Ciò che inizia come un amore trasformante tra Dean Winchester e Castiel Novak nell'estate del 1965, rapidamente deraglia in qualcosa di molto più tumultuoso quando Dean viene arruolato nella guerra del Vietnam. Sebbene entrambi riconoscano che nella loro relazione dirsi addio non è mai una verità reale, la loro storia si carica della tragedia delle circostanze. In un'epoca in cui l'omosessualità era particolarmente vulnerabile, Twist & Shout è la storia di un amore che trascende il tempo, che ritorna più volte nelle sue molteplici forme, fedele come il mare.
Traduzione di Serena Tardioli
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“Noi. Noi insieme. Un solo essere. Scorrere insieme come l'acqua Finché non riesco a distinguere te da me. Io ti bevo. Adesso. Adesso.” - La Sottile Linea Rossa
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Capitolo I Aprile, 1965 Castiel teneva il bicchiere in alto mentre navigava tra la folla. Era come se la sala fosse fatta di nient'altro che di gomiti, con la gente che spingeva per passare, la minaccia che la birra finisse sui suoi vestiti un pericolo fin troppo reale. Si scontrò con Anna Milton, lunghi capelli rossi e gambe ancora più lunghe, e gli sorrise, fermandosi un momento sulla via per raggiungere il retro della casa. “Gran bella festa, eh?” disse sopra il ronzio sordo della gente che chiacchierava e la musica che si riversava dalla sala da pranzo. Castiel annuì con un leggero sorriso, usando il dorso della mano per mettersi a posto gli occhiali. Anna ridacchiò e gli toccò il colletto bianco della camicia, baciandolo sulla guancia. “È bello vederti fuori dalla biblioteca. Gli esami finali sono una tortura!” disse ridendo e Castiel scrollò le spalle, abbassando il bicchiere a livello del petto adesso che non si stava muovendo molto. “Non me ne parlare.” “Pensi di aver fatto bene?” disse, avvicinandosi, e Castiel riusciva a sentire il suo profumo e la cipria che aveva usato sul collo. Risaltava sulla sua pelle bianca, come una pellicola delicata, dal fervore della festa e tutti quei corpi stipati nella piccola casa della confraternita femminile; era tentato di strofinare una sbavatura che non si era amalgamata correttamente per un qualche desiderio distratto di sistemargliela. “Ho fatto il meglio che ho potuto. Tu?” rispose, guardandola alzare gli occhi al soffitto, muovendo una spalla con noncuranza. “Lo stesso, immagino.” All'improvviso sorrise, dandogli una piccola spinta. “Non essere così modesto! Lo sanno tutti che avrai preso il massimo dei voti!” Castiel poteva sentire il rossore avanzare lentamente colorandogli le orecchie, ma continuò ad ignorare il complimento con una scrollata di spalle. “Beh, basta parlare di scuola. Sono contenta che ti stia divertendo,” si infilò una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, “ci sono un sacco di ragazze qui, sai,” lo spinse di nuovo con la mano e Castiel rise nervosamente. “Già,” disse con voce affievolita, guardandosi intorno. Aveva ragione. C'erano molte ragazze. “Ecco qua.” Anna fece un passo avanti e gli sistemò un po' il colletto e la cravatta, lisciandosi le mani sulle sue spalle, “e ricordati di sorridere! Stanotte potresti essere fortunato!” “Ne dubito,” disse Castiel tossendo, e Anna si lasciò oscillare le mani giù lungo i fianchi. Gli diede un lungo sguardo e sorrise. “Non lo so,” disse in tono cantilenante. “Andiamo, per te sarà come rubare le caramelle ad un bambino!” Castiel sbuffò con scherno, prendendo un sorso di birra mentre Anna rideva di lui. Dopo aver inghiottito, stava per aprire la bocca per dire qualcos’altro quando sentì un rombo inaspettato provenire da davanti alla casa. Diverse persone si girarono a guardare, alcune di esse avevano l'aria molto irrequieta. Era il rumore di un motore che veniva imballato e dal passaggio ad arco all'atrio, Castiel poteva vedere un raggio luminoso di luce gialla trafiggere la finestra. “La polizia?” disse qualcuno, una ragazza, la sua voce nervosa. Un'amica la zittì ed tutti si fecero quieti, la musica che veniva dalla sala da pranzo sembrava più forte che mai nel silenzio raccolto. Un gruppo di ragazzi si spostò alla finestra, ed anche se Castiel riusciva a mala pena a vedere con loro davanti, allungò il collo per guardare mentre vi si affollavano, le mani sul vetro. “Chi diavolo l'ha invitato?” disse uno di loro, ritraendosi dalla finestra per fissare dietro di sé tutti gli altri. Castiel corrugò la fronte e il motore si spense insieme alla luce. “Ha parcheggiato proprio sul prato!” Gli occhi di Castiel si spalancarono e rimase a bocca aperta. Qualcuno aveva parcheggiato sul prato? Quindi era
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quella la luce che aveva visto. Sentì il battito accelerare – chiunque fosse, aveva il fegato di parcheggiare sul prato della confraternita Delta nel bel mezzo della notte, soprattutto quando non era evidentemente il benvenuto. “Non posso credere che Lisa l'abbia fatto,” disse Anna, e Castiel si voltò verso di lei e vide che stava scuotendo la testa, sospirando mentre incrociava le braccia sul petto. Guardò Castiel ed inarcò le sopracciglia. “Se proprio vuoi sapere la mia opinione, io gliel'avevo detto di non invitarlo stasera. Non porta nient'altro che guai.” “Chi?” chiese Castiel, ritornando con lo sguardo a quel poco che poteva vedere dell'atrio. “Vedrai,” disse Anna ridendo, e quando Castiel si voltò per continuare a parlare con lei, era quasi dall'altra parte della sala, dirigendosi di soppiatto in cucina. Castiel tirò fuori un bel respiro e gettò lo sguardo all'atrio, ancora curioso. Due ragazze avevano preso il posto dei ragazzi alla finestra, e stavano bisbigliando tra di loro mentre si avvicinava. Fissò sopra le loro teste, ma era troppo buio per vedere da quella distanza cosa stessero guardando. “L'hai visto?” “Martha, non guardare!” “Oh, non posso trattenermi! È il fascino del cattivo ragazzo! Hai visto che moto?” “Ma riesci a crederci? Lui e Lisa?” Ridacchiarono nelle mani per evitare che il loro respiro appannasse il vetro, ed una di loro iniziò a dare piccoli strattoni alle gonne di entrambe in ansia. Castiel corrugò la fronte e cercò di guardare oltre le loro teste, ma riuscì solo ad intravedere un gruppo indistinto di persone davanti a quella che doveva essere la moto a cui le due ragazze si stavano riferendo. Era troppo buio per capire il modello, ma il gruppo era composto di due – quattro membri della confraternita che Castiel conosceva dalla scuola e un ragazzo un po' più alto di loro, che stava di spalle. Castiel sbatté le palpebre e poi roteò gli occhi quando le ragazze iniziarono a fare dei gridolini striduli. “Pensi che si prenderanno a botte? Ricky sembra averne una voglia matta!” “Beth, non parlare così! Se si picchiano, qualcuno chiamerà davvero la polizia!” Castiel sbuffò alla conversazione e si voltò, cercando di ricordare se sarebbe finito nella sala da pranzo oltrepassando le scale alla sua sinistra. Qualcuno aveva cambiato l'album ed ora i Beatles stavano filtrando per tutta la casa. Abbandonando le speculazioni sullo straniero d'altronde poco interessante, Castiel si fece strada verso la sala da pranzo, morendo dalla voglia di ballare. Salterellava un po' sulla punta dei piedi e canticchiava seguendo il ritmo mentre girava l'angolo e – eccellente. Il salotto principale era stato trasformato in una pista da ballo improvvisata, le poltrone erano state spostate in un'altra stanza (una era persino sul prato) per fare spazio alle persone già stipate dentro, che dondolavano con la musica. Nel mare di gente riuscì a vedere Hester che rideva e ciondolava la testa mentre un ragazzo le sussurrava qualcosa all'orecchio. Però la ragazza stava guardando nella direzione di Castiel, e lui la salutò, lei sorrise, sollevando la mano per fargli cenno di venire. Si guardò intorno alla ricerca di un posto dove posare il bicchiere e alla fine si accontentò della mensola del camino già stracolma di bottiglie. Si affrettò verso di lei, scusandosi ogni volta che andava a sbattere contro qualcuno che ballava, ma erano troppo assorti nella musica, o nei loro partner, per curarsene. “Cas!” disse Hester, strattonandolo per il braccio, facendolo piroettare. Castiel seguì il suo esempio e i due si misero a ballare, adeguandosi al ritmo del gruppo. “Oh mio Dio, allora l'hai saputo?” disse all'improvviso Hester in un interludio, stringendosi vicino a lui. D'istinto Castiel si chinò con l'orecchio verso di lei, muovendo ancora i piedi, e Hester si ripeté, più forte. “Hai saputo?! Chi è venuto stasera?” Castiel si scostò e roteò di nuovo gli occhi, spingendo gli occhiali su per il naso. Aveva davvero bisogno di farsi aggiustare la montatura... “Ho saputo. Chi è?” chiese e Hester lo guardò a bocca aperta, le braccia che le dondolavano a tempo con la musica. “Cioè, non lo sai?” “Beh, immagino sia qualcuno che Lisa conosce?” continuò, facendo una forte risata, e Hester scosse le spalle a ritmo, riuscendo a dare a Castiel lo sguardo più incredulo che avesse mai visto. Aggrottò la fronte, infastidito.
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“Hai appena finito il primo anno e non sai nemmeno chi è Dean Winchester! Roba da matti!” disse in tono stizzito, “cioè, è solamente il pilota motociclistico più bravo che c'è in questa contea – e il criminale recidivo più carino della città. Penso sia vero che abbia una fedina penale, ma un sacco di gente pensa che sia solo un pettegolezzo!” Castiel rise, la sua curiosità solleticata. “Allora che sai di lui?” chiese per punzecchiarla, continuando a ballare. Hester si avvicinò. “Beh, so che lui e Lisa stavano insieme al liceo! Ed è stato un grande scandalo perché lui è un cattivo ragazzo e lei è una ragazza Delta, cose così.” “Anna gliel'ha detto di non invitarlo!” aggiunse Castiel. “Questo lo so bene!” Hester annuì con entusiasmo. “Ci credo! Un tipo come Dean a una festa Delta? Significa essere in cerca di guai!” “Ha parcheggiato sul prato!” “Non è vero!” strillò, arrossendo. “Oddio, è proprio un ragazzaccio, non pensi? Ricky ha fatto a botte con lui? Ha detto che l'avrebbe fatto se si fosse fatto vedere – quei due si odiano... aspetta, l'hai vista? La sua moto?” Gli afferrò il braccio e Castiel le sorrise, scrollando le spalle. “Forse?” “L'hai vista? Cas, l'hai vista?” “Era troppo buio,” ammise e Hester gli lasciò andare il braccio con un suono di disapprovazione. “Non prendermi in giro così! Quella moto gli ha fatto guadagnare un mucchio di soldi – diventerà campione dello stato quest'anno, me lo sento. Leggeremo di lui su tutti i giornali e poi vincerà la grande coppa e avrà al suo fianco qualche ragazza fortunata.” “Speri di essere tu?” investigò Castiel, avvicinandosi per non essere d'intralcio agli altri. Hester scosse la testa. “Neanche per sogno! È molto bello, ma cambia ragazza ogni giorno! Beh, e poi tutte quelle voci! Neanche per sogno!” “Che voci?” indietreggiò anche se Hester gli teneva stretto il braccio. “Vuoi dire che non l'hai saputo? Ma dove vivi?” Rise, mettendosi più vicino a Castiel, i suoi movimenti che diventavano più lenti in modo da guardargli meglio il viso. “Davvero non l'hai saputo?” Castiel scosse la testa e Hester lo tirò per un braccio, trascinandolo attraverso le ondate di gente e fuori dalla sala, fino a posizionarsi accanto alla tromba delle scale dove era meno affollato – Castiel riuscì a riprendersi il bicchiere per un pelo. Hester gli diede segno di avvicinarsi, e così fece, abbassando la testa in modo da poterla sentire più chiaramente. “A quanto pare bada a suo fratello minore da quando era un ragazzino, e suo padre è un nullafacente o qualcosa del genere.” Castiel corrugò la fronte e si scostò, tenendo il bicchiere al petto. “È terribile.” “È quello che ho sentito, e la gente dice che è un pettegolezzo, ma io penso sia vero.” “Beh, se è vero, non è più un pettegolezzo, no?” Castiel non aggiunse altro, posando invece il bicchiere su uno degli scalini dietro Hester. Lei prese una bevanda che stava accanto e la portò al naso, annusando e facendo una smorfia mentre la rimetteva a posto. Lo costrinse di nuovo ad abbassarsi per essere allo stesso livello e Castiel si spostò leggermente più vicino. “Ho sentito anche dire che la ragione per cui lui e Lisa hanno rotto è perché è un omosessuale,” gli sussurrò proprio all'orecchio, e Castiel ritrasse la testa di scatto, gli occhi spalancati dietro gli occhiali. Hester scrollò di nuovo le spalle. “Sono solo voci, Cas! La gente ha sempre voglia di sparlare!” Castiel spinse gli occhiali sul ponte del naso con un dito. Hester rise di lui e lo afferrò per il polso per trascinarlo
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di nuovo nella folla prima di fermarsi vicino alla cucina. “Aspetta qui – voglio prendere qualcosa da bere e poi possiamo ballare ancora un po', okay?” “Sì, okay.” Castiel sorrise e si appoggiò al muro, guardando i corpi davanti a lui muoversi a tempo con la musica. Pochi minuti più tardi Hester uscì a tutta birra dalla cucina, afferrando di nuovo Castiel per il braccio, sorprendendolo e facendolo saltare. “Oh mio Dio, Cas! Adoro questa canzone!” esclamò. “Non li adori i Beatles?” Muoveva il corpo e ciondolava la testa, tenendo il polso di Castiel in mano mentre lui seguiva i suoi movimenti. “Sì, sono grandiosi!” Sorrise, e lei sorrise a sua volta. “Dovremmo andare a vederli un giorno, eh? Forse suoneranno da queste parti e possiamo andare a vederli insieme!” “Sarebbe bello, ma–” “Ma preferiresti vedere Elvis. Lo so, lo so. Cavolo, Cas, chi sei? Mia madre?” “Ehi, senza di lui il tuo prezioso Lennon non avrebbe mai fatto strada.” “Non fare l'offeso! Elvis è a posto... se sei un matusalemme!” Castiel roteò gli occhi e continuò a ballare, ciondolando la testa, e Hester non la smetteva di sorridere, ma poi l'attenzione di Castiel fu attirata altrove quando vide qualcuno uscire dalla cucina. Hester si fermò quando notò che Castiel non stava più ballando, e seguì il suo sguardo. “È lui,” disse Hester a bassa voce e diede una gomitata a Castiel, deviando bruscamente la sua attenzione su di lei. “Chi?” “Dean Winchester. Oh mio Dio, è proprio bello!” Castiel osservò Dean camminare attraverso la folla, proprio accanto a loro, e riuscì a sentire il tocco leggero della sua giacca di pelle contro il braccio che mandò una specie di brivido per tutto il corpo. Dean continuò a camminare senza guardarsi indietro, girò l'angolo e sparì. “Ehi!” Hester agitò una mano davanti al suo viso e Castiel fece un balzo all'indietro, urtando qualcuno con cui si scusò velocemente prima di ritornare su Hester. “Ehi, stai bene? Avevi lo sguardo perso nel vuoto.” “Sì, sì, sto bene,” disse, soffermandosi per un momento, spingendo gli occhiali sul ponte del naso. “Sembrava arrabbiato.” “Ricky ha probabilmente cercato di fare a botte con lui, ma Dean se l'è probabilmente voluta. Ho sentito che gli piace dare inizio alle cose, sai?” Strinse le spalle e tirò Cas per la manica, facendo il broncio. “Dai, continuiamo a ballare; è l'unica cosa che mi impedisce di impazzire qui dentro.” Cas fissò ancora per un momento il punto dove Dean aveva girato l'angolo prima di annuire e lasciare che il suo corpo iniziasse a riabituarsi alla musica, la sua attenzione di nuovo su Hester. “Sì, okay.” Sorrise e Hester oscillava davanti a lui, muovendo le braccia lungo i fianchi, e lui accompagnava i suoi movimenti, mantenendo il ritmo con la canzone. Non gli ci volle molto tempo prima di perdersi nella musica e nei movimenti fluttuanti della gente intorno. Sorrise a Hester che si morse il labbro con civetteria, e lui fece scivolare le mani verso la sua vita. Castiel rimase bloccato per un istante quando le mani le sfiorarono il vestito, sentendosi un groppo in gola. Le sue dita si contrassero e le posò sul suo corpo, con le braccia di Hester sulle spalle. Fece un respiro profondo e cercò di guardare sopra la sua spalla anche quando lei cercava di scrutarlo negli occhi. Sapeva cosa Hester provasse per lui. Cercava costantemente di tenerlo interessato, ma non era colpa sua. Non lo era davvero. Castiel desiderava, con tutto se stesso, di poter ricambiare. Si irrigidì e continuò a dondolare con lei, facendo del suo meglio per sentirsi a proprio agio, ma all'improvviso gli sembrava di essere così goffo, e anche se non aveva inciampato o cose del genere, si sentiva estremamente non in sintonia. Era esasperante essere così fuori ritmo, eppure dovevano comunque continuare a ballare, a dispetto di quello che provava. Non era qualcosa che poteva spiegare – il motivo per cui Hester stava bussando alla porta sbagliata. Voleva fermarla quando fece scivolare sperimentalmente una mano sul suo collo, ma non poteva. Non poteva farci nulla perché era un ragazzo e lei una ragazza bellissima ed era una festa Delta e anche se lui conosceva il motivo non
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poteva di certo dirlo. Hester inclinò la testa timidamente e sorrise, e Castiel sperava che la pietà che provava nei suoi confronti non fosse troppo ovvia. Era una delle migliori amiche che aveva, e voleva disperatamente non perderla. Le cose al college stavano andando così bene. Molto meglio di quanto avesse previsto e avrebbe fatto qualsiasi cosa per non rovinare tutto come aveva fatto a casa. Doveva aver aggrottato la fronte perché Hester sembrava all'improvviso preoccupata, sbattendo le palpebre, lo sguardo di Castiel che si concentrava sul suo eyeliner da gatto. Probabilmente si era ammazzata di lavoro a leggere le riviste per ore, solo per diventare più affascinante possibile per lui e il pensiero gli fece venire un tuffo al cuore. “Qualcosa che non va?” disse abbastanza forte da farsi sentire. “Oh, no, stavo solo pensando,” rispose rapidamente e lei ridacchiò, giocando con il pullover di Castiel. “Sai, puoi dirmi cosa c'è che non va...” continuò. No, non posso proprio, pensò Castiel con disperazione, ma rise leggermente, allontanandosi da lei quando l'album passò a una canzone più veloce, una che non richiedeva nessun tocco intimo. “Lo so,” rispose invece; Hester ridacchiava nervosamente, giocherellando con le punte dei capelli. Li stava lisciando quando lasciò vagare gli occhi sulla sala ed afferrò il braccio di Castiel. All'improvviso aveva il volto arrossito. “Ci sta fissando,” disse con voce stridula, guardando Castiel. Castiel corrugò la fronte. “Chi?” “Dean,” disse con enfasi, guardando sfuggevole il corpo di Castiel. “Proprio noi, non ci posso credere – oh Dio, svelto, facciamo a cambio,” farfugliò, voltandosi e spingendo Castiel al suo posto. La fissò in viso, voce incredula. “Hester, mi sembra impossibile che stia fissando noi,” iniziò a dire, ma lei non stava ascoltando; il suo viso era adesso di un rosso acceso. Aveva gli occhi puntati su Castiel, anche se ogni tanto iniziava a girare la testa per guardare dietro di sé, ma poi si fermava. “Sta ancora guardando? Stava fissando proprio me, è stato orribile!” “Orribile? Hester, andiamo...” disse in tono spiritoso, e alla fine alzò lo sguardo. “È ancora lì?” Castiel quasi chinò la testa verso il suono della sua voce, ma lo fece solo di riflesso. Non avrebbe potuto fare molto di più. Era spaventoso; leggermente orribile, proprio come Hester aveva detto, ma non del tutto. Non avrebbe potuto essere completamente orribile perché, anche se si sentiva in trappola, non voleva scappare. Non voleva che la sensazione svanisse. Gli batteva forte il cuore e sentì immediatamente le mani cominciare a sudare mentre tratteneva il respiro. Dean Winchester mantenne lo sguardo e non voleva lasciarlo andare. Stava solo ad osservarlo dalla parete opposta della sala, con una mano che giocherellava con un tappo di bottiglia, e l'altra che teneva la birra, e Castiel si ricordò finalmente di inspirare, e sorrise. Un piccolo sorriso. Le labbra di Castiel erano insopportabilmente secche, e stava per bagnarle con la lingua quando Dean spezzò il contatto, i suoi occhi vagarono su Hester per un istante e poi di nuovo su Castiel senza dare tempo per alcun tipo di recupero. “Cas?” Castiel aprì la bocca per dire qualcosa, e poteva sentire Hester che affondava le unghie nel pullover, ma era come se lo stesse provando da molto lontano. Dean sollevò la birra alla bocca e ne prese una sorsata prima di abbassarla e rivolgere a Castiel un sorriso profondo, con gli angoli della bocca che scavavano nelle guance. Le dita di Castiel si contrassero e Dean si scostò dal muro. Castiel temette subito che stesse per venire direttamente da lui, ma invece Dean si diresse verso l'altro lato della sala. Castiel seguì ogni suo passo, ancora scosso, aspettando che Dean si fermasse e si voltasse e – l'immaginazione di Castiel non si spinse oltre.
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“Quando è arrivata Lisa?” sussurrò Hester, e la realtà travolse Castiel riportandolo al presente. Lisa... vide dove era Dean e lei era lì con lui, nel suo vestito giallo da festa, i suoi capelli mori che si adagiavano perfettamente sulle sue perfette spalle, e Dean aveva appoggiato il braccio sopra di lei sulla parete, sorridendo al viso allegro di Lisa. Castiel sbatté le palpebre nel vedere Dean sorriderle. Lei rise, coprendosi le labbra rosse con una mano, e sussurrò qualcosa all'orecchio di Dean prima di incrociare lo sguardo di Castiel e mantenerlo. Castiel osservò Dean fare un passo indietro e guardarsi alle spalle. Gli fece l'occhiolino. Tutto il viso di Castiel prese fuoco e Hester sbuffò. “Mi ha fatto l'occhiolino,” bisbigliò Hester, scandalizzata, e Castiel scosse la testa brevemente cercando di schiarirsi la mente, ma il suo cervello era troppo annebbiato nella sala rumorosa così piena di gente. “Sei tutto rosso, Cas, hai caldo?” chiese Hester, e Castiel spinse via la sua mano con gentilezza prima che iniziasse a toccarlo preoccupata. “Sì,” gracchiò, obbligandosi a non guardare ancora Dean. “Sì.” Tossì leggermente nella mano. “Penso di andarmene,” mugugnò, e Hester rimise il braccio lungo il fianco, confusa. “Sul serio, Cas? Ma sono solo le undici.” “Oh, davvero?” Si sentiva stordito, e cercava già di avanzare a fatica tra la folla, con Hester che lo seguiva. “Cas, chi mi accompagnerà a casa?” chiamò ad alta voce, cercando di raggiungerlo, fermandosi alla porta della casa, mano sul telaio. “Scusa Hester, non mi sento bene,” mormorò, e lei si afflosciò. “Cas, non è giusto però! Avevi detto che mi avresti accompagnato! C'è qualcosa di strano in tutto questo!” “È solo stress!” insistette, fermandosi sul vialetto d'ingresso; i suoi sospetti lo preoccupavano troppo per lasciarli in sospeso. “Per gli esami finali. Davvero, Hester. Lo sai quanto ho studiato... è che mi ha sopraffatto solo ora.” Hester lo fissò per un lungo momento e strinse le labbra. “Vatti a riposare un po' allora,” disse con fare distaccato dopo un istante e Castiel sorrise un po' freddamente, contento nel sapere che Hester era semplicemente delusa e non lo accusava di nulla. “Dirò a Anna che te ne sei andato. Resterò qui per la notte.” “È una buona idea,” disse Castiel. Aspettò che tornasse dentro dopo averle dato un breve bacio della buonanotte sulla guancia che la fece arrossire così tanto da metterlo a disagio, e poi riprese a camminare. Si fermò per un attimo a guardare la moto ancora parcheggiata sul prato. Fece un forte sospiro, lo sguardo che vagava sui manubri e sul sedile, e poi iniziò il lungo cammino verso il suo appartamento fuori dal campus. Odiava fare quel tragitto, e il suo appartamento non era tanto un vero e proprio appartamento, quanto piuttosto un buco in un muro con perdite d'acqua, ma era meglio che essere alla mercé dei ragazzi in dormitorio. Ne aveva avuto abbastanza di venir preso in giro quando era un bambino, e non aveva alcuna intenzione di rendere la sua vita adulta un incubo come alle elementari, se poteva evitarlo. Inoltre, gli piaceva la privacy. Nessuno lo fissava, cercando di carpire i suoi segreti. Nell'appartamento c'erano solo lui e lo studio infinito a cui si sottoponeva per mantenere vivo il suo sogno di diventare medico. Si mise le mani in tasca e tentò di pensare a qualcosa di diverso dagli occhi di Dean, o dalla curva ben definita della sua mascella, o dal modo in cui rilassava le spalle quando era a proprio agio, o da come non avesse mai provato con nessun altro essere umano in tutta la sua vita il colpo di fulmine che si era abbattuto lungo la schiena non appena i loro sguardi si erano incrociati. Era stato come vivere dentro quella canzone di Lou Christie 1. Per tutta la sua vita aveva sentito parlare di chimica ed aveva creduto di averla avuta con qualcuno una volta o due, ma era ovvio che avesse torto marcio. Altro che arrabbiato; lo sguardo di Dean Winchester era assolutamente predatorio. Camminava lungo il marciapiede, l'unica luce proveniva dai lampioni che costeggiavano la strada e dal transito occasionale di auto, con i fari che passavano fugaci illuminandogli il viso, accecandolo per un attimo prima di essere in grado di vedere di nuovo. L'aria fresca notturna soffiava pungente sulla sua pelle, e tirò fuori le mani 1 Si riferisce a Lightnin' Strikes (1965).
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dalle tasche per coprirsi le dita con le maniche, incrociando le braccia sul petto. Passarono un paio di persone sulla via di casa, un piccolo gruppo di ragazzi e ragazze che si dirigevano verso la Delta House, verso la festa dove c'era Dean, probabilmente ancora a parlare con Lisa. Non avrebbe dovuto dargli così tanto fastidio, e cercò di ignorare la sensazione angosciante che aveva quando pensava a Dean che parlava con Lisa, appoggiato al muro a sorriderle. Sospirò, dando un calcio a un sasso sul marciapiede, osservandolo cambiare direzione ed atterrare sull'erba. Continuò a camminare, superando lampione dopo lampione, e dopo il piccolo gruppo di persone, non c'era nessun altro in vista. Era solitario, e un po' spaventoso, camminare verso casa da solo nel buio, ma ce la poteva fare. Inoltre, non era troppo lontano dal suo appartamento, e se affrettava il passo, poteva arrivarci in pochissimo tempo. Le strade erano silenziose e Castiel strinse ancora di più le braccia intorno al corpo, fermandosi per un breve istante a guardarsi alle spalle prima di girarsi per riprendere a camminare. Okay, era nervoso, ma lo sarebbe stato chiunque a camminare verso casa da soli nel bel mezzo della notte. Rise sommessamente, scuotendo la testa, ed iniziò a canticchiare, nel tentativo di tenersi occupato e con la mente sgombra. “Well shake it up, baby, now2,” iniziò a cantare, ma prima di poter andare avanti con la canzone, fu interrotto dal rumore di un motore che quasi lo fece saltare in aria per la paura. Si fermò di colpo e si voltò: i suoi occhi prima videro una ruota, e più alzava lo sguardo, più diventava tutto familiare. Era una moto, di colore scuro, ma anche chi la guidava gli era familiare. Il suo sguardo alla fine si posò sul viso del pilota, e persino con la luce fievole del lampione riusciva a vedere gli occhi verdi di Dean Winchester. “Vuoi uno strappo?” disse abbastanza forte da farsi sentire sopra il rumore del motore, e Castiel sbatté le palpebre, guardandosi intorno prima di ritornare con lo sguardo su Dean. “Sì, dico a te. Ci sei solo tu qui.” Immediatamente Castiel percepì un calore crescente al viso e abbassò lo sguardo, facendo un passo indietro. “No, no, non fa niente.” “Cosa?” Dean mise entrambi i piedi a terra e spense il motore, rimanendo sul sedile. “Non ti ho sentito.” “Ho detto, 'no, non fa niente.' Posso tornare a casa da solo, grazie.” Castiel si girò, mise le mani in tasca, ma fece solo pochi passi finché non si fermò. “Aspetta!” gridò Dean, e Castiel si voltò. “Andiamo, non c'è nessuno in giro, e tornare a casa da solo è una rottura.” Non doveva fidarsi di questo ragazzo, perché l'aveva solo visto ad una festa e non ci aveva mai parlato prima d'ora, ma eccolo lì, che gli offriva un passaggio su quella sua famosa e stimata moto. Castiel passò da un piede all'altro, mordendosi con preoccupazione il labbro inferiore prima di annuire e fare un passo avanti. E Dean sorrise, la cosa più vorace che Castiel avesse mai visto in vita sua, ed accese il motore quando Castiel si mise a sedere dietro di lui. “Reggiti forte!” Con esitazione, Castiel avvolse le braccia intorno alla vita di Dean e si tenne forte quando Dean mandò su di giri il motore e partì, facendoli sfrecciare sulla strada. Castiel si ricordò con orrore che non era mai stato su una moto prima d'ora. Ci era appena salito – non gli aveva dato molto peso in realtà, ma non c'era mai e poi mai stato. Strinse le braccia intorno a Dean ancora di più mentre procedevano sbandando, ed era ovvio che Dean non stesse prestando molta attenzione al limite di velocità. “Rilassati!” disse da sopra la spalla mentre attraversavano un incrocio, ancora sorridente, e Castiel fece una smorfia, deglutendo e liberandosi della tensione sulle spalle. Fece scivolare la mani un po' all'indietro, sospese sulla vita di Dean, proprio sopra l'orlo della giacca. Castiel sentì Dean sussultare mentre rideva, probabilmente di lui, e cercò di non morire di paura quando la moto scese in piega per la curva, dando l'impressione che stessero per cadere da un momento all'altro. Al di sotto del suo terrore c'era però un cenno di euforia, qualcosa di palpitante e nuovo. Dean era così a suo agio – si erano scambiati a mala pena due parole, ma Dean o non gli dava peso o era troppo esperto nel dare passaggi a caso per esserne infastidito. Quando Castiel si rese conto che avevano superato il suo appartamento, era troppo preso dal momento per dire qualcosa. Ad un certo punto capì vagamente che fin dall'inizio Dean non aveva avuto probabilmente alcuna intenzione di riportarlo a casa. Il cuore gli balzò nel petto e trattenne il respiro pensando alle implicazioni. Si leccò 2 Bene, adesso agitati piccola è tratto dalla canzone cover dei Beatles, Twist And Shout (1963).
