Segregazioni urbane e spazi di resistenza nella città di Caracas

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UNIVERSITÀ degli STUDI di MILANO Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Lingue Culture e Comunicazione Internazionale

SEGREGAZIONI URBANE, COSTRUZIONI IDENTITARIE E SPAZI DI RESISTENZA NELLA CITTA’ DI CARACAS

Relatore: Prof. Emilia PERASSI Correlatore: Prof. Dino GAVINELLI

Elaborato finale di: Nadia RIOLO Matricola: 686634

ANNO ACCADEMICO 2007/2008



Indice Introduzione…………………………………………………………………………………..2.2 Il contesto internazionale 1. Nuovi paradigmi sulla città del XXI secolo Introduzione………………………………………………………………………………..... 008 1.1 Megalopoli, megapoli e meta città……………………………………………................ 014 1.2 La favelizzazione del mondo………………………………………………………..........020 1.3 Militarizzazione dello spazio urbano………………………………………………......... 029 1.4 La morfologia spaziale e sociale delle bidonvilles: il frattale e l’interstizio come paradigmi interpretativi……………………………………………………………………………........ 033 1.5 La città auto-costruita………………………………………………………………....... 040 Appendici: Il diritto alla casa negli strumenti internazionali…………………………........045 Dichiarazione dell’International Alliance of Inhabitants (Vancouver 2006).............................................................................................................146 Studio di caso: Caracas 2. Permanenze coloniali in città: vecchie e nuove segregazioni Introduzione………………………………………………………………………………..... 049 2.1 Spunti per una riflessione storico-sociale 2.1.1 Dal sistema dell’encomienda ai Gandes Cacaos ovvero il patriziato tropicale…..... 055 2.1.2 La bonanza petrolera, le dittature e il saccheggio legalizzato…………………....... 058 2.1.3 La década perdida: i piani di ristrutturazione degli anni Ottanta……………....... 061 2.2. La costruzione dello spazio urbano 2.2.1 Urbanizzarsi per sopravvivere………………………………………………..........065 2.2.2 Progettare e governare la città: dal modello Haussman a Le Corbusier……........ 068 2.2.3 La città frammentata: edilizia pubblica, nuove urbanizaciones e deficit abitativo.071 2.2.4 Nuovi apartheid urbani........................................................................................074 2.2.5 Urbanizzazione dei conflitti politici.................................................................. 078


Sezione Tabelle……………………………………………………………………………..... 080 Sezione Schede……………………………………………………………………………...... 095 Galleria fotografica…………………………………………………………………….......... 099 3. La Caracas delle tracce: memorie spaziali e culturali nella costruzione dell’identità urbana contemporanea Introduzione………………………………………………………………………………..... 111 3.1 Apporti identitari: l’indigeno, l’africano, l’europeo 3.1.1 Il rancho indigeno ………………………………………………………………….. 117 3.1.2 Lo spazio geometrico disciplinare: il damero coloniale……………………………. 120 3.1.3 La tratta degli schiavi e l’apporto africano alla cultura venezuelana………….... 123 3.1.4 I processi di transculturazione nelle cumbes………………………………………. 126 3.2 Il barrio, luogo di sperimentazione identitaria 3.2.1 Rendere visibile l’invisibile. Il processo di risemantizzazione degli spazi urbani popolari………………………………………………………………………………….... 130 3.2.2 Informalità, compadrazgo e associazionismo come forme di sopravvivenza nel barrio…………………………………………............................................................... 133 3.2.3 Il barrio 23 de Enero come spazio di insurgencia politica e culturale.................... 136 3.2.4

Liberarsi

dal

colonialismo

culturale:

l’esperienza

delle

associazioni

afrovenezuelane………………………………………………………………………...... 141 4. Itinerari urbani nell’emergenza sociale e usi alternativi della calle Introduzione…………………………………………………………………………………. 144 4.1 Emergenze sociali e spazi metropolitani 4.1.1 Culture d’urgence nei barrios di Caracas……………………………………………. 150 4.1.2 Violenza metropolitana: una responsabilità collettiva………………………….... 153 4.1.3 Gangs giovanili, bambini di strada e malandros………………………………....... 157 4.1.4 Universo Malandro: incursioni nella cultura urbana 4.1.4.a La Corte Malandra nel culto marialioncero……………………………...... 163 4.1.4.b Il barrio 23 de Enero in Salsa y control...................................................... 168


4.2 Itinerari culturali metropolitani: musica classica e movida underground 4.2.1 La missione culturale del Governo Bolivariano................................................... 171 4.2.2 I bambini dei barrios nelle Orquestas Juveniles de Venezuela.............................. 173 4.2.3 Tiuna el Fuerte e Red de la Calle: spazi di nuova socialità urbana....................... 176 Conclusioni...................................................................................................................... 181 Omaggio a Caracas.......................................................................................................... 185 Nota................................................................................................................................ 186 Bibliografia..................................................................................................................... 187 Multimedia…………………………………………………………………………………... 191 Sitografia…………………………………………………………………………………….. 192


L’istruzione, che dura una vita intera, che libera gli individui sin da bambini dal controllo culturale delle loro famiglie, della loro classe, del loro paese e del loro tempo e che dà loro, da adulti l’accesso a un repertorio di capacità pratiche generiche e concettuali, è il più importante elemento di acquisizione di libertà individuale e collettiva. Unger, 1998

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Introduzione

Si giunge a Caracas con un volo di linea o di immaginazione. Si apre la porta della coscienza e lo sguardo sfugge in verticale verso quei 900 metri di altitudine tra cielo e mare in cui si appoggia una città che si perde tra le statistiche. Quanti abitanti ha? Quanti morti fa in un fine settimana? Dicono che è una città pericolosa, una delle più pericolose dell’America Latina. Dicono che qui è possibile morire per una bala perdida, rimanere vittima di un secuestro express, che devi sempre avere dei soldi da dare al malandro di turno e che a lui è meglio non opporre resistenza. Dicono di non entrare nei barrios, di tornare a casa presto, di prendere i taxi ufficiali, di non fidarti di chi ti offre una corsa in moto-taxi. Da questo momento anche tu hai costruito la tua segregazione mentale. Quando l’Ávila soffia via le nuvole e si presenta nella sua incalcolabile bellezza appare alla vista la densità multiforme della “non città” che di notte diventa flusso luminoso di una Ville Lumière tropicale1 aggrappata ai versanti della Cordigliera Andina. Separata visivamente da un muro simbolico, si estende verso l’Est la Caracas dei grattacieli, delle urbanizaciones, delle quintas, la città ufficiale che costruisce i suoi spazi segregati, omologati, rassicuranti. Una psicopatologia collettiva accentuata dal discorso dei media e dalla “rivoluzione” bolivariana che ha portato il povero, el hampa, l’emarginato fin dietro la porta di casa e assieme a lui la paura della fine del privilegio. A Caracas la segregazione è prima di tutto visiva. Le case addensate sui cerros (colline) contrastano con l’opposto architettonico delle quintas sulle colinas (ugualmente colline ma simbolicamente diverse) o delle tranquille urbanizaciones protette da guardie armate private. Di giorno la gente dei barrios scende nella città legale e diventa quella manovalanza necessaria a far funzionare la città o a sostenerne il privilegio. Lavora nel terziario sottopagato da un quaternario profumatamente remunerato. Vende cibo per le strade (a Caracas l’occasione per succulenta arepa o una cachapa2 non manca mai) o indumenti nei E in effetti Caracas un legame con Parigi l’ha avuto, quando uno dei tanti autarchi, Guzmán Blanco, decise che la ciudad de los techos rojos doveva assomigliare ad un París de un solo piso. 2 L’arepa è una focaccia di mais bianco ripiena, la cachapa, una specie di crêpe fatta con il mais macinato. 1

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mercatini che invadono gli spazi pedonali (il buhonero è il venditore ambulante). Caracas non è una città ermetica, mette in mostra i suoi paradossi, non fa finta di mostrarsi ciò che non è. Tuttavia l’opulenza, di fronte al sacrificio quotidiano e alla privazione, è vissuta come normalità da chi può permettersi un alto tenore di vita. Stupisce l’idea che si possa considerare la “non città” come eccezione alla regola, come marginalità, come inevitabili e ingombranti fatalità. I barrios sono, per una parte della popolazione, appendici temporanee, estensioni extra di un mondo rurale non inglobato alla città. Essi non sono inseriti nella mappatura urbana, tantomeno in una mentale. Eppure è in questa città non legalizzata che si condensa la storia di un popolo, risultato di un processo incessante di creolizzazione, avvenuto nell’interno del paese (dove indigeni, mestizos, mulatos, spagnoli pícaros, schiavi libertos hanno costruito un meticciato biologico e culturale) e sulle coste (dove più forte è la presenza dei discendenti dei popoli africani con violenza strappati alle loro radici), e che oggi continua nell’intricato mondo dei barrios. Oppresse dalla fame e dalle malattie le masse dei llanos e delle coste sono state attratte dalla città e da ciò che questa rappresentava in termini di aspirazione al cambiamento. Una città che nei primi anni del Novecento è ancora prevalentemente coloniale, geometricamente ordinata attorno ad un damero colonial - costruito come simbolo di dominio spagnolo sulla presenza indigena - e alle haciendas di caffè e cacao, fonte di guadagno per gli europei (francesi e tedeschi in particolare) installatisi nella città dell’eterna primavera, la sucursal del ciel. Tutt’attorno le aldeas fondate dagli indigeni, abitate dai dimenticati della storia, dagli schiavi cimarrón, dai mestizos. La Caracas di inizio secolo mantiene l’immagine di una città in stato di incubazione, immobile nel garantire il privilegio ai latifondisti e alla nuova oligarchia urbana. A segnare l’inizio di un nuovo corso saranno i cento mila barili di petrolio prodotti da un solo pozzo, nell’anno 1922. Ennesimo prodotto di esportazione, come fu in passato il cacao, il caffè e l’indaco, il petrolio cristallizzò la condizione di sottosviluppo, dipendenza ed emarginazione del paese. I dittatori e gli autocrati che si susseguirono3 svendettero le concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti alle compagnie straniere Standard Oil e Shell, garantendo loro guadagni incalcolabili e libertà assoluta di movimento. Scrive Galeano sul dissanguamento del paese: “De Venezuela proviene casi la mitad de las ganancias que los capitales norteamericanos sustraen a toda América Latina. Éste es uno de los países más ricos del planeta y, también uno de los más pobres y uno de los más violentos. Ostenta el ingreso per Nel capitolo II verrà dedicato spazio a Juan Vicente Gómez, el rey del carnaval de la concesiones e a Marco Pérez Jiménez, simboli di un’economia del saccheggio. 3

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cápita más alto de América Latina y posee la red de carreteras más completa y ultramoderna”. Dal Venezuela in cinquant’anni si estrassero rendite petrolifere pari a dieci Piani Marshall destinati alla ricostruzione europea. Gli anni Cinquanta sono gli anni della gloria modernista venezuelana, dell’Ideal Nacional4 di Pérez Jiménez. Caracas è un cantiere a cielo aperto che importa cemento per costruire autostrade su cui sfrecceranno macchine d’importazione. Importa, consuma, importa. Autostrade e raccordi dai nomi enfatici (distribudor El Pulpo, Cienpiés) acuiscono il senso di segregazione e di frammentarietà di una città già bipolare. Da una parte una città che guarda al modello americano, che ne assume i tratti culturali, che rifiuta il criollo e il proprio essere venezuelano. Dall’altra una città nuova, ma di antiche radici, quella dei barrios che in questi anni comincia ad espandersi a velocità impressionanti5. Tutti vogliono abitare a Caracas: le campagne sono improduttive, i pozzi non richiamano più manodopera, che anzi viene licenziata per la modernizzazione degli impianti, i villaggi si spopolano lasciando gli scheletri di un passato oleaginoso. La città è incapace di reggere il movimento tellurico del popolo e non si farà carico di assorbire la forza lavoro, né di offrire a tutti un’abitazione degna. Nessuno, oltre allo sperpero, ha progettato un futuro per la città, concepita da sempre quasi come luogo di saccheggio più che di permanenza. L’autocostruzione diviene per molti l’unico modo per garantirsi un luogo nella città, un anfratto rubato alla montagna che funga da presente pensabile e futuro edificabile. Dapprima è una baracca precaria costruita nella notte, poi, pian piano, si fa progetto di casa, ma sempre in stato di modificazione. Una casa umile di un passato rurale che si urbanizza, flessibile per le esigenze della famiglia allargata; una casa che funge anche da luogo di lavoro, poiché da sempre le statistiche nei barrios non sono quelle ufficiali in cui il tasso di disoccupazione appare come un valore fisiologico. Qui la maggior parte vive di lavori prodotti da un’economia informale e da una parcellizzazione dell’attività produttiva di un terzo settore svalutato. Qui la comunità e la solidarietà diventano l’unico ammortizzatore sociale possibile, dopo che le misure neoliberiste degli anni Ottanta hanno definitivamente dato il colpo di grazia ad un’economia già dissanguata e gettato le famiglie più povere in uno stato di quotidiana sopravvivenza. Se l’analisi storico-sociale ci ha permesso di mettere in evidenza come una società “capitalista dipendente” ha creato le contraddizioni e i conflitti che coabitano nella Rientrava in questo progetto la volontà di attrarre gente di buena costumbre dall’Europa. Nel 1970 Caracas arriverà a contare più di 900 mila ranchos (il 41,8 per cento delle sue abitazioni) e accumulerà deficit abitativo che nessun governo riuscirà a recuperare. 4 5

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struttura urbana, dall’altra nulla ci dice sul processo culturale sviluppato all’interno delle sue aree marginali. Nulla ci dice cioè della dinamica culturale, del potenziale creativo dei suoi abitanti nel costruire l’identità urbana. Nelle pagine che seguono, cercherò quindi di fare emergere l’immagine del barrio quale luogo di resistenza e di produzione di un nuovo messaggio di inclusione, nonché luogo di sperimentazione di una nuova cultura che riparte dalla calle non più come luogo di sottrazione, ma come spazio pubblico di coabitazione, condivisione, creazione, assemblaggio arricchente. Nel fare questo ho sperimentato un processo meno lineare, più confacente ad una materia porosa, duttile, trasformabile, opaca quale quella dei concetti di “frontiera”, che usano più discipline per giungere ad una rielaborazione e reinterpretazione della realtà. Parole e concetti che faccio miei, di cui mi approprio per leggere simboli, rappresentazioni, iconografie, esistenze quotidiane, aspirazioni future. Per primo la traccia, che è un segno, ma anche indizio. La traccia lasciata dall’africano strappato alla terra, spogliato di riferimenti, che tenta di ricostruire, a sua volta seguendo la traccia, un universo simbolico per sopravvivere; la traccia lasciata dall’indigeno travolto dalla violenza del conquistatore, della sua resistenza e della non rinuncia ad un destino di sottomissione; la traccia dello spagnolo pícaro, povero, vagabondo, che si unisce al cimarrón, allo schiavo liberto e all’indigeno dell’interior; la traccia della ricomposizione e rielaborazione culturale nelle cumbes, territori sottratti alla geometria della cuadra colonial, alla traiettoria a freccia del progetto coloniale, che esclude la diversità o la include solo per lucro. Tracce che compongono un pensiero che come dice E. Glissant, il maître à penser della creolizzazione, è “un non-sistema di pensiero che non vuole essere né dominatore, né sistematico, né impotente, ma intuitivo, fragile, ambiguo, adatto alla straordinaria complessità e alla straordinaria molteplicità del mondo”. Il pensiero traccia rende possibili i salti temporali e non pretende di dare rigore definitivo a ciò che osserva. Consente di collegare fenomeni periferici senza passare per un centro. Consente di costruire arcipelaghi di pensiero in una organizzazione rizomatica, in cui i nodi rappresentano un’attesa da cui far ripartire una nuova rielaborazione di pensiero. In questo pensiero anche l’identità è concepita come rizoma, aperta quindi alla relazione orizzontale, e non come radice, concetto più gerarchico che produce dominio culturale sull’altro, quando identità, cultura e territorio si sclerotizzano in un pensiero fisso. Secondo concetto di cui mi sono appropriata, è quello di “interstizio” utilizzato da G. Gasparini, il sociologo dei fenomeni interstiziali. L’interstizio è proposto come nuovo paradigma con cui leggere il nostro presente, una “categoria analitica delle società

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postindustriali”, una nuova sensibilità. Esperienze che in un primo momento possono sembrare irrilevanti, marginali possono in verità diventare indicatori di fenomeni significativi delle nostre società contemporanee. Così come “il battito delle ali di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas”6, anche l’elemento più insignificante, perché spesso poco visibile, può costruire un enorme cambiamento nella società. Fenomeni interstiziali sono perciò le occupazioni dei territori urbani, le baracche iniettate nel tessuto urbano “legale”, l’abitare in situazioni di margine, di confine. L’interstizio ne indica lo “stare tra”, l’intervallo che accompagna una nuova stabilizzazione seppur provvisoria. Adottare una visione interstiziale significa comprendere lo spazio di passaggio, il “fra”, la preparazione al divenire altro, quale luogo di valore. Significa assegnare il giusto tempo e il giusto peso ai fenomeni transitori, di passaggio, consapevoli che solo lì vi è la manifestazione dello spirito vitale che ci spinge al cambiamento, che trasforma il pensiero in utopia, che è il pensiero nell’attesa di qualcosa che verrà. E il nostro dovere è lavorare per la trasformazione, non per affermare e difendere lo status quo. Solo in quest’ottica è possibile pensare ai barrios non come a luoghi di emarginazione, ma come a centralità nelle dinamiche urbane latinoamericane. Spazi in cui le classi subalterne, gli emarginati, i “diversi”, hanno trovato il luogo e il modo di esprimere la lotta quotidiana per l’emancipazione e il riconoscimento. Terzo concetto applicato all’universo dei barrios è quello di “frattale”. Indico con questo concetto alcuni aspetti dei territori popolari autocostruiti. Per primo la morfologia frastagliata e complessa ma mai limitata di questi territori, i cui margini propongono la stessa complessità della matrice con l’aggiunta di nuovi dettagli. Un limite aperto al divenire, una frontiera porosa, mai chiusa su sé stessa. In secondo luogo il frattale spiega bene il carattere culturale del barrio, in cui l’espansione infinitesimale di una matrice originaria, composta dall’elemento culturale indigeno, africano, europeo, ha dato origine a forme complesse, ibride. Si tratta di forme culturali accostate senza dominio, in cui è ancora possibile distinguere una matrice africana, indigena, europea cui si sono sommate altre espressioni culturali in tempi più recenti. Così come il frattale viene utilizzato per descrivere forme e strutture organiche che si trovano in natura, altrimenti non descrivibili con una geometria euclidea, è possibile trasferire il concetto alla città dei barrios quali “esternalizzazioni della biologia umana”, della creatività, delle potenzialità dell’uomo. Quella dei barrios è un esempio di architettura organica in contrasto con un’architettura Edward Norton Lorenz, matematico statunitense noto per essere stato il pioniere della Teoria del Caos. Ha scoperto gli attrattori strani e ha coniato il neologismo effetto farfalla. 6

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militare-industriale del razionalismo ispirata ad una produzione in serie di tipo fordista (barrios vs superbloques del 23 de Enero). Da un punto di vista umano e architettonico le autocostruzioni racchiudono un patrimonio incalcolabile, fatto di ore di lavoro nel tempo libero, di relazioni sociali, di comunità. È costruire e abitare nel senso totale del termine. Questo patrimonio laddove sia possibile, non deve essere sottovalutato nei progetti legati al recupero dei barrios. Mossa da questi tre paradigmi interpretativi, traccia, interstizio, frattale, ho volto lo sguardo ai territori popolari contemporanei, quale luogo che profetizza la città che verrà. A oggi un miliardo di persone vive lo slum come forma di esistenza necessaria. A questi si aggiungeranno ben presto altri 700 milioni, dimostrando il fallimento degli Obiettivi del Millennio (migliorare le condizioni abitative di almeno 100 milioni di favelados). Lo slum nel nostro mondo altamente tecnologizzato è diventata l’unica alternativa valida alla campagna, ormai svuotata da guerre, carestie, agro business. I margini delle città e i suoi interstizi rappresentano per milioni di persone l’unica speranza di vita. E pur nella difficoltà e nell’assenza di servizi, continuano a giungervi. Quello che possiamo fare è continuare ad avere uno sguardo pietoso nei confronti di una realtà spesso sovraumana, oppure iniziare ad ammirare l’energia che scaturisce dall’umana sopravvivenza in situazioni di disagio, l’azione collettiva intrapresa per ottenere diritti, la produzione culturale che continua a dare significato all’agire umano in situazioni di urgenza, e non ultimo, la capacità di riciclare e riciclarsi in una società dell’opulenza e dello scarto, in cui anch’essi sono considerati superplus umano. Partecipare affinché il potenziale umano venga finalmente riconosciuto e appoggiato nel suo divenire, nella redenzione che non potrà partire se non dalla comunità stessa. Scrive R. Neurwith in Città Ombra: “Se la società non è disposta a costruire per questa massa di persone, perché loro non dovrebbero avere il diritto di farlo per sé? E se lo fanno, allora non c’è un merito nelle loro capanne di fango? Se creano le loro stesse abitazioni e nel tempo apportano miglioramenti, non c’è, almeno potenzialmente, qualcosa di buono in una comunità senza acqua e impianti igienici e fognature? E se è vero questo, allora le classi abbienti non dovrebbero smettere di lamentarsi delle condizioni delle baraccopoli e piuttosto lavorare insieme agli abusivi per migliorarle?”. Le città nel mondo, così come Caracas, dovranno imparare un nuovo modo di costruire il paesaggio urbano. Un paesaggio urbano aperto all’alterità, alla sperimentazione collettiva e partecipata. Una città creativa, in cui libero sia lo spirito dell’uomo. Una città che aiuti a rifondare un nuovo umanesimo, ripartendo dall’uomo come essere sociale, abbandonando il capitale come unica spiegazione dell’agire umano.

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Capitolo Primo 1. NUOVI PARADIGMI SULLA CITTA‟ CONTEMPORANEA: PROPOSTE DI ANALISI

Qualche mese fa mi è capitato di assistere al festival Città e Territorio tenutosi a Ferrara. Autorevoli gli interventi, bellissimo il contesto. L‟obiettivo è stato quello di far incontrare persone autorevoli del mondo scientifico (urbanisti, architetti, filosofi, geografi) e di figure della società civile in difesa del territorio, nonché musici e teatranti che mettevano in scena il dialogo tra uomo e città. Molteplicità di attori, molteplicità di vedute. L‟immagine della città non è più quella costruita a tavolino dai piani urbanistici, non è più materia statica all‟interno di confini immobili. Al contrario essa si è estesa, nella misura in cui il mondo ha cambiato la sua portata da rurale ad urbano, portando con sé una rivoluzione di pensiero ancora tutta in divenire. Anche una città come Ferrara, rinchiusa dentro le sue mura che paiono costruire ancora un dentro e un fuori statico, è attraversata dalla rivoluzione. Se si guardasse oltre, la si vedrebbe attraversata da flussi: il flusso della tradizione, fatta di caffè all‟aperto e dal via vai di biciclette; il flusso dell‟innovazione, con le migrazioni da paesi lontani portatori di nuove modi di fare società; il flusso di capitale umano, con i centri di sapere scientifico che si aprono al mondo. Tutto ciò rimette in discussione le categorie con le quali si è sempre descritta la città: le categorie di centro e periferia non sono più in grado di coprire da sole il caos scaturito dall‟esplosione di nuovi processi socio-economici e dall‟implosione della città. Nuovi linguaggi e nuove idee si rendono necessarie. La difficoltà di pervenire a visioni comuni, a codici di condotta uniformi è emerso anche all‟interno del Festival. Del resto com‟è possibile incanalare vari flussi di coscienza sulla città in un'unica azione comune? Il bello dello scambio tra pensiero e azione è proprio questo stato di cose. Ciò che è emerso è tuttavia il ritardo concettuale nell‟analisi delle città. Soprattutto quelle città attraversate dallo shock della povertà rurale, sopraffatte dallo “stivaggio di surplus umano”, inghiottite dallo sperpero di pochi e dalla miseria di molti, in un gioco entropico inumano. Assenti i dibattiti sul ruolo della società internazionale nel dramma del deficit abitativo. In una realtà in cui gli urbanisti e gli architetti continuano a seguire una

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necessità estetica élitista, gran parte della popolazione mondiale continua a fare da sé. Male o bene, ci è dato vederlo negli slums, orizzontali o verticali, delle grandi metropoli globali. Ciò che è certo è che la collettivizzazione dei saperi e dell‟agire umano, porterebbe ad un uso più consapevole, ad una migliore erogazione di servizi base, ad un maggiore impegno umano nella costruzione di un futuro locale e globale, che è forse il miglior modo per sfuggire allo stato di abbandono materiale e spirituale dell‟uomo sulla terra. Il primo passo è indirizzare il pensiero, costruire una sensibilità comune a temi attualissimi, quali quelli della città “illegale”, dell‟auto-costruzione, dell‟economia informale. Riflettendo su fenomeni per nulla marginali inizia a plasmarsi il pensiero comune. La periferia diventa centro, il centro diventa il margine estremo di un progresso che costruisce i suoi mostri che poi è costretto a combattere. In questo primo capitolo ho voluto perciò tentare di ricostruire una sensibilità comune, che in realtà è la risposta ad un mio personale bisogno di contestualizzare la ricerca sui barrios de ranchos di Caracas. Apro perciò il capitolo con uno sguardo sul mondo urbano e sulla favelizzazione del mondo quale fenomeno del nostro tempo. Il mondo che oggi abitiamo è un mondo dove l‟urbano ha superato il rurale, dove un miliardo di persone vive in insediamenti irregolari distribuiti attorno ai margini delle città o inseriti negli interstizi del tessuto urbano. Si prevede che tale numero raddoppierà nei prossimi vent‟anni. Gli studi dell‟UN-Habitat1 lanciano l‟allarme sul futuro delle città: la popolazione urbana mondiale conterà circa cinque miliardi di persone su otto totali nel 20302. Nel 2030 2.825 milioni di persone in più saranno alla ricerca di un alloggio e in lotta per garantirsi l‟accesso ai servizi urbani. Quattro mila unità abitative all‟ora, novantasei mila al giorno, trentacinque milioni all‟anno è il deficit che stiamo accumulando. I governi, incapaci di risolvere la crescita incontrollabile delle città, preferiscono intraprendere azioni di sgombero e pulizia piuttosto che impegnarsi in cammini tortuosi, difficili e poco redditizi. Si costruiscono muri e recinti, si programmano espulsioni, si elaborano progetti per cambiare volto e migliorare la città formale, costruendo quartieri-fortezza e assicurando guadagni stratosferici alle società immobiliari e alle polizie private. Il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (United Nations Human Settlements Programme, UN-Habitat) coordina da Nairobi le misure di abitazione e insediamento in seno al sistema dell‟ONU e realizza propri progetti di sviluppo, fra cui ad esempio attività atte a migliorare le infrastrutture urbane, le condizioni di vita nei quartieri poveri e l‟approvvigionamento di acqua potabile, a lottare contro la condizione di senzatetto o progetti nell‟ambito del buongoverno urbano. Uno degli Obiettivi del Millennio previsti dalle Nazioni Unite è ottenere un miglioramento significativo della vita di almeno 100 milioni di abitanti delle baraccopoli entro l'anno 2020. 2 UN-Habitat, Financing urban shelter: global report on human settlements 2005, Earthscan, London 2005, p. 5. Reperibile on-line: http://www.unhabitat.org. [Data di consultazione: 05/06/2008]. 1

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L‟esistenza di eserciti di persone che vivono in insediamenti irregolari non è più un fenomeno che può passare in seconda linea. Essi vivono spazi fisici e simbolici che non appartengono al mondo sempre più ristretto di coloro che partecipano attivamente alla globalizzazione. Essi compongono il settore dell‟economia informale che garantisce la sopravvivenza di milioni di persone, costruendo una rete globale che sostiene e nutre i settori formali. Lo sguardo attento alle favelas oggi è un obbligo per prendere coscienza degli spazi opachi che non vengono rappresentati nell‟immagine luminosa del reale. Spazi che continuano ad essere trattati come luoghi d‟eccezione. Mentre per il favelado è luogo di quotidianità, è la totalità-mondo. Qui l‟abitante, erroneamente definito marginale, continua a trovare qualcosa per cui valga la pena esserci. L‟esempio viene dalla sociologa Saskia Sassen che, durante la conferenza a Ferrara, parla del ghetto di Chicago, ghetto che è oggi uno spazio devastato, un iper-ghetto, uno spazio irrilevante. Lì, nel ghetto devastato, succede che alcuni soggetti “irrilevanti”, svalorizzati, apparentemente privi di ruolo in questa nuova economia, diventano soggetti valorizzati: i musulmani insegnano l‟islam, i neri insegnano la poesia del rap. Si danno qualcosa mutuamente. La mancanza di potere o di valore diventa complessità latente. E‟ questa una tendenza interessante resa visibile dalla città. Quelli che non hanno potere, trovano nella città il senso politico, la partecipazione. Nel ghetto così come in qualsiasi altro terrain-vague pensato solo come luogo di disperazione, assistiamo ad un modello di vita e di cittadinanza che la Sassen battezza ghettocosmopolitanism. L‟abitante marginale, privato a forza del diritto alla città, assume un ruolo nella costruzione degli spazi di resistenza nella città, coalizzandosi con gli altri “marginali”, lottando per l‟affermazione della propria soggettività e identità collettiva. Questo è l‟insegnamento che giunge dalla periferia. Un tema portato alla ribalta nelle discussioni sul futuro delle città e sulla loro governance è il tema della sicurezza che richiama l‟espandersi di momenti di violenza. Il quesito che si apre oggi è se le città che hanno avuto la capacità di trasformare la conflittualità in convivenza civile, stiano diventando lo spazio del conflitto. Uno spunto di riflessione interessante parte dall‟osservazione del modo in cui la globalizzazione penetra nello spazio urbano. La violenza e la concitazione con cui lo fa è tale che i suoi attori non possono negoziare, né avere nessun ruolo se non quello di spettatore passivo. È una passività che si trasforma in rabbia per non avere un equo accesso alle risorse e per essere confinati ogni giorno

di

più

in

uno

spazio

senza

senso,

disumanizzato

dall‟indifferenza

e

dall‟individualismo. Se non saranno livellate le disuguaglianze estreme, se il dialogo e lo scambio culturale si perderà nelle prevaricazioni di identità monolitiche, se la

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radicalizzazione della povertà continuerà ad essere il trend futuro, non ci sarà spazio per una convivenza pacifica tra identità plurali. In questo concordo con la tesi di Slavoj Žižek3 quando dice che la violenza esplosa nelle banlieues parigine o nel Caracazo è la risposta ad una violenza “sistemica”, ossia dei nostri sistemi economici e politici. Quando lo Stato non è in grado di garantire diritti uguali per tutti e lascia il cittadino nudo di fronte alla violenza dell‟economia globale, siamo di fronte ad una situazione di prepotenza di fondo, che miete milioni di vittime al giorno, vittime sacrificali di un sistema che consuma altissimi livelli di entropia. L‟emergere di polizie private, il rinchiudersi in città murate, la reazione militare dello Stato (ormai Stato Penale non più Sociale) a forme di accattonaggio e disturbo dell‟ordine, non fa presagire nulla di buono. Lasciando da parte quei temi che compongono materie ben definite, spesso fatte di statistiche a supporto di tesi proposte, è possibile abbracciare un‟altra visione della città, quella fatta di idee, di forme, di concetti opachi e variabili, ma che spingono ad una riflessione comunque necessaria sulla città. Guardare la città significa anche guardare un organismo che si scompone e ricompone in un negoziare continuo di identità e di forme. L‟urbanista Bernardo Secchi4 evidenzia che la storia della città è storia di forme, del loro sovrapporsi in un andamento che è lento per le forme fisiche, più veloce per le forme delle organizzazioni sociali, quasi volatile per le forme delle idee. Queste forme competono tra loro, in una lotta in cui alcune di esse vengono eliminate, mentre altre godono di temporanee fortune. Tutte muovendosi comunque nel tempo e nella storia. La forma della città è dunque una combinazione di idee, strutture fisiche e organizzazioni sociali che mutano nel tempo. I confini incerti, porosi e mutevoli delle idee che danno movimento alla città, la cementificazione di strutture fisiche che ne spiegano l‟apparente staticità, le instabili organizzazioni sociali, costruiscono perimetrie mobili, confini solo immaginari, bordi aperti che contrastano con l‟idea di fissità di confine. Così in parte è nata l‟idea di una dimensione frattale della città di Caracas, in particolare dei suoi barrios. Essi richiamano il modello frattale, che riassume la struttura fisica, le organizzazioni sociali e la cultura che li attraversa. Il frattale è un concetto utilizzato in matematica e trova, a mio parere, un felice innesto nello studio della città da un punto di vista morfologico e socio-culturale. In primo luogo morfologico perché l‟immagine del frattale rende bene l‟espansione infinitesimale e apparentemente caotica della città, i cui margini poco definiti racchiudono la complessità 3 4

S. Žižek, La violenza invisibile, Rizzoli, Milano 2007. Intervento di apertura del Festival Città e territorio tenutosi a Ferrara dal 17 al 20 aprile 2008.

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strutturale e culturale di una comunità urbana. Come nel frattale, la cui caratteristica è di moltiplicare i dettagli nell‟ingrandimento, i margini della città acquisiscono sempre più particolari osservandoli da vicino. La geometria frattale che descrive le forme presenti in natura, altrimenti non descrivibili con la geometria euclidea, spiega bene la sagoma del tessuto urbano costruito liberamente dall‟uomo, in opposizione a un tipo di architettura militare-industriale più alienante. La favela come insediamento irregolare non pianificato, ma adattato al territorio in cui si colloca, è di fatto un‟“esternalizzazione della biologia umana”5, della creatività e delle potenzialità dell‟uomo. In secondo luogo, il frattale esprime l‟aspetto socio-culturale dell‟insediamento auto-costruito. La complessità culturale, la simbiosi di esperienze sociali, il precipitato di attività quotidiane e la stratificazione biologica che si manifesta all‟interno dei barrios di Caracas ad esempio, come in qualsiasi altra periferia del mondo, è simbolo pieno di quel processo che E. Glissant definisce creolizzazione6. Glissant utilizza l‟espressione “manifestazioni frattali di sensibilità che si formano e si radunano in maniera inedita” riferendosi alle “minoranze solo ieri insospettate e schiacciate dalla cappa di un pensiero monolitico”, “apparizioni inattese” che compongono la diversità di un mondo creolizzato7. Credo subito nella perfezione e nella poeticità della resa. Definire ogni elemento culturale che si somma nella diversità come manifestazione frattale significa rendere l‟immagine di stratificazioni culturali che ripetono una matrice originaria all‟infinito. Ogni singolo elemento non diluisce l‟uno dentro l‟altro, non si perde nell‟ingrandimento, ma si moltiplica e si ritrova arricchito di dettagli. Al concetto di frattale ho voluto infine aggiungere un secondo concetto che reputo una specie di paradigma interpretativo della realtà: l‟interstizio. Fenomeni interstiziali oggi spiegano l‟emergere di nuove centralità che non corrispondono più ad un centro fisico, topografico, ma simbolico. L‟interstizio trovandosi nello spazio condiviso tra un ente ed un altro rappresenta quella forma di pensare che non può essere monolitica se vuole aprirsi alla contaminazione valorizzante con altre discipline. Così è anche la frontiera dell‟abitante del barrio, della favela, costretto a vivere sempre sul limite, capace di oltrepassarlo e tornare indietro. Le sue frontiere non sono fisse come i muri di cinta dei quartieri controllati a vista, sono porose. Riconoscere le frontiere e superarle per entrare in contatto con l‟Altro è la doverosa traiettoria del cittadino di oggi. Termino il capitolo con un paragrafo dedicato alla città autocostruita. Così come l‟attività informale autocreata dall‟abitante della città

Concetti ripresi oggi dal filone dell‟architettura organica sociale. Riprendo più dettagliatamente il pensiero di Glissant nel capitolo 3. 7 E. Glissant, La Poetica del Diverso, Meltemi, Roma 2004, p. 21. 5 6

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“illegale”, frutto di creatività mista ad esigenza e a cultura d‟urgenza, la casa del rifugiato metropolitano è prodotto di un processo informale. Vi lavora la famiglia, vi partecipa una comunità intera, vi si investe il tempo libero. Si costruisce una casa ma anche una progettualità di vita. Il fenomeno dell‟autocostruzione risponde all‟emergenza abitativa dei paesi più poveri, ma non solo. Esperienze di autocostruzione sono ovunque. E sorgono cooperative e associazioni. Perché indipendentemente dai materiali di costruzione, ciò che c‟è in una casa che costruisci con le tue mani è spazio alle idee, impegno fisico e mentale, libertà di espressione, realizzazione di vita, un ritaglio di spazio nella città e nel mondo.

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1. Megalopoli, megapoli e meta città

La sopravvivenza di uno stato di povertà in mezzo all‟abbondanza svuota di ogni senso il postulato secondo il quale ogni cittadino ha diritto ad essere parte della nostra società. La negazione di tale diritto ci impoverisce tutti. Dwight Macdonals

Tra il 2007 è il 2008 abbiamo assistito ad una svolta epocale: il passaggio da un mondo prevalentemente rurale ad un mondo prevalentemente urbano. Per la prima volta nella storia, gli abitanti della città sono difatti più numerosi della popolazione rurale e, in previsione, continueranno ad aumentare. Secondo proiezioni delle Nazioni Unite effettuate nel 2004, la popolazione urbana rappresenterà nel 2030 più del 60% della popolazione mondiale raggiungendo i 4.944.679,063 abitanti8 (Tab. 1.1). Com‟è possibile osservare nella Tab. 1.3, tale aumento interesserà maggiormente i paesi in via di sviluppo e in particolare i paesi del continente asiatico e dell‟Africa (Tab. 1.4 e 1.5) che registreranno un maggiore tasso di urbanizzazione per il periodo 2003-2030. Considerando invece il periodo 1950-2003 è stata l‟America Latina, assieme ai Caraibi, a registrare la crescita maggiore (+35%) arrivando ad un tasso di urbanizzazione dell‟80%, (92,3% in Venezuela, paese più urbanizzato del continente americano9). DATI SULLA POPOLAZIONE MONDIALE

Popolazione urbana (2003) Popolazione urbana stimata (2030) Popolazione urbana addizionale Popolazione degli slums (2003) Persone richiedenti alloggio e servizi urbani (2030) Tab. 1.1 Fonte: Urban Shelter.

3.043.934,680 4.944.679,063 1.900.744,383 923.986,000 2.824.730,383

UN-Habitat, op. cit., p. 5. Population Division of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat, World Population Prospects: The 2006 Revision and World Urbanization Prospects: The 2007 Revision, http://esa.un.org/unup. 8 9

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POPOLAZIONE TOTALE (mld) 1950 1975 2003 Mondo 2,52 4,07 6,3 Paesi sviluppati 0,81 1,05 1,2 Paesi in via di sviluppo 1,71 3,02 5,1 Tab. 1.Errore. Per applicare 0 al testo da visualizzare in questo punto, utilizzare la scheda Home.2

2030 8,13 1,24 6,89

POPOLAZIONE URBANA (mld) Mondo Paesi sviluppati Paesi in via di sviluppo Tab. 1.3

1950 0,73 0,43 0,31

1975 1,52 0,7 0,81

2003 3,04 0,9 2,15

2030 4,94 1,01 3,93

TASSO DI URBANIZZAZIONE10 (%) America del Nord America latina e Caraibi Europa Oceania Africa Asia Tab. 1.4

1950 64 42 51 61 5 15

1975 74 61 66 72 25 25

2003 80 77 73 73 38 39

2030 87 85 80 75 55 53

TASSO DI URBANIZZAZIONE (∆ %) America del Nord America latina e Caraibi Europa Oceania Africa Asia Tab. 1.5 Fonte: United Nations [2004]11

∆ % 1950-1975 10 19 15 11 20 10

∆ % 1975-2003 6 16 7 1 13 14

∆ % 2003-2030 7 8 7 2 17 14

Il tasso di urbanizzazione è il valore in percentuale dei cittadini rispetto alla popolazione totale. Dati tratti da J. Verón, L’urbanizzazione del mondo, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 24-26. La tab. 1.4 è stata ricavata dalla Tab. 1.3. per evidenziare la variazione percentuale del tasso di urbanizzazione. 10 11

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Il fenomeno più preoccupante legato all‟urbanizzazione è la traiettoria esplosiva delle “megalopoli” e “megapoli” in cui si concentra la maggior parte della popolazione mondiale12. La crescita molecolare estensiva e intensiva delle città non è un fenomeno nuovo. Lo è tuttavia in termini di quantità, di velocità del processo e soprattutto nel suo carattere di crescita svincolata dallo sviluppo economico. Oggi, più che per un vero e proprio vantaggio urbano (industrializzazione, opportunità di ascesa sociale, disponibilità di servizi, etc..), è la crisi nelle campagne a spingere a migrare (fattore push). Grandi società agroindustriali sfruttano intensivamente i terreni agricoli, causando un‟eccedenza di manodopera, mentre guerre e disastri ambientali rendono più vulnerabile l‟abitante delle campagne costretto a cercare rifugio nelle città in cui attività informali o mendicità ne garantiscono la precaria sopravvivenza, nell‟attesa della tanto sospirata opportunità che possa rappresentare il punto di svolta nella propria vita. L‟ipertrofia delle città è un carattere costante della nostra epoca. A livello statistico ricordiamo che nel 1950 gli agglomerati urbani con più di un milione di abitanti erano 86, nel 1975 se ne contavano 195, nel 2005 erano già diventati 430 e nel 2015 se ne conteranno 150. La popolazione totale residente in città con più di un milione di abitanti è passata da 509 milioni nel 1975 a 1,2 miliardi nel 2005. Tra il 1975 e il 2005 il numero degli agglomerati più grandi – con dieci milioni di abitanti o più – è aumentato di cinque volte. Sulle venti città con una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti, quindici si trovano in paesi in via di sviluppo13. I dati di crescita di alcune città sono particolarmente impressionanti: Delhi ad esempio è passata da poco più di 200.000 abitanti nel 1901 a circa 14 milioni nel 200314 quasi 19 milioni nel 2015 (Tab. 1.6), Lagos 300.000 nel 195015, 10,1 milioni nel 2003, 16 previsti nel 2015. Queste città che Jeremy Seabrook16 definisce “campi-profughi per gli sfrattati dell‟agricoltura” accolgono l‟esubero di manodopera delle campagne resa necessaria da un progresso tecnologico che prometteva guadagni extra.

Per rappresentare la differenza tra “megalopoli” e “megapoli” si può richiamare lo spazio urbano che si estende da Tokyo a Osaka (megalopoli) e quello della Gran Buenos Aires (megapoli). La “megapoli” sarebbe una città “che non organizza nessun territorio, non deriva la sua dinamica interna dalla produzione lato sensu e cresce senza regole e senza misura”. Le Bris, citato in J. Verón, op.cit., p. 76. 13 Ibid., pp. 29-31. 14 Ibid., p. 17 e p. 31. 15 AA. VV., Atlante di Le Monde Diplomatique, Il Manifesto, Roma 2006, p. 34. La città nigeriana si espande ad un ritmo del 5% annuo. 16 Autore e giornalista inglese esperto di tematiche sociali, ambientali e sullo sviluppo. Alcuni suoi articoli sono presenti on-line: http://www.guardian.co.uk/profile/jeremyseabrook?page=3. [Data di consultazione 18/08/2008]. 12

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Le dimensioni fanno pensare a mostri urbani per la cui descrizione si fa necessario uno sforzo di immaginazione e una rivoluzione lessicale. Sono metacittà, ipercittà, città-stato in cui si concentrerà il massimo dello sviluppo del paese in cui sono collocate, così come i maggiori tassi di povertà. Esempio di ipercittà è Tokio che a metà degli anni Sessanta, superava già i venti milioni di abitanti. Oggi è l‟agglomerato urbano più grande del mondo con i suoi trentacinque milioni di abitanti. Verso il 2020, le città di Mumbai, Delhi, Ciudad de México, São Paulo, Nuova York, Dhaka, Jakarta e Lagos entreranno a far parte della categoria delle meta-città17 (tab. 1.6). Le megacities contemporanee sono concentrazioni umane al limite dell‟asfissia e del collasso. Eppure resistono e continuano nel loro tragitto ascendente18. Suketu Metha in Maximun City esprime ciò che significa oggi il fenomeno delle città-isole o città-stato ormai svincolate dai caratteri della nazione che le ospita, che costruiscono ogni giorno nuove frontiere e muri di segregazione. Bombay diventa qui il simbolo dei grandi megapoli: A Bombay nel 1990 vivevano 6779 persone per km quadrato. In alcune zone del centro di Bombay la densità per km quadrato arriva oggi a 386.250 persone. La più alta densità demografica al mondo. Gli abitanti non sono ugualmente distribuiti nella città-isola: due terzi dei residenti si affollano nel 5% della superficie totale, mentre i più ricchi o i più protetti dalla legge sugli affitti monopolizzano il restante 95%. Cinquant‟anni fa, se si voleva conoscere l‟economia dell‟India, si andava nei villaggi, che nel 1950 contribuivano per il 71% al prodotto interno netto. Oggi bisogna andare nelle città, che producono il 60% del prodotto interno netto. Bombay da sola versa il 38% del gettito fiscale del paese. La causa della sovrappopolazione di Bombay è l‟impoverimento delle campagne, così che qualunque giovanotto che abbia qualche sogno in testa prende il primo treno e va a vivere su un marciapiede19.

17 Dati reperibili on-line: http://www.unhabitat-rolac.org/anexo%5C190620061531414.pdf. [Data di consultazione: 13/08/08]. 18 Scrive Mike Davis: “Il perverso boom urbano ha colto di sorpresa quasi tutti gli esperti e ha contraddetto i modelli economici ortodossi che predicevano che il feedback negativo della recessione urbana avrebbe rallentato o addirittura rovesciato la migrazione dalle campagne”. M. Davis, Il Pianeta degli Slum, Feltrinelli, Milano 2006, p. 14. 19 S. Mehta, Maximum City. Bombay città degli eccessi, Einaudi, Torino 2006, p. 18.

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LE CITTÀ PIÙ POPOLATE NEL MONDO

Città, Stato Tokyo, Japan New York-Newark, USA Ciudad de México, México Mumbai (Bombay), India São Paulo, Brazil Delhi, India Shanghai, China Kolkata (Calcutta), India Dhaka, Bangladesh Buenos Aires, Argentina Los Angeles, USA Karachi, Pakistan Al-Qahirah (Cairo), Egypt Rio de Janeiro, Brazil Osaka-Kobe, Japan Beijing, China Manila, Philippines Moskva (Moscow), Russia Istanbul, Turkey Paris, France Seoul, South Korea Lagos, Nigeria Jakarta, Indonesia Tab. 1.6. Fonte: UNDESA20

1975

2000

2007

2015

2025

26.615 15.880 10.690 7.082 9.614 4.426 7.326 7.888 2.221 8.745 8.926 3.989 6.450 7.557 9.844 6.034 4.999 7.623 3.600 8.558 6.808 1.890 4.813

34.450 17.846 18.022 16.086 17.099 12.441 13.243 13.058 10.285 11.847 11.814 10.019 10.534 10.803 11.165 9.782 9.958 10.016 8.744 9.692 9.917 7.233 8.390

35.676 19.040 19.028 18.978 18.845 15.926 14.987 14.787 13.485 12.795 12.500 12.130 11.893 11.748 11.294 11.106 11.100 10.452 10.061 9.904 9.796 9.466 9.125

36.371 19.974 20.189 21.946 20.544 18.669 17.214 17.039 17.015 13.432 13.160 14.855 13.465 12.775 11.365 12.842 12.786 10.524 11.177 10.007 9.740 12.403 10.792

36.400 20.628 21.009 26.385 21.428 22.498 19.412 20.560 22.015 13.768 13.672 19.095 15.561 13.413 11.368 14.545 14.808 10.526 12.102 10.036 9.738 15.796 12.363

United Nations Department of Economic and Social Affairs, World Urbanization Prospects: The 2007 Revision. Documento on-line: http://www.geohive.com/default1.aspx. [Data di consultazione: 22/02/2008]. 20

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Le città, in una visione organicistica, hanno bisogno di nuovo territorio per sopravvivere21. Più una città cresce numericamente più si estende22, e lo fa in modi diversi, il più delle volte frammentando il tessuto urbano e disgregandone la struttura sociale, creando zone ad uso specifico, o costruendo vere e proprie segregazioni urbane. Le categorie sociali più agiate prenderanno possesso dei quartieri più vivibili, più verdi, meno densamente popolati, mentre i migranti, i nuovi arrivati e le famiglie più povere, o recentemente impoverite da crisi economiche, occuperanno le zone periferiche23, caratterizzate da scarsità di servizi, mal collegate col resto della città, sorte su aree inquinate o geologicamente instabili. I diversi livelli di reddito tra le classi sociali e i gruppi etnici si riflettono innegabilmente nell‟evoluzione spaziale e sociale delle città, determinandone la morfologia e la geografia sociale. Oggi, la tendenza preoccupante delle grandi metropoli contemporanee è quella di essere città duali, in cui lussuose e superprotette gated communities, “comunità chiuse”, in cui gli abitanti cercano la difesa dai pericoli esterni e la sicurezza della similarità, si affiancano ad aree disagiate, caratterizzate da una struttura frattale apparentemente disordinata. Le gated communities tipiche degli Stati Uniti, dell‟America latina e del Sudafrica (in cui l‟apartheid era di fatto legalizzato) rappresentano quel pezzo di città che cerca, dietro un muro protetto da filo spinato, cocci di vetro e telecamere24 una “chiusura fisica” e una “selezione sociale” dal resto di una città in tumulto, impegnata nel quotidiano compito della ricerca di cibo, di acqua, di un pezzo di marciapiede su cui dormire e di un bagno in cui espletare le proprie esigenze fisiologiche. Come scrive Zygmunt Bauman la recinzione separa il ghetto volontario degli arroganti dai molti condannati a non avere niente. La città duale crea oggi i suoi ghetti volontari e involontari. Mentre l‟abitante del ghetto volontario è il cittadino tipico del mondo globalizzato (la cui vita ipertecnologica scorre sulle ruote di un SUV25, passando da un‟isola felice all‟altra del cyber-space), l‟abitante del ghetto

Il concetto di “impronta ecologica” si riferisce al consumo di spazio di una città. E‟ un concetto che mette in relazione urbanizzazione e pressione esercitata sulle risorse. La città difatti “consuma” uno spazio più esteso di quello in cui è situata, per l‟approvvigionamento alimentare, energetico, etc.. Vancouver per esempio ha un impronta ecologica 174 volte quella occupata dalla città. 22 L‟estensione della città prende il nome di urban sprawl. Si parla anche di città diffusa. 23 L‟aggettivo periferico esprime non tanto un concetto topografico quanto simbolico. 24 Un film che consiglio su questo tema è La Zona, di Rodrigo Plá, Messico 2007. 25 Sport Utility Vehicles: vetture fuoristrada pericolose per gli altri, per il peso e la rigidità strutturale, ma anche per sé (negli Stati Uniti solo nel 2002 ci sono stati duemila morti per ribaltamento di tali mostri a quattro ruote). In più inquinano 3 volte le auto comuni e consumano il 30% del carburante in più. 21

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involontario, il nuovo migrante fluttuante delle nostre città, diventa il capro espiatorio di tutti i mali del mondo, il rifiuto umano della globalizzazione: Vengono in città e diventano il simbolo di queste misteriose, e perciò spaventose, forze della globalizzazione. Vengono da chissà dove, e sono – come dice Bertold Brecht – dei messaggeri di sventure. Portano con sé l‟orrore di guerre lontane, di fame, di carestie, e rappresentano il nostro peggior incubo: quello che noi stessi, a causa della pressione di questo nuovo e misterioso equilibrio economico, possiamo diventare superflui, possiamo perdere i nostri mezzi di sostentamento e la nostra posizione sociale. Essi rappresentano la fragilità e precarietà della condizione umana, e nessuno vuole che gli siano ricordate ogni giorno queste cose orribili, che gli piacerebbe invece dimenticare26.

