito. Nella scienza dell’ordine e del disordine è ben noto che, a parità di condizioni, uno spazio più ampio è più disordinato, essenzialmente perché c’è più posto dove sparpagliare le cose. Di conseguenza, secondo la visione di Carroll e Guth, l’ordine dell’universo ha raggiunto il massimo livello al momento del big bang, prima e dopo c’è stato un disordine crescente. Ricordiamoci che la direzione in avanti del tempo è determinata dal movimento dell’ordine e del disor-
dine. Quindi il futuro si allontana dal big bang in due direzioni. Una persona che vive nella fase di contrazione dell’universo vede il big bang come un evento passato, come facciamo noi. Quando muore, l’universo è più grande di quando è nata, come lo sarà per noi. “Quando sono arrivato a capire che il motivo per cui posso ricordare il passato ma non il futuro è strettamente collegato alle condizioni del big bang, è stata un’epifania straordinaria”, dice Carroll.
Il tempo a due teste Se immaginiamo il tempo come una lunga strada e il big bang come una buca a un certo punto di quella strada, un cartello all’altezza della buca che indichi la direzione del futuro avrebbe due frecce che puntano in direzioni opposte. Da qui deriva il nome di “tempo a due teste”. Vicino alla buca, e alle due frecce, il tempo non avrebbe una direzione chiara. Nella versione subatomica dei bicchieri e delle stanze, i frammenti di vetro salterebbero su dal pavimento per andare a formare i bicchieri con la stessa frequenza con cui i bicchieri cadono e si rompono, e le stanze abbandonate diventerebbero più pulite con la stessa frequenza con cui diventano più sporche. Entrambi i filmati sembrerebbero normali a qualsiasi essere subatomico che vivesse nel momento del big bang. Secondo Carroll e Guth, la teoria del tempo a due teste potrebbe diventare molto più strana e complessa. Il punto di minime dimensioni e massimo ordine potrebbe non essere stato il big bang del nostro universo, ma il big bang di un altro universo, una sorta di grandioso protouniverso. Il nostro, e forse un numero infinito di altri universi, potrebbero essere stati generati da questo progenitore, e ognuno potrebbe aver avuto il suo big bang. Il processo di generazione di nuovi universi da parte di un universo progenitore è stato chiamato inflazione eterna. L’idea è stata proposta dai cosmologi quantistici nei primi anni ottanta. In breve, nel protouniverso un campo di energia anomalo agisce come una forza di antigravità e provoca un’espansione sempre più rapida. In ogni regione dello spazio, questo campo di energia anomalo ha una forza diversa. Ognuna di queste regioni si espande fino a raggiungere proporzioni cosmiche e il campo di energia diventa materia comune, formando un nuovo universo isolato che non ha nessun contatto con il protouniverso che lo ha generato. Un’altra ipotesi importante è che l’uni-
ESO
La nebulosa NGC 7293, detta anche nebulosa helix verso, e il tempo, prima del big bang non esistessero. L’universo si sarebbe materializzato dal nulla, in una dimensione piccola e finita, e da allora avrebbe continuato a espandersi. Non esisterebbero altri momenti prima di quello perché non esisterebbe un “prima”. Quindi non ci sarebbe stata nessuna “nascita” dell’universo, perché questo concetto implicherebbe un’azione nel tempo. Perfino dire che l’universo si è “materializzato” sarebbe in qualche modo sbagliato. Per come lo vede Hawking, l’universo “non sarebbe stato né creato né distrutto, sarebbe semplicemente stato”. Concetti come quello di esistenza e di essere in assenza di tempo risultano inafferrabili nei limiti della nostra esperienza umana. Non abbiamo neanche parole per definirli. Quasi tutto quello che diciamo implica in qualche modo la nozione di “prima” e “dopo”.