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le labbra nervosamente e lasciò che le dita sfiorassero Dean sotto la giacca. Lo sentì ridere sommessamente, e Castiel si bloccò scioccato quando Dean accettò il suo tocco. Castiel sentì i suoi muscoli tonificati sotto il palmo della mano e cercò di guardare qualsiasi cosa intorno a loro per evitare di arrossire. Non aveva mai toccato una persona in quel modo – non così. Non con le farfalle allo stomaco che aumentavano sempre di più da fargli pensare che sarebbero straripate fuori dalla bocca e volate via. Osservò la scia degli edifici che superavano spediti. Se le persone li avessero seguiti con lo sguardo, l'avrebbero fatto solo per un istante prima di continuare a camminare o guidare. In un'imprevedibile esplosione d'ansia, Castiel si preoccupò che qualcuno avrebbe potuto riconoscerli, ma alla fine si calmò rendendosi conto che era buio e che comunque stavano andando probabilmente troppo veloce – inoltre, tutte le persone che lo conoscevano erano alla Delta House. Ed eccolo qui, con Dean Winchester, che non conosceva affatto. Che, l'ultima volta che l'aveva visto, sembrava essere estremamente interessato a Lisa Braeden, ma adesso lo stava portando da qualche parte a bordo della sua moto. Un secondo più tardi, sentì che stavano rallentando. Procederono in folle fino a fermarsi davanti a una tavola calda dove c'era già stato forse una volta con alcuni amici quando si erano avventurati in questa zona della città. Castiel non capiva. Aveva pensato... arrossì e Dean spense il motore, girandosi, sopracciglia inarcate. “Non so te, ma a me va un frappè,” disse Dean, sorridendo, e Castiel tentò di nuovo di ingoiare il groppo che aveva in gola. “C-come scusa?” replicò, e Dean fece un sorriso più ampio, più travolgente, se possibile. “Un frappè? Lo sai che cos'è, vero?” Dean rise di lui, gli occhi verdi in cerca del suo viso. Castiel si sentì arrossire ancora di più. “Mi dispiace, ma non ho soldi...” balbettò Castiel e Dean gli fece un cenno con la mano, infilandosi le chiavi in tasca. “Meno male che ho intenzione di pagare allora.” Dean sospirò, porgendo un braccio verso il cordolo del marciapiede. “Dopo di te.” Castiel scese con riluttanza dalla moto, cercando di non stringere troppo forte la spalla di Dean che usò per tenersi in equilibrio. Stava a più o meno mezzo metro da lui a guardarlo canticchiare tra sé e sé. Traboccava di fiducia in se stesso, e Castiel fece del suo meglio per non adocchiarlo ogni volta che ne aveva occasione. Dean fece solo un sorriso compiaciuto, prendendo una sigaretta dal pacchetto riposto nella giacca, con i fiammiferi in equilibrio nell'altra mano. L'accese e fece un tiro, offrendola a Castiel quando si trovarono all'ingresso della tavola calda; le luci all'interno creavano ombre sulla strada. “Fumi?” “Non proprio,” rispose Castiel. Dean scrollò le spalle ed entrò dentro con impeto, ancora canticchiando, Castiel dietro di lui; la campanella sopra la porta tintinnò segnalando il loro arrivo. “Ellen!” chiamò Dean a gran voce, e una donna dietro il bancone si girò, sorridendogli. “Beh, chi non muore si rivede!” disse, versando caffè nella tazza di un uomo chino sulla sezione sportiva del quotidiano. Castiel si mise a giocherellare con il pullover quando lo sguardo di Ellen scivolò prima su di lui e poi su Dean, con espressione interrogativa. “Il solito?” chiese, ma Castiel sapeva che il tono della sua voce sottintendeva più di quello che stava chiedendo. Dean le sorrise, per niente infastidito, e guardò Castiel, facendogli cenno di andare avanti. “Due per favore,” rispose, e poi indicò a Castiel di seguirlo ad un tavolo appartato in fondo. Si misero a sedere uno di fronte all'altro. “Jo lavora stasera?” chiese Dean a Ellen, appoggiandosi allo schienale e scrollando la cenere della sigaretta nel posacenere alla finestra. Castiel lo osservò, sbalordito dal fatto che Dean non gli avesse chiesto nemmeno il suo nome, ma che gli stesse offrendo il 'solito'. “No, ha la serata libera. Mi occuperò subito di voi ragazzi...” disse Ellen con voce affievolita, annotando qualcosa
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e andando in cucina per immettere il loro ordine. Dean sorrise e riportò la sigaretta alla bocca, finalmente volgendo lo sguardo a Castiel. Castiel fece un respiro profondo ed intrecciò le mani in grembo. “Ti piacerà questo posto. Il cibo è fantastico,” iniziò a dire Dean, soffiando il fumo da un lato della bocca. Castiel annuì. “Ci sono già stato,” replicò seccato, all'improvviso irritato da quanto tutto ciò fosse pretenzioso. Voleva solo un passaggio a casa, e adesso si trovava in una situazione a lui ben poco familiare ed era colpa dell'idiota che gli stava sorridendo. “Ah sì?” Dean rise. “Allora lo sai.” “Immagino.” Dean lo guardò con occhi socchiusi ed indolenti, che scorrevano leggeri sul viso di Castiel e poi in basso, dove il tavolo gli tagliava il torso. Castiel si schiarì la gola e Dean guizzò lo sguardo di nuovo sul suo viso. “Cosa sai di me?” disse Dean all'improvviso, con quel suo sorrisetto stampato di nuovo in volto, spavaldo e curioso. Tirò una boccata di sigaretta e Castiel si spostò un po', lanciando un'occhiata fuori dalla finestra. “Non molto, a dire la verità.” “Questa sì che è una sorpresa,” esclamò Dean, un po' più animato. “Di solito la gente sa tutto di me. Soprattutto se va a una festa Delta. Ma tu non sembri uno qualsiasi. Devi essere uno di quelli che vive in biblioteca.” “Sto studiando per diventare medico,” intervenne Castiel, e Dean sorrise, mostrando i denti, quasi come se fosse impressionato o qualcosa del genere. Ci fu una pausa e Castiel contò i granelli di sale versati sul tavolo per tentare di distrarsi dagli occhi di Dean, finché quest'ultimo non si sporse in avanti, toccandogli il mento col palmo. “Allora, sei finocchio?” Castiel alzò il viso di scatto ed inspirò profondamente, fissando Dean che gli stava sorridendo con tenerezza. Castiel distolse lo sguardo, le sue guance erano senza alcun dubbio chiazzate di rosso. “E anche se lo fossi?” sussurrò, e non riusciva a credere di averlo detto sul serio ad alta voce. E proprio a Dean Winchester. Cazzo, quanto era stupido. Non aveva motivo per ammetterlo, ma Dean non sembrava offeso. Non ne sembrava nemmeno entusiasta. Era come se avesse chiesto che lezioni frequentasse Castiel o quali album ascoltasse. Cazzo, quanto era stupido. Dean annuì e strinse le spalle. “Immaginavo. L'ultima volta che qualcuno mi ha guardato come hai fatto tu da Lisa, ci sono andato a letto.” Gli occhi di Castiel si spalancarono. “Non ti conosco nemmeno!” bisbigliò. “Stavo solo tornando a casa a piedi, e tu mi hai dato un passaggio e – !” “E adesso ti sto offrendo un frappè,” concluse Dean per lui. “E anche le patatine.” Scrollò la cenere della sigaretta. “Non male come primo appuntamento, se me lo chiedi.” “Cos- primo appuntamento?” disse Castiel con voce soffocata, guardando Dean a bocca aperta. Dean gli sorrise e basta, scrollando di nuovo le spalle. “Primo appuntamento.” Lo disse in un tono così pragmatico, come se fosse questa l'unica ragione per cui aveva offerto un passaggio a Castiel – solo per portarlo a questa tavola calda e offrirgli un po' di patatine fritte e un frappè, e poi pretendere di chiamarlo primo appuntamento. Non si conoscevano nemmeno. Quello che Castiel sapeva di Dean era quello che gli aveva detto Hester alla festa, e Dean ancora non gli aveva chiesto il suo nome. “Non sai nemmeno come mi chiamo.” “Allora dimmelo.” Castiel socchiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale, ma Dean non esitò per niente. Se ne stava seduto lì, a guardare Castiel. Il modo in cui Dean lo fissava lo rendeva nervoso e la voce gli tremò quando parlò. “C-Castiel.” “Castiel,” ripeté Dean, pronunciandolo lentamente, il che fece venire i brividi a Castiel. Lo fece arrossire e sentì le
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farfalle svolazzargli nello stomaco. “Così è per questo che mi hai dato un passaggio? Per portarmi ad una tavola calda e offrirmi un frappè e un po' di patatine?” “In pratica.” Anche Dean si appoggiò allo schienale, e aveva un'aria così disinvolta, come se non avesse nessuna preoccupazione al mondo. Non sembrava importargli di farsi vedere con Castiel in pubblico, offrendogli cibo e dichiarando ad alta voce che questo fosse un 'primo appuntamento'. “Ti ho visto alla festa e sembravi, beh, interessante. Ma poi te ne sei andato prima che potessi parlarti. Stavo per lasciar perdere quando ho pensato 'ehi, perché no?'. Si vive una volta sola, giusto?'” “Non avevi alcuna intenzione di portarmi a casa, vero?” “Non ancora.” Castiel rise sommessamente, scuotendo la testa mentre si girava per guardare fuori dalla finestra. I lampioni illuminavano a mala pena il marciapiede, e passò una macchina. “Non è così che si chiede a qualcuno di uscire.” “Cosa?” E stavolta fu Dean ad esitare. “È meglio chiederlo con educazione. Non offrendo un passaggio a casa per poi non portarli a casa.” “Beh, avevo davvero intenzione di portarti a casa dopo, se ti fa sentire meglio.” “Non penso che conti.” Dean non disse nulla per qualche istante, e Castiel si voltò a guardarlo di nuovo, sorridendo con tenerezza quando vide che Dean aveva la bocca leggermente aperta, come se non sapesse cosa dire. “Ma, sai, qui è carino. E comunque avevo fame.” Castiel strinse le spalle e Dean si raddrizzò, sorridendo come prima, al limite dell'animalesco. Castiel spinse gli occhiali sul naso con il dito e batté le unghie sul tavolo di formica; un silenzio carico di tensione cadde su di loro. “Allora, dimmi Castiel, qual è la tua storia?” chiese Dean dopo un momento, spegnendo la sigaretta nel posacenere, con un braccio gettato sullo schienale. Fece un cenno con la testa a Castiel per indurlo a parlare. Castiel smise di tamburellare sul tavolo e cercò di pensare a qualcosa da dire. Non era il genere di persona con una storia – andava solo al college. Voleva diventare medico. Viveva da solo in un appartamento di merda e faceva finta di toccare le ragazze alle feste. Questa era probabilmente la cosa più interessante che gli fosse mai successa, così pensò che tanto valesse dire la verità. “Sono seduto ad un tavolo con te, e questa è la prima volta che mi sia mai accaduto,” iniziò a dire, notando il modo in cui Dean inarcò le sopracciglia. “La primissima.” Dean sbuffò e gli lanciò un'occhiata furtiva. “Non dirmi che questo è il tuo primo appuntamento.” Castiel fissò Dean nonostante il rossore che gli saliva dal colletto. Gli occhi di Dean si spalancarono. “Stai scherzando. Con una faccia come la tua?” Castiel rimase in silenzio e Dean si coprì la bocca con la mano, ridacchiando e guardando il bancone per alcuni secondi. “Beh, accidenti,” disse nella mano, ritornando a guardare Castiel, con il sorriso che gli spuntava tra le dita. “Allora questo mi rende un tipo speciale, eh?” Castiel roteò gli occhi ed incrociò le braccia. “Solo perché è il mio primo 'appuntamento' non significa che sono un idiota. Avrei potuto avere il mio primo appuntamento con chiunque,” grugnì e Dean si sporse in avanti, gomiti sul tavolo, entrando lentamente nell'orbita di Castiel. “Oh, sono sicuro che sei il fiore all'occhiello di ogni ragazza. Hai quell'aria da sangue blu. Peccato che non sei
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interessato...” Castiel aprì la bocca, ma proprio mentre stava per ribattere, due frullati e due piatti di patatine venivano posati sul tavolo. “Comportati bene. E sta su dritto!” disse Ellen, schiaffeggiando leggermente Dean sulla spalla, prima di sorridere a Castiel. “Non ti preoccupare, tesoro, è tutto fumo ma niente arrosto.” Per un momento Castiel rimase imbambolato per essere stato interrotto, ma ben presto fu investito da un'ondata di sollievo, perché non era davvero in vena di discutere. Soprattutto con Dean Winchester, che iniziava già ad irritarlo. Ringraziò Ellen in silenzio, tirandosi più vicino il frappè e fissando il tavolo perché, e se avesse sentito di che cosa stavano parlando? Sembrava una donna con i piedi per terra, quindi forse non le importava? Ma prima d'ora si era sbagliato su questo genere di cose. “Dico sul serio, Dean,” avvertì Ellen mettendo le mani sui fianchi e fissando Dean mentre questi tirava verso di sé il suo frappè, guardando Ellen con una sorta di sorriso impacciato. “Se ti vedo a fare casini, non ti faccio più entrare qui.” “Okay, okay,” borbottò Dean, facendo girare la cannuccia nel frappè e poi bevendone un sorso. “Mi comporterò bene.” “Sarà meglio per te.” Ellen si rivolse a Castiel e gli sorrise, e lui le sorrise a sua volta nervosamente prima che la donna si voltasse e si dirigesse attraverso le porte dentro la cucina. Castiel tornò a prestare attenzione a Dean, solo per trovare che Dean lo stava fissando intensamente, e il suo sguardo finì sulle sue labbra, che erano casualmente appoggiate sopra la cannuccia. Castiel sussultò e Dean rise. “Oh, non badare a me, goditi pure il frappè.” Dean prese una patatina e la mise tra le labbra, masticandola lentamente, i suoi occhi non lasciavano mai Castiel. E Castiel posò goffamente le labbra intorno alla cannuccia, guardando dovunque tranne che Dean. La scenetta doveva essere esilarante, ma in realtà, non gliene fregava niente. “Allora,” disse Dean, mettendosi un'altra patatina in bocca. “Hai sempre vissuto in California, o ti sei semplicemente trasferito qui per il college?” “Perché parli col cibo in bocca?” “Cosa?” “È disgustoso.” Castiel alzò lo sguardo verso di lui, spingendo gli occhiali sul naso, e Dean inghiottì, fissandolo. “Contento? Adesso risponderai alla mia domanda?” “Sì... e ho vissuto qui tutta la mia vita.” Fece girare la cannuccia nel bicchiere, spingendo la panna montata in fondo, mescolandola. “Però penso di andarmene dopo la laurea.” “Oh, e dove?” “L'east coast, forse. Non lo so. New York mi ha sempre attirato.” “New York? La vita è piuttosto costosa lì, e nevica molto, così ho sentito.” “Nevica anche qui.” E Dean arrossì, arrossì sul serio, e Castiel non poté fare a meno di ridere. “Sì – Beh, sarà come dici tu.” Castiel prese una patatina e ne morse un pezzo, mormorando a bocca chiusa. “Allora, quali sono i tuoi progetti invece?” Dean sorseggiò il suo frappè, spingendolo via dopo. “Niente di ché, a dire la verità. Beh, spero di diventare un professionista con le corse motociclistiche. Sono piuttosto bravo dopotutto.” “Ah sì?”
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“Sì. E voglio poi comprare un posto migliore non appena risparmio abbastanza soldi. Naturalmente lo farò dopo aver mandato mio fratello al college. Non fa altro che dire di voler diventare avvocato.” Castiel si trovò a considerare Dean sotto una luce differente con un lieve senso di sorpresa. Non pensava che Dean Winchester fosse quel tipo di persona – Hester gli aveva menzionato che si prendeva cura di suo fratello, ma mandarlo a giurisprudenza? Quella era dedizione. “Com'è tuo fratello?” continuò Castiel, facendo roteare la patatina tra le dita, con lo sguardo su Dean, prima di prenderne un altro morso. “Sammy?” disse Dean, e gli si illuminò il viso a dire il nome. “È un bravo ragazzo. Davvero bravo. Intelligente.” La voce gli si affievolì. Prese una patatina e la intinse nel frappè, riflettendo sulla combinazione prima di mangiarla in un sol boccone. “... Beh, sai, più intelligente di me, ma non è così difficile.” Si tirò su la manica e da quel momento in poi prese due patatine alla volta, sempre immergendole un po' nel frappè. Castiel sbuffò nel vederglielo fare e bevve un'altra sorsata dal bicchiere. “E te?” continuò Dean tra le porzioni. “Hai famiglia?” Castiel spizzicò il suo piatto di patatine nervosamente prima di sospirare alla domanda; schioccò un granello di sale dal tavolo mentre tentava di trovare una risposta decente. “Non proprio,” disse, tirando fuori un fazzoletto dal dispenser e strofinandocisi le mani. Poteva sentire il rumore che Dean faceva mentre mangiava, il brusio della plafoniera e il tintinnio metallico di qualcuno che metteva quarti di dollaro nel jukebox sul retro del ristorante. Il suono melanconico della voce dell'uomo alla radio che parlava della guerra con lentezza notturna andò smorzandosi. L'ago graffiò il disco e venne fuori una qualche vecchia canzone di Julie London 3 che riempì la tavola calda con una melodia triste e profonda. “Voglio dire, ce l'ho,” disse Castiel, cercando di spiegare ma fallendo, “ma non ci parliamo.” “Perché ti piacciono gli uomini?” disse Dean seriamente, il tono della sua voce contrastato dall'azione di mordere la ciliegia sul frappè. Castiel, senza pensarci, mise la propria su un fazzoletto e gliela passò, osservandolo mordere anche quella, posando gli steli uno accanto all'altro. “Sì.” La sua voce era molto pacata. Fissò gli steli e, di conseguenza, le dita di Dean che erano appoggiate lì vicino, notando i calli che aveva e le aree leggermente più abbronzate dovute al tipo di guanti che indossava. Dean accese un'altra sigaretta e fece un tiro, il fumo che galleggiava sul tavolo quando Castiel lo sventolò via con il dorso della mano. Dean non replicò e Castiel non continuò a parlare, contento del silenzio purificatorio. “Hai finito?” mormorò Dean col fumo che gli usciva dalla bocca, indicando il cibo mangiato a metà di Castiel. Castiel sorrise, scrollando il senso di dolore sordo dai pensieri sulla sua famiglia, concentrandosi invece su Dean. Il cuore gli batteva un po' forte con quella scintilla di attrazione e la bocca gli sembrava troppo asciutta e sentiva uno strano sapore residuo di zucchero sui denti. “Ti sei stufato di me?” disse in tono scherzoso, incapace di trattenere quel leggero tremolio dalla sua voce, guardando Dean tirare fuori il portafoglio e lasciare qualche banconota nascosta sotto un piatto. Dean sorrise, ma rimase in silenzio e si alzò, Castiel seguì il movimento, sbattendo goffamente il ginocchio sul bordo del tavolo. Ellen non era al bancone – c'era qualche altra cameriera che Dean non si preoccupò di salutare ed invece si avviò all'uscita; la campanella tintinnò. Era così taciturno da mettere a disagio Castiel – e se avesse fatto qualcosa di sbagliato? Probabilmente non avrebbe dovuto menzionare la sua famiglia in quel modo. Il padre di Dean era una specie di nullafacente, giusto? Forse avrebbe dovuto essere più sensibile. Avrebbe dovuto mentire o qualcosa del genere. Castiel sentì la gelida aria umida colpirlo e gli si rivoltò lo stomaco. Questo era stato il suo primo appuntamento e, a giudicare dal silenzio del suo anfitrione, era andata proprio a meraviglia. Castiel smise di camminare quando Dean non andò immediatamente verso la sua moto. Forse l'appuntamento non 3 Cantante e attrice statunitense (1926- 2000). Fra i suoi principali successi figurano le canzoni Cry Me A River, Sway, Desafinado e Fly Me to the Moon.
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era finito. Rimase pietrificato. L'implicazione si innalzò intorno a lui come il fumo soffice della sigaretta di Dean. Cominciò a dare dei colpetti sul cemento con la punta delle scarpe facendole scricchiolare e deglutì a fatica. Dean mise una delle mani in tasca, fissandolo, il viso illuminato dall'insegna al neon della tavola calda. “Sei sicuro di non voler una sigaretta? Ne ho un sacco,” disse Dean rompendo la quiete e Castiel scosse la testa. “No.” Dean gli sorrise, con in bocca il mozzicone di sigaretta incandescente. “Se proprio vuoi sapere perché ti ho portato qui è perché volevo vedere cosa avresti fatto.” Castiel arrossì, sperando che l'ombra della tavola calda lo celasse. “Cosa avrei fatto?” rispose Castiel. “Non è che hai fatto qualcosa di molesto. Mi hai portato ad una tavola calda.” Dean inclinò la testa all'indietro, ridendo, e gettò per terra la sigaretta, spegnendola con la punta dello stivale. “Molesto?” Inarcò le sopracciglia. “Pensavi che sarei stato molesto?” Castiel non disse nulla subito, arrossendo ancora di più, e Dean rise di nuovo, più forte stavolta. Castiel si sentiva in preda al panico, messo alle strette ed aveva un senso di costrizione al petto per l'imbarazzo, il viso accaldato. “Pensavi che ti avrei portato a casa mia o qualcosa del genere, vero? Oh, riesco a immaginarlo, ci scommetto. Oh, mi dispiace, tesoro. Non stanotte,” ridacchiò, tutto divertito, a quanto sembrava, dall'ignoranza di Castiel. “Non ti ho chiesto io un passaggio,” digrignò Castiel. “Tu me l'hai offerto, razza di imbecille!” Si aspettava un qualche segno di rimorso ma invece Dean rise ancora più forte, e Castiel non aveva intenzione di venire ridicolizzato da qualcuno che a mala pena conosceva. Furioso, prese il portafoglio, tirò fuori una banconota spiegazzata e la spinse sul petto di Dean. “Questo è per la benzina e per quel frappè di merda. Spero tu sia fiero di te stesso. Sai davvero come trattare una persona.” Per un momento Dean sembrò disorientato; la sua risata interrotta fu sostituita da un veemente “ehi!” mentre cercava di afferrare i soldi, quasi facendoli cadere quando Castiel si voltò ed iniziò a camminare nell'altra direzione. Idiota. Era un grandissimo idiota. E Dean Winchester lo era ancora di più. Aveva sprecato tempo che avrebbe potuto passare a dormire; era stato sveglio tutta la settimana a studiare e questa avrebbe dovuto essere la sua prima notte in cui poteva prendersi una pausa, non una notte in cui veniva trattato con condiscendenza da un aspirante motociclista professionista dai jeans stretti e un sorriso in qualche modo bellissimo. Era più intelligente di così, e Dean Winchester significava guai, e l'attrazione che provava era solo un effetto collaterale della sua diffidenza, ne era sicuro. Il cuore gli stava battendo a mille perché Dean era uno stronzo, non perché era qualcuno per cui valeva la pena salire su una moto. “Ehi!” chiamò Dean, e Castiel sentì il rumore sordo dei suoi stivali mentre correva lungo il marciapiede, cercando di raggiungerlo, imprecando sottovoce quando ritornò sui propri passi. Il motore della moto squarciò la calma notturna, ma Castiel continuò a camminare, anche quando sentì Dean scivolare sulla strada vuota, accelerando e facendo andare la moto lungo il marciapiede, con un occhio sul traffico in arrivo, l'altro su Castiel. Castiel si fermò e lo fissò. “Sei contromano!” urlò Castiel, incrociando le braccia, e Dean mise in stallo il motore e lo guardò, facendo ancora attenzione a possibili auto. “Finirai coll'ammazzarti!” “Sì, beh, volevo spiegarmi!” replicò Dean a gran voce. “E poi probabilmente mi merito di essere investito,” continuò, rilassandosi quando vide che la strada era ancora libera, “perché lo so che sono un coglione, ok? Non avrei dovuto dirti una cosa del genere. Ma sei carino, e non so...” Le parole gli morirono in bocca ed abbassò timidamente gli occhi sulla strada. Castiel deglutì, stringendosi le braccia al petto. “Non sai cosa?” “È passato un po' di tempo, ok?” Ritornò con lo sguardo su Castiel. “È passato un po' di tempo da quando mi sono interessato a qualcuno e tu sei – sei davvero carino. Sei davvero carino e quando sei tutto agitato sei ancora più carino, e non lo so, è passato un po' di tempo.” Scrollò le spalle pietosamente, e si mise una mano sulla testa, accarezzandosi nervosamente i capelli, con lo sguardo fisso sul tachimetro. Castiel fece un respiro profondo e giocherellò con le dita. “Sei stato maleducato.”
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“Lo so, mi dispiace.” Castiel socchiuse gli occhi, e poteva vedere che Dean era sincero; glielo si leggeva negli occhi. Si sgonfiò un po', strisciando la scarpa sul marciapiede. “Lo so che ho fatto una cazzata, ma posso chiederti una cosa?” disse Dean, appoggiandosi sulla moto, e quando Castiel alzò lo sguardo, Dean era tornato a sorridere, anche se non era altrettanto disinvolto. “Certo,” concesse Castiel con esitazione. “Vieni qui.” Castiel fece alcuni passi avanti. “Non ti mangio mica, vieni più vicino,” disse Dean ridendo, e Castiel si morse l'interno guancia in ansia, appressandosi alla moto rombante. Dopodiché Dean disse in un sussurro roco, “voglio farmi perdonare,” posandogli una mano sul fianco. Alla vicinanza la pelle di Castiel iniziò a formicolare, dalla nuca fino al punto debole dietro le ginocchia. “Vuoi,” espirò, cercando di ricordare cosa voleva dire – ma le parole si persero quando i suoi occhi vagarono sul petto di Dean e in basso verso il suo bacino. Si sentiva il corpo strano e cotonoso, con ancora quel fremito spaventoso. Dean non sprecò tempo a spiegare; erano le sue dita curiose a parlare mentre giocavano con i bottoni del pullover di Castiel, salendo poi sullo stomaco che sobbalzò al tocco. Gli occhi di Dean seguirono le proprie dita fino al collo di Castiel dove lo tirò per il colletto della canottiera. “Hai mai baciato un ragazzo prima d'ora?” Castiel smise di respirare, fissando il viso di Dean per un momento incommensurabile. Vide la domanda nuotare di fronte a sé, e si era reso conto fin dal principio che era così che sarebbe andata a finire, ma proprio come ogni volta prima di questa non lo capì finché non se lo trovò proprio sotto gli occhi. Il suo primo bacio – Dio, non se ne accorse finché l'altro ragazzo non aveva posato la bocca sulla sua. Annuì una volta, e la gravità della domanda, il ringhio della voce di Dean, sembrarono rovesciarsi su di lui come un'ondata ritardataria. Alzò gli occhi al cielo e Dean lo strattonò per la cravatta, tirandolo più vicino, verso la sua bocca. “È passato un po' di tempo,” balbettò, nel tentativo di essere divertente imitando la scusa di Dean di prima. Dio, l'ultima volta era stata... ai tempi del liceo; i suoi pensieri cominciarono a dissolversi, lo sguardo ancora al cielo sopra di loro finché una mano non gli prese il mento, facendogli abbassare il viso. “Rilassati. È come andare in bicicletta,” lo fece tacere Dean, baciandolo sull'angolo della bocca, e Castiel di nuovo espirò forte, tentando di liberarsi dalla tensione sulle spalle. “È che–” bisbigliò Castiel, e Dean si ritrasse abbastanza da guardarlo in viso, i suoi occhi innaturalmente luminosi nel buio. “Non vuoi?” “No!” sbottò Castiel, un po' troppo forte. “Cioè – sì, cioè...” Dean lo fissò con aria interrogativa. “Lo voglio, lo voglio, lo voglio.” Scosse la testa: Dean era così attraente da essere una cosa davvero ingiusta. “Solo, non qui, dove tutti... tutti possono vedere.” Dean guardò il vicolo tra gli edifici dietro Castiel e dopo un momento di considerazione annuì. “Spostati,” disse con gentilezza, e Castiel fece un passo indietro, osservando come Dean manovrasse la moto sul marciapiede, fermandosi in un posto buio. Spense il motore che ronzò e scoppiettò per un istante prima di cadere nel silenzio, e Castiel lo sentì scendere dalla moto, l'ombra di Dean una sagoma più scura contro il buio del vicolo. Sollevò la mano e fece cenno a Castiel. Castiel guardò la strada a destra e a sinistra ed attraversò la breve distanza che lo separava da Dean. Il suo respiro accelerò mentre si avvicinava e Dean gli sorrise in modo rassicurante. “Sono arrugginito.” Castiel rise nervosamente, una volta che erano di nuovo vicini, e poteva percepire il calore strisciare su per il collo. Non riuscì a vedere la reazione di Dean perché al momento gli stava accarezzando la parte superiore della gola con la bocca, e Castiel sentì le farfalle sbattere le ali alle pareti dello stomaco. Dean continuò la sua salita, premendo di nuovo le labbra sull'angolo della bocca. Castiel doveva aver fatto una smorfia perché Dean stava ridendo contro la sua guancia, e lo spinse indietro finché Castiel non si ritrovò con la schiena premuta contro il muro del vicolo. Ansimò e Dean gli mise le mani sulla vita, facendo cerchi con i pollici attraverso il pullover. Le dita di Castiel lo tiravano per la giacca, occhi strizzati.