1.2 La favelizzazione del mondo Gli effetti catastrofici dei piani di ristrutturazione (Pas) sulle economie emergenti ed in via di sviluppo27, il perdurare (non casuale) di situazioni di conflitto armato, il succedersi di disastri ambientali, la creazione di colossi agroindustriali, sono tutte cause che direttamente o indirettamente portano ad un trasferimento quasi forzato di enormi masse di persone dalle campagne28 alle città. I nuovi arrivati, per ovviare al cronico deficit abitativo, sono costretti a innalzare i primi insediamenti di latta e cartone su terreni marginali privi di servizi di base e geologicamente instabili. Il carattere inizialmente precario di queste occupazioni, si cristallizza con l‟andare del tempo in forma permanente dell‟abitare ed esprime l‟unica possibilità di esercitare il diritto alla città per le masse impoverite urbanizzate. La pressione esercitata dall‟alluvione migratoria provoca un‟implosione delle frange perimetrali delle città, generando una “struttura dalla complessità frattale”29 costituita dai cosiddetti slums30. Questo modus habitandi, lungi dal contraddistinguere una ristretta area del mondo in un preciso momento storico, diventa fenomeno comune a tutti i continenti, tanto da poter parlare di favelizzazione del mondo.

Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Bruno Mondadori, Milano 2005, p. 69. “Gli anni ottanta – quando il Fmi e la Banca mondiale hanno cominciato a usare la leva del debito per ristrutturare le economie di gran parte del Terzo Mondo – sono stati gli anni in cui lo slum è diventato un‟implacabile prospettiva futura non soltanto per i migranti rurali poveri, ma anche per milioni di tradizionali abitanti urbani sfollati o gettati in miseria dalla violenza dell‟aggiustamento”. M. Davis, op. cit., p. 138. 28 Tanto da poter parlare di “ruralizzazione delle città” o “rurbanizzazione”. 29 M. Davis, op. cit., p. 30. 30 Gli autori di The Challenge of Slums definiscono lo slum come “luogo caratterizzato dal sovraffollamento, strutture abitative scadenti o informali, accesso inadeguato all‟acqua sicura e ai servizi igienici, scarsa sicurezza di possesso”. Ibid., p. 27. 26 27

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Più di un miliardo di persone vivono oggi nelle circa duecentomila baraccopoli disseminate attorno e dentro le grandi metropoli del globo. Ogni paese ha il suo preciso termine: favelas, bidonvilles, villas miserias, slum, barrios de rancho, barriada, pueblo joven etc.... Attualmente, stando alle cifre fornite da UN-Habitat, il numero di abitanti degli slums stanno crescendo all‟incredibile ritmo di venticinque milioni di unità all‟anno31. Si prevede che nei prossimi venti anni la popolazione mondiale urbana salirà a 4.944.679,063 e che le persone alla ricerca di un‟abitazione saranno 2.824.730,383 ossia più della metà. Se la situazione abitativa rimarrà invariata, se i governi non correranno ai ripari, vorrà dire che una persona su due nella città vivrà in uno slum, o sarà un sin techo. Lo slum diverrà allora la “soluzione pienamente ufficializzata al problema dello stivaggio del surplus di umanità di questo secolo”32 mentre il ghetto-urbanism (Sassen) diverrà il nuovo way-of-life. Effettuare statistiche sugli slums è molto difficile dato che spesso queste divergono completamente dalla realtà33. Ad esempio se per l‟Onu solo il 19,6% dei messicani urbani vive nelle colonias populares, per gli esperti locali la percentuale sale a due terzi34. Questo succede perché spesso gli abitanti poveri degli slums sono sottostimati o privi di identità, vittime della dimenticanza burocratica volontaria, e di un‟umanità distratta. La classifica delle più grandi favelas (Tab. 1.7) rimane comunque un gioco al rialzo: 10-12 milioni per Bombay/Mumbai, che si attesta quale capitale dello slum, 9-10 milioni per Città del Messico, Lagos, Il Cairo, Karachi, Kinshasa-Brazzaville, San Paolo, Shanghai e Delhi, tra i 6 e gli 8 milioni ciascuna35. Che cosa significa vivere in uno slum? Mike Davis definisce gli abitanti di queste realtà “i pionieri colonizzatori delle paludi, delle zone golenali, delle pendici vulcaniche, dei rami abbandonati delle ferrovie e dei margini dei deserti”. Essi abitano il disastro come unico spazio libero lasciato ai reietti, ai diseredati della terra. I terremoti, che nel corso del ventesimo secolo hanno distrutto oltre cento milioni di case, hanno colpito soprattutto slum, quartieri dormitorio o villaggi rurali poveri, sorti in aree inedificabili. A Caracas, una delle città a più alto rischio sismico, i suoi barrios sono appoggiati come piramidi di carta lungo le pendici della Cordigliera, sui cerros e nelle quebradas, e giocano quotidiamente l‟incerta partita contro gli eventi naturali:

Ibid., p. 178. Ibid., p. 178. 33 Come riporta ironicamente Joseph Rykwert durante la Conferenza di Ferrara esistono tre tipi di bugie: la bugia semplice, la bugia dannata e la statistica. 34 M. Davis, op. cit., p. 29. 35 Ibid., p. 27. 31 32

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[Gli] slum che ospitano i due terzi della popolazione urbana sono costruiti sulle instabili colline e nelle profonde gole che circondano la valle di Caracas, zona sismica attiva. Originariamente la vegetazione tratteneva lo schisto, friabile e fortemente disgregato, ma l‟eliminazione dei cespugli e le costruzioni hanno destabilizzato le pendici densamente abitate, e il risultato è stato un drastico aumento di grandi frane e smottamenti, da meno di una per decennio prima del 1950 alla media attuale di due e più al mese36.

Vivere in uno slum significa dover ancora morire per malattie debellate nel mondo tecnologicamente avanzato, dove non si macinano chilometri per giungere ad una fonte di acqua pulita, non si pagano cifre esorbitanti alle compagnie private incaricate di distribuire acqua, non si sperpera ogni giorno il 10% del salario base per usare un gabinetto pubblico37. L‟igiene non è cosa facile da perseguire quando manca l‟acqua e non ci sono servizi igienici 38 o quando si vive su immondezzai a cielo aperto. Le baraccopoli sono aree dimenticate dalla legge degli uomini e di Dio. Rifiuti umani, considerati altamente “tossici” e “infettivi” da un mondo che si vanta di aver creato ricchezza per tutti, vivono nelle discariche divenute fonte di sopravvivenza e di morte precoce allo stesso tempo39. Nelle città il divario tra ceti medi e i poveri urbani è più profondo che tra città e campagna. L‟apartheid nelle città contemporanee si misura a colpo d‟occhio e si conferma con le statistiche: A Quito la mortalità infantile è trenta volte più alta negli slum che nei quartieri ricchi, mentre a Città del Capo la tubercolosi è cinquanta volte più diffusa tra i neri poveri che tra i bianchi benestanti. Bombay resta il carnaio di sempre con tassi di mortalità del cinquanta per cento più alti che nei distretti rurali adiacenti40.

Fantasmi migranti alla ricerca di una collocazione nel mondo, privi di atti di proprietà della terra, occupata o acquistata da immobiliaristi che hanno illegalmente lottizzato terre, sono esposti a continui sgomberi forzati (Tab. 1.8) attuati con bulldozer e col dispiego di forze militari per far spazio a grattacieli, appartamenti di lusso, centri commerciali, gated communities. V. Jiménez-Díaz, The Incidence and Causes of Slope Failure in the Barrios of Caracas, pp. 127129, citato in M. Davis, op. cit., p. 8. 37 In Ghana l‟uso di gabinetti pubblici per una singola famiglia, una volta al giorno, costa circa il dieci % del salario base. Ibid., p. 130. 38 Ad esempio, la megalopoli di Kinshasa, con circa dieci milioni di abitanti è del tutto priva di un sistema fognario a smaltimento idraulico; uno slum di Nairobi nel 1998 aveva in funzione solo dieci latrine per quarantamila abitanti. Se l‟assenza di servizi igienici è un fattore drammatico per la salute e la dignità delle persone, lo è ancora di più per le donne spesso vittime di molestie e aggressioni sessuali e costrette quindi a muoversi in gruppo alle prime luci del giorno per recarsi nei campi aperti. 39 Secondo le stime dell‟Unicef l‟80% dei decessi per malattie evitabili deriva dalla scarsa igiene e colpisce soprattutto neonati e bambini piccoli. Ricettacolo di parassiti intestinali letali sono le fogne a cielo aperto e le acque contaminate. Le malattie del tratto digerente derivanti dall‟inadeguatezza dei servizi igienici e dall‟inquinamento dell‟acqua potabile sono la prima causa di morte al mondo. M. Davis, op. cit., p. 131. 40 Ibid., p. 134. 36

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Sloggiare migliaia di poveri, risponde a quelle logiche élitiste di “abbellimento” della città, di “pulizia urbana”, di creazione di aree “socioeconomiche omogenee”, oltre a rappresentare il modo più immediato per ottenere profitti altissimi da terre di valore quasi nullo. Allo stesso tempo la rimozione degli slums quali geometrie che sfuggono al controllo panottico dello Stato, diventa un‟operazione di “controinsurgencia”, di rimozione dell‟ostacolo politico, del dissenso. Lo scontro è tra una geometria dell‟ordine da una parte e una geometria del caos dall‟altra41. Rimuovere significa spostare una realtà scomoda in un altro luogo evitando di occuparsi di problemi strutturali che continuano a provocare povertà ed esclusione. Spiega Brian Raftopoulos42 a proposito dello Zimbabwe: Come nel passato coloniale il regime odierno è ricorso a pretesti della criminalità e dello squallore urbano per restaurare l‟ordine nelle città, e come nei tentativi del passato nemmeno questo risolverà i problemi…perché la base di questa miseria urbana è la crisi della riproduzione del lavoro, e il continuo fallimento della politica economica attuale nell‟obiettivo di stabilizzare i mezzi di sostentamento dei lavoratori urbani. Oggi anzi il lavoro, in termini di sussistenza, è più vulnerabile di quanto fosse nel 1980, avendo dovuto sopportare gli effetti di erosione della caduta dei salari reali, l‟aumento dei prezzi dei beni alimentari e i tagli massicci del salario sociale43.

Descrivere gli slums richiede un forte esercizio di astrazione. Pur non dimenticando le quotidiane difficoltà del vivere, non possiamo non sottolineare la complessità e la policromia esistenziale che pulsa nelle periferie del mondo. Tutte le umane passioni vi sono rappresentate. La strada è scuola di vita e la paura è la spinta al superamento del conflitto tra sé e il mondo esterno. C‟è chi lo supera rispondendo con violenza alla violenza dell‟ambiente, c‟è chi lo fa nella bellezza armonica della musica o nella creatività artistica, ognuno con una tensione muscolare per la vita44. Nello slum gli insignificanti esseri di un mondo che non li osserva, costruiscono le proprie r-esistenze, dichiarando il bisogno universale del riconoscimento. Nei barrios de ranchos venezuelani, nei chawls indiani, nelle gecekondu turche e nei pueblos jovenes peruviani, nella Il significato della rimozione assume risvolti anche psicologici: rimuovere le sacche di povertà urbana significa allontanare dalla vista la miseria profonda che alimenta la paura liquida, così definita da Zygmunt Bauman, tipica delle classi medio-alte del mondo tecnologicamente avanzato. 42 Professore, scrittore e attivista di Solidarity Peace Trust, una Ong che si occupa di diritti umani in Zimbabwe. 43 B. Raftopoulos, The Battle for the Cities, citato in M. Davis, op. cit., p. 107. 44 “Ognuno di noi ha un punto estremo interiore. La maggior parte di noi vive una vita controllata e resiste a tutto ciò che lo trascina troppo vicino a quel limite. Vediamo altre persone forzare il limite e li seguiamo per un tratto, ma poi ci tiriamo indietro, per paura, per la famiglia. A Bombay ho conosciuto persone che vivono più vicino a quel seducente limite estremo di tutti quelli che ho conosciuto in vita mia. Esistenze gridate”. S. Mehta, op. cit., p. 536. 41

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favela di cemento di Scampia, nei ghettos di Harlem, pullula la “nuda vita”, fluttua la meravigliosa quanto crudele esistenza terrena, resa sopportabile dall‟unico muro di protezione che in questi territori si può costruire: l‟umana solidarietà. Ancora Suketu Metha racchiude il suo significato nell‟immagine di un treno in corsa proveniente dalle periferie: Se siete in ritardo per il lavoro, la mattina a Bombay, e arrivate alla stazione proprio quando il treno sta ripartendo, potete correre a fianco dei vagoni gremiti e vedrete molte mani che si allungano per aiutarvi a salire, protendendosi dal treno come petali. Mentre correte lungo la banchina, sarete presi su e sull‟orlo della porta aperta verrà fatto un minuscolo spazio per i vostri piedi. Il resto sta a voi. Dovrete probabilmente aggrapparvi agli stipiti della porta stando attenti a non sporgere troppo per evitare di essere decapitati da un palo piazzato troppo vicino ai binari. Ma pensate a cos‟è accaduto. I vostri compagni di viaggio, già ammassati più di quanto si possa legalmente ammassare il bestiame, con le camicie già impregnate di sudore nello scompartimento mal ventilato, da ore in quella precaria posizione, sono ancora capaci di solidarietà, sanno che il vostro capo potrebbe rimproverarvi o ridurvi la paga se perdete il treno e vi fanno spazio là dove sembra impossibile che ci stia qualcun altro. E al momento del contatto, non sanno se la mano che si allunga verso di loro appartiene a un indù, a un musulmano o a un cristiano, a un brahmino o a un intoccabile; non sanno se siete nato in questa città o appena arrivato; se vivete a Malabar Hill, a New York o a Jogeshwari; se siete di Bombay o Mumbay o New York. Sanno solo che state cercando di raggiungere la città dell‟oro, e tanto basta, Sali a bordo dicono. Ci stringiamo45.

45

S. Mehta, op. cit., p. 495.

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I PIÙ GRANDI MEGASLUM NEL MONDO (2005)46

Slum 1 Neza-Chalco-Izta (Città del Messico) 2 Libertador (Caracas) 3 El Sur-Ciudad Bolivar (Bogotà) 4 San Juan de Lurigancho (Lima) 5 Cono Sur (Lima) 6 Ajegunle (Lagos) 7 Sadr (Baghdad) 8 Soweto (Guateng) 9 Gaza (Palestina) 10 Orangi (Karachi) 11 Cape Flats (Città del Capo) 12 Pikine (Dakar) 13 Imababa (Il Cairo) 14 Ezbet El-Haggana (Il Cairo) 15 Cazenga (Luanda) 16 Dharavi (Bombay) 17 Kiberi (Nairobi) 18 El Alto (La Paz) 19 Città dei morti (Il Cairo) 20 Sucre (Caracas) 21 Islamshabr (Teheran) 22 Tlalpan (Città del Messico) 23 Inanda Ink (Durban) 24 Manshiyet Nasr (Il Cairo) 25 Altindag (Ankara) 26 Mathare (Nairobi) 27 Aguas Blancas (Cali) 28 Agege (Lagos) 29 Cité-Soleil (Port-au-Prince) 30 Masina (Kinshasa) Tab. 1.7.

46

Abitanti (milioni) 4 2,2 2 1,5 1,5 1,5 1,5 1,5 1.3 1,2 1,2 1,2 1 1 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,6 0,6 0,6 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5 0,5

Tabella tratta da M. Davis, op. cit., p. 31. Evidenziato mio.

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ALCUNI FAMOSI SGOMBERI DI SLUMS47

Anno 1950 1965-1974 1972-1976 1976 1986-1992 1988 1990 1990 1995-1996 1995 2001-2003 2005 Tab. 1.8

CittĂ Hong Kong Rio de Janeiro Dakar Bombay Santo Domingo Seoul Lagos Nairobi Rangoon Pechino Giacarta Harare

Numero di sfollati 107.000 139.000 90.000 70.000 180.000 800.000 300.000 40.000 1.000.000 100.000 500.000 750.000

DISEGUAGLIANZE E SVILUPPO UMANO 200348

Tab. 1.9 47 48

Tabella tratta da M. Davis, op. cit., p. 96. Fonte: http://www.ladocumentationfrancaise.fr/sinformer/index.shtml

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Figura 1.1. CittĂ duale

Figura 1.2. Diseguaglianze globali. Fonte: UNDP 49

Entrambe le foto sono tratte dalla rivista Poverty In Focus, Agosto 2005 e Giugno 2007, Rivista digitale reperibile on-line: http://www.undp-povertycentre.org/pub.do. [Data di consultazione: 21/02/2008]. 49

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Figura 1.3. Jacob Silberberg/Panos Pictures

Figura 1.4. Equilibri precari a Caracas (2006). Nadia Riolo

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1.3 Militarizzazione dello spazio urbano La megacities contemporanea mette in scena in modo drammaticamente manifesto le disuguaglianze tra ricco e povero, tra inclusi e esclusi dal banchetto della globalizzazione che ipertrofizza i guadagni di un settore terziario specializzato, legato al sistema finanziario globale e raggrinzisce i già affamati corpi degli esclusi, bacino infinito di manodopera informale che nutre paradossalmente le nostre avide economie dello spreco e dell‟eccesso. Il grado di privazione è direttamente collegato al grado di iniquità urbana. Più le classi sociali sono distanti tra loro, più la geografia urbana costruisce le sue aree di esclusione, terreno ideale sia per la microcriminalità che per le grandi associazioni del crimine internazionale. Le disparità economiche, più forti nelle città che altrove, la corruzione del corpo della polizia e delle amministrazioni sono fattori direttamente collegati con il fenomeno della delinquenza. La criminalità trova negli spazi marginali il bacino ideale per arruolare le sue giovanissime reclute, in fuga da una povertà insopportabile che cozza col lusso sfrenato, spinte dal miraggio della ricchezza e del guadagno facile. UN-Habitat, l‟agenzia delle Nazioni Unite per l‟habitat, individua un legame tra tassi di crescita urbana, incapacità di gestione da parte dei governi e conflittualità sociale. Durante l‟ultima decade del secolo scorso, i paesi con tassi di crescita urbana superiori al 4% raddoppiavano le possibilità che scoppiassero conflitti sociali rispetto alle città la cui crescita era più lenta. L‟incapacità delle economie nazionali di mettere in atto azioni in grado di favorire l‟integrazione dei migranti nelle città di accoglienza, e di assorbire nuova forza lavoro nell‟economica formale50, è strettamente legata al diffondersi di criminalità. Frustrazione e disillusione nei confronti di un destino immodificabile e una pesante ingiustizia sociale, sfociano nelle rivolte delle banlieues parigine, nei saccheggi del Caracazo a Caracas, nella guerra urbana di Mogadiscio, nelle guerre tra indù e musulmani che si combattono a Bombay, Calcutta, Ahmedabad e Nueva Delhi, che potrebbero essere viste come guerre di accesso alle risorse (economiche, sociali, culturali). Sono guerre che perdono il loro carattere locale per divenire lotte globali combattute all‟interno del territorio urbano. Le fasce della popolazione urbana con redditi medio-alti considerano l‟ondata crescente di insicurezza (oggettiva o solo percepita e amplificata da un certo tipo di giornalismo d‟assalto) come risultato dell‟invasione di un‟orda incivile, arretrata e analfabeta che “Hay un vínculo claro entre el desempleo entre los jóvenes y la tasa creciente de delincuencia violenta. Unos 88 millones de jóvenes estaban desempleados en 2003, cifra que corresponde a aproximadamente la mitad de los desempleados del mundo. La fuerza de trabajo joven que no logra integrarse a la economía formal es también una amenaza para la estabilidad política”. Fonte: UNHabitat, www.unhabitat.org. [Data di consultazione: 18/08/2008]. 50

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provenendo dalle campagne infesta la civiltà colta, civile e pacifica della città tradizionale. Difficilmente individua nelle forme di polarizzazione sociale ed economica la causa prima del diffondersi di un malessere sociale che sfocia in conflittualità. Lo Stato a sua volta reagisce alla situazione dispiegando il suo apparato militare e avviando una crociata contro il disordine causato dagli “stranieri” e dai poveri emarginati. Scrive Loïc Wacquant che di fronte ad uno Stato che “proclama la propria incapacità di arginare la decomposizione del lavoro salariato e di imbrigliare l‟iper-mobilità di capitale che destabilizza l‟intero tessuto sociale stringendolo in una tenaglia” lo Stato penale permette di “reprimere e contenere il caos urbano prodotto, ai livelli più bassi della struttura sociale, dalla deregolazione del mercato del lavoro e dalla destrutturazione delle reti di protezione sociale”51. Egli chiama “penalità neoliberale” “il trattamento penale rivolto ai segmenti più destrutturati del sottoproletariato” che ricorre “ad un surplus di Stato sul versante poliziesco, giudiziario e carcerario, per far fronte a quell‟aumento generalizzato dell‟insicurezza oggettiva e soggettiva”. Anziché una gestione sociale della povertà nelle sue cause più profonde, gestione che richiederebbe un impegno collettivo e duraturo per far vincere la giustizia sociale e l‟umana solidarietà, si ricorre al modo più immediato e mediaticamente più impattante, ma meno economico ed assolutamente inefficace che è l‟adozione di una “retorica penale di stampo statunitense” e la “penalizzazione preventiva della marginalità urbana”. Gli effetti più drammatici di questa penalità liberale per Loïc Wacquant si concentrano nei paesi ex-autoritari e neoindustriali dell‟America Latina, come il Brasile e i suoi principali vicini – Argentina, Colombia e Venezuela – quali “principali importatori di discorsi e politiche penali made in USA”. Egli descrive uno scenario brasiliano drammaticamente intercambiabile con qualsiasi altro quartiere segregato con alti tassi di povertà: I quartieri marginali e stigmatizzati sono diventati l‟obiettivo principale di una violenta azione di polizia, nonché luoghi privilegiati per la sperimentazione e l‟esibizione di modalità aggressive di mantenimento dell‟ordine, attraverso le quali lo Stato ribadisce ritualmente la propria capacità di intervento. Di conseguenza, l‟azione penale vi ha raggiunto un‟intensità e una distruttività di tipo militare senza precedenti in entrambe le società e inimmaginabile in qualsiasi altro contesto urbano, soprattutto nella misura in cui il lavoro di polizia tende ovunque ad esibire crescenti livelli di disciplina e decoro. Nella città brasiliana la policìa militar compie abitualmente delle incursioni nelle shantytown, durante le quali gli elicotteri a bassa quota divelgono i tetti e le squadre abbattono porte e finestre, saccheggiano le case e abusano dei residenti, aprono il fuoco indiscriminatamente, chiudono scuole e negozi e procedono ad arresti in massa per L. Wacquant, “La militarizzazione della marginalità urbana: lezioni dalla metropoli brasiliana”, in Studi sulla questione criminale, n. 3, 2006, p 7. 51

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“vagabondaggio” (catturando i favelados che non portano documenti d‟identità, come richiesto dalla legge), che si traducono in detenzione a tempo indeterminato e torture: il tutto, indistinguibile nelle tattiche e nei risultati da un‟incursione militare in un territorio occupato. Analogamente, nelle inner city americane le agenzie di controllo penale federali, statali e municipali effettuano imboscate, retate e raid nelle case popolari o agli angoli delle strade, attanagliando i quartieri segregati; in questo modo limitano la circolazione e contrastano ogni forma di aggregazione, inviando la sfera privata e calpestano senza scrupoli lo spazio familiare; sottopongono i passanti a modalità umilianti di perquisizione e ad arresti abusivi; infine, eludono ogni garanzia giuridica violando i diritti costituzionali fondamentali e trattando i residenti come se appartenessero a un paese straniero52.

Di fronte all‟aumento della repressione poliziesca gli effetti sono di moltiplicazione della violenza e della conflittualità sia perché la repressione non ha presa su di una criminalità “predatoria orientata a creare un‟economia parallela laddove l‟economia ufficiale non esiste”, sia perché la stessa polizia, nei paesi in cui questa istituzione si macchia di corruzione, non costituisce affatto “un‟agenzia opposta al vortice di violenza, droga e vendetta che corrode i quartieri poveri”. Infine l‟impiego da parte della polizia civile di metodi di tortura alimenta il clima di terrore tra le classi popolari, che la percepiscono perciò come nemica53. L‟assenza mediatica dai ghetti, dalle favelas, dai chawls concede alla polizia una libertà totale di azione. Anche l‟opinione pubblica in fondo tollera la violenza se applicata per mantenere l‟ordine sociale e lo status quo dei più fortunati54. Suketu Metha racconta: Nell‟ottobre 1998, la polizia di Mumbay formò sei squadre speciali segrete la cui unica funzione era di eliminare i criminali. Nei nove mesi successivi, furono eliminati cinquantatre presunti criminali nel corso di quarantatre incontri. (…) L‟azione delle squadre speciali non aveva limiti di giurisdizione; potevano battere la città in lungo e in largo, scegliendo liberamente i loro bersagli. Ogni incontro veniva ufficialmente attribuito alla più vicina stazione di polizia. Il giornale di Husain non pubblicò la notizia in prima pagina; nessun‟altra testata riprese l‟esclusiva di Husain. Non ci furono reazioni, nessuna indignazione per il fatto che i poliziotti avessero deciso di trasformarsi

L. Wacquant, “art. cit.”, p. 20. Questo è il caso del movimento dei Tupamaros nel barrio 23 de Enero a Caracas, movimento nato sia per contrastare i trafficanti di droga che avevano imposto un clima di terrore nel barrio, sia per lottare contro le incursioni violente della polizia che creavano situazioni di vera e propria guerriglia urbana. 54 “L‟omicidio di un residente disarmato con 41 colpi di arma da fuoco esplosi dalla polizia nella lobby di un edificio lussuoso sarebbe inimmaginabile nell‟Upper East Side di Manhattan o a Tribeca; nel 1999 questo è invece accaduto ad Amadou Diallo nel suo palazzo fatiscente del South Bronx, e il Tribunale ha giudicato l‟omicidio come legittimo e del tutto conforme alle regole di polizia. Eppure, nonostante il loro carattere strutturalmente discriminatorio e arbitrario, questi metodi hanno trovato esplicito sostegno in tutto l‟arco politico – inclusa la sinistra – e sono stati prontamente legittimati da giuristi che si autodefiniscono progressisti”. L. Wacquant, “art. cit.”, p. 20. 52 53

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in giustizieri. Quando si vive nella paura, si delega ogni autorità allo stato senza porre limiti55.

Mentre gli strateghi del Pentagono si preparano all‟inasprirsi dei conflitti in ambito urbano56, le classi privilegiate costruiscono fortini super controllati, e si rinchiudono in aree high-tech cintate, controllate da polizia privata57. I dati e le informazioni presenti sul sito Segured.com fanno luce su di una situazione sconcertante. Secondo la più importante rete per la sicurezza privata nel mondo ispanofono il mercato mondiale cresce annualmente del 78% con un volume d‟affari di 85 miliardi di dollari. In America Latina lavorano nel settore 4 milioni di persone (in Europa 690 mila) integrando l‟“offerta pubblica” considerata insufficiente. In Chile il corpo dei Carabineros è composto da 36.000 unità, 45.000 sono le guardie private ufficiali ed un numero indeterminato illegale. La crescita in Cile del settore delle agenzie private è del 9%. In Argentina la Polizia Federale conta 43.000 unità, mentre la Sicurezza Privata registra 75.000 impiegati, oltre a 80 mila agenti non abilitati. Si stima che in tutta l‟America Latina le guardie legali siano 1.630.000 e tra 2 e 2,5 milioni le illegali. Spesso gli acquirenti di servizi in condizioni di illegalità sono i settori governativi. L‟auspicio che viene usato in chiusura del Congresso, non è dei migliori per chi crede nella necessità di una cura non repressiva contro la violenza, ma lo è per chi investe in questo mercato: En Latinoamérica el sector de la Seguridad Privada tiene mucho por recorrer en el camino de su desarrollo, en un panorama particularmente positivo y favorable. Se trata de un sector económico en rápida expansión, gran pagador de impuestos e importante creador de empleo, que se encuentra en un momento de consolidación, cambio estructural y continua mejora58.

S. Mehta, op. cit., pp. 176-177. Dottrina di combattimento urbano (MOUT- Military Operations on Urban Terrain) schierando il loro intero arsenale tecnologico contro la guerriglia urbana nelle città del Sud del mondo, ed esercitandosi per futuri scenari più locali, non mancando di ricostruire villaggi disneyani di un Terzo Mondo immaginario. http://www.military.com/forums/0,15240,112079,00.html e http://napoli.indymedia.org/node/4876. [Data di consultazione: 25/02/2008]. 57 Le agenzie private di sicurezza sono cresciute negli ultimi decenni del 25-30% nei Paesi del Sud e dell‟8% nei paesi del Nord del mondo. Il grado di sicurezza che si ottiene è proporzionale al prezzo che si paga. Questo significa trasformare la sicurezza in un prodotto di mercato, non più bene pubblico, senza intervenire sulle cause che generano la violenza. Sul tema si consiglia una lettura del documento consultabile on-line: http://www.unhabitat.org/downloads/docs/1843_95496_cepal.pdf. [Data di consultazione: 12/06/2008]. 58 Dati forniti in occasione del Primo Congresso Latinoamericano di Sicurezza tenutosi a Bogotá dal 24 al 26 settembre 2003. Documento consultabile on-line: http://www.segured.com/index.php?od=2&article=526. [Data di consultazione: 20/08/2008]. 55 56

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1.4 La morfologia spaziale e sociale delle bidonvilles: il frattale e l‟interstizio come paradigmi interpretativi I fenomeni sociali della metropolizzazione e della favelizzazione del mondo necessitano di nuovi concetti per indicare una realtà che si è allontanata da un andamento di crescita costante e lineare per acquisire ad un certo punto della storia un comportamento caotico. Spesso succede che il pensiero che riflette sia più lento degli eventi che accadono: la conseguenza è una carenza di terminologia rispetto ai fenomeni che si osservano. Così nell‟approccio alla lettura dei barrios di Caracas ho cercato delle àncore concettuali in più discipline, evitando di commettere l‟errore di osservare tutto secondo griglie mentali rigide che non mi avrebbero soddisfatta, né permesso sconfinamenti creativi e fertili. Nella lettura degli spazi popolari irregolari ho così scelto di essere guidata da due concetti che ho adottato come paradigmi interpretativi di una realtà complessa e pluridimensionale come quella che osservavo: il frattale e interstizio. Gli spazi dei barrios, territori popolari morfologicamente e culturalmente complessi, lungi dall‟essere visti esclusivamente come spazi di disagio e territori dell‟emergenza, sono a mio parere sintesi dell‟amore per la vita che si esprime attraverso la lotta e la creatività. Essi rappresentano una ricchezza sociale indicibile; essi sono “síntesis dinámicas de seres humanos”, “simbiosis de experiencias societales”, “ebullición incesante de cotidianidades múltiples”59, dove dinamicità, esplosione, simbiosi, sintesi, ibridazione, creolizzazione diventano concetti che ne spiegano la natura e la traiettoria. Ogni abitante di questi spazi non è da vedersi solo come abitante marginale. Ognuno è a proprio modo partecipe della vita della città, portatore di modi di pensare, di abilità manuali, di spiritualità, di una complessità biologica che si scontra con una società dominata dal pensiero uniformante, dal controllo reciproco e da un autocontrollo lesionista che mortifica la fantasia umana: Más allá de su innegable pobreza estos distritos ordenan en ocasiones su espacio - casas, paredes, lugares públicos - de tal forma que provocan una admiración nerviosa. Podemos encontrar en estos lugares una apropiación del espacio de primer orden la planificación y arquitecturas espontáneas (…) se muestran claramente superiores a la organización del espacio de los especialistas60.

A rappresentare questo magma sociale racchiuso all‟interno degli insediamenti irregolari, richiamo la figura geometrica del frattale. Il frattale, figura geometrica in cui un motivo identico si ripete su scala continuamente ridotta, è utile per spiegare la complessità organica T. Bolívar, J. Baldó, La cuestión de los barrios, Monte Ávila Editores, Caracas 1995, p. 129. F. Ferrándiz Martín, “De la cuadrícula al Aleph: perfíl histórico y social de Caracas”, in Boletín americanista, n. 51, 2001, p. 75. 59 60

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e sociale dei territori auto-costruiti. Caratteristica dei frattali è che ad ogni ingrandimento si otterranno forme ricorrenti (simili alla forma originale) che riveleranno nuovi dettagli (vedi foto dell‟insieme di Mandelbrot), e questo è ciò che lo differenzia da qualsiasi altra figura geometrica, che invece perde dettagli quando è ingrandita. Le caratteristiche di un frattale che trovo illuminanti per spiegare i caratteri della città informale di Caracas che si evolve continuamente, moltiplicando come in un gioco di specchi frammentati la sua complessità socio-culturale, sono l‟auto-similarità, la dimensione non intera, la struttura complessa a tutte le scale di riproduzione, la dinamica caotica. Le frange della città in cui si collocano i barrios de ranchos, realtà rizomatiche che si estendono lungo le pendici della Cordigliera, racchiudono una complessità originaria e una potenzialità futura infinita. Essi non sono racchiusi in una semplice linea perimetrale ermetica, ma si aprono alla Totalità Mondo in modo frastagliato, in cui ogni segmento riproduce la struttura complessa originale. Alcuni barrios si sono sviluppati attorno ad una matrice originaria rappresentata da pueblos de indígenas, da villaggi sorti nei corridoi di passaggio verso la costa o dai quartieri operai poveri collocati lontano dalla capitale. All‟opposto troviamo la cuadra colonial, la matrice originaria da cui deriva la città oggi detta “formale”, caratterizzata da una omogeneità culturale frutto di una rigida pianificazione e di un sistema sociale fortemente gerarchico. La complessità morfologica e sociale del barrio è racchiusa nella geometria frattale che continua ad estendersi e a moltiplicarsi in infiniti frammenti territoriali marginali. L‟omogeneità sociale delle urbanizaciones della città formale è invece racchiusa in una geometria euclidea, serrata in recinti militarizzati che ne costruiscono un perimetro sterile. Come scrive Susan Condé il frattale è “un modo di immaginare la forma del cosmo e la forma del fiume, dell‟infinito e del finito”. Una geometria insomma che crea la propria visione del mondo.

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Figura 1.5. Insieme di Mandelbrot. La complessità dell'insieme non accenna a diminuire, anche se lo ingrandiamo quanto vogliamo. Ha perciò una struttura complessa a tutte le scale di riproduzione. Si tratta di una "superficie finita con bordo infinito". Ad ogni zoom il bordo apparirà sempre più frastagliato. Se poteste misurarlo, sarebbe infinitamente lungo. In tale immagine si capisce anche il concetto di "autosomiglianza": ad ogni ingrandimento si presentano le stesse forme.

Figura 1.6. Margini frattali di Caracas. Complessità liminari. Google Earth (2008)

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Figura 1.7. Esempio di frattale.

Figura 1.8. I frattali a Caracas. Immagine dei bordi della cittĂ di Caracas, Google Earth (2008)

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FRATTALI: FORME SEMPLICI CHE CREANO UNA COMPLESSITÀ ORDINATA

Figura 1.9. Fonte: http://classes.yale.edu/fractals/Panorama/welcome.html

Figura 1.10. Fonte: http://www.alliancesud.ch

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ARCHITETTURA ORGANICA. COSTRUZIONI MODULARI CHE RICORDANO IL BARRIO

Fig. 1.11. M. Galvagni Torre del Mare 1956

Fig.1.12. Moshe Safdie. Habitat67, Montreal, Canada 1967

Figura 1.13. Barrios sui cerros di Caracas, 1998. Fonte: http://www.panoramio.com/photo/2280365

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Il secondo concetto che ho usato nell‟approccio ai barrios di Caracas e che considero necessario per pensare i fenomeni sociali contemporanei nascosti nelle pieghe della realtà manifesta, è l‟interstizialità. La vista delle baraccopoli crea l‟immagine di forme quasi allo stato liquido che si iniettano nel tessuto urbano formale, con la loro penetrabilità e adattabilità, capaci di abitare l‟interstizio, di occupare gli intervalli, di disegnare confini mobili. L‟interstizialità diventa una possibile categoria descrittiva e di indagine del reale. Scrive Giovanni Gasparini: L‟attenzione all‟interstizialità come categoria ci permette di mantenere vigile l‟immaginazione sociologica e di alimentarne la creatività, di seguire certe trasformazioni che partono dal basso o da esperienze apparentemente banali e inizialmente trascurabili, di tenere il mondo aperto attraverso quelle soglie paradossali che sono appunto gli interstizi della vita quotidiana61.

Il ricorso a questa categoria interpretativa si rende necessaria per spiegare l‟esistenza delle favelas, dei ghetti, dei barrios, di insediamenti abusivi all‟interno delle città62 e all‟interno della nostra quotidianità: Gli interstizi (…) rimettono in questione il rapporto tra centro e periferia e sollecitano a riflettere su ciò che nei nostri sistemi è definito centrale e merita di esserlo, vale a dire sulle ragioni, le modalità e la durata nel tempo di tale centralità. In tal modo, l‟emergere e il dilatarsi di certi fenomeni interstiziali può mettere in forse o ridurre la centralità di alcune aree o segmenti dell‟azione sociale. In termine ancora più radicali, ci si può chiedere se sia utile e adeguato continuare a concepire le società postindustriali contemporanee attraverso le categorie di centrale-periferico. In questo senso, si potrebbe ipotizzare, in certi casi almeno, una sostituzione dello schema centro-periferia con schemi policentrici, o con rappresentazioni del sociale nelle quali gli elementi marginali (interstiziali) assumessero una maggiore rilevanza e visibilità rispetto a quelli normalmente (cioè istituzionalmente o tradizionalmente) considerati centrali63.

Gli abitanti dei barrios abitano un confine mobile, una frontiera porosa che stimola al riconoscimento dell‟alterità, all‟accettazione realistica di quelle differenze e distinzioni individuali e sociali che richiedono atteggiamenti di comprensione e conciliazione anziché di emarginazione e intransigenza conflittuale. La frontiera mobile abitua al passaggio, rende capaci di oltrepassare i confini in una direzione e nell‟altra, di andare e di ritornare; essa non elimina le differenze culturali in una visione banalmente omologante, ma ne valorizza sia i caratteri specifici che le potenzialità di reciproca integrazione64. L‟abitante del barrio supera ogni giorno il confine ed entra nel mondo dell‟alterità, chiedendo di essere riconosciuto come G. Gasparini, Interstizi: una sociologia della vita quotidiana, Carocci, Roma 2002, p. 106. Tra un quinto e un terzo dei poveri urbani vive all‟interno o nelle vicinanze del nucleo urbano. 63 G. Gasparini, op. cit., pp. 13-14. 64 Ibid., p. 28. 61 62

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componente di uno stesso universo di significato. Esce dal barrio ed entra nelle urbanizaciones protette da sistemi di sicurezza che segnano la volontà di tenere fuori il diverso, l‟alterità, in nome di una pretesa sicurezza quale diritto inalienabile ad uso esclusivo di pochi. La frontiera rigida delle urbanizaciones è una chiusura definitiva al mondo esterno, è la volontà di purezza dei simili contro la promiscuità e la vischiosità del diverso. Al contrario, la frontiera porosa del barrio rappresenta l‟unico modo di esperire del mondo.

1.5 La città auto-costruita L‟esplosione della popolazione mondiale, come abbiamo già visto, riguarderà in particolare i settori poveri della società. Senza mezzi economici per garantirsi un‟abitazione nell‟ambito del libero mercato, e per l‟assenza di politiche sociali, o l‟insufficienza di queste, che garantiscano un‟abitazione adeguata e degna, essi dovranno assicurarsi una dimora attraverso il canale dell‟occupazione illegale o dell‟abusivismo, acquistando lotti di terra da immobiliaristi improvvisati o prendendo in affitto stanze da altri affituari. Una piccolissima minoranza attualmente vive in case costruite con il meccanismo “de arriba hacia abajo” nelle strutture costruite dall‟edilizia sociale, mentre la maggioranza vive in asentamientos irregulares. Nonostante la supremazia numerica del secondo tipo di abitazione, che costituisce un “paradigma urbano organico”65 e che rappresenta la maggior parte del tessuto urbano costruito fino ad ora, esso viene considerato dalla maggior parte delle persone come eccezione o minoranza66:

N. Salingaros, Vivienda Social en Latinoamérica: una metodología para utiliza procesos de autoorganización, p. 46, documento reperibile on-line: http://zeta.math.utsa.edu/~yxk833/contr.arch.html. 66 Considerare ancora il fenomeno dell‟inurbamento della povertà come problema marginale o transitorio, significa non destinare i fondi necessari al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di poveri urbani. Si stima che dal 1970 al 2000 si siano destinati non più di 60 miliardi di dollari allo sviluppo urbano, cioè solo il 4% del totale. Sono poche le agenzie di aiuti bilaterali che hanno programmi di edilizia o comunque di intervento urbano. Gli aiuti che affluiscono nelle aree urbane spesso non raggiungono i poveri. Secondo l‟International Institute for Environment and Development di Londra, dal 1981 al 1998 i progetti urbani di numerose agenzie hanno assorbito tra il 20 e il 30% dei prestiti concessi, ma agli alloggi, all‟acqua, alla sanità e ai servizi che migliorano la vita dei cittadini indigenti è andato solo l‟11% dei prestiti della Banca Mondiale, l‟8% dell‟Asian Development Bank e il 5% dell‟Overseas Economic Cooperation Fund giapponese. La Banca Mondiale stessa sostiene di alloccare molti più fondi e operazioni al settore rurale. Un-Habitat, op. cit., pp. 362-363. 65

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La stragrande maggioranza del miliardo di abusivi del mondo sono semplicemente persone che sono arrivate in città, avendo bisogno di un posto dove vivere insieme alle loro famiglie e, non potendosi permettere niente sul mercato privato, se lo sono costruito da sole su una terra che non gli apparteneva (…) Questi abusivi mescolano più cemento di qualunque costruttore. Posano più mattoni di qualsiasi governo. Hanno creato un‟enorme economia sommersa, un sistema non ufficiale di proprietari e inquilini abusivi, di costruttori e operai abusivi, di agenti e investitori, insegnanti e studenti di scuola, mendicanti e milionari, tutti abusivi. Gli abusivi sono i poù grandi costruttori di alloggio al mondo, e stanno creando la città del futuro67.

La prima questione che riguarda gli insediamenti irregolari è il loro riconoscimento. I territori popolari autocostruiti sono contrastati dai governi. Non sono inclusi nel territorio urbano ufficiale e perciò sono privi di diritti. Nessun servizio viene loro erogato e diventano territori fantasma, abbandonati all‟illegalità e alla povertà. Non è una questione di proprietà della terra68. Prima di tutto si tratta di riconoscere la loro esistenza, di nominarli come primo passo per iniziare con loro il dialogo. Il governo dovrebbe accettare l‟autocostruzione come soluzione alla mancanza di alloggio per milioni di persone e proporzionare loro materiali di costruzione, magari con il microcredito alle famiglie, e i servizi base di elettricità, acqua e sistema fognario69: Nel Medioevo il saggio ebreo Rashi scrisse che essere vuol dire essenzialmente avere un punto di partenza, una posizione, una base da cui operare. A un numero enorme di persone in tutto il mondo questo diritto è stato negato. Così si sono impossessati della terra e hanno costruito da sé. Con materiali di fortuna, stanno costruendo un futuro in una società che li ha sempre considerati persone senza futuro. In questo modo molto pratico, stanno affermando la loro esistenza70.

La relazione conflittuale tra città auto-costruita e governo è una questione di potere e controllo. Le favelas con la loro struttura disordinata e frastagliata, glorificano l‟autocreazione, l‟azione collettiva delle masse popolari, il potere di reazione del popolo ad uno stato di mancanze. La loro geometria organica è combattuta dal potere perchè “no encaja con la imagen estereotípica - y científicamente anticuada - de lo que un tejido urbano R. Neuwirth, Città ombra. Viaggio nelle periferie del mondo, Fusi Orari Internazionale, Roma 2007, p. 16. 68 “Quando gli abusivi si sentono al sicuro nelle loro case costruiscono, investono, prosperano, e per farlo non hanno bisogno di un documento. Gli abusivi in Brasile e in Turchia hanno creato interi quartieri sapendo che la terra non gli appartiene. Hanno accettato le linee di separazione non ufficiali che dividono l‟abitazione di una persona da quella di un‟altra. Comprano, vendono e affittano i propri edifici. Negoziano tra loro i piani di miglioramento per le loro case. (…) Possiamo imparare molto dal loro esempio. Gli abusivi del mondo propongono un modo diverso di guardare la terra. Invece di trattarla come un bene economico, gli abusivi vivono secondo un‟idea più antica: quella che ogni persona è titolare di un diritto naturale, semplicemente in virtù del fatto di essere nata, di avere una casa, un posto, una collocazione nel mondo”. Ibid., p. 26. 69 N. Salingaros, “art. cit.”, p. 8. 70 R. Neuwirth, op. cit., p. 26. 67

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progresivo debe parecer – limpio, suave, rectangular, modular y estéril”71. Questo tipo di geometria, in cui il potere in carica non può esercitare alcun tipo di controllo, disturba e irrigidisce i governanti. Essi preferiscono vedere negli edifici della città che fanno costruire la propria razionalità, così decidono di sfollare le baraccopoli e internare gli occupanti negli edifici-prigione voluti dal governo, grandi edifici popolari senza anima in cui il senso di comunità e di solidarietà dei villaggi-baraccopoli viene meno. Qui, in mezzo a spazi modulari sterili, alienanti, dimenticati dal mondo sarà più facile dispiegare il potere disciplinare e la repressione in caso di disordini. La tipologia militare industriale risponde a logiche di potere disciplinare, mentre la geometria libera di una favela all‟autogestione delle masse. Il tipo di pianificazione militare-industriale che sta dietro all‟edilizia pubblica tende a realizzare dormitori a basso costo per costruire la maggiore quantità di unità nel minor tempo possibile. Ciò che è da sottolineare nel modello di costruzione dall‟alto al basso, è l‟esclusione totale dell‟utente finale alla progettazione e alla realizzazione, oltre che la tendenza a collocare opere di edilizia pubblica in aree completamente disconnesse dal resto del tessuto urbano secondo il principio di “zonizzazione monofunzionale”72. Così facendo ciò che viene creato non è spazio urbano, ma un insieme di centri di permanenza per alloggiare surplus di manodopera e immigrazione in blocchi di cemento senz‟anima, in cui il singolo non può apportare nessuna variante per rendere lo spazio in cui vive il più accogliente possibile. In mezzo ad una colata di cemento le immense potenzialità dell‟essere umano vengono mortificate e la ricerca di vie di uscita prende numerosi percorsi imprevedibili. Un tale tipo di costruzione pianificata a tavolino seguendo criteri di efficienza e omogeneità (che rispondono a fattori economici e di esercizio di potere) non considera la complessità fisica e sociale del territorio in cui si insinua, né degli effetti perversi di un intervento calato dall‟alto senza una partecipazione con gli utenti finali, i quali avranno ricevuto l‟ennesima conferma di non poter essere attori del proprio destino, ma marionette nelle mani di pochi. Persone sin recursos, senza mezzi economici, politici e sociali e che continueranno a ripetere uno schema di dominio e dominazione. Il modello de “abajo hacia arriba”, quello della città autocostruita dall‟utente finale, è un modello che scardina la gerarchia dei poteri e presuppone una collaborazione tra cittadini, esperti nelle tecniche di costruzione e amministrazioni locali. Esso tiene conto della complessità dei processi sociali e considera lo stesso ambiente costruito come processo

71 72

N. Salingaros, “art. cit.”, p. 9. Ibid., pp. 10-11.

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sociale, non solo come prodotto o contenitore73. Allo stesso livello di qualsiasi altro artefatto, l‟abitazione è un universo completo in cui confluiscono relazioni sociali, visioni del mondo, modi di pensare, eredità storiche e speranze future. Fondamentale è la consapevolezza del patrimonio di conoscenze che gli uomini posseggono, ereditato da generazioni in generazioni e che oggi si trova ad adattarsi all‟interno di un nuovo contesto. È un patrimonio di conoscenze pratiche, dettate dall‟urgenza del vivere e dall‟economicità dei mezzi: Ils détiennent le savoir que nous ne détenons pas, ils savent surmonter des problèmes pratiques auxquels nous nous heurtons sans cesse et connaissent des réponses inédites à certains problèmes importants que nous échouons à résoudre. (…) L‟habitat populaire doit etre construit avec les meilleurs spécialistes, et nombre d‟habitants, à force de travailler, sont devenus ou alors deviendront de tels spécialistes74.

Progettare insieme la città dovrebbere essere il leitmotiv delle nuove governance urbane. Quando le amministrazioni locali danno ascolto ai residenti più poveri e questi vengono coinvolti nei progetti, il progetto migliora qualitativamente. Spesso le loro soluzioni sono le più economiche e le più adatte alle situazioni specifiche. Il coinvolgimento dal basso può anche evidenziare problemi (e trovare soluzioni) a cui nessuno penserebbe mai. Come risultato le persone si sentono più utili, più al sicuro nella comunità e questo rafforza il senso di appartenenza. Diventando parte di ciò che ti circonda e sentendosi partecipe di una comunità che agisce per il bene collettivo, tutti ne traggono beneficio psicologico e materiale. Coinvolgere la cittadinanza può funzionare anche per risolvere la piaga della violenza urbana. Il fatto interessante è che spesso sono gli stessi adolescenti che trovano la soluzione più adatta. Ad esempio a Rio de Janeiro hanno studiato un‟alternativa musicale alla droga: usando la musica come collante hanno coinvolto altre favelas e hanno lanciato un programma di educazione sanitaria rivolto ai giovani75. Anche a Caracas, la musica e l‟arte di strada sono espressioni di riscatto dei giovani dei barrios e l‟alternativa vincente al modello della pandillas. Sono in definitiva gli abitanti “abusivi” che cercano e propongono soluzioni flessibili, adattate alle circostanze, incentrate sulla dimensione locale e sulla necessità di miglioramenti in ogni territorio.

Ibid., pp. 6-7. Y. Pedrazzini, Habitat créatif: éloge des faiseurs de ville, Éditions-Diffusion Charles Léopold Mayer, Parigi 1996, p. 174. Versione digitale on-line: http://www.eclm.fr/index3.php 75 Un-Habitat, op. cit., p. 356. 73 74

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ESEMPI DI METODI COSTRUTTIVI A BASSO COSTO E ALTA SOSTENIBILITÀ

Metodi costruttivi a basso costo e alta sostenibilità utilizzati per far fronte alle carenze abitative di paesi come il Cile, Argentina, Cuba. Arquitectos sin Fronteras, Catalunya76.

Uso del bambù nella costruzione, elemento flessibile e resistente, adatto a zone ad alto rischio sismico. Momenti del workshop organizzato dal Politecnico di Milano ispirato al progetto denominato “Casapartes” che si occupa di “soluzioni tecnologiche adeguate a case a basso costo per l‟America Latina”.

Sito di afferenza: consultazione: 21/10/2008]. 76

http://www.asfit.org/it/asf_zoom.php?img=pl01.jpg&d=1.