Uno dei primi cosmologi quantistici a ipotizzare che l’universo potrebbe essersi materializzato dal nulla è stato Alexander Vilenkin, uno scienziato ucraino arrivato negli Stati Uniti nel 1976 a poco più di vent’anni che oggi insegna fisica alla Tufts university. Prima di emigrare, aveva lavorato come guardiano di notte in uno zoo, cosa che gli aveva dato molto tempo per pensare alla cosmologia. “Mi occupavo di cosmologia come attività collaterale”, dice. “All’epoca non era un settore che godeva di una buona reputazione”. Vilenkin è un uomo serio che, diversamente da molti fisici, scherza poco e prende estremamente sul serio il suo lavoro sull’universo a t=0 . “Non è necessaria nessuna causa per creare un universo tramite l’effetto tunnel”, dice, “ma le leggi della fisica dovrebbero essere già lì”. Discutiamo brevemente su cosa significhi “lì” se lo spazio e il tempo ancora non
esistono. Su questo punto, Vilenkin ama citare sant’Agostino, al quale chiedevano spesso cosa facesse Dio prima di creare l’universo. Nelle Confessioni, Agostino risponde che, poiché quando ha creato l’universo Dio ha creato anche il tempo, non esisteva nessun “prima”. Quando parla dell’effetto tunnel, Vilenkin si riferisce a un inquietante fenomeno della fisica quantistica, in cui gli oggetti possono fare magie come apparire all’improvviso dall’altra parte di una montagna senza scalarne la vetta. Questa sconcertante capacità, verificata in laboratorio, consegue dal fatto che le particelle subatomiche si comportano come se potessero trovarsi in molti posti contemporaneamente. Nel microscopico mondo degli atomi, l’effetto tunnel è molto comune, mentre nel mondo umano è altamente improbabile. Non è mai stato osservato su vasta scala, il che spiega Internazionale 1139 | 5 febbraio 2016
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Scienza perché ci sembra così assurdo. Ma nell’era quantistica della cosmologia, molto vicina al t=0, l’intero universo era grande come una particella subatomica. Quindi poteva essere apparso “improvvisamente” da dovunque le cose abbiano origine nell’inafferrabile nebbia quantistica delle probabilità. Cosa significa dire che l’intero universo era come una particella subatomica nel mondo crepuscolare dei quanti? James Hartle, un cosmologo quantistico dell’università della California a Santa Barbara, ha sviluppato insieme a Hawking uno dei modelli più dettagliati dell’universo “durante” l’era quantistica intorno al momento del big bang. Nelle equazioni di Hartle e Hawking il tempo non appare da nessuna parte. Hanno usato solo la fisica quantistica per calcolare le probabilità di certe istantanee dell’universo. Sebbene sia un esperto della teoria, Hartle ammette di essere rimasto sconcertato dall’applicazione della fisica quantistica all’universo nel suo complesso. “Perché esista la meccanica quantistica se c’è un solo stato dell’universo”, dice, “per me è un mistero”. In altre parole, perché dovrebbe esserci la probabilità di condizioni alternative dell’universo quando ne abbiamo solo uno? E quelle condizioni alternative esistono veramente da qualche parte? I cosmologi quantistici sono ben consapevoli delle ripercussioni filosofiche e teologiche della loro ricerca. Come dice Hawking in Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo (Bur 2015), molti pensano che all’inizio sia stato Dio a caricare l’orologio e a decidere quando dovesse partire, pur consentendo che l’universo si evolvesse secondo le rigide leggi della natura. La teoria di Hawking fornisce una spiegazione di come l’universo abbia potuto caricarsi da solo: il suo metodo per calcolare le sue prime istantanee non dipende dalle condizioni iniziali, da eventuali confini o da qualsiasi altra cosa esterna all’universo stesso. Sono sufficienti le fredde regole della fisica quantistica. “Che posto c’è, allora, per un creatore?”, si chiede. Il fisico Lawrence Krauss giunge a una conclusione simile nel suo libro L’universo dal nulla (Macro 2013), nel quale sostiene che i progressi della cosmologia quantistica dimostrano che nel migliore dei casi Dio sarebbe irrilevante. Ci si aspetterebbe che tutti i cosmologi quantistici fossero atei, come la maggior parte degli scienziati. Ma Don Page, un importante cosmologo dell’Università di Alberta, è anche un cristiano evangelico. Page è un computazionalista. Quando frequentavamo insieme il corso di specializzazione in fisica al Caltech, ogni volta che si trovava
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davanti a un problema difficile della fisica, tirava fuori una penna con la punta sottile e scarabocchiava un’equazione dopo l’altra in un fitto intrico di calcoli matematici fino a quando non trovava la risposta. Anche se ha collaborato con Hawking alla stesura di alcuni saggi, Page si allontana da lui sul tema di Dio. Qualche tempo fa mi ha detto: “Come cristiano, io penso che esista un essere al di fuori dell’universo che lo ha creato ed è la causa di tutte le cose. Dio è il vero creatore. Tutto l’universo è causato da Dio”. Sul blog di Carroll, Page sembra al tempo stesso uno scienziato e un teista: “Si può pensare che aggiungere l’ipotesi di un mondo (tutto quello che esiste) in cui è com-
All’origine del nostro universo non c’era una chiara distinzione tra causa ed effetto preso anche Dio renderebbe ancora più complessa una teoria dell’universo, ma non è detto che sia così, può darsi che Dio sia perfino più semplice dell’universo, e che quindi partendo da Dio piuttosto che solo dall’universo potremmo arrivare a una spiegazione più semplice”.