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“Rilassati,” ripeté Dean, una ventata di respiro sulla pelle, e Castiel rabbrividì; aumentò la presa sulla giacca di Dean, il cuoio morbido e pieghevole sotto le sue dita, ovviamente un po' logoro. “Lasciati andare,” continuò Dean, le parole si conclusero con una risata soffocata. Castiel tentò di fare ciò che gli era stato detto. Allentò la presa e si sciolse contro il muro, e mentre si metteva a suo agio emerse il suo sorriso. Dean si premette contro di lui ancora di più, il calore che emanava dal corpo compensava l'aria gelida d'Aprile. Fece un breve cenno, e poi le labbra di Dean erano sulle sue, e involontariamente le mani di Castiel strinsero le maniche di Dean prima di ricordarsi di allentarle. Le sue dita si contrassero per un istante prima di posarsi sui fianchi di Dean, facendole scivolare sotto l'orlo della maglietta. Dean fece un suono leggero, una specie di gemito, e Castiel infilò le dita nei passanti dei jeans, tirandolo più vicino. Dean si spostò con scioltezza; in un batter d'occhio erano a contatto. E in un primo momento era un po' strano, perché Castiel non riusciva a ricordare quello che doveva fare, ma il modo in cui poteva percepire Dean sorridere contro le sue labbra gli faceva cedere le gambe, e il modo in cui poteva sentire i fianchi di Dean contro i propri gli faceva girare la testa. Dean rise sommessamente e si ritrasse, le dita che cercavano sotto il pullover di Castiel e gli sfilavano la camicia per poi accarezzarlo sulla pelle, lasciando tracce calde dove scorrevano. “Va tutto bene – ci andiamo piano, okay?” Castiel annuì e Dean sorrise, le mani che trovavano una presa più salda sotto la camicia posandosi sui fianchi, l'aria fresca contro la pelle che faceva rabbrividire Castiel leggermente. Quando Dean si fece avanti per baciarlo più forte, Castiel fece la stessa cosa, catturando le labbra di Dean con le proprie. Questo spronò Dean, le mani che si muovevano e scivolavano sui fianchi e sulle reni di Castiel, e Castiel fece scorrere le dita tra i capelli di Dean, ansimando, dando la possibilità a Dean di leccarlo in bocca. I suoi occhiali si schiacciarono sul viso, inclinandosi goffamente, ma Castiel non riuscì proprio a curarsene. Le loro lingue si intrecciarono e Castiel posò le mani sulla nuca di Dean, tenendolo vicino. Dean spinse le mani più in alto sotto la camicia di Castiel, sfiorando la pelle dello stomaco, le dita che urtavano le costole, facendolo rabbrividire. Castiel gemette quando Dean ritrasse una delle mani solo per tirargli i capelli, facendo sì che Castiel si premesse contro di lui, viso inclinato di lato in modo da incastrarsi meglio. Le sue spalle si stavano graffiando sui mattoni, mentre grattava i capelli corti alla base della testa di Dean. Qualcosa si era acceso dentro di lui, lo sentiva – un bisogno improvviso e divorante di stare più vicino. Ansimò contro la bocca di Dean, ma Dean glielo permise solo per un secondo prima di venire trascinato di nuovo nella carezza disinvolta della sua lingua, nei respiri che si passavano a vicenda, nelle mani con cui si stringevano forte. Andarono avanti all'infinito, finché Castiel non si rese conto che si erano fermati e stava fissando Dean e Dean stava sorridendo, ovviamente soddisfatto. “Alla faccia di andarci piano.” Dean rise, la sua voce profonda e roca, e Castiel riusciva a sentirsi le guance arrossire per l'imbarazzo. “Beh,” Castiel tossì leggermente, “posso anche non aver mai avuto un appuntamento... ma immagino di avere più esperienza in quel campo.” Fece scivolare i palmi in basso lungo il petto di Dean, afferrandogli la giacca di pelle, alzando lo sguardo attraverso le ciglia. “Sei bravo però,” disse quasi facendo le fusa, e si chinò leggermente, riflettendo su come sarebbe stato baciarlo ancora, “molto bravo.” “Beh, sono contento d'averti appagato.” “Anch'io.” Castiel lasciò andare la giacca di Dean, ma prima di poterlo fare lui stesso, Dean gli aveva già sistemato gli occhiali, raddrizzandoli sul naso. Lasciò che le sue mani indugiassero sui lati del viso di Castiel, guardandolo adorante, facendo contorcere lo stomaco di Castiel. “Allora, adesso mi porterai a casa?” “Mmm, non so. Forse possiamo andare a casa mia.” “Ci siamo appena conosciuti, Dean. Non fare lo stronzo.” “Okay, okay.” Dean rise e si ritrasse, dirigendosi verso la moto mentre Castiel si dava una sistemata. Fece scorrere
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una mano tra i capelli, lisciandoli, e si strofinò le mani sul pullover, nel tentativo di rendersi perlomeno presentabile nel caso incontrassero qualcuno che conosceva. Dean avviò la moto, e Castiel salì dietro di lui, avvolgendo le braccia intorno alla sua vita e tenendosi forte quando Dean partì. Strinse le braccia quando sobbalzarono sopra il cordolo del marciapiede, e giurò di riuscire a sentire Dean ridere nonostante il rombo del motore. Le luci dei lampioni passavano velocemente ed era evidente che Dean stesse ignorando il limite di velocità, ma la corsa fu piacevole ed esaltante, e Castiel si inclinò leggermente all'indietro per godersela. Fecero un po' di strada prima che Dean parlasse, e Castiel quasi si dovette sforzare per sentirlo sopra il motore. “Allora, dove vivi?” “Come?” “Dove vivi?” Castiel si guardò intorno, cercando di focalizzare un cartello stradale prima di sorpassarlo ma poi la sua attenzione fu deviata dal negozio di liquori distante un isolato dal suo appartamento. L'insegna al neon del negozio guizzava a circa due vie più avanti, e Castiel mise la mano sulla spalla di Dean per richiamare la sua attenzione mentre si avvicinavano. “Gira a destra sulla decima,” indirizzò Castiel, e Dean annuì, dirigendosi nell'altra corsia, svoltando senza alcun sforzo. Castiel indicò il tetro edificio grigio all'angolo in fondo all'isolato. “Quello laggiù,” disse, “dov'è parcheggiato quel camion.” Dean rallentò, accostando verso il marciapiede. Non appena si fermò, si voltò verso l'edificio, alzando lo sguardo, e Castiel lo osservò, ipnotizzato dal suo profilo. “Quale?” Castiel guardò verso l'alto e ridacchiò, senza preoccuparsi di togliere la mano dalla vita di Dean, non ancora. “Non si vede dalla strada. Però ha un bel panorama su un lotto vuoto,” spiegò. “Molto esclusivo.” “Ahhh,” esalò Dean, scrutando gli occhi di Castiel. “Beh, andiamo. Fammelo vedere.” Castiel lo fissò assorto. “Perché?” rispose con cautela, cercando di valutare l'interesse di Dean. Tirò via la mano dal fianco di Dean e si grattò un prurito invisibile al ginocchio, le unghie spuntate che raschiavano il tessuto dei pantaloni. Dean fece un forte suono di scherno e gli diede una gomitata, fisicamente insistendo che scendesse dalla moto, cosa che Castiel fece, ancora incerto quando Dean lo seguì, infilando le chiavi nella giacca. Dean fece un cenno al punto dove il marciapiede curvava. “Andiamo. Fammelo vedere.” Castiel si mise le mani sui fianchi, sbattendo le palpebre. “Sei stupidamente autoritario, lo sai?” disse, scuotendo la testa, mentre squadrava Dean. Dean lo fissò, con la testa in avanti, pieno d'attesa, agitando un braccio verso l'altro lato dell'edificio. “Dopo di te?” Castiel roteò gli occhi ed iniziò a camminare, spingendo Dean sulla spalla quando gli passò accanto. “Se lo stai facendo per avere un posto discreto dove uccidermi, non ti perdonerò mai,” borbottò, ascoltando il raschio degli stivali di Dean mentre lo seguiva. Camminarono in silenzio, e poi apparve il campo, stereotipicamente urbano con i suoi pneumatici abbandonati e una rete metallica smantellata a metà che sferragliò quando Castiel la scavalcò finendo nell'erba alta fino agli stinchi. “Sta attento, potrebbero esserci cose strane,” disse Castiel in tono colloquiale sopra il suono dei grilli. “Vetri rotti, chiodi arrugginiti, cani rabbiosi in agguato.” “Aspetta, ci sono cani?” esclamò Dean, e ci fu uno scricchiolio quando si fermò e Castiel lo guardò da sopra la
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spalla. Dean aveva le mani fuori dalle tasche e le teneva a mezz'aria in segno di difesa. “Io non sopporto i cani.” Castiel scosse la testa brevemente. “Stavo scherzando,” disse, facendogli cenno di continuare a camminare finché non raggiunsero il punto dove Castiel poteva mostrargli il suo lussuosissimo appartamento. Indicò verso l'angolo in cima a sinistra, sobbalzando quando Dean si premette dietro di lui, lasciando cadere la bocca al suo orecchio e poi al collo, ogni nozione di spazio personale trascurata. “Te lo sto facendo vedere,” disse con voce stridula, “fermati, fermati, e se qualcuno ci vede?” bisbigliò, consapevole delle finestre che si affacciavano sul campo. Chiunque avrebbe potuto guardare in basso e vederli, ma oh, faceva parte del brivido, no? Dean che gli tirava il colletto da una parte per far scorrere le labbra sulla pelle e il rischio che qualcuno potesse aprire una finestra e vederli; Castiel dovette aprire di nuovo la bocca. “Dean,” disse concitato, e Dean rise cupamente, sollevando la testa per seguire la mano di Castiel. “Scusa,” fu la risposta trafelata, “mi sono distratto.” Castiel si schiarì la gola ed indicò la finestra. “È quello lì, quarto piano,” mormorò e Dean emise un qualche suono basso di approvazione. “Scala antincendio,” disse sottovoce. “Ottimo. Posso farla la scala antincendio.” “Ma di che stai parlando?” ribatté Castiel, cercando di districarsi senza alcun successo dalla presa salda di Dean, e così si arrese e cedette ai baci pigri proprio sotto all'orecchio. La sua mano trovò sul torso quella di Dean e la coprì, facendo sospirare Dean sul collo. “Quando posso rivederti?” sussurrò Dean, e Castiel aprì gli occhi, senza essersi accorto di averli chiusi. La mano di Dean scivolò sul suo fianco e poi di nuovo in basso, con Dean che si chinava sulla sua spalla, premendo il viso contro quello di Castiel. “Voglio portarti a casa – per favore, vieni a casa con me.” “Non posso,” interruppe Castiel di colpo. “Non stanotte. Sono stanco e se restiamo qui fuori qualcuno ci vedrà e chiamerà la polizia.” “Lasciaglielo fare,” fu la risposta, agitando qualcosa dentro Castiel, e Dean fece di nuovo scivolare la mano su e giù e Castiel piegò la testa, toccando col naso la guancia di Dean. “Lascia che ti porti a casa. Ti farò dimenticare la stanchezza.” “Ti conosco a mala pena,” disse a voce bassa. “Non sono bravo col sesso casuale.” Si mise a ridere in maniera autocritica, ma a Dean sembrò non interessare. Dean era troppo occupato a nascondere la testa nel collo di Castiel e a giocare con l'orlo del pullover. “Beh, allora quando posso rivederti?” ripeté Dean, schivo, e Castiel inclinò la testa in curiosità. “Perché vuoi rivedermi?” disse Castiel meravigliato, e Dean si ritrasse, fissandolo con aria confusa. Castiel si voltò e si liberò dalle sue braccia. “Perché vorresti rivedermi?” Dean si passò una mano sulla bocca e lanciò uno sguardo all'erba. “Lo so che non sono perfetto,” strinse le spalle, “lo so che sono ben lontano dall'esserlo, ma,” Castiel lo guardò deglutire – Dean Winchester faceva il timido – e poi incrociò lo sguardo di Castiel con completa sincerità, “sarò buono con te. Dammi una possibilità. Sarò davvero buono con te. Voglio essere buono con te.” “Ma perché?” disse Castiel con enfasi, e gli occhi di Dean si scurirono. “Non so perché,” disse in tono secco, “ma a quanto pare ne vale la pena.” Castiel rimase a bocca aperta. “Non sai nulla di me,” sospirò strofinandosi gli occhi, “mi hai appena incontrato, potrei essere tutto quello che odi.” “Stronzate.” Castiel rischiò uno sguardo e fece un respiro profondo, l'erba che tremolava mentre Dean camminava verso di lui, prendendogli il viso tra le mani. “Stronzate.”
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“Ma non lo sai,” continuò Castiel scuotendo la testa, accarezzando i polsi di Dean. “Tutto questo è stupido. Mi hai appena incontrato. Ti ho appena incontrato. Ci siamo baciati. Allora cos–” “Allora forse sono pazzo di te,” insistette Dean. “Dio, se non fossi così testardo ti avrei fatto cambiare idea.” “Qui non si tratta di dormire con te,” brontolò Castiel, e Dean appoggiò la fronte sulla sua, emettendo una tenue risata. “Ascoltami,” sussurrò Dean, “non so cos'hai di speciale ma sto già impazzendo. Riesco a sentirlo. Potrei essere così buono con te – dammi la possibilità di essere buono con te.” “Mi odierai,” interruppe Castiel, e Dean scosse la testa. “Non potrei mai.” “Invece sì. Sono testardo e freddo e mi altero – !” Dean lo baciò, forte. “Non stai mai zitto, cazzo.” “Vedi?” sussurrò Castiel, e Dean lo baciò di nuovo, rubandogli tutto il fiato. “Quando posso vederti?” “Venerdì,” concesse Castiel. “Puoi vedermi venerdì. C'è solo un giorno da aspettare.” “Che tipo di musica ti piace?” chiese Dean, sciogliendosi contro di lui. “Dimmi tutto; dimmi tutto di te.” Castiel si ritrasse, le braccia intorno al collo di Dean. Scostò i capelli dal viso di Dean con il palmo della mano. “Mi piace Elvis.” Fece un gran sorriso, e si sentiva pazzo ed avventato mentre lo faceva. Dean si tuffò in basso e lo baciò nel modo più delicato in cui Castiel fosse stato mai baciato in vita sua, e Castiel si raggomitolò su di lui. “Elvis,” ripeté Dean. “Non mi dispiace Elvis.” Castiel poté giurare che il bacio divenne più profondo, con il fruscio dell'erba causato da una brezza fredda, ma alla fine trovò un motivo per fermarsi quando una luce dalla finestra di qualcuno spezzò l'oscurità. “Devi andartene,” mormorò Castiel contro la bocca persistente e le mani frenetiche di Dean, le proprie labbra formicolanti e troppo calde. “Non puoi, devi andare.” La sua voce suonava lenta e sdolcinata, e Dean oppose resistenza quando tentò di spingerlo via, ma alla fine lo lasciò andare. Castiel stava respirando affannosamente e Dean si chinò per toccargli le labbra un'ultima volta, incapace di negarselo. “Venerdì,” disse, e Castiel annuì, e poi stava guardando la schiena di Dean mentre se ne andava. Per un istante benedetto si sentì la mente vuota, e Dean scomparve dietro l'angolo. Rimase immobile finché il rombo del motore non andò smorzandosi; alla fine Castiel si diresse al suo appartamento, barcollando su per le scale fino al quarto piano. Si soffermò proprio davanti alla porta e ci appoggiò la testa, fronte premuta sul legno. I cardini emisero un lieve cigolio arrugginito. Venerdì. Tirò fuori le chiavi dalla tasca e pigiò quella giusta nella serratura, lottandoci per un istante, e alla fine dovette sforzare la porta quando i cardini si rifiutarono di muoversi; scricchiolò quando la spinse, e la chiuse dietro di sé una volta superata la soglia. L'aria fredda gli pungeva la pelle, e rabbrividì leggermente, e si spostò subito verso il termostato nel corridoio, dandogli dei colpetti. Non funzionava, come al solito. Castiel sospirò e gironzolò nel suo piccolo appartamento, accendendo le luci e sistemando alcune cose prima di andare in cucina per rovistare nelle credenze. Tirò fuori una tazza e una bustina di tè, mettendo un pentolino d'acqua sul fornello a bollire prima di faticare ad accendere un fiammifero con le dita fredde. Il calore che veniva dal fuoco gli bastava per trattenersi davanti al fornello, borbottando a se stesso di parlare con il padrone di casa per far aggiustare il termostato perché non aveva intenzione di passare un'altra notte infagottato nelle coperte per dormire comodamente. Bramava il ristoro estivo. Una volta che l'acqua iniziò a bollire, spense il gas e con cautela – con molta, molta cautela – versò l'acqua nella tazza, mettendo poi il pentolino vuoto nel lavandino. Avrebbe voluto comprare un bollitore, ma ultimamente non aveva mai avuto molto tempo per fare il tè dato che doveva studiare per gli esami finali, ma nemmeno aveva i
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soldi da sperperare per qualcosa come un bollitore. Ma adesso aveva finito di studiare, e forse poteva racimolare qualcosa per prenderne uno usato. Si recò in salotto, posando la tazza sul tavolino da caffè, e andò verso il giradischi sulla parete di fondo. Strofinandosi il labbro, scorse un'occhiata alla sua collezione di vinili finché non trovò quello che stava cercando. Sorrise al disco e lo mise su, posizionando delicatamente l'ago sopra di esso prima di camminare verso il divano, prendendo la tazza dal tavolino. Afferrò la coperta da dietro il divano e ci si mise a sedere, avvolgendosela intorno. I suoni dolci della voce di Elvis riempirono la stanza, e Castiel canticchiò sommessamente mentre tirava il filo della bustina di tè nella tazza, facendola girare prima di soffiare il liquido caldo, prendendo un piccolo sorso per verificare la temperatura. Non passò molto tempo prima che finisse il tè, il suo corpo caldo e soddisfatto, e posò la tazza sul tavolino e si mise a suo agio sul divano, chiudendo gli occhi e godendosi la musica che suonava per tutta la stanza. I suoi pensieri però andarono alla deriva. Per un momento giurò di poter sentire delle mani su di lui, e sobbalzò leggermente, aprendo gli occhi, ma ben presto si risistemò sul divano. La sua mente vagò ricordando gli eventi precedenti della notte, l'incontro con Dean, Dean che lo portava alla tavola calda, e tutto il resto. Le mani di Dean sul suo corpo, le sue labbra sulle proprie, ed era stato emozionante; aveva il polso e il respiro accelerato, e lo voleva di nuovo. Si svegliò la mattina seguente con il viso premuto sul cuscino del divano, il collo rigido e dolorante per aver dormito in un'unica posizione troppo a lungo. Gemette e si strofinò il viso con il dorso della mano, allungando le gambe sul divano e sussultando quando le articolazioni protestarono. C'era una sorta di tenue ronzio proveniente dagli altoparlanti del giradischi, il disco stava ancora girando e l'ago era nella sua posizione di riposo. Con un altro gemito si alzò dal divano e si avvolse la coperta attorno, il legno duro del pavimento freddo contro i suoi piedi. Si diresse verso il giradischi per spegnerlo; non appena premette semplicemente l'interruttore, cadde il silenzio. Si grattò distrattamente lo stomaco, sbadigliando, mentre si recava in cucina, passando davanti al termostato per dargli un paio di colpetti; non successe nulla. Aprì il frigorifero e poi si bloccò, ricordando gli eventi della notte precedente. In un primo momento era tutto un po' indistinto, la mente pigra per il sonno, ma alla fine le immagini emersero. La tavola calda, la moto, e Dean Winchester; le mani di Dean Winchester, e la sua bocca, la mezza luna del suo sorriso nell'oscurità, la scintilla nei suoi occhi che catturavano il fuoco della sigaretta accesa. Castiel si premette le dita alle labbra, e poteva sentire il calore strisciare su per il collo al pensiero di Dean che lo baciava. Non aveva più baciato nessuno dal liceo, e il primo ragazzo che baciava da allora era qualcuno che a mala pena conosceva. “Dannazione,” bisbigliò, chiudendo il frigorifero, trascinandosi verso il divano nel freddo appartamento, tenendosi stretta la coperta attorno quando si accasciò sul divano di seconda mano, sdraiandosi e premendo il viso nel cuscino ancora una volta, sbuffando. Dean voleva rivederlo, e Castiel gli aveva promesso venerdì, che era sempre più vicino. Domani. Castiel emise un suono imbarazzante, mettendosi la coperta sopra la testa. Era un idiota. Non avrebbe mai dovuto accettare, ma era così preso dal tono urgente della voce di Dean e dal modo in cui il suo corpo sembrava piegarsi senza sforzo sotto le sue mani. Castiel non avrebbe potuto dirgli di no. Castiel si rigirò e si strofinò il viso. Aveva bisogno di una doccia. Si era versato qualcosa sul pullover – odorava d'alcol – e aveva un disperato bisogno di radersi. Forse Dean era solo impulsivo. Forse se ne sarebbe dimenticato e non si sarebbe fatto vedere. Al pensiero gli si spezzò il cuore; non voleva che Dean lo dimenticasse. Non gli sembrava giusto che Dean potesse accantonarlo mentre Castiel l'avrebbe ricordato per il resto della sua vita. Non veniva baciato in quel modo da molto, molto tempo; forse mai. Si diede una spinta per alzarsi dal divano. Non aveva senso comportarsi come se non ci fosse nulla fuori dal comune. Il massimo che poteva fare era continuare la sua giornata ed affrontare qualunque cosa Dean decidesse di fare. Diede un'occhiata all'orologio sul comodino, prendendolo in mano per controllare l'ora senza gli occhiali. Le dieci e un quarto. Sospirò e lo rimise a posto e si sbottonò il pullover, abbassando la tendina parasole mentre lo faceva. Dovette aspettare davanti alla doccia per almeno cinque minuti perché i tubi stridenti si riscaldassero, ma anche così l'acqua era tiepida quando ci entrò. Imprecò, strattonando la tenda dietro di sé, e si insaponò più in fretta possibile, lasciando l'acqua colpirgli la testa e la nuca. Una volta a suo agio, iniziò a cantare un po', lavandosi i
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capelli, sbattendo le palpebre quando il sapone gli andava negli occhi. Si fermò, esitando per un momento, inclinando la testa. “Cos'è?” disse, tirando la tenda da una parte, chiudendo l'acqua per sentire meglio. Sentì di nuovo il rumore e, confuso, Castiel si sciacquò rapidamente ed afferrò l'asciugamano, cercando di asciugarsi mentre qualcuno batteva coi pugni sulla porta. “Un momento!” chiamò, tentando contemporaneamente di trovare i suoi occhiali nel disordine dell'appartamento e di mettersi i vestiti. La maglietta era bagnata e gli si attaccò addosso, e si infilò a fatica i pantaloni ancheggiando, senza preoccuparsi di abbottonarli o di tirare su la cerniera. I colpi persistenti continuarono e Castiel trovò finalmente gli occhiali tra i cuscini del divano e li spinse sul naso mentre andava alla porta, sperando che non fossero troppo sporchi di impronte. Dopo aver quasi fatto cadere la tazza dal tavolino quando ci passò vicino, tolse il chiavistello e aprì la porta. “Sì!” esclamò, e poi fu interrotto, tutto il viso improvvisamente sbigottito. “E tu che ci fai qui?” Dean Winchester sorrise di risposta, entrando con forza nell'appartamento. “Lo so che hai detto venerdì,” disse, chiudendo la porta dietro di sé. Castiel guardò da sopra la spalla di Dean la porta, e poi lasciò che i suoi occhi ritornassero sul viso di Dean. Stava ancora sorridendo, mani in tasca, dondolando sui talloni quasi in modo infantile, “ma non potevo aspettare.” Castiel aprì la bocca, cercando di trovare una risposta appropriata, e una goccia d'acqua scivolò lungo la tempia e finì nel colletto. “Hai deciso,” tenne la voce sotto controllo nonostante lo shock, “di venire oggi. Perché non potevi aspettare.” Dean annuì e poi corrugò la fronte, chinandosi per toccare una ciocca di capelli a Castiel. “Perché sei bagnato?” chiese, asciugando l'acqua sui jeans. Castiel sospirò e si sistemò gli occhiali più comodamente. “Ero nella doccia quando hai iniziato a bussare,” spiegò Castiel, e Dean fece un sorriso compiaciuto. “Beh, non fare caso a me se vuoi ritornarci,” disse scherzando, ma Castiel poteva vedere la serietà insistente dietro le sue parole. Arrossì e roteò gli occhi. “No, grazie.” Dean gli passò davanti, guardandosi intorno all'appartamento squallido di Castiel, con un'espressione d'approvazione. Andò verso il giradischi e guardò il disco, e poi si spostò verso le credenze, vagliandole, e poi, con Castiel che seguiva ogni suo movimento, sbirciò nella camera da letto prima di ritornare al giradischi. La mente di Castiel era combattuta con le cose che voleva dire per spezzare il silenzio, ma Dean non sembrava infastidito dalla quiete. Sembrava semplicemente curioso, immergendosi nelle cose che Castiel aveva da offrire. Accese la luce in cucina e poi la spense, sorridendo e voltandosi su Castiel in modo disinvolto. “Bel posto,” commentò e Castiel socchiuse gli occhi con aria sospettosa. “Ha quel che mi serve. Il termostato non funziona però,” aggiunse, indicando il piccolo quadrante sul muro. Dean rise ed avanzò furtivamente verso il piccolo dispositivo di metallo, dandogli dei colpetti. “Te lo aggiusto io.” Castiel sbuffò e Dean sollevò la testa. “Cosa? Pensi che non ci riesca?” “Penso che tu sia sfrontato,” disse in tono di scherno, “a presentarti qui senza chiedere – non hai nemmeno chiamato...” Le parole gli morirono in bocca quando Dean gli si avvicinò mettendo le mani sui fianchi di Castiel. Gli sollevò un po' la maglietta e Castiel divenne di un rosso scarlatto quando Dean vide che aveva la patta dei pantaloni aperta. Incrociò lo sguardo di Castiel e mosse le sopracciglia suggestivamente. “... Non ho avuto tempo per abbottonarli per bene,” tentò di spiegare Castiel, ma le dita abili di Dean stavano già tirando su la cerniera, abbottonandoli per lui. Distese la mano sul basso addome di Castiel e poi Castiel inclinò la testa all'indietro quando Dean premette le loro bocche insieme. Sospirò felice e le dita di Castiel tremarono
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intorno agli avambracci di Dean, il cuoio familiare ma ancora gli dava una nuova sensazione. “Non ho il tuo numero,” disse Dean, ritraendosi, con un sorriso storto e spensierato. Le sue mani vagarono intorno alla vita di Castiel, scendendo fino a sopra il sedere e Castiel trattenne il respiro. “Inoltre ho pensato di essere una bella sorpresa. Non ho dormito tutta la notte.” Le sue parole si smorzarono quando lo tirò più vicino a sé, dondolando leggermente, la bocca che sfiorava il collo di Castiel. “Mi hai tenuto sveglio tutta la notte, sai.” Castiel si spostò, il corpo che cedeva, muovendosi per dare a Dean più accesso. Ansimò contro la spalla di Dean e spostò le mani dagli avambracci alla schiena, perso nella sensazione della braccia di Dean intorno a sé. “Sei matto,” disse in tono meravigliato. “Non sono nessuno di speciale e, anche se lo fossi, cosa ti fa pensare che puoi venire qui ogni volta che ti –ah–” Dean gli morse gentilmente il labbro e Castiel si aggrappò a lui, la testa che gli girava. “Cas, sono pazzo di te,” sussurrò, e baciò la pelle che aveva mordicchiato, alleviandola. Castiel si sentì un po' più coerente e si divincolò. “È la prima volta che mi chiami così,” disse e Dean sbatté le palpebre prima che il suo viso si spaccasse in un altro sorriso solare. “Già.” Dean rise e Castiel mise un po' di distanza tra di loro, grattandosi nervosamente il braccio. Dean notò il cambiamento di umore e sussultò un po', ritornando al giradischi. Ci giocherellò un po' e poi lo fece partire, Elvis che si diffondeva di nuovo nell'appartamento. Ciondolò la testa sperimentalmente e Castiel tossì una risata osservando il suo tentativo di entrare nel ritmo. “Non fa per tutti,” spiegò Castiel, indicando le scatole piene di dischi che aveva spinto contro la parete opposta. “C'è di più se preferisci ascoltare altro.” Dean scosse la testa, all'improvviso determinato, “no, a te piace Elvis, e a me non dispiace.” Vagò comunque verso le scatole, inginocchiandosi sul tappeto per dare un'occhiata, scuotendo la testa per i gusti di Castiel, senza dubbio. Probabilmente ascoltava roba più forte. Castiel si mise dietro di lui e si chinò sopra la sua schiena, scrutando le scatole, cingendo il braccio attorno la spalla di Dean. Scorse alcuni dischi timidamente e Dean lo guardò, tirandolo giù per farlo sedere accanto a lui. Erano fianco a fianco, con Elvis che si propagava in ogni fessura dell'appartamento. Castiel si rese conto con meraviglia di non avere freddo e quando guardò il profilo di Dean non poté fare a meno di sorridere dolcemente per come fosse tranquillo il viso di Dean, per come sembrasse semplice sedersi sul pavimento e scorrere qualche disco. Dean lo sorprese mentre lo stava fissando e si fermò, le mani appoggiate sul bordo di alcuni album, gli occhi spalancati e bellissimi. Bellissimo – la parola gli venne in mente così facilmente. “Sei stato sveglio tutta la notte?” chiese sommessamente e gli occhi di Dean cambiarono in un modo che fecero sentire Castiel quasi troppo accaldato, come se l'emozione che esprimeva si radiasse direttamente nelle sue ossa. La bocca di Dean accennò un sorriso, ma era come se fosse troppo serio per sorridere fino in fondo. “Già,” rispose Dean, scrollando le spalle, giocando con l'angolo di una copertina. “Sembra molto stupido.” Una preoccupazione apparse tra gli occhi di Dean e scosse un po' la testa, ridendoci su. Castiel non pensava che sembrasse stupido. Ascoltava Elvis e fissava Dean, ed era così strano, la sensazione più strana che avesse mai provato. Farfalle, ma anche qualcosa di più solido, qualcosa di pulsante e persistente, lo stesso tipo di sentimento terrificante che aveva provato alla festa, la prima volta che aveva visto Dean. Dean lo guardò, inquieto. “Scusa se non ho aspettato fino a venerdì, e scusa se sono... è che, ti ho visto, e sai...” Si soffermò e Castiel annuì. “Ti ho visto...” continuò Castiel, sorridendo un po', comprendendo, e sollevò una mano e toccò la guancia di Dean, accarezzandola, e Dean spinse il viso nel suo palmo. C'era molto di più, vero? Tutto questo nascondeva altro, ma aveva molto più senso adesso che Dean era lì con lui. Che stava ascoltando Elvis, come se per tutta la sua vita avesse aspettato questo piccolo momento. Dean gli toccò la parte interna del polso, fissando il collo di Castiel. “Ti ho visto, e sapevo che non avrei potuto mai dirti buonanotte,” finì con un mormorio. “Non sul serio. Non sembrava giusto dirti addio, o buonanotte...”