[Data

di

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APPENDICI IL DIRITTO ALLA CASA NEGLI STRUMENTI INTERNAZIONALI SUI DIRITTI UMANI77 DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

Art. 25 1) Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. 2) La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della sua stessa protezione sociale. PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI ECONOMICI SOCIALI E CULTURALI Art. 11 1) Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per se e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario, ed alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l'attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l'importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso. CONVENZIONE SULL‟ELIMINAZIONE DI TUTTE LE FORME DI DISCRIMINAZIONE CONTRO LE DONNE Art. 14 1) Gli Stati parti prendono ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione nei confronti delle donne nelle zone rurali al fine di assicurare, su base di parità tra uomo e donna la loro partecipazione allo sviluppo rurale ed ai suoi benefici, in particolare garantendo loro il diritto: h) di beneficiare di condizioni di vita decenti, in particolare per quanto concerne l'alloggio, il risanamento, la fornitura dell'acqua e dell'elettricità, i trasporti e le comunicazioni. CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL‟INFANZIA Art. 27 1) Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni bambino/a a un livello di vita sufficiente atto a garantire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale. 2) I genitori o le altre persone aventi cura del bambino/a hanno primariamente la responsabilità d assicurale, nei limiti delle loro possibilità e delle loro disponibilità finanziarie, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del bambino/a. 3) Gli Stati parti, sulla base delle condizioni nazionali e dei loro mezzi, devono prendere le misure opportune per assistere i genitori del bambino/a o chi ne sia responsabile nell'attuazione di questo diritto e, in caso di necessità, devono fornire un'assistenza materiale e programmi di supporto in particolare per quel che riguarda la nutrizione, il vestiario e l'alloggio.

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Fonte: http://www.dirittiumani.donne.aidos.it/

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DICHIARAZIONE DELL‟INTERNATIONAL ALLIANCE OF INHABITANTS Vancouver 200678 Costruire nuove città è possibile, grazie ad un nuovo patto sociale urbano incentrato sui cittadini. Il fallimento del modello neo liberale delle città. A trent‟anni dal primo Vertice mondiale “Habitat I”, riuniti qui a Vancouver noi abitanti, cittadini del mondo, constatiamo una evidente regressione delle condizioni di vita e dei diritti inalienabili di cui siamo titolari. In tutti questi anni nessun obiettivo, nessuna meta, è stata raggiunta, foss‟anche parzialmente: il 15% della popolazione mondiale è vittima degli sfratti causati dagli investimenti stranieri nei Paesi indebitati od in fase di transizione verso un‟economia di mercato (è il caso di Karachi, di Bombay, di Nuova Delhi e di Istanbul), dalle privatizzazioni del settore e dalla liberalizzazione del mercato immobiliare (in gran parte dell‟Europa, Russia compresa, e degli Stati Uniti), dalle pulizie etniche (dall‟ex Yugoslavia al Regno Unito), dalle occupazioni, dalle guerre (Palestina e altre) cosi‟ come dalle speculazioni sulle catastrofi naturali, come nel caso dello Tsunami e di New Orleans. Ciò dimostra altresì il fallimento di uno degli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite, il n.°11, in base al quale devono essere migliorate le condizioni dell‟alloggio di 100 milioni di persone entro il 2020. Molto più realisticamente, si prevede invece che 700 milioni di persone in più vivranno in delle baracche. La causa principale è dovuta al fallimento delle strategie esemplificative e di ausilio che hanno attribuito il principale ruolo in materia di alloggio e di sviluppo urbano proprio al mercato, che avrebbe dovuto autogestirsi e così correggere gli squilibri esistenti. Lungi dal migliorare le condizioni di vita e di abitabilità della maggior parte delle città, la globalizzazione neo liberale ha causato nuovi problemi derivanti dalla mercantilizzazione dei territori e dei servizi di base, nonché dallo spreco di risorse vitali esauribili come l‟acqua. Questo fenomeno sta conducendo ad una rapida perdita d‟identità delle comunità e dei loro territori, ad una maggiore segregazione ed emarginazione degli individui meno abbienti, alla violazione di diritti fondamentali individuali e collettivi come quello all‟alloggio ed alla partecipazione, all‟aumento indiscriminato del costo dei terreni, all‟organizzazione di sfratti in massa ed all‟eliminazione di quei contrappesi e di quelle regole elementari che crollano sotto la pressione del grande capitale. Oltre a tutto ciò, le politiche neo liberali ed i programmi di aggiustamento strutturale hanno finito per stimolare la privatizzazione dei servizi pubblici in tutto il mondo, ed il trasferimento di obblighi elementari alle comunità locali, passando per enti locali e per la comunità organizzata, finendo così per circoscrivere lo Stato ad un ruolo ausiliario ed a limitarlo a concentrarsi su politiche assistenzialiste destinate alle fasce più povere, il cui numero é aumentato dappertutto nel corso dell‟ultimo decennio. Oggigiorno le iniquità sono molto più profonde, a tal punto che è stata messa in discussione la questione della „governabilità‟ delle città dove si sviluppano con sempre più forza due mondi legati tra di loro ma diversi: quello formale e quello informale, ognuno dei quali si evolve con regole e codici che gli sono propri. In questo contesto l‟idea di fondare le politiche pubbliche sulla formalizzazione di quelle informali tramite la semplificazione di norme amministrative, con la progressiva scomparsa del riferimento al „diritto all‟alloggio‟

In occasione del http://it.habitants.org/ 78

Forum

Urbano

Mondiale,

giugno

2006,

Vancouver.

Fonte:

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anche nei testi dello UN-habitat appare di una superficialità e di una ingenuità impressionante. Il dominio del capitale nelle città del terzo mondo non può che condurre alla realizzazione della terribile premonizione di George Orwell nel suo celebre „1984‟: città poliziesche in cui si controllano milioni di individui miserabili che sopravvivono con grande difficoltà nelle periferie della città ufficiale. Solo chi non conosce la povertà che soffrono la maggior parte delle popolazioni urbane nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, come ad esempio Lima, San Paolo, Città del México, Buenos Aires, Abuja, Nairobi, Harare, può ritenere questa affermazione esagerata. Quanto alle città del “primo mondo” od in transizione verso un‟economia di mercato, qualsiasi osservatore noterà il rapido processo di “terzomondizzazione” che si verifica anno dopo anno, non solo a causa delle crescenti migrazioni ma anche per lo stesso deteriorarsi delle condizioni di vita e per il formarsi di ghetti che finiscono per causare rivolte come quella dei giovani dei quartieri poveri di Parigi, od ancora quella degli abitanti di Pechino contro le demolizioni in vista delle Olimpiadi. Per non parlare poi di quelle città storiche che espellono i propri abitanti e perdono il dinamismo della vita in comunità, come ad esempio Venezia, Rennes o Aquisgrana, svuotandosi così di significato e di contenuto. Appello per un nuovo patto sociale urbano Lo sviluppo armonioso delle città, il rispetto dei diritti fondamentali degli individui ed il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, esigono, oggi più che mai, un nuovo patto sociale urbano che riguardi tutti (associazioni di abitanti e movimenti sociali urbani, enti locali e governi, ricercatori-militanti ed altri operatori) condividendone i principi (alloggio e città come diritti, intervento pubblico, sostenibilità, uguaglianza e non discriminazione). In questo patto, l‟autonomia e le differenze degli operatori dovrebbero essere considerate come parte integrante della soluzione dei problemi e non come problema da eliminare attraverso le leggi del mercato ed interventi della polizia. Pertanto, questo nuovo patto sociale urbano implica la ricerca di un accordo circa il significato, materiale e simbolico, che la città ha per i suoi abitanti, per la regione, per il Paese, per il mondo; principi comuni che rendano sostenibile una vita civilizzata al suo interno, economicamente equa, in pace, armonica e saggia nel saper gestire i conflitti come risorse. Tra gli altri:       

Rispetto dei diritti individuali, collettivi nella/della città Non discriminazione razziale, sociale, economica e di genere Carattere collettivo dei beni pubblici Ruolo fondamentale del settore pubblico e della partecipazione per regolare e controllare il mercato Restrizioni della proprietà conformemente alle necessità e agli interessi collettivi, soprattutto in materia di quelle risorse limitate come l‟acqua o il suolo Pianificazione partecipativa dello sviluppo Democrazia locale e sussidiarietà attiva

Per quanto riguarda l‟alloggio e lo sviluppo urbano, bisogna ricordare che i problemi urbani e di habitat presentano caratteristiche specifiche che corrispondono ad una realtà concreta, e che pertanto sono necessarie soluzioni flessibili, adattate alle circostanze, incentrate sulla dimensione locale e sulla necessità di miglioramenti in ogni territorio, esse debbono essere predisposte con la partecipazione attiva degli abitanti e delle loro organizzazioni e non semplicemente facendolo in nome suo. L‟attuazione di politiche

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uniformi per l‟alloggio promosse da organismi multilaterali deve poter essere modificata dai Paesi “beneficiari”. Per far questo è necessario che gli Stati, soprattutto quelli del Sud, possano contare su delle risorse necessarie per far sì che programmi adeguati alle necessità reali diventino realtà. Da questo punto di vista, noi dei movimenti sociali abbiamo proposto misure pratiche come l‟introduzione di imposte sulle transazioni immobiliari speculative e la creazione di fondi popolari per il miglioramento dell‟alloggio, facendo uso, ad esempio, dei fondi provenienti dalla cancellazione del debito estero. Su queste basi, chiediamo all‟Habitat ONU di avvicinarsi alla gente, di rinnovare la propria vocazione al servizio e la sua sensibilità sociale, di mettere da parte le filosofie privatistiche e la sua fede illimitata in quel mercato che così tanti problemi ha causato ai più poveri. In occasione di questo trentesimo anniversario dell‟Habitat I, proponiamo di dare vita ad un nuovo dialogo in cui si dia finalmente ascolto a tutte le voci degli abitanti, veri creatori delle città che oggi non hanno voce. Costruire uno spazio unitario per i movimenti sociali urbani: verso l‟Assemblea Mondiale degli abitanti Questo appello sarà più efficace a tutti i livelli se gli abitanti sapranno conquistare quegli spazi e quella legittimità che gli sono state negate. Pertanto reiteriamo la proposta, lanciata durante il Foro Sociale Mondiale, di creare uno spazio unitario per le associazioni ed i movimenti sociali urbani, che fino ad‟ora ha visto l‟adesione di più di 200 organizzazioni provenienti da più di 30 Paesi: scambio di esperienze, elaborazione di strategie comuni, campagne per la solidarietà globale come la Campagna Zero Sfratti. Rivolgiamo quindi un appello a tutti, organismi e reti, affinché si organizzino in tutto il mondo le Giornate Mondiali Zero Sfratti e per il diritto all‟alloggio (ottobre 2006) in occasione del World Habitat Day dello UN-Habitat. Queste rappresenteranno una tappa ulteriore nel tentativo di amplificare la voce degli abitanti rispetto a quella delle sue controparti, un passo fondamentale nella costruzione dell‟Assemblea Mondiale degli Abitanti, che dovrà basarsi sui ritmi del quartiere, e dei suoi livelli locali/nazionali/continentali, e dare così vita alla Via Urbana.

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Capitolo secondo 2. PERMANENZE COLONIALI IN CITTA‟: VECCHIE E NUOVE SEGREGAZIONI

Proposito di questo capitolo è far emergere il legame esistente tra urbanizzazione, struttura economica e nascita di nuove relazioni sociali nella città di Caracas. Servendomi di categorie provenienti dalla geografia sociale e condividendo il principio per cui “l‟urbanizzazione rappresenta tanto le condizioni della struttura economica e sociale che le disuguaglianze e le vicissitudini della conquista dello spazio”1, tenterò di tracciare una panoramica dei sistemi economici inquadrati nei rispettivi periodi storici per creare un frame all‟interno del quale collocare gli sviluppi e le modalità del processo di urbanizzazione, mettendo in evidenza le relazioni sociali che soggiacciono in una determinata struttura economica. Verranno messe in risalto le costanti di fondo dei vari passaggi di potere: la forte gerarchizzazione sociale, l‟asimmetria nelle relazioni tra classi, l‟alienazione di un paese votato al controllo straniero con la complicità delle élites locali, l‟introduzione di cambiamenti “eterogenetici”, legati alla tecnologia e alla cultura straniera, causa prima di “fratture dualistiche nel corpo sociale che disgregano e umiliano la cultura di un popolo”2. Nell‟osservazione dei fenomeni socio-economici del Venezuela è utile riprendere il concetto di società dipendente elaborato da M. Castells: Una società è dipendente quando l‟articolazione della sua struttura sociale, a livello economico, politico e ideologico, esprime delle relazioni asimmetriche con un‟altra formazione sociale che occupa rispetto alla prima una situazione di potere. Con il termine situazione di potere intendiamo il fatto che l‟organizzazione dei rapporti di classe nella società dipendente trova la sua logica al di fuori di se stessa ed esprime il modo della classe sociale al potere nella società dominante di realizzare la propria egemonia3.

AA. VV., Imperialismo e urbanizzazione in America Latina, Gabriele Mazzotta Editore, Milano 1972, p. 62. 2 P. Guidicini, G. Scidà, Le metropoli marginali. Città e mondo urbano del sottosviluppo alla ricerca di un possibile futuro, Franco Angeli, Milano 1986, p. 40. 3 AA. VV., op. cit., p. 25. 1

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A partire dalla Conquista lo sfruttamento delle risorse naturali e del capitale umano del Venezuela, ha permesso l‟emergere di un nuovo patriziato locale4, espressione dei rapporti di potere esistenti nella società medievale spagnola, legato più alla metropoli che al territorio circostante. Culturalmente essi esprimono il rifiuto della cultura locale e abbracciano il modo di vivere e i gesti dell‟Europa importando la struttura feudale ed una concezione “peccaminosa” del lavoro, perpetuando e accentuando i caratteri dell‟immobilismo delle classi nobiliari europee dell‟epoca5. In periodi e in modalità diverse troviamo lo stesso meccanismo, quando lo sfruttamento del petrolio garantirà guadagni stratosferici alle compagnie straniere, Standard Oil Company e Royal Dutch Shell (rispettivamente statunitense e anglo-olandese) anziché essere investite nel paese, oppure oggi quando gli attori del settore finanziario risultano essere disancorati dal luogo in cui vivono e in cui si muovono, e, al contrario, così legati ai centri di potere internazionali, tanto da risultare più facile identificarli come “nomadi che appartengono e che giurano fedeltà a una topografia superterrestre del denaro: diventano patrioti della ricchezza, nazionalisti di un elusivo e dorato nessun luogo”6. Piccole isole elitarie galleggiano nell‟oceano della povertà contribuendo a disegnare una mappatura di arcipelaghi, più che una geografia tradizionale delimitata da confini politici. Dai primi conquistatori alla ricerca dell‟El Dorado agli ultimi petrocrati, passando per i señores del ganado e delle haciendas de cacao, il modello si è ripetuto costante e immobile: creare una rete di accordi con l‟alleato straniero (Europa prima, Stati Uniti dopo), attraendo capitali esteri attraverso politiche di facilitazioni nello sfruttamento delle ricchezze del paese. Non aver mai avviato un processo di ridistribuzione delle terre né di modernizzazione del paese, pur avendone i capitali, lasciando morire un popolo intero nelle campagne rappresenta l‟errore morale più grande, causa prima del atraso del pueblo e di un‟ipertrofica ricchezza concentrata nelle mani di pochi. L‟unica speranza per un popolo I militari a cui vennero concessi privilegi (terre e schiavi) per meriti di guerra, divennero la nuova casta aristocratica creola. In Venezuela i componenti di questa nuova casta verranno chiamati mantuanos. 5 L‟immobilità della città di Caracas è resa in questo breve passo di Aristides Rojas “la vida caraqueña la sintetizaban, en pasadas épocas, cuatros verbos: comer, dormir, rezar y pasear (…) A la hora de la siesta, desde que comenzaba el almuerzo hasta la hora de la merienda, se cerraban todas las puertas de la población, quedando solitarias las calles y plazas. Y tanta rigidez hubo en el cumplimiento de esta costumbre, que, por haber llamado un desgraciado a la puerta de casa de cierto intendente general, el ayudante de éste abrió la puerta y disparó su pistola sobre el pecho del inconsciente importuno. A la hora de la siesta, ni se cobraba, ni se pagaba, ni se vendía”. A. Rojas, Cronica de Caracas, Los libros de El Nacional, Caracas 1999, p. 19. 6 J. Seabrook, In the Cities of the South: Scene from a Developing World, London 1996, p. 211, citato in M. Davis, op. cit., p. 112. 4

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hundido en el hambre, diviene presto quella di emigrare nelle città in attesa di qualche azione di elemosina elargita dai governi sempre alla ricerca del consenso elettorale. Il profondo scollamento tra le classi sociali determina un costante stato conflittuale tra le parti e trova il naturale sfogo in atti di dissenso e ribellione repressi con minore o maggiore violenza in particolare durante i due grandi regimi dittatoriali di Juan Vicente Gómez [19081935] e di Marcos Evangelista Pérez Jiménez [1952-1958]. E quando la repressione fisica si attenua continuano le azioni volte a diluire il potenziale politico rivoluzionario attraverso la corruzione delle figure del sindacalismo venezuelano e della società civile organizzata o l‟estromissione dal gioco politico delle forze radicali per realizzare uno stato illusorio di pacificazione sociale. Con lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio nel XX secolo il Paese si troverà nelle condizioni, ma non nella volontà, di ridurre il livello di conflittualità attraverso un‟equa ridistribuzione delle ricchezze. Sembrar el petróleo scriveva Arturo Uslar Pietri intendendo la necessità di reinvestire gli introiti del petrolio per avviare un sistema di produzione autonomo, liberando il paese dalle importazioni e dallo stato di dipendenza permanente. L‟economista brasiliano Celso Furtado, ex-rappresentante della Comisión Económica para América Latina de las Naciones Unidas (CEPAL), colloca il Venezuela del 1956 tra le economie dei paesi sottosviluppati nonostante il reddito pro capite fosse a livelli dei paesi industrializzati: Venezuela tiene el mayor producto per cápita de todas las economías subdesarrolladas del mundo. Su producto interno bruto per cápita en 1956 era aproximadamente $800, un nivel similar al promedio de los países industrializados de Europa Occidental. Inclusive midiendo el producto en términos del gasto interno - excluyendo por lo tanto el superávit comercial se llega a $650 per cápita, lo cual es comparable a países altamente desarrollados como Alemania Occidental y corresponde al doble del promedio de América Latina. Sin embargo, Venezuela presenta todas las características estructurales de una economía subdesarrollada. Estas características de la economía venezolana están mucho más acentuadas que en otros países latinoamericanos con niveles mucho menores de ingreso per cápita. Tales características comprenden la estructura e producción y de ocupación de la fuerza de trabajo; las enormes disparidades en la productividad de los diferentes sectores económicos; la distribución desigual del ingreso entre las áreas urbanas y las áreas rurales y entre grupos sociales de una misma zona; los bajos patrones de consumo de la gran mayoría de la población y las altas tasas de analfabetismo, etc...7.

N. Gall, Petroléo y Democracia en Venezuela, documento disponibile http://www.braudel.org.br/publicacoes/bp/bp40_es.pdf . [Data di consultazione: 19/10/2007]. 7

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La seconda sezione del capitolo è dedicata alla manifestazione visiva delle contraddizioni economiche e delle disuguaglianze sociali. La pianificazione urbana a partire dagli anni Trenta, epoca delle prime grandi urbanizaciones, mette in evidenza la tendenza a creare isole scollegate dal territorio circostante, tendenza che si cristallizzerà negli anni Cinquanta, periodo in cui la città divenuta una grande autopista affermando la sua definitiva vocazione alla frammentarietà. L‟esplosione dei margini di Caracas divenuto centro assoluto di riferimento per tutto il Venezuela, e il tentativo di suddividere il territorio in ragione della sua funzione, va di pari passo con l‟investimento dei proventi del petrolio in megastrutture moderniste, che affermano la volontà visionaria della città, una città che ormai ha cominciato ad oltrepassare i suoi limiti disordinatamente per mancanza di un buon progetto urbanistico che trovasse soluzioni al grave deficit abitativo in costante crescita per via delle ondate immigratorie provenienti dall‟interno8. Risacche umane desiderose di partecipare ognuno a proprio modo al festín oleoso si collocheranno dapprima negli spazi interstiziali della città e poi nei grandi cinturón de miseria che circondano la capitale. L‟aspetto macrocefalo che assume oggi il tessuto urbano di Caracas è effetto di un‟urbanizzazione accelerata e senza controllo, dell‟incapacità dei tradizionali canali istituzionali di dare risposte abitative ai senza tetto e ai sin recursos, e della cecità di fronte all‟irreversibilità del fenomeno. Masse intere di popolazione si riverseranno su terreni inabitabili occupandoli con soluzioni abitative precarie, i cosiddetti ranchos. Al fenomeno di sovra urbanizzazione è strettamente legato il fenomeno dell‟esplosione del settore informale. L‟incapacità di assorbimento delle masse rurali nei settori produttivi della città porta le famiglie recentemente immigrate o impoverite dalla recessione economica a costituire piccoli commerci o ad organizzare il lavoro a domicilio. La vendita di caffè ai semafori, di pasopalos e perros calientes per le strade, il servizio di moto-taxi pirata, la preparazione del pranzo per i bambini del barrio, il buhonero per il centro città: tutte micro attività inventate dall‟oggi al domani per garantire la sopravvivenza di fronte all‟assenza di posti di lavoro Nel 1900 su di una popolazione di 2,4 milioni, l‟85% era rappresentato da contadini e lavoratori rurali. Appena un secolo dopo la popolazione salirà a 27 milioni, di cui il 90% urbanizzato. Solo nel periodo che va dal 1926 al 1971 la popolazione urbana passa dal 15% al 78% come risultato delle migrazioni massive che svuotarono le campagne. Per quanto rigurada il deficit abitativo, va evidenziato il senso di assoluto scollamento tra realtà e pianificazione urbana. Nel Plan Nacional de Vivienda de 1951 si prevedeva la costruzione da parte del Banco Obrero 12.185 unità in quattro anni. Il Censo del 1950 metteva in evidenza la presenza di 408.803 ranchos. B. Meza Suinaga, “Proyectos del Taller de Arquitectura del Banco Obrero (TABO) para el Plan Nacional de la Vivienda en Venezuela (1951-1955)”, in Tecnología y Construcción, n. 21, 2005, pp. 8-22. 8

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generati nel mercato legale. Gli abitanti dei barrios diventano la riserva urbana di manodopera sottopagata e precaria per quel settore finanziario e commerciale della città formale, che svolge lavori di pulizia nelle loro case, cura i loro figli, vigila sulla sicurezza delle case. Tra un mondo e l‟altro, la distanza incolmabile riflessa nel salario, nella modalità abitativa, nel possesso degli spazi urbani. Luoghi di post-colonialismo direbbe Saskia Sassen9, luoghi di interdipendenza asimmetrica in cui le aree centrali esercitano un vero e proprio sfruttamento sulle aree marginali, divenute colonie interne, il cui sottosviluppo è la condizione necessaria per lo sviluppo dell‟altra società, quella del terziario specializzato. Manifestazione visiva di una realtà fatta di diseguaglianze estreme è una “segregazione infraurbana e la costituzione di vaste zone ecologiche dette marginali in un processo di urbanizzazione selvaggia” quale fatto più drammatico dell‟“urbanizzazione dipendente”10. L‟esistenza di uno scarto profondo tra questi mondi, quello degli abitanti della città “informale” da una parte e “formale” dall‟altra, produce un‟esasperazione della distanza sociale e culturale che si riflette sulle modalità abitative, nell‟accesso allo spazio pubblico e nel linguaggio dei mass media. Lo spazio urbano di Caracas è costruito sulla mixofobia, sull‟autosegregazione, sull‟isteria portata all‟estremo da una paura crescente che porta ad immaginare un attacco armato del popolo chavista e che induce a ricorrere a sistemi di sicurezza omofobici e a ripiegare su spazi sicuri perché famigliari. Oggi come ieri, una parte della città disconosce il mondo che si estende al di fuori del proprio damero colonial, oggi spostato nell‟area di Chacao, area di antiche haciendas di caffè e cacao e oggi di geometrie verticali, in una città di forti contrasti e accostamenti paradossali. Il ricorso a muri diviene la volontà manifesta di chiudersi in un castello di vetro all‟interno del quale immaginare di appartenere ad una città-country club, in cui il modo di vivere non si discosta affatto da quello di altre città globalizzate omologate da uno stesso tipo di consumo. Se la città fotografa il rapporto con l‟alterità, Caracas disvela l‟incapacità di rapportarsi all‟altro, verso il quale sviluppa una forma di mixofobia e di aperta ostilità. La città diviene il teatro del conflitto sociale e politico, la strada il campo di guerra. In un paese in cui la vita politica si concentra prevalentemente nella sua capitale quale luogo di interconnessione di poteri politici e commerciali, le tensioni per l‟acquisizione di spazi di libertà e di accesso alle ricchezze si

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Opera di riferimento Saskia Sassen, Globalizzati e scontenti, Il Saggiatore, Milano 2002. M. Castells, L'urbanizzazione dipendente in America Latina, in AA. VV. (1972), p. 24.

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riversano nelle strade, colpendo i simboli della parte avversa. Con la polarizzazione delle posizioni politiche anche la geografia della città si polarizza tracciando spazi chavisti e antichavisti, conservatori e rivoluzionari. Una città già socialmente divisa scopre, attraverso la rivoluzione bolivariana, i suoi forti antagonismi politici, precedentemente messi a tacere da una situazione di apparente immobilità difesa dal puntofijismo11 da cui si escludeva il ruolo storico delle masse.

Il Pacto de Punto Fijo, da cui puntofijismo, fu l‟accordo tra i partiti politici Acción Democrática (AD), Parido Social Cristiano (COPEI) y Unión Republicana Democrática (URD). Firmato il 31 ottobre 1958, pochi mesi dopo la caduta di Marcos Pérez Jiménez, il patto mirava a creare un governo di unità nazionale, in cui si estrometteva il Partito Comunista Venezolano (PCV), uno dei principali partiti che lottò contro la dittatura di Pérez Jiménez. Di fatto diede inizio ad un‟alternanza tra AD e COPEI, che cristallizzò la politica all‟interno di una democrazia formale, fino al 1999. 11

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2.1 SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE STORICO-SOCIALE

2.1.1 Dal sistema dell‟encomienda ai Grandes Cacaos ovvero il patriziato tropicale L‟ordine sociale coloniale che si viene ad impiantare in Venezuela per tre lunghi secoli è un ordine esogeno che ricalca la struttura economica e sociale della Spagna medievale, caratterizzata da una rigida gerarchia di caste. I bianchi spagnoli e i creoli successivamente, ricoprono il gradino più alto di una società cristallizzata nei suoi privilegi, assumendo per imitazione gli stili di vita dei nobili della Penisola Iberica. Immense estensioni di terre, le encomiendas12, sono loro consegnati dalla Corona insieme ad una quantità ben definita di schiavi: Ochenta para cada caballero venido con su mujer; sesenta para el escudero con su mujer; treinta para el labrador casado, utilizable por disposiciones reales por dos o tres años, cumplidos los cuales pasan al servicio de otros. Y se reparten las tierras13.

Il sistema di produzione è di tipo feudale, basato sul lavoro gratuito degli indigeni, sfruttati prevalentemente nelle miniere, per la ricerca dell‟oro e di altri metalli preziosi o nella raccolta di perle. Alla manodopera indigena14 e al sistema dell‟encomienda si andò via via sostituendo il lavoro dello schiavo strappato all‟Africa. I discendenti dei primi encomenderos arriveranno a dominare nel XVIII secolo non meno del 45% di tutto il territorio della Provincia di Caracas15. Señores del ganado (proprietari di terre destinate all‟allevamento brado) e señores de haciendas (i grandi latifondisti) divennero la base sociale del periodo coloniale. Uno schema gerarchico ben preciso ne assicurava l‟immobilità e la conservazione dello status quo: Le terre degli indios passarono alla Corona attraverso appropriazione fraudolenta. A sua volta la Corona distribuiva le terre alla casta militare come ricompensa per i suoi servigi, riconoscendo anche il possesso di schiavi indigeni (encomendados). 13 R. Quintero, Antropología del Petróleo, Siglo Veintiuno Editores, México 1972, p. 10. 14 Le corvées imposte agli indigeni vennero abolite ufficialmente nel 1687. 15 E. Arcila Farías, F. Brito Figueroa, D. F. Maza Zavala, Estudios de Caracas, tomo II, vol. II, UCV, Ediciones de la Biblioteca, Caracas 1967, p. 927, citato in E. Troconis de Veracoecha, Caracas, Mapfre, Madrid 1992, p. 66. 12

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Arriba el Gobernador y el Arzobispo, luego los blancos terratenientes y regidores de Cabildos y los clérigos; después los divididos estratos de los pardos, según el grado de blancura relativa que se les concedía, luego los indios, encomendados y sometidos, y por último el negro, en esclavitud16.

Solo sul finire del 1700 un limitato sistema di ascesa sociale basato sull‟acquisto delle Gracias al Sacar17 permise al nuovo e numeroso gruppo sociale dei pardos di acquisire il prestigio economico e sociale fino ad allora riservato ai bianchi. Il cacao domina la scena del XIX secolo rappresenta ben il 55% delle esportazioni del Venezuela18: El cacao, que se cultivaba fundamentalmente con la mano de obra esclava, ocasiona en Venezuela un proceso de acumulación de capital, iniciado su cultivo con timidez durante los siglos XVI y XVII y logrado su auge en el siglo XVIII, su aceptación en España y México fue tan entusiasta que los plantadores de la zona de Caracas y los comerciantes dedicados a ese tráfico se encontraron muy pronto con fuerte sumas de dinero posibles, parte de las cuales intervinieron en la formación de una flotilla propia para conducir el cacao desde la Guaira hasta Veracruz. Los cultivadores caraqueños se transformaron tempranamente en una oligarquía cerrada que la masa de la población conocía con el nombre de mantuanos, cuyo poderío económico le permitió adquirir acentuado predicamento en la corte española y una ventaja comercial del más puro corte capitalista: el monopolio del rico mercado mexicano, en detrimento del cacao de Guayaquíl19.

Accanto al cacao il Venezuela produce caffè, canna da zucchero e indaco quali prodotti destinati all‟esportazione. Le monocolture garantiscono l‟arricchimento di pochi grandi latifondisti e incatenano il paese alla fluttuazione dei prezzi nel mercato mondiale, oltre ad occupare la maggior parte delle terre coltivabili, rendendo dipendente il paese dall‟importazione di materie prime e di prodotti industriali europei che iniziavano ad inondare i mercati internazionali. Scrive Galeano su questo punto:

A. Uslar Pietri, Medio Milenio de Venezuela, Monte Ávila Editores Latinoamericana, Caracas 1986, p. 342. 17 La Real Cédula de Gracias al Sacar del 1795 permise di accedere ai privilegi limitati ai bianchi spagnoli, attraverso il versamento di una certa somma in danaro. Questo sistema permise l‟ascesa dei pardos, il gruppo numeroso di meticci liberi, e le conseguenti ostilità delle élites locali desiderose di mantenere la « pureza de sangre » e il proprio status quo. 18 G. Casetta, Colombia e Venezuela. Il progresso negato 1870-1990, Giunti, Firenze 1991, p.123. 19 J. M. Ramos Guédez, Una sublevación de los esclavos de la provincia de Caracas, 1749: fuentes documentales, Universidad Central de Venezuela, Caracas 1991. Opera consultabile on-line: http://www.comunidadandina.org/BDA/FichaObra.aspx?cm=999. [Data di consultazione: 10/11/2007]. 16

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Los oligarcas del cacao, más los usureros y los comerciantes, integraban una Santísima Trinidad del atraso. Junto con el cacao, formando parte de su cortejo, coexistían la ganadería de los llanos, el añil, el azúcar, el tabaco y también algunas minas; pero Gran Cacao fue el nombre con que el pueblo bautizó, acertadamente, a la oligarquía esclavista de Caracas. (...) Venezuela siguió siendo agrícola, condenada al calvario de las caídas cíclicas de los precios del café y del cacao; ambos productos surtían los capitales que hacían posible la vida parasitaria, puro despilfarro, de sus dueños, sus mercaderes, sus prestamistas20.

Agli albori della guerra di Indipendenza [1811] il gruppo costituito da poveri, indigeni, mestizos e schiavi costituiva il 72% dalla popolazione venezuelana. L‟oligarchia mantuana, ossia l‟1% di tutta la popolazione, accaparrava più del 50% della ricchezza prodotta nel paese. Il rimanente 27% era composto dalla piccola borghesia, formata da commercianti e artigiani21. Lo storico Brito Figueroa propone la seguente classificazione22:  Aristocrazia terriera, grandi commercianti, mercanti-usurai, alte gerarchie militari, civili ed ecclesiastiche (1%);  Proprietari terrieri medi, piccoli commercianti, rappresentanti della burocrazia municipale e provinciale di medio livello (10%);  Piccoli proprietari di terre, artigiani, artisti, impiegati in lavori pubblici, muratori, maggiordomi in haciendas, gente che svolge incarichi “bassi e servili” (22%);  Peones e campesinos, peones urbani e semisalariati, gente senza fissa dimora: tutti per lo più giuridicamente sottomessi a forme di coercizione anche extra-economiche dai padroni di terre (49%);  Schiavi (18%). La Guerra di Indipendenza trasferisce ai criollos mantuanos i privilegi della corona spagnola, bruciando le aspirazioni di contadini e schiavi per una maggiore uguaglianza sociale. I campesinos che parteciparono alla Guerra di Indipendenza, costretti ad una situazione di gravissima miseria e privazione di libertà23, esprimono tutta la delusione per una rivoluzione mancata, attraverso periodiche forme di ribellione, sollevazioni e cospirazioni che coinvolgono

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E. Galeano, Las venas abiertas de América Latina, Siglo XXI Editores, S.A., 36ª ed., (1ª ed. 1971), p.

139. M. Sanoja e I. Vargas, Razones para una revolución, Monte Ávila Editores Latinoamericana, Caracas 2004, p.14. 22 S. D‟Alto, Città dei barrios. Da Caracas a Cusco: una ricerca lungo la Cordillera, Bulzoni, Roma 1998, p. 273. 23 Ad esempio l‟Ordenanza sobre Sirvientes, Colonos y Jornaleros vietava in maniera coercitiva la libertà di movimento dei contadini mantenendoli in stato di servitù e soggetti all‟autorità del latifondista. M. Sanoja, I. Vargas, op. cit., p.15-16. 21

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schiavi, ex-schiavi liberi, meticci, indigeni e peones. Nel 1873 il 79% della popolazione continuava ad essere formata da jornaleros, arrendatarios e peones sirvientes. Meno dell‟1% controllava la maggior parte delle terre del paese e un 19,3% lavorava in città prevalentemente nell‟artigianato24. La base della struttura economica e sociale continua quindi ad essere, anche durante la giovane Repubblica, il latifondo, soprattutto dopo che le guerre e le scorribande nei llanos25 avevano causato il progressivo e definitivo impoverimento dei piccoli proprietari terrieri.

2.1.2 La bonanza petrolera, le dittature e il saccheggio legalizzato A dominare la scena del 900 è il petrolio. Estratto dal 1914 si parlerà di vero e proprio boom petrolifero quando un solo pozzo inizierà a riempire migliaia di barili di oro nero al giorno. Il petrolio segna l‟inizio di una nuova geografia del paese e del potere. Hacia 1917, el petróleo coexistía ya, en Venezuela con los latifundios tradicionales, los inmensos campos despoblados y de tierra ociosa donde los hacendados vigilaban el rendimiento de su fuerza de trabajo azotando a los peones o enterrándolos vivos hasta la cintura. A fines de 1922, reventó el pozo de La Rosa, que chorreaba cien mil barriles por día, y se desató la borrasca petrolera. Brotaron los taladros y las cabrias en el lago Maracaibo, súbitamente invadido por los aparatos extraños y los hombres con cascos de corcho; los campesinos afluían y se instalaban sobre los suelos hirvientes, entre tablones y latas de aceite, para ofrecer sus brazos al petróleo26.

A regnare sul nuovo impero di petrodollari sarà il dittatore Juan Vicente Gómez, potente latifondista che, una volta deposto il nazionalista e antimperialista Cipriano Castro con l‟appoggio delle potenze straniere, instaura una dittatura personale passata alla storia con il nome di Rehabilitación. Salito al potere nel 1908 dispiegherà per ventisette anni un regime di terrore politico, appoggiato dalle Forze Armate cui destina il 20% delle entrate. Chiuderà, dal 1911 al 1920, l‟Università Centrale di Caracas, considerato focolaio di opposizione alla dittatura gomecista27. Imprigionerà e torturerà 40 mila oppositori politici obbligandoli a lavori forzati28. E. Troconis De Veracoechea, op. cit., pp. 171-172. Sono terre di notevole estensione situate in Venezuela e in Colombia, poste a nord del fiume Orinoco. 26 E. Galeano, op. cit., pp. 261-262. 27 Durante le manifestazioni studentesche del 1928 vennero arrestati 200 studenti tra cui Rómulo Betancourt, futuro dirigente del partito Acción Democratica (AD) e futuro capo dello Stato per due 24 25

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Gómez è il primo oligarca petrolero criollo che entra in affari con le compagnie straniere assicurando loro lauti guadagni e facilitazioni di ogni genere29. Con la Legge sugli Idrocarburi del 1918 il dittatore è l‟unico ad avere diritto di parola sulla possibilità di espropriare le terre da affidare in concessione alle imprese statunitensi o anglo-olandesi30. Le successive leggi sugli idrocarburi del „21 e del ‟22, redatte direttamente dagli avvocati delle stesse imprese estrattive, segnano l‟evidente supremazia del capitale straniero sul grande giacimento petrolifero che rappresenta il paese. Standard Oil Company e Royal Dutch Shell, americana e anglo-olandese, sono le compagnie che, grazie alle concessioni venezuelane, si garantiscono profitti vertiginosi, alimentando le rispettive economie. Nel 1929 la Standard Oil percepiva benefici superiori al 100%31: Los favoritos del dictador vendían las concesiones a la Shell o a la Standard Oil o a la Gulf; el tráfico de influencias y de sobornos desató la especulación y el hambre de subsuelos. Las comunidades indígenas fueron despojadas de sus tierras y muchas familias de agricultores perdieron, por las buenas o por las malas, sus propiedades. Los campos de petróleo estaban cercados y tenían policía propia. Se prohibía la entrada a quienes no portaran la ficha de enrolamiento de las empresas; estaba vedado hasta el tránsito por las carreteras que conducían el petróleo a los puertos 32.

Scrive Miguel Otero Silva in uno dei suoi romanzi più famosi, Oficina n.1: Ya le han sacado a este brazo de sabana millones y millones de dólares. Tantos millones que usted, mi querido amigo Secundino Silva, se moriría de susto si Tony le dijera la cifra exacta. Los accionistas de la Compañía, que nunca han visto esta sabana ni en fotografías, se han comprado yates, palacios, escuadras de automóviles, colecciones de platos de porcelana, gargantillas de brillantes para las coristas; han ido muchas veces a Hawai, a la Semana Santa de Sevilla y a la ruleta de Montecarlo; han importado masajistas, pedicuros y cocineros mandati (1945-1948 e 1959-1964). Nel 1931 Betancourt elaborerà il Plan de Barranquilla, un pamphlet in cui si proponeva di creare un fronte interclassista e rivoluzionario per contrastare la politica di repressione del regime e porre fine alle scandalose concessioni petrolifere attraverso la nazionalizzazione delle fonti energetiche. 28 Il lavoro coatto dei prigionieri politici permise la costruzione di importanti opere pubbliche, come il nodo La Guaira-Caracas, snodo di importanza centrale per il saccheggio del petrolio venezuelano da parte delle compagnie straniere. G. Casetta, op. cit., p. 140. 29 Il volume del petrolio esportato passa da 1 milione nel 1921 a 150 milioni di barili nel 1935. Attraverso l‟imposta di sfruttamento - regalía - il Venezuela incamera, nel periodo che va dal 1912 al 1935, tra il 7,5% e il 16% del prodotto lordo esportato. A guadagnarci di più sono le compagnie straniere che ricevono una quota superiore al 70% dei profitti complessivi provenienti dall‟estrazione. 30 Con questa legge si intensificano le esplorazioni nello stato Zulia che porteranno allo sterminio della popolazione locale: gli indios Motilones. 31 G. Casetta, op. cit., p. 135. 32 E. Galeano, op. cit., pp. 261-262.

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franceses. Mientras tanto los hijos de los obreros que sacaron el petróleo comen tierra junto al rancho. Mientras tanto, mi querido amigo Secundino Silva, el aguardiente, el analfabetismo y la desnutrición son las tres divinas personas de este Paraíso33.

L‟abbandono del settore agricolo porterà il paese ad una dipendenza totale dalle importazioni, causa, assieme alla fuga dei capitali, del futuro debito estero e impoverimento del paese. Alla morte del suo dittatore [1935] le ricchezze drenate all‟estero possono essere paragonate a due Piani Marshall. Petrolio e suoi derivati rappresentano il 91,2% delle esportazioni. Come scrive Galeano “ningun país ha producido tanto al capitalismo mundial en tan poco tiempo: Venezuela ha drenado una riqueza que (…) excede a la que los españoles usurparon a Potosí o los ingleses a la India”34. A dominare la scena del decennio 1948-1958 è il dittatore Marcos Pérez Jiménez che inaugura un nuovo regime autarchico e repressivo35. Avvia una politica di opere pubbliche monumentale, intensifica la distribuzione di concessioni petrolifere generando arricchimenti scandalosi per sé e i suoi fedeli sostenitori e reprime violentemente l‟opposizione36. Il decennio 1948-1957 è il periodo più prospero vissuto dall‟economia venezuelana. Le compagnie estraggono una quantità di petrolio che supera quasi una volta e mezza la quantità di grezzo estratta complessivamente nei 30 anni precedenti mentre le entrate fiscali si triplicano elevandosi a 4.380 milioni di Bólivares nel 1957. In pochi anni il prodotto nazionale lordo raddoppia passando da 12.727

M. Otero Silva, Oficina n.1, Editorial Losada, Buenos Aires 1961, p. 245, citato in R. Quintero (1972), p. 122. 34 E. Galeano, op. cit., p. 259. 35 Marco Pérez Jiménez fu eletto nel ‟52, dopo che il colpo di stato del „48 rovesciò l‟esperienza di governo di Rómulo Gallegos, portando al potere una giunta guidata dalle Forze Armate. Tale giunta sospese la Costituzione, soppresse i sindacati, chiuse l‟Universidad Central de Venezuela, mise fuori legge il Partito Comunista Venezuelano e Acción Democrática (AD). Il colpo di stato segna la fine dell‟esperienza della Revolución Popular Democrática [1945] guidata da AD e da un gruppo di giovani ufficiali – Unión Patriótica Militar – di ispirazione popolare e con intenti antimperialisti. Proposito di questa rivoluzione fu in particolare di garantire una maggiore partecipazione dello Stato ai profitti derivati dall‟estrazione del petrolio. Per far questo introdusse un‟imposta straordinaria (la fifty-fifty), ossia una ripartizione equa dei profitti petroliferi tra Stato e imprese straniere, secondo il principio che in nessun caso le compagnie straniere avrebbero potuto percepire profitti maggiori di quelli percepiti dallo Stato che dava loro in concessione i giacimenti. Con la Costituzione del „47, poi abrogata nel „48, si allargava il diritto di voto agli analfabeti e ai diciottenni, si sanciva che la proprietà non è un diritto assoluto, introducendo il concetto di « funzione sociale della proprietà » e regolamentando le espropriazioni per causa di utilità pubblica e sociale. Nel periodo ‟44-‟48 si assistette ad una miglioria nelle condizioni di lavoro - i salari aumentarono del 64% - e ad un aumento della partecipazione sindacale e della società civile alla vita politica. 36 Sul tema è d‟obbligo la lettura del romanzo Cuando quiero llorar no lloro di Miguel Otero Silva, ambientato durante il regime perezjimenista. 33

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milioni di Bólivares nel 1950 a 23.847 milioni nel 195837. I grandi latifondisti attratti dal guadagno facile prodotto dalle speculazioni immobiliarie si convertono alla vita urbana. Il valore generato dal settore edile raddoppia tra il 1951 e il 1957. Il volto di Caracas cambia in questo periodo assumendo per imitazione la morfologia delle città degli Stati Uniti. E‟ la grande auge della cementificazione e della speculazione: Con la gruesa entrada del dinero petrolero, los nuevos ricos iniciaron una serie de negocios, no solo se infló el precio de las casas de Caracas, sino, además, nació la idea de anchar la ciudad. La Yerbera, El Conde, La Guía fueron adquiridas y parceladas38.

Tra il 1940 e il 1960, 1.330.000 persone abbandonano la miseria delle campagne, attratte dalle ricchezze concentrate nella capitale. Quando il dittatore sarà deposto, il Venezuela non era altro che “un vasto pozo petrolero rodeado de cárceles y cámaras de torturas, que importaba todo desde los Estados Unidos: los automóviles y las heladeras, la leche condensada, los huevos, las lechugas, las leyes y los decretos. La mayor de las empresas de Rockefeller, la Cróele, había eclarado en 1957 utilidades que llegaban casi a la mitad de sus inversiones totales39.

2.1.3 La década perdida: i piani di ristrutturazione degli anni Ottanta e la polarizzazione sociale La prosperità degli anni Settanta dovuta esclusivamente agli incrementi dei prezzi del petrolio produce un‟eccezionale ricchezza che tuttavia beneficerà prevalentemente i ceti sociali economicamente più forti. Imprese private e FEDECAMARAS - Federación de Cámaras de Comercio e Industria, organismo rappresentativo degli imprenditori privati – acquisiscono un ruolo tale da condizionare la politica economica del governo e orientarla ad un progetto democratico-borghese, incapace però di evitare la crescente condizione di miseria delle classi popolari, verso le quali saranno destinate politiche di impronta neopopulista con l‟unico scopo di ridurre la conflittualità sociale e indirizzare gli esiti elettorali. Prima della nazionalizzazione del petrolio [1976] Carlos Andrés Pérez – figura controversa che si convertirà più tardi a politiche neoliberiste – denuncerà l‟immobilismo del mondo imprenditoriale venezuelano in un paese

G. Casetta, op.cit., p. 161. M. Briceño Iragorry, citato in R. Quintero (1972), p. 178. 39 E. Galeano, op. cit., p.263. 37 38

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multimilionario in cui solo l‟1% della popolazione gode del 51% delle entrate, mentre il rimanente 99% è obbligato a spartirsi il resto40. Nel 1975 la popolazione venezuelana conta 12 milioni di persone. Ben il 75% è urbanizzato. Ogni anni migrano verso Caracas 70.000 persone, ma i settori produttivi (industria manifatturiera, servizi e commercio) non riescono ad assorbire tutta la manodopera disponibile. Il tasso di disoccupazione nel 1971 è al 6,2% e di sottoccupazione è all‟11%. L‟innalzamento del prezzo del barile, che passa da 1,85$ del 1970 ai 10,53$ nel 1974, porterà ad una riduzione nella produzione di greggio per effetto della contrazione della domanda di petrolio sul mercato internazionale41. Nonostante la caduta degli introiti del petrolio il Venezuela continua ad importare e a contrarre nuovi prestiti per onorare il debito verso altri paesi. In più l‟ingente somma di capitali trafugati all‟estero causa un irrimediabile dissanguamento delle casse dello Stato: secondo una stima della Banca Mondiale nel 1987 la fuga dei capitali superava del 40% il debito estero42. Il 18 febbraio 1983, durante il governo del Presidente Luis Herrera Campíns [1979-1984], la pesante svalutazione del bólivar e il collasso del sistema bancario misero fine definitivamente al periodo rentista43 degli anni precedenti. La situazione scivola di mano nel 1989 quando, nel clou delle politiche neoliberiste intraprese dal Venezuela per uscire dall‟impasse economico, il presidente Carlos Andrés Pérez annuncia l‟adozione di misure drastiche, nell‟ottica dei famigerati PAEs (acronimo di Programas de Ajuste Estructurales, condizione imposta dalla Banca Mondiale per poter accedere ai Préstamos de Ajuste Estructural). In particolare si prevedeva la fine del controllo sui prezzi e sulle importazioni, l‟aumento del tasso d‟interesse e il raddoppio del prezzo della benzina. L‟effetto delle misure di austerità si fecero presto sentire: i salari crollarono vertiginosamente, lasciando la popolazione nel completo abbandono. La popolazione in stato di povertà passò in un solo anno, „88-‟89, dal 43% al 55,5%. Il malcontento per tali misure e l‟aumento dei prezzi di trasporto provocò una delle rivolte più violente del Venezuela: il Caracazo. Nei concitati giorni del sacudón gli abitanti dei barrios si riversarono nelle strade e saccheggiarono i supermercati. Ad oggi non ci è dato sapere il numero preciso delle 40 41

G. Casetta, op. cit., p. 188. La produzione del greggio che nel 1970 è di 1.353 milioni di barili annui, scende a 836 milioni nel

1976. Tra il 1978 e il 1988 il debito estero quadruplicò il suo valore arrivando a 33 miliardi di dollari. N. Gall, “art. cit.”. 43 Un‟economia basata appunto sulla rendita del petrolio. 42

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morti di quei giorni: il dato fluttua drammaticamente tra le 300 e le 3.000 persone44. Il fenomeno della povertà, certamente non nuovo, assume un‟estensione e una profondità da considerarsi disumane. L‟inflazione registrava un tasso del 70,8% (dato del 1994) con devastanti effetti sui salari reali. Dal 1970 al 1998 il Venezuela registrava una perdita del reddito pro-capite del 35%. Nel 1985 il tasso di disoccupazione è al 12,5%, ma ben l‟80% della popolazione è remunerato ai limiti della sussistenza: El avance de la desigualdad en sus diversas dimensiones, no solamente la referida a los ingresos, se expresa en una fuerte polarización social, entendida como el distanciamiento entre los sectores sociales más ricos y más pobres. Pero esa polarización fue acompañada de una gran heterogeneidad de las situaciones intermedias, sujetas a distintos niveles de vulnerabilidad y exclusión45.

Per avere un‟idea del grado raggiunto dalle disuguaglianze sociali, è utile osservare i dati relativi ai salari del periodo 1987-1998. Nel 1987 il salario medio delle famiglie appartenenti al decile più alto (Tab. 2.10) era 17 volte maggiore del primo decile; nel 1998 il primo decile guadagna 123 volte in meno dell‟ultimo decile. Il gap tra ricco e povero diventa più profondo. Nell‟Area Metropolitana di Caracas, le famiglie in stato di povertà passano dal 40% al 60% della popolazione46. Solo il 10% degli occupati totali nel 1998 ha un impiego stabile47. Alla precarietà del lavoro si associa un incremento del sector informal che include una serie di attività che rendono possibile la sopravvivenza degli strati più poveri. Nel settore informale trovano soddisfazione i bisogni essenziali della comunità, fungendo da rifugio di fronte alla disoccupazione e trasformandosi in vera modalità di vita dettata dall‟urgenza. Le stesse abitazioni diventano luoghi di lavoro, dove le donne si prendono cura dei bambini del vicinato, preparano da mangiare nei comedores della comunità o svolgono lavori a domicilio. Anche gli spazi pubblici della città “formale” marciapiedi, fermate della metropolitana, luoghi di sosta,

Sul tema si consiglia di consultare il sito ufficiale di Cofavic, Comité de Familiares Víctimas de los sucesos de febrero y marzo de 1989, http://www.cofavic.org.ve/ [Data di consultazione: 10/03/2008] e il sito ufficiale di Provea, Programa Venezolano de Educación-Acción en Derechos Humanos, http://www.derechos.org.ve/ [Data di consultazione: 10/03/2008]. 45 C. Cariola, M. Lacabana, “Caracas metropolitana: exclusion social, pobreza y nueva pobreza en el contexto de las politicas neoliberales”, in Cuadernos del CENDES, n. 56, 2004, p. 144. 46 C. Cariola, M. Lacabana, “Transformaciones en el trabajo, diferenciación social y fragmentación de la metrópoli el Área Metropolitana de Caracas”, in Cuadernos del CENDES, n. 43, 2000, p. 100. 47 C. Cariola, M. Lacabana, “art. cit.” (2000), p. 97. 44

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terminal di autobus48, sono occupati da attività tipiche del settore informale, cosa che genera spesso stati di stato di conflitto e insofferenza. L‟esercito di occupati del settore informale diviene una vera e propria classe sociale alimentata e sostenuta dagli ingranaggi della globalizzazione, da cui resta esclusa dalla spartizione dei profitti, dei benefits e dei comforts. Gli unici ad avere il diritto ad accedere ai privilegi della globalizzazione sono le “centralità” coinvolte nei flussi della globalizzazione: impiegati nel terziario ricco, molto remunerato caratterizzato da elevati livelli di conoscenza e impiego di tecnologia. Una rete mondiale sostenuta da eserciti di reietti che vivono al margine di un mondo che li rifiuta, ma di cui non può fare a meno.