La domanda più importante È significativo il fatto che la maggior parte dei cosmologi quantistici non crede che qualcuno o qualcosa abbia causato la nascita dell’universo. Come mi ha detto Vilenkin, la fisica quantistica è in grado di ipotizzare un universo senza causa, come di dimostrare che in un atomo gli elettroni possono cambiare orbita senza una causa. Nel mondo quantistico non esiste nessun rapporto causa-effetto, esistono solo probabilità. Per usare le parole di Carroll: “Nella vita quotidiana parliamo di causa e di effetto, ma non c’è motivo di applicare questo concetto all’universo nel suo complesso. Non mi sento per nulla insoddisfatto se dico semplicemente ‘Così stanno le cose’”. L’idea di un evento o di uno stato senza causa va contro la natura stessa della scienza. Per secoli gli scienziati hanno tentato di spiegare ogni evento come la logica conseguenza di eventi precedenti. Page sostiene che all’origine del nostro universo – sia che si scelga il modello del tempo a due teste sia quello dell’universo emerso dal nulla – non c’era una chiara distinzione tra causa ed effetto. Se la causalità può dissolversi nella
nebbia quantistica dell’origine dell’universo, dicono Page e altri scienziati, potremmo mettere in discussione la sua solidità anche nel mondo in cui viviamo che è molto lontano nel tempo dal big bang, ma fa comunque parte della stessa realtà. “Nell’universo la causalità non è fondamentale”, dice Page. “È un concetto approssimativo derivato della nostra esperienza del mondo”. La stretta causalità potrebbe essere un’illusione, il modo in cui il nostro cervello e la nostra scienza danno un senso al mondo. Ma senza stretta causalità come possiamo assumerci la responsabilità delle nostre azioni? Una crepa nelle marmoree fondamenta dalla causalità potrebbe far traballare la filosofia, la religione e l’etica. La cosmologia quantistica ci ha spinto a interrogarci sugli aspetti fondamentali dell’esistenza e dell’essere. Quello che vediamo e sentiamo con il nostro corpo, a metà strada tra gli atomi e le galassie, è solo una minima parte dello spettro, un frammento di realtà. Negli anni quaranta, lo psicologo statunitense Abraham Maslow ha proposto una gerarchia dei bisogni umani che parte dai più primordiali e impellenti per arrivare a quelli più alti. Alla base della piramide ci sono i bisogni del corpo legati alla sopravvivenza: il cibo e l’acqua. Subito dopo viene la sicurezza. Sopra ancora ci sono l’amore e l’appartenenza, poi l’autostima. In cima ai bisogni proposti da Maslow c’è l’autorealizzazione, il desiderio di ottenere il massimo da noi stessi. Io suggerirei di aggiungere un’altra categoria in cima alla piramide, al di sopra dell’autorealizzazione: l’immaginazione e il desiderio di esplorare. Non era forse quello il bisogno che spingeva Marco Polo, Vasco da Gama e Einstein? La necessità di immaginare nuove possibilità, di andare oltre noi stessi per capire il mondo che ci circonda. Non perché potrebbe aiutarci nella sopravvivenza, nei rapporti personali o nella scoperta di noi stessi, ma per conoscere e comprendere questo strano cosmo in cui ci troviamo. Il bisogno di fare la domanda più importante. Come è cominciato tutto questo? Ben oltre la nostra vita, la nostra comunità, il nostro paese, il nostro pianeta e perfino il nostro sistema solare. Com’è cominciato l’universo? Probabilmente potersi porre questa domanda è un lusso. Ma è anche una necessità umana. ◆ bt L’AUTORE
Alan Lightman è un fisico e scrittore statunitense. Insegna studi umanistici al Massachusetts institute of technology.