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Castiel si chinò e premette le loro labbra insieme, interrompendolo. Stavolta sembrò facile, come se baciasse Dean da molto tempo, e forse era dovuto alla notte precedente, ma Castiel iniziò a pensare che non era del tutto così; forse non era mai stato così. Quel primo momento frastornato in cui posò gli occhi su di lui, il modo in cui il suo corpo combaciava con quello di Dean, come la flessuosità naturale della sua moto. Denso e dolce, come i frappè, come il sorriso di Dean, molto più bello alla luce del sole. Dean si dimenticò dei dischi, e Castiel lo aiutò a togliersi la giacca, spingendola dietro di loro. Dean si adagiò sul pavimento, rifiutandosi di separare le loro labbra. Castiel si distese sopra di lui, ed era tutto stranamente pacifico. Le mani di Dean si muovevano lentamente, le loro bocche ancora di più, esplorando, timidi a volte, ma meticolosi. Castiel prese tra le mani il viso di Dean, facendo scorrere i pollici sulla mandibola, sugli zigomi. Elvis suonava. Dean rise, un piccolo suono incespicante, e Castiel lo guardò, i capelli ancora umidi e toccò le labbra di Dean, la clavicola, la fronte, e Dean lo fissava con qualcosa simile all'adorazione. Si incastravano perfettamente. “Dove sei stato?” disse Dean dopo un istante, e Castiel rise. “Proprio qui,” rispose, e Dean scosse la testa. “Non te ne andare allora,” sussurrò in tono serio, e Castiel sorrise in modo rassicurante. “Non sembra giusto dire addio, no?” Dean lo tirò giù, più vicino, gli avvolse le braccia attorno, si lanciò sulla sua bocca, e Castiel immaginò che fosse quella la sua risposta. Era quasi sorprendente come si incastrassero bene insieme, come i loro corpi sembrassero scivolare insieme e connettersi come pezzi di un puzzle, combaciando per creare una cosa unica. Come le dita di Castiel sembrassero adagiarsi così bene quando curvarono intorno alla nuca di Dean, catturandosi le labbra a vicenda, lambendole, e il solo pensiero bastava per far girare la testa a Castiel. Le mani di Dean si spostarono sulla sua schiena, posandosi proprio sopra il sedere, e Castiel si ritrasse, quanto bastava per far sì che le loro labbra si toccassero a mala pena. Le mani di Dean afferrarono l'orlo della maglietta, tirandola su, con le dita che premevano contro la sua pelle, e il suo tocco dava una sensazione incandescente, che solleticava Castiel sotto la pelle. Espirò e Dean inalò, e Castiel sorrise; poteva sentire il sorriso di risposta sulle labbra di Dean. “Ma chi sei?” Castiel osservò Dean aprire gli occhi, fissandolo pigramente. “Ti ho appena incontrato, e già, io – non lo so.” “Non lo so neanch'io.” Dean fece scivolare le dita di una mano tra i capelli umidi di Castiel, scostandoli dagli occhi. “Ma non posso fare a meno di te.” Castiel rise e premette il viso nel collo di Dean. “Non capisco perché. Sono un tipo normale; non sono niente di speciale.” “Vuoi smetterla di dirlo?” grugnì Dean quando Castiel si tirò su, le ginocchia su entrambi i lati del corpo di Dean, cavalcandolo. Castiel roteò gli occhi e premette i palmi sul petto di Dean, con le dita che gli strattonavano leggermente la maglietta, per tenere le mani occupate. “È vero. Sono scialbo, e noioso, e – ma guardati!” “Cosa?” “Sei stupendo! Sei attraente, e affascinante, e hai una moto, e fai svenire tutte le ragazze.” Le mani di Dean si spostarono sui fianchi di Castiel, con le dita che scivolavano sotto la maglietta per tirarla su. “E tu sei bellissimo.” Castiel trattenne il fiato in gola, e poteva sentire le guance che stavano arrossendo. Girò la testa, avvolgendo le dita intorno a uno dei polsi di Dean, impedendogli di tirare la maglietta sopra la testa. “Non è vero. Sono noioso.” “E stupido, ovviamente.” “Non sono stupido!” sbottò Castiel, tornando a guardare Dean, e Dean stava ridendo sotto di lui, liberandosi dalla presa di Castiel. Fece scorrere le dita sul petto di Castiel, risalendo finché non gli tenne la guancia nella mano,
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sfiorando con il pollice le labbra. “Mmm, forse no.” Dean fece un sorriso compiaciuto e spinse completamente la mano sotto la maglietta di Castiel, con le dita che premevano sulla sua pelle, e Castiel mormorò a bocca chiusa, chiudendo gli occhi. Non era abituato a tutta questa attenzione, le mani su tutto il suo corpo, e se era questo che Dean voleva fare con lui ogni volta che si vedevano, allora era più che d'accordo con Dean che si presentava nel suo appartamento a intervalli casuali. Rimasero così per un momento, finché Dean non fece scorrere le dita sul fianco di Castiel, sfiorando la pelle. Castiel rise e si chinò, afferrando la mano di Dean da sotto la maglietta e tirandola via. Dean grugnì e fece scivolare l'altra mano sotto la maglietta di Castiel, solleticandogli la pelle, e Castiel rise di nuovo premendo il viso nel collo di Dean. “Dean, per favore–” Dean tirò via la mano dalla presa di Castiel e la spinse di nuovo sotto la maglietta, entrambi le mani che sfioravano i fianchi, e Castiel non riuscì a trattenersi dal ridere. “Soffri il solletico sui fianchi, mmm?” disse Dean quasi facendo le fusa, e Castiel scosse la testa. Ma Dean sorrise e continuò a solleticare Castiel finché non diventò un ammasso ridacchiante sopra di lui, ansimando contro la sua pelle e facendo fatica a respirare. Rise ed afferrò i fianchi di Castiel, spingendolo e spostandolo finché Castiel non era sul pavimento e Dean sopra di lui. Mettendo il corpo di Castiel tra le ginocchia e le mani su entrambi i lati della sua testa, Dean gli sorrise, e Castiel corrugò la fronte, gli occhiali storti sul viso. “Ti odio.” “No, non mi odi.” Dean si mise in equilibrio su una mano, sistemando gli occhiali di Castiel con dita gentili prima di scostargli i capelli dal viso. “Va bene, non ti odio. Ma sei maleducato. Spero che tu lo sappia.” Dean rise e scosse la testa, e Castiel roteò gli occhi, premendo le mani contro il suo petto, ma Dean non si mosse. La musica smise di suonare e il silenzio era quasi assordante, tranne per il costante crepitio degli altoparlanti. Castiel inclinò la testa all'indietro, guardando il giradischi per un istante prima di tornare con l'attenzione su Dean. “Togliti di dosso. Voglio ascoltare qualcos'altro.” “Così esigente.” Dean si spostò, fermandosi un momento per fargli l'occhiolino. “Mi piace.” Castiel si divincolò da sotto Dean, spingendosi su da terra per mettersi in piedi e spazzolarsi i vestiti. Dean si mise a sedere, guardandolo andare verso il giradischi per capovolgere il disco, posizionando con cautela l'ago sopra di esso. L'appartamento si riempì di nuovo con la musica di Elvis, e Castiel canticchiò tra sé e sé, girandosi per guardare Dean. Dean gli sorrise, mettendosi a sedere in stile indiano, con le mani in grembo; aveva un aspetto così innocente seduto lì, come se non avesse tormentato Castiel facendogli il solletico solo pochi minuti prima. “Hai fame?” “Mi andrebbe qualcosa, in effetti.” “Beh, spero che non ti aspetti niente di spettacolare.” Ci pensò per un momento. “Potrei fare maccheroni e formaggio.” “Maccheroni e formaggio vanno bene.” Castiel poteva percepire Dean che lo guardava mentre si dirigeva verso le credenze a rovistare. Ebbe un tuffo al cuore quando si accorse che tutto quello che gli era rimasto era un contenitore solitario di pasta, un po' di pane e un paio di scatolette di tonno. Tirò fuori gli spaghetti, ascoltando il picchiettio secco che fecero mentre si scuotevano nella scatola quando li buttò sul bancone. Si voltò poi verso il freezer, non stupendosi quando lo trovò pateticamente vuoto. Squadrò il latte e il suo mezzo panetto di burro, sospirando. “Mi dispiace, ma abbiamo finito i maccheroni,” si scusò con la sua voce più pomposa, sperando che se si comportasse come un cameriere pretenzioso Dean almeno si sarebbe svagato e l'avrebbe perdonato per essere povero in canna. Dean alzò lo sguardo al suono della voce di Castiel e sogghignò.
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“Oh, beh, avete qualche altra specialità stasera?” disse Dean stando al gioco, e Castiel si schiarì la gola, lisciando la maglietta dove era stata sgualcita da mani erranti. “Abbiamo il branzino su un letto di riso e verdure al vapore, il filet mignon con purè di patate rosse all'aglio, ed anche spaghetti stantii con burro e il nostro ingrediente speciale.” Dean annuì, considerando le sue scelte, arrivando persino a strofinarsi il mento pensieroso. “Qual è l'ingrediente segreto?” domandò, socchiudendo gli occhi con sospetto. “Sale, monsieur,” rispose Castiel senza esitazione, sollevando il mento in modo altezzoso. “Sale?” chiese Dean con finto entusiasmo. “Adoro il sale.” “Preferisce la pasta allora?” “Sì, grazie,” replicò Dean, inclinando la testa; il suo sorriso fanciullesco divenne ancora più ampio. Castiel mantenne la sua posa e annuì severamente, facendo ridere Dean che scosse la testa incredulo. Si voltò verso i fornelli, accedendo il fuoco, contento di come fosse riuscito ad accendere facilmente il fiammifero con Dean che gli guardava la schiena. Castiel sentì il fruscio distante di Dean che si alzava in piedi e il dolce suono dei suoi stivali mentre avanzava sul pavimento finché non fu accanto a lui, fissando l'acqua con una specie di interesse distaccato. “Pentola guardata non bolle mai,” rimproverò Castiel, ma Dean scrollò le spalle, ridacchiando, e si appoggiò sul bancone a guardare Castiel invece. “Se ti guardo bollirai?” disse in modo provocatorio, facendo roteare gli occhi a Castiel che contava gli spaghetti, cercando di valutare se poteva lesinare sulla sua portata per risparmiarne un po' per dopo. “Ti piacerebbe fosse così facile,” ribatté Castiel, e Dean spalancò gli occhi e scoppiò a ridere con tutto il corpo, buttando la testa all'indietro, la schiena inarcata. Castiel gli sorrise, dando un'occhiata alla pentola per vedere se l'acqua aveva iniziato a bollire – ancora no. “Oh, ma davvero?” Dean rise, asciugandosi l'angolo dell'occhio come se ci fosse una lacrima. Era la volta di Castiel di scrollare le spalle, ascoltando il polso di Dean scrocchiare quando lo agitò. Dean si guardò intorno all'appartamento, con la schiena appoggiata sulle credenze. “I tuoi amici lo sanno quanto sei divertente? O sono solo io il fortunato?” Castiel sbuffò con scherno, tirando fuori un coltello per tagliare il burro in parti più maneggevoli. “Beh,” disse, pensandoci, aggrottando la fronte mentre tagliava, “non lo so se pensano che io sia così divertente... ma me la cavo.” Dean fece un suono d'approvazione, giocherellando con una forchetta che Castiel aveva lasciato sul bancone. Castiel sentì che il disco si era fermato mentre metteva da parte il burro e buttava un po' di pasta nella pentola. “Metti su quello in cui indossa una camicia aloha,” chiese Castiel, e Dean gli lanciò uno sguardo interrogativo. “Fallo e basta.” “Una camicia aloha?” “Beh, non sei di certo occupato,” sbottò Castiel, e la bocca di Dean fece una smorfia divertita. Castiel sospirò e fece un passo indietro, passando un cucchiaio di legno a Dean. “Va bene, tu cucina ed io andrò a cambiare il disco!” Si fermò quando Dean lo afferrò per i polsi con una presa salda. “Quante volte te lo devo dire di rilassarti?” disse Dean, accennando una risata, spingendo il cucchiaio nella mano di Castiel. “Metterò su il tuo stupido disco.” Castiel lo osservò dirigersi verso le scatole, accovacciandosi per scorrere gli album. Gli salì un po' la maglietta, mostrando una striscia di pelle liscia proprio sopra i jeans e Castiel si sorprese a fissarlo e si girò per mettere insieme il misero pasto. “Una camicia aloha, giusto?” chiamò Dean, e Castiel annuì prima di ricordarsi che Dean non poteva vederlo di spalle. “Blue qualcosa...” disse in tono assente, spezzando la pasta per far sì che non si incollasse.
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“Blue Hawaii4?” “Sì.” Dean si alzò e cambiò i dischi, battendo con impazienza un piede per terra. Si muoveva molto, aveva notato Castiel. Forse era dovuto alle corse motociclistiche, il suo lavoro si nutriva di velocità e movimento; forse era semplicemente lui così. Castiel rimase frastornato nel pensare che sarebbe rimasto intorno a Dean abbastanza a lungo da scoprirlo. La musica iniziò a suonare e Castiel sorrise in segno d'apprezzamento, spegnendo il gas. Portò con cautela la pentola al lavandino, usando il coperchio per scolare più acqua possibile, una cosa rischiosa ma non aveva uno scolapasta. Ad un certo punto Dean ritornò in cucina, appostandosi, come se volesse aiutare ma non sapeva come chiederlo. Castiel scosse la testa; questo ragazzo era un mistero. Utilizzò più burro possibile e una sana porzione di sale, mescolandoli prima di gettare il contenuto nelle uniche due ciotole che possedeva, mettendo la forchetta con cui Dean stava giocando in una e l'ultima che aveva pulita nell'altra. Dean lo guardò girarsi con in mano il cibo fumante e cercò subito un posto dove sedersi, al che Castiel indicò un minuscolo spazio accanto al termosifone. “Tavolo,” disse, e Dean andò a togliere i libri e i giornali dalla seconda sedia, lasciandosi cadere sopra. “Tutti questi sono per il college?” chiese Dean, sfogliando uno dei libri-mattone. Castiel annuì, sussultando per il calore proveniente dalle ciotole e posandole con mani tremanti, facendo scivolare quella di Dean verso l'altro lato del tavolo. “La maggior parte, sì,” rispose Castiel dopo essersi seduto, notando che si era dimenticato i tovaglioli – come se ne avesse. Sospirò e prese la forchetta, girando gli spaghetti per farli raffreddare. Dean non aveva ancora toccato i suoi, guardava ancora il libro, le dita che strisciavano sul dorso e sul titolo stampato in oro. “Alcuni sono dei miei fratelli che non li volevano più e li ho portati con me e poi altri sono di mio padre di quando era uno studente.” “Tuo padre è medico?” continuò Dean, soffermandosi su un qualche diagramma anatomico, gli occhi che guizzavano su di esso. Castiel poteva vedere dall'altra parte del tavolo che era una sezione trasversale dei polmoni. “Biologo,” disse Castiel seccamente, sollevando gli spaghetti, con il vapore umido che si spandeva sul viso. “Ha lavorato per un po' e poi ha insegnato all'università, ma è andato in pensione prima che io venissi qui.” Dean annuì, come se capisse le parole che stava leggendo, sfogliando un'altra pagina. “Cos'è un 'edema polmonare'?” Castiel si sporse in avanti, lasciando la forchetta dentro la ciotola – la pasta era comunque ancora troppo calda per poterla mangiare. “Significa accumulo di liquido, ma non mi ricordo se è dentro o fuori...” ricercò nella pagina meglio che poteva, e Dean gli resse il libro, lasciandolo venire più vicino. Castiel inclinò il libro nella sua direzione, “... dentro. Sì. È un accumulo di liquido nei polmoni.” Dean rigirò il libro e lo fissò a lungo. “Mmm,” disse finalmente, posando il libro ai suoi piedi insieme agli altri, scambiandolo con la forchetta. Castiel lo guardò soffiare sulla ciotola prima di infilarsi il cibo in bocca senza tante cerimonie, senza nemmeno sussultare per la temperatura. Castiel, impressionato, diede un morso esitante al suo. “Non male,” disse Dean, assicurandosi di aver masticato ed inghiottito, offrendo un sorriso entusiasta a Castiel che strinse le spalle. Era insipido come aveva previsto, ma era meglio del riso. Mangiava riso da giorni. Dean lo fissò per un po', ancora mangiando, e Castiel ogni tanto gli lanciava uno sguardo timido, solo per vedere la forchetta di Dean rallentare e il suo sorriso crescere. “Hai fratelli?” 4 Album di Elvis Presley del 1961 contenente la colonna sonora del film omonimo interpretato sempre da Presley. Il disco fu il maggior successo commerciale avuto da Presley in vita. La canzone Can't Help Falling in Love divenne un grosso successo e il brano finale di quasi tutti i concerti di Elvis Presley negli anni Settanta.
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Castiel annuì, succhiando uno spaghetto, e si asciugò la bocca con il dorso della mano, appoggiandosi allo schienale. “E una sorellina – beh. Ha diciassette anni, quindi ha solo due anni e mezzo meno di me,” non poté fare a meno di sorridere pensando a lei. “Si chiama Rachel.” Dean mosse la gamba sotto il tavolo, ma pendeva dalle sue labbra. “È una brava ragazza?” Castiel rise, l'espressione affettuosa ancora in viso. “Molto,” rispose, facendo roteare la forchetta distrattamente. “È l'unica femmina. Avevamo una sorella più grande ma è morta quando era ancora una neonata. Ma Rachel è una brava ragazza. È viziata però – era inevitabile con tre fratelli che la coccolavano.” “Tre?” chiese Dean, sbattendo le palpebre. “Beh, me compreso. Michael e Gabriel sono i miei fratelli maggiori,” disse. “Io non la coccolavo molto. Piuttosto la irritavo.” Dean rise, prendendo un altro bel boccone. “C'è anche del pane se vuoi,” aggiunse Castiel, facendo un cenno alla cucina dietro Dean, ma Dean scosse la testa, insistendo che gli bastava quello che aveva. “Quando è stata l'ultima volta che ci hai parlato?” Castiel smise di mangiare e spinse via il resto del cibo. “Non ne voglio parlare,” disse sommessamente, ma poi la sua voce assunse rapidamente una qualità più carica – più tesa – quando continuò, “davvero, non voglio. I miei fratelli sono stati molto chiari sul fatto che non fossero elettrizzati per le mie scelte, va bene? Mi hanno mandato al college e la storia finisce qui.” Dean lo fissò. Riusciva a capire che stava mentendo. “Non volevo farti agitare,” la voce di Dean era aspra, quasi perplessa, “quindi non guardarmi così, come se stessi cercando di paragonarmi a te.” Il suo sguardo si trasformò brevemente in qualcosa di più deciso. “Lo so cosa devi pensare di me. A quelle feste tutti aprono bocca e gli danno fiato e pensano di sapere i segreti più torbidi di tutti quanti, ma in realtà non sanno niente.” Gettò la forchetta da una parte; come se non la sopportasse più, e Castiel rimase sorpreso quando non trasalì come avrebbe fatto di solito. “È stato mio padre a scoprire che sono frocio, ma a dire la verità non ha fatto alcuna differenza; quel giorno era ubriaco, quindi dubito che se ne ricordi. L'ha scoperto da uno stronzo che sparlava al negozio di liquori, gli ha detto che mi ha visto succhiare l'uccello di un tizio davanti a un cinema, come se fossi un idiota oltre che un finocchio. Ero più incazzato dal fatto che Sammy l'avesse scoperto da lui perché urlava così forte.” Castiel socchiuse gli occhi, confuso. “Come ha fatto il tizio del negozio di liquori a sapere che eri finocchio allora?” chiese, cercando di seguire. Dean strinse le spalle. “Si era sbagliato – era quel tizio a succhiarmi l'uccello.” Castiel sentì il viso incresparsi in un'emozione indiscernibile, e più guardava Dean più ridicola sembrava la sua affermazione e più pensava al tono pragmatico di Dean più gli sembrava isterica. Rise, e la risata aumentò sempre di più e anche Dean si mise a ridere con lui, e Castiel era senza fiato, con le lacrime che gli annebbiavano la vista. Si strofinò gli occhi sotto gli occhiali, piegandosi in avanti, cercando di riprendere fiato. “Gesù Cristo,” rantolò, la sua risata che incespicava insieme a quella di Dean, entrambi rossi in viso e ansimanti. Dean fece scorrere una mano sopra la bocca, scuotendo la testa. “È stato assurdo.” “Beh, cosa è successo?” indagò Castiel, la sua curiosità stuzzicata. Dean sospirò, prendendo uno spaghetto che si stava raffreddando per poi ributtarlo nella ciotola.
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“Beh, il mio vecchio mi ha messo KO, ma io ho rotto il naso al tizio del negozio di liquori ma non ha detto nulla; ha troppa merda sulla sua fedina penale per sporgere denuncia.” Dean strinse le labbra – l'argomento era cosa vecchia per lui – e Castiel rimase meravigliato. “Vedi, è questo che non capisco. Hai questo passato pittoresco pieno di bocchini nei vicoli e corse sulla moto e risse, ma vedi me ad una festa e in qualche modo decidi che vale la pena venirmi dietro.” “Parli come se fossi deluso!” Dean sogghignò, strafottente, gli occhi scintillanti, “ti ho dato una serata di prima qualità.” Castiel appoggiò il mento sulla mano, gomito sul tavolo. “Avresti potuto avere qualunque ragazza alla festa. Avresti potuto avere Lisa, ma decidi di seguirmi, portarmi ad una tavola calda e poi mi salti addosso lì fuori – ma non è questa la parte che non capisco. Non capisco perché sei qui. Perché sei qui ad ascoltarmi parlare della mia noiosa infanzia borghese – beh, immagino di dover dire che stento a crederci.” “Sono le tue stronzate ad essere noiose,” disse Dean semplicemente. “Ti ho già detto cosa provo per te. Non è così complicato. Non hai mai sentito parlare di amore a prima vista?” concluse, dando a Castiel uno sguardo implorante. Castiel sospirò. “Non pensavo che ricambiassi, tutto qua,” spiegò, spingendo via la sua ciotola. Dean incrociò le braccia sul tavolo e ci appoggiò la guancia, guardando Castiel attraverso le ciglia. Castiel allungò una mano e fece scorrere le dita tra i capelli di Dean, scostandoli dal viso, guardando l'estensione delle sue lentiggini che non aveva potuto vedere al buio la notte precedente. “Beh, sto ricambiando,” disse Dean, sorridendogli pigramente, come un cane sazio. “Immagino di sì.” Castiel sorrise, accarezzando con il pollice la fronte di Dean, il ponte del naso, lo zigomo, tracciando le sue lentiggini. Dean mormorò a bocca chiusa, chiudendo gli occhi, e Castiel si mise a giocare con i capelli di Dean prima di irrigidirsi. Guardò il giradischi dietro Dean nel salotto, e poi ritornò con lo sguardo su Dean per vedere che lo stava fissando. “Che stai guardando?” “Oh, uh, il giradischi.” Si soffermò per un istante, continuando a pettinare i capelli di Dean con le dita. “Questa è la mia canzone preferita.” Dean sollevò la testa leggermente come per sentire meglio la canzone, e annuì a se stesso prima di posare di nuovo la testa sulle braccia, e Castiel chiuse gli occhi, ascoltando la canzone. Fece scivolare via la mano dai capelli di Dean, accarezzandogli con le dita il braccio mentre ritraeva la mano, ma Dean lo fermò, le dita che si avvolgevano gentilmente intorno al polso, e Castiel aprì gli occhi, fissandolo. “Allora questa è la tua canzone preferita?” Castiel annuì, e Dean fece una specie di suono d'approvazione, sorridendo. “L'ho già sentita alla radio.” “Non è così sorprendente.” Dean sbuffò e si mise a sedere dritto, ancora tenendo il polso di Castiel. Tirò la mano di Castiel verso di sé, e Castiel allungò le dita, con la loro punta che sfiorava il mento di Dean mentre lo faceva avvicinare sempre di più. “Perché è la tua canzone preferita?” Castiel poteva sentire la barba corta e ispida sul mento di Dean mentre le dita gli accarezzavano la pelle, e la sensazione gli fece venire la pelle d'oca sulle braccia. Dean fece il suo sorriso vorace. “È che – mi piacciono le canzoni sull'amore.” Accennò una risata, come se fosse la risposta più stupida che avesse mai dato. Ma davvero, le canzoni sull'amore erano le sue preferite perché celavano così tanto significato, e quello era l'unico modo che conosceva per spiegarlo. “Credo che sia una risposta abbastanza buona.” Dean sorrise e tirò Castiel più vicino per il polso, le dita che si spostavano per tenergli la mano mentre premeva le labbra sul suo palmo, ancora sorridendo. Baciò Castiel gentilmente lungo il palmo, con gli occhi che lo guardavano per tutto il tempo, e Castiel deglutì a fatica, le dita che si contraevano.
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“Dean–” “But I can't help falling in love with you 5,” cantò dolcemente, quasi un sussurro, e Castiel si sentì le guance arrossire; quasi aveva le vertigini. “Mi confondi, Dean Winchester.” Dean si soffermò, occhi concentrati su Castiel. “Perché?” “Perché... hai questo aspetto da duro, e hai una moto, e fai a botte, ma in realtà sei molto dolce, e gentile, e–” “Ehi, adesso non fare il melenso.” “Quello che sto cercando di dire è che sei diverso.” Castiel tirò via la mano per scostare i capelli dal viso di Dean, e Dean gli prese il polso, alzandosi in piedi e chinandosi sopra il tavolo per catturare le labbra di Castiel con le proprie. Castiel sorrise contro le labbra di Dean, facendo scivolare la mano libera tra i suoi capelli. “Diverso, eh?” disse Dean quando si ritrasse. “Diverso.”
5 Ma non posso fare a meno di innamorarmi di te.
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Capitolo II Agosto, 1965 Fu tutto così indolore, innamorarsi di Dean. Era qualcosa di irrazionalmente ordinario, come se Dean fosse stato sempre lì, come se fosse un altro bicchiere nella credenza che aveva iniziato ad usare. Non c'era, e poi il giorno dopo c'era, e Castiel non riusciva a ricordarsi com'era stare senza di lui. Senza le sue mani o la sua bocca o i suoi occhi, senza che queste cose gli scivolassero sul corpo e lo toccassero e lo adorassero. Dean spesso si fermava a guardarlo, occhi spalancati e pieni di meraviglia, come se stesse vedendo Castiel per la prima volta in assoluto. Dean non smetteva mai di chiedere dove fosse stato prima di incontrarlo. In quale angolo del mondo si fosse nascosto per così a lungo, e Castiel trovava sempre che fosse più facile baciarlo invece che rispondergli. La verità era che Castiel non avrebbe mai potuto dare una risposta perché l'aveva dimenticato; non c'era nessuna realtà prima di Dean. Qualunque fosse il suo passato non aveva più alcun significato e il suo cervello l'aveva scartato. Sacramento era in piena caldura estiva; Castiel dormiva sul materasso con le lenzuola aggrovigliate ai piedi – la festa ad Aprile era un lontano ricordo. Una luce scintillante in una finestra. Ogni giorno da allora era accecante e brillante come il sole e mentre il caldo si instaurava, così fece anche Dean. La pelle di Castiel era appiccicosa di baci, e i piccoli lividi sotto il colletto iniziarono a diventare una seccatura da coprire. Ogni volta che si sistemava la camicia a lezione sentiva il fruscio delle mani di Dean sui fianchi e doveva cambiare posizione, guardandosi intorno. Era perplesso dal fatto che nessuno l'avesse avvicinato per parlargli di Dean; c'erano delle volte in cui si considerava così trasparente che era certo che tutti dovessero sapere del letto dove era stato la notte precedente, delle cose che aveva detto, delle confessioni che aveva raccontato e delle risate che aveva fatto scaturire dalla bocca di Dean. Perché mai qualcuno sorriderebbe così tanto senza motivo? Soprattutto a quei tempi. La guerra incombeva su tutti loro. Era come una ghigliottina, la lama che oscillava da una corda stanca, aspettando di cadere su uno di loro da un momento all'altro. Con il college Castiel era riuscito a tenerla a distanza, ma la minaccia che Dean potesse essere arruolato gli offuscava la mente nelle notti solitarie quando Dean aveva il turno notturno. Dean era disperato di far entrare Sam alla facoltà di giurisprudenza, e se non faceva corse motociclistiche lavorava come barista al pub sull'autostrada interstatale, a volte servendo i clienti o pulendo i tavoli per le mance extra se il capo glielo permetteva. Se non lavorava, Castiel doveva ritenersi abbastanza fortunato ad averlo nel suo letto. Castiel si sedeva alla sua scrivania stracolma di libri, cercando di ignorare il traffico in strada abbastanza a lungo da poter studiare il sistema nervoso o circolatorio, con la radio accesa. A volte dava una scorsa ai necrologi ma non riconosceva nessuno. I ragazzi stavano ancora morendo, ma almeno non li conosceva. Ovattò la sua mente con la presenza di Dean invece, perdendo se stesso in attesa che arrivasse, che il telefono squillasse e Dean stesse dall'altra parte della cornetta. Spesso si sentiva crudele per essere al college – per essere in grado di evitare la leva – ma il viso di Dean era ferocemente orgoglioso quando Castiel gli raccontava dei suoi test e delle sue tesine, e riusciva sempre ad essere flessibile ogni volta che c'era un esame o una data di consegna. Metteva Castiel al primo posto. Non l'aveva mai fatto nessuno per lui. “Sei intelligente,” diceva Dean. “Sei così intelligente, Cas. È meglio che tu stia qui. Imparerai a salvare la vita alle persone, no? Nello stesso modo in cui Sammy imparerà a difenderle. Ne morirei se ti portassero laggiù e ti fottessero il cervello.” Per quanto Castiel lo amasse, la realtà era difficile da gestire. Si incontravano durante il giorno se riuscivano a non attirare l'attenzione, e se Castiel riusciva a prendere l'autobus per l'appartamento di Dean dove passava poi la notte. Dean abitava all'ultimo piano dell'edificio, e non fregava a nessuno cosa succedeva all'ultimo piano, o così gli aveva detto. Castiel aveva un sospetto crescente che Dean pagasse il padrone di casa per non fare domande. Castiel non ci voleva pensare nello stesso modo in cui non voleva pensare a cosa potrebbe succedere se li scoprissero. Cercava con tutte le forze di credere a Dean quando gli diceva che avrebbero fatto a modo loro e vaffanculo il resto. Castiel non si era mai sentito così coraggioso. Voleva che i suoi fratelli osassero presentarsi a giudicarlo, voleva vedere cosa avrebbero detto di Dean.