Tipico è il caso dei venditori ambulanti abusivi (buhoneros) di Sabana Grande, una grande arteria della città invasa da file e file di bancarelle in una continuità fisica e acustica con i negozi ai lati delle strade (la musica ad altissimo volume è un elemento imprescindibile dal contesto caraqueño). I venditori informali di Sabana Grande, causa di conflittualità per via di occupazione illegale di suolo pubblico, sono stati temporaneamente ubicati, dall‟inizio del 2007, in una feria de buhoneros nell‟Avenida Casanova in attesa che terminino i lavori di costruzione del Centro Comercial para el Trabajador Popular Manuelita Sáenz. I lavori sono stati assunti dal Ministerio de Poder Popular para la Economía Comunal. Sito ufficiale di Sabana Grande on-line: http://sabanagrandeonline.com/site/. [Data di consultazione: 20/11/2007]. 48

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2.2 LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO URBANO

En la ciudad cualquier intento de un orden nuevo lleva hacia un demorde todavía mayor (...) sin embargo el caos es lo que constituye hoy en día precisamente la riqueza (de la ciudad); una complejidad fragmentada que posee todo el potencial para una calidad futura. Williem Jean Neutelings, El Caos.

2.2.1 Urbanizzarsi per sopravvivere A chiusura del XIX secolo sopravvive nelle campagne venezuelane un sistema basato sullo sfruttamento della manodopera che ricalca quello schiavista del XVII e XVIII49. Il lavoro dei campi non è retribuito in denaro, ma attraverso fichas spendibili esclusivamente nelle botteghe (pulperías) presenti nel latifondo. L‟ereditarietà del debito e l‟obbligo di non abbandonare le terre fino all‟estinzione dello stesso costringono generazioni di contadini-schiavi alla povertà senza possibilità di ascesa sociale50: Un pueblo hundido en la miseria, la enfermedad y el hambre; que no tuvo aliento para gritar su protesta, olvidado entonces y después. El hombre campesino era apenas una silueta flaca curvada sobre el surco: agobiado por el paludismo y la anquilostomiasis, famélico y desesperanzado, envejecía y moría prematuramente51.

La scoperta dei primi giacimenti petroliferi introduce nell‟organizzazione sociale e nello spazio geografico una vera e propria rivoluzione. Centri urbani per lo sfruttamento del petrolio saranno popolati da contadini poveri, peones in fuga dallo sfruttamento nelle haciendas e gruppi di indios poveri. L‟estensione di mezzi di comunicazione e la costruzione di nuove strade rompono il secolare isolamento della massa di contadini nelle campagne. Il semiproletariato rurale inizia a emigrare nelle città e nei campi petroliferi, portando con sé un sistema di valori e di relazioni tipico del mondo rurale. Sono luoghi dove s‟incontrano diversi gruppi sociali portatori di differenti esperienze e attese, in cui le relazioni profondamente asimmetriche Protagonisti di questa nuova forma di schiavitù sono il medianero e l‟aparcero. Coltivano le terre del latifondista a cui devono metà o parte del raccolto. 50 R. Quintero (1972), p. 151. 51 E. Arcila Farías, 1928: Responden los protagonistas, Fondo Tropykos, Caracas 1990, p. 14, citato in E. Troconis De Veracoechea, op. cit., p. 230. 49

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producono uno stato di alienazione psico-sociale: El jefe extranjero es en el campo un productor de ordenes para el criollo. Y éste un cumplidor de esas ordenes. Actuar de otra manera disgusta a los musiues [americani] y puede significar el despido del trabajador y hasta su inclusión en la lista negra que descarta toda posibilidad de trabajo en la industria del petróleo. Por su parte el criollo vive también en guardia; acumula temores y odios52.

I campi petroliferi segnano il passaggio da un‟economia basata sull‟agricoltura di esportazione ad un‟economia basata esclusivamente sul petrolio, e rappresentano l‟anima di un sistema invertebrato, pronto a crollare da un momento all‟altro. L‟introduzione di nuovi macchinari che aumentano la produttività e il conseguente licenziamento di manodopera causerà la morte di questi anonimi addensamenti umani e l‟emigrazione di nuove masse impoverite alla ricerca di un nuovo El Dorado nella capitale: Estas aldeas modernas, tristes de nacimiento pero a la vez aceleradas por la alegría del dinero fácil, han descubierto ya que no tienen destino. Cuando se mueren los pozos, la supervivencia se convierte en materia de milagro: quedan los esqueletos de las casas, las aguas aceitosas de veneno matando peces y lamiendo las zonas abandonadas. La desgracia acomete también a las ciudades que viven de la explotación de los pozos en actividad, por los despidos en masa y la mecanización creciente53.

La transizione da paese prevalentemente rurale a paese prevalentemente urbano avviene alla fine degli anni Quaranta54. Si tratta di un processo di migrazione non pianificata e alimentata da sentimenti di frustrazione e incertezza verso il futuro. Migranti fantasmi si riverseranno nelle poche città arricchitesi in tempi record, residenze dell‟intellighenzia del paese, cercando a loro modo un luogo per sopravvivere. Il deficit abitativo costringe molte famiglie a costruirsi dei ranchos o chozas, piccole e umili case fatte di materiale di risulta, seguendo una struttura tipica dell‟ambiente rurale. La crescita del cinturón de miseria che circonda Caracas diviene il risultato di un‟ondata migratoria55 senza precedenti che, avviatasi negli anni Trenta, si rafforzerà durante gli anni Cinquanta e soprattutto nel ‟58 anno della caduta della dittatura di Pérez Jiménez: R. Quintero (1972), p. 85. Ibid., p. 261. 54 Nel 1936 la popolazione rurale rappresenta il 63,3% della popolazione totale. Nel 1950 è già scesa al 46,2%. 55 II grande impulso del settore delle costruzioni pubbliche incentivò anche l‟immigrazione di manodopera europea (i cosiddetti trabajadores de buena costumbre). Nel 1953 giunsero 6.212 immigrati tra cui italiani, spagnoli, portoghesi, ma anche asiatici, in particolare cinesi e libanesi attratti dal Nuevo Ideal Nacional propagandato dal dittatore. E. Troconis De Veracoechea, op. cit., p. 250. 52 53

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El movimiento de campesinos hacia las ciudades, que hasta entonces había sido substancial de acuerdo a cualquier estandar, de repente tomó proponciones tremendas. La tendencia estaba tan solidificada que hoy más barrios identifican su origen en los primeros 24 meses subsecuentes a la revolución [del 1958] que en cualquier otro período56.

È lo Stato che d‟ora in avanti diverrà il principale agente dello sviluppo urbano della nazione. Il governo provvisorio stabilitosi dopo il 1958, elabora un Plan de Emergencia grazie al quale i contadini trasferiti in città saranno impiegati nella realizzazione di opere pubbliche. Le restrizioni poste all‟insediamento urbano negli anni precedenti57 furono sospese e i dintorni delle città si riempirono di nuove baraccopoli. Il Plan de Emergencia cercava di ridurre le tensioni sociali provocate dalla forte disuguaglianza sociale e dallo stato di conflittualità ereditato dal periodo repressivo. Tuttavia ad una politica di incentivi all‟urbanizzazione non seguirono misure per la difesa del diritto alla casa. Il risultato fu che la popolazione dei ranchos raddoppiò nel periodo che va dal 1959 al 1966: La ciudad va a reflejar dramáticamente el desajuste y las contradicciones que el petróleo engendra. A ponerle cerco a la urbe subitamente enriquecida vendrán los desplazados y refugiados del atraso campesino y de pobreza tradicional, a levantar frente al Avila, cambiante y puro en su salvaje naturaleza, sus montes de miseria, sus laberintos de ranchos que anuncian con amenazadora voz de profecía que aun está por hacer la empresa de Venezuela58.

A nulla servirono politiche volte a sostenere la vita e il lavoro nelle campagne. Durante il trentennio democratico, guidato dall‟alternanza tra COPEI e AD sarà varata la Riforma Agraria del 1960-1971 con l‟obiettivo di arginare la migrazone verso le città. Tale riforma di fatto arricchì ancora di più i proprietari terrieri, indennizzati generosamente per l‟esproprio delle haciendas, e i funzionari del IAN (Instituto Agrario Nacional), mentre i contadini, a cui furono destinati piccoli appezzamenti di terra incolta, continuarono la loro traiettoria di migrazione prevalentemene verso la capitale. Caracas, principale centro amministrativo del paese e sede dei quartieri generali della PDVSA, nonchè di gran parte del settore bancario e commerciale, offriva nel 1971 (anno in cui la popolazione urbana registrò un aumento del 210% rispetto al 1950) il N. Gall, “art. cit.”, p. 7. La politica del bulldozer durante la dittatura di Pérez Jiménez fu di abbattere i barrios de ranchos, impedire la costruzione di nuovi e intassare gli abusivi all‟interno di edifici a blocchi, come il complesso di superbloques nella parroquia 2 de Diciembre, di cui si parlerà in seguito. 58 A. Uslar Pietri, op. cit., p. 134. 56 57

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37,3% dell‟impiego industriale totale del paese. In soli 4 anni il 65,9% del totale dell‟industria nazionale si concentrarono nella capitale, nelle zone di Los Ruices, San Martin, La Yaguara, Artigas, Prado de Maria, El Cementerio, La Trinidad, Boleita, Chacao, Catia e Petare 59.

2.2.2. Progettare e governare la città: dal modello Haussman a Le Corbusier Durante i lunghi governi dei caudillos venezuelani, Caracas assunse via via l‟aspetto estetico corrispondente al gusto personale del regnante di turno, dettato per lo più da deliri di megalomania. La prima grande ristrutturazione di Caracas si dà per volere del generale Antonio Guzmán Blanco (1870-1888), l‟autócrata civilizador60. Suo intento fu di abbandonare l‟immagine di una Caracas ancora semirurale, in favore in uno stile neogotico d‟influenza parigina: La creación del espacio público pasa por la nostalgia de la estética urbanística parisina que él había frecuentado en sus años de juventud: templos cívicos (el Panteón, el Museo, el Palacio Legislativo, el Congreso Nacional), religiosos (la iglesia de Santa Teresa, el templo Masónico) y espacios civiles (el Teatro Municipal, el Teatro Nacional, la fachada de la Universidad Central de Venezuela, el parque El Calvario, bulevares y paseos), a través de los cuales intentó no solo dejar claramente inscritas las huellas históricas de su personalidad, sino también su afición por la escena, la monumentalidad y el melodrama61.

La città si espande inglobando le tipiche haciendas dei dintorni della città e dando vita ad opere monumentali come il Capitolio Federal, il Panteón Nacional, la ristrutturazione del Calvario, l‟Ospedale Vargas, il Cementerio General del Sur e la linea ferroviaria Caracas-La Guaira. Di questo periodo è la pianificazione della replica di Versailles ad Antimano, area oggi inglobata nei barrios della città. Durante il guzmanato Caracas riceve la maggior parte degli

J. M. Guevara Díaz, Geografía de las regiones Central y Capital, Ed. Ariel Seix Barral Venezolana, Caracas 1983, pp. 184-187, citato in F. Ferrándiz Martín, “art. cit.” (2001), p. 69. 60 Sua è la Dirección General de Inmigración creata per decreto il 14 gennaio 1874. Si fondano depositos per immigrati nella città di Caracas, La Guaira, Valencia e Puerto Cabello luoghi di permanenza temporanei fino al momento della collocazione nelle colonias o nelle haciendas private. La colonia creata da Guzmán Blanco, chiamata omonimamente, è popolata da francesi e spagnoli. E. Troconis de Veracoecha, op. cit., p. 188. 61 P. J. García Sánchez, “Política y culturas urbanas: la urbanidad en los espacios públicos de Caracas”, in Cuadernos del CENDES, n. 38, 1998, p. 132. 59

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investimenti e diviene sede dell‟emergente borghesia commerciale e di una nuova oligarchia urbana62. Durante il governo di Cipriano Castro (1899-1908) e a seguito del terremoto del 1900 le élites venezuelane decidono di abbandonare il centro storico ormai logoro, avviando lo sviluppo urbanistico dell‟antica hacienda di El Paraiso63 (vedi scheda n.1), trasformata in prima grande urbanización della città. Con la dittatura di Juan Vicente Gómez (1908-1935) assistiamo ad un offuscamento del ruolo centrale della città di Caracas a seguito del trasferimento della capitale a Maracay. Egli introduce lo stile del giardino inglese come sintesi estetica da applicare alla sua hacienda nacional64 visitata periodicamente dagli invitati stranieri. Nel 1936 sotto il governo del Generale Eleazar López Contreras il tema della modernizzazione di Caracas è al centro del dibattito. Si discute in particolare del riassetto del casco centrale cercando di orientare lo sviluppo della città. Si deciderà di assegnare il progetto ad un équipe formata da urbanisti francesi, Jacques Lambert e Maurice Rotival, e da architetti e ingegneri venezuelani. Nel 1939 viene presentato il Plan Monumental de Caracas, conosciuto come Plan Rotival, un‟azzardata proposta che prevedeva il riordino del centro storico, la costruzione di nuove arterie stradali e l‟ampliamento dei tratti stradali già esistenti. L‟intervento più ambizioso fu la costruzione della gigantesca Avenida Bolívar, di spropositata dimensione rispetto alla Caracas dell‟epoca. Il progetto era intriso del più puro accademismo francese, fedele ai canoni classici dell‟urbanistica tradizionale. Predomina lo schema haussmaniano di una perfetta simmetria e ordine. In nome del progresso venne distrutto il patrimonio storico e culturale del casco centrale per realizzare l‟imponente progetto stradale, pensato come il cuore stesso della città, el eje de la futura vida urbana. Il Governo autorizzò la costruzione di altre strade come la Avenida Urdaneta, San Martín, Sucre y Andrés Bello, approvando solo il progetto stradale e lasciando incompleto il resto. Viene avviato il più importante programma di A. De Lisio, “La evolución urbana de Caracas. Indicadores e interpretaciones sobre el desarrollo de la interrelación ciudad-naturaleza”, in Revista geográfica venezolana, vol. 42, n. 2, 2001, pp. 203-226. 63 El Paraiso verrà, in epoca più moderna, riorganizzato secondo il progetto dell‟architetto Carlos Raúl Villanueva, in un complesso di ispirazione razionalista. 64 È noto che i caudillos governassero il paese come un hacendado la sua hacienda “obvia actitud alegórica de alguien a quien no le basta con las extensiones territoriales y simbólicas de su entorno domestico para desplegar los delirios de megalomanía: dando cabida a los miembros de su familia en puestos claves de gobierno, determinando radical y estrictamente los límites de la legalidad reinante y asimilándolos a sus propios caprichos, dándole a las ciudades una apariencia estética que responde a sus propios gustos personales”. P. J. García Sánchez, “art. cit.”, p. 147. 62

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investimento in opere pubbliche: le spese per la costruzione di autostrade aumentarono sei volte tra il 1948 e il 194965, furono costruiti hotel, edifici residenziali e monumenti. L‟11 ottobre 1950 nasce l‟Area Metropolitana de Caracas (AMC) e si decreta ufficialmente la volontà di espansione verso il settore nord-est. Le ultime haciendas (Blandín, Ibarra, La Carlota, San Felipe, El Volcán, Los Ruices) saranno trasformate in urbanizaciones (Country Club, Bello Monte, La Carlota, La Castellana, El Rosal, Los Ruices), aree che oggi concentrano le attività più redditizie (terziario avanzato e finanza) e le aree edificate di maggior prestigio e di minore densità abitativa. Nel 1951 la stessa équipe che progettò il Plan Rotival concepisce ora il Plan Regulador, con una base teorica molto modernista. Gli interventi urbanistici che si realizzeranno sotto il regime di Marcos Pérez Jiménez, si collocano dentro un disegno politico più generale mosso da utopia modernizzatrice e spinte accentratrici. Il dittatore: Radicaliza la concepción de espacios públicos que reflejan la concepción de una urbanidad autoritaria, tanto en la disposición de sus usos - la Escuela y el Círculo Militar, el Paseo de Los Próceres -, como en su distribución espacial - es durante ese tiempo que para la mayor parte de los especialistas comienza la incontrolada de las edificaciones. Va a suceder lo mismo con los espacios de circulación de Caracas, pues es bajo su mandato que se trazan y/o construyen las redes de grandes avenidas y autopistas que atraviesan la ciudad, dibujando las nuevas parcelas que la van a descentrar territorial y patrimonialmente, al tiempo que preparan el terreno para el rápido establecimiento de la utilización insensata del automóvil como medio privilegiado para los desplazamientos y paseos urbanos66.

E‟ un periodo di fortissima speculazione immobiliaria e di guadagni vertiginosi. Pur essendo sempre più evidente il problema del deficit abitativo (il 1971 sarà l‟anno del picco di inurbamento a Caracas) gli investimenti saranno destinati ad aree per lo più già sviluppate. Caracas acquisisce in questo periodo l‟aspetto di una città frammentata derivante da una zonificación de los usos67: creare tante piccole città collegate mediante grandi e veloci autostrade inglobate nel tessuto urbano, con l‟obiettivo di decongestionare la città e renderla un luogo più “vivibile e salubre”, e ottenendo al contrario una segregazione di aree e una conversione definitiva al culto dell‟automobile. Il tentativo di porre fine al veloce proliferare dei barrios nella

N. Gall, “art. cit.”, p. 8. P. J. García Sánchez, “art. cit.”, pp. 132-133. 67 Da zoning ossia creare aree adibite a determinate funzioni. Il processo porta alla frammentazione della città in aree distanti tra loro e ad un processo di segregazione in quanto si basa sull‟idea di esclusione di altre funzioni. Il concetto è opposto al principio del mixed-use, ossia all‟uso misto degli spazi urbani. 65 66

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cintura urbana di Caracas che nel 1950 contava più di 40.000 ranchos, spinge il governo ad incaricare il TABO68 ad effettuare uno studio di fattibilità di un‟importante opera di edilizia pubblica destinata ad albergare circa 150.000 persone. Tra il 1954 e il 1958 saranno costruiti 97 superbloques, ispirati all‟edilizia razionalista di Le Corbusier, nata per garantire alle masse operaie europee un alloggio salubre e il diritto alla casa. Il complesso edilizio 2 de Diciembre (Scheda n. 2) concepito per arginare l‟espansione incontrollata della città e per facilitare il controllo delle masse recentemente urbanizzate, si trasformerà presto nel peggior incubo per il regime. Qui nasce e si organizza una nuova “mistica urbana di combattività”69. Ribatezzata 23 de Enero dopo la caduta del Generale Pérez Jiménez, ospiterà nei suoi intricati labirinti che sfuggiranno presto al controllo panottico dello Stato, movimenti rivoluzionari70 come i Tupamaros.

2.2.3 La città frammentata: edilizia pubblica, nuove urbanizaciones e deficit abitativo. All‟inizio del secolo quintas, casas de vecindad e barrios populares rappresentavano modalità abitative di differenti gruppi sociali portatori di subculture che faticavano a incontrarsi. Luoghi come El Paraiso della Caracas de antaño rappresentano la forma residenziale preferita dalla tradizionale aristocrazia. Gli elevati costi dei terreni, proibitivi per i più71, facevano di El Paraiso un simbolo di prestigio. In queste lussureggianti quintas che si ergevano nell‟area orientale della città, si isolavano i rappresentanti delle élites locali, i pesados (così erano chiamati dalle classi popolari), desiderosi di distinguersi dal resto della popolazione. Gli artigiani e gli operai vivevano in affitto nelle casas de vecindad72, vecchie case coloniche poste nelle aree centrali della città, la cui struttura si sviluppava attorno ad un patio centrale. Gli occupanti condividevano gli spazi comuni in stanze sovraffollate e insalubri. La situazione sempre più precaria e l‟aumento degli affitti causato da un aumento smisurato di domanda abitativa Taller de Arquitectura del Banco Obrero che realizzò in particolare i superbloques, soluzioni abitative ad alta densità. 69 F. Ferrándiz Martín, “art. cit.” (2001), p. 72. 70 Vedere http://www.el23.net/principal.htm [Data di consultazione: 02/12/2007]. 71 In un‟epoca in cui lo stipendio medio di un impiegato era di 400 Bólivares (Bs) e quello di un operaio dai 4 ai 6 al giorno, un chilo di carne 1,75 Bs e uno di fagioli 0,06, abitare a El Paraiso ne costava 150 Bs. Dati tratti da R. Quintero (1972), p. 76. 72 Nel 1916 il 10% della popolazione di Caracas viveva in case de vecindad [case di ringhiera]. 68

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obbligò molte famiglie ad occupare aree periferiche costruendo piccole case di bahareque, un composto di terra e paglia, che diedero origine ai barrios populares. Man mano che la richiesta di alloggi diveniva sempre più pressante si rendevano necessari progetti di edilizia residenziale a basso costo. Nel 1928 nacque il Banco Obrero con l‟obiettivo di finanziare costruzioni prevalentemente per la classe operaia. Il periodo che va dal 1926 al 1930 è per la città di Caracas un‟epoca di intensa attività edilizia73 che porta alla realizzazione di opere che, se nell‟intento si propongono di far fronte ad una crescente domanda di abitazioni per le classi de bajos ingresos, vengono, di fatto, destinate alla classe media o medio-bassa. El Silencio (Scheda n.3) sarà la prima grande operazione di riassetto urbano – e di sgombero – del centro della capitale, progettato dall‟architetto Carlos Raúl Villanueva come una delle opere più imponenti dell‟epoca. Alle classi meno abbienti non rimarrà che occupare quebradas e cerros prive di interesse immobiliare, definite dal Ministero della Sanità aree non edificabili. L'area occupata dai barrios inizia a crescere, passando da un‟area totale di 21 ettari, nel 1930, a 700 ettari nel 194974. Acción Democrática e la Unión Municipal denunciano l'abbandono delle classi povere costrette a vivere "debajo de los puentes y entre las quebradas (...) víctimas de la desnutrición y del abandono casi total"75. Il problema della terra inizia ora a manifestarsi con urgenza; in questo clima vengono create le prime Juntas Pro-Mejoras parroquiales o pro barrio, le Ligas de Colonos, la Junta Prohabitantes de Puentes y Quebradas oltre ad essere istituita una Caja Municipal de Habitación Popular, trasformata nel 1941 in Caja Municipal de Crédito Popular. Nel 1942 si assiste alla creazione del primo vero progetto di urbanización municipal obrera destinato alle classe più povere: si tratta del progetto Villa Amelia successivamente ribattezzata Urbanización Obrera Municipal Lídice76. Nel periodo 1945-1948 la crescita violenta della città, i problemi dei barrios, l‟abitazione sociale e la scarsità dell‟acqua per questi settori sono un fenomeno irreversibile. Nel 1946 nasce la Junta Provivienda Popular la quale tuttavia non riuscirà a trasformarsi in strumento d'azione Nascono in questi anni i progetti urbanistici di Catia, Agua Salud, Nueva Caracas nella parroquia Sucre, Las Flores a Santa Teresa, La Quebradita, O'Higgins, Berrizbeita, Ramírez e La Vega a San Juan, El Peaje, San Augustín del Norte e El Conde a Santa Rosalía, Los Jardines a El Valle, Estado Sarría a Candelaria, Las Delicias, La Florida e Maripérez a El Recro. 74 T. Bolívar, J. Baldó, op. cit., p. 194. 75 Ibid., p. 195. 76 Sulla storia della urbanización obrera Lídice si consiglia di consultare il sito: http://www.mipastora.com/historia/lidice.htm. [Data di consultazione: 13/03/2008]. 73

72


a causa del diffuso clientelismo. L‟impiego di soldi pubblici per la costruzione del Centro Simón Bolívar (con una spesa di 200 milioni di Bolívares si sarebbero potute costruire case per 75 mila persone) e per l'acquisto di 5 milioni di metri quadrati da destinare alla difesa militare77, mette in evidenza una gestione iniqua del patrimonio pubblico, e la totale indifferenza, mascherata dalla creazione di istituti svuotati di potere di intervento, nei confronti del problema abitativo per la massa di poveri esclusi dal diritto alla città e ad un‟abitazione degna. Una svolta nell‟avvio di opere di edilizia pubblica realmente destinata alle famiglie in difficoltà, si avrà con il programma del Plan Nacional de Vivienda (1951-1955) (Tab. 2.6), del Plan Cerro Piloto (1953-1954) e della Comunidad 2 de Diciembre (1955-1957). La costruzione di 23 mila nuovi appartamenti non sarà sufficiente tuttavia a coprire un deficit abitativo che si stimava essere di 30.000 abitazioni nel solo Distrito Federal78, diventato di ben 800.000 nel 196579. In più incentiverà nuovi migrazioni dall‟interno. Se a questo si aggiunge che nei confronti di barrios già esistenti si procedeva con azioni di sgombero o, nella migliore delle ipotesi, con interventi di carattere d‟urgenza, non possiamo che avere un quadro piuttosto catastrofico della situazione. “La política municipal para la vivienda municipal estaba marcada par las aceras y las escalinatas ante el derrumbe ocasional, o la pila de agua ante la protesta reiterada”80. Di fronte agli sgomberi dei cerros un ministro della giunta municipale del '48, Díaz Legorburu, dichiarerà: Quien tiene que levantar cuatro tablas para guarecerse de las lluvias y del frío lo hace aun cuando haya ordenanza que establezca multas o arrestos. (...) La necesidad puede levantar durante la noche, en un espacio de 4 horas un rancho (...) no se levanta por capricho sino por la urgencia que tienen los que viven bajo los puentes cuando son desalojados, de situarse en cualquier lugar81.

T. Bolívar, J. Baldó, op.cit., p. 197. Ibid., p. 198. 79 Dichiarazione dell‟architetto Carlos Raúl Villanueva, durante il XI Congreso Panamericano de arquitectosWashington del 1965, reperibile sul sito della fondazione omonima http://www.fundacionvillanueva.org/# [Data di consultazione: 20/05/2008]. 80 T. Bolívar, J. Baldó, op.cit.,, p. 200. 81 Ibid., p. 198. 77 78

73


2.2.4 Nuovi apartheid urbani Oggi il Valle di Caracas si consolida come sede indiscussa di funzioni direttive e attività di terziario avanzato. Si può definire il centro dei grandi flussi finanziari, sede del potere politico e amministrativo. Chacao, uno dei quartieri più ricchi della capitale, diviene luogo simbolo della modernità della città, ricco di attività ricreative, servizi, alberghi e residenze di lusso. Posto all‟interno di una geografia del potere diventa territorio fluttuante nello spazio finanziario, svincolato dal resto che lo circonda. Afferma il suo carattere di segregazione nel momento stesso in cui diventa città nella città, organismo autonomo e autosufficiente che erge le sue barriere nei confronti degli intrusi. Di giorno lascia filtrare il mondo sconosciuto dei cerros che scendono a popolare la “città laboriosa” e di sera si richiude dietro alle inferriate di protezione. Ricorrere a strategie di auto segregazione il cui risultato è la creazione di veri e propri ghetti urbani, di “città di margine fortificate”, è la nuova tendenza della classe medio-alta di Caracas e di quelle città in cui si fa primaria e urgente la necessità di allontanare paura e incertezza con strumenti di controllo che ricadono nel patologico. Essi cercano di tenere: (…) tutti gli altri fuori dei posti decenti e sicuri, i cui standard sono assolutamente decisi a conservare e a difendere con le unghie e con i denti (…). La recinzione separa il ghetto volontario degli arroganti dai molti condannati a non vivere niente. Per coloro che stanno in un ghetto volontario, gli altri ghetti sono degli spazi in cui non entreranno mai. Per coloro che stanno nei ghetti involontari, l‟area in cui sono confinati è uno spazio da cui non gli è permesso uscire82.

Caracas è una sovrapposizione di settori che si escludono. Lo stesso linguaggio usato quotidianamente o nei media si fa veicolo di pratiche di esclusione. Si userà il termine colinas per indicare le colline su cui si sviluppano le aree residenziali destinate alla classe alta, le urbanizaciones. Si userà cerros, per indicare la collina su cui sorgono gli estesi insediamenti dei ranchos abitati da chi si inventa quotidiane strategie di sopravvivenza. Nomi diversi per indicare gli stessi luoghi occupati in forma diversa. Colinas e urbanizaciones della città formale e cerros e ranchos della città informale disegnano veri e propri apartheid urbani83 che danno origine ad una città fatta di feudi, muri, inferriate e sistemi di vigilanza privata. Da questi feudi l‟altra città, quella dei barrios populares, appare come presenza da scartare.

Z. Bauman, op. cit., (2005), p. 26. Un esempio emblematico è il Country Club al confine con il barrio Chapellín. Attraversando solo una strada si passa dall‟opulenza alla miseria. 82 83

74


Pur nella loro accesa visibilità notturna fatta di luce acquosa i ranchos sono luoghi ufficialmente invisibili. Cancellati dalla mappa della città in cui appaiono come aree in via di definizione, vittime oltremisura di una cecità di comodo, si infiltrano negli interstizi delle aree residenziali e si scontrano visivamente con il culto dell‟eccesso. Scendono lungo il pendio delle colline fino a toccare i bordi delle strade, come valanghe pronte ad invadere tutta la planimetria di una città fatta di confini mobili, pronta a moltiplicarsi in maniera infinitesimale, contenuta da muri di cinta abbelliti da murales colorati per cancellare la geografia della vergogna. Nonostante gli abitanti dei barrios continuino a prestare servizio nelle case della città legale, ad allevare bambini, a mantenere in ordine giardini, a guidare gli autobus, a costruire quella economia informale senza la quale l‟altra metà della città non vivrebbe nell‟agio che gli è abituale, continuano a essere percepiti come parassiti, invasori e stranieri nella stessa città. Su di essi si riversa l‟immaginario multiple di luoghi di trasgressione e violenza, zone amorfe di pericolo, geografie e culture del caos, luoghi di inquietante disordine. Escludere l‟altro, fare finta di non vedere la portata della sua identità, significa avere paura dell‟ignoto. Difendere il proprio spazio dalla possibile invasione violenta degli abitanti dei barrios diventa il primo pensiero per chi vive nelle piacevoli e lussureggianti urbanizaciones. L‟abitante del barrio è, per chi occupa l‟altra parte della barricata, un rappresentante delle “classi pericolose”, ossia quelle classi “riconosciute come non idonee alla reintegrazione e dichiarate non assimilabili, poiché si ritiene che non saprebbero rendersi utili neppure dopo una riabilitazione (…) sono superflue ed escluse in modo permamente”84. Sono underclass, lumpen, gente cui non si addice alcuna categoria sociale. Il passo verso l‟equazione escluso=criminale è immediato. Di fronte alla paura di un assalto, diventa normalità in una città spaccata come Caracas dotarsi di dispositivi di elevata tecnologia, o vivere protetti da alcabalas o peajes in cui il personale armato (paradossalmente gli stessi abitanti dei barrios) controlla l‟accesso alle aree residenziali. Si tratta di recinzioni illegali della strada pubblica per garantire la sicurezza degli inquilini. Chi non paga per questi dispositivi di sicurezza, rischia los afiches de la vergüenza, ossia grandi cartelli in cui è possibile trovare questo messaggio: Buenos días. Usted disfruta actualmente de un servicio de seguridad que le permite estar tranquilo respecto a su vehículo y a usted mismo, gracias a la cooperación de los vecinos de 84

Z. Bauman, op. cit., (2005), p. 11.

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este sector. Desgraciadamente, la honorable persona que usted va a visitar, el Señor Fulano de Tal, no quiere contribuir a ayudarnos en esta acción que es un beneficio de todos. Por favor, hágalo reflexionar, muchas gracias85.

Le case delle urbanizaciones sono case fatte per proteggere i loro abitanti e non per integrarli nelle comunità cui appartengono. Erigono muri, espongono filo spinato e cocci di vetro appuntito, osservano il mondo da telecamere collegate con polizia privata, o agenzie di sicurezza a reazione armata. Diventano città di margine ad alta sicurezza86 (edge cities sul modello di Alphaville in Brasile). È talmente alto il grado di isteria raggiunto a Caracas che durante il Paro petrolero87, i mezzi di comunicazione dell‟opposizione iniziarono a prevenire sulla possibilità di subire un‟invasione da parte dei circoli bolivariani. Per prevenire eventuali disordini furono redatti i Planes de Contingencia, elaborati dalle comunidades de vecinos. Il piano suggeriva: Puede implementar el uso de aceite, gasolina, cadenas, clavos o barreras con carros, camiones o autobuses, barriles, materos, desperdicios, botellas quebradas, destapar las tapas del drenaje y alcantarillas, para evitar o retrasar el acceso a la zona (…) No sea tan confiado con los empleados domésticos especificatamente los que vienen por días. Recuerde que muchas de estas personas han sido manipuladas y algunas nos comienzan a ver como enemigos. Esto es un asunto delicado y no hay porqué generalizar pero debe estar alerta ante cualquier evidencia88.

Oltre alla ricerca disperata della sicurezza vi è, nell‟atto di escludere e di creare segregazioni nello spazio pubblico metropolitano, una volontà di creare isole d‟identità e di somiglianza, dove potersi muovere e riconoscere senza impegnarsi in faticosi processi di comprensione attivati dalle differenze. L‟abitante delle urbanizaciones frequenterà sempre uno spazio di valore diffidando dello spazio pubblico a uso misto, disconoscendo la città nel suo insieme, anzi considerando città solo lo spazio che abita e che vive, lo spazio ordinato e protetto, “nel tentativo semiutopico di

P. J. García Sánchez, “art. cit.”, p. 141. “Quest‟architettura della paura, come Tudne Agbola definisce il modo di vivere asserragliato di Lagos, è comune a tutto il Terzo mondo e ad alcune parti del Primo, ma raggiunge un livello estremo nelle grandi società urbane che presentano le maggiori disuguaglianze socioeconomiche: Sudafrica, Brasile, Venezuela e Stati Uniti”. M. Davis, op. cit., p. 109. 87 Si definisce così lo sciopero generale promosso da Fedecámaras, PDVSA, CTV (Confederación de Trabajadores de Venezuela) e i partiti di opposizione al governo Chávez. Iniziato il 2 dicembre 2002 si protrarrà fino al gennaio dell‟anno successivo, provocando gravi danni all‟economia del paese, nonché uno stato di pressione molto forte tra la popolazione. 88 M. P. García-Guadilla, “Territorialización de los conflictos sociopolíticos en una ciudad sitiada: guetos y feudos en Caracas”, in Ciudad y Territorio: Estudios Territoriales, XXXV (136-137), 2003, p. 437. 85 86

76


disimpegnarsi da una matrice soffocante di miseria e di violenza sociale”89. Fondamentalmente sono persone che sembrano non appartenere al posto in cui abitano, perché abitano e si muovono in un luogo, anzi in un non-luogo come direbbe Marc Augé, senza identità propria, ricca di comforts, servizi e svaghi che sarebbe possibile incontrare in qualsiasi altra città nel mondo. In più, e qui vi è una grande differenza tra gli abitanti dei cerros e delle colinas, essi godono del lusso di potersi pensare ed immaginare in un'altra realtà nel mondo globalizzato. Così: Se le cose scottano, compromettendo il loro comfort, se lo spazio che circonda le loro residenze urbane si rivela troppo pericoloso, troppo difficile da controllare, possono andarsene altrove (…). Questa possibilità di sfuggire ai disagi locali accorda loro un‟indipendenza che gli altri residenti urbani possono soltanto vagheggiare, e il lusso – che gli altri non possono permettersi – di una nobile differenza90.

Quando si parla del fenomeno della violenza nella città di Caracas non si sottolinea mai abbastanza che i primi a soffrirne sono gli abitanti delle baraccopoli per i quali statisticamente è più frequente rimanere vittima di omicidi o di attentati alla persona. I mezzi di comunicazione contribuiscono a diffondere l‟idea che la violenza sia sofferta solo da settori medi, dedicando molta copertura mediatica ai fatti che riguardano le classi medio alte, mentre si dedica solo qualche paragrafo alle morti tragiche nei barrios spacciandole come scontri tra bande di delinquenti. Nel far questo costruiscono un identikit del delinquente antisocial, desechable, hampa: il giovane abitante dei barrios poveri, colui che comunemente è chiamato malandro, irrecuperabile e perciò da eliminare.

89 90

M. Davis, op. cit., p. 111. Z. Bauman, op. cit., (2005), p. 21.

77


2.2.5 Urbanizzazione dei conflitti politici Gli spazi urbani assumono una valenza simbolica nel momento in cui la stessa società vive dei momenti di aperto conflitto sociale e politico. La città come luogo di potere diviene allora un catalizzatore di conflitti e interessi contrapposti e si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia. Oggi Caracas appare come una città assediata in cui due fronti contrapposti si contendono territori e idee, ognuno coi mezzi di cui può predisporre. La classe medio-alta protegge con strategie quasi militari l‟inviolabile proprietà privata, chiusa all‟interno del suo feudo e dei SUV con vetri oscurati. Le classi popolari si organizzano collettivamente per la difesa del barrio. Il risultato è una città in continuo stato d‟allerta, in continuo toque de queda. La polarizzazione sociale acuita dalle crisi economiche si traduce in paura dell‟altro, nel momento stesso in cui l‟Altro acquisce valore di Soggetto nella fase storica contemporanea. Il protagonismo delle masse popolari durante il Caracazo91 è, a mio parere, il momento in cui gli emarginati rinchiusi nei ghetti passano all‟azione e acquisiscono valore di classe sociale, dunque Soggetti a pieno titolo della Storia. Definiti dai mezzi di comunicazione « las turbas desorganizadas », famelici, spinti dalla cupidigia di fronte agli oggetti di consumo che l‟Altro può possedere, si trasformano agli occhi della classe opposta in « violentos y terroristas ». Le incolmabili differenze nello stile di vita tra un polo e l‟altro della società si trasformano inevitabilmente in lotta di classe che si riflette nel territorio urbano, luogo per eccellenza di paradossi e contraddizioni, dove trovano visibilità le disuguaglianze di due mondi che pur appartenendo alla stessa Storia non si incontreranno mai. Con il Caracazo si ribellano le masse oppresse, mentre con la « rivoluzione » bolivariana, ottenuta attraverso l‟elezione democratica del suo leader, si afferma il protagonismo dell‟emarginato. La politicizzazione degli spazi della città e l‟uso delle strade come luogo eletto per reclamare i propri diritti in momenti di crisi economica o politica, non è certamente un fenomeno nuovo nella storia dei popoli, ivi compreso dei venezuelani. Gli storici ricordano come momenti simbolo dell‟espressione popolare il 14 febbraio del 1936 e il 23 gennaio del 1958, rispettivamente Ribellione di Caracas e caduta del regime di Pérez Jiménez. Tuttavia il fenomeno attuale Scrive Mike Davis definendo il Caracazo come una guerra per il pane: “La rivolta per il cibo come mezzo di protesta popolare è un carattere comune, forse addirittura universale, delle società di mercato (…) in cui gruppi poveri e deprivati affermano le loro rivendicazioni di giustizia sociale. Nel moderno sistemi di stato e di integrazione economica internazionale, il punto esplosivo della protesta popolare si è spostato, con gran parte della popolazione mondiale, nelle città, luogo in cui i processi di accumulazione globale, sviluppo nazionale e giustizia popolare si intersecano”. M. Davis, op. cit., pp. 146-147. 91

78


assume caratteristiche particolari in virtù dell‟intensità, e dell‟estensione spaziale e temporale che assume il conflitto politico tra chavisti e non chavisti che si manifesta in una mappatura ideologico-sociale-politica della città. La polarizzazione delle posizioni politiche amplificano la percezione che ognuno abbia uno spazio limitato nella città e che non si possa circolare nello spazio altrui senza correre rischi per la propria incolumità. Il lato ovest della città, dove si trova il Municipio Libertador e il Municipio Sucre è in mano ai chavisti. Chacao, Baruta, El Hatillo92 ad est della città è dell‟opposizione. Superare il confine può determinare momenti di frizione ad alta intensità. Così è stato l‟11 aprile 2002, quando la manifestazione organizzata dall‟opposizione (Fedecámaras, CTV, rappresentanti della PDVSA) decide di spingersi verso il Palacio Miraflores, sede del Governo, attorno a cui si era radunata la manifestazione in difesa di Chávez. Lo scontro all‟altezza di Puente Llaguno provoca il caos. Si registreranno vittime su entrambi i fronti: 19 persone rimarranno uccise93. La stessa scena si ripeterà in altre occasioni: il 6 dicembre 2002 a Plaza Altamira, il 6 gennaio 2003 a Paseo Los Próceres e il 23 febbraio 2003 di fronte alla sede PDVSA.

Si noti che in questi tre municipi si concentra la maggior parte del PIL nonostante il numero degli abitanti sia dieci volte inferiore al solo Municipio Libertador. M. P. García-Guadilla, “art. cit.”, p. 425. 93 Per un‟analisi degli eventi, si vedano i video Puente Llaguno, clave de una masacre scaricabile dal sito www.aporrea.org ed El Código Chávez. Due visioni opposte per descrivere lo stesso evento. 92

79


SEZIONE TABELLE

80


GRUPPI ETNICO SOCIALI IN VENEZUELA (1825)94

Proprietari terrieri Commercianti, usurai, militari, medi proprietari terrieri Commercianti Campesinos, jornaleros, peones Piccoli agricoltori e allevatori Strato urbano medio Schiavi Altri

0,5% 1% 1% 78% 3% 12% 4% 0,5%

Tab. 2.1

GRUPPI SOCIALI IN VENEZUELA DOPO LA GUERRA FEDERALE (1865)95

Latifondisti Caontadinato Lavoratori urbani (muratori, giornalieri, artigiani, impiegati in imprese commerciali, ecc.) Strati sociali intermedi Burocrazia militare e partitica Borghesia mercantile ComunitĂ indigene

1% 71,46% 12% 5% 2% 0,01% 3,5%

Tab. 2.2

94 95

F. Brito Figueroa, Historia economica y social de Venezuela, Tomo IV; Caracas 1987, p. 1363. F. Brito Figueroa, Ibid., pp. 1604-5.

81


ESPANSIONE URBANA DI CARACAS NEL XX SECOLO96

Figura 2.1 Fonte 1920, 1941, 1950, 1971, 1976. B. Lope. Cálculo 1994. Sala de Modelación Ambiental. Cenamb. Elaboración: Sala de Modelación Ambiental, Marzo 1999.

ESPANSIONE TERRITORIALE DI CARACAS97

Anno 1578 Sup. (ettari) 130

1772 1801 2326,7 2347

1889 1906 1920 2427,9 2522,28 3970

1940 32900

1950 34200

1971 1994 313000 219290

Tab. 2.3 Fonte Morales, Velery, Vallmitjana, 1990, plano n° 10 S/P. Sala de Modelación Ambiental Cenamb. B. Lope, 1979.

96 97

A. De Lisio, “art. cit.”, p. 214. Dati elaborati dall‟autore A. De Lisio, “art. cit.”, p. 205.

82


PARTECIPAZIONE DELLA POPOLAZIONE DI CARACAS SULLA POPOLAZIONE TOTALE98

Anno 1574-1579 1774-1784 1800+ 1802+ 1807+ 1810+ 1816+ 1825 1850+ 1873 1881 1891 1920 1926 1936 1941 1950 1961 1971 1981 1990

Venezuela 30.000 199.084 780.000 728.000 975.972 825.000 758.259 659.633 1.366.470 1.784.194 2.075.245 2.222.527 2.411.952 2.814.131 3.364.347 3.850.771 5.034.838 7.533.999 10.721.522 14.516.735 19.405.429

Caracas 2.000 18.669 40.000 42.000 47.228 ---21.000 ---34.165 48.897 55.638 72.429 92.212 135.253 203.342 561.415 704.567 1.675.278 2.630.260 3.379.540 3.789.855

Tab. 2.4 Área Metropolitana Interna de Caracas (AMIC).

98

Ibid., p. 218.

83


CARACAS METROPOLITANA 1950-2000 (MIGLIAIA DI ABITANTI)99

Area

1950

1961

1971

1981

1990

2000

Casco storico (a) Parroquias restanti Città di Caracas (b) Municipi inglobati

495 129 624 81

787 329 1.116 244

1.036 623 1.659 500

1.045 775 1.820 766

996 974 1.970 922

984 992 1.976 1.247

A. M. Caracas (El Valle)

705

1.360

2.159

2.586

2.892

3.223

R. M. Caracas Municipi limitrofi

922 64

1.675 75

2.630 87

3.376 116

4.106 167

4.692 200

Regione Capitale

986

1.750

2.727

3.492

4.273

4.892

a) Antiche parroquias urbane del Municipio Libertador; b) Municipio Libertador; c) Municipio Baruta, Chacao, El Hatillo e Sucre Tab. 2.5 Fonte: OCEI: Censos Nacionales de Población.

EVOLUZIONE POPOLAZIONE DELLA REGIONE CAPITALE 1950-2000

4.892 4.273 3.492 2.727

Abitanti (migliaia)

1.750 986

1950

1961

1971

1981

1990

2000

Grafico ricavato dalla tab. 2.5.

99

Tabella riportata in S. Barrios, “art. cit.”, p. 74.

84


PLAN DE VIVIENDA NACIONAL (1951-1955)100

Città Quadriennio (in unità) Realizzate il primo anno Caracas 7.000 Maracaibo 1.500 350 Barquisimeto 600 150 Valencia 800 200 Maracay 800 200 San Cristóbal 360 100 Ciudad Bolívar 100 50 Carúpano 130 50 Puerto La Cruz 150 50 Coro 150 50 Valera 150 50 San Felipe 100 50 Acarigua 100 50 San Juan de Los Morros 100 50 Nirgua 25 25 Totale 12.185 1.425 Tab. 2.6

100

B. Meza Suinaga, “art. cit.”, pp. 8-22.

85


CITTÀ CON PIÙ DI 100 MILA ABITANTI: POPOLAZIONE TOTALE, TASSO DI CRESCITA MEDIO ANNUALE, PERCENTUALE DI POPOLAZIONE CHE VIVE NELLE ZONE DI RANCHOS (1970)101

Città Caracas Maracay Valencia Cabimas San Cristobal Maracaibo Barquisimeto Pto La Cruz- Barcelona Ciudad Bolivar Cumaná Ciudad Guayana

Popolazione 2.167.653 196.252 286.917 101.065 126.951 558.673 277.983 164.276 93.624 99.859 135.639

Tasso di crescita medio annuale (1961-1970) 5.4% 3.9% 3.8% 5.4% 5.2% 4.8% 4.2% 3.3% 6.1% 4.6% 14.8%

Popolazione ranchos 905.593 95.226 126.760 63.366 57.020 358.739 141.248 100.976 54.396 46.837 33.171

Percentuale 41.8% 48.5% 44.2% 57.3% 43.2% 63.1% 50.9% 61.5% 58.0% 47.0% 24.6%

Tab. 2.7 Fonte Mercavi 70.

Mercavi 70. Banco Nacional de Ahorro y Préstamo, Estudio del mercado real de vivienda en Venezuela. Mercavi 70, 1970, in M. Acosta, “Urbanización y clases sociales en Venezuela”, in Revista Interamericana de Planificación, vol. VII, n. 26, 1973, p. 38. 101

86


DENSITÀ DEMOGRAFICA. CENSO 2001

Figura 2.2 Fonte INE.

87


DISTRITO CAPITAL. NUMERO ABITANTI PER PARROQUIA, 2001102

Parroquia Altagracia Antímano Candelaria Caricuao Catedral Coche El Junquito El Paraíso El Recreo El Valle La Pastora La Vega Macarao San Agustín San Bernardino San José San Juan San Pedro Santa Rosalía Santa Teresa Sucre 23 de Enero Totale

Abitanti 39.291 127.708 53.473 143.048 4.831 51.029 38.005 99.208 96.162 134.503 80.188 122.189 43.191 40.840 24.031 36.269 93.076 56.428 105.068 18.987 352.040 76.721 1.836.286

Tab. 2.8 Fonte INE.

Il Distrito Capital è formato da un solo municipio, il Municipio Libertador di Caracas. Assieme al Municipio Baruta, Chacao, El Hatillo e Sucre del Estado Miranda, forma il Distrito Metropolitano de Caracas (AMC) chiamato anche Valle de Caracas La Regione Metropolitana di Caracas (RMC) comprende quattro regioni limitrofe: Altro de la Panamericana-Los Teques, Guarenas-Guatire, Litoral-Vargas (Estado Vargas) e Valle del Tuy. S. Barrios, “art. cit.”, pp. 64-54. 102

88


APPARTENENTI AD ETNIE INDIGENE (CENSO GENERAL DE POBLACIÓN Y VIVIENDA 2001)

Parroquia Altagracia Antímano Candelaria Caricuao Catedral Coche El Junquito EL Paraíso El Recreo El Valle La Pastora La Vega Macarao San Agustín San Bernardino San José San Juan San Pedro Santa Rosalía Santa Teresa Sucre 23 de Enero Total

Totale 81 192 53 114 13 65 62 121 149 208 92 130 74 66 33 42 73 59 288 25 448 55 2.443

Uomini 42 95 21 59 6 34 22 53 57 114 37 54 43 20 10 16 26 27 155 14 223 28 1.156

Donne 39 97 32 55 7 31 40 68 92 94 55 76 31 46 23 26 47 32 133 11 225 27 1.287

Tab. 2.9 Fonte INE.

89


DIFFERENZE DI REDDITO. AMC. BÓLIVARES/MENSILI 1987-1998103

Famiglia Decile 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Salari 1987 Val. nominale

Salari 1987 Val. Reale Bs. 98

Salari 1998 Bs. 98

1.974,1 3.098,0 4.137,9 5.210,2 6.202,7 7.470,7 8.989,6 11.007,7 14.742,8 35.382,5

126.633,3 198.728,3 265.429,8 334.217,9 397.880,5 479.218,2 576.265,1 712.075,3 945.698,9 2.269.670,8

11.927,4 90.631,5 137.191,5 186.224,3 233.141,4 292.304,5 376.013,5 495.685,1 691.309,2 1.468.133,7

Diminuzione 1998/1987 Bs .98 (%) 91 54 48 44 41 39 35 30 37 35

Tab. 2.10 Fonte OCEI Encuesta de Hogares 1987-1998.

FAMIGLIE IN SITUAZIONE DI POVERTÀ (VALORE IN %). AMC 1987-1998

Settore Poveri Non poveri Totale

1987 40,0 60,0 100,0

1998 57,8 42,2 100,0

Tab. 2.11 Fonte OCEI Encuesta de Hogares 1987-1998.

AMC: Area Metropolitana Caracas. Tabella che mette in rilievo le differenze salariali. Nel 1987 il salario medio delle famiglie del decile più alto (10) era 17 volte il primo decile. Nel 1998, 123 volte. Il dato mette in evidenza l‟aumento delle diseguaglianze socioeconomiche. C. Cariola, M. Lacabana, “art. cit.”, (2000), p. 101. Dati OCEI. Encuesta de Hogares 1987-1998. 103

90


TERZIARIZZAZIONE DELL‟ECONOMIA URBANA (PERIODO 1989-1997) AMC104

Anno 1989 1997

Primario 1.2% 1.0%

Secondario 25.3% 19.8%

Terziario 73.4% 78.6%

Tab. 2.12

Terziario

Secondario

1997 1989

Primario

0

20

40

60

80

Grafico ricavato dalla tab. 2.12.