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Stavolta li avrebbe conciati per le feste. Ma tutte queste cose, al momento, non avevano importanza. Era Agosto, e, per la prima estate della sua vita, era innamorato. Si dimenava nel sonno, spostandosi in modo che il braccio non rimanesse intrappolato sotto il petto, i piedi che scalciavano il nido di lenzuola in fondo al letto. Una sirena ululò, smorzando il rumore metallico della scala antincendio, e Castiel si mosse leggermente. La finestra a battenti emise un lieve scricchiolio quando qualcuno la sollevò e Castiel si mosse di nuovo, sospirando. “Dean,” borbottò, con la voce impastata di sonno, e ci fu un colpo secco quando Dean abbassò la finestra per chiuderla. Avanzò attraverso la stanza, fermandosi a metà strada per togliersi gli stivali e calciarli sotto il comodino di Castiel. Castiel gemette, e così anche il materasso quando Dean si mise a sedere sul bordo del letto, strofinandogli la spalla. “Sei sveglio?” sussurrò, e Castiel scosse la testa. “No, sto dormendo,” bisbigliò, voltandosi verso il tocco di Dean, strofinandosi il viso con una mano addormentata ed aprendo gli occhi a fatica. Dean gli sorrise nel buio, accarezzandogli la fronte umida mentre il ventilatore oscillava, scompigliandogli i capelli flaccidi per l'umidità. “Mi sembri sveglio invece...” continuò Dean, e la sua voce era bassa e calma, ma Castiel riusciva a percepire l'eccitazione che fremeva al di sotto. Era di quell'umore, a quanto pareva. “Uno di questi giorni qualcuno ti sentirà. O penserà che stai cercando di,” fece una pausa, baciando Dean, “rapinarmi.” Dean sorrise contro la sua bocca e si ritrasse, facendo cigolare il materasso quando si alzò in piedi e si spogliò goffamente, ritornando poi sul letto, accovacciato sopra Castiel, con le gambe ai lati dei suoi fianchi. Fece scorrere con apprezzamento una mano sullo stomaco di Castiel, facendo schioccare l'elastico dei suoi boxer. Castiel rise, cercando di scansare il viso, ma le mani stavano già vagando sulle spalle di Dean quando questi si chinò per tentare di baciarlo. “Che ore sono?” chiese mentre la bocca di Dean gli sfiorava il collo. “Le tre,” rispose Dean, e Castiel scosse la testa, cercando di far spostare Dean con la spalla. “Dean, smettila, voglio dormire,” disse in tono lamentoso, arrendendosi così velocemente che si domandò perché mai ci provava. “È giovedì – non hai lezione il venerdì,” sussurrò Dean, sigillando di nuovo le loro bocche insieme. Castiel ricambiò il bacio pigramente, mezzo addormentato, con le dita che accarezzavano la schiena di Dean. “Ti sono mancato?” continuò Castiel, e Dean gli baciò il mento, guardandolo negli occhi assonnati. “È lungo il giorno?” fu la risposta e Castiel sorrise, prendendo il viso di Dean tra le mani, facendo scorrere le dita tra i capelli e guardandoli cadere al proprio posto. Dean abbassò la testa, e Castiel aprì la bocca, la lingua che scivolava sul caldo umido di quella di Dean. Dean si ritrasse e Castiel lo seguì, sollevando la testa dal cuscino, ma Dean era troppo rapido ed aveva iniziato a baciarlo lungo il collo, verso il petto nudo. “Dio, mi sei mancato,” disse Dean nell'incavo della gola, e Castiel fece un mormorio d'assenso, con le dita ancora intrecciate tra i capelli di Dean, facendole poi scivolare fino alla nuca. “Per tutto il turno non ho fatto altro che pensare di tornare qui. È tutta la settimana mi sento impazzire, cazzo...” La mano di Dean strisciò sotto l'elastico dei boxer e si avvolse intorno al membro, stringendolo leggermente, e Castiel chiuse gli occhi. “Dean,” mormorò Castiel e Dean gli mordicchiò il punto dove il collo incontrava la spalla, prima di alleviarlo con la lingua. Era solo una settimana? Sembrava fossero passati dei mesi. Aveva ottenuto solo alcuni ti amo sommessi alla cornetta del telefono a gettoni del pub; per il resto del tempo, Dean era stato impegnato con gli allenamenti per il torneo in arrivo tra due settimane e Castiel aveva sgobbato sui libri per gli esami estivi di metà trimestre. “Stavo impazzendo, Cas,” ripeté, e Castiel annuì, perso nel calore e nella carezza agile della mano di Dean. Poteva sentire Dean contro la coscia che iniziava ad eccitarsi, e lasciò vagare la mano sul petto e sull'addome di Dean, mimando le sue azioni. Dean trasalì quando Castiel gli toccò il pene, il dorso della mano che si spiegava sui boxer di Dean. Castiel sorrise, tirandoglieli via, e Dean si spostò per aiutarlo, e poi Castiel si sollevò in modo che Dean
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potesse fare lo stesso a lui. Dean si adagiò su di lui, roteando le anche, accaldato contro la pelle di Castiel, i loro membri che scivolavano insieme in un movimento lento che fece sì che le dita di Castiel affondassero nella federa del cuscino. Si muoveva in modo sonnacchioso con Dean, combaciando con il ritmo lento della sua mano quando le dita di Dean si chiusero intorno ad entrambi, accarezzando quasi pigramente. Dean lisciò la mano sul petto di Castiel, e Castiel la coprì con la sua, le loro dita si intrecciarono, e Castiel sentì il modo in cui Dean spostò leggermente il peso nel palmo di Castiel, e mise con l'altra mano del liquido seminale su di loro, rendendo ogni spinta dei fianchi di Dean una carezza decisa sul membro di Castiel. Il letto cigolò e Castiel gemette, sentendo il corpo teso e caldo. Il pensiero di venire con Dean lo faceva sospirare ed ansimare. “Baciami...” disse con il solo movimento delle labbra, e Dean si chinò, obbedendo. Castiel spinse i fianchi in avanti, mettendo più frizione nella mano di Dean e contro il suo membro, ed ansimò di nuovo. Dean approfittò del momento per ritrarsi, baciandolo lungo la mascella di Castiel con un accenno di denti, e Castiel avvolse le dita attorno la nuca di Dean, aggrappandosi ai capelli sottili che erano lì. “Dean,” gemette, e Dean lo fece tacere, facendo scivolare le labbra sopra la guancia mentre roteava i fianchi contro di lui. “Shh, va tutto bene, Cas, ci sono io.” Castiel annuì, facendo scorrere le dita tra i capelli di Dean mentre si muovevano l'uno contro l'altro. Dean trascinava la mano su di loro con lentezza, con estrema lentezza, ed era quasi insopportabile. Castiel tirò i capelli di Dean e Dean si ritrasse, stringendo le dita intorno ai loro membri, facendo boccheggiare Castiel. “Ti farò stare così bene.” Dean baciò Castiel sull'angolo della bocca, e i fianchi di Castiel scattarono in avanti. “Così bene,” disse con un sorriso, ansimando in modo quasi impercettibile sulla pelle di Castiel. Dean allentò la presa, accarezzando i loro membri con un ritmo lento e costante. Castiel mugolò, il corpo teso come una corda di violino, e spostò la mano per aggrapparsi alla spalla di Dean, con le dita che affondavano nei suoi muscoli. Castiel girò la testa e Dean gli diede dei colpetti col naso dietro l'orecchio, per poi continuare lungo la mandibola. “Guardami, voglio vederti.” E Castiel si girò per guardare Dean, le guance arrossate e il corpo caldo, e Dean premette i fianchi verso il basso, con le dita che stringevano gentilmente; poi Castiel stava venendo, a bocca aperta e col respiro affannoso. Strizzò gli occhi, la schiena che si inarcava sul letto, le unghie che graffiavano la spalla di Dean, e Dean lo accarezzò fino all'orgasmo, facendolo tacere con una scia di baci lungo il collo. Pochi istanti più tardi, anche Dean stava venendo, premendo il viso nell'incavo del collo di Castiel con un grugnito, i fianchi immobili. Il suo respiro era caldo sul collo di Castiel, ma Castiel non aveva l'energia per lamentarsene; invece, avvolse il braccio intorno alle spalle di Dean e premette il viso nei suoi capelli. “Ti amo.” Poteva percepire il sorriso di Dean sul collo, le labbra che gli sfioravano la pelle, e uno sbuffo di risata quando Dean si strofinò il naso sul lato del collo. “Anch'io ti amo,” sussurrò dolcemente, rotolando via da sopra Castiel per stendersi accanto a lui. Erano appiccicosi, lo sperma sui loro stomachi si stava rapidamente seccando, il calore e il sudore sulla loro pelle erano fastidiosi, ma Castiel non voleva muoversi. Invece, rotolò su un lato, trascinando le labbra sulla spalla di Dean. Dean mormorò sommessamente, e Castiel lo osservò mentre chiudeva gli occhi, con la mano che vagava tra i suoi capelli. “Possiamo rimanere qui per sempre?” “Per sempre è un tempo molto lungo, Dean.” Dean si spostò, girandosi leggermente, ed abbassò lo sguardo su Castiel, posando la mano sulla sua guancia, con il pollice che gli accarezzava il labbro inferiore. “Sì, beh–” “–E siamo nel bel mezzo dell'estate, fa caldo, è umidiccio, e disgustoso.”
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“Cas, ci stai pensando troppo.” Castiel roteò gli occhi e si premette più vicino a Dean. “È un tempo molto lungo.” “Beh, sì, ma...” balbettò Dean, e ci fu un momento di silenzio tra di loro, con la mano di Dean che si muoveva di nuovo tra i capelli di Castiel. “Voglio solo rimanere qui, con te, per sempre.” “Non qui. Un posto più bello dato che casa mia è una discarica.” Dean sorrise e Castiel rise sommessamente. “Da te, forse. Si sta sicuramente meglio.” “O da noi. Una casa nostra.” Castiel fissò Dean, e Dean si mosse di nuovo, si chinò, e premette le labbra sulla fronte di Castiel. Si spostò su un fianco, avvolgendo un braccio intorno alle spalle di Castiel per tirarlo contro il suo petto. “Una con il giardino, un bel giardino, e una staccionata.” Castiel mise un braccio intorno alla vita di Dean, infilando la testa sotto il suo mento. Sorrise e fece una risata sommessa; il solo pensiero gli faceva venire il capogiro. Era innamorato di Dean Winchester, ed eccoli lì, a letto insieme, a parlare di prendere una casa assieme, a parlare del loro futuro. “Possiamo prendere un cane?” Dean sospirò lievemente, stringendo Castiel a sé. “Niente cani.” “Perché?” “Perché lo dico io.” Castiel non sapeva a che punto si era appisolato, ma quando aprì gli occhi Dean era sul bordo del letto ad infilarsi gli stivali. Castiel sbatté le palpebre confusamente ed allungò una mano per toccargli la schiena, e Dean si inclinò all'indietro per baciarlo in fretta. “Torna a dormire,” sussurrò; il sole iniziò ad insinuarsi attraverso la finestra. Castiel emise un grugnito stanco e Dean ridacchiò, baciandogli la spalla nuda quando rotolò verso di lui, con la mano che giocava distrattamente con l'orlo della maglietta di Dean. “Passa una buona giornata,” borbottò Castiel e Dean gli diede un altro bacio sull'attaccatura dei capelli. Batté leggermente lo stivale sul pavimento per far calzare il tallone. “Ritornerò sabato,” disse a bassa voce e Castiel annuì contro il cuscino, espirando. “Allenati tanto,” disse Castiel sommessamente e Dean gli accarezzò i capelli e il lato del viso, guardandolo riaddormentarsi. “Ti amo,” mormorò, e Castiel annuì di nuovo, già fluttuando dentro un sogno. “Anch'io,” sbadigliò, girando la testa sul materasso, tirando le lenzuola e la coperta intorno a lui. Fu intorno alle cinque del pomeriggio che successe, quando Castiel fu costretto a ricordarsi che l'amore di Dean non lo rendeva invincibile. Il mondo al di là del letto di Castiel era insidioso ed aveva paura di loro; il più che Castiel avrebbe potuto fare era prevederlo, ma era accecato dall'adorazione. Castiel fu sorpreso nel vedere Hester quando bussò alla sua porta, i capelli biondi tenuti all'indietro da una fascia rigida bianca, le scarpe di un nero brillante e lucido, le mani bianche che stringevano forte la sua borsetta come se qualcuno potesse rubargliela. Gli sorrise nervosamente e Castiel dovette reprimere le sue domande iniziali. Che ci fai qui?, principalmente. Non aveva mai invitato Hester a casa sua. Non gli era mai sembrato giusto farla venire al suo appartamento quando lei era così disperatamente convinta che potessero diventare qualcosa. “Hester?” Sorrise, spalancando la porta e facendola entrare. I suoi tacchi fecero un rumore sordo sul pavimento. Castiel la vide che si guardava intorno, mordendosi con apprensione il labbro, gli occhi che guizzavano sui mobili di seconda mano e sui pochi banconi della cucina. Castiel mise il chiavistello alla porta e si voltò verso di lei,
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catturando la sua attenzione. “Posso offrirti qualcosa?” insistette, guardandola con preoccupazione. Hester fece una risata forzata, coprendosi la bocca con una mano come se fosse imbarazzata. Scosse la testa, con il viso che manteneva una qualità contegnosa. Lo stomaco di Castiel si contrasse nell'incertezza. Quando si avvicinò, Hester si irrigidì. “Hester, che ci fai qui?” Cercò di sorriderle, ma per un po' la ragazza non volle guardarlo negli occhi; il suo sguardo continuava a guizzare in giro, o sul pavimento. “Devi stare stretto,” disse sommessamente, dopo un istante, e Castiel la fissò. “Con Dean qui dentro.” “Dean?” replicò Castiel, troppo velocemente, la voce trafelata, la parola piatta ed informe. Non come l'aveva detta lei. L'aveva detta come se fosse qualcosa di putrefatto sotto un lavandino, come se le avesse macchiato il vestito semplicemente dicendola. Il viso di Hester si indurì in qualcosa di doloroso e spaventoso. I suoi occhi brillavano come due stelle accusatrici sulla sua lattiginosa pelle truccata. “Non puoi mentire, lo so!” urlò, il viso arrossato per l'emozione, e Castiel rimase sbalordito nel vedere quanto fosse bella con la passione che le macchiava le guance di rosso. Fu tutto quello a cui riuscì a pensare mentre Hester stringeva la sua borsetta ed alzava le spalle, nello stesso modo in cui i gatti rizzano il pelo quando vengono minacciati. A Castiel non venne in mente una risposta credibile. Cosa c'era da dire? “Hester, che cosa hai fatto?” Senza accorgersene, le parole gli sgorgarono dalla bocca, stringendo i pugni lungo i fianchi, tutto il corpo rigonfio in un'improvvisa inondazione di paura. “Dimmelo!” chiese in tono imperioso, non alzando la voce a più di un sibilo tagliente. Hester balzò indietro, come se l'avesse colpita, barcollando sui tacchi sottili. “La cosa giusta!” singhiozzò, iniziando a piangere senza alcun tipo di avvertimento, e Castiel non tentennò. Non tremò. L'affrontò, la mente svuotata, e ad Hester stava colando il mascara mentre titubava, coprendosi di nuovo la bocca. “Vi ho visto!” La sua voce gli strisciò addosso come un serpente, pericolosa e bassa. Il mondo si inclinò sul suo asse, la bocca di Castiel era insopportabilmente secca. Incrociò i suoi occhi furiosi e Hester fece un respiro rantolante. “Tu e lui. Quello che stavi facendo con lui, toccandolo...” la voce le si affievolì, “come se nessuno avesse potuto vedervi, come se nessuno stesse guardando, ma – !” si interruppe di proposito, le labbra premute in una linea tremolante, “io ti guardavo sempre, e ho visto che stavi facendo, ed è sbagliato...” Castiel scosse la testa. “Hester,” disse, la voce incredibilmente gentile per la rabbia che provava. Dove? Dove li aveva visti? Nel retro dei negozi dell'usato? Dietro le scaffalature della biblioteca? Nascosti dall'ombra degli edifici alle feste, le loro carezze disperate, intense ed ubriache? Dove? Dove li aveva visti? Non riusciva a pensare ad un posto, ma sarebbe stato davvero così difficile? Quante volte la sua mano aveva vagato verso quella di Dean, quante volte l'aveva baciato senza nemmeno rendersene conto? “No!” urlò Hester, destandolo dai suoi pensieri, “no! Tu adesso mi devi ascoltare! Lui è peccaminoso, Castiel! È peccaminoso! Te l'avevo detto che era peccaminoso! Ma va tutto bene, perché ti salverò, ti porterò via da lui!” Castiel non riusciva a capire esattamente cosa Hester stesse facendo, finché non gli afferrò le mani; la borsetta le cadde a terra e il rossetto rotolò sul pavimento andando a sbattere contro la gamba del tavolo della cucina. Castiel lo fissò, il piccolo cilindro nero che schioccò contro il legno. “Ti ho salvato, ti ho liberato, non lo capisci? Adesso lo lascerai – dovrai lasciarlo, e andrà tutto bene,” balbettò Hester, e Castiel scosse la testa, con lo sguardo congelato sul rossetto. “No,” disse Castiel ostinatamente, “no!” E la spinse. Hester cadde, le ginocchia colpirono il pavimento, la gonna si spiegazzò intorno alle cosce. Gli urlò qualcosa e Castiel incespicò all'indietro, una pentola risuonò fragorosamente sul pavimento quando senza accorgersene la sua mano la colpì sul bancone. Non sapeva cosa Hester gli avesse detto. Gli era sembrato il grido stridulo di una ghiandaia azzurra quando spacca le uova del nido di un altro uccello. Amaro, velenoso e geloso. “Ormai non puoi più fare niente!” gli gridò, e Castiel scosse la testa. “Cosa hai fatto? Cosa hai fatto?” Hester gli sorrise trionfante, e raccolse la borsetta. Si alzò in piedi, appoggiandosi sul divano, raddrizzando il
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vestito, dandosi una sistemata prima di sganciare la fibbia della borsetta e tirare fuori un foglio rosa pallido. Castiel non riusciva a capire cosa fosse, ma era fin troppo familiare con la sensazione nauseante che gli dava. Il coltello del suo tradimento rigirava ancora più a fondo nella schiena. Iniziò ad andare nel panico, il cuore che sobbalzava e sbatteva contro la cassa toracica con ogni passo che Hester faceva verso di lui. Il viso di lei trasmetteva perdono per la sua violenza, ma Castiel non era dispiaciuto. Prese il foglio e lo spiegò, fissando il timbro nero. “Ho detto al tuo padrone di casa la verità. Lo so che adesso potresti essere arrabbiato ma, Cas, è meglio così. In questo modo potrai ritornare sulla retta via. Potrai lasciartelo alle spalle. Sei giovane. Hai ancora tempo,” disse in tono rassicurante, accarezzandogli il dorso della mano. “Sto solo cercando di aiutarti, non lo capisci?” Hester scosse la testa con aria di commiserazione. “Cas, se il mondo è crudele con gli omosessuali, è per dare loro una lezione. L'omosessualità è qualcosa di sbagliato, è qualcosa di malato, ma sai, tesoro, penso che tu possa superarlo. Lo penso davvero, davvero tanto, e penso che le persone lo facciano continuamente.” Gli tracciò la pelle con le dita. Castiel fissava il foglio. “Non mi piace dire brutte parole, ma, tesoro–” Continuava a chiamarlo 'tesoro'. Voleva picchiarla. “Tesoro, il tuo padrone di casa era così inorridito, avresti dovuto sentirlo parlare e parlare di come non poteva affittare ai succhiacazzi. Che avere dei froci nel tuo stesso palazzo era anche antigienico. Diceva cose così volgari mentre scriveva l'avviso di sfratto, ma pensa se l'avesse scoperto da solo? Non sarebbe stato proprio terribile?” Sussurrò la parola succhiacazzi come se la offendesse; di tutte le cose orribili, meschine che aveva fatto, era quella parola ad offenderla. Di tutto il dolore che aveva appena causato, le mura che aveva appena fatto crollare intorno a lui, era solo quella parola che metteva a disagio la sua piccola anima delicata e candida. “Assolutamente terribile,” scandì. “Sarebbe stato così orribile, ma ora non lo devi dire a nessuno. Puoi solo andare avanti.” “Razza di puttana,” disse Castiel semplicemente. “Ti è dato di volta il cervello?” Sollevò lo sguardo verso di lei e Hester gli strinse ancora di più la mano. Castiel non riusciva a divincolarsi dalla sua presa e il viso di lei brillava di risoluzione divina, di determinazione, perché doveva salvarlo. Non sarebbe successo. Non avrebbe permesso che succedesse di nuovo. “Sto facendo quello che deve essere fatto,” replicò Hester, la voce sdolcinata. “Pensi di aver fatto abbastanza,” continuò Castiel. “Ma in realtà non hai fatto niente. Non potrai mai farmi smettere di amarlo.” Hester scosse la testa. “Non smetterò mai di amarlo. Ho preferito lui a te. Ho preferito lui a te e i tuoi stupidi, ridicoli amici snob. Ho scelto lui e hai provato a vendicarti, ma non ce l'hai fatta, perché non riuscirai a fermarmi. Gettami pure in mezzo a una strada, e lascerò comunque che mi scopi.” “Smettila!” strillò Hester, schiaffeggiandolo. “Come puoi dire una cosa del genere?! Come puoi dirlo! Sei solo una povera anima sperduta e senza vergogna!” Le rise in faccia, tenendosi il viso nella mano. “Esci fuori dal mio appartamento!” “Non rimarrà tuo ancora a lungo,” sbottò Hester. “Hai due giorni per andartene e non pensare che non lo dirò a nessuno. Ti sbatteranno le porte in faccia. Dirò ai giornali del tuo prezioso frocio, e poi vedrai – sbatteranno le porte in faccia anche a lui, e tu tornerai da me strisciando.” Castiel l'afferrò e lei gridò, contorcendosi. La teneva stretta a sé, denti scoperti; Castiel si era trasformato in qualcosa di pericoloso e feroce. “Se dirai a qualcuno – a chiunque – di Dean, io ti ammazzo.” Lei lo fissò negli occhi ed emise un grido soffocato, il corpo che si dimenava nella sua presa. La scosse; se avesse avuto degli artigli, l'avrebbe uccisa in quel momento. “Vedrai se non lo faccio, Hester. Vedrai se non te la faccio pagare per avergli fatto del male. Vedrai se te la faccio passare liscia se lo tocchi. Sarà l'ultima cosa che faccio se getterai anche solo un pugno di fango sul suo nome.” Hester si districò dalla sua presa, ansimante, le gambe barcollanti quasi le cedettero.
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“Hai due giorni per andartene,” disse senza fiato, cercando di ricomporsi, “e-e quando ritornerai in te... quando avrai capito tutto–” Stava di nuovo piangendo. “Mi ringrazierai! Mi ringrazierai per averti salvato da quell'uomo peccaminoso! Mi ringrazierai e io ti perdonerò!” “Vattene!” ruggì Castiel, e Hester si sbatté la porta alle spalle. Castiel gridò, tenendosi la testa, il foglio appallottolato nella mano. Scivolò a terra, accanto alla pentola caduta, e quando sollevò la testa, singhiozzando a scatti in ginocchio, vide che Hester non si era ripresa il rossetto. Si alzò in piedi, asciugandosi il viso, e lo prese, tenendolo in mano. Avrebbe dovuto essere sua amica. Erano stati amici, no? Buoni amici – e forse lei pensava che lo fossero ancora, per come sembrasse disperata di rieducarlo, ma ormai era chiaramente finita. Pensò a come l'avesse minacciata – Hester avrebbe potuto facilmente denunciarlo, ma Castiel sapeva che non era nella sua natura. Buttò il rossetto nel secchio e si mise il viso tra le mani. “Gesù Cristo,” sussurrò a nessuno, e quando chiuse gli occhi non vide il viso di Hester, ma quello di sua sorella. Iniziò di nuovo a piangere. Due giorni. Aveva due giorni per fare i bagagli e trovare un altro posto dove vivere. Non pensava di avere tempo a sufficienza, ma poteva farcela, giusto? Si strofinò gli occhi con il dorso delle mani, raddrizzandosi e guardandosi intorno. I mobili erano vecchi, ma ancora utilizzabili, quindi forse poteva venderli per pagare l'affitto di un nuovo appartamento. Si sentiva tutto dolorante, così vagò in camera da letto e si mise a sedere sul bordo del letto, l'avviso di sfratto rosa ancora accartocciato nella mano. Dopo un po' si costrinse ad alzarsi, lanciando il foglio appallottolato sul comodino mentre avanzava verso l'armadio, rovistando fino in fondo per tirare fuori la valigia che era stata lì da quando si era trasferito in quell'appartamento. Non c'erano molti vestiti da mettere in valigia – pagarsi il college significava non avere soldi da spendere per i vestiti – quindi quella fu la parte più facile di fare i bagagli. Tirò fuori un paio di jeans e qualche camicia prima di chiudere la serratura a scatto della valigia, spingendola contro l'armadio e dirigendosi poi in bagno. L'acqua calda contro la pelle era un sollievo, ma non era abbastanza per lavare via le sue preoccupazioni. Non sapeva ancora dove andare; non conosceva molte persone, e la sua famiglia non gli parlava più, e non voleva chiedere a Dean se poteva andare a vivere con lui. Beh, voleva andare a vivere con Dean – lo voleva più di qualsiasi altra cosa adesso – ma se Dean non fosse ancora pronto? Premette la fronte contro la piastrella fredda della parete della doccia, l'acqua calda che gli picchiettava sulla schiena. Non sapeva quando aveva ricominciato a piangere fino a quando non riuscì più a riprendere fiato. All'improvviso chiuse la doccia ed uscì fuori incespicando, vestendosi alla rinfusa. Si mise a sedere sul letto e posò il telefono in grembo, cercando di ricordare il numero del pub, componendolo con mani tremanti. Si scostò i capelli bagnati dalla fronte, ascoltandolo squillare. “Mick's Ice House.” Castiel non riusciva a muovere le labbra. “Pronto? Sentite – se siete ancora voi teppisti a chiamare...” “Dean,” sussurrò Castiel, racchiudendo la cornetta con la mano. “D-dean, sono io...” Ci fu una pausa e sentì il suono sordo di Dean che si sistemava il telefono contro l'orecchio. “C'è qualcosa che non va?” La voce di Dean era controllata e calma. Professionale. Castiel chiuse gli occhi e scosse la testa. “C'è qualcosa che non va?” ripeté Dean con enfasi, e Castiel deglutì. “Puoi venire a prendermi?” Afferrò il telefono con forza, piegandosi sopra il suo grembo. “Vieni a prendermi, andiamo da qualche parte. Andiamocene. Andiamocene adesso.” “Amore, che succede?” sussurrò Dean. “Sto lavorando. Di che stai parlando?” “Lascia il lavoro.” La voce di Castiel stava tremando. “Lascialo. Andiamocene e basta, Dean. Prenderemo una casa in campagna. Vivremo lì. Nessuno ci darà fastidio.”