La deindustrializzazione di Caracas, in termini di perdita di posti di lavoro nel comparto industriale contribuisce ad approfondire il carattere terziario dell‟economia urbana (78,6% nel 1997). S. Barrios, “art. cit.”, p. 70. 104

91


RIASSUNTO INDICATORI SOCIALI 1998-2008105 INDICATORI FORZA LAVORO

Periodo I Sem. 1998 I Sem. 1999 I Sem. 2000 I Sem. 2001 I Sem. 2002 I Sem. 2003 I Sem. 2004 I Sem. 2005 I Sem. 2006 I Sem. 2007 I Sem. 2008

Tasso di attività 64,9 66,8 64,5 65,3 68,3 69,0 68,8 66,4 65,3 64,7 64,4

Tasso di occupazione 88,7 84,7 85,4 86,3 84,5 80,8 83,4 86,7 89,4 90,8 92,2

Tasso di disoccupazione 11,3 15,3 14,6 13,7 15,5 19,2 16,6 13,3 10,6 9,2 7,8

Tab. 2.13 Fonte INE.

PERCENTUALE DI OCCUPATI PER SETTORE

Periodo I Sem. 1998 I Sem. 1999 I Sem. 2000 I Sem. 2001 I Sem. 2002 I Sem. 2003 I Sem. 2004 I Sem. 2005 I Sem. 2006 I Sem. 2007 I Sem. 2008

Formale 51,5 49,0 47,4 49,2 49,5 47,6 49,1 52,2 54,3 56,1 56,2

Informale 48,5 51,0 52,6 50,8 50,5 52,4 50,9 47,8 45,7 43,9 43,8

Pubblico 16,3 15,5 15,6 15,1 14,2 14,4 14,9 15,8 16,7 17,4 18

Privato 83,7 84,5 84,4 84,9 85,8 85,6 85,1 84,2 83,3 82,6 82

Tab. 2.14 Fonte INE. Le tabelle 2.13-2.16 sono dell‟INE, Instituto Nacional de Estadísticas (http://www.ocei.gov.ve/). Dati calcolati per il periodo 1998-2008. 105

92


TASSO DI DISOCCUPAZIONE 1998-2008 25

20

19,2 15,3

15

10

14,6

16,6

15,5 13,7

13,3

11,3

10,6

9,2

7,8

5

0 I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Grafico ottenuto dalla tabella 2.13. PERCENTUALE DI OCCUPAZIONE (SETTORE FORMALE E INFORMALE) 60

56,1

55

56,2

54,3 51,5

50 48,5

52,6

52,4

51

50,8

49

49,2 47,4

52,2 50,9

50,5 49,5

Formale

49,1 47,6

Informale

47,8 45,7

45

43,9

43,8

40 I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. I Sem. 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Grafico ottenuto dalla tabella 2.14.

93


FAMIGLIE IN CONDIZIONE DI POVERTÀ (1998-2007)

Periodo II Sem. 1998 II Sem. 1999 II Sem. 2000 II Sem. 2001 II Sem. 2002 II Sem. 2003 II Sem. 2004 II Sem. 2005 II Sem. 2006 II Sem. 2007

Non Poveri 56,1 58 59,6 61 51,4 44,9 53 62,1 69,4 71,5

Poveri 43,9 42 40,4 39 48,6 55,1 47 37,9 30,6 28,5

Poveri non estremi Poveri estremi 26,9 17,1 25,1 16,9 25,5 14,9 25 14 27,6 21 30,1 25 28,4 18,6 22,6 15,3 21,6 9,1 20,7 7,9

Tab. 2.15 Fonte INE.

COEFFICIENTE GINI NEI PAESI DELL‟AMERICA LATINA

Paese Argentina Bolivia Brasile Cile Colombia Costa Rica Ecuador El Salvador Honduras Messico Paraguay Perù Repubblica Dominicana Uruguay Venezuela

1999 0,542 0,589 0,64 … 0,572 0,473 0,521 0,52 0,564 … 0,565 0,545 … 0,44 0,498

2006 0,51 … 0,602 0,522 … 0,478 0,526 … … 0,506 … … 0,578 … 0,421

Tab. 2.16 Fonte INE. 94


SEZIONE SCHEDE

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1. EL PARAISO

Participación Artística: Alejandro Otero Ejecución: Banco Obrero Caracas, Distrito Federal, Venezuela 1952-1954

L‟Unità Residenziale El Paraiso106 rappresenta un laboratorio di forme e tecnologie degli anni Cinquanta. Ispirato all‟Unités d‟habitation francesi107. L‟edificio si sviluppa su pilotes creando alla base dell‟edificio uno spazio adibito ad attività sociali. Un razionale sistema geometrico di portici definisce la separazione tra i blocchi abitativi e fornisce al complesso un importante valore plastico. Il volume destinato alle attività pubbliche e agli esercizi commerciali è formato da due livelli nei quali si sviluppano anche parcheggi e una terrazza panoramica. Si sottolinea la rilevanza cromatica del complesso abitativo, i cui giochi di colore lo rendono paragonabile ad un gigantesco murales.

Sito di riferimento: http://www.centenariovillanueva.web.ve. [Data di consultazione 12/05/2008]. Sull‟esempio dei Grandes Ensembles della periferia di Parigi concepite nel rigido schema razionale e funzionalista di Le Courbusier, o del più tardio complesso abitativo del Corviale a Roma. Vedi il testo di J. Menanteau, Les banlieues, Le Monde, Parigi 1994. 106 107

96


2. URBANIZACIÓN 2 DE DICIEMBRE

Colaboradores: José Manuel Mijares, Carlos Brando y José Hoffman Participación Artística: Mateo Manaure Ejecución: Banco Obrero Catia, Caracas, Distrito Federal, Venezuela 1955-1957 1955: Prima tappa. 12.800 abitanti, 2.366 appartamenti. Densità abitativa media: 5.4. 1956: Seconda tappa. 18.800 abitanti, 2690 appartamenti. Densità abitativa media: 7. 1957: Terza tappa. 23.400, 3.150 appartamenti. Densità abitativa media: 7,4. Il complesso 2 de Diciembre108, successivamente ribattezzato 23 de Enero, in ricordo della fine del regime di Marcos Pérez Jiménez, rappresenta la sintesi dell‟utopia funzionalista e razionalista che caratterizza l‟epoca. Il progetto si estende su 200 ettari di territorio, dalla zona del centro storico di Caracas fino alla collina della parroquia El Calvario e Caño Amarillo, prolungandosi fino a Las Flores de Catia per un totale di cinque colline su cui sorgono 38 prismi di quindici piani (superbloques) e 42 da quattro piani (bloques). All‟interno dei bloques gli ascensori sono posti ad intervalli di quattro piani, collegati tra loro attraverso un sistema di scale e corridoi. I nuclei di existencia mínima rappresentarono un esperimento spaziale, sociale e tecnologico senza precedenti, che trasformarono il progetto in uno dei più ambiziosi programmi di recupero urbano109 dell‟America Latina.

Sito di riferimento: http://www.centenariovillanueva.web.ve. [Data di consultazione 12/05/2008]. J. Rykwert definisce il concetto di “recupero urbano” come quel processo per cui i poveri venivano semplicemente trasferiti in quartieri più periferici e derelitti. Procedimenti del genere vennero condannati nella storia inglese dalla Regia Commissione Britannica per le Case delle classi lavoratrici del 1884-85. J. Rykwert, La seduzione del luogo. Storia e futuro della città, Piccola biblioteca Einaudi, Torino 2008, pp. 108 109

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3. EL SILENCIO

Carlos Raúl Villanueva, 1969

Participación Artística: Francisco Narváez REURBANIZACIÓN DE EL SILENCIO Ejecución: Banco Obrero 1941-1945

Considerata come soluzione architettonica geniale, la reurbanización di El Silencio110 rivoluziona l‟aspetto della città. Il progetto prevedeva l‟eliminazione di un barrio centrale, motivo di “vergogna per la città” in cui trovavano alloggio 3.000 persone in condizioni “infrahumanas, tenebrosas e insalubres (…) inadaptados a la sociedad y en ejercicio de la prostitución más repugnante”. Il progetto, promosso dal Banco Obrero, prevedeva la costruzione di non più di mille unità tra appartamenti (di cui 20% bilocali, 50% trilocali e 30% quadrilocali) e vari locali commerciali, evidenziando la necessità di dare risposta alle esigenze delle classi medie dell‟epoca. Carlos Raúl Villanueva, ideatore del progetto, optó per uno stile coloniale, con spazi verdi che predominavano nei grandi patios e nei giardini interni. I lavori per la reurbanización, cominciarono il 4 gennaio 1942 e terminarono il 20 agosto 1945. L‟opera costruita in soli trentadue mesi, costò 54.927.537,88 Bolívares.

289-290. Oggi si preferisce il termine gentryfication inteso come riqualificazione di un quartiere popolare in un quartiere di lusso con la conseguente ricollocazione di famiglie a basso reddito in altre aree meno redditizie. 110 Sito di riferimento: http://www.centenariovillanueva.web.ve. [Data di consultazione 12/05/2008].

98


GALLERIA FOTOGRAFICA

99


Figura 2.3. Pianta del Valle de Caracas e della Costa de La Guayra. Felipe Bauza, 1828111.

111

Le foto che seguono sono tratte dal sito http://groups.msn.com/VIEJASFOTOSACTUALES

100


Figura 2.4. Pianta di Caracas. 1890.

101


Figura 2.5. Lavandaia lungo il fiume Guaire. (1892?).

Figura 2.6. Il "reventón" del pozzo Los Barrosos 2, nello Stato Zulia. Anno 1922: è l‟evento che sancisce il passaggio ad un‟economia petroliera. Famiglia tedesca nella foto.

102


Figure 2.7 e 2.8. Caracas agli inizi del XX secolo.

103


Figura 2.9. Superbloques del 23 de Enero e case unifamiliari. 1957.

Figura 2.10. Fordismo e post-fordismo.

104


Figura 2.11. Helicoide 1963. Paradossi urbani.

Figura 2.12. Helicoide oggi e barrios de ranchos.

105


Figure 2.13 e 2.14. Barrios de ranchos a Caracas oggi112.

Immagini tratte da http://www.trekearth.com/gallery/South_America/Venezuela/photo351269.htm e http://i197.photobucket.com/albums/aa61/Occit/Imagen080-1-.jpg. [Data di consultazione: 21/01/2008]. 112

106


Figura 2.15. Tragitto da Caracas a Maiquetテュa (aeroporto). Nadia Riolo

Figura 2.16. Caracas vista dall窶淌」ila. Nadia Riolo

107


Figura 2.17. Barrio El Valle. Nadia Riolo

Figura 2.18. Labirinti elettrici. Barrio El Valle. Nadia Riolo

108


La politica en la calle113

Figura 2.15 e 2.16. Manifestazioni del 14 febbraio 1936 alla morte di Juan Vicente Gómez, contro la permanenza del potere gomecista.

Fotografie tratte dalla rivista Extra Cámara, Centro Nacional de Fotografía-CONAC, n. 23, Caracas 2004. 113

109


Figura 2.17. Manifestazioni studentesche, 23 gennaio 1958. Caduta del regime di PĂŠrez JimĂŠnez.

Figura 2.18. Manifestazioni operaie, 23 gennaio 1958.

110


Figura 2.19. Luis Bisbal. El Caracazo, 27 febbraio 1989.

Figura 2.20. Luis Bisbal. El Caracazo, Guarenas, 27 febbraio 1989.

111


Capitolo terzo 3. LA CARACAS DELLE TRACCE: MEMORIE SPAZIALI E CULTURALI NELLA COSTRUZIONE DELL‟IDENTITA‟ URBANA CONTEMPORANEA

In Venezuela il meticciato è una visione che consola lo sguardo dell‟osservatore annoiato dalla sterile monotonia cromatica europea: ogni sfumatura di colore vi è rappresentata quale risultato di un incessante processo di creolizzazione.1 Alla vigilia dell'Indipendenza la popolazione di 780.000 persone è formata per due terzi da pardos, ossia mestizos, zambos e altri mulatos, discendenti dei popoli africani. Come dirà Francois Depons, viaggiatore francese del XIX secolo, in nessun altro luogo del continente i sang-mêlé sono così numerosi2. Il meticciato è in Venezuela un processo trasversale a tutte le classi sociali. Tuttavia, ciò che interessa in questo capitolo è approfondire il tema della creolizzazione, ossia, come dice Édouard Glissant, del “meticciato con il valore aggiunto dell‟imprevisto”. Perchè vi sia una creolizzazione autentica, non è tuttavia sufficiente che vi sia un semplice meticciato biologico. Necessario è che tutti gli elementi costitutivi vengano messi sullo stesso piano. Seguendo tale principio non è corretto dire che in tutti i gruppi sociali vi sia stata creolizzazione. Laddove c‟è stato un rifiuto di altri apporti culturali, che non fossero valori occidentali esogeni, sarà necessario parlare si semplice meticciato biologico. La tradizione africana e indigena, nella loro molteplicità originaria e quella europea, frutto di innesti culturali, ha invece continuato a sopravvivere e ad essere rivalorizzata all'interno dei gruppi sociali emarginati. Nonostante i continui tentativi della Corona Per Glissant, la creolizzazione è il meticciato con il valore aggiunto dell‟imprevedibilità. Nel concetto di creolizzazione di culture, a differenza del concetto di meticciato in biologia, vi è la nozione di imprevedibilità. “La creolizzazione è imprevedibile, mentre gli effetti del meticciato si possono calcolare. Si possono calcolare gli effetti del meticciato di piante attraverso talee o di animali attraverso incroci, si può calcolare che piselli rossi e piselli bianchi, incrociati per innesto, daranno un tale risultato in una generazione e un risultato diverso in un‟altra. La creolizzazione è il meticciato con il valore aggiunto dell‟imprevisto”. E. Glissant, op. cit., p. 16. 2 F. Langue, “La pardocratie ou l‟itineraire d‟une «classe dangereuse» dans le Venezuela des XVIIIe et XIXe siècles”, in Caravelle, n. 67, 1997, pp. 57-72. Disponibile in Nuevo Mundo Mundos Nuevos, n. 6, 2006. Reperibile on-line: http://nuevomundo.revues.org/document643.html [Data di consultazione: 10/11/2007]. 1

112


spagnola di segregare i gruppi indigeni dagli africani e dagli spagnoli, per garantire una pureza de sangre, il meticciato ha prevalso come unica soluzione al desarraigo, allo sfruttamento e al tentativo di annientamento. Quando elementi culturali diversi entrano in relazione e producono qualcosa di nuovo e inaspettato ci troviamo di fronte all'autentico processo di creolizzazione di cui parla Glissant. Nei llanos e sulle coste, il lungo contatto tra indigeni, schiavi africani e creoli poveri diede origine a una variegata composizione socioculturale, che si andò stratificandosi nel tempo. Il crogiolo di culture e di gruppi sociali che si era formato nell‟interno, sulla costa e sul versante andino nel corso dei secoli, trovò, a distanza di secoli, un luogo di incontro nelle aree rurali attorno alle grandi città. Sarà di fatti a seguito della scoperta dei giacimenti petroliferi e con l‟accumulo della ricchezza nelle città, che si realizzerà quel movimento tellurico di popolazione che dall‟interno si riverserà nelle città fuggendo da epidemie che decimarono la popolazione delle campagne3, da disoccupazione e da condizioni di sfruttamento, alla ricerca di uno spazio per costruirsi, o anche solo immaginarsi, un futuro. I barrios de ranchos, che nacquero attorno alle grandi città, in particolare di Caracas, posseggono per tale ragione un interesse per coloro che lì vi vedono il luogo privilegiato da cui poter osservare le dinamiche di una società in continua trasformazione4. La creolizzazione è da considerarsi come processo e non come risultato o uno stato definitivo dell‟essere. Scrive Foucault, “l‟attuale non è ciò che noi siamo, ma piuttosto ciò che diveniamo, ciò che stiamo diventando, ossia l‟Altro, il nostro divenir-altro”. Per risalire a ritroso le origini del processo di creolizzazione mi servirò in particolare del pensiero traccia di Glissant, ossia di un “non-sistema di pensiero che non vuole essere né dominatore, né sistematico, né imponente, ma intuitivo, fragile, ambiguo, adatto alla straordinaria complessità e alla straordinaria molteplicità del mondo”5. Adotto il pensiero traccia come metodo di conoscenza privilegiato che rende possibili salti temporali e non pretende di dare rigore definitivo ai fenomeni che osserva. Risalire la traccia consente di adottare un andamento simile ai processi che si realizzano nella mente umana6 e di mettere in connessione realtà che vivono separatamente, sviluppando percorsi che non passano per

Un romanzo di riferimento sulla vita nei Llanos all‟inizio del secolo è Casas Muertas di Miguel Otero Silva. 4 Questi territori continuano ad accogliere le migrazioni dalla Colombia, da Haiti, dalla Repubblica Dominicana, Cuba, etc… 5 E. Glissant, op. cit., p. 24. 6 La mente umana, secondo gli studi di psicologia dinamica non è un‟unità, né una struttura organizzata in modo gerarchico, ma è un insieme di capacità separate spesso localizzabili in zone specifiche del cervello. 3

113


un centro, ma saltano da un arcipelago all‟altro. Questo tipo di pensiero è legato all‟identità intesa come rizoma, ossia l'identità come radice che incontra altre radici. Traccia, rizoma e arcipelago possono essere quei nuovi paradigmi necessari per interpretare una realtà in cui possa esplodere la “poetica della Relazione”, in opposizione al pensiero dominante, che impone la sua visione unica, uniformante e perciò escludente. Rielaborando le tracce si potranno trovare quei legami sotterranei che riannodano il tutto, lungo una storia fatta dagli uomini e da quell‟incessante spinta ad agire che caratterizza gli oppressi e che oggi esplode nella sua molteplice realtà all‟interno di quell‟eccezionale mix culturale e biologico che è il barrio. Riprendendo le definizioni di Glissant, la prima traccia che seguirò è quella dell‟“America dei popoli testimoni, di chi vi è sempre vissuto, e che può essere chiamata Meso-America”7. Servendomi dell‟opera di Silvano D‟Alto, architetto appassionato dei territori autocostruiti in America Latina a cui ha dedicato un importante lavoro dopo averne attraversato i paesaggi e studiato la morfologia, accennerò allo spazio antropico indigeno, evidenziando la relazione con il territorio circostante, il valore della terra, della reciprocità e dello scambio per i popoli originari. Sono concetti necessari per comprendere la rete di relazioni, di compadrazgo, che si sviluppano all‟interno del barrio e che rendono pensabile la sopravvivenza della comunità. Le associazioni di vicinato, i comedores populares e più in generale tutta la rete del settore informale che nasce sull'assenza dello Stato, ricalcano le reti di villaggio clanico-parentali8 tipiche del mondo rurale e indigeno. La seconda traccia è quella del “migrante fondatore”, che costruisce attorno a sé forme geometriche di pensiero e di territorio: la cuadra colonial, la piramide sociale, la “proiezione a freccia” della colonizzazione, sostituendosi violentemente allo spazio antropico e all‟organizzazione sociale preesistente. Il progetto coloniale spagnolo che si impone (a cui seguirà il progetto neo-coloniale degli Stati Uniti e il colonialismo interno di un settore dominante) ripete modelli culturali esogeni considerati superiori; sviluppa un‟identità a radice unica, in cui l‟annullamento delle differenze è vista come soluzione per costruire un progetto unidimensionale di mondo, su cui espandere il dominio e il rigore dell‟ordine. L‟idea di supremazia culturale del migrante fondatore giustifica l‟imposizione del regime schiavista quale unico sistema concepito come giusto, in cui la relazione che si sviluppa non è tra uomo

E. Glissant, op. cit., p. 12. A. Petrillo, La città perduta. L’eclissi della dimensione urbana nel mondo contemporaneo, Ed. Dedalo, Bari 2000, p. 79. 7 8

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e uomo ma tra uomo e oggetto. Il risultato è uno stato di alienazione dell‟abitante originario e dello schiavo africano. La terza traccia che seguirò è quella del “migrante nudo” che sfugge dalla schiavitù costruendo percorsi di resistenza. È il territorio dello scarto, del margine sottratto ad un progetto di ordine e di controllo. Risalire questo percorso ci aiuterà a ripopolare quegli spazi di confronto e di contaminazione, in cui l‟indigeno liberto, lo schiavo cimarrón e lo spagnolo pícaro sono entrati in relazione, creolizzandosi. L‟esistenza delle cumbes o quilombos in cui gli schiavi affrancati tracciavano il proprio cammino di libertà, ci riporta ad una storia agita, fatta di resistenza, sollevamenti, insurrezioni contro la struttura escludente e ineguale, che pur di garantire l‟agio di pochi, non poneva remore nello sfruttamento dei più. La stessa dinamica oggi prosegue nei barrios. Visti gli uni e gli altri come spazi di illegalità o luoghi di peccaminosa miseria materiale e morale, accusati di essere veicolo di violenza e contagio come tutto ciò che giace al di fuori di qualsiasi ordine pensabile9. Avvicinarsi a questi spazi significa abbandonare i rigidi scompartimenti con i quali leggiamo la realtà (legale-illegale, ordine-disordine). La scienza del caos10 pare l‟unico approccio possibile alla comprensione di questi luoghi, che sembrano chiederci di abbandonare tutto ciò che fino ad ora è stato pensato e detto, lasciando tutto alle spalle e osservando senza rigide chiavi di lettura né pretese classificatorie. Scelgo queste tre tracce, consapevole della necessità di dover esaminare più elementi possibili per costruire il quadro di una società quale risultato di accostamenti, sovrapposizioni, stratificazioni succedutosi nello spazio temporale, senza alcun ordine, dettati dalla casualità, dall‟urgenza della vita, dalla necessità di ricostruire sul vuoto dell‟assenza una ritualità necessaria alla vita umana. Consapevole altresì che non sarà mai possibile rendere giustizia all‟immensa ricchezza culturale sepolta dal sangue delle guerre e delle repressioni, ai dettagli di una storia quotidiana fatta di uomini umili e silenziosi. Certa

Ho sempre considerato che gli spazi marginali della storia e del presente meritassero lo stesso grado d‟attenzione e importanza di tutto ciò che è dato come evidente, ufficiale. E‟ anzi nelle aree interstiziali e marginali che si sviluppa quel processo di rinnovamento culturale e di spinta al cambiamento che viene percepito come rivoluzionario dalla società “disciplinata” che percepisce il caos come violento attacco allo status quo, perciò da emarginare e reprimere. 10 Non si intende qui caos come sinonimo di disordine ma come nuovo paradigma interpretativo della realtà, come elemento che riordina ex-novo la realtà. La teoria del caos che studia i sistemi complessi ci dice che i sistemi dinamici determinati, ossia quelli caratterizzati da una fissità, una “meccanicità” e una regolarità di funzionamento, ad un certo punto diventano erratici e i fenomeni assumono comportamenti imprevedibili. Si vedano ad esempio gli studi di E. Lorenz. È quindi possibile pensare che nessun ordine è davvero ordinato e nulla è realmente prevedibile, ma che si sia collocati in sistemi erratici in cui solo un cambio di paradigmi interpretativi ci permetterà di accettare il disordinato corso degli eventi. 9

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della necessità di dover mantenere uno sguardo interrogante sulla realtà, sui dettagli nascosti nei retroscena della storia ufficiale che spingono al cambiamento. Dai dettagli, moltiplicati all‟infinito nello spazio della storia e nel paesaggio fisico, come elementi frattali di una figura geometrica, possiamo tentare di costruire una mappatura della realtà, della geografia sociale e culturale dell‟oggi che popola il territorio popolare della città di Caracas, luogo pulsante della venezuelanità, in cui il popolo ha costruito percorsi di senso durante il tempo della diaspora e della ricerca, anfratti di relazioni sociali autentiche, spesso violente, spesso cariche di un‟umanità incomprensibile ad una cultura fatta di ego e autoreferenzialità. I territori popolari contemporanei costruiti con la regola delle umane necessità, sono lontani dal territorio costruito dall‟ordine che si impone come antidoto alla complessità e alla casualità degli eventi della vita. Codificare e razionalizzare è l‟idea guida della città “legale”, espellere l‟abnorme, il difforme, è l‟affanno di una società che non riesce a guardarsi dentro, felice dell‟appiattimento di comodo e confortata dal potere d‟acquisto dell‟inutile e del superfluo. Nei barrios la crisi economica ha fatto emergere la marea umana oppressa, da cui emerge, spiccando un volo di centinaia di piani, l‟isola dorata del commercio e del capitale. La difficoltà ha costretto l‟umano ingegno a nuovi percorsi di sopravvivenza: la rete di solidarietà, la somma di conoscenze e la forza dei singoli rappresentano il capitale umano per risalire la china. La reciprocità, la collaborazione tipica di mondo rurale che si è urbanizzato, rende possibile la costruzione di uno spazio alternativo in cui affermare la propria esistenza di fronte ad una realtà che continua a fagocitare ricchezze espellendo miseria, in cui il cannibalismo ha raggiunto forme di delirio imprevedibili. R-esistere è l‟essenza del popolo che costruisce giorno per giorno il suo entorno rendendolo accogliente, riflettendovi il proprio modo di essere, i propri sogni e le proprie paure. Termino il capitolo riportando esperienze che definisco di “costruzione d‟autostima”. Sradicare l‟endoracismo, decostruire i processi di autostigmatizzazione diventa un percorso necessario per riabilitare la dignità dell‟afrovenezuelano, dell‟indigeno, dell‟abitante del barrio, come espressione della cultura popolare. Restituire pari dignità ad ogni elemento che compone il tessuto urbano e sociale di Caracas diventa l‟unico modo per costruire un‟identità urbana ricca e complessa, autonoma, umana e universale. La storia coloniale costruita sull‟esilio del “migrante-nudo” e dei “popoli-testimoni”, si ripete oggi con l‟esilio dell‟abitante del barrio, “scarto umano” di una società globalizzata. Riassegnare il giusto valore agli elementi considerati erroneamente marginali, significa ripopolare gli spazi vuoti metropolitani, dare dignità di città ai barrios e considerare cittadini di pieno diritto i suoi abitanti.

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3.1 APPORTI IDENTITARI: L‟INDIGENO, L‟AFRICANO, L‟EUROPEO

..Toda ciudad es una herencia. La ciudad de mis días se decidió hace más de cuatrocientos años...Solo que la decidieron nada menos que tres exilios. Los indígenas que habitaban el valle fueron sometidos de la noche a la mañana, no solo a la renuncia del espacio, que es una de las desgracias del exilio, sino a la convicción implacable de que todo lo hecho por sus manos, todo lo aconsejado por sus costumbres e inteligencia era un error garrafal o una mentira inmunda. Salvo la "tierra prometida" del Norte, que casi siempre fue un destino, en el resto del continente desde México hasta la Patagonia, la única ética concebible fue la resignación. Casi nunca, salvo algún cura alborozado, hubo un gusto de viajero, ni una emoción de playa, sino la sensación de un atroz disciplina solo aliviada por la posibilidad de un cambio de fortuna...Cuando el Señor de Losada dijo que este valle se llamaba Santiago de León, aparte de pronunciar una inmensa arbitrariedad, no quiso decir demasiado. No hubo en su ánimo la sensación de decir...¡He llegado! Por el contrario, lo que quiso expresar fue...Rapidito, que me estoy yendo! El tercer exilio es el de los negros provenientes de África...intrusos forzosos...¿Qué casa de siempre podía construir un negro en el trance de America, como no fuese casa ajena, forzada a garrotazos? ¿Qué flor pudo sembrar quien se quedó viendo el mar como una garantía de su procedencia? ¿Entonces cómo puede ser definitiva una ciudad de exiliados?11

3.1.1 Il rancho indigeno Il rancho12, che oggi rappresenta la poverissima e precaria costruzione del barrio fatta con materiali di risulta dell‟ambiente urbano (pali di legno, lamiere e cartone) è stato fin dai tempi della Conquista, il ricovero precario degli indios nel tentativo di sfuggire alla dominazione spagnola. Costruito con materiali recuperati dall‟ambiente (rami per i montanti e il tetto, foglie di palma per la copertura, argilla ed erba per le pareti e il pavimento) esprimeva il forte legame con lo spazio circostante, da cui traeva sostentamento. Le culture indigene dell‟Orinoco, considerate una sorta di culla genetica del Venezuela preispanico, sono formate sia da gruppi nomadi che da gruppi sedentari, ognuno con una propria espressione del senso dell‟abitare. Per molte popolazioni originarie del Venezuela (Achaguas, Píritus, Cumanagatos, Caquetíos, Motilonés), ma ancora oggi per le comunità indigene della selva oltre l‟Orinoco, la capanna comune, di ampie dimensioni (malocas, churuatas) abitata da J. I. Cabrujas, La ciudad escondida, Oscar Todtman Éditions, Caracas 1990, p. 13, citato in P. J. García Sánchez, “art. cit.”, p. 130. 12 Nella cultura Guahíbo il rancho è bakoakóbo, ossia cobija por los que demoran (protezione per coloro che si fermano). 11

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numerosi gruppi familiari, esprime il cardine dello spazio antropico indigeno. Accanto alla capanna comune, dove si svolgono attività quotidiane come la filatura, la tessitura, la produzione di cesti in vimini, si costruivano ranchos, ossia capanne provvisorie e ausiliarie, per l‟esigenza di allontanarsi per la caccia13. Delle abitazioni del mondo preispanico, D‟Alto sottolinea l‟elemento del buio che assume un‟importante valenza simbolica, e che egli ritrova oggi come carattere imprescindibile nella lettura del rancho moderno: Nel mondo preispanico l‟oscurità risalta come il dato costante della capanna comune, formata da una struttura di pali di legno e coperta da uno spesso manto di foglie di palma che cade fino a terra. La luce penetra dalle modeste aperture dell‟ingresso, che possono anche non esserci (nelle capanne del Guahibo si entra scostando le foglie di palma) o sono più d‟una (Panare, Piaroa) comunque non più di tre: una principale, una secondaria dalla parte opposta, la terza riservata al cacique. Si tratta di abitazioni comuni a una pluralità di gruppi14.

La struttura sociale incaica e preincaica si articolava attorno all’ayllu, ossia il gruppo sociale, più o meno parentale, talvolta definito come gruppo di consanguinei. Ogni gruppo possedeva un territorio determinato, inalienabile, suddiviso in particelle familiari. Il lavoro della terra si basava sul lavoro partecipato di parenti e amici, ricompensato attraverso scambio di doni (cibo, vestiario, manufatti) secondo il principio della reciprocità. Secondo tale principio, durante l‟assenza di un membro dalla comunità il gruppo provvedeva a sostenerne la famiglia e a coltivarne la terra. La reciprocità, per il mondo indigeno, è elemento fondante della comunità stessa, senza la quale non sussisterebbe: La reciprocità è diffusamente citata come una delle dimensioni centrali del pensiero indigeno. Derivata dalla visione del mondo e dalle pratiche strettamente legate al mondo naturale comprende gli aspetti del condividere e del restituire. Come tipo di reciprocità tuttavia va oltre al binario riduttivo del dare e prendere e molto spesso assume la forma di una condivisione e una reciprocità circolare che a volte è definita reciprocità rituale. In questo tipo di reciprocità i doni non sono dati principalmente e soprattutto per ricevere in seguito una contropartita ma per raggiungere un senso di parentela e di coesistenza con il mondo senza il quale sarebbe impossibile la sopravvivenza (degli esseri umani, ma anche di tutti gli altri esseri viventi). La funzione principale della reciprocità circolare o rituale è riconoscere la miriade delle relazioni nel mondo da cui deriva il senso della necessità collettiva e individuale “di agire con responsabilità verso le altre forme di vita”. Diviene implicita quindi la responsabilità – o capacità di rispondere – la capacità di rimanere in armonia con il mondo al di fuori dell‟Io e la volontà di riconoscerne l‟esistenza per mezzo di doni. Questo senso di responsabilità insito nel dono è il risultato di vivere all‟interno di un ecosistema e di dipendere da esso: perciò le popolazioni

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S. D‟Alto, op. cit., pp. 335-336. Ibid., p. 226.

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indigene continuano a dipendere dalla loro terra e dall‟ambiente naturale circostante da un punto di vista culturale, sociale, economico e spirituale15.

La terra dell‟ayllu non è divisibile e da essa dipende la stessa sopravvivenza del gruppo. Tra alcuni gruppi indigeni del Venezuela, vigeva la pratica – da alcuni ricercatori ritenuta ancora vigente – di mangiare delle sottili focacce di argilla cotte. “Pur avendo pane (…) moltissimi indios dell‟Orinoco mangiano terra: con una creta odorosa mescolata con il frutto nega gli Otomacos fanno pani che mangiano con molto gusto”16. Anche l‟abitante del barrio esprime un particolare rapporto con la terra e con l‟ambiente circostante. I ranchos non hanno fondamenta che penetrano nel suolo per affermare la volontà di permanenza. Essi sono aggrappati alla montagna che li sostiene e li protegge, assicurano loro un riparo e una sistemazione nel mondo. Allo stesso tempo li lega all‟andamento della natura, ai suoi capricci stagionali (la violenza della stagione delle piogge), e ai suoi sussulti (terremoti e smottamenti). Essi occupano i pendii delle montagne, ricordando le antiche colture a spalliera delle civiltà preincaiche presenti ancora oggi sulle Ande, simbolo dell‟adattamento dell‟uomo al paesaggio (e non viceversa). Ne esprime la relazione difficile ma conciliatoria. Anche l‟odore del rancho ci rimanda alla terra: sale difatti durante la stagione delle piogge il forte odore di terra umida argillosa. L‟azione devastatrice della Conquista modifica violentemente il rapporto dell‟indigeno con la terra17. Si abbatte sulle popolazioni originarie la bramosia dei conquistatori e dei cercatori d‟oro, che trasformeranno il territorio col linguaggio della legge e della croce. Il sistema della ripartizione delle terre introduce l‟idea della proprietà privata, estranea alle comunità. Gli indigeni privati delle terre ancestrali, andranno ad occupare poblados a qualche miglio dalle città: insediamenti dispersi, distanti l‟uno dall‟altro, sorti su terreni accidentati, lungo i pendii; altri occuperanno piccoli appezzamenti di terra (conucos) dai Come introduzione all‟economia del dono si veda Rauna Kuokkanen, Il dono come concezione del mondo nel pensiero indigeno. Disponibile on-line http://www.gifteconomy.com/articlesAndEssays/ildonocome.html. [Data di consultazione: 01/03/2008]. Interessante è il lavoro di un network internazionale di donne che abbraccia l‟idea della logica del dono come base di mutamento sociale. La pratica del dono, che esiste in molti luoghi, sia nel mondo indigeno, che nelle pieghe del mondo capitalista, viene resa invisibile dal capitalismo patriarcale. Si veda anche Geneviève Vaughan, Per-donare: una critica femminista dello scambio, Meltemi, Roma 2005. 16 S. D‟Alto, op. cit., p. 323. 17 Al momento della fondazione di Santiago de León de Caracas, la popolazione indigena dell‟area era compresa tra le 10 e le 50 mila unità. Nella prima decade del XVII il rapporto tra bianchi e indigeni è di 1 a 5. Alla fine del XVII secolo in tutto il Venezuela si contavano circa 200 mila indigeni, di cui 22 mila encomendados; 25 mila nelle reducciones, 25 mila indios liberi (non tributari) e 120 mila a formare comunità “naturali” – ossia disperse, non sottomesse – ancora largamente presenti, non ancora violate dalle invasioni spagnole denominate entradas. F. Brito Figueroa, Historia economica y social de Venezuela, Tomo I, UCV, Caracas, 1979, p. 125 citato in Ibid., p. 266. 15

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quali ricavare un minimo sostentamento, coltivando prodotti tipici del mondo preispanico; altri infine abiteranno gli spazi delle reducciones, insediamenti fondati dai missionari18, tanto numerosi da costituire un importante fattore di trasformazione del territorio indigeno.

3.1.2 Lo spazio geometrico della disciplina: il damero coloniale La fondazione delle città latinoamericane avveniva generalmente per opera di un piccolo esercito di spagnoli, comandato da un‟autorità indiscutibile e accompagnato da un certo numero di indigeni esperti conoscitori del territorio: la fondazione, un atto di natura politico e simbolico, esprimeva il progetto di un‟occupazione militare della terra e di assoggettamento della popolazione indigena. Nonostante non esistano fonti ufficiali che diano notizia certa della data della fondazione della città di Caracas, né tanto meno alcun atto formale come invece era d‟abitudine in epoca spagnola, essa viene fatta risalire al 25 luglio del 1567 quando il capitano spagnolo Diego de Losada, un hidalgo tipico dell‟impresa delle Indie, uomo d‟espada y devoción, entra nella valle e battezza il nuovo insediamento Santiago de León de Caracas19. Altri intenti di stabilizzazione precedettero il 1567. Il mestizo Francisco Fajardo, nipote del famoso cacique indigeno Naiguatá fonda nel 1560 un hato che si suppone comprendesse l‟area su cui sorge oggi la parroquia di Catia (oggi uno dei più grandi barrios di Caracas). Il primo tentativo di fondazione ebbe però vita breve a causa della pressione esercitata dalle popolazioni indigene locali. Il possedimento verrà difatti distrutto poco più tardi dal gruppo indigeno dei Paramaconi, e rimarrà abitato da gruppi indigeni per tutto il periodo coloniale. Il tentativo di Diego de Losada è quello di dare piena dignità di città al centro di nuova fondazione. Ancor prima di abitarla vengono designati i Regidores, il Cabildo e l‟Alcalde. Dieci anni dopo il Gobernador Juan de Pimentel (a lui si deve la prima pianta di Caracas nel 1578) dichiara la città capitale della Provincia de Venezuela, sede principale dell‟organizzazione dell‟impresa colonizzatrice nella regione:

L‟azione religiosa ebbe come convinta strategia per la conversione degli indios l‟abbandono del habitat originario, la sua delegittimazione come luogo dell‟agire quotidiano e simbolico. S. D‟Alto, op. cit., p. 328. 19 Era d‟uso battezzare i nuovi insediamenti con il nome del santo che ricorreva nella data di fondazione. 18

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Han creado en la ley y en la historia antes de que existía en calles y casas, la dignidad de una villa, a la que poco más tarde el rey, al declararla "muy noble y muy leal" dará por escudo la venera de los peregrinos y la cruz de los caballeros de Santiago, para señalar su nobleza y su remota ascendencia, junto al rampante león del heroísmo y a la proclamación orgullos de la fe sobrenatural20.

L‟urbanista di Losada, Diego de Henares, pianifica il nuovo insediamento secondo pratiche urbanistiche castigliane contenute nelle Leyes de India, seguendo strutture gerarchiche ben precise: un tracciato di strade organizzate secondo un sistema ortogonale formato da ventiquattro blocchi, una piazza centrale con la chiesa e la picota21, principale simbolo dell‟amministrazione della giustizia coloniale, le case delle famiglie più ricche e influenti, costruite in pietra o in laterizi, nelle quadras dietro alla Plaza Mayor: Con l‟atto di fondazione venivano loro [agli encomenderos] assegnati dei terreni entro il perimetro della città appena tracciata e su questi terreni essi avrebbero dovuto erigere le proprie case da cui avrebbero poi provveduto all‟amministrazione delle proprie terre coltivate o delle proprie miniere, utilizzando come lavoratori gli indios che erano stati loro affidati in encomienda22.

Alle origini della città coloniale, dall‟atto della fondazione al vivere quotidiano, c‟è un forte apporto dell‟indigeno, che contribuisce a dare un‟impronta alla città. Tuttavia la sua presenza viene costretta in spazi ben precisi e delimitata a ruoli subalterni. La volontà era quella di: Creare un‟America spagnola, europea e cattolica, ma, soprattutto un impero coloniale nel senso più stretto del termine, cioè un mondo dipendente e privo di espressione autonoma, periferico rispetto alla madre patria di cui doveva riflettere e seguire ogni azione e reazione23.

E allo stesso tempo: Escludere nel modo più assoluto la possibilità di un qualsiasi evento non previsto, quasi che una società nata dalla volontà progettuale del potere fosse al riparo da qualsiasi processo di trasformazione e differenziazione24.

La città, sorta come centro di evangelizzazione dell‟intera regione, riflette la centralità della religione nelle numerose feste religiose e nella sua toponomastica: le vie saranno battezzate nel 1765 con i riferimenti alla vita e alla passione di Cristo25:

A. Uslar Pietri, op. cit., p. 123. Colonna su cui si esponeva la testa della persona giustiziata. 22 J. L. Romero, La città e le idee: storia urbana del Nuovo Mondo, Guida, Napoli 1989, p. 65. 23 Ibid., pp. 10-11. 24 Ibid., pp. 10-11. 25 A. Rojas, op. cit., p. 35. 20 21

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Las fiestas religiosas, durante el año, eran de necesidad imperiosa. Y como ya dejamos asentado, nada más solemne, durante la época colonial, que un día de Corpus, un Jueves Santos o la fiesta de alguno de los patronos de la ciudad, porque la muchedumbre, inspirada en un solo sentimiento, desplegaba su vanidad o su entusiasmo aderezando ventanas y puertas con ricas cortinas; ostentando la bellas matronas sus valiosas prendas y sus numerosas esclavas26.

Alla città ideale, fatta di volontà di dominio, costruita su regole gerarchiche ben precise, dettate dalla madrepatria, ben presto si affianca la città reale abitata dai gruppi indigeni, dai colonizzatori poveri, dai pardos che occupavano la periferia del quadrilatero coloniale, lungo le quebradas del fiume Catuche e Caruata, ad ovest della città27: La città reale prese coscienza di essere una società urbana composta da gruppi etnici non meno reali: gli spagnoli, i creoli, gli indios, i meticci, i negri, i mulatti e gli zambos, tutti inesorabilmente uniti, nonostante l‟ordinamento gerarchico, in un processo altrettanto inarrestabile che li conduceva verso l‟ibridazione e verso l‟incerta avventura di una fortunosa mobilità sociale28.

Una delle preoccupazioni più urgenti della società e dell‟amministrazione coloniale dell‟epoca nella Provincia di Caracas, fu il meticciato biologico e culturale e la pressione numerica, sociale e intellettuale esercitata dai meticci e dai pardos in particolare durante il XVIII secolo, a seguito del boom della coltura del cacao. Una delle misure che favorì la crescita del gruppo sociale dei pardos fu la possibilità di ottenere la libertà per i figli mulatti di schiave nere in caso di riconoscimento da parte del padre bianco, mentre il successivo matrimonio con indigeni o con uomini di colore avrebbe riportato il pardo ad una condizione di inferiorità. Tuttavia, a fronte di una crescita numerica del gruppo sociale in transizione, la possibilità di partecipazione alla vita pubblica era in pratica nulla: nel 1621 fu loro impedito qualsiasi incarico nella pubblica amministrazione e la Reál Pragmática de Matrimonio del 1776 s‟oppose alla mezcla de clases y razas. Inoltre venivano esclusi dall‟istruzione universitaria neri, zambos, mulatti, aperta esclusivamente ai discendenti dei viejos cristianos limpios de toda mala raza29. Uniche eccezioni furono rappresentate dalla Real Cédula de Gracias al Sacar del 1795, che permise di acquisire prestigio sociale ed economico attraverso il versamento di una certa quantità d‟argento, misura questa che provocò non pochi timori nelle élites locali, tanto che la Corona dovette richiamarle all‟ordine. Ibid., p.33. F. Ferrándiz Martín, “art. cit.”, (2001) p. 66. 28 J. L. Romero, op. cit., p. 13. 29 F. Langue, “Les identités fractales: honneur et couleur dans la société vénézuélienne du XVIIIe siècle”, in Caravelle, n. 65, 1995, pp. 23-37. Disponibile in Nuevo Mundo Mundos Nuevos, http://nuevomundo.revues.org/document633.html [Data consultazione: 10/11/2007]. 26 27

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3.1.3 La tratta degli schiavi e l‟apporto africano alla cultura venezuelana Avviata nel 1530, la tratta degli schiavi porterà in Venezuela circa 60.000 africani30. Strappato alla terra e alla comunità d‟origine, stivato come merce nelle navi, venduti nei porti e nei mercati al pari di qualsiasi altra mercanzia, barattato con i prodotti delle Antille, ereditato o portato in dote al matrimonio, lo schiavo svolse qualsiasi tipo di attività. Utilizzati come pescatori di perle, cercatori d‟oro, schiavi nelle piantagioni di canna da zucchero, cacao o indaco, allevatori di bestiame, domestici, furono anche fondatori di pueblos, temuti capataces per conto del colono, soldati durante le numerose guerre del XIX secolo. La tratta negriera fu fonte di arricchimento per la madrepatria e l‟Europa intera: Al surtir los negros con abundancia y a precios comodos toda nuestra América que por ahora bastava con diezmil anualmente, es uno de los medios precisos que han de hacer florecer nuestra agricultura en aquellos reinos31.

Lo schiavo privato di qualsiasi aspetto umano, ribattezzato con nomi europei o chiamato genericamente pieza de Indias o bozal veniva fatto “riprodurre” all‟interno della piantagione, per garantire al padrone il naturale aumento del capitale umano32. Il sistema di sfruttamento trovava legittimazione nelle famigerate Leyes de Indias. Sul piano simbolico, l‟accusa di esercitare riti barbari e primitivi, permise di esplicitare la necessità di convertire questi selvaggi alla vita decorosa del buon cristiano, giustificando così sul piano morale l‟asservimento dello schiavo: El proceso de sometimiento esclavista, impuso en la lógica de construcción de la alteridad una acción dirigida a representar al negro come diferente e inferior espiritual e intelectualmente para discriminarlo, someterlo y luego encausarlo de acuerdo con los designios del amo. Todo esto dió como resultado una representación social del negro configurado como objeto de obediencia, servicio y a la vez de tutela; independientemente de su condición jurídica como esclavo o manumiso. Es decir que, aun cuando el negro lograse su libertad jurídica, seguía cargando consigo su esclavitud moral y religiosa. Al respecto es importante poner énfasis en que el principal argumento usado para justificar el sometimiento, tutelaje e intento de cambio radical fue precisamente la supuesta incapacidad de éste para llevar por si mismo una vida cristiana33. Humboldt calcola che in Venezuela giunsero 60.000 schiavi. Solo durante il 1794 entrarono in Venezuela dai porti di La Guaira, Puerto Cabello, Coro, Maracaibo, Cumaná e Guyana, 1.466 schiavi africani (1.225 maschi, 241 femmine). Dati citati in M. Acosta Saignes, Vida de los esclavos negros en Venezuela, Casas de las Americas, La Habana 1978, p. 71. 31 M. Acosta Saignes, op. cit., p. 226. 32 Si dichiarò nel 1526 l‟ereditarietà della schiavitù e il divieto di matrimonio tra schiavi e spagnoli e creoli. 33 E. Mora Queipo, J. González Queipo, “Música y religión en la eclavitud y liberación de las comunidades afrovenezolanas”, in Diálogo Antropológico, n. 12, 2005, p. 33. Disponibile on line http://www.dialogoantropologico.org/05/html/sitio/index.html [Data consultazione: 12/12/2007]. 30

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Numerosi furono i tentativi di impedire i contatti anche tra indigeni e schiavi africani, affinchè “no hubiesen negros ni mulatos en los pueblos de indios” e “que se limpiasen de la gente ociosa y vagamunda las comunidades indígenas”. Nel 1551 si vietò il matrimonio anche tra africani e indigeni per evitare che l‟indole alla ribellione dello schiavo africano si diffondesse all‟interno delle comunità indigene. Inoltre si vietò l‟accesso degli schiavi africani nelle encomiendas e nei pueblos de indios per prevenire “pericolose contaminazioni”. Tali divieti non impedirono le successive formazioni di alleanze per ribellarsi di fronte all‟iniquo potere coloniale. Nella città di Caracas, numerosi erano gli schiavi che prestavano servizio presso le case coloniali. A svolgere il servicio adentro erano soprattutto le donne che contribuirono a diffondere un‟iconografia stereotipata formata da misteriosi personaggi: la Soyona, la Llorona, la Mula Maniá, la Cochina Paría, il Descabezado, il tío Conejo, il tío Tigre. Essi popolavano

quell‟universo

di

riferimento

necessario

a

sopravvivere

di

fronte

all‟incomprensibile e ruda explotación inmesericorde. Scrive Uslar Pietri sul tema del meticciato spirituale venezuelano e sul ruolo delle schiave nere nel costruire l‟ambiente educativo: Al amamantar educaban, al cuidar a los párvulos depositaban cuentos pavorosos en sus oídos; sembraban en sus espíritus espantados grandes temores; miedo de fuerzas inmensa que en realidad no eran sino las tremendas contradicciones de la sociedad colonial encarnadas en la mente de los esclavos en seres fabulosos incapacitados como estaban históricamente para entender la estructura social en donde vivían34.

Spogliato dei propri riferimenti spaziali e culturali, la sopravvivenza dello schiavo africano fu resa possibile solo all‟interno di quegli spazi di resistenza in cui fu in grado di rielaborare l‟esperienza vissuta tramite codici familiari, come la musica e la danza. I rituales de calle in cui lo schiavo africano reinterpreta il culto delle divinità del cattolicesimo attraverso la musica e la danza in strada, sopravvivono ancora oggi nella cultura afrovenezuelana e trovano nei barrios lo spazio per esprimersi. Musica e danza rappresentarono la possibilità stessa di sopravvivenza in una situazione di incomprensibile violenza: Los amos empezaron a darse cuenta de que, si no daban a los esclavos la posibilidad de bailar y de celebrar sus tradiciones, éstos morían rápidamente o trabajaban con menor eficacia (ya en los barcos negreros se obligaba a bailar a los desgraciados cautivos para impedir que murieran)35. 34 35

A. Uslar Pietri, op. cit., pp. 138-139. D. Piquet, La cultura afrovenezolana, Monte Ávila Editores, Caracas 1982, p. 110.

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Il divieto del vescovo Diego de Baños y Sotomayor nel 1687, impediva la partecipazione delle donne di colore alle danze durante la processione del Corpus, divieto ripreso nelle celebri Constituciones sinodales del Obispado de Venezuela y Santiago de León de Caracas: En muchas ciudades de este nuestro obispado está introducido, que en las Procesiones, no sólo del Corpus y su Octava, sino también en las de los santos Patronos, se hagan danzas de Mulatas, Negras, e Indias, con las cuales se turba, e inquieta la Devoción, con que los fieles deben asistir en semejantes días. Y porque de ellas, y de los concursos que hacen, de noche, y de día, para los ensayos de dichas danzas, y de la solicitud, que ponen para salir vestidas en ellas, se siguen graves ofensas de Dios Nuestro Señor: Mandamos, S.S.A. so pena de Excomunión Mayor, que las dichas danzas de mulatas, negras e indias, no se hagan, ni permitan. Y exhortamos a las Justicias de su magestad, por lo que les toca, así lo manden a cumplir, y ejecutar36.

Le danze accompagnate da cumanos, tambores redondos e curbetas, o da chimbangueles durante il culto di San Juan o di San Benito, e le feste delle confraternite (cofadrías) di africani e meticci furono interpretate come momenti di ribellione, e come tali da reprimere. Saraos, fandangos, velorios, joropo escobillado, tambor, gaitas o carrizos, coja e seguidillas37 erano considerati balli diabolici e perciò condannati a causa dei loro “estremosos movimientos, desplantes, taconeos y otras suciedades que lo informan”. Altre danze furono considerate indecenti: i balli con i tambores, in cui uomini e donne di ogni estrazione sociale si riunivano di notte a danzare al ritmo incalzante della musica. A suscitare timori era la mezcla de clases, la rottura delle tradizionali gerarchie coloniali, l‟indebolimento delle frontiere sociali. L‟importanza dell‟influenza delle culture africane nella formazione della cultura venezuelana è testimoniata oggi dal permanere di pratiche e feste tradizionali come il velorio de la Cruz de Mayo, la festa di San Juan e San Benito, il culto a María Lionza. Il sincretismo religioso è maggiore dove più forte è stato il contatto tra cultura africana, indigena ed europea. Nei barrios, dove molteplici sono stati gli apporti di più gruppi culturali che hanno saputo convivere, senza tentativi di supremazia, è possibile trovare quell‟autentico processo di creolizzazione di cui parla Glissant riferendosi ai Caraibi.