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“Non posso – che ti è preso? Non posso parlare adesso, devo lavorare, stai bene? Ti sei fatto male?” “Dean, ti prego!” urlò Castiel. “Dimenticati del lavoro, dimenticati di tutto, andiamocene via. Andiamocene molto lontano, okay?” Si morse il pollice per trattenersi dal singhiozzare. “Ci faranno solo del male qui. L'ho capito. Ci faranno solo del male; non c'è nulla per noi qui.” “Che diavolo è successo?” sbraitò Dean, e Castiel scosse la testa, sentendosi il viso gonfio e caldo. “Il mio padrone di casa sa di noi.” Dean rimase in silenzio. “Come?” Castiel non voleva dirlo. Non voleva che Dean andasse dietro a Hester per urlarle contro. Era già stato fatto abbastanza. Non sarebbe servito a nulla. “Non lo so,” mentì. “Non lo so. Ma sa di noi.” “Beh, fanculo il tuo padrone di casa,” bisbigliò Dean. “Che cazzo vorrebbe fare adesso? Chiamare la polizia? Può parlarne con me se è tutto questo problema – Chris, dammi due secondi, cazzo! Mio fratello si è schiacciato un dito in una porta ed è al pronto soccorso. Va a servire qualcuno, Gesù Cristo, quel ragazzo è inutile...” Castiel scosse di nuovo la testa e guardò il soffitto. “Mi ha sfrattato.” “Cosa?” Castiel deglutì e fece un respiro profondo. “Mi ha sfrattato. Mi... mi ha dato l'avviso questo pomeriggio. Ha detto che non può affittare ai succhiacazzi.” “Mi prendi per il culo? Quel pezzo di merda ti ha sfrattato?” La voce di Dean avrebbe potuto corrodere il metallo e Castiel si rese improvvisamente conto della maglietta che gli si era attaccata addosso e di come fossero ancora bagnati i capelli; anche il caldo che proveniva dalla finestra era irrespirabile e umido. Si sentiva come se avesse la febbre. “Verrò là a fargli cambiare idea,” grugnì Dean. “Non servirà a niente e lo sai,” sbottò Castiel prima che le spalle cedessero al peso, e si accasciò. “Dovrò trovare un altro posto dove vivere.” “Verrai a stare da me,” disse Dean così velocemente che Castiel pensò di averlo immaginato. “Dean, non ti sto chiedendo questo.” “Beh, fanculo te, fanculo il tuo padrone di casa, perché verrai a stare da me. Devo tornare a lavorare o Chris si metterà a piangere... quel ragazzo non saprebbe come preparare un drink nemmeno se gli mordesse il culo. Ti chiamo dopo.” Cadde la linea e Castiel tolse con calma la cornetta dall'orecchio. Avrebbe voluto sorridere; era così tipico di Dean. Tutta azione immediata senza pensarci nemmeno per un istante – senza ponderare a fondo. Era evidente che Dean fosse arrabbiato, e Castiel sapeva che non era arrabbiato con lui, ma si sentiva terribile. Non era così che le cose sarebbero dovute andare. Avrebbero dovuto arrivarci con tranquillità alla convivenza, fare le cose per bene. Assicurarsi che avrebbe funzionato. Hester aveva inceppato le cose con il suo egoismo, ma Castiel ripensò alle proprie parole e sapeva che Hester non aveva vinto veramente. Non aveva realizzato nulla. Castiel amava Dean. Nulla l'avrebbe mai cambiato. Forse questa era la cosa giusta; forse era così che doveva andare. L'universo che spingeva con forza Castiel nella giusta direzione – a volte riusciva ad essere così dubbioso ed indeciso. Castiel appese la cornetta e posò il telefono sul pavimento accanto al letto. Si passò una mano tra i capelli, le gocce d'acqua gli cadevano sul viso. Le asciugò, osservando come alcune si rincorrevano sulla mano prima di sparire. Si buttò all'indietro sul letto e tirò su le coperte, seppellendo il viso nel cuscino; le spalle gli tremavano e voleva gridare, ma non lo fece. Pianse pensando ai suoi fratelli e a Rachel. Non parlava con lei da quasi due anni – Michael era stato dolorosamente chiaro nel dire che non gli era permesso. Castiel non ebbe nemmeno l'occasione di dirle addio propriamente. L'avevano mandata nell'Oregon dalla zia per l'estate e non era a casa quando Castiel
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si trasferì per il college. Non aveva osato chiamarla o mandarle delle lettere. Quell'ultimo anno infernale del liceo e l'estate che poi portò al college gli avevano rubato l'infanzia. La sua famiglia fu determinata a renderlo un estraneo. Aveva ancora la cicatrice nascosta sopra l'attaccatura dei capelli di quando Michael aveva perso le staffe. Gabriel stesso l'aveva medicato, rifiutandosi di portarlo all'ospedale, anche quando Rachel gridava e lo implorava di farlo, con il sangue che stava macchiando tutto il rivestimento bianco del divano del salotto. Ha bisogni di punti! Ha bisogno di punti, Gabe, togligli le mani di dosso, chiama papà! Chiama papà, Gesù, sta sanguinando dappertutto, non lo vedi? La governante l'aveva trascinata fuori dalla stanza quando Rachel aveva iniziato a spingere via Gabriel. Avevano sentito la cameriera pestare il vaso rotto e i libri sparsi sul pavimento perché Castiel aveva sbattuto contro la scaffalatura, e poi le urla e il pianto di Rachel su per le scale che a mala pena coprivano il litigio che stava avvenendo dietro le porte dello studio: il ruggito di Michael e il vociare aspro di loro padre. Il silenzio di Gabriel era assordante. Era sempre stato silenzioso – forse era da lui che Castiel aveva ripreso. Ma quella sera, Castiel aveva “disturbato” interrompendo la cena. Smettila di guardare quel libro del cazzo! Mettilo giù! Stai sanguinando su tutto il tappeto! Poteva ancora sentire la voce di Gabriel quando gli strappò un libro della scaffalatura rovinata dalle mani e lo gettò sul pavimento, spingendo Castiel sul divano e costringendolo a tenere uno straccio alla testa. Quella sera suo padre aveva quasi buttato Michael fuori di casa. Erano persone, non animali. La replica di Michael era stata che Castiel lasciava che altri uomini lo scopassero come un animale quindi doveva essere trattato come tale. Era innaturale. Un abominio. Non era migliore dei cani che andavano in calore nel lotto vuoto dietro la drogheria. Suo padre gli aveva detto tranquillamente e con grande civiltà che gli aveva fatto ottenere un posto all'università mentre gli teneva la testa e fissava vagamente il tappeto. Sarebbe meglio per tutti noi se te ne andassi. Rachel non può crescere intorno a una cosa del genere. Una cosa del genere. Come se essere gay fosse un hobby. Quando arrivò per la prima volta al college, era come un sonnambulo. Ogni giorno sentiva di dover confessare i suoi peccati e tornare a casa. Implorare perdono. Poi aveva iniziato a vivere da solo, a camminare con le proprie gambe. Aveva trovato l'appartamento in un annuncio e ci si era trasferito il giorno seguente. Aveva firmato il contratto d'affitto ed aveva trovato un lavoro alla biblioteca per pagare la bolletta della luce. Nessuno sapeva chi fosse. Nessuno faceva domande. Nessuno lo faceva sentire piccolo. I suoi vicini erano riservati ed educati nonostante il palazzo in rovina. Gli sorridevano. Chiacchieravano con lui nell'atrio mentre aspettavano l'ascensore. Aveva comprato cose. Dischi. Una lampada. La sveglia. Il letto e il tavolo da cucina erano i suoi fratelli, il sibilo del termosifone il canto stonato di Rachel nei pomeriggi in cui faceva troppo caldo per socializzare e rimaneva in camera sua a giocherellare con i capelli. Nelle sue nuove forchette vedeva i modellini d'aereo di Gabriel; la pianta in vaso sul davanzale era tanto venerata quanto le palle da baseball firmate di Michael. Aveva comprato un paio di pantofole e a volte, quando tornava tardi, assomigliavano a quelle di suo padre. Le cose che aveva amato e che aveva a cuore divennero di nuovo sue. Le sue cose. Cose che Michael non poteva controllare o portargli via. L'appartamento fu la prima cosa veramente e solamente sua, e adesso gliela stavano portando via. Qualcun altro avrebbe preso il suo posto. Esausto, si addormentò da solo nel letto con la speranza persistente che fosse tutto un sogno. Si sarebbe svegliato e l'incubo sarebbe finito. Lo squillo acuto del telefono era troppo forte da ignorare, e Castiel si svegliò di soprassalto, districandosi dalle coperte per raggiungere l'altro lato del letto, sollevando la cornetta e tenendola all'orecchio. “Pronto?” La sua voce era impastata di sonno, e si strofinò gli occhi con il dorso della mano. “Ehi, Cas. Te l'ho detto che ti avrei richiamato.” C'era un sorriso nella voce di Dean, e Castiel tirò su il telefono e se lo posò sul petto. “Dean–”
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“Ti volevo solo dire che appena stacco vengo a casa tua.” “Dean, non penso sia una buona idea.” “Perché no?” “Perché, e se ti vede?” “Chi?” Dean sembrava arrabbiato adesso, e Castiel voleva raggiungerlo nel telefono e tranquillizzarlo. Voleva abbracciarlo e baciarlo e dirgli di non essere arrabbiato perché non era colpa di Dean, non aveva bisogno di essere arrabbiato. “Il tuo padrone di casa? Non me ne frega un cazzo se ci vede.” Castiel sospirò, ascoltando il crepitio mentre Dean si muoveva e il mormorio sordo delle persone che parlavano in sottofondo. “Cas, sono serio quando dico che voglio che tu venga a vivere con me.” “Possiamo parlarne dopo? Per favore?” Rimasero a lungo in silenzio prima che Dean sospirasse, esasperato. “Stai facendo il testardo; è una stronzata,” continuò Dean, e Castiel mise il telefono sul letto, rotolando su un fianco, le dita della mano libera spiegata sulle lenzuola, lisciandole. “E se succede di nuovo, Dean? Ci troveremo entrambi in mezzo a una strada.” “Il resto di questo stupido mondo può vivere con la persona che ama, non capisco perché noi no,” disse Dean in tono aspro, e Castiel roteò gli occhi. “Questa non è una competizione, Dean! Non è qualcosa che possiamo vincere solo facendo pratica! Dobbiamo pensarci bene! Abbiamo precipitato le cose e ora ne stiamo pagando il prezzo...” “Che diavolo significa?” disse Dean in tono sommesso, e Castiel si riprese, viso arrossato. “Lo sai che non intendevo quello,” sussurrò. “Lo sai che è così, quindi non credere che io abbia dei rimpianti. Sono solo fatti. Abbiamo precipitato le cose. È vero, Dean, e adesso dobbiamo adattarci; il resto del mondo non terrà il passo con noi.” “Non sarà un problema. Vivo all'ultimo piano e non ci sentirà nessuno.” Castiel arrossì pensando alle implicazioni di Dean, ma non disse nulla mentre continuava, “pagherò il mio padrone di casa se comincia a rompere; farò così.” “Dean, tutto quello che sto dicendo è che dobbiamo stare attenti.” “Staremo attenti. Se vivi con me possiamo tenerci d'occhio a vicenda. Lo so cosa fanno a quelli come noi. In questo modo saprò dove sei. E tu saprai dove sono io. Pensa a come sarà bello tornare a casa e trovarti nel mio letto? Eh?” La voce di Dean era sospettosamente bassa e Castiel si contorse. “Non parlare così,” bisbigliò. “Dean, non adesso.” “Casa mia è più grande. Il riscaldamento funziona. L'acqua rimane calda per più di due secondi, la corrente non parte ogni volta che c'è vento. Il mio letto è più grande.” “Dean,” brontolò Castiel, scuotendo la testa. “Non mi stai ascoltando.” “Ti sto ignorando. Finirai col dissuaderti, quindi io ti devo persuadere. Te l'avrei chiesto presto comunque. Odiavo vederti vivere in quello sgabuzzino.” “Sì, ma era il mio sgabuzzino, Dean.” Dean rimase in silenzio per un secondo e poi sbuffò. “Farai meglio a stare sveglio quando arrivo.” “Ho dormito tutto il pomeriggio, quindi mi troverai sveglio,” rispose Castiel con un sospiro vuoto. “Ci vediamo tra circa mezz'ora.” Cadde la linea e Castiel appese la cornetta, rimettendo il telefono sul pavimento. Canticchiò tra sé e sé, le dita che premevano nel cuscino mentre tirava le gambe verso il petto, godendo del
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silenzio della stanza. Tentò di ignorare quello che era successo tra lui e Hester; cercò di pensare a Dean, gli occhi di Dean, il sorriso di Dean, Dean sulla sua moto, sempre così perfettamente a suo agio con tutto. Voleva pensare solo a Dean e a nient'altro. Il rumore della finestra della camera da letto che scricchiolava lo distrasse dai suoi pensieri, e rotolò sul letto per guardare la silhouette di Dean muoversi fuori dalla finestra prima di aprirla. Dean entrò in camera con un sorriso in volto, chiudendosi la finestra alle spalle prima di avanzare per la stanza e inginocchiarsi accanto al letto. Castiel adagiò il viso sulla sua mano quando Dean gli accarezzò la guancia, facendo scivolare le dita tra i capelli. “Mi sei mancato,” sussurrò Castiel, tutte le tracce del suo malumore cancellate. “Sì, mi sei mancato anche tu.” Dean si chinò e premette le labbra sulla sua fronte, e Castiel allungò la mano per posarla sulla nuca di Dean, occhi chiusi, sospirando con sollievo. “Allora, verrai a vivere con me, vero?” Castiel poteva sentire le labbra di Dean che formavano un sorriso contro la sua fronte, e si ritrasse leggermente per guardarlo. Dean stava quasi ridacchiando, ed era evidente che fosse eccitato per il fatto che Castiel dicesse di sì, perché Castiel voleva davvero dire di sì, solo che non poteva. “Dean–” “Senti, diventerai un medico, questo è logico. Ha senso. Hai bisogno di un posto dove stare, e praticamente ti stai pagando il college di tasca tua.” Dean si alzò in piedi e si tolse gli stivali, strisciando poi nel letto accanto a Castiel che si spostò sotto il braccio che Dean teneva in alto, premendosi contro di lui. “E posso prendermi cura di te. Voglio prendermi cura di te.” “Non ti posso chiedere questo.” “Allora non farlo. Lascia che – lasciamelo fare, Cas. Lasciami fare questo per te.” Castiel aprì la bocca, ma Dean lo fece tacere. “Non ci pensare,” disse in tono severo, e Castiel desistette, il pollice di Dean gli accarezzava il viso gonfio. “Ti renderò così felice,” sussurrò, come se stesse semplicemente pensando ad alta voce. Castiel lo baciò di nuovo. Sapeva che Dean ci sarebbe riuscito; non c'era alcun dubbio. Dean corrugò la fronte quando vide il cuscino umido, e lanciò un'occhiata inflessibile a Castiel. “E smettila di andare a letto con i capelli bagnati. Così ti prenderai una polmonite!” Rise, e anche Castiel rise, anche se non era così divertente. Almeno la stretta al petto era diminuita. “Domani portiamo via le tue cose. Prenderò in prestito il furgone di Bobby,” continuò Dean, e Castiel annuì per assecondarlo, senza ascoltarlo sul serio. *** Il giorno dopo lo fecero. Non ci misero molto; Castiel non possedeva molte cose e lasciarono i mobili nell'appartamento. Il suo padrone di casa apparve e fu Dean a rispondere alla porta quando bussò – Dean era calmo e Castiel deglutì forte. “Dovete capire perché non posso. Voi due...” disse il padrone di casa in tono blando, tentando di scusarsi. “Non me ne frega davvero un cazzo di quello che pensi,” spiegò Dean, e Castiel gli disse che capiva una volta che Dean se n'era andato. “Sai, dicono che si può parlarne con un medico,” disse l'uomo mentre Castiel mise la sua chiave in una piccola busta gialla. Gli occhi grigi e lacrimosi dell'uomo incrociarono i suoi e le sue labbra arricciate si distesero in una linea piatta. “Per liberarsi degli impulsi o quello che è. Non deve essere così per forza, figliolo. Si può cambiare. Me l'ha detto quella tua amica. È sempre un peccato quando le persone sono malate, e questa non è una cosa differente.” Castiel non trovò alcun motivo per rispondergli e il padrone di casa socchiuse gli occhi, allungando una mano per stringergli la sua. A Castiel non importava. La strinse, ma la presa dell'uomo era potente e quasi gli faceva male. “Una malattia è una malattia; ti ucciderà se non stai attento,” disse il padrone di casa lentamente, Castiel lo fissava in modo truce. “Grazie, ma adesso temo di dover andare,” insistette Castiel, digrignando i denti. Urtò l'uomo ad una spalla quando se ne andò via, con la sua scatola di dischi. Dean lo aspettava sul marciapiede e gli prese la scatola, togliendo il peso dalle sue braccia stanche. Dean chiuse gli sportelli posteriori del furgone e gli
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lanciò uno sguardo comprensivo. Castiel gli toccò la mano, stringendola. “Andiamo a casa,” disse a bassa voce, e Dean fece un gran sorriso. “Adesso sì che ragioniamo.” Rise, e fece il giro per salire nella cabina, Castiel lo seguiva. Scosse la testa, girando le spalle al palazzo, con una strana sensazione allo stomaco. Forse era solo nervoso, ma non riusciva a liberarsi dalla sensazione che non fossero a casa. Non davvero. Non ancora. Trasportarono le scatole nel palazzo di Dean, e nessuno li fermò per far loro domande, o li guardò in modo strano, mentre si dirigevano verso l'ascensore, facendolo salire fino all'ultimo piano. Castiel spostò le scatole tra le braccia, avvicinandosi a Dean, i loro gomiti che si sfioravano. E Dean abbassò lo sguardo su Castiel, e Castiel gli sorrise, stendendosi per baciarlo con gentilezza prima che le porte dell'ascensore si aprissero all'ultimo piano. L'appartamento di Dean era alla fine del corridoio, e non c'erano molti appartamenti all'ultimo piano, il che era fantastico. Significava che avrebbero avuto poche persone con cui interagire. Dean posò a terra la sua scatola per rovistare nelle tasche alla ricerca delle chiavi, aprendo la porta e spingendola. Quando Castiel oltrepassò la soglia, tutto sembrava diverso. Era già stato nell'appartamento di Dean un sacco di volte prima d'ora, quindi gli era familiare, ma adesso gli sembrava come se ci fosse entrato per la prima volta. Sembrava tutto nuovo e sconosciuto, perché non era solo di Dean, era anche suo; questa sarebbe stata la sua nuova casa. Sentì Dean prendere la scatola rimasta fuori dalla porta, e Castiel posò la sua all'uscio prima che Dean gli mettesse accanto l'altra. “Benvenuto a casa.” Dean fece un gran sorriso e avvolse un braccio intorno alla vita di Castiel, tirandolo al suo fianco. Castiel sorrise e premette il viso sul lato del suo collo, con il braccio intorno alla sua cintola. “Abbiamo ancora un altro paio di scatole.” “Già, tu e i tuoi stupidi dischi. Ma quanti ne hai?” “Almeno più di un centinaio. Ho perso il conto.” Castiel sorrise timidamente e Dean gli premette un bacio tra i capelli prima di ritrarsi. “Beh, andiamo, portiamo tutta la tua roba dentro.” Trasportarono il resto delle cose di Castiel nell'appartamento, e Castiel andò a farsi spazio per i suoi vestiti nell'armadio di Dean perché Dean aveva detto che non gli avrebbe permesso di vivere allo sbando. Il suo armadio era grande abbastanza da farci entrare tutti i loro vestiti. Spinse tutti i vestiti di Dean a un lato, scovando alcune stampelle solitarie con cui appendere le sue camicie nell'altro lato. Non aveva tanti vestiti quanto Dean, così fu più facile far entrare tutto insieme. Quando finì, vagò in salotto e trovò Dean seduto sul pavimento, con intorno le scatole dei dischi di Castiel; erano tutte quante aperte. Dean grugniva e borbottava tra sé e sé, bofonchiando qualcosa e si bloccò quando Castiel si spostò accanto a lui, con lo sguardo sul pavimento. Stava armeggiando con il giradischi di Castiel. Castiel emise una risata sommessa e si mise a sedere accanto a lui, allungando una mano per scansare delicatamente le dita di Dean, sistemando il giradischi e accendendolo. “Volevo mettere su un po' di musica prima che uscissi fuori dalla camera, ma non riuscivo a capire come cacchio funziona.” “Oh, come sei romantico,” disse Castiel in tono scherzoso, ma Dean lo zittì con un tocco leggero delle labbra, le dita che si intrecciavano tra i capelli. Castiel si ritrasse e prese una delle scatole più vicina a lui, tirando fuori un disco. Lo capovolse tra le mani, leggendo i titoli delle canzoni sul retro prima di tirarlo fuori dalla sua custodia e metterlo sul giradischi. La musica iniziò a suonare e Castiel posò la custodia, tornando a sedersi accanto a Dean, che immediatamente gli avvolse un braccio intorno alla vita e lo tirò contro di sé, premendo un bacio sulla sua tempia. Castiel si contorse e si ritrasse, ridendo sommessamente quando le labbra di Dean lasciarono una scia di baci sul lato del viso e sulla guancia e sulla mandibola, facendosi strada alla fine verso la bocca. “Va tutto bene,” insistette Dean e Castiel cercò di sorridere. Dean gli strofinò il braccio con il palmo della mano, stringendolo delicatamente. “Ehi.” Castiel incrociò il suo sguardo, sapendo di non essere molto convincente nel vedere la preoccupazione apparire sul
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volto di Dean. “Sono serio. Andrà tutto bene,” disse Dean in tono rassicurante, baciandolo di nuovo. “Ti fidi di me, no?” Castiel annuì, togliendosi gli occhiali e giocherellandoci nervosamente. Dean glieli tolse dalle mani e li posò sul tavolo insieme al disco, prendendo il viso di Castiel tra le mani. “Guardami.” Castiel lo fece, deglutendo quando i pollici di Dean gli accarezzarono le guance. “Sarà fantastico, ok? Lo so che è stata dura, ma tu continuerai a prendere voti alti a scuola, e io vincerò questo torneo e le cose miglioreranno sempre di più. È un buon inizio, lo sai? Sei qui, e questa diventerà casa nostra.” Castiel sollevò una mano per posarla su quella di Dean, le dita che si chiudevano intorno al suo polso. Fece un piccolo sospiro, passandosi la lingua sui denti prima di incrociare di nuovo gli occhi di Dean. “Ho un brutto presentimento,” sussurrò Castiel. “Sento che ti accadrà qualcosa, e sarà per colpa mia. E se qualcuno ti fa del male? E se... e se qualcuno ti fa del male, Dean, per colpa mia, perché stai con me, o la tua carriera–” “Nessuno ti porterà via da me,” disse Dean con ferocia, e Castiel lo fissò, stupefatto dall'intensità della sua voce. Dopo un momento di quiete, lo sguardo di Dean si addolcì. “Perché mai dovrei avere paura? Io ti appartengo,” continuò, toccando il mento di Castiel. “Okay,” rispose Castiel, e si piegò in avanti, baciando di nuovo Dean. Le mani di Dean si spostarono, accarezzandogli all'indietro i capelli. Dean si ritrasse, e Castiel posò la testa nell'incavo del collo di Dean. Dean gli grattò leggermente la schiena, e Castiel chiuse gli occhi, ascoltando il disco. Dean si mosse un po' e Castiel brontolò, ma Dean stava insistendo. “Andiamo.” Dean rise, alzandosi in piedi e Castiel gli lanciò uno sguardo confuso quando Dean gli allungò una mano. Fece scivolare le dita tra quelle di Dean e Dean lo tirò su, trascinandolo verso di sé. Castiel rise. “Vuoi ballare? Sul serio?” disse in tono incredulo quando Dean iniziò a dondolare ad un ritmo lento, tenendo le mani di Castiel. “I’m gonna stick like glue, stick because I’m stuck on you 1,” cantò Dean, ignorandolo, e Castiel scosse la testa, cercando di ritrarsi. “Oh, andiamo!” Dean sogghignò, stringendo le mani intorno ai polsi di Castiel. “Andiamo, adori Elvis! Ti fa eccitare, Cas, e non puoi negarlo!” Strattonò le braccia di Castiel, mettendole con insistenza intorno alla sua vita. Castiel arrossì ed abbassò la testa, alla fine assecondandolo; le mani di Dean vagavano sui suoi fianchi, sul suo sedere e poi sulla sua schiena, attirandolo contro di sé. Le dita di Castiel scivolarono sulle sue braccia, la maglietta bianca che gli abbracciava il torso, toccando con un sorriso le sigarette arrotolate nella manica. “Vorrei poterti portare a ballare,” gli sussurrò Castiel all'orecchio. “Metterti in mostra.” Baciò il collo di Dean, infilando le mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans. “Mmm,” mormorò Dean, ancora dondolando insieme a lui. “Sai, quello che mi domando è, chi pensi sia meglio a letto? Io o Elvis Presley?” Castiel roteò gli occhi. “Facile,” disse, sfiorando appena la bocca su quella di Dean. “Elvis Presley.” Dean si fermò per un istante e poi riprese a ballare, camminando avanti e indietro con Castiel a tempo di musica. “Beh, potresti essere un po' di parte.” “Forse,” biascicò Castiel, con la lingua di Dean che teneva la sua occupata. “È stato la mia prima fantasia... è tutto molto nostalgico.” Dean ridacchiò, il suono della risata che gli rimbombava nel petto, irradiandosi attraverso il golfino e la camicia di Castiel, vibrando nelle costole. “Mi stai prendendo in giro. Davvero?” chiese e Castiel arrossì, scrollando le spalle. 1 Mi attaccherò come la colla, perché sono già cotto di te. Stuck On You, canzone del 1960, fu il primo singolo di successo di Elvis Presley dopo essere stato per due anni nell'esercito americano.
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“È una celebrità. Rachel lo adorava. E così anch'io.” Sapeva che la sua voce si era un po' intoppata quando disse il nome di sua sorella, ma Dean sembrava essere intenzionato a distrarlo. “Ti facevi le seghe ascoltandolo o che?” Castiel sentì il rossore a partire dal petto. “Gesù, Dean, andiamo...” disse, cercando di trattenere lo stridore dalla sua voce. Ne stavano parlando sul serio? Adesso? Almeno è riuscito a distrarti... pensò Castiel, ma non del tutto. La sensazione d'angoscia era ancora lì, solo attenuata e spinta via. Dean richiese la sua attenzione, massaggiandogli i fianchi, sfilandogli la camicia per picchiettare con le dita le ossa del bacino. “L'hai mai visto dal vivo?” “No, non ho avuto mai–” Dean gli baciò il mento. “–l'occasione. Dean, sei per caso geloso?” “Perché dovrei essere geloso?” rifletté Dean, trascinando Castiel verso il corridoio prima di spingerlo contro il muro. “Non può toccarti come faccio io.” Dean lo immobilizzò con i fianchi e Castiel inspirò l'aria tra i denti, baciandolo, caldo e aperto, tirando i capelli di Dean. Poteva sentire le dita di Dean che gli sbottonavano il golfino e la camicia e glieli toglievano e Castiel lasciò che la mente si svuotasse; lo aiutò, levandosi la canottiera, prima di palpare i jeans di Dean. “Prima tu,” disse Dean, abbassando le mani, e Castiel armeggiò con la cintura, sbottonandosi i pantaloni che gli scesero dovendo scalciare per sfilarseli. Dean sollevò le braccia, levandosi la maglietta e gettandola sul pavimento, la sua pelle nuda calda contro quella di Castiel quando lo spinse di nuovo addosso il muro, le linee dure dei loro corpi fuse insieme. Castiel aveva bisogno di questo; aveva bisogno di Dean che perdeva all'improvviso il controllo, la frizione del denim contro il suo inguine quando Dean cadde in ginocchio, strascicando la lingua sullo stomaco, facendogli sbattere la testa contro il muro. “Scommetto che ti piace guardarlo lì sul palco, mentre balla e si muove, eh?” biascicò Dean, andando avanti, trascinando le labbra lungo l'interno coscia di Castiel, mordendo la pelle morbida prima di bagnarla con la lingua. Castiel gemette sommessamente, le dita che afferravano i capelli di Dean, strattonandoli e tirandoli, la barba corta e ispida di Dean che raschiava contro la pelle sensibile. Scosse la testa, facendo l'innocente – non Cas, non il piccolo dolce Cas. Oh, no. “Dean, ti prego,” disse senza fiato, ma la forte presa della sua mano nei capelli di Dean diceva un'altra cosa. “Ti fa arrapare tutto, vero?” Dean gli coprì il membro con la bocca attraverso i boxer e Castiel si morse il labbro, spostando i fianchi in avanti nel calore umido. Dio, se solo Dean glielo prendesse già in bocca, ma invece lo stuzzicava, palpeggiandolo suggestivamente attraverso il cotone fino con una mano mentre tornava in piedi, incontrando la sua bocca. Dean non era gentile; si rifiutava di coccolarlo. Castiel continuava a ricordarsi che erano al sicuro, che nessuno poteva sentirli. Qui erano al sicuro. I loro corpi erano al sicuro. La lingua umida di Dean accarezzò la sua, la bocca inclinata come se volesse ottenere quanto più potesse di Castiel. Castiel ansimò, rispondendo ai suoi movimenti, sentendo la mano di Dean trascinarsi lentamente sopra il rigonfiamento crescente nei suoi boxer. Gli si spezzò la voce, ma Dean non si spostava, non gli lasciava muovere la testa, tenendolo inchiodato lì mentre lo divorava nel modo più sgraziato possibile che Castiel avrebbe mai potuto immaginare quando due persone si baciano. Lo scombussolava, succhiando e mordendo le sue labbra gonfie. Era volgare e meraviglioso, i suoni osceni rendevano le mani di Castiel audaci mentre premevano nel sedere di Dean. Gli bruciavano i polmoni. Dean sostituì la mano con il ginocchio, tormentando lentamente il membro di Castiel, facendolo sovreccitare senza un briciolo di dignità sulla gamba di Dean. “Lo faresti diventare gay,” grugnì Dean. “Con un culo come il tuo, lo faresti diventare gay.” Castiel strattonò i fianchi di Dean in avanti, desideroso di usarlo, di trovare sfogo sul denim ruvido contro le sue cosce. Il suo piede sfiorò la stoffa dei suoi pantaloni abbandonati quando allargò le gambe, Dean che guidava il movimento lento dei suoi fianchi contro di lui. “Fammi venire,” scandì, buttando la testa all'indietro, e Dean gli si attaccò al collo. Castiel sibilò, stringendo la
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vita di Dean. “Dean, scopami, fammi venire, ti prego.” “Vuoi che ti scopi?” sussurrò Dean. “Vuoi che ti faccia venire? Vuoi che scopi il mio ragazzo finché non si scorda di Elvis?” Castiel emise un gemito, lungo e forte. Si sentiva caldo, e folle, e maniacale. Fanculo Hester, fanculo il padrone di casa e i suoi fratelli – voleva cavalcare il membro di Dean, voleva venire su di esso, voleva urlare quando Dean lo spingeva dentro di lui. Voleva farlo veloce e brutale e forte, e voleva Dean. Voleva che Dean gli cancellasse il dolore scopandolo, che gli facesse dimenticare tutto, perché solo Dean poteva riuscirci. “Scopa il tuo ragazzo,” ripeté, e Dean lo fece abbassare sulle ginocchia, con Castiel all'altezza degli occhi mentre si slacciava i pantaloni e liberava il suo pene. Si masturbò un paio di volte, grugnendo, e Castiel lo guardò, gli occhi vitrei, chinandosi in avanti, chiudendo la bocca sulla punta. “Bagnalo,” gracchiò Dean. “Bagnalo per bene per me.” Castiel ne prese più che poteva, leccandolo tutto, la mente priva di ogni pensiero tranne che per il compito che Dean gli aveva dato. Dopo alcuni minuti Dean lo spinse via e Castiel si raddrizzò, voltandosi verso il muro quando Dean gli fece scivolare in basso i boxer, tenendolo fermo mentre se li toglieva. Allargò le gambe, desideroso, ma con sua grande sorpresa, Dean non gli spinse dentro il membro ma agganciò due dita nella bocca molle di Castiel. “Leccale,” sussurrò, e Castiel ubbidì, cospargendole di saliva, immergendo la lingua tra di esse, muovendo d'istinto le anche in modo da sfiorare il membro di Dean. Il petto di Dean sussultò quando toccò la schiena di Castiel, e tolse le dita dalla sua bocca con un suono bagnato. Castiel premette la guancia al muro. “Respira,” lo incoraggiò Dean, baciandogli la spalla, stuzzicandogli il buco prima di spingere dentro senza alcun avvertimento. Lo scopò con un dito per un po' e poi aggiunse l'altro, e Castiel aprì di più la bocca, ansimante; l'altra mano di Dean lo accarezzava dolcemente sul fianco e verso il membro. “No,” gemette, e Dean ritornò con la mano sulla coscia per afferrargliela. “No, non ancora.” Dean ridacchiò e continuò a lavorare con le dita, stendendo e allargando, baciandolo sulla nuca e lungo la spina dorsale. Castiel poteva sentire le gocce di sudore che strisciavano sul suo corpo, ogni contatto lieve dei jeans di Dean contro le sue gambe lo faceva stare sulle spine. “Dio, scopami e basta,” disse in tono autoritario, dopodiché sentì il glande smussato di Dean scivolargli dentro. Cercò di trattenersi dal contorcersi mentre Dean lo disfaceva con il suo membro spesso e caldo, ogni piccola spinta dentro di sé che gli bruciava. “Cazzo, sei stretto stasera,” gemette Dean, raggomitolandosi sulla sua schiena, e Castiel rispondeva ad ogni suo movimento, accettando il dolore, usandolo. Le mani di Dean procederono a strappi sul suo petto e scivolarono in basso, piantandosi sui fianchi mentre Dean spingeva dentro di lui, con la fibbia di metallo della sua cintura che sbatacchiava. Castiel ansimò e andò incontro ad ogni sua spinta, graffiando con le unghie il muro. Boccheggiava e gemeva, febbricitante mentre Dean lo scopava sempre di più, facendolo sollevare sulla punta dei piedi e facendogli arricciare tutte le dita. Si inarcò, tentando di trovare l'angolo giusto in modo che Dean potesse colpire quel punto che andava diretto al suo pene. “Scopami,” disse più e più volte. “Fammi venire adesso, oh Dio, voglio venire.” Dean spinse dentro di lui, e Castiel gli venne incontro, il corridoio pieno del suono dei loro corpi che si muovevano insieme, e Castiel gemette, quasi sull'orlo del pianto. Era così bello, il membro di Dean lo faceva impazzire, ed iniziò a masturbarsi, la mano che lavorare sempre più velocemente a tempo con Dean. “Merda,” grugnì Dean, guardandolo, piegandosi per premere un bacio a bocca aperta sul suo collo. “Porca puttana, Cas.” “Mi fai impazzire,” disse Castiel con la voce impastata, “mi fai impazzire, oh cazzo, sto impazzendo.” La sua voce era tesa e sottile, e sapeva che non sarebbe durato a lungo. Singhiozzò, mordendosi l'altra mano, e Dean lo baciò, scendendo sulla spalla, le mani quasi immobili mentre Castiel continuava a muoversi. “Vuoi venire, Cas? Vuoi venire adesso?” Castiel annuì, e Dean andò in profondità, stimolando quel punto. “Oh, cazzo, sto venendo,” gridò, e si allontanò dalla parete con una mano. “Sto venendo, sto venendo, oh Dio–”
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La sua voce si ridusse a un lamento, e si mosse a scatti in avanti mentre Dean continuava a scoparlo. Attraverso la confusione, sentì Dean scivolare via da lui e poi c'era del liquido seminale che si stava raffreddando sulla schiena. Ansimò, le ginocchia che gli tremavano, la testa china in avanti, masturbandosi ancora meccanicamente, facendo uscire quel poco di sperma rimasto dalla punta. Il sudore gli colava dalla tempia ed emise un sospiro aspro, cadendo addosso al muro. “Gesù,” mugolò Dean, “porca miseria.” Si piegò, e raccolse la sua maglietta, baciando la spalla di Castiel mentre gli puliva lo sperma dalla schiena, baciandolo su una vertebra della spina dorsale e poi su una scapola. Castiel fletté le dita, premendo il palmo sul muro, occhi strizzati, respirando ancora l'eccitazione. “Eri su di giri stasera,” disse Dean con voce assonnata, quasi ridendo. “Pensavo avessi perso la testa.” “Era quello l'intento,” borbottò, all'improvviso consapevole di quanto fosse rigido. Si raddrizzò gentilmente, traballando per la vertigine mentre sentì Dean che si alzava in piedi, senza preoccuparsi di chiudere la patta. “Che vuoi dire?” chiese Dean, raccogliendo i vestiti di Castiel e buttandoli sul divano. Castiel si tirò su i boxer e si voltò, togliendo la maglietta dalle mani di Dean per pulirsi il petto e poi il muro. Scrollò le spalle, senza guardare Dean negli occhi. Si sentiva le braccia snodate e gommose. “Non lo so,” rispose. “Non lo so. Non volevo pensare per un po'.” “Non fare così,” insistette Dean, e quando Castiel non si voltò verso di lui, gli mise le mani sulle spalle. “Ehi, guardami.” Castiel lo guardò e Dean lo baciò dolcemente, ma Castiel non ricambiò. “Non fare così,” sussurrò, e Castiel si scostò, barcollando leggermente mentre andava in camera da letto, mettendosi sotto le lenzuola. Dean lo seguì e Castiel si sentiva male, guardandolo andare alla finestra ad accendere una sigaretta, fissando il traffico in strada. “Dean,” sospirò, e Dean si girò, il fumo che gli usciva dalla bocca. Il sole era di un porpora tenue sopra il palazzo accanto al loro, contornando Dean d'oro. Castiel cercò di sorridere, tendendo le braccia, “vieni qui,” sussurrò, e Dean spense la sigaretta ostinatamente. “Non mi va,” disse, in tono ferito, e il viso di Castiel si rabbuiò. “Mi dispiace,” bisbigliò, sentendo una costrizione al petto. “Dean, mi dispiace,” e una lacrima si stagliò lungo il viso prima che potesse fermarla e Dean venne da lui, calandosi sul letto, tirandolo tra le sue braccia. “Shh,” mormorò, accarezzandogli la schiena. “Va tutto bene.” Castiel singhiozzò sul suo petto, strofinandosi gli occhi. “Ti sei stressato troppo, con la scuola e tutto il casino dell'appartamento, e quella bravata in corridoio. Sei troppo teso, Cas.” Tirò su col naso, respirando aspramente, annuendo con la testa. “Non sono riuscito a dire addio a mia sorella,” pianse, e Dean lo strinse più forte, cullandolo. “Ci penserò io,” gli bisbigliò Dean tra i capelli. “Sistemerò tutto io.” Castiel sapeva che non poteva farlo, ma voleva crederci. Si calmò e si asciugò gli occhi, scuotendo la testa e ritraendosi. Dean lo osservò con cautela, sfiorandogli il collo con la mano. “Ti amo,” gli disse Dean, e Castiel annuì in silenzio, toccandogli la gamba. “Lo so,” rispose, la voce umida, e Dean gli diede delle piccole spinte finché non si distese sul letto e il suo forte corpo caldo non si adagiò su di lui. “Sistemerò tutto, Cas,” mormorò Dean, baciandogli il collo, e mentre Castiel chiudeva gli occhi, non era esattamente sicuro di cosa intendesse Dean. Voleva dirgli che andava bene così. Che non faceva niente se non riusciva a sistemare tutto. Che non aveva importanza; non era per quello che lo amava. Alla fine si addormentò, con la mano di Dean sopra il petto, che gli ricordava di respirare.
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Capitolo III Giugno, 1966 C'era qualcosa che mancava quando Castiel si svegliò, il calore accanto a lui se n'era andato, il letto si stava raffreddando sotto il proprio tocco. La musica si stava diffondendo dal corridoio attraverso la porta aperta della camera da letto, e Castiel, assonnato, si strofinò gli occhi, mettendosi a sedere sul letto e facendo scivolare le dita tra i capelli con uno sbadiglio. Dean non era a letto con lui, ma era ancora nell'appartamento. Per un istante Castiel pensò che fosse sabato e Dean se n'era andato al motodromo per le corse di prova, ma era domenica. Lontanamente, riusciva a sentire Dean cantare, un po' più forte della musica, e molto stonato. Castiel rise tra sé e sé e trascinò il suo corpo rigido giù dal letto, stirando le braccia sopra la testa e torcendo la schiena, sciogliendo la rigidità dalle articolazioni e dai muscoli. Aprì l'armadio e frugò tra i vestiti appesi, tirando fuori un golfino e mettendoselo sopra la testa; quasi lo inghiottì tutto, e si rese conto che era di Dean. Non sapeva nemmeno che Dean avesse un golfino. Pensava che l'unica cosa che Dean avesse per proteggersi dal freddo fosse la sua giacca di pelle. Vagò fuori dalla camera e nella cucina dove era Dean, sopra i fornelli, a girare qualcosa in una padella con una spatola. E poi l'odore colpì Castiel, e si avvicinò a Dean, strisciando le braccia intorno alla sua vita quando posò la testa sulla sua spalla. Dean saltò leggermente, e smise di cantare, la musica più chiara senza la voce di Dean che la copriva. “Ti ho svegliato?” disse Dean togliendo il bacon dalla padella e mettendolo sul piatto in attesa accanto ai fornelli, spegnendo il gas e girandosi nelle braccia di Castiel. Castiel mormorò sommessamente e scosse la testa, premendo il viso nell'incavo del collo di Dean. Dean rise dolcemente e sollevò le braccia, tenendo Castiel contro il suo petto. “Oggi è il grande giorno,” borbottò Castiel contro il collo di Dean, sfiorando con le labbra la pelle. “Verrai, vero?” “Certo.” Castiel rise sommessamente, ritraendosi per guardare Dean. “Non me lo perderei per nulla al mondo. Ora, cosa c'è per colazione?” Mangiarono a tavola, Dean seduto di fronte a Castiel a ingozzarsi di uova strapazzate, e Castiel che lo guardava con un sorriso affettuoso in viso. Erano passati quasi dieci mesi da quando si era trasferito da Dean ed erano caduti nella routine così facilmente. Quando Castiel aveva lezione, si svegliava prima di Dean, si faceva la doccia e si preparava, e lo baciava prima di uscire. Nei giorni liberi, Dean si svegliava prima di Castiel, lasciandolo dormire, e normalmente preparava la colazione per entrambi. E quando Dean lavorava, Castiel rimaneva sveglio aspettando che tornasse a casa, tenendosi occupato con le faccende di casa o studiando, e quando Dean tornava a casa, cenavano insieme con in sottofondo un disco che suonava. Era una buona routine. Funzionava. Castiel allungò le gambe, sfiorando con il piede la gamba di Dean, e Dean lo guardò, sorridendo. “Sarai grandioso oggi.” Castiel sorrise prendendo un pezzo di bacon da masticare. “Grazie, Cas.” Dean sorrise sommessamente, finendo le sue uova strapazzate. “Ma sono sempre grandioso, no?” “Non fare il presuntuoso.” Finì il bacon e spinse il piatto verso Dean, essendo non troppo amante delle uova. Dean gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma Castiel strinse le spalle. “Ne avrai bisogno così potrai sbaragliare tutti gli altri.” “Non ti piace come cucino?” Dean tirò il piatto verso di sé ed iniziò a mangiare le uova, e Castiel roteò gli occhi, allontanandosi dal tavolo e
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spostandosi verso l'altro lato. Si chinò su Dean e avvolse le braccia intorno al collo, con le maniche che gli coprivano le dita, premendo un bacio sulla guancia di Dean. “Non essere ridicolo. Adoro come cucini.” Dean fece un suono d'approvazione quando Castiel gli baciò di nuovo la guancia, e poi si ritrasse, dirigendosi verso il salotto. Rovistò tra i dischi, che ora erano accatastati contro il muro accanto al giradischi, e ne tirò fuori uno, sostituendolo con quello che stava suonando al momento. Poco dopo Dean vagò in salotto, con la tuta che gli scendeva sui fianchi, e Castiel si prese un momento per ammirarlo. “Ti godi la vista?” “Mmm, direi proprio di sì,” mormorò Castiel quando Dean avvolse le braccia intorno alla sua vita, tirandolo contro il suo petto mentre le dita scivolavano sotto l'orlo del golfino, danzando sullo stomaco. Sorrise quando Dean lo baciò lungo il lato del collo, con le mani che avanzavano più in alto, calde sulla sua pelle. “Vincerò questa corsa per te, Cas.” Castiel si contorse nell'abbraccio di Dean, girandosi e mettendo le mani sul petto di Dean, guardandolo. Dean aveva un'espressione corrucciata, ma velocemente Castiel la trasformò in una sorridente con un bacio. “Ti devi preparare.” Dean si chinò per baciarlo di nuovo, fece scivolare le mani in alto, posando le dita sulla nuca, accarezzando i capelli sottili alla base. “Sono serio,” disse Castiel quando si ritrasse. “Va' a farti una doccia e preparati.” Dean brontolò, districandosi da Castiel. “Mi assillerai per tutto il giorno, vero?” “Lo farò se non ti prepari.” Castiel incrociò le braccia e Dean alzò le mani in segno d'arresa, incamminandosi verso la camera da letto. Non si rilassò finché non sentì il rumore della doccia, e si mosse per la stanza a raccogliere uno dei suoi libri; si lasciò cadere sul divano, tirandosi su le maniche e aprendo il libro dove aveva lasciato il segno. Si strofinò la fronte con fare stanco, chiudendo ogni tanto gli occhi per ripensare a quello che stava leggendo, cercando di fissare le parole in testa. Era così perso nel pensare alla respirazione cellulare che non sentì Dean aprire la porta della camera da letto, con l'aria calda e umida che usciva insieme a lui. Castiel si grattò distrattamente i capelli, recitando qualcosa sottovoce, i cassetti del comò che sbattevano nell'altra stanza e l'anta dell'armadio che si apriva cigolante mentre Dean frugava per cercare il suo equipaggiamento. “Hai visto i miei guanti?” chiamò e Castiel non alzò lo sguardo dalla pagina. Ci fu più frugare e Castiel inclinò la testa di lato, la sua reazione ritardata, aprendo la bocca per dire qualcosa che rimase sulla punta della lingua, con gli occhi che ancora tracciavano le parole; la mente lo tenne da parte per dopo. “Cas,” disse Dean spuntando dal nulla, la t-shirt attaccata al petto, i jeans ancora sbottonati. Si appoggiò contro lo stipite della porta, fissando Castiel prima di scuotere la testa ed andare a mettere il braccio sopra lo schienale del divano, posando la mano sopra il testo. “Cosa?” disse Castiel, scendendo dalle nuvole, sollevando lo sguardo. “Hai visto i miei guanti?” chiese Dean, le sopracciglia inarcate. Castiel si spremette le meningi, tamburellando con un dito sulla rilegatura del libro. “Hai controllato sul tavolo? No, aspetta, controlla nel cassetto del comodino. A volte li butto lì dentro.” Dean gli pizzicò la guancia, ridendo, e a passo lento si diresse in camera da letto, canticchiando tra sé e sé mentre rovistava dentro il cassetto. “Trovati!” “Ok!” replicò Castiel, tornando al suo libro, ma non riusciva a concentrarsi come prima, troppo occupato ad ascoltare il rumore che Dean faceva per tirare fuori la tuta da moto, mettendola sul letto. Sorrise, giocando con l'angolo della pagina che stava guardando. Al diavolo tutto. Posò il libro e scese dal divano, entrando in camera da letto proprio quando Dean aveva tirato su la zip fino all'ombelico, con le maniche a penzoloni sui fianchi. “Dovresti studiare,” commentò Dean, infilando un braccio in una manica, le cuciture che accentuavano la curva morbida del suo bicipite e l'ampiezza delle sue spalle. Castiel scrollò le spalle, avanzando nella stanza per tirare su
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con difficoltà la zip fino al torso di Dean, lasciando una piccola apertura sul colletto. Sarebbe rimasto così fino al suo arrivo sulla pista. Fece scorrere le mani sul petto di Dean, amando la sensazione del cuoio. I suoi guanti erano ancora sul letto e Castiel li prese, aiutando Dean ad infilarli. “Questo è più importante,” disse Castiel dopo un po', accarezzando i fianchi di Dean, baciandogli il mento e poi trovando la sua bocca, con le mani di Dean sulla vita. “Sarai incredibile oggi.” “Dacci sotto, giusto?” Dean rise, e Castiel toccò il punto che aveva appena baciato con il pollice. Dean sorrise, la frenesia pre-corsa già stava iniziando a brillargli negli occhi. “Vincerò i soldi e poi ci prenderemo una vacanza. Per tre giorni o qualcosa del genere.” “Tre giorni?” disse Castiel in tono meravigliato. “Mi vizi.” “Sì, e non resteremo mica a casa. Ho pianificato tutto.” Dean scrollò le spalle con finta nonchalance. Castiel si innamorò del suo sorriso timido e di come giocherellava con l'orlo del golfino di Castiel, fissandolo, “questo è mio?” chiese e Castiel toccò le sue mani guantate. “Sono così fiero di te,” mormorò Castiel, sorridendo, con lo sguardo ancora fisso sulle loro mani, “davvero. Che tu vinca o no.” “Però vincere è bello,” rispose Dean, abbassando la testa, dando dei colpetti col naso sulla guancia di Castiel. Castiel dovette ridere. “Vincere è molto bello.” “E la cosa ti colpisce?” “Mmm, non tanto quanto l'impegno che ci metti.” “Ma la corsa è divertente da guardare, no? Quando gli faccio mangiare la polvere?” stuzzicò Dean e Castiel ammise che lo era. Era meraviglioso guardare Dean sulla pista. Era così sicuro di se stesso lì. Nessuno poteva toccarlo, ed era bravo – era una cosa incontestabile. Castiel ricordò la prima volta che aveva visto tutti i trofei sullo scaffale nella camera da letto di Dean. Non aveva veramente capito quanto Dean fosse bravo finché non li vide. Erano tutti primo o secondo posto. Le medaglie non erano diverse. “Sta' attento però,” insistette Castiel e Dean roteò gli occhi. “Quante volte te lo devo dire – so quello che faccio. Non c'è letteralmente alcuna possibilità che accada qualcosa di male.” Mise le mani sulle spalle di Castiel che le scrollò di dosso, fissandolo. “Sono serio. Lo sappiamo entrambi che ti lasci andare sulla pista e puoi essere aggressivo e a volte prendi dei rischi.” La voce di Castiel si affievolì. Dean scosse la testa, avendo già sentito svariate volte questo discorso. “Lo sai cosa mi aiuterebbe davvero? Se venissi a baciarmi prima della partenza – tutti sarebbero così sconvolti che avrei un vantaggio di dieci secondi. Allora sì che non dovrò preoccuparmi che qualcuno mi arrivi di soppiatto alle spalle.” “Non hai bisogno di alcun vantaggio alla partenza,” replicò Castiel, tamburellando le dita sui suoi fianchi. “Non è quello il punto, e lo sai. Sta' attento e basta. Vincere non è tutto – e ti preferisco tutto intero, anche se questo vuol dire dare meno gas.” “Questo non accadrà,” disse Dean, strofinando le braccia di Castiel con il palmo delle mani. “Sono serio, ok? Non accadrà perché mi accaparrerò il primo posto, quindi puoi smetterla di preoccuparti così tanto.” “Sei fortunato ad avere un bell'aspetto,” borbottò Castiel, e Dean rise, appoggiando le braccia sulle spalle di Castiel, fissandolo. “Sarebbe bello però. Li vedo sempre con le loro fidanzate,” disse, quasi facendo le fusa, all'orecchio di Castiel. “Non parlare così,” sussurrò Castiel, improvvisamente triste. Dean lo baciò, e sapeva di tabacco, menta e dentifricio, e Castiel si sciolse contro di lui, avvolgendo le braccia intorno alla schiena. “Dovrei parlare così più spesso,” bisbigliò Dean nella sua bocca e Castiel grugnì, mordicchiandogli giocosamente il labbro. “Per scaramanzia,” disse Castiel ridendo, dando uno schiaffo al sedere di Dean, e Dean lo fissò a lungo prima di
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prendergli il viso tra le mani e baciarlo finché non rimase senza fiato. “Dio, sono pazzo di te,” mormorò, quasi a se stesso, baciandolo in un modo che fece schiacciare i loro nasi insieme. “Sono così pazzo di te.” “Muoviti,” ordinò Castiel, schiarendosi la gola e dandogli una spinta. Prese il borsone dal letto e glielo spinse tra le mani. “Altrimenti ti perderai la registrazione, e poi cosa farò?” Dean sogghignò, lasciando che Castiel lo spintonasse fino alla porta. Castiel l'aveva quasi chiusa quando Dean si voltò e ci infilò la mano, bloccando di colpo Castiel che emise uno strillo. “Dean, ti ho quasi rotto le dita!” urlò, e Dean aprì la porta con la spalla, infilandoci la testa. “Ti amo,” disse con un sorriso. “Dovremmo uscire dopo!” “Ti amo anch'io – e prima vinci. Parleremo dei festeggiamenti dopo,” sospirò Castiel, cedendo ad un altro bacio che diventarono due prima di riuscire finalmente a spintonare Dean fuori dalla porta. Uno di questi giorni gli avrebbe fatto venire un infarto. Sam lo venne a prendere un'ora più tardi nella Ford di Jessica, Castiel scivolò sul sedile posteriore, allungando le gambe. Scelsero un buon posto, parcheggiando l'auto su una leggera salita lungo una delle curve, stendendo una coperta sul cofano. Sam sollevò Jessica sopra di esso e lei tirò su i piedi, sorridendo per l'eccitazione mentre si sistemava il foulard sul collo, armeggiando con la sua piccola spilla a forma di rosa per tenerlo fermo. Castiel si mise accanto a lei, portando un sacchetto d'arance che Jessica aveva buttato sul sedile posteriore accanto a lui. Sam si appoggiò sul lato della macchina, piegandosi per sussurrare qualcosa all'orecchio di Jessica, e lei si coprì la bocca alle sue parole, soffocando una sorta di risatina scioccata. “Sammy, non dire certe cose!” disse ridendo, dandogli una leggera gomitata, e Sam le baciò la guancia e poi si raddrizzò per rimbalzare sulle punte dei piedi. Castiel era molto contento che Sam fosse qui; era terribilmente intelligente e frequentava Stanford grazie a una borsa di studio con la speranza di poter entrare nel corso di giurisprudenza entro l'anno. Se fosse a conoscenza dei soldi che Dean aveva risparmiato o no, Castiel non lo sapeva, ma sapeva benissimo che significava tutto per Dean che il suo fratellino fosse qui a tifare per lui. “Sam dice che Dean vuole imbrogliarli oggi – nella prima metà della corsa si lascerà superare, per dare agli altri confidenza, e poi alla fine ci darà sotto spudoratamente,” disse Jessica in tono colloquiale, sbucciando un'arancia con un'unghia ben curata. Castiel annuì. “Gli piace dare spettacolo,” intervenne Sam, e Jessica roteò gli occhi e fece l'occhiolino a Castiel. Castiel arrossì – Jessica era troppo carina per lanciare strizzatine d'occhio in giro, a quanto pareva. Gli scioglieva il cuore con un semplice battito di ciglia. “Anche tu vorresti dare spettacolo se fossi bravo tanto quanto lui. Deve annoiarsi a forza di ottenere vittorie su vittorie. Deve pur fare qualcosa per intrattenersi!” “È spericolato,” disse Castiel in tono amaro, incrociando le braccia nervosamente. “Si impone troppo e un giorno farà qualcosa di stupido.” Jessica ripulì una fetta d'arancia e la mangiucchiò, annuendo. “Sai, ho detto la stessa cosa a Sam l'altro giorno, ma prova tu a farlo ragionare, no? Ti dà sempre ascolto!” Castiel strinse le spalle, togliendosi gli occhiali per pulirli e poi se li rimise, scostandosi i capelli scuri dagli occhi. “Faccio prima ad insegnare la poesia ai pesci,” disse ridendo, e Jessica ridacchiò, mangiando il resto dell'arancia, girandosi verso Sam per guardare il programma. Sulla pista si stava svolgendo un'altra gara e Castiel ascoltò la folla esultare mentre qualcuno vinceva. Castiel scosse le mani con energia ansiosa. Era quasi ora della gara di Dean. “Vuoi il binocolo?” disse Jessica con un sorriso, allungandoglielo. Castiel lo prese ringraziandola e diede una scorsa alla linea di partenza alla ricerca di Dean. Sorrise. “54!” disse in tono felice, e Jessica batté le mani, inclinando la testa per cercare il numero. Dean portò la moto verso la linea di partenza e poi gettò una gamba su di essa, e si acquattò sul sedile. Il suo corpo era quasi orizzontale, la superficie piana della sua spina dorsale parallela alla linea slanciata della moto. Con indosso il casco, Castiel non riusciva a vedere il suo viso, ma poteva vedere la flessione delle dita, lo spostamento quasi impercettibile delle spalle mentre si preparava. Ci fu una pausa – Castiel sorrise.
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“Vinci per il tuo ragazzo,” sussurrò Castiel, dopodiché i motori rombarono e il gruppo di moto partì. Dean li imbrogliò veramente – per metà corsa, guidava rilassato e il 72 era aggressivo, ma con Dean non si poteva scherzare. Castiel trasalì quando accelerarono alla curva, giurando che la gamba di Dean quasi sfiorò il cemento per quanto si inclinò. Passò il binocolo a Sam che lo seguì sulla pista. “Adesso lo supera di sicuro!” disse Sam vivacemente, e Castiel si sporse in avanti, guardandoli arrivare alla curva più vicina alla loro macchina parcheggiata. Tutti e tre trattenerono il respiro ed urlarono quando Dean passò, tormentando il pilota accanto a lui in un testa a testa. “Fagli vedere i sorci verdi!” urlò Sam, e Jessica si sventolò. “Troppo emozionante!” disse Jessica ridendo, e Castiel sogghignò. Sembrava fosse appena cominciata, ma la corsa si concluse rapidamente. Castiel buttò in aria le mani e Jessica fece un grido di incitamento mentre Sam alzava il pugno, quando Dean arrivò con savoir faire alla linea di traguardo come se la pista fosse di sua proprietà, conducendo la corsa con così tanta facilità che era quasi criminale. Li aveva davvero ingannati nella prima metà della gara prima di rubare loro la vittoria nella tappa finale. Castiel distolse lo sguardo quando Sam e Jessica si baciarono, Sam strapieno di orgoglio. Castiel prese di nuovo il binocolo trascurato, trovando facilmente il numero di Dean. Bobby era al pit stop, e si tolse il capello, lo sventolò e poi se lo rimise, affrettandosi verso Dean. Gli occhi di Castiel seguirono ogni movimento di Dean mentre parcheggiava la moto, scuotendo la testa quando si tolse il casco e lo infilò sotto il braccio. Accettò la borraccia che Bobby gli offrì, piegandosi all'indietro per prenderne un bel sorso. Bobby gli scompigliò i capelli prima di tirarlo verso di lui, appoggiando la testa sul collo per abbracciarlo, e Castiel sapeva che Dean si stava sforzando di essere umile, spingendo via Bobby con una risata muta. Castiel arrossì e Sam lo spintonò. “Beh, forse dovremmo andare a congratularci con lui!” esclamò Sam, sollevando Jessica dal cofano. Lei emise uno strillo acuto, sventolando il programma che parlava di altre corse, ma Castiel sapeva che sarebbero impallidite in confronto a quella di Dean. Sam la rimise a terra come se non pesasse nulla, e anche Castiel saltò giù dal cofano, ripiegando la coperta mentre Jessica spargeva le bucce d'arancia sull'erba. Rimontarono in auto e seguirono gli altri verso l'entrata della pista, parcheggiando il più vicino possibile al pit stop. Dean aveva posizionato la moto su un lato e stava parlando con Bobby mentre si avvicinavano, i capelli appiattiti per colpa del casco e gli occhi vivaci e brillanti. Restarono indietro per un po' aspettando che il reporter scattasse la sua foto con il trofeo e facesse una breve intervista; Dean girò la testa e fece loro l'occhiolino mentre Bobby rispondeva a domande più specifiche. “Finirà in prima pagina sul bollettino dell'Associazione Americana dei Motociclisti, senza alcun dubbio,” scherzò Castiel, e Sam sbuffò, impaziente di andare da Dean, il braccio intorno alla vita di Jessica. “Sei terribile,” disse Jessica ridendo, e Castiel sorrise, guardando Dean che indicava qualcosa della moto, parlando della fabbricazione. Sembrava così snello nella tuta in pelle e Castiel si leccò le labbra inconsciamente. Dean era sempre di buon umore dopo una grossa vincita. Non appena il reporter se ne andò, Sam camminò a grandi passi verso Dean, prendendolo per le braccia e scuotendolo leggermente, con un ampio sorriso in viso. “Sei stato fantastico!” Sorrise. “Assolutamente fantastico!” Dean scrollò le spalle, tirandolo tra le sue braccia. “Sono contento che tu ce l'abbia fatta a venire,” mormorò all'orecchio di Sam, e Sam lo trattenne nell'abbraccio. Dean gli diede una pacca alla spalla e poi lo lasciò, e Sam si lanciò nella lista di domande che aveva in serbo. Jessica rimase indietro, appoggiata contro Castiel in assenza di Sam, il dorso delle loro mani che si sfioravano, a guardare Dean che mostrava la sua moto e il suo equipaggiamento, sorridendo a trentadue denti a Sam quando il suo fratellino si sporse in avanti, ispezionando tutto. Castiel sorrise a Jessica che ricambiò. Era bellissima, il sole le colorava i capelli di un oro brillante. Era perfetta per Sam. Jessica si schiarì la gola quando Sam e Dean iniziarono a bisticciare per qualcosa, ed entrambi si fermarono, raddrizzandosi. “Jess!” disse Dean dolcemente e lei si fece avanti buttando le braccia intorno al collo di Dean. “Eri il più bravo là fuori,” stuzzicò Jessica e Dean rise nervosamente quando lei si ritrasse, sistemando la borsetta
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in mano con un sospiro, rivolgendosi al gruppo. “Beh, Sam mi ha promesso di portarmi a cena, e ho intenzione di fargli mantenere la parola. Quindi, Cas, se vuoi, possiamo prima accompagnarti a casa?” “Oh.” Castiel guardò tra Jessica e Dean, e Dean strinse le spalle prima di sfuggire da Sam quando questi iniziò a dargli gomitate, ridendo. “Oppure Dean può portare Cas. Voglio dire, vanno entrambi nello stesso posto,” intervenne Sam, muovendosi per stare accanto a Jessica, avvolgendole un braccio intorno alla vita. “In più, sarebbe un posto in meno dove fermarsi prima di cena – così possiamo tornare al campus prima.” “Grande idea, Sammy! Voi due andate a cenare, divertitevi! E fate i bravi. Chiamatemi quando siete arrivati, va bene?” Dean sogghignò di nuovo, e Castiel lo capiva che era per i nervi. Dean non sapeva davvero come comportarsi con Castiel quando il fratello era presente insieme alla sua ragazza, e nemmeno Castiel lo sapeva. Era sicuro che Sam e Jessica sapessero di loro due, ma non avevano mai detto una parola a riguardo. A volte Dean diceva a Castiel di volerlo dire a Sam – dirgli quanto amasse Castiel – ma non sapeva come, e Castiel non sapeva come aiutarlo. Sam sapeva che Dean non era etero, ma non glielo aveva mai chiesto apertamente. Castiel poteva solo cercare di rassicurare Dean che suo fratello sembrava amarlo lo stesso. Sam non sembrava avesse intenzione di smettere di parlare a nessuno dei due da un momento all'altro, cosa che confortava Dean temporaneamente, ma intorno a loro era comunque irrequieto. “Beh, faremo meglio ad andare se vogliamo trovare un tavolo al ristorante,” disse Jessica sorridendo, allontanandosi da Sam per avvolgere improvvisamente le braccia intorno a Castiel. Dopo un istante Castiel ricambiò l'abbraccio, sfiorandole con il viso i capelli ricci. La strinse forte e, quando Jessica si ritrasse, provò una sorta di nostalgia; gli ricordava sua sorella, e voleva di nuovo avvolgere le braccia intorno a lei e stringerla. “È stato bello vederti, Cas,” gli sussurrò all'orecchio, chinandosi per prendergli la mano tra le sue. “Un giorno dovresti assolutamente uscire con noi. Potremmo ritrovarci tutti insieme e andare da qualche parte. A vedere un film o qualcosa del genere!” “Forse un giorno, Jess,” intervenne Sam, colpendo Dean alla spalla prima che Dean lo tirasse in un altro abbraccio, stringendolo volutamente a morte. Sam si dimenò nella sua presa, ma alla fine sollevò le braccia, dando delle pacche alla schiena di Dean. “Congratulazioni per la vittoria, Dean. Ci vediamo presto!” salutò Sam mentre Jessica si ritraeva da Castiel, prendendo la mano di Sam e ritornando all'auto. I piloti entrarono in fila uno alla volta sulla pista con le loro moto, e Castiel poteva vedere che Bobby si stava dirigendo verso di loro. Castiel si spostò per stare accanto a Dean, riempendo il vuoto, inclinandosi automaticamente verso di lui finché le loro braccia quasi non si toccarono. Bobby non disse nulla se lo notò quando si avvicinò a loro. Invece diede a Dean il denaro che aveva vinto, e poi Dean lo passò a Castiel. “Mettili in tasca.” Castiel annuì e prese i soldi da Dean e li mise via. “È stata una corsa grandiosa, figliolo.” Bobby stava sorridendo, e poi si rivolse a Castiel. “Dovresti essere orgoglioso di lui, Cas.” “Oh, lo sono.” Le guance di Castiel si arrossirono e diede dei colpetti a terra con la punta del piede, sorridendo. “Beh, dovrei tornare a casa. Ci vediamo domani in garage, Dean.” Bobby fece un cenno a Castiel, “Cas,” e Castiel lo salutò brevemente guardandolo allontanarsi. Lasciò vagare lo sguardo sul viso di Dean, facendo del suo meglio per mantenere un tono neutro. “Bella corsa,” disse e Dean annuì, guardando oltre la spalla di Castiel gli altri competitori. Annuì di nuovo, gettando uno sguardo a Castiel attraverso le ciglia. “Già – troppo facile però. Avrei preferito una sfida. Sarà per la prossima settimana durante le prove. Boyd è in città e mi deve una rivincita,” disse Dean, togliendosi i guanti, flettendo le dita. Castiel moriva dalla voglia di far scorrere le mani tra i capelli appiattiti di Dean, ma dovette trattenersi per il momento. Dean continuava a fissarlo e Castiel deglutì. “Che c'è?” disse a bassa voce, e Dean si avvicinò piano piano. “Vorrei poterti baciare adesso.” Piegò la testa contro l'orecchio di Castiel, e le guance di Castiel diventarono rosse.