F. Langue, “Quand le diable mène la danse”, in Nuevo Mundo Mundos Nuevos, n. 6, 2006, http://nuevomundo.revues.org/document1786.html [Data di consultazione: 10/06/2007] 37 Danze per lo più praticate durante le veglie funebri come rito di accompagnamento del defunto nel regno dei morti. 36

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3.1.4 I processi di transculturazione nelle cumbes Con il termine cimarrones38 si indicavano gli schiavi che fuggivano dalle piantagioni e che trovavano rifugio in luoghi impervi e isolati. Qui si organizzavano insieme ad altri schiavi o ad indigeni in cumbes o quilombos: Manteniéndose de sus cortos sembrados, frutas, mieles silvestre y la cacería de algunos animales. Viven con todo esto contentos y bien hallados en su pobreza y desnudez, pues no les ofrece el país mayor alivio ni aun el jornal diario por hacerse poca fábrica en la ciudad39.

Durante il XVIII secolo il numero delle cumbes aumentò costantemente: si calcola che nel 1720 vi fossero 20.000 cimarrones e che sul finire del secolo fossero 30.000. Uno schiavo su due, in base al calcolo di Humboldt sulla quantità di schiavi presenti in Venezuela, era cimarrón: En doscientas leguas no hay más que catorce pueblos de españoles resultando este corto número de haber muchos negros, mulatos y pardos por los montes, haciendo una vida escandalosa, más reprobada que la de los mismos gentiles, cometiendo gravísimas ofensas de Dios sin señal exterior de la religión católica, pues viven y mueren como bárbaros en los montes, han propuesto (...) se mande poblar y reducir a vida regular y política excepto los que tuviesen haciendas formales40.

La fuga dello schiavo era punita violentemente dai coloni: fustigazione, taglio di orecchie, inchiodatura della mano, castrazione41. Un'ordinanza del 1537 specificava: Se ordena y manda que cualquier negro que se alzare o estuviere fuera de la servidumbre de sus amos (...) le sean dados cien azotes y si estuviere tiempo de veinte días, que le sea desgobernado el pie derecho y si estuviere cuarenta días yéndose a tierra de infieles que muera por ello o cualquier negro que se retomase a brazos y alzare mano para dar a algún cristiano le sean dados cien azotes y le corten la mano derecha42.

Cimarrón è il termine originariamente usato nell‟isola di Hispaniola per designare il bestiame fuggito dai pascoli. Venne utilizzato in seguito per designare gli schiavi fuggiti dalle piantagioni nelle isole ispanofone e poi in tutto l‟arcipelago caraibico. Altri termini per indicare gli schiavi fuggitivi furono: palenques, quilombos, mocambos, cumbes, ladeira etc.. Nell‟area francofona si parlava di marronage e di marron. Comunità di schiavi fuggitivi erano presenti nei territori che oggi appartengono agli Stati Uniti, ai paesi del Centro America, al Brasile, al Perù e alle isole che formano l‟arcipelago caraibico. Miguel Acosta Saignes, stima che in Venezuela vi fossero 20mila cimarrones nel 1720 e 30mila già sul finire del secolo. 39 M. Acosta Saignes, op. cit., p. 224. 40 Real Cédula del 1702. Ibid., p. 188. 41 Si pose fine alla crudele pratica della castrazione nel 1540, lasciando in essere tuttavia altre pratiche disumane. 42 M. Acosta Saignes, op.cit., p. 171. 38

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Il grado di violenza inaudita non fermava lo schiavo nel suo percorso di ricerca di libertà. Insopportabili erano i soprusi subiti nelle piantagioni, insopprimibile la volontà di ritrovare una dimensione umana. Nel racconto di uno schiavo catturato e imprigionato a seguito della fuga dal suo padrone, è possibile ritrovare tutta la prepotenza e iniquità di un regime schiavista: Juan Alejandro, esclavo de don José Antonio Bolívar, de 30 años, se fugó, porque lo tenían con un par de grillos y una cadena, dándole de comer solo cada 24 horas y solo un pedazo de carne, sin agua. Dormía desnudo de la cintura para arriba, con solo un calzoncillo puesto y acostado en el suelo, sobre los ladrillos. Después de cierto tiempo, el amo lo echaba al corral durante el día, a habitar con las mulas, con una cadena de perro. Llegó a tener tanta hambre que se comía la tusita del malojo que se echaba a las bestias. Duro así seis meses. Se le hinchó el cuerpo, de manera que no podía sufrir la cadena, a pesar de lo cual todavía le agravaban el castigo colocándolo de pie en el patio, con una piedra grande a la cabeza. Por la tarde, al tiempo de montar su amo, le pegaba cincazos o latigazos. Aunque él quería lo vendiesen a otro el amo siempre rehusó. Se mantuvo en los cañaverales de Panaquire, tejiendo canastos para coger cacao. Cuando se juntó con otros, dormían en unos ranchitos que hacían y no tenían más armas que alguna lancita y otros cuchillos y pedacitos de machete...43.

Il gran numero di cumbes che caratterizza il paesaggio venezuelano indica l‟incessante attività di ribellione dello schiavo. Atti individuali di sabotaggio tesi al danneggiamento della proprietà coloniale e le rivolte organizzate da indigeni e schiavi, sono parte di una storia spesso dimenticata e taciuta dalla versione ufficiale. Questa storia ci racconta di schiavi che si organizzano contro lo stato di oppressione e contro l‟istituzione schiavista, lottando insieme non tanto per garantirsi una libertà individuale quanto per la liberazione collettiva dall‟oppressore. La prima di queste ribellioni ha origine nel 1552 ed è guidata dal Negro Miguel, uno schiavo fuggito tra i monti assieme alla compagna Guiomar e che, assieme ad altri 20 schiavi, si farà promotore dell‟attacco alla Real de Minas e della fondazione della prima cumbe venezuelana, la cui capitale Curdubare, sorse sulle sponde del fiume San Pedro. Saranno in seguito sconfitti dalle truppe di Diego de Losada, fondatore della città di Caracas, durante il tentativo di attaccare e incendiare la futura città di Barquisimeto. Oltre ad essere il primo tentativo di rivolta organizzato nella storia degli schiavi venezuelani, si evidenzia l‟importanza dell‟alleanza con gli indigeni, in questo caso la comunità jirajaras. Nonostante la sconfitta, i sopravvissuti dell‟esercito ribelle continuarono nella lotta per tutto il XVI secolo, sabotando il lavoro delle miniere e ostacolando il traffico verso i llanos. Si trattò di una lotta tenace i cui segni sono tuttora visibili nella composizione etnica e nella 43

Ibid., p. 195.

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toponomia che ci narra del ruolo dello schiavo africano nella fondazione di nuovi centri abitati44 e per estensione, nel determinare la geografia umana del Venezuela: Cabimba, Corumbo, Guarataro, Macagua, Obonte, Cobalongo, Oram, Urero, tra Nirgua e Aroa, e, nel 1601, della prima città di discendenti di schiavi africani e di indigeni, Nirgua o Villa Nueva de Londres, così chiamata dagli spagnoli. Nirgua è in particolare la prima città fondata e amministrata da pardos a godere di diritti speciali concessi dalla Corona spagnola di fronte all'impotenza del regime coloniale di sottomettere indigeni e cimarrones all‟ordine coloniale. È l‟esempio forse più evidente della resistenza di fronte al tentativo di annullare qualsiasi espressione altra rispetto al dominio di una sola cultura: A esta monarquía africana siguió en Nirgua una república de zambos, descendientes de negros y indios. Toda la municipalidad o cabildo se ha formado con gente parda, a la que el rey de España dio el título de sus fieles y leales súbditos, los zambos de Nirgua. Pocas familias de blancos quieren habitar un país donde predomina un régimen tan contrario a sus pretensiones y la pequeña ciudad es llamada por mofa la republica de los zambos y mulatos45.

Nel 1794 i tempi erano ormai maturi per una ribellione che coinvolgesse gli schiavi di tutto il paese. La voce dell‟esistenza di una cédula real sull‟abolizione della schiavitù, provocò il diffondersi di un progetto di ribellione che dalla capitale si estenderà fino a Barlovento46. Il progetto, che raggruppava ormai 40mila schiavi neri, non arrivò però a compiersi a causa della cattura del suo leader, Manuel Espinoza. Come risposta alle insurrezioni, la Real Audiencia ordinò di demolire le cumbes esistenti, bruciare i ranchos e disperdere gli abitanti. A tal fine verranno creati “squadroni” per sterminare i ribelli, e le ribelli, cimarrones. Ciò che è interessante evidenziare a proposito delle cumbes, oltre alla forza innescata dall‟odio contro un sistema iniquo, ingiusto e incomprensibile e alla creazione di un fronte comune contro la disumana sottomissione, è la commistione di elementi culturali indigeni, africani, creoli che si ritrovano nello spazio sottratto al dominio coloniale, in cui il tentativo di codificazione unilaterale della realtà, l‟imposizione di un rigore moralistico artificiale ed alienante si poneva come unico obiettivo quello dell‟arricchimento individuale a scapito di L'atto di fondare comunità, di auto-organizzarsi, di abolire le gerarchie e di coabitare nello scambio continuo di nuovi elementi culturali sono elementi fondamentali per pensare ed immaginare la formazione del campesino venezuelano che andrà ad occupare i barrios de ranchos della città di Caracas. 45 A. Von Humboldt citato in M. Acosta Saignes, op. cit., p. 186. 46 Barlovento “da dove soffia il vento” (in contrapposizione con sotavento, dove va il vento) regione dello stato Miranda, a est di Caracas, famosa per le piantagioni di cacao e per la forte presenza di discendenti di schiavi africani. 44

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una maggioranza sottomessa alla follia umana convertita in legge. Nello spazio libero delle cumbes, pur nella costante privazione e penuria, l‟uomo si sentiva libero dal fardello del dominio e poteva rielaborare un nuovo modo di vita, creativo e autonomo, nel pieno delle proprie facoltà. Interessante si farebbe lo studio della quotidianità all‟interno delle cumbes, in cui tradizioni millenarie africane, indigene e in parte europee si trovarono a convivere e a condividere un orizzonte comune. Tambores, divinità pagane, tecniche di coltivazione e preziose lavorazioni artigianali, componevano il paesaggio umano e geografico multiforme che ritroviamo oggi nel barrio, culla di questa diaspora infinita, esempio di arricchimento reciproco.

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3.2 IL BARRIO, LUOGO DI SPERIMENTAZIONE IDENTITARIA

Es ciudad, es creación, es urgencia, es lo inédito, es la sorpresa, es la humildad del trabajador construyendo siempre, es hacer un mundo donde vivir, donde guarecerse47

3.2.1 Rendere visibile l‟invisibile. Il processo di risemantizzazione degli spazi urbani popolari L‟adattamento ad una geografia di difficile accesso, lo stato di privazione e l‟idea della casa come rifugio sono elementi che come abbiamo visto sono una lontana eredità. Il rancho indigeno, la vita dello schiavo liberto nascosto nei luoghi inaccessibili del paesaggio tropicale, la rielaborazione culturale per la sopravvivenza comunitaria e individuale sono elementi di confronto che non possono sfuggire all‟osservatore dei territori popolari contemporanei. I barrios che oggi si estendono lungo i pendii della cordigliera andina che fanno da contorno alla Valle di Caracas, racchiudono l‟antica saggezza della provincia. “Entrar en el barrio es ciertamente entrar en el pasado, en lo mejor de nuestro pasado”48. In essi sono racchiusi i tratti della cultura venezuelana tradizionale, che discende da un processo interminabile di creolizzazione tra elementi vecchi e nuovi, la cui costante è il carattere di marginalità, di esclusione. Il barrio è la sintesi dinamica di esseri umani venuti da ogni dove, è la ricerca incessante di un luogo nella città. Lo sguardo attento sui barrios è essenziale oltre che per prendere coscienza delle dinamiche urbane49, anche e soprattutto per osservare le trasformazioni culturali operate dagli abitanti, il loro potenziale creativo di fronte allo stato di emergenza cui sono sottoposti quotidianamente. Nel contesto dei territori popolari autocostruiti, gli abitanti cercano di costruire un orizzonte culturale minimo in grado di rendere possibile la sopravvivenza urbana e l‟elaborazione di una risposta alla crisi di senso, al sentimento di anomia. Nel far questo si investono tutte le risorse possedute per ricomporre o produrre un‟identità di gruppo, che dia T. Bolívar, J. Baldó, op. cit., p. 78. Ibid., p. 89. 49 “En una sociedad capitalista dependiente como la nuestra, los barrios reflejan las contradicciones y conflictos que cohabitan en la estructura urbana”. Ibid., p. 129. 47 48

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di riflesso senso all‟individuo. Ritagliarsi un luogo nel mondo, pur precario che sia, è un atto necessario nella costruzione identitaria. Dare forma a questo luogo nel mondo, seguendo le proprie inclinazioni, i propri gusti e le proprie possibilità, investendo tempo, coinvolgendo la rete di relazioni familiari e d‟amicizia, è il patrimonio simbolico dei barrios de ranchos. A questo vi è da aggiungere l‟elemento culturale, la diversità di origini di chi abita il barrio, a dare origine a costruzioni eteroclite fatte di scale, strade, callejones50, apparentemente improvvisati e labirintici, abitudini, dialetti e fenotipi diversi, credo magici-religiosi; tutti elementi che convertono il barrio in uno spazio di simbiosi di esperienze sociali51: Las fiestas familiares son un despliegue de ingeniosidad, cooperación, inventiva y acción. La música no es alquilada ni comprada. La música se hace. Hay grupos musicales, que ensayan y despliegan su talento. La cultura surge en los barrios por fuerza propia y por el contacto con el medio urbano (léase Bulevar de Sabana Grande). (...) Para empezar la casa no se compró hecha, se hizo a la medida de la cultura agraria y de las necesidades. El nido de la ilusión es pequeño. Lo grandioso mató a la sonrisa y a la imaginación, impone el formalismo, la repetición conforme a reglas. En cambio lo pequeño, lo diminuto de las dimensiones austeras, qué alto pone a volar a la intima ilusión. Por eso la llamo ilusión, porque primero se piensa. Pero lo grande de la ilusión es su sabor, la sal, lo hondo, lo tierno. La ciudad donde todo es masificado y pasivo, no tiene lugar para la ilusión sino para la compra mecánica, programada por la publicidad, empobrecedora por lo uniforme. Monotonía que es muerte. La magnitud de la producción en masa eliminó los nichos de la ilusión en la ciudad manipulada. En cambio la cultura de los barrios se cierne más alto, aprovecha las tendencias actuales y puede crear. El artesano y el artista son hermanos. En el barrio hay más libertad de proyectar y de entusiasmarse con el proyecto52.

Il barrio diventa l‟espressione delle umane virtù e degli umani difetti, della complessità del mondo e della sua vitalità. Morte e vita vi trovano spazio, caos e urgenza, vischiosità ed eccitazione, rumore e avventura, labirinti e nascondigli: Las instancias espaciales (publica y privadas) proyectan la ebullición incesante de cotidianidades múltiples: el poder de la palabra (el chisme, el consejo, la pelea, la solidaridad), las fiestas, el encuentro amable o desagradable, el ruido, la vida, la violencia, la muerte.. El bricolage en la modalidad constructiva, la solidaridad autogenerada (captada en su máxima expresión en la construcción de la vivienda), el bullicio del mercado, la bodeguita, el curandero, el reciclaje de materiales para hacer la vivienda - cuando se trata de un rancho - o el asombro ante la vivienda de 4 o 5 pisos. La veneración a un santo, la festividad de Cruz de Mayo, los tambores de San Juan, el golpe tuyero, la música llanera, con las "descargas" o los "vente-tu", la salsa; la huida tenaz ante las balas, el encuentro colectivo en un velorio, misa o reunión de cualquier "tolda política", el murmullo por la adolescente embarazada, la presencia del Strade strette, spesso senza uscita che caratterizzano il paesaggio dei barrios. Elementi fondamentali delle geometrie labirintiche di questi territori. 51 T. Bolívar, J. Baldó, op. cit., p. 131. 52 Ibid., p. 90. 50

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motorizado trabajador o del "ocioso" en una esquina, del encuentro de las "amas de casa" en las colas sempiternas para buscar las dádivas que da el Estado, la furia o congoja ante la calle rota; el sermón de cualquier profeta improvisado, el rostro apesadumbrado del abuelo o abuela que tiene que subir la cresta del barrio - algunas veces, el equivalente a 40 pisos o más, sin ascensor -; los grupos organizados en asociaciones, cooperativas e incluso las bandas "organizadas", con ritos, códigos, iniciaciones, etc...53.

I barrios partecipano in modo particolare alla costruzione della città contemporanea e della memoria spaziale urbana degli ultimi sessant‟anni. Ciò che un tempo poteva essere considerato provvisorio, transitorio, oggi deve essere interpretato come qualcosa di stabile, necessario. I barrios nella loro eterogeneità rappresentano la città a pieno titolo come le urbanizaciones con le terrazze di marmo. Non possono essere cancellati dallo sguardo umiliante della città formale, occultati da muri simbolici che allontanano il costruito urbano popolare i cui lineamenti deturpano la città gloriosa e moderna. Essi sono territori carichi di significati socio-culturali nuovi, risemantizzati quotidianamente in base ai valori del popolo che li abita. Non sono territori urbani progettati e abitati da persone che dovranno soccombere ad un ordine imposto, ma territori urbani abitati da persone che modellano il proprio ambiente circostante secondo le proprie necessità, tra cui importanza primaria riveste la socializzazione in spazi comuni e la condivisione della quotidianità. Ci sono barrios che vengono ricordati per l‟apporto alla musica popolare o perché luoghi che storicamente sono stati attivi politicamente o ancora perché si sono fatti promotori di organizzazioni comunitarie importanti, come radio comunitarie o giornali indipendenti: Hablar de un barrio como el barrio Marín en San Agustín del Sur es recordar sus aportes a la música popular urbana, el talento de jóvenes que se han destacado en la música, en la danza etc.; El Guarataro, barrio del centro, lo asociamos a años de lucha política, del mismo modo La Charneca; a algunos barrios de Las Adjuntas, como Santa Cruz, los identificamos por su trabajo comunitario (cooperativas en alimento, salud etc.); El Pedregal, en la zona este de la ciudad, lo vinculamos inmediatamente con la conmemoración de la Semana Mayor y sus Palmeros de Chacao; al barrio Santa Rosa, ubicado entre las avenidas Libertador y Andrés Bello, donde resalta una fuerte presencia de la comunidad peruana, sus fiestas en honor al Santísimo Señor (Jesucristo), celebradas a finales de octubre de cada año (desde hace 12), donde tienen acto de presencia cofadrías formadas en otras partes del país (Valencia, Maracay, etc.), le dan su distintivo como comunidad urbana que le permite ese juego dialéctico entre la homogeneidad y la diversidad54.

Ibid., p. 131 T. Ontiveros, “Caracas y su gente…la de los barrios”, in Revista Venezolana de Economía y Ciencias Sociales, vol. 8, n. 3, 2002, p. 160. 53 54

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Riconoscere queste molteplici realtà, rendere “visibile l‟invisibile” è l‟obiettivo della lotta degli abitanti dei barrios, dei consejos comunales, delle associazioni delle parroquias, dei gruppi culturali e di esperti come l‟architetto Teolinda Bolivar. Da anni lotta perché “es inadmisible, por ejemplo, que todavía se hagan planes de desarrollo urbano de ciudades sin que se consideren los barrios autoproducidos, gran parte de ellos mayores de edad y muchos nacidos en la década de los anos „50, al fragor de los gobiernos democráticos; barrios que se fundaron después de la caída de Pérez Jiménez. Además muchos semejantes, morfológicamente a otras zonas de la ciudad consideradas como parte de la ciudad formal”55. Il mancato riconoscimento di questi territori autocostruiti impedisce sul piano burocratico l‟accesso a servizi come l‟acqua, l‟elettricità, il sistema fognario oltre che l‟ottenimento di titoli di proprietà che potrebbero garantire gli abitanti di fronte ad un futuro sfratto. Ad un livello più profondo, il mancato riconoscimento esprime un‟identità urbana amputata. Una città che non riconosce i barrios de ranchos come parte del tessuto urbano, pur nelle loro carenze fisiche, è una città mancata, costruita su un ideale e non sulla realtà, sempre in fuga da sé stessa e mai realizzata. Ripete lo stesso meccanismo razzista per cui il venezuelano non riconosce l‟apporto africano e indigeno alla propria cultura e alla propria costruzione identitaria.

3.2.2 Informalità, compadrazgo e associazionismo come forme di sopravvivenza nel barrio La grave crisi economica degli anni Ottanta (si veda il Cap. II) ha portato al collasso di molti di questi territori popolari contemporanei, già caratterizzati da uno stato di precarietà e povertà. Nell‟assenza totale di politiche sociali e con l‟obiettivo di mitigare la violenta caduta dei salari e il depauperamento delle già difficili condizioni di vita, gli abitanti dei barrios si sono adoperati per non soccombere, mettendo in luce l‟ingegnosità e la creatività tipica dell‟essere umano sottoposto ad una situazione estrema, in uno sforzo autonomo per la sopravvivenza. Si tratta di strategie caratterizzate da un elemento di urgenza: la priorità diventa, in questo contesto, la soddisfazione di bisogni primari (alloggio e alimentazione), mentre i progetti a lungo termine diventano privilegio delle classi più agiate. Per aumentare gli introiti nel più breve tempo possibile tutti i membri sono chiamati a partecipare al reddito familiare (intensificazione del lavoro). I giovani abbandonano la scuola, prima del

55

T. Bolivar, J. Baldó, op. cit., p. 74.

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termine del ciclo scolastico, abortendo qualsiasi possibilità di ascesa sociale attraverso gli studi. Questo produce un senso forte di anomia e frustrazione nei confronti della propria condizione, considerata immutabile, un forte senso di sfiducia nelle istituzioni incapaci di garantire neppure una parvenza di uguaglianza sociale, ritirate a ruolo di garante dello status quo. Con la crisi del mercato del lavoro formale, il bacino di forza lavoro diventa il settore informale, precario, instabile e insufficientemente remunerato. Il lavoro informale si trasforma nell‟unica fonte di reddito, nell‟unica possibilità di sopravvivenza. Sempre più spesso si ritagliano spazi per il lavoro all‟interno delle abitazioni, dove si preparano pietanze da vendere per le strade della capitale, trasformate in luogo di commercio56. La mobilitazione dell‟intera famiglia per aumentare il reddito disponibile57, comporta una difficile riorganizzazione dell‟ambiente familiare stesso. La famiglia nucleare non potendo più reggere il carico degli impegni quotidiani, deve far appoggio alle reti sociali esistenti. Diventano di prioritaria importanza perciò le relazioni di solidarietà tra consanguinei, tipiche dei modelli culturali fortemente radicati nelle aree rurali del paese, e, come abbiamo visto, del mondo preispanico. Famiglie estese abitano nella stessa dimora58 per condividere le “Certaines études (...) ont observé qu‟entre 27 et 39% des employés du secteur informel des barrios travaillent au sein même des quartiers populaires. Le commerce au détail, depuis la preparation des boissons ou de repas vendus à bas prix au domicile même des habitants, jusqu‟au petit supermarché, en passant par les lieux de vente d‟alcool, des billets de loterie, ou encore les pharmacies populaires, représente la majorité de ces emplois, mais existe aussi le travail à domicile, notamment dans le domain de la confection (ateliers textiles), de la garde d‟enfants, ou encore le secteur des transports: les jeeps qui sillonnent les cerros de barrios de Caracas sont très souvent conduites par leurs habitants. Dans le barrio Union 28% des actifs interrogés travaillent au sein même du quartier; une partie d‟entre eux travaillait déjà dans le barrio avant de la crise, mais d‟autre y ont développé une activité depuis lors. L‟évolution des trajectoires professionelles individuelles ou familiales est éloquente à cet égard, comme en témoignent certains récits d‟habitants du quartier. (…) Placida, 61 ans, elle a dû quitter son emploi dans une usine de la ville depuis quatre ans; son mari, âgé de 73 ans, a abandonné son travail de maçon independant, et bien qu‟ils vivent avec deux de leurs enfants (âgés de 35 et 39 ans) actifs (l‟un est domestiques dans une famille aisée, l‟autre employé d‟un service public), Placida a décidé d‟ouvrir chez elle une petite boutique de sodas et d‟empanadas – petites galettes de maïs fourrées – pour compléter les revenus du foyer, et ce même si la location d‟une partie de leur maison (divisée en quatre appartements, dont trois sont loués, deux à d‟autres de leurs enfants, le troisième à des tiers) leur assure un minimum de revenus mensuels”. V. Baby-Colin, “Les barrios de Caracas ou le paradoxe de la métropole”, in Cahiers des Amériques Latines, n. 35, 2000, pp. 117-119. 57 L‟analisi dei consumi delle famiglie in condizione di estrema povertà porta ad evidenziare che la spesa per l‟alimentazione pesa nella misura del 90% sul reddito. L‟aumento dei prezzi dei beni e servizi a seguito della crisi economica provocata dall‟introduzione di misure di ajuste porta le famiglie a spostarsi su beni sostituti più economici, ma spesso meno nutrienti. Il deterioramento del consumo alimentare si riflette nell‟aumento di casi di denutrizione infantile gravi a cui si aggiungono i deleteri effetti sulla sviluppo mentale e fisico. 58 Il fenomeno di densificazione e verticalizzazione è l‟aspetto più rilevante del barrio oggi. Si costruisce il rancho lasciando la possibilità in futuro di costruire più piani, per esempio per i figli che creano un nuovo nucleo famigliare o per la famiglia del marito. Nei barrios è sempre più frequente trovare case autocostruite anche a sei piani. 56

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spese legate alla gestione domestica, e per supplire al deficit abitativo. Più famiglie condividono spazi comuni per la preparazione del cibo, per la cura dei figli di modo che le donne possano alternare gli impegni famigliari con il lavoro fuori di casa. L‟estesa rete di solidarietà tra los vecinos dei barrios conduce alcuni studiosi a considerare questi territori spazi di eccezionale socialità e solidarietà, elementi di fondamentale importanza nel momento in cui le famiglie si trovano a vivere esperienze di indicibile drammaticità o occasioni di contagiosa allegria: En él podemos captar redes parentales vecinales, mucho más intensas que en el resto de la ciudad. En este sentido, no puede hablarse del barrio como "espacio marginado", ya que participa del circuito urbano, aunque de una manera desigual y segregada. Estos espacios autoproducidos viven en extenso las relaciones de espacialidad, socialidad y cotidianidad (…) puede que en algunos momentos se observe la maximización del colectivismo" y que en otros casos se matice, pero hay una disposición a que se mantenga un sentido de solidaridad en los momentos más acuciantes de barrio59.

La reciprocità e la solidarietà umana diventa il fulcro nel processo di costruzione del rancho. L‟autocostruzione, per via dell‟enorme quantità di lavoro che racchiude in sé, assume un elevato valore e oltrepassa il semplice costo di costruzione, tanto che si fa necessario pensare al valor de uso e non al valor de precio: Existen una serie de formas de cooperación para la construcción, vinculadas a la amistad, al compadrazgo y al la solidariedad, un mundo bastante desconocido por la investigación, pero también bastante efectivo en los barrios de ranchos, donde la construcción de vivienda, además de un proceso de producción en el sentido estricto, es frecuentemente un acontecimiento social o una fiesta. La construcción realizada entre familiares, vecinos y amigos, a veces se presenta como el preámbulo de un sancocho, de una celebración; tras esa acción colectiva de construcción, tras una operación cayapa para hacer avanzar una fase de vivienda, conviven el sobre-trabajo y el alargamiento de la jornada laboral sin retribución, con la diversión y el encuentro amistoso y solidario. Hermosas relaciones humanas que encubren y hacen llevaderas las condiciones de intenso desgaste a las cuales se encuentra sometida la fuerza de trabajo de nuestros países60.

La condivisione di un cammino di solidarietà gratuita tra uomini posti nella stessa condizione di vita e di rischio fa sì che l‟energia collettiva venga a confluire all‟interno delle asociaciones de vecinos, presenti in ogni parroquia e in ogni barrio. Azioni di lotta collettiva per la difesa dei terreni occupati, l‟opposizione agli sgomberi forzati, la rivendicazione dei servizi di base, diventano obiettivi di lotta comune e tessono la trama dell‟associazionismo

T. Bolívar, J. Baldó, op. cit., p. 130. A. Lovera, Indagaciones sobre la producción de la vivienda en los barrios de ranchos: el caso de Caracas, in Revista Interamericana de Planificación, vol. 17, n. 65, 1983, p. 20. 59 60

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fin dagli anni Settanta61. Oggi l‟esperienza dei Consejos Comunales, approvati per legge l‟8 aprile 200662, si differenzia per il carattere autogestionario. L‟obiettivo è rivendicare il diritto ad essere protagonisti nella scelte di governo del territorio e affermare l‟idea che una gestione del territorio è democratica nella misura in cui è vicina agli attori locali, presta loro ascolto e agisce di conseguenza, dotandoli di strumenti di partecipazione. Si affermano come organizzazioni svincolate dalle tradizionali relazioni verticali di partito (modello top-down) e cercano di definirsi come forme di organizzazione popolare (modello bottom-up), dichiarano la volontà di creare forme di discussione e di autogestione che partano direttamente dagli abitanti dei barrios. I rappresentanti dei Consejos Comunales diventano i portavoce delle comunità all‟interno delle istituzioni politiche. La comunità ha così un canale attraverso cui poter veicolare i problemi quotidiani che è chiamata ad affrontare, sviluppando una visione sempre più matura delle forme di partecipazione democratica alla vita collettiva, eredità fondamentale per le future generazioni, che solo se svincolate da una visione “paternalistica”, riusciranno ad essere protagonisti e non spettatori del proprio futuro, aumentando autostima e fiducia nel futuro.

3.2.3 Il barrio 23 de Enero come spazio di insurgencia politica e culturale L‟attuale barrio 23 de Enero nato con il nome di Urbanización 2 de Diciembre (si veda Cap.II, scheda 2) e ribattezzato dopo la caduta del regime di Pérez Jiménez (il 23 gennaio 1958) è un complesso residenziale di edilizia pubblica, sorto con l‟obiettivo di porre fine alle barriadas pobres e sostituirle con i grandi superbloques, seguendo i dettami architettonici del razionalismo moderno di Le Corbusier. Compongono questo enorme complesso residenziale, 9176 appartamenti contenuti in 38 superbloques di 15 piani e in 42 bloques più piccoli. Dopo la caduta di Pérez Jiménez gli appartamenti ancora invenduti e non assegnati verranno occupati dagli abitanti delle baracche circostanti. Quella data segna la svolta verso una

A seguito di mobilitazioni delle organizzazioni di quartiere viene adottato dal primo governo democratico il Plan de Urgencia. Le asociaciones de vecinos vengono definite legalmente nel 1979 con la LORM (Legge Organica del Regime Municipale). Ad esse si sommano le cosiddette cayapas, organizzazioni meno formali per la costruzione, la riparazione e la fornitura di servizi per il quartiere e per la preparazione delle festività locali, e le associazioni che si occupano di iniziative culturali e sportive, create dall‟iniziativa autonoma di abitanti motivati. Da V. Baby-Colin, “art. cit.”, p. 120. Traduzione mia. 62 Sito ufficiale sui Consejos Comunales: http://www.gobiernoenlinea.ve 61

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storia di insurgencia. “Es de resistencia y su accionar es y será siempre de insurgencia”63. Racconta un abitante del 23 de Enero: Mi familia conformada por mamá y papá lograron un apartamento en el 5 piso del bloque 9, de la zona C de Monte Piedad, llamada antes La Yerbera, por cierto allí mi padre fue herido de un impacto de bala en el abdomen al ser partecipe en la caída del régimen, al igual que muchos otros... 64.

I governi che si sono alternati al potere hanno sempre considerato il 23 de Enero come un‟area subersiva, una zona roja, pericolosa per il suo “gran nivel de convocatoria y unidad para la organización en contra de la injusticias sociales, políticas y demás índoles”. Attualmente è riconosciuta internazionalmente per il ruolo centrale nel processo Bolivariano guidato dal presidente Hugo Rafael Chávez Frías. Al suo interno raggruppa un numero infinito di organizzazioni come il Círculo Bolivariano Abrebrecha, Fundación Simón Bolívar, Movimiento Revolucionario Tupamaro, Remadel, Comunidad Organizada del bloque 17, Grupo de Trabajo La Piedrita, Brigada Muralista Ernesto Guevara de la Serna, Brigada Muralista Abrebrecha, Coordinadora Simón Bolívar. Uno dei motivi catalizzatori della lotta sociale di questi gruppi fu l‟imposizione del paquete di misure neoliberiste da parte dell‟allora presidente Carlos Andrés Pérez. Quando nel febbraio 1989 bajaron los cerros, venne inviato l‟esercito e la polizia per reprimere i disordini. In verità furono uccisi e arrestati personaggi storici dei movimenti per i diritti civili e politici, sindacalisti o anche gente comune. Per questo motivo si dice che la polizia venne per asesinar al pueblo en la calle. Il senso di comunità all‟interno della Parroquia è molto forte e proviene soprattutto da una storia condivisa e da una forte identità territoriale. Storia condivisa fu per esempio la mobilitazione del barrio in aiuto alle vittime dell‟alluvione del 1999 nello stato Vargas. La comunità abilitò in quell‟occasione un ambulatorio, oggi chiamato Sergio Rodriguez, ed una scuola per ospitare le vittime. Filosofia di vita, senso comunitario, identità territoriale radicata nella collettività, memoria storica e visione del futuro condiviso sono tutti elementi che emergono nelle dichiarazioni dei curatori del sito El23.net:

Sito ufficiale del 23 de Enero: http://www.el23.net/principal.htm [Data di consultazione: 06/07/2008] 64 La historia de un combate, disponibile on line http://www.el23.net/historia23/el23historia.htm [Data di consultazione: 06/07/2008]. Da questo articolo-testimonianza è tratta la descrizione della storia del barrio 23 de Enero, e dal sito la costruzione del paragrafo in questione. 63

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Creemos y promovemos la lucha por la apropiación popular y social de los medios de comunicación. Hacemos un gran esfuerzo comunitario por servir como una herramienta de expresión de nuestros sectores populares, comunidades y barrios por tanto tiempo sumidos en un anonimato obligado y promovido a través de cientos de años, por una sociedad comunicacional burguesa, elitesca y excluyente. La lucha de "los sin voz". De aquí nace el sueño y el gran proyecto que significa el23.net, siendo vista de todas partes como uno de los sites más comprometidos con el poder popular ya que en el además de mostrarse la lucha diaria de un "barrio" presenta un concepto inspirado y organizado en la vida que se vive en la parroquia, los elementos gráficos que forman en el23.net nacen del mismo barrio, nacen de los largos días dedicados a la fotografía de sus edificaciones, pobladores, actividades, casas y en fin de cada elemento que forma al 23 de Enero, nacen de largas noches de trabajo en busca de una composición que refleje la cultura urbana que se desarrolla en la parroquia, nacen de los trabajos artísticos e ideológicos que colman a la parroquia y que la hacen ver como un museo popular o de barrios. De aquí que, esa seria nuestra verdadera visión, definición y misión: ser una herramienta para dejar constancia y proyectar hacia el mundo la rica e inagotable vida urbana cultural de nuestros sectores populares. El23.net se esfuerza por recoger ese sentimiento urbano y de barrio llano que lucha y da la pelea en el escenario más duro de la sociedad, la del día a día de nuestros sectores humildes, que aunque excluidos y muchas veces olvidados por los gobiernos de turno, ya desde hacia mucho tiempo se habían formado para la lucha, logrando instituir una revolución silenciosa, muchas veces poca difundida, una revolución, aunque invisible ante los ojos del ostentoso modelo de vida que ha asumido el mundo, es dinámica por dentro, fuerte, poderosa e indoblegable: la revolución por la vida...Interpretamos a la comunidad de nuestros barrios, como la verdadera protagonista de los cambios y procesos que se dan en nuestro país. Particularmente, a la comunidad del 23 de Enero, que se ha convertido en punto de referencia nacional e internacional, no por formar parte de las supuestas páginas rojas que a los medios de comunicación tanto les encanta resaltar. No, sino porque a llegado a representar ante el mundo lo que es capaz de alcanzar cuando en una comunidad se logra sembrar y difundir un alto nivel de organización, participación y lucha por mejorar las condiciones de vida de los habitantes de un sector, una parroquia, sin perder su esencia y sabor de barrio. Movimientos populares diversos, revolucionarios, nacidos dentro de las comunidades, han marcado la pauta dentro lo que siempre significó la necesidad de organizarse. Pero más allá de ellos, el ciudadano común de nuestro callejones y cerros, el de solo su trabajo y familia, el de fines de semanas de caballos, dominó y deportes, pero firme, vivo trabajador y luchador social, representa al verdadero protagonista del desarrollo comunitario en que se desenvuelve cada hijo de los barrios. El barrio "pare" a sus hijos, los cría para la lucha, así sea solo para esa lucha diaria por salir adelante del ciudadano común, pero con un espíritu diferente65.

La comunità del 23 de Enero possiede un giornale digitale, Sucre en Comunidad, nato all‟interno del progetto di Prensa Alternativa, destinato al popolo del barrio, ai suoi gruppi organizzati, alle fondazioni, alle reti comunitarie, ai circoli bolivariani, alla Junta Parroquial, in definitiva a tutto il Settore del 23 de Enero e delle aree vicine:

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Dichiarazioni tratte dal sito internet: http://www.el23.net/principal.htm

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Como labor comunitaria, sabemos que es un proyecto de entrega a las diferentes inquietudes, trabajos, problemas de la comunidad en general, y sus representantes. No poder cubrir con todas las expectativas que nos hemos puestos por delante a veces nos desalienta, pero la receptividad de la comunidad, sus comentarios, sus felicitaciones, sus críticas y más aun sus puertas abiertas, todo ese cúmulo de emociones con que nos colman con cada edición, representan para nosotros el estímulo semanal que necesitamos para seguir adelante con renovadas ganas. (…) Sabemos que contamos con todos ustedes, con la comunidad, porque gracias a ella nacen nuestros proyectos, sigan ustedes contando con nuestro modesto esfuerzo, reiterándoles nuestra decisión de apoyarlos en todas sus luchas comunitarias y así poder lograr la consolidación por la que estamos y estaremos luchando66.

Sia lo spazio on line, sia il giornale comunitario, esprimono la necessità di dotarsi di strumenti di espressione propri, in cui riconoscersi come comunità urbana, produttrice di cultura, libera dalla visione escludente del resto della città. Questi spazi di creazione culturale autonoma aiutano a forgiare un‟identità collettiva, ad affermarsi come differenza, portatrice di propri codici e idiosincrasie. Non avere alcun luogo dove riconoscersi, subire continuamente un modello culturale esogeno, studiato appositamente per uniformare gusti ed annullare il senso critico, è alienante e conduce ad un suicidio culturale collettivo.

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Dichiarazioni tratte dal sito internet: http://www.el23.net/principal.htm

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Figura 3.1. Barrio 23 de Enero. Fonte: http://www.el23.net/principal.htm

Figura 3.2. Barrio 23 de Enero. Fonte: http://www.el23.net/principal.htm

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3.2.4 Liberarsi dal colonialismo culturale: l‟esperienza delle associazioni afrovenezuelane Il colonialismo europeo rappresentò un‟esperienza totalizzante che colpì tutti i settori della vita sociale del Venezuela. Lo spagnolo non solo si appropriò delle terre più fertili e del governo dei territori e delle genti ma, e soprattutto, si autoproclamò custode legittimo delle arti dell‟intelletto, giustificando così la distruzione culturale e il saccheggio spirituale delle masse sottomesse. Fatto ancora più penoso, instillò loro il senso di inferiorità culturale che, con il passare del tempo, arrivò ad essere accettato come risultato di una volontà divina. L‟identità nazionale venezuelana trasmessa dalla storiografia ufficiale si è costruita dunque su di una matrice culturale europea. Le classi creole al potere ereditarono il modello occidentale come unico degno di un ruolo nella nuova società in formazione. In tempi più recenti l‟“uomo Créole” e l‟“uomo Shell”, di cui parla Rodolfo Quintero nel suo libro Cultura del petróleo, seppur nati nel territorio venezuelano, assimilano il modo di vivere nordamericano come unica espressione di progresso, relegando ogni altra manifestazione culturale nell‟ambito del primitivo, del folklorico, del popolare. Conseguenza del processo coloniale e neo-coloniale è l‟esclusione degli apporti indigeni e africani, considerati elementi negativi e perciò da occultare dal processo di costruzione identitaria venezuelana. La cultura dominante occidentale entra a far parte del vuoto identitario, provocato dallo strappo, dal desarraigo, e dispiega il suo potere di attrazione per convertire i dominati in fautori della propria stessa distruzione culturale. Spiega R. Quintero: La cultura del petróleo desde su aparición en el territorio nacional ha tenido como consecuencia el deterioro de las culturas tradicionales y de escalas de valores históricos de nuestro pueblo. Utilizando su técnica poderosa introduce una literatura basada en una visión etnocéntrica del mundo de contenido pleno de odio y prejuicios sobre nuestros pobladores. Las culturas y subculturas nacionales que han logrado escapar de la destrucción fueron condenadas a vegetar en la clandestinidad histórica. El dinamismo cultural de la nación venezolana degeneró en manifestaciones folklóricas sin articulación, hábitos de vestuarios y culinarios y un artesanado artístico, incapacitados para reemplazar la continuidad histórica de la creación literaria y científica. La pérdida de la propia estimación, el complejo de inferioridad, provocan la inhibición de la cultura y del conocimiento, condenan los venezolanos a repetir leyendas y cuentos, cantos populares y literatura para no morir espiritualmente67.

R. Quintero, Cultura del petróleo, UCV, Ediciones de la Facultad de ciencias economicas y sociales, Caracas 1968, p. 92. 67

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Contro il perverso meccanismo escludente nella costruzione del discorso identitario venezuelano, causa di complessi di inferiorità, auto marginalizzazione e anomia si fa necessario un cammino verso il recupero dell‟autostima che è anche recupero dei valori culturali da sempre relegati a spazi di clandestinità. Costruire una mappatura umana e culturale includente diventa la necessità prima per ridare nuovo senso ad una società costruita sul vuoto identitario, sul rifiuto della storia. Quintero definisce questo processo “lotta per la liberazione nazionale”. La lucha por la liberación nacional tiene entre sus finalidades principales poner fin al estancamiento cultural, restituir a nuestras culturas su tónica histórica, su fuerza de creación. Es una lucha que se propone arrancarlas de su estancamiento secular y ofrecerles nuevos marcos de expresión; nuevos elementos de su autenticidad, de su vigor, de su expansión. El hombre liberado es un hombre creador, sin limitaciones para expresar su talento en el trabajo manual, intelectual, o artístico, en sus relaciones con los demás hombres. Un individuo sin ídolos, dogmas, prejuicios; inspirado por un definido sentido de justicia e igualdad. Que es simultáneamente un individuo venezolano y un hombre universal. Este hombre puede aparecer y desarrollarse en un ambiente de florecimiento de las culturas nacionales. La cultura del petróleo [e qualsiasi stato di colonialismo culturale] tiende a impedir que el hombre logre ser él mismo y vivir en un estado de síntesis creadora con otros seres o cosas68.

Nel tentativo di un recupero dell‟identità soffocata dal giogo monoculturale plurisecolare, si collocano le esperienze delle associazioni afrovenezuelane, portatrici di nuove dinamiche culturali69. L‟intento è di costruire un discorso “del negro venezolano” e non “sobre el negro venezolano”70, ossia un discorso che provenga direttamente dalle comunità stesse. Non siamo di fronte alla rivendicazione di un‟identità cristallizzata nel passato e che si vuole immobile nel presente. La cultura afrovenezuelana urbana rappresenta quella forza dinamica di cui parla Chombart de Lauwe, una forza creatrice, attiva, in continuo stato di mutazione come lo sono le città contemporanee, dove gli elementi culturali si sommano e prendono nuovi percorsi, sotterranei e resistenti. Numerosi sono i gruppi nati nei barrios caraqueñi per ridare dignità a pratiche culturali popolari di origine africana: il gruppo Cañon il cui nome significa “l‟alba di una nuova R. Quintero, op. cit., (1968), p. 92-93. L‟etnologo francese P.H. Chombart de Lauwe definisce la dinamica culturale come il risultato di processi psico-sociali che permettono agli individui e ai gruppi di prendere coscienza del proprio potenziale creativo, di trasformarsi in soggetti attori. La cultura-creazione e la cultura-azione sono l‟anti-dominio, la non-sottomissione, l‟opposizione alle ideologie di potere. P.H. Chombart de Lauwe, 1988, p. 27, citato in T. Bolívar, J. Baldó, op. cit., p. 129. 70 I. García, Representaciones de identidad y organizaciones sociales afrovenezolanas, in D. Mato, Estudios y otras prácticas intelectuales latinoamericanas en cultura y poder, CLACSO, Caracas 2002. Disponibile on line: http://bibliotecavirtual.clacso.org.ar/ar/libros/cultura/garcia.doc [Data di consultazione: 07/02/2008] 68 69

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epoca”, presieduto da Ricardo Linares; l‟Asociación Cultural Urbana (che raggruppa associazioni come Cañon, Tambor y Cuerdas, Tradición y Canto, Cumbe, el Bambú, La Patria Buena, el Pueblo para el Pueblo), diretto dall‟afrovenezuelano Charles Nora, il cui lavoro in rete con altri barrios vuole riunire iniziative altrimenti isolate; il gruppo Cumbe, un‟associazione musicale del barrio Lomas de Urdaneta, diretto da Arnoldo Barriso; il gruppo Un solo Pueblo a San Augustín del Sur, barrio che riceve in particolare l‟immigrazione di Barlovento, e che sperimenta percorsi di ricerca delle radici popolari della musica venezuelana. Sono queste solo alcune delle organizzazioni che vogliono rompere con le visioni refrattarie, monolitiche sulla tradizione africana. Spiegano la condizione sociostorica e culturale, stabiliscono un dialogo permanente tra il passato e il presente, riscattano gli apporti degli afro discendenti rendendoli visibili nella costruzione della cultura venezuelana, e di riflesso nella cultura urbana, lottano per porre fine al processo di blanqueamiento e di colonizzazione interna, che costruisce le sue segregazioni urbane e cancella dalla mappa della città i territori auto costruiti contemporanei.

Figura 3.3. Sincretismi religiosi. Altare della chiesa di Chuao. Nadia Riolo.

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Capitolo quarto 4. ITINERARI URBANI NELL’EMERGENZA SOCIALE E USI ALTERNATIVI DELLA CALLE

La gestione corrotta dell’economia petroliera, la virata negli anni Ottanta verso politiche di aperto stampo neo-liberista, l’adozione di misure di austerità e la definitiva caduta del sistema bancario, hanno condotto ad uno spaventoso deterioramento delle condizioni di vita delle masse popolari venezuelane. Costretta ad adottare nuove soluzioni per non soccombere di fronte all’assenza di politiche sociali, la maggioranza “marginale” 1 che si estende nell’Oeste 2 della città di Caracas, si fa portatrice di strategie, pratiche, valori e regole comportamentali che rientrano in quella che i sociologi Yves Pedrazzini e Magaly Sanchez3 definiscono culture d’urgence. L’economia informale, le nuove reti familiari allargate (il modello di post-parenté populaire), l’occupazione “illegale” dei terreni e il sistema di autoproduzione della propria dimora, sono attività riconducibili ad una situazione di emergenza sociale. Esse si propongono come risposte dolorose e allo stesso tempo creative del popolo posto di fronte alla crisi. In tale contesto emergono nuove legittimità sociali e nuovi modelli di socializzazione. Famiglia, scuola e lavoro diventano realtà precarie, instabili, vittime della crisi economica, mentre è la strada che diventa sempre più il luogo di formazione di un’identità sociale, di una dimensione personale e affettiva. E’ nella strada che la cultura giovanile dei barrios di Definire un essere umano come un “marginale”, significa costruirne l’esclusione e l’alienazione. Significa considerare che la povertà costituisce un dis-valore intrinseco alla persona e non un risultato della società. La povertà diventa colpa da espiare nello spazio extra-muros di una società che esclude chi non è più in grado, o non lo è mai stato, di rientrare nell’unico ciclo considerato degno: iperproduzione e iperconsumo. 2 Sulla simbologia Este-Oeste si legga l’articolo di José Roberto Duque in: http://discursodeloeste.blogspot.com/2006/12/el-discurso-del-oeste-apuntes-iniciales.html. [Data di consultazione: 09/09/2008]. 3 Y. Pedrazzini è sociologo e Dottore in Architettura presso l’EPFL, ricercatore e insegnante presso il Laboratoire de sociologie urbaine (LaSUR) dell’EPFL. I suoi lavori sullo sviluppo delle città e delle culture urbane, sul fenomeno della violenza e della sicurezza, l’hanno portato a lavorare dal 1987 in America Latina e a collaborare con Magaly Sanchez, Professore presso l’Istituto di Urbanismo, Facoltà di Architettura, UCV e attualmente senior researcher presso l’università di Princeton, ed esperta barriologa. 1

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Caracas prende forma. Nella sua intricata realtà, il callejón del barrio, che sale inerpicandosi tra le baracche di lamiere o case di mattoni in perenne stato di realizzazione, aprendosi in spiazzi trasformati in campi da basket improvvisati e interrompendosi in modo inaspettato, diventa lo scenario in cui si muovono i personaggi più estremi di una cultura che ha a che fare con il dramma, l’immediatezza, la caoticità del vivere. Malandros, bandas (gangs, maras in altri contesti) e bambini di strada sono le figure controverse della città dei barrios. Scopo di questo capitolo è presentare una realtà complessa e tuttavia semplificata da un’informazione che, facendo leva sulle paure collettive, mette in guardia sulla pericolosità degli hampas, marginales e antisociales piuttosto che interrogarsi sulle cause e riscoprire le potenzialità infinite che risiedono nei barrios. Lo sguardo pietoso e accusatorio non fa altro che alimentare l’esclusione, nonché l’autoesclusione, il ripiegamento in sé stessi e la convinzione di possedere un difetto congenito che impedisce la liberazione del Sé autonomo e creativo. Si è tentato perciò di andare al di là delle fredde statistiche sulla delinquenza e di tirar fuori dallo scompartimento stagno dell’illegalità i personaggi più estremi dei barrios per trovare una loro nuova collocazione. Nel fare questo si sono analizzati taluni aspetti (crisi economica, mancanza di politiche sociali, misure repressive) spesso oscurati da una lettura superficiale e manichea della realtà, capace di una sospensione accusatoria solo nel momento in cui pratiche illegali vengono originate da certi settori della società “legittima”. Significativa mi pare la dichiarazione d’intenti nella ricerca condotta da Y. Pedrazzini e M. Sanchez tra i giovani dei barrios di Caracas, che condivido in questo percorso: “Nous ne cherchons ni à glorifier, ni à refuser ces modèles nouveaux. Nous cherchons simplement à comprendre ces transformations, ce passage d’un modèle à l’autre, afin de comprendre comment la ville d’aujourd’hui construit la civilisation urbaine de demain. Quand on parle de la détérioration des mécanismes «classiques» d’intégration sociale et, parmi eux, de la famille comme institution de base touchée (et coulée?) par le cours de l’histoire, nous ne nous référons pas, comme beaucoup de psychologues ou sociologues, au fait que, dans le barrio «la famille n’existe plus», que «les gens du barrio n’ont plus le sens des valeurs», n’ont plus de «sentiments» ou encore que «dans les barrios, les gens ne savent pas éduquer», que «les habitants des quartiers populaires sont incultes», que «les mères n’y prennent pas soin de leurs enfants», ou simplement «n’aiment pas leurs enfants», autant d’argument absurdes manipulant l’hypothèse de la barbarie du pauvre et des classes dangereuses, arguments paraissant caricaturaux ainsi égrenés mais intériorisés par la plupart des membres des classes moyennes et crus une fois vus disséminés dans les pages de livres sérieux ou de quotidiens

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«démocratiques». Il est vrai que dans le barrio la famille «idéologique» n’existe plus. Reste cependant la famille réelle, que nous cherchons à comprendre”4. Punto di partenza nella stesura di questo capitolo è stato aprire spazi di riflessione sul concetto di violenza ritenendo utile farne emergere una forma “strutturale” ed una “criminale”5. La prima è quella di uno Stato che costruisce un modello di sperequazione in cui il ricco vive il privilegio come atto dovuto e naturale, mentre al povero non vengono garantiti neanche i diritti fondamentali. E’ uno Stato che non prevede alcun tipo di risposta sociale al problema del lavoro e dell’abitazione, che da sempre si è posto come garante delle élites garantendo loro spazio fisico e legislativo per crescere ed agire indisturbate, sottraendo risorse e capitali all’intero paese. Questo stesso Stato oggi tenta di ricomporsi grazie alle Misiones, uno spiraglio di concretezza per un popolo costretto alla fame da decenni di corruzione e drastiche misure economiche. La seconda forma di violenza, quella criminale, è quella dei giovani delle gangs cresciuti in un ambiente in cui il deterioramento delle condizioni di vita ha reso opaco il confine tra bene e male e in cui la mancanza di una visione aperta al futuro, di momenti di affermazione e integrazione sociale, hanno trasformato la rabbia compressa in atti di violenza. E’ una violenza alimentata da altra violenza: quella delle carceri dove i giovani che delinquono non troveranno una “riabilitazione”, ma una ripetizione in termini più drammatici delle dinamiche del mondo esterno. Difficilmente si tende a riflettere sui diversi gradi di violenza, sulla sua natura o traiettoria. Per lo più si pensa che il mondo sia una struttura binaria in cui collocare il Bene e il Male. Perciò, anche nella società urbana di Caracas, è prassi comune indicare che il Bene stia da una parte, ossia nelle urbanizaciones di Chacao, Altamira, Palos Grandes, mentre il Male stia oltre il confine immaginario, dove inizia l’ovest abitato dai barrios. Lì vivono i malandros, disegnati come anime oscure che animano il mondo della notte, capaci solo di seminare morte per futili motivi (rubare un orologio o delle scarpe di marca), bruciati dalle droghe e da una vita sregolata. Così sarebbe la Caracas dei barrios per tutti coloro che non vogliono vedere oltre. Ma i barrios sono molto di più, così come lo è la sua figura emblematica, attore urbano per eccellenza. Il malandro è oggi il capro espiatorio per la Y. Pedrazzini, M. Sánchez, Malandros, bandes, gangs et enfants de la rue, Editions Charles Léopold Mayer, Paris 1998, p. 156. Disponibile anche in versione digitale: http://www.eclm.fr/index3.php. 5 La sociologa Magaly Sánchez distingue tra violencia estructural, “expresión de la creciente desigualdad social , la exclusión social, y la persistente pobreza ahora creciente a raíz de la imposición de políticas económicas de orden neo-liberal”, e violencia criminal che si esprime “en las formas de bandas de jóvenes, mafias criminales y carteles de droga”. M. Sánchez, El ciclo “perverso” de Violencia e Inseguridad como relación de poder en América Latina, in Violencia, Criminalidad y Terrorismo, AA.VV., Editorial Fundación Venezuela Positiva, Caracas 2005, p. 3. 4

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società formale. L’immagine del malandro – e di riflesso del barrio - ci giunge come figura cristallizzata: el hampa emarginato e violento che terrorizza la città. Proporre un’immagine più profonda del personaggio e della cultura del malandraje descrivendone l’universo di appartenenza, e il potere simbolico che acquisisce rientrando con una sua corte (la Corte Malandra) nel culto popolare per eccellenza di María Lionza, sarà il secondo obiettivo del presente capitolo. Anche se oggi le armi e il traffico di droga hanno estremizzato la figura del malandro (la globalizzazione è anche globalizzazione della violenza), egli conserva una sua capacità riabilitativa, come nel caso in cui per proteggere il barrio dai “cattivi” diventa il protettore della comunità6. Proprio da questa capacità riabilitativa e legame con il territorio possono partire progetti in cui il malandro diventi parte attiva nella realizzazione. Costruire un personaggio socialmente connotato e chiuderlo in una gabbia lessicale e simbolica, significa condannarlo ad una vita senza possibilità di redenzione. La vera svolta si otterrà quando si comincerà a concepire l’individuo non come capro-espiatorio dell’ambiente ma come soggetto attivo che se adeguatamente motivato a rafforzato può trasformarsi in agente di cambiamento. Come scrivera Franz Fanon in Peau Noir, Masques Blancs “non si otterrà la liberazione del complesso di odio, a meno che l’umanità sappia rinunciare al complesso del capro-espiatorio”7. Tentare di scoprire se è possibile sfruttare le energie ribelli dei malandros e dei delinquenti per il raggiungimento di scopi sociali, non solo è una cosa possibile, ma un esperimento interessante e rivoluzionario. Lo sfruttamento, la perdita di risorse umane giovani e vigorose, è inaccettabile per la società intera. E’ da questa consapevolezza che deve ripartire una ricostruzione del tessuto sociale, altrimenti non si potrà far altro che pensare che gli interessi della criminalità organizzata, che trovano nelle aree di disperazione e alienazione facili prede ed economica manovalanza, sono più importanti dell’umana felicità e pace sociale. Scriveva Kenneth Clark in un suo studio sui ghettos negli anni ’60 che “l’importanza d’interessare, o cercare d’interessare, i giovani che sono stati classificati come delinquenti o trasgressori nei veri problemi della società e nell’azione sociale è duplice: primo Il caso del barrio Marín è un esempio di uso virtuoso dell’aggressività del malandro, rivolta verso la protezione dei macchinari e delle persone durante le riprese del film-documentario “El Afinque de Marín” sulla storia del Grupo Madera. A proposito di quell’esperienza si testimonia che “todo el Grupo Madera se puso en movimiento y contagiaron de tal efervescencia a los inmediatos. Los primeros en cooperar fueron los malandros, a quienes se les llamó para que, por lo menos en esos momentos de preparación de la actividad, asumieran una actitud de protección y de salvaguarda de la integridad de los presentes, entonces los chicos malos fueron los chicos buenos y se les encomendó ser «la comisión de disciplina». La proyección dejó entonces el gran gusto de «ese es nuestro barrio», somos capaces por encima de cualquier cosa, identificarnos con el porvenir, podemos dar una imagen distinta de un barrio a lo que es la droga, la violencia y el desorden”. Dal sito http://www.nodo50.org/alameda/salimosen.php [Data di consultazione: 10/10/2007]. 7 F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche: il nero e l'altro, Tropea, Milano 1996, p. 152. 6

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potrebbe offrire loro il tipo di nozione e comprensione della loro condizione capace di sollevarli dal bisogno di agire sotto la spinta delle frustrazioni in maniera autodistruttiva; secondo, solleciterebbe e incanalerebbe la sensibilità e l’energia dell’individuo che ha una personalità abbastanza forte da ribellarsi con aperti atti di sfida piuttosto che sprofondare nell’apatia” 8 . Energie che andrebbero a vantaggio della comunità intera, perché “nella rabbia generalmente repressa degli alienati v’è imbrigliata abbastanza forza da causare profondi mutamenti sociali, nelle forme di subcultura deviante in cui attualmente questa rabbia si esprime, vi è molta energia e molta immaginazione”9. Il barrio, così come il malandro, rappresentano l’elemento patologico che viene allontanato dalla società altra. Da loro prende le distanze per affermare la sua diversità rassicurante. Frutto della situazione di apertheid sociale e urbano è la perdita di autostima che blocca la trasformazione, il sentimento di impotenza e la mancanza di speranza verso il futuro che soffoca qualsiasi azione e spinge a vagare nell’immobile presente in cui rabbia e apatia si condensano in un disumano torpore o in drammatici atti di violenza. Partendo da questa constatazione ho cercato nel mondo dei barrios delle esperienze di riscatto umano e sociale, e le ho trovate nella cultura e nell’arte. Scrive Bauman “la cultura riesce in qualche modo a trasformare l’orrore della morte in una forza motrice della vita” 10 . Il caso del progetto di Abreu di creare un Sistema di Orquestas Infantiles y Juveniles con i bambini dei barrios e delle realtà periferiche del paese, nonchè la pianificazione partecipata delle attività ricreative del Núcleo Endógeno Tiuna el Fuerte sono esperienze di grande valore simbolico, vissute e partecipate prima di tutto emotivamente dalla gente. La liberazione attraverso queste esperienze dell’universo emotivo dell’individuo indirizzato alla creazione di qualcosa di strutturato e condiviso con la collettività costituisce la chiave di lettura del successo umano. Esperienze di riscatto sociale, di prevenzione della devianza giovanile, diffondono il messaggio che i barrios sono portatori della loro stessa salvezza, possiedono quel capitale umano che deve essere sostenuto e non lasciato ad un destino autodistruttivo. In questo passaggio è mio parere utile ricordare le parole di Franz Fanon, quando parlava della liberazione dei popoli colonizzati, oppressi non solo materialmente ma alienati, umiliati, cui è stata inculcata loro la paura, il complesso di inferiorità, la soggezione, la disperazione, il servilismo. La cura possibile agli effetti dell’alienazione, della spersonalizzazione, dell’inferiorizzazione culturale, sosteneva, è la presa di parola da parte dell’indigeno, la sua

K. Clark, Ghetto Negro: L’universo della Segregazione, Torino, Einaudi 1969. Ibid., p. 87. 10 Z. Bauman, Vite di scarto, GFL Editori Laterza, Roma 2007, p. 40. 8 9

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materiale soggettivazione politica, ovvero il violento rovesciamento del mondo coloniale. In un mondo, quello di oggi, in cui assistiamo a logiche post-coloniali di violenza, di sfruttamento, di segregazione economica, urbana, culturale che giustifica un doppio regime di cittadinanza, negazione dei diritti giuridici fondamentali il messaggio radicalmente umanista di Fanon è più che mai attuale. Il rovesciamento del mondo coloniale può essere inteso come rovesciamento dello sguardo coloniale sull’oppresso, che giustifica lo stato di segregazione ed esclusione. A questo sistema escludente, individualista e predatore va sostituita una società di relazione, di riconoscimento reciproco, di uguaglianza. “Reclamo che si tenga conto della mia attività negatrice nel senso che perseguo cose che non sono nella vita, nel senso che lotto per la nascita di un mondo umano, vale a dire un mondo di riconoscimento reciprico”. Atto mancato nella società caraqueða è il riconoscimento dell’Altro come portatore di una complessità simbolica e esistenziale irriducibile ad una sola dimensione. Il barrio è stato da sempre considerato elemento estraneo alla città. La non città e i non cittadini non sono stati mai inclusi nel linguaggio e nelle pratiche urbane. Oggi attraverso esperienze di pianificazione partecipata, di elaborazioni culturali e artistiche, di recupero della propria memoria, affermano il diritto alla città, una città in cui venga riconosciuta l’alterità, l’altro da sé, come componente fondamentale di una città che dialoga e si trasforma. Oggi il linguaggio politico ha dato spazio alle esperienze dei barrios, e al popolo dei barrios. E’ giunto il momento in cui anche l’altra parte di Caracas incoraggi l’altro ad essere chi egli davvero è.

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4.1 EMERGENZE SOCIALI E SPAZI METROPOLITANI

Si dice che i bambini e gli adolescenti sono ormai considerati “indicatori economici”; aggiungo che i bambini e gli adolescenti sono “indicatori etici” della società, cioè ne mettono in evidenza la salute mentale o la follia moderna, a partire da questo indicatore etico, con il suo modello economico che crea esclusione, deve essere dichiarata insana, produttrice di miseria, di fame e di ingiustizia, produttrice di follia. Padre Julio Lancellotti La alfabetización, y por ende toda la tarea de educar, sólo será auténticamente humanista en la medida en que procure la integración del individuo a su realidad nacional, en la medida en que le pierda el miedo a la libertad, en la medida en que pueda crear en el educando un proceso de recreación, de búsqueda, de independencia y, a la vez, de solidaridad. Pablo Freire

4.1.1 Culture d’urgence nei barrios di Caracas La crisi economica degli anni Ottanta in Venezuela ha rappresentato un “fatto sociale totale”. Mentre il paese affondava nella povertà più assoluta, una piccola isola felice continuava a dominare le sorti del paese, sostenuta da un falso e corrotto sistema democratico che dimostrerà presto il suo volto repressivo. Lo Stato, trasformatosi esclusivamente in garante dei rapporti commerciali e finanziari, applicò in toto le ricette economiche di stampo neo-liberista suggerite dal FMI, smantellando i servizi sociali e aggravando le condizioni già precarie dei barrios. Il Caracazo fu l’apogeo di una crisi che durava ormai da tempo e che costringeva la società a modalità inconsuete di sopravvivenza. L’informalità come soluzione per la sopravvivenza incomincia a trasformare la società e la cultura urbana in cui l’improvvisazione diviene il gesto quotidiano che sostituisce la progettualità. I sociologi Yves Pedrazzini e Magaly Sánchez, autori del libro Malandros, bandes, gangs et enfants de la rue: culture d’urgence à Caracas definiscono questo substrato, culture d’urgence. Essa non si limita alla quotidianità di Caracas o di altre città latinoamericane crollate sotto il peso delle misure neoliberiste11. La cultura d’urgenza si trova anche in alcuni contesti della vecchia Europa. “La cultura d’urgenza è il nuovo stato della cultura urbana, una cultura nata dalla destrutturazione urbana che vive oggi la metropoli latinoamericana, ma per alcuni aspetti anche la città europea. I problemi di Rio de Janeiro o San Paolo, si avvicinano, al di là delle singole specificità, ai problemi di Napoli, Dublino, Liverpool o Manchester, città dal futuro informale. La sopravvivenza quotidiana, l’economia informale, la “delinquenza alimentare” sono anch’essi dei problemi europei. (…). La 11

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La “cultura dell’alta tecnologia”, considerando le pratiche informali degli abitanti del barrio come risultato dell’“inciviltà” del povero esclude gli abitanti dei barrios e costruisce frontiere invalicabili esntro le quali sentirsi al riparo in un mondo artificiale e asettico. Una chiusura ermetica che non lascia possibilità di appello. Del resto la società high-tech può costruire la sua continua crescita solo sul meccanismo dell’esclusione delle masse povere al processo di redistribuzione delle ricchezze, di nuovi saperi e di nuove tecnologie. La società ad alto contenuto tecnologico e ad alti livelli di reddito, lanciano il loro messaggio categorico: per i barrios non vi è spazio né futuro in una città che si vuole inserita nel processo di globalizzazione. Tale messaggio ha risvolti distruttivi soprattutto sui giovani con poche risorse, consapevoli che mai potranno acquisire un vantaggio competitivo, fintantoché si neghino loro gli strumenti basilari dell’educazione, con la conseguente impossibilità di conseguire un lavoro, di apprendere un mestiere, un’arte che dia senso e speranza alla vita e che riesca a ricollocare simbolicamente l’individuo nella società. Non fare questo significa destinarli alle attività di scarto della società altamente specializzata. Esta esclusión del mundo productivo, con lo que el trabajo tiene no solo de medio de vida sino también de modo de vida, de camino para cualificarse a si mismo y ocupar un lugar en el mundo, y simultaneamente esta compulsión a vivir como espectador, virtualmente, con lo que esto entrana de vivir una vida reactiva y vicaria, no una vida propia y libre, crea en los adolescentes una identidad impostada, que sustituye en cierto modo a su propia identidad, y que sobre todo abre un camino para la autoconstitución que no tiene que ver con la constitución del sujeto en el intercambio simbiótico con el mundo sino con el investir personajes magicamente, es decir asumiendo sus caracteristicas exteriores que los identifican. Pero además asumir esas contraseñas cuesta mucho dinero, lo que implica que tienen que explotar a su familia o autoexplotarse en empleos basuras para adquirirlas. De ahí la propensión a usar el cortocircuito de la venta de la droga o de la violencia12.

La presa di coscienza che i canali di accesso che consentano un riscatto sociale dallo stato di povertà sono recisi, la mancanza di possibilità di accedere al mercato del lavoro, all’istruzione uguale per tutti, il rifiuto cioè della società Altra, così debole numericamente ma così potente ed influente, conduce ad uno stato di alienazione che favorisce derive di cultura d’urgenza trova espressione nelle azioni dei piccoli criminali e nell’inesorabile ricerca del pane quotidiano dei bambini di strada in Colombia e in Brasile, in Russia e in Romania. Si esprime in Sud Italia come in Messico, nella fatica e nell’energia dei venditori ambulanti, all’angolo della strada o nel traffico, in quei gesti urbani segnati dall’estrema incertezza del domani. In una realtà così destrutturata, la formalità (economica, sociale, culturale) del lavoro è un lusso che non tutti possono permettersi, e quando i problemi economici si moltiplicano, si tira avanti come si può. Tracciando nuovi percorsi nella città, gli esclusi sopravvivono giorno per giorno tra disoccupazione, delinquenza, lavoro nero”. Lavoro di tesi dottorale di Y. Pedrazzini, p. 170. Traduzione mia. 12 P. Trigo, La cultura del barrio, Universidad Católica Andrés Bello, Fundación Centro Gumilla, Caracas 2005, p. 123.

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violenza e aggressività. L’effetto è quello delle banlieues parigine, del Caracazo, delle maras nelle città latinoamericane e delle gangs nei ghetti delle metropoli americane. L’analisi condotta da Kenneth B. Clark in Dark Ghetto negli anni Sessanta continua ad essere di estrema attualità: Il delinquente dichiarato, il ribelle che si espone, cerca la propria salvezza in forme provocatorie, aggressive e, tutto sommato, autodistruttive. Visto che la società più vasta lo ha chiaratamente respinto, egli a sua volta respinge, o sembra respingere, i valori, le aspirazioni e le tecniche di quella società. Che ne sia consapevole o no, egli sostiene di non poter sperare di acquistare stima in sé stesso attraverso le vie che in genere sono a disposizione degli individui più privilegiati 13.

In una società che non vede l’Altro come possibile interlocutore e che nasconde l’esistenza del figlio menomato, alimentando l’autoesclusione, la lotta per la sopravvivenza diventa una lottta comune contro il senso di morte fisica e simbolica. Oltre alla lotta per la vita i gesti estremi della cultura d’urgenza diventano l’unico modo per affermare il proprio onore, la propria identità di fronte all’oblio e al non riconoscimento. La cultura d’urgenza invece si impone rifiutando l’esclusione. E’ un sussulto contro il sentimento di colpa che da sempre è stato inculcato al povero, tipico vaccino contro l’insurrezione popolare 14 . Il malandro, i membri delle gangs, i gruppi di autogestione nei barrios, a loro modo esprimono una cultura d’urgenza, il rifiuto del sentimento di colpa come pratica di controllo e annunciano la futura invasione di spazi a loro reclusi. Ils défendront leur honneur, leur statut, leur identité d’autant plus violemment que leur situation économique sera grave. En situation d’urgence sociale, la multiplication de ces moments extremes peut s’expliquer par le manque de nuances possibles dans la négociation. Ce qui est mis en jeu, c’est la vie entière, c’est tout ou rien, parce que ce qui existe encore, c’est cela: le tout, l’etre, l’identité, ou le rien, le déshonneur, la nonreconnaissance sociale, la disparition, la mort15.

In una città in cui le politiche sociali sono state assenti o inefficaci tali da aver prodotto eserciti di popolazione alla fame, non solo senza possibilità di riscatto sociale ma anche senza possibilità di affermazione identitaria, si assiste a esplosioni di malcontento, il cui grado di violenza è direttamente proporzionale al livello di oppressione o di imposizione di modelli culturali, economici e politici esogeni. La violenza dei soggeti urbani esclusi, può essere così percepita come la punta dell’iceberg di un situazione di violenza ordinaria del sistema. K. Clark, op. cit., p. 37. Sentendosi colpevoli della miseria, il povero chiede perdono a coloro che non lo sono, per vivere nella miseria e non poter contribuire allo sviluppo economico del paese. Colpa e macchia di cui il povero si fa carico. 15 Y. Pedrazzini, M. Sánchez, op. cit., p. 224 (versione digitale). 13 14

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Ne voyons donc pas dans les réglements de comptes entre bandes des actes totalment sordides et mesquins, ou pathologiques. Nous faison l’hypothèse que, même si les raisons économiques ne sont pas absentes ou même constituent le motif apparent d’un assasinat, il ne faut pas y voir l’explication sociale: les assassinats commis par les bandes d’adolescents ou les malandros du barrio sont la crème de la violence ordinaire de la métropole que constitue sa déstructuration (inefficacité des services, famille éclatée, chomage, mère-adolescentes, malnutrition, maladies, inflation)16.

4.1.2 Violenza metropolitana: una responsabilità collettiva Per comprendere le manifestazioni di violenza, che a parere di una buona parte dei media è a uso esclusivo dei barrios, non è possibile, a mio parere, sorvolare su alcuni fenomeni che verranno richiamati in questo paragrafo a sottolineare che quando la violenza permea una società ed un sistema economico e politico, si fa cioè strutturale, i risvolti che si presentano all’interno della collettività non saranno altro che il riflesso di un meccanismo perverso che si autoalimenta. Il Venezuela di Carlos Andrés Pérez il Venezuela era ormai considerato una paese con una democrazia affermata. Eppure, proprio negli anni Ottanta, una commissione di Amnesty International17 in visita nel paese, redige un documento scottante che descrive una realtà non lontana dal Brasile degli squadroni della morte. In questa relazione Amnesty International evidenzia numerosi atti di violazione di diritti umani, in particolar modo nei confronti di minori di età, appartenenti alle classi meno abbienti della società. Tali violazioni venivano perpetuate durante le operazioni di polizia volte a porre freno alla delinquenza e al controllo di aree di frontiera, o nei centri statali di detenzione. Nel documento, si accusa la Policía Metropolitana (PM), la Policía Municipal (PM), la Policía Técnica Judicial (PTJ), la Guardia Nacional (GN), l’esercito venezuelano, il personale delle carceri e le altre unità speciali delle forze di sicurezza, di atti di tortura e di esecuzioni extragiudiziali, nonché di detenzione arbitraria e maltrattamenti. La polizia era solita occultare un’arma nelle mani dei ragazzi uccisi di modo che si potesse parlare di legittima difesa anziché di omicidio volontario. Il documento riporta alcune testimonianze dirette lasciando intendere che vi fosse un numero certamente superiore a quello dichiarato. Paura di ritorsioni, mancanza di testimoni, vittime che spesso risultavano privi di identità18 o ancora sfiducia nella giustizia, i Ibid., p. 224 (versione digitale). Amnesty International, Venezuela: El llanto silencioso: graves violaciones de derechos humanos contra niños. On-line: http://www.amnesty.org/en/library/asset/AMR53/013/1997/es/domAMR530131997es.html. [Data di consultazione: 03/04/2008]. 18 Uno dei programmi del governo chavista è stato cercare di arginare tale problema atrraverso Misión Identidad. 16 17

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fattori che disincentivavano a denunciare le violazioni. Una tale degenerazione dello Stato di Diritto, le violenze ripetute da parte della Polizia, il sistema giudiziario corrotto, genera nella società un sentimento di impotenza di fronte all’uso spregiudicato del potere. In una tale situazione non è più possibile costruire linee di demarcazione tra il bene e il male, né credere all’esistenza di un’autorità superpartes che applichi la legge in modo egualitario. La violenza diventa così un elemento che impregna la società e che continua ad autoriprodursi: Ante la ausencia de modelos adecuados a seguir, la no universalización de los derechos, el incumplimiento de los deberes, y el deterioro de la moral pública, el individuo ya no sabe que esperar del otro quien, al igual que él, ya no esta respetando las normas de acción concertadas que rigen las convivencia entre los ciudadanos. En adelante lo más importante será la satisfacción del yo, sin importar que los medios para su consecución tropiecen con los intereses de los demás. Se percibe una amenaza por parte del otro y se responde siguiendo esta creencia19.

Il sistema carcerario venezuelano, anziché puntare a riabilitare la persona che ha commesso un reato e prepararla ad un reinserimento nella società, amplifica la rabbia e la violenza verso un sistema iniquo. La vita in carcere ripropone difatti lo stesso modello di violenza che i giovani reclusi porteranno con sé una volta fuori dalla prigione, all’interno dei barrios: Las riñas y motines se presentan por los conflictos de poder, ya que (...) todos quieren ser líder. Aquellos que tienen el poder dentro de las celdas son los que cobran una "causa", es decir, dinero a los demás reclusos para protegerlo o simplemente para poder vivir tranquilos en celda, con este dinero ellos compran armas y drogas. La frase "yo soy más que tú porque tengo una pistola" hace ilusión a la importancia de estar armado dentro del penal (...) la pistola llega a convertirse en un atributo de la persona, que le da prestigio y respeto …20.

Le carceri venezuelane vivono negli anni ’90 un momento di recrudescenza di violenza. Le mattanze verificatesi all’interno degli istituti di pena evidenziano come il carcere sia diventato il luogo in cui isolare i rifiuti umani della società, i quali non potranno mai aspirare ad una redenzione: l’omicidio di più di sessanta reclusi nel novembre del 1992 a Retén de Catia, una prigione di Caracas; la morte di un centinaio di detenuti nella prigione di Sabaneta, Maracaibo, nel 1994. Nella maggior parte dei casi il personale penitenziario, rimasto impunito, aveva partecipato direttamente agli omicidi. Altri ventisette reclusi, tra cui un minore, morirono nella prigione La Planta, nel barrio Paraíso, a Caracas, come

K. C. Del Busto Valdéz, Condiciones de producción del delito en Venezuela. Un estudio desde la perspectiva de un grupo de reclusos, Programa Regional de Becas Clacso 2001, p. 5. Disponibile on-line: http://bibliotecavirtual.clacso.org.ar/ar/libros/becas/1999/delbusto.pdf 20 Idid., p. 13. 19

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consequenza dell’assalto dei membri della Guardia Nacional, il 22 ottobre 1996. La droga e le armi che circolano nelle prigioni con la complicità delle guardie carcerarie diventano causa prima della violenza, nelle prigioni come nei barrios. La droga è divenuta la causa strutturale della violenza. Occorre tuttavia sottolineare che la droga è entrata nei barrios da fuori, da un sistema complesso che ha a che fare con i traffici internazionali e che trova in questi angoli reclusi dal mondo, luoghi ideali in cui reclutare consumatori e spacciatori. Con la droga la violenza ha assunto modalità estreme e con essa le armi rappresentano il miglior modo per acquisire e mantenere potere di fronte ad una concorrenza crescente, nonché l’unico modo per sentirsi una persona degna di rispetto e prestigio: Si no hubiera droga, la actuación de la policía sería más trasparente; y no habría modo de financiar ni la tenencia de armas ni modos de vida absolutamente artificiales. La droga es hoy por hoy la causa próxima más importante de la violencia en los barrios, en el doble sentido de que asaltan consumidores para obtener recursos para drogarse y matan porque no saben lo que hacen, porque lo hacen bajo efecto de la droga, y en el de que se matan las bandas entre sí por problemas de distribución de drogas y bajo efecto de las mismas. Es claro que la solución de este problema está fuera del barrio, y que no se resuelve porque en él estan implicados tanto policias como políticos y hombres de negocios21.

Uno studio condotto da Lacso sui motivi che spingono a compiere atti delittivi – sulla base di interviste raccolte nel carcere La Planta di Caracas – indica che la causa prima dell’omicidio è la vendetta. Per la maggior parte dei casi si uccide per vendicare la morte di un familiare o di un amico, o per onore. In una società in cui l’inefficienza e la corruzione del sistema giudiziario spinge a farsi giustizia da soli, l’omicidio diventa il mezzo attraverso il quale ristabilire un ordine temporaneo, un equilibrio tra ingiustizia subita e ingiustizia arrecata: El derecho a la vida del otro se irrumpe, cuando ese otro toma la vida de un ser querido, no aparece la posibilidad de algún mecanismo judicial que medie entre este conflicto. Las instancias de justicia han perdido legitimidad porque no cumplen de manera acorde con sus funciones y por estar involucradas en actos de corrupción22.

Altra causa è legata alla mancanza di impiego e la conseguente impossibilità ad acquisire determinati beni materiali: Para evitar la proliferación del delito en Venezuela, de acuerdo a las palabras de los mismos reclusos hay ciertas condiciones que deben estar presentes. En primer lugar, que las instancias gubernamentales, estando a la cabeza del presidente le aseguren al pueblo unas fuentes de trabajo dignas que permitan acceder a los bienes y servicios que 21 22

P. Trigo, op. cit., pp. 184-85. K. C. Del Busto Valdéz, op. cit., p. 12.

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la familia venezolana requiere. […] Por otro lado, el Estado debe garantizar a las familias una buena educación para sus hijos. Mediante la misma ellos podrán aprender una profesión u oficio que los aleje del delito y les permita obtener un trabajo23.

In una società quindi in cui lo Stato crea condizioni di povertà assoluta per poi colpevolizzare i poveri, organizzando retate di ordine pubblico, in cui la violenza si fa condizione strutturale, difficilmente si potrà sperare di costruire una realtà in cui la violenza non faccia più parte delle dinamiche sociali. Un sistema che genera violenza è anche un sistema in cui non vi è riconoscimento maturo e reciproco dell’alterità. Come vedremo meglio nella seconda parte del capitolo il mancato riconoscimento dell’altro, in questo caso del barrio, del suo apporto culturale specifico, genera uno stato di alienazione costante che può sfociare in violenza sociale come forma di ribellione e di autoaffermazione. Di fronte al continuo ammiccamento di una società consumista, che misura il valore umano attorno al potere acquisitivo e non alla potenzialità creativa e partecipativa, l’abitante del barrio, non può competere e soccombe. Soccombe anche culturalmente, in quanto l’unico modello culturale degno è un modello depurato da elementi indigeni, afrocaraibici, popolari, suburbani. Non rispettare il modello culturale imposto dalle multinazionali significa subire l’esclusione: Hay además una terrible violencia en la falta de reconocimiento por parte de la ciudad de la cultura que emerge en los barrios. Para la ciudad, ellos no tienen entidad propia, son solo ecos apagados y deformados de la ciudad: en los barrios viven los que aun no son o los desechados en la lucha por la vida […] Al erigirse la ciudad como metrópolis se incapacita para percibir la alteridad. Si ella es la medida, solo cabe la asunción de sus patrones o la descalificación. Durante al menos dos décadas estos patrones eran propuestos como buenas costumbres, como buenos modales, como el proceder de la gente decente y como el modo de hacer de los que saben y se esfuerzan y tienen la llave del éxito. Los del barrio eran, por contraposición, groseros, balurdos, vagos, ignorantes, fracasados. Ahora la violencia es mayor porque ya el único paradigma de la ciudad es el éxito en la empresa económica, concebida como una lucha con los competidores, no hay una cultura sino un mercado de bienes culturales abierto al que tenga poder adquisitivo. Lo que no entra en el mercado no es reconocido. Y el que no entra en él para vender y comprar no tiene existencia social. Esta compulsión a entrar en el mercado es profundamente distorsionadora al desconocer la condición de creador cultural de la gente de los barrios en aquellos aspectos valiosos que no pasan por el mercado24.

23 24

Ibid., p. 23. P. Trigo, op. cit., p. 183.

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4.1.3 Gangs giovanili, bambini di strada e malandros I sociologi M. Sanchez e Y. Pedrazzini conducono alla fine degli anni Ottanta un’osservazione sul campo, cercando di fotografare la realtà dei territori popolari autocostruiti così come questa si presenta ai loro occhi. Dall’analisi emergono tre figure, che vengono considerate i nuovi modelli di socializzazione dopo la crisi economica. Bande giovanili, bambini di strada e malandros si impongono come nuove “emergenze” sociali. Furtarelli e spaccio di droga si impongono quale destino quasi obbligato per i giovani abitanti dei barrios che in situazioni di estrema urgenza non trovano altra via che questa per recuperare i soldi necessari alla sopravvivenza. Testimoniano i ragazzi intervistati durante le ricerche dei due sociologi: Le barrio c’est un sale truc. Si t’y habites, t’es sur de pas pouvoir vivre tranquille, tu vas te mêler d’affaires pas nettes, c’est obbligatoire. Après ça viennent les emmerdes, et ça, ça se termine jamais. Des emmerdes à cause de la drogue, des emmerdes à cause des vols, à cause d’une moto, d’un auto-radio, à cause des filles, et le cambriolisme pur, pour manger25.

E ancora Parce que déjà, aux quatre coins du monde, ou du Venezuela- c’est ce que je connais -, la délinquance est organisée. Un monde où chacun est un délinquant. Et avec la vie qu’on vit, on est obligé de voler à fond. Parce que tout est cher, tout augmente en vitesse et c’est pas avec le salaire minimum que tu vas t’en sortir…[...] Alors, ce genre de vie que tu mènes aujourd’hui t’oblige à te faire voleur, parce que la situation est complètement merdique26.

Non è così fatalista lo sguardo di chi osserva questi territori quali luoghi ideali per la criminalità organizzata. La gallina dalle uova d’oro per la malavita internazionale è proprio la disperazione e la volontà di avere tutto e subito. Seppur relativo ad un altro contesto e ad un'altra epoca storica la testimonianza riportata in Ghetto Negro di Kenneth Clark ricorda una dinamica che non ha mai smesso di esistere, perché finchè c’è povertà, emergenza, diffusione di modelli irraggiungibili ma accattivanti ci saranno sempre giovani e giovanissimi attratti dalla delinquenza e dal danaro facile: Noi non abbiamo contanti per procurarci la droga, non la produciamo né la trattiamo e non abbiamo i mezzi per portarla dentro Harlem o in qualsiasi altro posto. Perciò il vero indice criminale in fatto di droga non lo manteniamo noi. Devi risalire al deposito da cui veramente arriva. Quando l’hai scoperto, quando l’hai bloccato, lì troverai anche la risposta. Non potete dare la colpa a noi. Noi non potremmo trovarla, non potremmo

25 26

Citato in Y. Pedrazzini, lavoro di tesi dottorale, p. 33. Testimonianza di un malandro, in Y. Pedrazzini, M. Sánchez, op. cit., p. 169.

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prenderla se non fosse per loro. E poi, molti di noi non sanno niente né della droga né del resto fino a che non incontri uno di quei tipi, di quelli che ci spiegano la cosa, ci dicono come mettere insieme un dollaro. Di questo passo dando retta a quelli e aiutandoli, roviniamo la nostra razza. Ma non abbiamo lavoro e allora cosa possiamo fare? Abbiamo tutti bisogno del dollaro. Dobbiamo mangiare. Dobbiamo mantenere la famiglia. […] Devi pur sopravvivere… Se non hai il titolo di studio che devi avere e vai giù al centro a cercare lavoro ti pagano uno schifo. Non puoi lavorare tutta la vita e non avere niente, essere sempre nei debiti. Così scendi in strada, capisci? Scendi in strada e cerchi di farcela nella strada […] come fare un altro dollaro diventa una fissazione […] E poiché il bianco ha tutti i lussi e li tiene ben custoditi, ne vuoi anche tu una fetta, ma devi fare un po’ di soldi se vuoi quella fetta. Certamente non puoi avere quello che ha lui, però puoi avere abbastanza da sentirti a tuo agio. E così, capisci, non fai altro che pensare a come far soldi27.

Di forte attualità è il tema delle pandillas che in latinoamerica diventano il modello di socializzazione che attrae di più i giovani di strada. Chi “decide” di vivere in una gang, lo fa in mancanza di alternative di vita valide – ad esempio il bambino di strada che ha bisogno di mangiare o di sfuggire alle violenze degli adulti o della polizia - e per un forte bisogno di riconoscimento all’interno del gruppo. Si tratta di giovani dai dodici ai vent’anni – difficilmente arrivano a vivere di più – espulsi dalla famiglia di appartenenza, venduti o fuggiti da essa. Trovano nella pandilla il più forte legame che ricrea il senso dell’esistenza individuale e collettiva ed una risposta immediata alle esigenze imposte da un modello culturale consumista [vestiti di marca, moto, etc…]: La bande d’adolescents est un genre de collectivité toujours plus en vogue dans les barrios de Caracas. Elle s’impose un peu partout où s’affirme la metropole comme culture archétypale de la modernité, au moment où son inachèvement se change en échec global. Le mode de sociabilité en bande séduit particulièrment les jeunes de douze à vingt ans, ceux surtout provenant des familles les plus pauvres, les plus marquées par l’urgence qui caractérise le milieu urbain contemporain en Amérique latine28.

La testimonianza del capo di una gang, Rolando El Coyote, raccolta nelle pagine del libro-cronaca Malandros, gangs et enfants de la rue: culture d’urgence à Caracas, è un esempio delle esperienze estreme che vivono i giovani dei barrios di Caracas: C’est pour ça que j’ai fini par me mettre avec les dealers du quartier, les petits caïds du barrio qui vendaient pour des colombiens de Catia ou du Cimenterio. J’ai laissé cette famille de tarés, le rancho pourri et je me suis installé dans la sixième rue de Carapita, dans la maison du Pepsicolero, qu’on appelait comme ça parce que sa specialité, c’était d’attaquer les camions qui livraient les boissons gazeuses aux Portugais du quartier et de l’avenue principale. Ils m’ont très vite filé un revolver pour protéger leur marchandise. Cette époque de ma vie, c’était pas de la rigolade, quand arrivaient les connards de l’autre bande, celle de Tête-de-Vache, puis, après que la police l’ait abattu, 27 28

Citato in K. Clark, op. cit., pp. 132-133. Y. Pedrazzini, M. Sánchez, op. cit., p. 169.

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avant le 27 Février, la bande du Gros Henrique qui nous a fait la vie bien amère pendant presque deux ans, avant que lui non plus ne pose plus de problème à personne, définitivement… Pendant toute ces années, à chaque fois que je les voyais pointer le nez dans notre secteur, je psychosais un max, mais j’assurais comme un vrai pro. Je me mettais au milieu de la ruelle, et je leur envoyait la ferraille de mon P-38, pan, pan, pan!... forcément, dans le barrio les nouvelles vont vite, ça s’est répandu, et après ça, j’avais une réputation notoirement établie29.

Il barrio per le bandas diventa uno spazio territoriale fatto di aree di dominio e di potere autoritario più che un luogo di condivisione comunitaria. Dominano i passaggi intricati delle ripide escaleras o i tetti dei ranchos come mappatura interiorizzata e inaccessibile ai forestieri. Lo spaccio di droga diviene momento routinario di questi percorsi fisici e mentali. I ragazzi delle bande, privati della possibilità di studiare, quando l’hanno avuta non vi hanno trovato nessun motivo valido per continuare. Hanno perciò abbandonato la scuola verso i quattordici anni consapevoli che la vita sarebbe stata molto più breve di qualsiasi processo di apprendimento, completamente astratto e inadatto alla quotidianità. L’idea interiorizzata della caducità della vita – l’età media di un malandro è trent’anni ma si abbassa nel caso di un pandillero -, troppo breve per poter pensare a qualsiasi progettualità a lungo termine, fa parte della cultura dell’urgenza di cui è impregnata la vita del barrio. I pandilleros sono espressione di un codice univoco di comportamento, quello della violenza da sfoderare contro le altre bande e contro la polizia. La reazione della gente del barrio alla violenza è piuttosto combattuta. Da una parte vi è l’insofferenza verso uno stato di insicurezza immobilizzante, l’asfissia delle morti che fanno di Caracas una città in perenne stato d’assedio, e dall’altra la consapevolezza che tale esplosione di violenza è frutto della miseria e che le difficili condizioni di vita non sono scelte ma imposte da un sistema economico ingiusto: Cependant, malgré leur comportement violent, malgré même les risques que constituent pour la communauté leurs diverses activités et les règlements de comptes infinis qu’elles supposent d’une mort à l’autre, d’une ruelle à l’autre, les jeunes membres des bandes suffisament haïs pour provoquer une “expulsion” du barrio ou une dénonciation formelle à la police sont rares. Et ce n’est pas par peur de représailles. C’est que tout habitant dubarrio se sentira toujours un peu solidaire de ces enfants perdus dont la vie brève et violente, plus qu’une menace, est souvent perçue comme une reproche aux aîné d’avoir “permis” la misère du barrio. Et lors des nombreuz velorios [veglia funebre, NdA], qui terminent ou commencent la semaine, les jeunes pandilleros sont toujours veillés par de nombreux habitants du barrio. Car le fait qu’il y ait des crimes violents dans le barrio ne veut pas dire (ce n’est pas paradoxal) qu’il ya ait des criminels violents, moins encore des monstres. La violence des bandes est le produit d’une socialisation, elle n’est pas la déviation pathologique 29

Ibid., pp. 36-37.

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que s’applique à démontrer aujourd’hui bon nombre de psychiatres. C’est en même temps rassurant pour l’état mental des jeunes du barrio et beaucoup plus tragique quant au destin promis à l’ensemble de la communauté et à la métropole30.

È attraverso il possesso delle armi che il giovane pandillero, dal fisico consumato da carenze alimentari causate dalla crisi economica, afferma la sua forza simbolica. Con le armi, regola affari commerciali e di cuore, affermando l’onore e la superiorità sugli altri. Non trovando più nessuno spazio nella società, né all’interno della famiglia, in cui potersi riconoscere, trovano all’interno delle bande un nuovo status sociale, un’immagine pubblica che permette loro di situarsi socialmente, sia come individuo sia come parte di una collettività, portatrice di un preciso codice comportamentale (solidarietà, onore, rispetto, rischio, machismo…). Altra figura liminare che popola questo nuovo tipo di urbanesimo latinoamericano è il bambino di strada. Figure fantasmagoriche di nomadismo urbano senza meta, vivono soli o in bande ed hanno un’età compresa tra i cinque e i quindici anni. Abbandonati, rifiutati, esclusi. La strada diventa il luogo di apprendimento e di socializzazione. Dormono nel freddo tropicale, che è freddo per mancanza di cibo, per paura, per malattia. Vivono di piccoli espedienti e di elemosina, dell’aiuto di qualche associazione di volontariato o oggi delle missioni del governo 31 . L’unico codice di comportamento che conoscono è quello che permette di rispondere alle necessità primarie e di allontanare almeno per un giorno l’angoscia della morte. Spesso cadono vittima degli abusi sessuali di adulti, che in cambio Ibid., p. 182. Le due Missioni in materia di assistenza ai bambini di strada e in condizioni di disagio sono la Misión Negra Hipolita e la Misión Niños y Niñas del Barrio. La prima ha inizio il 14 gennaio 2006 “con el objetivo de rescatar, reivindicar y garantizar los derechos de las personas en situaciñn de calle y de la población que vive en pobreza extrema. Está dirigida a combatir la marginalidad, así como también a ayudar a todos los niños y niñas de la calle que sufren el embate de la pobreza. La Misión Negra Hipólita tendrá como objeto coordinar y promover todo lo relativo a la atención integral de todos los niños, niñas, adolescentes y adultos en situación de calle, adolescentes y embarazadas, personas con discapacidad y adultos mayores en situación de pobreza extrema. El funcionamiento de está Misión será garantizado por los Comités de Protección Social; organizaciones comunitarias que diagnosticarán la situaciñn social en su ámbito territorial”. La seconda, la Misiñn Niðos y Niðas del Barrio nata nel giugno 2008 si pone “el objetivo de atender las necesidades y defender a los niðos, niñas y adolescentes en situación de calle. La misión abarca un sector de la sociedad que va desde los (0) hasta los (18) años. Se divide en dos fases: la primera atiende a cuatro grupos dentro de este gran sector: los niños y niñas que están en la calle; los niños que están institucionalizados, es decir losque se encuentran en el antiguo INAM; los niños, niñas y adolescentes trabajadores; y por último, los niños que están en situación de riesgo. Está última es la población más grande porque comprende todos los sectores sociales. La segunda fase consiste en reunir a los niños, niñas y adolescentes en edades comprendidas entre 6 y 18 años, para formar la Organización de los Niños, Niñas y Adolescentes de Venezuela. Esta organización será dirigida por los propios niños, niñas y adolescentes, trabajarán con los centros comunales para ayudar a erradicar la explotación, acoso, abuso, maltrato, físico y psicolñgico con el fortalecimiento de los valores sociales”. Informazioni reperibili on-line: http://www.gobiernoenlinea.ve/. [Data di consultazione: 07/08/2008]. 30

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offrono loro protezione o cibo, o delle bande di spacciatori o ancora maltrattati dalla polizia intenta a creare ordine: Sans papiers et le visage sale d’indien métropolitain, sans mémoire des origines ou sans envie de se souvenir, changeant de toute manière les faits pour ne rien regretter, ni la faim, ni la mère, exposés aux intempéries du ciel et de la société, maltraités sans identité établie, ils vivent le pire comme une routine et quand leur pire arrive, il meurent, maigres et incompris, édentés sans avoir eu toujours le temps de voir pousser leurs secondes dents32.

I bambini di strada incorporano la violenza di un sistema che lascia vagabondare senza meta i suoi figli e li taccia di essere pericolosi, violenti, inutili presenze fastidiose. Protesi di adulti che forse non saranno mai, espulsi da un sistema che non vuole pagare i suoi danni e che smaltisce i suoi rifiuti abbandonandoli ai bordi delle strade, rimangono, nella loro invisibilità diurna, macigni sulla coscienza di ognuno di noi. Tempo fa esisteva una legge che imponeva il coprifuoco per i minori di diciott’anni. Uscire dal barrio alla sera negli anni Ottanta significava subire controlli dalla polizia, maltrattamenti, o rischiare di essere uccisi in presunti scontri a fuoco con le forze dell’ordine. Il sindaco di Chacao – un’ex miss Universo33 – si ripropose di rendere la municipalità “area libera dal disordine tropicale”. L’effetto fu quello di rigettare la povertà verso l’immenso barrio Petare, stabilendo dei limiti invalicabili e controllati dalle forze armate. Poiché la vista di bambini malconci dagli occhi penetranti è dolorosa e la mendicità è un affare fastidioso, si preferì spostare il palcoscenico della miseria umana lontano dalle luci della ribalta, per mantenere un senso di ordine e pulizia rassicurante per la classe media e alta: Les salauds nous avaient tabassé à quatre dans le module policier, et depuis, ne me demandez pas d’aimer le bleu foncé. Le bleu des uniformes, c’est un bleu qui n’a vraiment rien à voir avec le bleu du ciel qui est parfois si pur en décembre. Le bleu de la Police, il n’existe pas dans la nature, je suis sûr, c’est le bleu résérvé aux flics, ni bleu du ciel, ni bleu de la mer, juste un bleu de flic. Ces mecs en gilets pare-balles, aver leur ceinture garnie de balles qu’ils ne savent pas utiliser. Dans un barrio, y seraient morts avant d’avoir sorti leur flingue. Mais à Nuevo Circo, avec des gamins de dix ans, nu-pieds et affamés, ils sont plus fiers. Ils font les malins, mais tout ce qu’ils savent faire c’est t’emmerder et te piquer le peu de fric que t’as réussi à te faire dans la journée34.

Terza figura che partecipa a comporre il complesso mosaico del precipitato sociale del barrio è il malandro, “bandito e poeta, ribelle ma non martire”. In rottura con la società formale con la quale si riconcilia nei momenti di bisogno, egli si propone come figura Y. Pedrazzini, M. Sánchez, op. cit., p. 175. Nel dicembre 1992 le prime elezioni dirette per il sindaco del municipio di Chacao videro l’elezione della ex-miss Universo Irene Sáez. Assume l’incarico il 4 gennario 1993 e vi rinuncia nel 1998 quando propone la sua candidatura per la presidenza della Repubblica. 34 Y. Pedrazzini, M. Sánchez, op. cit., p. 35. 32 33

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poliedrica, vantaggio che gli consente di passare da un mondo all’altro con particolare duttilità. Il doppio codice comportamentale di cui è capace il malandro, archetipo di una società postmoderna, consente di definirlo come figura di sintesi tra i due mondi 35 . Il malandro crea e distrugge. Forgia linguaggi, mode, stili, gesti. Il gergo del malandro, dal vocabolario e dalla grammatica radicalmente modificati, supera i confini del barrio e del suo universo sociale per fare incursione nel vocabolario corrente36. Il suo stile, influenzato dagli homeboys blacks, dai latinos del Bronx o dagli Spanish Harlem (scarpe Nike, Reebok, Adidas, abbigliamento da giocatore di basket, berretto stile rapper o hip-hop, capelli ben definiti dal taglio netto del rasoio, giacca di pelle…) è ammirato e seguito dai bambini e dagli adolescenti del barrio. All’opposto troviamo il modello sifrino della classe medio-alta dei grandi centri commerciali37, modello che non troviamo nelle strade dei barrio, perché qui la resistenza culturale o la sintesi, nella continua rielaborazione di significati e prassi, crea espressioni proprie. Lontani da un colonialismo culturale imposto, la creazione di nuove mode e nuovi codici validi all’interno del barrio, come marca distintiva dal resto della città, ha un valore fortemente simbolico. Tuttavia alla potenza creativa del malandro nel linguaggio e nello stile, si oppone quella distruttrice della vendetta. E’ l’immagine questa che più piace ai media, avidi di riporre qualsiasi cosa entro confini e categorie mentali ben precise, seguendo la tendenza alla polarizzazione mediatica 38 e giustificando l’esclusione politica, sociale ed economica dei settori popolari alla vita urbana. I suoi gesti, dalla violenza compressa, sono quelli di un’esistenza quotidianamente gridata: …on décrète que le malandro est un chien enragé dont la course est folle. On ne comprend pas l’évidence de sa trajectoire: la liberté absolue du condamné à mort que rien ne peut plus empêcher de rêver sa vie les yeux ouverts. Il sait qu’il va mourir violemment dans quelques heures, comment lui faire valoir les labeurs sans gloire des salariés, les peines de cœur des monogames et l’argent des employés corrompus, qui michetonnent en vendant pour des clopinettes leurs pauvres talents de buraliste ?39.

Ibid., p. 178. “Les mots, comme les poings et plus que le revolver, sont une composante du pouvoir du malandro”. Ibid., p. 219. 37 Ibid., pp. 216-217. I giovani dei quartieri residenziali si incontrano per lo più nei centri commerciali di San Ignácio, Sambíl, Tamanaco. All’interno di questi spazi artificiali sfilate di giovani della borghesia caraqueða consumano un tipo di cultura importata e impachettata, pronta all’uso e al consumo. 38 “…C’est pourtant son aspect destructif, mauvais, que l’opinion publique retient d’abord, puis exclusivement. Il est vrai qu’il est aidé en cela par les médias, constamment occupés à assimiler le malandro viejo aux jeunes membres des bandes terrorisant l’imaginaire des classes moyennes, mais terrorisant avant tout leur barrio par leurs balles perdues et les autorités qui refusent d’assumer leur rôle dans le développement rapide de la délinquance alimentaire”. Ibid., p. 222. 39 Idid., pp. 222-223. 35 36

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Per coloro che non sopportano l’idea di non trovare un colpevole della degenerazione sociale, il malandro diventa il capro espiatorio ideale. Lontano, recluso in un territorio offlimit, dove mentalmente e fisicamente si fa difficile arrivare, diventa l’immagine simbolo del malessere e del disordine della società. Il malandro porta in sé la “trasparenza del male”40 e per questo è marchiato a vita da una società che ha bisogno di costruire il suo mondo di demoni da tenere sotto controllo e da colpevolizzare. Si diffonde così l’idea della violenza del malandro come qualcosa di innato in quanto povero, e si tende a legare in un vincolo indissolubile povertà e violenza.

4.1.4 Universo Malandro: incursioni nella cultura urbana 4.1.4.a La corte Malandra nel culto marialioncero Il culto alla Corte Malandra, conosciuta anche come Corte Calé, è un fenomeno che nasce in Venezuela negli anni ’70, ed è subordinato al culto a María Lionza, considerata la religione autoctona del Venezuela, frutto della fusione tra elementi locali, cristiani e africani. Il culto a María Lionza è affascinante quanto complesso per la costante riconfigurazione del suo caleidoscopico altare, composto da diverse divinità e per il suo carattere metropolitano, in quanto il culto trova nella città la nicchia privilegiata in cui diffondersi e riadattarsi 41 , esprimendo così il significato pieno del suo essere tra due mondi, quello tradizionale contadino – il culto nasce nell’area a nord occidentale, nello Stato Yaracuy – e quello metropolitano formato dal succedersi di processi migratori dall’interno del paese verso la capitale, che oggi si concentra in quel crogiuolo di culture che sono i barrios di Caracas. La divinità rappresentò in un certo senso il superamento del disagio della modernità e della dolorosa esperienza dello sradicamento. Possiamo definirlo un culto di natura “agglutinante”, capace cioè di racchiudere in sé un numero molto vario di pratiche rituali di origine diversa. Il risultato è il simbolo supremo del sincretismo religioso e culturale rafforzatosi a seguito dell’inurbamento, oltre che il simbolo dei passaggi epocali della storia venezuelana:

Ibid., p. 226. A. Fernández Quintana, “Possesion et pouvoir dans le culte de Maria Lionza au Venezuela, in Religions afro-américaines: nouveaux terraines, nouveaux enjeux”, in Ateliers du LESC, n. 31, 2007 (in linea). Disponibile on-line: http://ateliers.revues.org/document541.html. [Data di consultazione: 11/07/2008]. 40 41

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Cette dynamique de fission et de proliferation constante est responsable de la texture capillaire que le culte adopte dans le tissu urbain, l’immunisant contre toute tentative de répression systématique42.

In differenti periodi assistiamo a momenti di forte rielaborazione del culto, con l’incorporazione di nuove entità spirituali. Così fu negli anni Quaranta e dopo la caduta della dittatura di Pérez Jiménez quando cessò la persecuzione del culto considerato incompatibile con il Nuevo Ideal Nacional che promuoveva un rinnovamento genetico e culturale attraverso l’immigrazione europea43. Le figure inserite nel nuovo pantheon si raggruppano nelle numerose corti: la Corte India - composta da Guaicaipuro, Tamanaco, Paramaconi, Terepaima, Chacao, Mara, Manaure e l’indígena Rosa – la Corte Libertadora o Histórica – con i personaggi dell’epoca indipendentista José Antonio Páez, Antonio José de Sucre, Manuel Carlos Piar, Francisco de Miranda, Pedro Camejo, Simón Bolivar – la Corte Médica – con José Gregorio Hernández44, Luis Razetti, Rafael Rangel e José Maria Vargas - la Corte Negra – formata da Pedro Camejo, il Negro Miguel, il Negro Felipe, la Negra Tomasa, la Negra Matea e Francisca Duarte – la Corte Celeste - che racchiude i santi cattolici - e la chamarrera – che rappresenta gli spiriti di saggi e anziani custodi di saperi ancestrali come le proprietà terapeutiche delle piante. Negli anni Settanta, fanno la comparsa la Corte Malandra, la Corte Africana e la Corte Vikinga. Gli spiriti africani e vikinghi sono identificati come entità che condividono la forza della ribellione, la conquista e la violenza; durante la trance sono particolarmente furiosi e richiedeno al medium resistenza al dolore a volte indotto con armi da taglio. La diffusione di queste divinità tra le nuove generazioni di fedeli coincide con il deterioramento progressivo delle condizioni di vita del paese e l’esplodere di atti di violenza, di cui il Caracazo è espressione massima del periodo e momento di svolta nella società. Gli spiriti dei malandros a differenza di quelli africani e vikinghi non richiedono la possessione del corpo dei medium. Essi elaborano protezioni mistiche contro i delinquenti o le violenze della polizia. Chiedono in dono marjuana, alcohol, musica salsera o armi per difendersi dalla polizia. Appartengono alla Corte Malandra gli spiriti di giovani malandros morti a seguito di scontri con la polizia o con altri malandros: il famoso Ismael, F. Ferrándiz Martín, “El culto de Maria Lionza: tiempos, espacios, cuerpos”, in Alteridades, n. 9, 1999, pp. 39-55. Consultabile on line: http://uamantropologia.info/web/component/option,com_docman/task,cat_view/gid,47/Itemid,26/. [Data di consultazione: 23/02/2008]. 43 Pérez Jiménez non fu il solo a reprimere il culto a Maria Lionza. Il governo Leoni (1964-1969) attua una politica volta a sradicare il culto, imprigionando numerosi adepti, considerati poveri, alcolisti, ignoranti e criminali, e bruciando gli altari che sorgevano lungo il cammino del monte Sorte, il principale punto di pellegrinaggio del paese. A. Fernández Quintana, “art. cit.”, p. 11. 44 La celebrità di questo medico è legata alla grande attenzione che ha dedicato ai pazienti di estrazione popolare. 42

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Jhonny, Antonio, Machera, la chama Isabel, tutti rappresentati da statuine che vengono vendute nei mercatini della città a qualche bolivares fuertes. Simbolo dei devoti della Corte Calé o Malandra è il tatuaggio che portava il Malandro Ismael: un falco su una motocicletta. Il culto è seguito da molti adepti tra cui è possibile trovare anziane o gli stessi poliziotti. Una giovane donna, convertita al culto dopo aver lottato per quattro mesi tra la vita e la morte a causa di una bala perdida che gli aveva trapassato il cranio, è incaricata di curare le offerte che vengono portate sulla tomba al Cementerio General Sur di Caracas dove è stato sepolto il famoso Ismael, il malandro che rubava ai ricchi per aiutare la sua comunità: La gente viene a pedir por muchachos que están presos, con problemas de conducta, drogadicción o porque andan en el mundo delictivo, y también vienen muchachas jóvenes a pedir porque el marido les pega […] No solamente nos ayudan para que no nos roben, para que protejan el negocio, sino que también son entidades que nos pueden ayudar en la evolución, a conseguir empleo […] Como ya él estuvo en esa vida de malandro, pienso que puede ayudar a muchos a salir de ese mundo […] Una de las formas de reparar lo que hicieron en vida es ayudando a las personas a seguir adelante45.

45 F.

A. Cambero, “El culto al Santo Malandro”, El Universal, Caracas, 13 ottobre 2004, http://eluniversal.com/2004/10/13/imp_ccs_art_07297A.shtml . [Data di consultazione: 23/06/2008].

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Figura 4.1. Statua di María Lionza all’entrata Autopista Francisco Fajardo

...presumiblemente indígena en su rostro acartonado, los brazos de María Lionza irradian sus múscolos, sus cartílagos, sus venas, sus tendones rígidos de cemento hacia arriba, casi desencajados, casi despegando, proyectando una pelvis igualmente maciza y liviana hacia el cenit previsible de Caracas. Como buscando el golpe. El gesto único a punto de redenta su cuerpo, fértil, rugoroso e hinchado. En torno a la estatua, su leyenda y su fuerza mística gira en espiral vertiginosa, como un maelstrom sagrado, el universo marialioncero de Caracas. Ese alboroto de rincones precarios que dibujan la ciudad spiritista. “Tu culto es tu gloria, tu nombre es divino. Tu amor es la antorcha que alumbra el camino de nuestra conciencia. Derrama tu luz de fe, de esperanza, al Divino Jesús. Reina María Lionza, por tu poder, por los Siete Espíritus que te acompañan, no dejes que las estrellas me maldigan, ni que el cielo me borre la illusión, ni que Satanás ni los brujis me destruyan este pobre corazón. Te suplico en compañia de los Espíritus, porque yo sin tí no tengo dicha ni consuelo, ni gloria tiene el cielo, ni vive el corazón. Y así de qué me sirve vivir en este mundo sin brújula, sin remo, sin timón46. F. Ferrándiz Martín, Caracas: ciudad agazapada, ciudad espiritista, in Cuadernos Hispanoamericanos, n. 621, 2002, p. 54. 46

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I componenti della Corte Malandra o Corte Cal茅

Ismael

Isabel

Jhonny

Freddy

Ram贸n

Machera

Tomba di Ismael, Cementerio General del Sur

Antonio

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4.1.4.b Il barrio 23 de Enero in Salsa y control Salsa y control47 è una raccolta di brevi racconti - o meglio “un relato global contado en retazos independientes”48- ambientati nel barrio Camboya, così battezzato “en el nombre del padre, del tiro y del espiritu landro”49. Situato nel barrio 23 de Enero, Camboya non ha nulla di differente da qualsiasi altro “planeta de rancho y plomo y candela que son los barrios de Caracas” 50 . La scrittura agglutinante sembra seguire la verticalità e l’addensamento del barrio. Provoca vertigini, disorienta, accompagna nella spirale delle passioni umane estreme al ritmo della salsa brava y malandra, apoteosi de la melodia urbana. I personaggi che prendono forma nell’intricato mondo delle abitazioni fatte di cemento e lamiera, ossia in quel “montón de ranchos ensartados a un cerro que puede venirse abajo con un buen estornudo y tiembla con cada grito en las noches como bocas de lobo…”51, che si muovono come felini smagriti dalla vita nei corridoi dei superbloques, tra “los innumerables pasillos donde el frío era revolotear de oscuridades superpuestas, incorpórea pestilencia”, dagli “ascensores” fino all’“último emporio de caña, pasando por los espacios olvidados entre el piso 14 y la azotea, donde gritos de vírgenes y profanas suelen atraer murmullos, cazadores de puta buena o simples vigilancias onanistas”52, sono accumunati da una tensione e amore per la vita, “cerveza y ron en plan estelar y una marea alta de vecinos que impregnaron el callejón con su alegría a flor de grito”53, e una consapevolezza della morte che passa attraverso il gesto, la parola, l’azione collettiva e la paura che il proprio momento possa prima o poi arrivare: “Nosotros que sabemos del miedo, del repique del corazón cuando un maldito se te lanza por encima con un hierro por delante, y aunque él te tire nada más a las piernas tu piensas «se acabó, me jodí, chao vida» y te pones a pensar en la madre que te abortó y en las maldades que hiciste cuando niño, hasta que te dan tu tirote y pasa el susto y alguien se apiada, vuela contigo al hospital y tú descubres que en realidad un tiro no duele en el momento, no duele, pero es el miedo lo que no te deja mover ni los ojos y puede que hasta te haga llorar como una hembra, así que imagínate a Urraca tomándose su

J. R. Duque, Salsa y control, Monte Ávila Editores, Caracas 1993. Intervista a José Roberto Duque. Disponibile on-line http://www.platanoverde.com/platano_blog/?page_id=3. [Data di consultazione: 03/10/2007]. 49 J. R. Duque, op. cit., p. 13. 50 Ibid., p. 16. 51 Ibid., p. 57. 52 Ibid., p. 32. 53 Ibid., p. 54. 47 48

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cervecita en paz y luego el par de bichos escupiéndole toda la locura del bazuco adulterado, pin-pan-pin”54. Quando arriva quel momento, non c’è nessuno che possa salvarti né nessun Dio a cui potersi raccomandare perché “el Dio de los perros y el de los pobres como que es el mismo cabrñn” 55 , pare aver abbandonato questi callejones, forse stanco anche lui di fare continuamente su e giù per le ripide che sono i barrios di Caracas. Da parte di chi spara nessun pentimento, “a Fabricio apenas le había temblado el pulso para acribillar al Niño Tomás en una de esas calles reventadas por el tiempo y los vientos solares, así que no podía salvarlo ni el gobierno - juraba Manoco -, ni su papá policía - su otro papa era un fumón de los peores -, ni Ochún ni Obbatalá ni Apolo ni Zeus ni el más poderoso de los dioses del cielo, la tierra y el agua bendita”56. Ecco compiersi l’assurdo copione del “Nueve y Tres-Ocho largo” che uccide “paquerrespeten, nojoda”

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, e l’infinito rituale della vendetta,

accompagnata dall’“allucinaciñn del poder multipli cada por el ron y el polvo, magnificada por la melodía de metales y cueros para insuflarse anímos58. Solo che a volte succede di uccidere chi non ha colpa, chi è lì per sbaglio o chi assomiglia troppo al rata che si vuole eliminare. E’ per errore che Julito e Manoco uccidono Urraca pensando fosse Fabricio. Del resto i due si somigliano “ambos bochacos, el pelo de alambre se les apartaba en varios sotios y se le veis el craneo como golpeado, los brazos eran una vainitas flacas flacas y lo mismo la cara – el perico es una porqueria – en la que destacaba la nariz doblada como un abrelatas: eran exactos” ma “la calidad del compa Urraca era una cosa y la maldad del otro era mierda de la peor cloaca”59. Altra morte inutile tra gli abitanti buena gente del barrio in questa città in cui anche la morte è simbolo di estrazione sociale e la veglia funebre non è cosa di tutti. Per il compagno Urraca si svolgerà un “velorio casero porque en la ciudad hay mar revuelto y no se puede asomar ni las pestaðas”60, nella stessa stanza del suo rancho che ora “huele a muerto y a flor de llanto - a llanto y a flor de muerto, da lo mismo -. Puertas afuera, un incipiente tumulto vespertino. Bajo el cristal silencioso, la quietud que es Urraca […] Adentro la madre y su temblor en las mandibulas vencidas, los panas y la jodedera frustrada, «Ven a ver cómo quedó: veinte disparos no es cualquier cosa»”61.

Ibid., p. 29. Ibid., p. 61. 56 Ibid., p. 21. 57 Ibid., p. 21. 58 Ibid., p. 22. 59 Ibid., p. 28. 60 Ibid., p. 28. 61 Ibid., p. 63. 54 55

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Finzione e storia si intrecciano nei racconti di José Roberto Duque. Mentre Urraca è nel suo rancho con venti colpi in corpo, fuori monta la rabbia popolare che non è la “misma vulgar redada de cada dos meses, no es el habitual nervosismo policial tras algunos tipos sorprendidos in fragranti” ma è il 27F 1989, quando il popolo dei barrios, stanco di sopportare momenti di crisi, menzogne dai governanti e repressioni militari si riversa per strada e dà inizio a qualcosa di storica importanza e di eroica partecipazione62: El aire, sucio todavía de humos extraños, se llena ahora de gritos, de llantos de mujeres y de hombres: el tiroteo no fue cualquier culebra entre los locos del Siete Macho y nos ha dejado el bloque como un colador, la gente de los pisos de arriba arrastrando a sus muertos y colocandolos en los pasillos. La radio ya advirtío que el gobierno no va a recoger muertos en estos días. Se entiende: quien se atreve a sacar ambulancia o una furgoneta con este cogeculo de guardias y soldados nerviosos en toda la calle, con este rebaño de tanques lanzando ráfagas de infierno desde la avenida y una ensalada de landros, jíbaros y ultrosos respondiéndole al cañoneo fuerte desde las azoteas, desde los apartamentos. Con el amanecer se ha calmado la cosa; era justo. Lo del piso 4 es terrible. Me cuelo entre la gente y comienzo a reconocer a los caidos: Luisito, Jaime, Maritza la novia de Cesar (la ultima), Rafael, Candelaria, muchos panas […] Nadie rie, nadie baila, nadie canta, por supuesto, pero qué aliento, qué regusto a combate ganado sentimos todos desde la cancha hasta el ultimo apartamento del bloque, tu comprendes la vaina, Extranjero: la salsa vieja, el combate, las noticias que hablan de un poco de tombos y soldados muertos…63.

Tremila persone perderanno la vita nei disordini dei giorni del Caracazo, ma solo 287 saranno le perdite ufficializzate dal governo di Carlos Andrés Pérez. 63 J. R. Duque, op. cit., pp. 70-71. 62

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4.2 ITINERARI CULTURALI METROPOLITANI: MUSICA CLASSICA E MOVIDA UNDERGROUND NEI BARRIOS

4.2.1 La missione culturale del Governo Bolivariano La Misión Cultura è una delle Misiones che costruiscono il volto sociale dell’attuale sistema di governo. Nata nell’ambito del Ministero della Cultura, si pone come obiettivo il rafforzamento di progetti culturali orientati alla costruzione di una società democratica e partecipativa, senza esclusione sociale, attenta a rafforzare le identità che compongono il volto della nazione venezuelana e a liberare il singolo da una situazione di colonialismo ideologico. La missione è quindi un programma del Governo Bolivariano che, attraverso una sinergia istituzionale, incentiva la partecipazione comunitaria, garantendo l’accesso massivo alla cultura e promuovendo la diffusione e la creazione di manifestazioni culturali tra i settori popolari e comunitari. Questo progetto sottolinea l’importanza della costruzione partecipata di un progetto di più ampio respiro e a lungo termine: quello di un’identità nazionale plurale in cui ogni componente abbia libera espressione e pari dignità. Fondamentale nel perseguimento degli obiettivi è lo sviluppo dell’essere umano nella sua integrità attraverso l’espressione culturale, la costruzione di una coscienza e di una memoria storica della nazione, la participazione collettiva nella creazione, diffusione e utilizzo della cultura. Misión Cultura si propone nel dettaglio di:     

individuare, conoscere e registrare adeguatamente tutte quelle manifestazioni culturali che abbiano un particolare significato per i suoi abitanti; elaborare un registro esaustivo del patrimonio culturale con attenzione ai valori regionali e comunitari e diffonderlo attraverso pubblicazioni, libri, cd, programmi audio video; formare una rete di organizzazione culturale per l’azione congiunta integrata e articolata; potenziare la formazione di gruppi culturali e dotare il paese di tecnologie per la protezione del patrimonio culturale; incentivare la cultura popolare e comunitaria come mezzo per la creazione di lavoro nel settore culturale e turistico.

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Merito della Misión Cultura è incentivare la formazione di luoghi e momenti per l’autorappresentazione di una parte di società esclusa dai tradizionali circuiti culturali. Per troppo tempo la cultura popolare è stata rappresentata come cultura “bassa”, come espressione folklorica e perciò relegata ad ambiti locali (feste patronali, ricorrenze, festival…). Oggi è possibile assistere ad eventi culturali che riprendono la cultura tradizionale anche nelle magnifiche scenografie del teatro Teresa Carreño da sempre luogo ad uso esclusivo della società medio-alta. L’obiettivo della “misiñn” è che la cultura venga prodotta dal popolo per il popolo, ridando dignità a qualsiasi tipo di espressione culturale. Hugo Chávez con su capacidad realmente monstruosa de comunicación, repuso en el horizonte nacional a las culturas populares, las trató no como culturas que tramontan sino como cotidianidad cualitativa. La gente popular sintió que ya su ser cultural no era algo recesivo, casi vergonzoso, sino algo público lleno de dignidad que se hace presente en la televisión por boca del que está al frente de los demás como paradigma de ciudadanos, que eso significa presidente, además de como jefe de Estado64.

Un contributo fondamentale alla promozione del principio di uguaglianza delle espressioni culturali in Venezuela giunge dal nuovo ambito giuridico elaborato attraverso la riforma costituzionale del 1999, in particolare il Capitolo IV dedicato a los derechos culturales y educativos. Nel dettaglio l’art.99 della Costituzione della República Bolivariana del Venezuela stabilisce che: “los valores de la cultura constituyen un bien irrenunciable del pueblo venezolano y un derecho fundamental que el Estado fomentará y garantizará, procurando las condiciones, instrumentos legales, medio y presupuestos necesarios. Se reconoce la autonomía de la administración cultural pública en los términos que establezca la ley. El Estado garantizará la protección y preservación, enriquecimiento, conservación y restauración del patrimonio cultural, tangible e intangible, y la memoria de la Nación...”. L’art.100 riconosce l’interculturalità e il principio di uguaglianza tra le culture: “las culturas populares constitutivas de la venezolanidad gozan de atención especial, reconociéndose y respetándose la interculturalidad bajo el principio de igualdad de las culturas. La ley establecerá incentivos y estímulos para las personas, instituciones y comunidades que promuevan, apoyen, desarrollen o financien planes, programas y actividades culturales en el país, así como la cultura venezolana en el exterior. El Estado garantizará a los trabajadores y trabajadoras culturales su incorporación al sistema de seguridad social que les permita una vida digna, reconociendo las particularidades del quehacer cultural, de conformidad con la ley”. E infine l’art.101 sottolinea l’importanza del ruolo dei mezzi di comunicazione nella

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P. Trigo, op. cit., p. 254.

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diffusione di valori della tradizione popolare: “el Estado garantizará la emisión, recepción y circulación de la información cultural. Los medios de comunicación tienen el deber de coadyuvar a la difusión de los valores de la tradición popular y la obra de los o las artistas, escritores, escritoras, compositores, compositoras, cineastas, científicos, científicas y demás creadores y creadoras culturales del país”. Una volta compiuta l’importante riforma costituzionale si rende necessario il lavoro più difficile della quotidianità in cui fondamentale è demolire la tradizione discriminatoria e auto discriminatoria di una parte importante della popolazione. Coloro cioè che hanno sempre dovuto lottare contro il senso di alienazione che nasce nel momento in cui unico modello rappresentato e desiderabile diffuso dalla società nel suo complesso è il modello euro centrista prima e nordamericano poi, il modello consumista dello spreco necessario quale unico mezzo per far progredire una nazione e l’economia del paese. Il modello culturale che mette in evidenza la traiettoria di un progresso inarrestabile in cui chi si ferma a raccogliere, a conservare e a reinterpretare il passato, è perduto.

4.2.2 I bambini dei barrios nelle Orquestas Juveniles de Venezuela Trent’anni fa José Antonio Abreu ebbe quell’illuminazione interiore che rende le persone dotate di senso del sacrificio, impegno e costanza, autori di piccole e grandi utopie. Gli fu chiaro fin da subito che la musica poteva rappresentare il motivo di riscatto per i giovani di famiglie povere: l’arte cioè come possibilità di liberazione. Così nel 1975 venne avviato un progetto che otterrà poi il sostegno da parte dello Stato, trasformandosi in Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela (Fesnojiv). Il Sistema oggi comprende più di 240 mila bambini e giovani che provengono da tutte le province del paese, raggruppati in 135 orchestre giovanili, 75 infantili e 30 professionali. Ben 96 sono i centri nazionali dove si studia la musica, 1288 sono i professori e gli istruttori, 35 sono i cori all’interno del sistema65. Il progetto Abreu è cresciuto sempre più esportando in tutta l’America Latina, l’utopia di riunire i popoli attraverso la musica. L’Orquesta Latinoamericana realizza oggi il sogno unificatore di Bolivar. La musica ha nel Sistema un valore totale e prima di tutto sociale. Collegato al Sistema Orchestrale vi sono difatti sette Centros Académicos de Luthería dove i giovani imparano a H. Failoni, L'altra voce della musica: in viaggio con Claudio Abbado tra Caracas e L'Avana, Il Saggiatore, Milano 2006, pp. 53-54. 65

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costruire e riparare gli strumenti della tradizione popolare e sinfonica. Ragazzi d’età compresa tra i 14 e i 24 anni imparano da musicisti-insegnanti a costruire violini, arpe, chitarre, mandolini e cuatros66. Si tratta di un sistema circolare di apprendimento in cui i più bravi insegnano ai meno bravi che a loro volta aiuteranno i nuovi, consapevoli che la cultura deve essere lasciata libera di fluire all’interno della collettività, in cui il singolo apporta e riceve allo stesso tempo, in una serie infinita di contaminazioni e nel raggiungimento dell’auspicata democratizzazione della cultura. Attraverso il Sistema di Abreu si è reso possibile realizzare progetti di risocializzazione, di recupero e di reinserimento nella società anche per quei bambini che a 15 anni si trovano ad aver già vissuto i drammi peggiori dell’esistenza umana o che rischiano ogni giorno di parteciparvi. Vita di strada, dipendenza dalla colla, violenze, abusi sessuali, rapine a mano armata. Nel barrio Los Chorros a Caracas, esiste una casa famiglia di bambini abbandonati dai genitori. I bambini e i giovani seguono lezioni di musica e suonano nell’orchestra e così facendo imparano una professione, rafforzano le capacità di apprendimento e vengono continuamente sollecitati alla scoperta. Nel barrio San Agustín esiste dal 1984 una scuola di musica per bambini provenienti da famiglie in condizione di povertà. Da una di queste famiglie proviene Edicson Ruíz, simbolo, assieme a Gustavo Dudamel, del Sistema. Come tanti altri coetanei (classe 1985) ha trascorso la sua vita per strada. Oggi è il più giovane musicista dei Berliner Philharmoniker che, pur di averlo, hanno chiuso un occhio sul regolamento che prevede l’età minima di 30 anni. E’ l’esempio emblematico della possibilità di riscatto sociale che il Sistema offre. Tuttavia il progetto che ha dato vita all’Orquestra Juvenil de Venezuela non esula da alcune critiche. In particolare alcuni pensano che possa rappresentare una specie di colonialismo culturale, inteso come sottrazione delle proprie radici musicali in favore della musica classica europea, con la conseguente idea che è possibile affermarsi solo se si incontra il gusto e il ritmo occidentale. Tale critica è tuttavia limitata in quanto il Sistema orchestrale mette tutti nelle condizioni di poter suonare sia con il cuatro che con il violino, sia che si tratti di musica afro o hip-hop, questo poco importa: la musica è musica, senza distinzione di generi. Molti dei ragazzi dell’orchestra tra l’altro fanno parte di gruppi di musica popolare o hip-hop. Ciò che è auspicabile è che l’attenzione dei media riposta in questa magnifica esperienza si possa allargare anche ad altre realtà, che riguardano per l’appunto altri modi di fare musica in Venezuela. Non è dunque l’esperienza del Sistema ad Strumento tradizionale della musica popolare venezuelana. Si tratta di una piccola chitarra a quattro corde. 66

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avere pecche ma forse è il solito sguardo eurocentrista per cui ci si stupisce e si rimane meravigliati della bravura e della disciplina di questi ragazzi (che tutt’oggi vengono definiti del Terzo Mondo) nell’eseguire delle sinfonie di Bach, ma poi non si indaga sul vastissimo patrimonio musicale tradizionale che meriterebbe la stessa attenzione. Come dice lo stesso José Antonio Abreu: “la musica esprime lo spirito venezuelano. Se voi andate a fare un giro nei barrios vi renderete facilmente conto che la musica non manca mai: un piccolo coro che canta canzoni popolari, un vecchio che suona il cuatro, dei bambini che provano il clarinetto… La musica favorisce l’unione della gente, coltiva il sentimento nobile dell’essere umano. La musica trasforma le avversità della vita in speranza”67. Appartiene al progetto di Abreu anche il Programa de Educación Especial fondato da Jhonny Gómez nel 1995. Si tratta di un programma di recupero che coinvolge persone, giovani e per lo più giovanissimi, con difficoltà motorie, affetti da cecità o sordità. L’idea è ancora una volta quella di integrarli all’interno della società attraverso la musica. Questo è il caso di Daniel, ragazzo non vedente che grazie a un computer che traduce come uno scanner, la partitura in linguaggio Braille, è in grado di eseguire qualsiasi tipo di pezzo. Il Venezuela è stato il primo paese a dotarsi di questo meccanismo, grazie al Sistema di José Antonio Abreu. Con l’obiettivo di abbattere il concetto di diversità che costruisce barriere anziché arricchimenti reciproci, nasce a metà anni novanta nella città di Barquisimeto il Coro delle Manos Blancas. E’ un coro muto che canta con le mani seguendo il ritmo e creando coreografie emozionanti, un insieme di mani bianche che accompagnano le note nell’aria. Il coro è formato anche da bambini e bambine non affetti da patologie. In questo modo si dimostra come i bambini socializzano, giocano, imparano l’un l’altro senza considerare ostacoli sociali, o diversità culturali, o ancora barriere geografiche, tutte categorie insinuate dagli adulti nella società. Si gioca in gruppo imparando che ognuno di noi a nostro modo possiede un patrimonio degno di essere coltivato e promosso. L’esempio più forte proviene da una bambina, Adimar Castello, che i medici davano per “ritardata grave”. Dopo un periodo con i Manos Blancas ha iniziato a scrivere poesie: “El cielo habla. El mar lo escucha en una caracola…”68. La musica affina le capacità d’ascolto e incentiva lo spirito di condivisione e il senso di gruppo. Ognuno coltiva uno scopo individuale ma allo stesso tempo colletivo: “la musica è

67 68

H. Failoni, op. cit., p. 106. Ibid., p. 42.

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sempre e comunque una questione di ascolto. Bisogna sapersi ascoltare a vicenda”69. La musica, ormai è risaputo, ricopre una funzione psico-sociale importantissima, collocando l’individuo nell’essenziale dialettica tra rappresentazione del Sé e rappresentazione del Mondo. Insegna il ruolo fondamentale della relazione, affina la percezione, educa alla bellezza del mondo, libera la creatività unico percorso di salvezza in possesso dell’uomo. A lodare il ruolo della musica in Venezuela i più grandi esperti di musica. Il direttore della Berliner Philharmoniker è convinto che in Venezuela siamo di fronte al futuro della musica classica, mentre per Claudio Abbado gli europei devono solo imparare dal modello venezuelano70. Guardare le esecuzioni di questi giovani cancella in noi qualsiasi dubbio71.

4.2.3 Tiuna el Fuerte e Red de la Calle: spazi di nuova socialità urbana Tiuna El Fuerte era il nome del cacique della tribù Caracas, figura di grande valore e di spirito di resistenza. Tiuna che in lingua caribe significa “luce dell’alba” o “divinità dell’acqua” è oggi il nome di un progetto di ampio respiro il cui obiettivo ultimo è creare uno spazio di riconoscimento e di promozione culturale. Nasce nella Parroquia El Valle, area caratterizzata per non avere spazi destinati allo svago e alla cultura. La storia de El Valle è la storia condivisa con altri barrios venezuelani, luogo per eccellenza di stratificazioni culturali, di memoria di migrazioni, di patrimonio artistico e di conoscenze ancestrali. Nato come piccolo villaggio attorno alla città di Caracas negli anni della Colonia oggi conta 157mila abitanti. La maggior parte del suo territorio è stato occupato dall’autocostruzione, inizialmente effettuata con materiale di scarto e più tardi resa stabile. I problemi più urgenti riguardano l’esclusione sociale, la disoccupazione (la maggior parte si dedica al settore informale), la carenza di servizi di base (acqua corrente, elettricità, fognature, raccolta e selezione dei rifiuti) e la delinquenza giovanile. Scarsi sono i luoghi per la diffusione, la Ibid., p. 69. “Dal punto di vista culturale e sociale, trovo che questo sia un esempio per tutto il mondo, perché lentamente in trent’anni questi giovani sono diventati professori che insegnano in tutti i paesi intorno a Caracas. C’è l’orchestra dei ninos, dei bambini, poi l’orchestra infantile, poi mano a mano si sale fino all’orchestra professionale, la musica in Venezuela coinvolge 240mila giovani. Sono 240mila! Sai cosa vuole dire? È un’esperienza che ha cambiato il mio approccio alla musica. Ogni volta che vado in Venezuela scopro nuove strade, sia dal punto di vista sociale e culturale, sia dal punto di vista umano. Tutto ciò mi fa cimprendere sempre di più l’importanza di quanto è stato realizzato dall’amico José Antonio Abreu”. Intervista a Claudio Abbado, Ibid., p. 75. 71 Consiglio di vedere il documentario “Tocar y Luchar” di Alberto Arvelo (Venezuela 2007). Sito ufficiale: http://www.tocaryluchar.com/es/trailer.html. 69 70

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produzione e l’apprendimento culturale, e alla scarsità si aggiunge il problema della violenza nelle strade che limita la vita pubblica della comunità. In questo contesto un gruppo di musicisti decise di recuperare uno spazio residuale (un interstizio) nella trama autostradale, utilizzato per il mercato. Nasce qui il cuore palpitante della movida underground del Valle: Tiuna El Fuerte. Inizialmente dediti alla produzione musicale, in particolare hip-hop, il gruppo del Núcleo de Desarrollo Endógeno si rivolge successivamente ad altre attività: arte circense, graffiti, produzione audio visuale, danza. La collaborazione della comunità è elemento fondamentale dato che la maggior parte delle attività si realizzano in stretta collaborazione con i collettivi di base (comités de salud, mesas técnicas, consejos comunales). Gli eventi culturali che si organizzano hanno come obiettivo quello di rafforzare il sentimento di appartenenza e di legame alla comunità, e di creare una nuova immagine e identità del barrio lontana dalla rappresentazione quale luogo marginale e focolaio di violenza. Attraverso l’impegno e il lavoro della comunità, è la stessa comunità ad auto-percepirsi in modo differente, protagonista del proprio cammino, parte del lavoro collettivo. Tiuna El Fuerte è un esempio di come stia cambiando il modo in cui Caracas percepisce la cultura, considerata la leva del cambiamento sociale. Espressione della movida underground, di un’energia che proviene dal basso, e che viene orientata per trasformare la città, mira a creare contesti in cui la comunità, attraverso l’apprendimento continuo, rafforzi il senso di appartenenza. Riconoscendo i valori della pace, della libertà, della tolleranza, del rispetto e riconoscimento del talento e delle capacità degli individui, incentiva lo scambio di conoscenze, la creazione di un’intelligenza sociale che rafforzi la comunità e l’individuo nel raggiungimento di un modello socialista. Il modello organizzativo basato sull’assenza di gerarchie, sull’autogestione e sul senso cooperatistico, lo rende un punto di riferimento per tutti gli artisti di strada (attori, musicisti, artisti circensi, graffitari, poeti, rappers) convinti che attraverso l’arte, la cultura e il recupero degli spazi pubblici sia davvero possibile costruire una nuova urbanità fondata sulla tolleranza, sul rispetto delle differenze, pacifista, protagonista, solidale. Importante è il ruolo avuto dalla comunità nel tentativo di diffondere il senso di tolleranza in un momento delicato della storia venezuelana. Attraverso le carovanas organizzate da Red de la Calle72 e da Tiuna El Fuerte si è cercato di disegnare una nuova

Fanno parte della rete Red de la Calle lo stesso Núcleo Endógeno Cultural Tiuna El Fuerte, Banda Musical Sontizón Soberano, Núcleo Endógeno Artístico Cultural Nuevo Circo, Mudanza, Herencia, Actitud Maria Marta, Capoeira Caracas, Palmeraskanibales, Iudanza, Artodecaracas, Doctoryaso, Jorgemondongo, El23.net, Mipastora, Casa Cultural de la Parroquia San Agustín, 72

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cartografia della pace. Una prima carovana contro l’intolleranza politica partì il 14 dicembre 2002 seguendo il percorso che dal metro di Petare giunge a La Hoyada e fu la prima incursione della rete negli spazi pubblici della città, significativa e coraggiosa soprattutto dopo i fatti di Altamira del 6 dicembre 2002. Molteplici sono le attività socio-culturali e artistiche: il Circo Arriba en el Topito che insegna l’arte circense, la Misión Bailo Adentro per la danza, il progetto Tiuna la Gira che organizza concerti e incontri nelle zone popolari di Caracas e La Guaira, i laboratori di Formación de Proyectos Socio-culturales, il cineforum e infine il Sistema Endógeno de Orquesta Sinfónica Infantil che raggruppa i bambini del barrio che si vogliono dedicare alla musica classica. Fa parte del progetto Fuerte El Tiuna anche una radio comunitaria itinerante, Radio Verdura. Ispirati dai camions che vendono la verdura, i giovani integranti del progetto hanno deciso di trasformarli come scenario in cui la radio itinerante DKNY 2021 “frecuencia liberada, libre de acaparamiento” apre i suoi microfoni ai settori popolari per dare loro la parola. E’ una radio che appartiene alla comunità ed è diventato lo strumento per comunicare, convocare, esprimersi. Consapevole dell’importanza del tema dell’ambiente, del riciclaggio e dell’autosufficienza alimentare la comunità ha creato anche il centro ecologico Bolivar en Martí che adatta le tecniche di coltivazione ad una produzione di città, per una produzione alimentare urbana sicura, sostenibile e socialmente equa. Attenti al discorso ecologista la comunità ha riutilizzato rifiuti industriali del consumismo, come i containers, per creare laboratori e spazi culturali. Il riciclo e il cambio di destinazione d’uso diventano anche questi valori comunitari. Visioni condivise che motivano e sollecitano i processi creativi all’interno delle comunità più depresse. Recuperando la speranza per il futuro si scatenano processi che spingono all’azione liberando soprattutto i più giovani dal giogo dell’inerzia, della bassa autostima, dal sentimento di impotenza.

ViveTv, AvilaTv, CatiaTv, Radio Perola, Radio Mestiza, Casa de la cultura Simón Rodriguez. Sito internet della Rete: http://reddelacalle.com.ve/wp/enredados/.

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Figura 4.2. Container brazos abiertos. Tiuna El Fuerte. Riciclo culturale

Figura 4.3. Progetto Capsula. Tiuna El Fuerte. Nuove architetture del barrio.

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Manifesto del n.u.d.e73 Regamos nuestros ancestros para crecer fuertes, dar buena sombra y buenos frutos, cooperación colectiva, participación y democracia, no buscamos riqueza, creemos en la ceremonia, rendimos homenaje a las raíces, venimos de la resistencia, ella corre por nuestras venas en cicatrización, no somos transgénicos, ni genéricos, somos activistas del arte publico, sensibilidad socialista, invertimos en la vida, por que para todos debe ser todo, artistas de calle organizados en guerrilla: contra la guerra, por las reivindicaciones del colectivo, unidos llegaremos al objetivo cumpliremos las misiones que son muchas, unidad, desprendimiento, trabajos esforzados: es lucha, somos los brazos de la América rebelde extendidos, pistones que explotan revolucionando la revolución, sin mascaras, con vestuarios, maquillaje …desconfiamos de la corbata y el traje, no damos sobre entendido nada: asamblea con eso…, cada día se altera la realidad, pasamos factura siendo auditados por la contraloría social. Los espacios se ganan y para ganar, hay que luchar y para luchar y vencer, hay que tener estrategias, cumplir etapas, reinaugurar procesos, moverse por el espacio con destreza, ligereza y elegancia, dejar los rastros para los que vienen como nosotros seducidos por la fragancia … de la tierra, Venezuela es verde debemos reforestarla, a la comunidad debemos con nuestro arte ofrendarla, para enamorarla y juntos colaborar a recuperar lo que es de la familia, de la casa, ser lo que somos endógenamente, seres soberanos, debemos ser comunidad social: dar y recibir, vernos, sentir, respetar, aprender… y si es arisca la situación, por desamores y frustración, insistir, percibir: que cerro no es edificio, calle no es callejón, los problemas son distintos, al igual que las propuestas de solución, Tiuna espacio geográfico, espacio de encuentro bien sea fiesta, festival, película, recital, asamblea, taller, caravana, sancocho, mercado, modos de organización y autogestión de ultima generación cuidándonos de la contradicción en el laboratorio estamos practicando, como Rodríguez simón inventamos y erramos, no copiamos, cada núcleo tiene su dinámica, las cooperativas y el entorno es quien marca las pautas, la historia memoria nos ayuda a descifrar tomar decisiones acertadas Dentro de los edificios, Detrás del ladrillo, latas, cartones y bajo los puentes esta la gente Hacemos un llamado a la atención, …es tiuna, el Fuerte!74

73 74

Núcleo de desarrollo endógeno cultural. On line: http://www.eltiuna.org/. [Data di consultazione 23/03/2008].

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Conclusioni

Caracas è una città che non sembra riuscire a costruire la sua relazione matura con l’Alterità e in questo è interessante la sua osservazione, poiché riproduce dinamiche ben più globali. Le dinamiche in essa presenti sono di scottante attualità e preannunciano uno scenario di futura urbanizzazione globale. A tutt’oggi si continua a mantenere un atteggiamento di rifiuto dei barrios. Essi sono considerati realtà extra-territoriali che disturbano il tranquillo andamento delle cose e l’ordinata organizzazione della nuova cuadra colonial. Del resto la presenza del barrio come elemento che disturba, inquieta e suscita vergogna è stata da sempre istituzionalizzata dalla politica e perciò interiorizzata dalla abitanti della città “formale” che si riconoscono ancora oggi come unici cittadini di diritto: En Venezuela la población urbana no se identifica con los residentes de lo barrios. Prefiere ignorarlos, tratarlos como “problema”, y al así hacerlo se distancia de ellos. El aspecto feo y pobre de la ciudad se tolera, pero no se asume; si se pudiera ocultar sería mejor. Este sentimiento vergonzoso de la realidad suburbana (esto es, del suburbio) subyace en diversos proyectos gubernamentales de adecentar las barriadas mediante la construcción de bloques. Diversas medidas para mejorar el aspecto de los barrios tienen parecida motivación. Son las llamadas medidas de cosmético que se aplican a la parte externa de los asentamientos: reparaciones y pinturas que mejoran el aspecto, pero dejan intactas las deficiencias de fondo. Esta situación de que la ciudad se avergüence de sus barrios tiene su correlato en la cultura provinciana, cuando las familias relegan al hijo minusválido al último lugar de la casa, no tanto por molesto, sino para que los visitantes no noten su presencia. La ciudad prefiere no hablar de los barrios, sería mejor que no existieran75.

Ancora più significativo è il pregiudizio già presente nei bambini di 12-14 anni i quali considerano le parti più povere delle città quali luoghi da cui tenersi distante, riproponendo evidentemente il pregiudizio di un mondo adulto, minoritario ed escludente. Alla domanda “quali luoghi non ti piace visitare?”, alcuni bambini rispondono: “Petare (...) bueno, porque toda la gente se viene para abajo y comienza a robar y tal, los barrios (...) porque hay crimen en todas partes, Petare, porque ahí hay muchos barrios y hay mucho drogadicto y broma y fuman mucho y roban y ahí es donde hay más muertos también. Hiciera como...explotaría los barrios, en serio”76. Per i bambini che disegnano la città, i ranchos sono una parte della montagna con tante casette distanti dalla città vera, la loro Caracas. Essi esprimono R. E., Carías Bazo, Identidad y cultura de los barrios, in T. Bolívar, J. Baldó, op. cit., p. 87. F. Sifontes, Hacia una construcción del imaginario urbano infantil. Elaboraciones simbólicas en torno a la vivienda, la urbanización y la ciudad. Caso: Colegio El-Chuao, Area Metropolitana de Caracas, lavoro di tesi, Caracas 2000, p. 122, citata in T. Ontiveros, “art. cit.”, p. 162. 75

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l’esclusione dal proprio mondo e dalla propria esperienza quotidiana di quella parte della città autocostruita: Eso que se muestra en el dibujo no es Caracas, la ciudad está abajo en el valle, arriba en los cerros está esa parte que no les gusta pero que tienen que soportar. Nos muestra la “zona marginal”, esa zona que se esconde en los anuncios de viajes, la que no se quiere visitar, pero que aun con el pesar de mucha gente existe y es parte de nuestra realidad y que este niño plasmó de una manera clara, expresando que esa zona “marginal”, no pertenece a Caracas y por esto se debe excluir de nuestra cotidianidad77.

La riproduzione dello stigma, il rifiuto e la negazione si trasforma in pratica quotidiana fin dalla giovane età, come visione del mondo non esperito direttamente ma inculcato in maniera artificiale, esogena. E’ questa una posizione che riproduce una condizione di diseguaglianza e “invisibilità” sociale, economica, politica e culturale e suggerisce che il solo modo per essere considerati cittadini a pieno titolo è quello di corrispondere al modello dell’abitante formale. Per rompere il meccanismo di esclusione, non innato nei bambini ma condizionato dalle persone adulte, sarebbe necessaria una convivenza tra diverse estrazioni sociali, cosa del resto di difficile realizzazione in una città come Caracas così frammentata e segregata. Per l’abitante dei territori autocostruiti invece, il barrio diventa l’unico punto di riferimento, fonte di identità e spazio da difendere. L’esclusione sociale e la segregazione urbana àncorano il soggetto alle reti locali, se non addirittura micro locali (iperterritorializzazione), rafforzando l’identità di gruppo, il valore della comunità o della banda. E’ proprio in quegli spazi non ancora permeati dalla globalizzazione che l’elemento territoriale risulta il fondamento, il collante della comunità che la abita. Si tratta di dinamiche di iperterritorializzazione. In molti casi i barrios assomigliano al loro interno a microcittà con tutta una serie di servizi (farmacie, negozi, scuole, centri culturali, ambulatori, mercati, officine meccaniche, saloni di bellezza, etc...). Qui molti esercitano la propria professione e limitano il contatto con la città per occasioni di natura burocratica (documenti, uffici amministrativi) o d’emergenza. Tuttavia considerano che il proprio barrio non sia isolato dal resto della città ma che ne sia parte integrante. Sentono inoltre di dover lottare per il riconoscimento dei propri diritti di cittadinanza e per avere uno spazio rispettato dentro la città:

F. Sifontes, Hacia una construcción del imaginario urbano infantil. Elaboraciones simbólicas en torno a la vivienda, la urbanización y la ciudad. Caso: Colegio El-Chuao, Área Metropolitana de Caracas, lavoro di tesi, Caracas 2000, p. 122, citata in T. Ontiveros, “art. cit.”, p. 162. 77

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Pensamos que los pobladores populares no sólo deben destacar el hecho de no sentirse fuera de la ciudad, se trata de exigir su lugar como ciudadanos, y no de segunda o tercera clase, se trata de ser ciudadanos con derecho a tener derechos y, dentro de éstos, luchar por un hábitat digno, por un reforzamiento de la cultura popular, impregnada de múltiples saberes, del ayer, del hoy, de la tradición, de la modernidad78.

Avere uno spazio nella città, essere riconosciuti come parte integrante della cittadinanza è il passo fondamentale per rompere un meccanismo che produce alienazione, anonimato e chiusura patologica da parte dei cittadini delle urbanizaciones. Riconoscere il barrio significa anche riconoscere l’apporto culturale e storico degli abitanti nella costruzione della città nella sua complessità. Ad oggi si continua a considerare città la parte che più ricalca il modello occidentale-americano, così come si riconosce quale cittadino legittimo solo colui che per formazione, professione, moda e cultura si avvicina al cittadino “globale”. Disconoscere il patrimonio culturale e spirituale del barrio significa dimostrarsi ciechi e sordi di fronte all’esplodere di una nuova dimensione urbana e sociale che necessita il meraviglioso seppur difficile cammino dell’interculturalità e della forma dialogica della relazione. Sfida futura di Caracas sarà promuovere legami sociali recisi, favorire la comunicazione tra barrio ed élites affinchè il primo non abbandoni l’idea e la speranza di farsi comprendere dal secondo. Viceversa, che le élites non usino il pretesto della violenza nei barrios per continuare a giustificarne l’esclusione da qualsiasi processo decisionale e di progetto sulla città. Solo un’etica o una Poetica della Relazione (come la definisce Glissant) ci può riportare sul sentiero della convivenza, in quanto è nella relazione che il mio essere incontra l’altro e si riconosce, restituendo all’altro da me la sua collocazione universale: Nell’incontro con gli altri le persone si riconoscono, dialogano e attraverso questo scambio continuo, si trasformano. Senza incontri gli individui cadono vittime di sé stessi, prigionieri nei propri monologhi e della propria autoreferenziale solitudine. L’incontro è vettore di vita e si trasformazione, di avvenire e di divenire. Ed è grazie a esso che nasce la “persona” intesa come soggetto in relazione con gli altri e con il mondo, dotato di una disposizione innata all’incontro con il Tu. (…) L’uomo dunque è una matrice di rapporti. Non solo sostanza, ma relazione79.

D. Dominguez, Un modo de existencia urbana: el barrio Altos de Lebrún. Una mirada antropológica sobre la dinámica barrial, Caracas 1996, lavoro di tesi per il dottorato in Antropologia, in T. Ontiveros, “art. cit.”, p. 170. 79 S. Pagani, “Temporalità e nuove patologie”, in Rivista di Psicologia individuale, Anno XXXVI, n. 63, genn-giungo 2008, pp. 55-56. 78

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Necessario è rifondare il valore della relazione, del prendersi cura dell’altro, del riconoscere la volontà del suo divenire, per costruire il valore della differenza in una città che occulta il diverso per nascondersi dietro cancelli di omologazione innaturale e patologica: Prendersi cura del valore dell’altro e della sua progettualità, essere responsabili significa (allora) entrare in una relazione rispettosa dell’altro nel suo divenire e soprattutto nel suo poter essere. Questo imperativo sottende un patto a lungo termine con il prossimo, che Bauman ha molto bene inteso quando ha definito la responsabilità come un impegno per l’altro nel tempo80.

80

Ibid., p. 61.

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.......Omaggio a Caracas

Dicen que la silueta de Caracas se asemeja al perfil de un felino agazapado mirando hacia el Oeste, quizás olfateando algún petróleo. Un felino tenso, determinado, brevemente erguido, dispuesto al salto. Un felino que destila entre sus garras el tumulto de una ciudad vibrante, compleja, quizá convulsa, que desborda el estrecho valle que apenas la contiene, que se empuja mucho más allá de sus límites de capacidad infinitesimales. Es la Caracas de los millones de caracas, que se escurre sin fin por las autopistas brillantes - siempre cercanas al colapso -, los caminos empinados de los cerros - en escorzo hacia el horizonte -, los requiebros y trucos visuales de la modernidad arquitectónica, la mezcla olfativa de arepera y Guaire, los afloramientos intermitentes de joropo, salsa o cumbia, los espacios nómadas de la venta ambulante, la sólida frontera norte del Avila. Es la Caracas de las multitudes, de los ruidos sin presencia, de Petróleos de Venezuela S.A. y sus filiales, de los tiroteos, de la informalidad, de los bonches hasta el amanecer, de los mercato, de los carritos atestados, de las élites económicas, de los vertedoros humeantes, del metro impecable, de las emigraciones masivas, de las urbanizaciones en las colinas. Es la Caracas que fascina. Es la metrópolis caleidoscópica, tortuosa, densa, fuerte, eufórica, barroca. Es la Caracas que te abraza y te golpea, peleando un grito. Un entramado laberíntico, un conglomerado múltiple de lugares que se alimentan, se esquivan, se necesitan, se resienten, se desconocen, se temen, de abandonan mutuamente. Es la Caracas de los segmentos interminables, trenzada al borde del salto, que te roza sigilosa y rápida, siempre agridulce, siempre despierta. Una Caracas siempre al filo de gritar sus nervios de acero, merengue, río y asfalto. Como ese felino invisible y ágil que atraviesa enfurecido sus arterias. La tensión muscular que impregna Caracas fluye eléctrica en su vivencia espiritista, esa intimidad sagrada que estremece con insolencia los recovecos entre lo corpóreo y lo etéreo. Caracas segrega esa explosión, ese murmullo en ascenso, esa respiración acelerada, esa voz entrecortada, esos ojos en busca de rumbo, ese ímpetu corpóreo rozando el límite, que se expande como un torrente atropellado por los ititnerarios del trance81.

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F. Ferrándiz Martín, “art. cit.”, 2002, p. 53.

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Nota

Consapevole che mai si potrà abbracciare la totalità del mondo e delle esperienze, ma che questa deve essere la tensione con la quale muoviamo i nostri passi, interrompo il mio viaggio tra le periferie. Questa ricerca non ha voluto proporre soluzioni. Ho cercato di suggerire tuttavia un altro sguardo sulle cosiddette marginalità. L’atto di scrittura è stato un tentativo di autoconvincermi che fosse possibile. È stato uno sforzo metodico autoimposto. Un esercizio spesso più grande di me. Un obbligo per mettere ordine al caos interiore, per scoprire nuovi percorsi mentali anche se disordinati e intermittenti. Scrivere è diventato un modo per entrare in contatto con una forza di volontà assopita. Mi scuso se a volte la ricerca di un mio ordine interiore ha sovrastato la necessaria chiarezza dell’esposizione. Questo lavoro è dedicato al popolo venezuelano e alla città di Caracas, alle persone che mi hanno aiutato a scoprirla attraverso l’avventura, e alla mia famiglia. A mio padre che torna sempre con mani nere e dure di lavoro, a mia madre sempre pronta a dare agli altri, a mia sorella la cui debolezza è forza per tutti. E agli altri che vedono in me cose che io non vedrò mai.

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