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“Non dirlo.” “Perché no?” Castiel sospirò e si ritrasse da Dean, infilando le mani in tasca. “E se qualcuno ti sente?” “Che sentano pure.” Castiel roteò gli occhi, ma tutto quello che voleva fare era avvolgere le braccia intorno alla vita di Dean e seppellire il viso nell'incavo del suo collo e dirgli quanto lo amasse. Non tutti avevano lasciato la pista, così allungò invece una mano verso di lui, accarezzandogli con le dita il braccio. “Sono fiero di te.” Dean sorrise e catturò le dita di Castiel quando gli sfiorarono la mano, girando il corpo per bloccare la vista in modo che nessuno potesse vedere. Rimasero così per alcuni minuti, solo a tenersi le mani, ma era abbastanza per loro. “Andiamo,” disse Dean, strattonando leggermente Castiel, e Castiel lo seguì, un passo dietro a lui finché non lo raggiunse e gli camminò accanto. Dean lo condusse fino al magazzino a lato della pista, e una volta sicuro che non ci fosse nessuno, tirò Castiel dietro il fabbricato, spingendolo contro il cemento grigio. Ci fu un ruggito di moto quando iniziò la corsa successiva, con la gente che esultava, ignari della loro presenza. Castiel sprofondò nel bacio, strofinando le braccia di Dean fino alle spalle e poi sul petto, le dita tirarono giù la cerniera della tuta da moto di Dean, rivelando la semplice t-shirt al di sotto di essa. Dean si sfilò le maniche scrollandole mentre lo stava ancora baciando, con il bacino che teneva Castiel bloccato al muro. “Ti piace guardarmi?” gracchiò Dean, trascinando le mani lungo il torso di Castiel, mordicchiandogli il collo. Le unghie di Castiel affondarono nelle reni di Dean mentre spingeva i fianchi in avanti per incontrare quelli di Dean, sospirando nei suoi capelli, inclinandosi all'indietro per dargli più accesso alla sua pelle. “Guardarmi vincere – così posso portare i soldi a casa e prendermi cura di te...” disse Dean con voce strascicata, premendo i pollici sui fianchi di Castiel, muovendosi insieme a lui. “Mi prenderò tanta cura di te. Tanta cura del mio ragazzo,” continuò, scivolando le loro bocche insieme, inghiottendo il gemito che Castiel emise, le cui mani caddero sul sedere di Dean per tirarlo il più vicino possibile a sé. Dean appoggiò la guancia su quella di Castiel, entrambi ansimanti nell'eccitazione. Castiel lo baciò lungo la mandibola e poi lo morse sulla spalla. “Dean, non dovremmo – aspetta... aspetta... non s-sui miei vestiti, qualcuno potrebbe vedere,” gemette Castiel, e Dean ci rifletté per un momento, ma le sue mani stavano già armeggiando con la cintura di Castiel per liberargli il membro. “Rilassati, Cas, ti preoccupi troppo.” Sorrise sull'angolo della bocca di Castiel, masturbandolo forte e veloce, ma baciandolo con gentilezza, infilando l'altra mano in tasca per tirare fuori lo straccio che aveva tenuto sempre lì. “Ci sono io.” Castiel trasalì alle sue parole ed affondò le mani nelle spalle di Dean, guardandolo negli occhi con un'espressione annebbiata. Dean lo fissò per un po', e poi abbassò lo sguardo per vedere il petto di Castiel gonfiarsi quando finalmente venne, e Dean catturò il liquido seminale con lo straccio. Castiel ansimò quando il panno gli sfiorò il glande sensibile. “Oh,” sospirò Castiel, barcollando quando finì a terra. “Gesù, Dean,” sussurrò, le gambe che gli tremavano quando Dean lo tirò su e lo baciò. Castiel palpò l'erezione di Dean attraverso la tuta e Dean gemette, piegandosi verso di lui, muovendo i fianchi nel palmo di Castiel. “Sei senza speranza,” mormorò Castiel, e facendo ansimare di nuovo Dean quando applicò più pressione. “Così impaziente quando vinci...” disse in tono acceso all'orecchio di Dean. “... forse dovrei premiarti.” Castiel scivolò lungo il muro, cadendo sulle ginocchia, senza nemmeno preoccuparsi di sporcarsi i pantaloni. Dean lo rendeva avventato e stupido e incontrollabile. Alzò lo sguardo verso Dean mentre gli leccava un lato del membro, ora libero e così vicino all'eiaculazione, fino alla punta. Non sarebbe durato a lungo, ma a Castiel non importava. Dean si era preso cura di lui e adesso era il suo turno. Dean gli afferrò i capelli e glieli scansò dalla fronte accarezzandola mentre Castiel gli praticava la fellatio con lentezza e grazia, soffermandosi ogni tanto per
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giocare con il glande, leccandolo sulla fessura. “–merda,” disse Dean con voce soffocata, tenendosi forte al muro quando Castiel inghiottì il suo seme alcuni istanti dopo, asciugandosi la bocca e poi chiudendogli la cerniera fino all'ombelico mentre si alzava in piedi. Dean gli sorrise, frastornato e appagato. “A posto?” chiese Castiel, e Dean si chinò e lo baciò. Mormorò contro le labbra di Castiel mentre questi gli tirava su la cerniera completamente, aggiustandogli il colletto. “Ci sarà un seguito?” “Quando arriviamo a casa,” ammonì Castiel, schioccandogli un bacio a stampo. “Dopo aver pagato le bollette con i soldi della tua vincita ed aver mangiato, ci sarà.” “Owww, dobbiamo mangiare prima?” “Poi aspettare per mezz'ora. Non voglio che ti vengano i crampi.” Castiel strinse il sedere di Dean, ridendo quando Dean lo spinse di nuovo contro il muro, perdendosi nella sua bocca. Si ritrasse e baciò Castiel sulla guancia. “Mezz'ora,” sospirò Dean, raddrizzando la camicia di Castiel. Castiel gli prese la mano e gli baciò il palmo. “Forse possiamo anche cavarcela con un quarto d'ora,” mormorò, guardando Dean ridacchiare. Il sole lo incorniciò facendolo risplendere, con le braccia sui fianchi di Castiel, come se Dean fosse una casa intorno a lui. Dean abbassò la testa e lo baciò, e Castiel sfiorò i loro nasi insieme. Non aveva bisogno di dire a Dean che quando lo guardò di nuovo, archiviò l'immagine da qualche parte nella sua mente. Le avrebbe dato una bella etichetta, come alle altre, conservandole per i giorni di pioggia. Quella volta in cui Dean aveva il sole alle spalle e mi guardava come se ci conoscessimo da sessant'anni. *** Castiel li trovò in una scatola in fondo all'armadio di Dean mentre cercava delle lampadine. Due giarrettiere, una camicetta da notte e un paio di mutandine di pizzo color bianco candido. Castiel rovistò brevemente nella scatola e corrugò la fronte quando trovò anche un paio di boxer. “Dean?” “Mmm,” disse Dean con la sigaretta in bocca, mentre puliva parti della moto, con i giornali spiegati sopra il tavolo per proteggerlo, i piedi appoggiati sul davanzale della finestra, le dita ricoperte di grasso per motori. Castiel portò con sé la scatola e gliela posò in grembo. “Cosa sono questi?” Dean diede un'occhiata dentro la scatola, tirando fuori un paio di slip. Sollevò le sopracciglia e strinse le spalle. “Ah, la mia scatola di souvenir.” “Scatola di souvenir?” “Beh, a volte le ragazze si dimenticavano le loro cose quando se ne andavano,” rettificò Dean, sogghignando, soffiando il fumo dal lato della bocca. Castiel fece un'espressione torva e gli strappò via la scatola, al che Dean rise, ritornando al suo lavoro. “La gelosia ti dona proprio!” commentò Dean, quando Castiel spinse la scatola sullo scaffale in alto. “E allora ti sei tenuto la loro biancheria intima?” sbottò Castiel e Dean buttò la testa all'indietro e rise. “Sì, mi sono tenuto la loro biancheria! Non significa nulla! Non ci guardo da quando l'ho messa lì, il che è stato, quando? Un anno fa? Di più?” Aveva in mano una specie di asticella e la ispezionò, e poi ritornò a strofinare il metallo. “Tanto non è che qualcuno l'indosserà! Non sono uno di quei pervertiti che si eccita con il pizzo. A meno che non ci sia un corpo caldo dentro, tesoro.” Castiel scosse la testa e continuò a cercare le lampadine. “Che fai? Non mi parli adesso?” “Penso tu sia ridicolo,” concluse Castiel, sentendo caldo in viso per qualche ragione. “Nessuno tiene la biancheria
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intima altrui dopo che se ne sono andati. È inquietante.” Dean roteò gli occhi e spense la sigaretta nella tazza da caffè vuota. “Te ne scorderai presto. Perché non li dai all'Esercito della Salvezza? Sarebbero contenti di averli,” disse, grattandosi lo stomaco attraverso la maglietta bianca sporca. Il problema era che Castiel non riusciva a smettere di pensarci. Faceva caldo, e Castiel era disteso accanto a Dean con il rumore del traffico che irrompeva attraverso la zanzariera, e tutto quello a cui riusciva a pensare era la scatola. Dean disse qualcosa nel sonno e Castiel cercò di chiudere gli occhi, ma tutto quello a cui riusciva a pensare era quella stupida scatola e quella biancheria frou-frou. Il viso si accaldò e tutta la pelle gli prudeva leggermente mentre pensava alla scatola e a quello che aveva detto Dean. Un corpo caldo, eh? Ed ecco come Castiel finì per fissare di nuovo la biancheria, solo che stavolta Dean non c'era. Castiel si mise a sedere sul pavimento con la scatola e la fissò. Non sapeva perché lo offendesse così tanto. Era come aveva detto Dean: era solo una scatola di biancheria intima. Non significava nulla – ma in realtà aveva un significato. Delle ragazze prima di lui l'avevano indossata e l'avevano dimenticata e Dean l'aveva conservata come se fosse una sorta di strano trofeo. “Oppure l'ha conservata perché forse pensava che sarebbero ritornate,” disse ad alta voce, alzando la camicetta da notte. Era corta, azzurra, con una scollatura lavorata e l'orlo di pizzo in fondo, altrimenti era semplicissima. Aveva già visto camicette da notte del genere nei cataloghi che a sua sorella piaceva sfogliare, e sapeva che era piuttosto costosa. Fissò anche le giarrettiere e le mutandine. Erano pulite, e Castiel fece scorrere il pollice sui fronzoli di pizzo ad altezza vita, il tessuto sconosciuto, studiando il disegno intricato. C'era un piccolo fiocco delicato proprio sopra l'inguine. C'erano anche tre calze nella scatola che non aveva visto in un primo momento – due si intonavano e l'altra no. Castiel fissò tutto e si morse il labbro. Ritornò alla camicetta da notte. Fece scorrere la mano sul materiale setoso e la infilò all'interno, guardandosi le dita sotto la maglia azzurra – abbastanza trasparente da renderle visibili, ma abbastanza casta da lasciare i dettagli all'immaginazione. Dean probabilmente si era aspettato, ad un certo punto, che le ragazze sarebbero ritornate ed avrebbero rivoluto i loro indumenti. Dean era, in fondo, dolce. Anche se erano state solo l'avventura di una notte, come Castiel sospettava che fossero, Dean era stato buono abbastanza da averli lavati. Castiel riusciva a immaginarsi Dean alla lavanderia a gettoni a cinque isolati di distanza, con le sue magliette, i suoi jeans macchiati d'olio e una camicetta da notte di seta, probabilmente sogghignando agli uomini che la fissavano lascivamente. Non erano tanto le ragazze che gli davano fastidio. Era che Dean si era divertito perché qualcuno l'aveva indossata. Qualcun altro. Poteva essere stata la presidentessa delle mutandine frou-frou e Castiel sarebbe stato comunque geloso perché Dean si era probabilmente eccitato a sufficienza. Castiel deglutì e si fissò la mano nella camicetta da notte prima di spiegarla davanti a lui. Sembrava... Castiel si sentiva impazzire. Sembrava che gli potesse stare bene. Tutto quanto sembrava che probabilmente gli stesse bene. Era privo delle curve prosperose della maggior parte delle ragazze, ma gli indumenti avevano ceduto più di quanto le loro fragili forme insinuavano. Castiel guardò l'orologio. Le cinque e trenta. Il turno di Dean non finiva fino alle sette. Castiel guardò la scatola e fece un sorrisetto compiaciuto. “Un corpo caldo, eh?” sussurrò a nessuno, sentendo all'improvviso qualcosa formicolare lungo la spina dorsale, “staremo a vedere.” Tre ore più tardi, Dean era a casa e dopo un po' di persuasione era scomparso dietro la porta del bagno. Castiel
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sentì lo stridio delle tubature quando Dean aprì l'acqua della doccia, ed iniziò subito a svestirsi, mettendo in moto il suo piano frettolosamente. Prima la giarrettiera, sistemandola intorno alla vita, e poi le calze, srotolandole lentamente nel modo in cui aveva visto fare sua madre quando era piccolo prima di agganciarle alle clip a penzoloni sulle cosce. Poi le mutandine, infilando tutto dentro e calciando i suoi boxer sotto il letto, finalmente prendendosi un momento per fermarsi e fissarsi le gambe vestite di seta. Ora che aveva finito, si mise le mani impacciatamente sul petto nudo e poi trafficò con l'orlo dei reggicalze e delle mutandine, assicurandosi che le linee fossero più dritte possibile. Poi indossò la camicia da notte, il tessuto che gli scivolava giù sulla pelle, facendogli venire la pelle d'oca alle braccia. Sentì il rubinetto cigolare e il suono della tenda che veniva scansata mentre Dean usciva dalla doccia, tossendo leggermente, e Castiel raggelò. Improvvisamente si sentiva nervoso, ma sapeva di potersi fidare di Dean. Non sapeva se si fidasse del fatto che non si mettesse a ridere. Lentamente uscì dalla camera da letto e si diresse in cucina, dove chiuse tutte le tende e spense la luce. Sentì la porta del bagno aprirsi e Dean venne fuori, cantando qualcosa sottovoce. “Cas, vuoi ascoltare qualcosa?” chiamò Dean, e Castiel gli mancò la voce per un istante mentre si spremeva le meningi, cercando di avere un tono normale. Sentì Dean tirare fuori una scatola e scorrere i dischi in vinile. “Elvis?” Sentì il sorriso nella voce di Dean quando lo disse e Castiel diventò rosso come un pomodoro, stando in piedi nel buio della cucina. “Metti quella nuova canzone degli American Breed 1,” disse Castiel, alla fine, e Dean iniziò ad animarsi velocemente. “Oh, mi piace questa qua. L'ho sentita oggi alla radio,” disse Dean, del tutto inconsapevole dello strano comportamento di Castiel. Castiel sentì il cuore battergli all'impazzata quando fece un passo avanti. “Che fai lì?” aggiunse Dean dopo alcuni secondi, alle prese con il giradischi. “Oh, volevo solo un po' d'acqua,” replicò Castiel. Le parole gli uscirono precipitosamente mentre attraversava il piccolo salotto ed entrava nella camera da letto con la luce soffusa. Dean mise su il disco ed armeggiò con la finestra, tirandola su. Castiel stava dietro di lui, osservando la flessione delle sue spalle quando sfregò un fiammifero ed accese una sigaretta, appoggiandosi sul davanzale a guardare il traffico sottostante. Era una notte calda e Castiel si morse il labbro di nuovo quando si tolse gli occhiali, e poi li posò sul comò alla sua destra. “Dean,” disse senza fiato e Dean si drizzò e si girò. “Dovremmo–” Le parole gli morirono in bocca, i suoi occhi si spalancarono lentamente mentre lo fissava. Castiel osservò la sua sigaretta penzolare dal labbro inferiore finché non la tolse frettolosamente dalla bocca e la spense con noncuranza nel posacenere accanto al giradischi – i suoi occhi scattarono di nuovo su Castiel, l'incredulità nel suo sguardo era facilmente leggibile. Castiel si incamminò attentamente verso di lui, con l'orlo di pizzo che lo sfiorava proprio sopra l'estremità delle calze. Lentamente prese le mani di Dean e le premette sui suoi fianchi, il tessuto della camicetta da notte si raggrinzì quando le dita di Dean aumentarono la presa sulla sua vita, urtando l'orlo della giarrettiera sotto di loro. Dean lo fissava con aria assente, squadrandolo prima di incollare lo sguardo sulle parti di pelle che intravedeva sotto il tessuto della camicetta da notte. Castiel si chinò e fece strisciare le mani lungo il petto nudo di Dean fino al collo, tirandogli la testa all'indietro con gentilezza per tendere la pelle. “Hai detto qualcosa,” sussurrò sul calore ardente e vellutato, ancora umido per la doccia, “sul fatto che non significhino nulla a meno che qualcuno non li indossi.” Guardò la gola di Dean singultare con un sospiro e Castiel lo baciò lì, con la musica che riprendeva il ritmo inondando la stanza. Everybody tells me I’m wrong to want you so badly...2 “Oh, Gesù,” esalò Dean, tirando i fianchi di Castiel a contatto con i propri. “Gesù... Gesù...” Castiel lo baciò lungo la mandibola e poi finalmente fece scivolare le loro bocche insieme. Dean emise un gemito basso e lungo, stringendo le dita e rilassandole, iniziando ad strofinare su e giù lungo i fianchi di Castiel. “Cazzooo...” fu quello che disse poi Dean, ma era perché Castiel si era messo in ginocchio strattonandogli via i 1 Una rock band americana la cui attività va dal 1966 al 1969, anno dello scioglimento. La canzone a cui si riferisce Castiel è Bend Me, Shape Me, il loro singolo di maggior successo. 2 Tutti mi dicono che mi sbaglio a volerti così tanto...
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boxer. Non perse tempo a mettersi il membro quasi eretto di Dean in bocca, alzando lo sguardo, mentre lo faceva scivolare fuori e dentro, accarezzandogli la base. Dean incrociò il suo sguardo e Castiel inarcò la schiena, sporgendo il sedere. Spostò i fianchi in modo che la camicetta da notte scivolasse sulla sua spina dorsale, esponendo bene le mutandine, la giarrettiera e le calze. Il gomito di Dean, che adesso lo sosteneva, si mosse ed urtò il giradischi. La canzone si inceppò ma poi riprese mentre Castiel indirizzava tutto il suo impegno sul membro di Dean, guardandolo ancora in viso. “Oh, Cas, porca puttana,” sospirò Dean dopo un minuto. “Cristo, Cas, tu...” Smise di parlare ed emise un suono strozzato, Castiel chiuse gli occhi, prendendone quanto più potesse, trattenendosi per un secondo, e poi si ritrasse ansimante, cercando di riprendere il controllo della gola. Ancora non riusciva a farlo bene quanto voleva, ma Dean non si lamentava. Dean guardò la sua testa andare su e giù un paio di volte, Castiel si sentiva quasi ubriaco per l'odore del pene, del sapone, per la musica che suonava in sottofondo. Gemette, allargando le gambe sul tappeto, con il proprio membro che iniziava a tendere le mutandine, muovendo i fianchi lentamente avanti e indietro nell'aria. “G-gesù,” mugolò Dean. “Gesù, ma che ti è preso – oh cazzooo, Cas, proprio lì, oh Dio santo, proprio lì.” Castiel giocò con la base del membro di Dean, leccando il lato inferiore sensibile, lasciandolo sulla lingua, caldo e pesante, e poi scivolando giù di nuovo. Dean mise la mano sulla nuca di Castiel che trasalì per la sorpresa, stringendo con le unghie spuntate il piede nudo di Dean, mentre Dean gli passava le dita tra i capelli. Dean spinse in avanti i fianchi e Castiel gli baciò e gli mordicchiò le ossa spigolose del bacino per un istante prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lui. “Oh, Gesù,” biascicò Dean, aprendo a fatica gli occhi per guardarlo, “oh, Gesù, guardati,” con le mani ancora sulla testa di Castiel. Castiel immaginò di essere uno spettacolo – le labbra gli formicolavano, si sentiva la lingua enorme mentre si leccava intorno alla bocca e respirava, tirando completamente giù i boxer di Dean che se li sfilò. Si sentiva come disossato quando Dean gli allungò una mano e lo tirò su; buttò la testa all'indietro, come un movimento vertiginoso, quando sentì il davanti delle mutandine, ora umide, spingere contro il torso di Dean. “Cosa vuoi?” disse Dean, all'improvviso aggressivo. “Dimmi quello che vuoi. Te lo darò.” Incontrò il collo di Castiel con i suoi denti e gli sollevò l'orlo della camicetta da notte, grattandogli i fianchi e la schiena. Castiel non rispose e Dean grugnì mentre faceva scorrere le mani sulla schiena di Castiel. Iniziò a spintonarlo all'indietro e alla fine Castiel sentì la familiare morsa pungente del materasso dietro le ginocchia, ma Dean si voltò in modo da essere lui quello seduto, con Castiel davanti a lui. Le mani di Dean scivolarono su tutto il corpo di Castiel, afferrandogli il sedere attraverso il tessuto delle mutandine, con le dita che stuzzicavano e tiravano l'orlo, salendo appena sotto la camicetta da notte, consumando tutta la pelle con il loro tocco, e poi di nuovo il sedere, stringendo ed accarezzando il tessuto più e più volte. Non sembrava riuscire a smettere mentre premeva la guancia sul petto coperto di Castiel. “Così sexy... così sexy,” balbettò Dean, e Castiel si sorreggeva con le mani sulle spalle di Dean finché Dean non gli palpò il membro e Castiel si chinò per baciarlo. In un primo momento il bacio non aveva niente di dolce, ma presto divenne più lento e Castiel, d'istinto, spinse nella stretta presa del pugno di Dean. Perse completamente il filo di tutto quanto finché Dean non iniziò a sollevargli con le dita libere la camicetta da notte sempre di più, agganciandole nella parte anteriore della giarrettiera per tirare Castiel sul letto. Steso sulla schiena, Castiel gemette per la perdita di contatto, il membro che sbatteva contro il reggicalze, le mutandine abbassate a metà sull'inguine, l'elastico teso. Sentiva tanto caldo dappertutto, la sensazione delle calze di seta che sfregavano le coperte spiegazzate lo faceva quasi impazzire. “Toccami,” sussurrò, trascinando le mani di Dean verso il proprio corpo, da qualche parte, ovunque. A questo punto non gli importava per niente dove si posassero. Castiel si inebriò alla vista di Dean che scendeva su di lui, usando i denti per far schioccare l'elastico delle mutandine, sfiorando con le labbra la sua pelle accaldata, ma non era abbastanza. Le mani di Dean sulle sue cosce erano l'unica cosa che gli impediva di sollevare le gambe dal letto mentre ansimava. Dean arrotolò giù le mutandine e Castiel ancheggiò per aiutarlo, finché non furono lanciate via senza alcuna grazia da qualche parte dietro di loro, scartate. Finalmente libero, Castiel gemette quando Dean fece scivolare le mani su e giù sulle gambe – ogni volta che saliva sulla sua coscia, passava vicino al membro, alla giarrettiera, ai fianchi, e poi ritornava giù, più e più volte, i
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cuscinetti delle dita ricalcavano le cuciture sulle gambe. Infine premette con i pollici sulla parte interna delle cosce vicino all'inguine, e Castiel quasi urlò alla sensazione di Dean che abbassava i fianchi proprio contro la parte superiore di una calza. Dean avanzò verso il volto di Castiel, schiacciando le loro labbra insieme, con le mani che abbandonavano la parte inferiore del corpo di Castiel a favore dei suoi capezzoli, sgualcendo il tessuto della camicetta da notte per accarezzarli. Castiel emise qualche suono aspro e Dean agganciò le mani di nuovo sotto le ginocchia e le spinse per divaricarle. Castiel aveva la testa che galleggiava. “Ti farò dire cazzo finché non diventi blu in faccia,” disse Dean, sigillando un altro bacio sulla bocca di Castiel. “Ti farò dire cazzo finché non saprai che altro dire...” Castiel annuì stupidamente, gemendo. Dean si alzò in piedi, il materasso che cigolava per la perdita del suo peso, e rovistò nel comodino alla ricerca del lubrificante. Il corpo di Castiel rimbalzò leggermente quando Dean si buttò sul letto, infilando le dita nel contenitore, spalmando l'olio prima di raggiungere il punto tra le gambe di Castiel. “Allargati...” borbottò Dean e Castiel divaricò le gambe ancora di più, mostrandosi. Dean lo guardò e finalmente, finalmente – “Oh, cazzo!” gridò Castiel, inarcandosi. “Proprio lì.” “Lo so, Cas,” grugnì Dean, sorridendo, piegandosi per baciargli lo stomaco mentre muoveva le dita dentro di lui – oh, Dio, aggiunse un altro dito, ma a Castiel andava bene. Poteva sopportare la pressione. “Lo so.” “Mi fai... perdere la testa,” disse Dean, e Castiel sentì il suono rivelatore di Dean che cospargeva d'olio il proprio membro con una mano, un rumore caldo e bagnato. Castiel rilassò le gambe e saldò il corpo di Dean contro il suo, lisciando con le calze la sua schiena e i suoi fianchi; Dean rabbrividì al tocco. Bend me, shape me, anyway you want me, long as you love me, it’s alright. 3 “Muoviti,” sbottò Castiel e Dean tolse le dita, sostituendole con il glande smussato. Tuttavia Castiel perse la cognizione del tempo che effettivamente ci volle, ma sentiva come se fosse atrocemente lento mentre Dean affondava dentro di lui; tutto era sensibile nel calore appiccicoso della serata. Il sole tramontava all'orizzonte, dipingendo il cielo di un viola scuro, simile al colore del vino, che si diffondeva nella camera da letto dell'appartamento, trascinando le sue dita sui loro corpi come strisce d'ombra. Castiel sentiva ogni piccola spinta di Dean, scopandolo con un movimento quasi inavvertibile. “Fa' sul serio,” ansimò, e Dean ubbidì, e Castiel sentì il suono delizioso della testata del letto che andava a sbattere contro il muro. Dean era dentro di lui, Castiel divaricò le caviglie, allargando di più le gambe, ma poi, senza preavviso, Dean improvvisamente si fermò. Il suono che si strappò dalla gola di Castiel si scontrò con il disco che ancora suonava, e mentre stringeva i muscoli intorno al membro di Dean, cercando di far fronte alla sensazione di quella profonda, dolorante pienezza. Dean si prese un momento per bloccare le braccia di Castiel ai lati della testa. “No,” disse a Castiel, spingendo i fianchi con un movimento breve e secco che fece contorcere Castiel. “Dean.” Dean chinò la testa, muovendosi a mala pena, tracciando la mano sulla parte posteriore della gamba di Castiel rivestita di seta. Fece schioccare la parte superiore della calza e Castiel ansimò contro la sua bocca quando Dean lo baciò castamente. “E se ti sposassi così? Fanculo gli anelli... disteso così sul letto tutto per me...” Castiel gemette e si spostò di nuovo, scopandosi sul membro di Dean. “... Come una sposa di Giugno...” “Cazzo, muoviti,” gemette Castiel di nuovo, scattando in avanti per baciarlo. Ogni piccolo movimento gli 3 Piegami, plasmami, fa' di me ciò che vuoi, finché mi ami, va tutto bene.
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ricordava quella pienezza ardente, il membro palpitante di Dean dentro di lui. “Darò di matto... se tu – !” Mugolò quando Dean scivolò fuori di lui stuzzicando l'ano, la presa sui suoi polsi era così stretta che le mani cominciarono a formicolargli. “Chi ti sposerebbe con una bocca così? Nessuno,” disse Dean e lo baciò sulla guancia, sull'angolo della bocca, sbattendo i fianchi di nuovo dentro di lui. Castiel aprì le dita e le richiuse afferrando il nulla. “Proprio nessuno, Cas.” “Mi hai rovinato,” disse Castiel senza voce. “Lo sanno tutti – mi hai rovinato...” “Ti amo,” lo interruppe Dean, la voce roca per l'eccitazione, sussurrandolo al suo orecchio, e Castiel poteva sentire i loro battiti cardiaci, ed ogni centimetro del suo membro dentro di sé, e Dean era così dolorosamente immobile, e Castiel sentì le proprie ginocchia sobbalzare dal letto, flettendo le dita dei piedi nella guaina stretta delle calze, cercando di gestire la cosa. “Ti sposerei... lo farei...” mormorò Dean, e Castiel spinse i fianchi in avanti, facendo un movimento circolare. “Allora sposami,” disse Castiel, senza nemmeno sapere quello che stava dicendo. “Sposami adesso.” Qualunque fosse il controllo che stava obbligando Dean a non muoversi si dissolse. Castiel sentì di colpo la voce ritornargli dalla profondità della gola e gemette mentre prendeva Dean più e più volte in spinte fluide che fecero collimare perfettamente i loro fianchi. “Dillo, Cas,” ansimò Dean, baciandogli il collo. “Cas, ti prego,” quasi mugolò e Castiel sentì la bocca di Dean accarezzare la sua e le sue mani erano improvvisamente libere. Gravitarono verso il viso di Dean, tenendolo fermo mentre questi sfiorava quel punto che rese ogni movimento successivo colorato del bagliore bianco delle luci di Natale. “Cazzo o ti amo?” chiese, baciandolo ferocemente, tirando il labbro di Dean, guardandolo diventare roseo quando lo lasciò prima di leccare di nuovo dentro la sua bocca. Intrecciò la lingua con quella di Dean all'interno della sua bocca, raschiando i denti e sentendo il calore della sua lingua quando venne incontro a quella di Castiel. “Tutti e due,” gemette Dean, ritraendosi. “Merda, Cas.” “Ti amo,” ripeté Castiel, e Dean emise un altro suono più rude e basso. “Dean, ah, toccami–” biascicò Castiel, arricciando le dita dei piedi. Le sue mani scivolarono sulla schiena di Dean, graffiandogli le spalle quando Dean trascinò le dita lungo il suo petto verso il suo membro trascurato. Lo afferrò e in cinque mosse rapide, Castiel affondò le unghie, venendo sul tessuto stropicciato della camicetta da notte. “Cazzo!” Strinse forte i muscoli dell'ano, immobilizzando tutto, e poi si afflosciò. Dean spinse dentro di lui una volta, e poi risucchiò forte un respiro, e ci furono due – tre – leggeri scatti in avanti dei suoi fianchi. Castiel sentì il calore diffondersi dentro di sé e il suo petto si gonfiò quando appoggiò la testa contro la coperta e respirò. Dean aspettò un momento e poi scivolò fuori con un suono umido e Castiel rabbrividì alla sensazione di vuoto. Non gli piaceva e subito afferrò Dean e tirò il suo peso verso di lui, con una mano tra i capelli arruffati e l'altra che gli accarezzava la schiena e la spina dorsale, la pelle morbida all'inizio delle natiche, e poi di nuovo indietro. “Shh,” sussurrò Dean, mettendosi a sedere. Lo baciò con gentilezza. “Amore, shh.” Castiel non si rese conto che stava parlando finché Dean non lo baciò di nuovo. “Lo so... lo so, ti amo anch'io.” Baciò il mento di Castiel, ancora una volta il collo, la pelle così calda contro la sua bocca, mentre lentamente gli sbottonava la parte superiore della camicetta da notte e gliela tirò su. Castiel alzò le braccia e se la lasciò sfilare, poi Dean pensò anche al resto, sganciando le chiusure della giarrettiera. Baciò la coscia di Castiel quando gli tolse le calze, arrotolandole lungo ogni gamba e gettandole sul pavimento. Una volta che Castiel era nudo, si distese, abbracciandolo. La loro pelle si stava raffreddando mentre calava la notte. Una macchina suonò il clacson giù in strada e Dean premette la guancia contro i capelli di Castiel. “Se me ne andassi, terresti le mie cose?” chiese Castiel dopo un istante spostandosi in modo da poter guardare bene Dean. Dean accarezzò con le dita la spalla di Castiel, guardando fuori dalla finestra invece che lui. “Dean?” insistette, toccandogli il fianco. “Sì,” bisbigliò Dean, chiudendo gli occhi. “Ma non te ne andrai,” aggiunse, “quindi non dovrò farlo.”
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“Le persone sposate non si lasciano,” sussurrò Castiel, i suoi occhi si chiusero lentamente e poi li riaprì. Non voleva ancora addormentarsi. “È vero,” disse Dean, la voce pesante. “Non lo fanno.” “Non me ne andrò.” Dean lo baciò sull'attaccatura dei capelli e lasciò che Castiel si divincolasse dal suo abbraccio per tirare la coperta sopra di loro, rimboccandola a Dean e poi infilandocisi sotto, premendo il loro petto insieme. “Rimarremo sposati,” disse Dean a bassa voce, e poi, improvvisamente, si rese conto che il disco si era fermato. “Faremo così. Dobbiamo solo rimanere sposati e poi potremo stare così per sempre.” Castiel girò la testa e lo baciò. “Ci si bacia ai matrimoni,” mormorò, e Dean ricambiò il bacio dopo quello che sembrava un momento di riflessione, e lo baciò più forte di quanto Castiel si aspettasse. Dopodiché, seppellì il viso nell'incavo del collo di Castiel, in silenzio. Castiel chiuse gli occhi, abbracciandolo, il dolore del vuoto tra le gambe si attenuò. “Oh, Dean,” sussurrò, ma non riuscì a pensare a nient'altro da dire. Solo il nome di Dean quando questi gli baciò la clavicola e poi riposizionò la testa, la pelle della fronte ancora umida dove incontrò la spalla di Castiel. Un'altra macchina suonò il clacson, e un piccione volò via con un battito d'ali. “Non me ne andrò,” ripeté Castiel, ma non pensava che Dean fosse sveglio per sentirlo.
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Capitolo IV Novembre, 1967 Era strano come una promessa di tre giorni potesse andare perduta. Castiel era sommerso dallo studio e Dean era fuori tutti i fine settimana per le corse motociclistiche o per allenarsi o per equipaggiare le moto al garage di Bobby. A Castiel non importava che la loro interazione di solito consistesse nel guardare insieme il nuovo episodio di Star Trek mentre memorizzava la terminologia medica, ma con la fine dell'estate arrivò la fine della stagione agonistica di Dean. Dean bighellonava nell'appartamento, dando una sbirciatina nel frigo e lamentandosi di quanto il clima sarebbe diventato più freddo tra poche settimane e dei turni al pub. Cucinava di più, almeno, ed era davvero insopportabile solo quando trasmettevano Ai Confini Della Realtà. Le lamentele di Castiel erano poche. Al massimo Dean faceva solamente lo sciocco, alla peggio era intollerabilmente bisognoso di attenzioni. “Pensi che io sia bello come William Shatner 1?” chiese, appoggiandosi tra le gambe di Castiel, entrambe accalcate sul divano, mentre quest'ultimo stava cercando di buttare giù qualcosa su Shakespeare. L'università era crudele e lo costringeva a frequentare il corso di inglese per renderlo una persona eclettica. Non aveva alcun interesse per Shakespeare a meno che questi non avesse scritto qualcosa su come passare il corso di chimica ed avere ancora il tempo per scrivere saggi di analisi critica. “Tutto è possibile,” rispose Castiel, posando il libro sulla testa di Dean, scarabocchiando qualcosa sul taccuino. Dean sbuffò indignato, aprendo con uno schiocco il tappo del dosatore delle caramelle Pez. Castiel sentì Dean sgranocchiare la caramella. “Guardiamo questo. C'è la bambola inquietante. Però non c'è William Shatner,” insistette Dean mentre partiva la sigla di Ai Confini Della Realtà. Quando Castiel non rispose, gli diede una gomitata alla gamba. “Dean, non posso. Sto studiando.” “Ma studi giorno e notte. Andiamo, guardalo con me. A mala pena riesco a vederti la faccia perché sta sempre ficcata in qualche stupido libro,” si lagnò Dean, cercando alla cieca il telecomando dietro di sé per alzare il volume. Castiel roteò gli occhi e continuò a leggere, tenendo il libro fuori dalla portata di Dean. “Trovati qualcosa da fare,” sospirò, tamburellandosi con la matita il mento. “Spassiamocela un po'.” Dean si girò, guardando Castiel che si rifiutava di incrociare il suo sguardo. “Andiamo,” disse, conficcandogli ininterrottamente un dito nella gamba. “Andiamo, baciamoci o facciamo dell'altro.” “Dean, cosa farò quando dirò ai miei pazienti che non posso aiutarli perché ero troppo occupato a farmi fare un pompino dal mio ragazzo?” borbottò Castiel, cercando di concentrarsi. “Non lo so. Il tuo ragazzo è parecchio bello. È davvero carino, e sa guidare una moto, e sa fare un sacco di cose divertenti.” Castiel si accorse a mala pena delle dita che camminavano lungo il dorso del libro, avanzando lentamente sul bordo. “Se collabori, ti darò una Pez,” continuò Dean ed aprì il tappo del dosatore con un click facendo uscire la caramella. “Sei assolutamente un depravato. Non posso spassarmela con te adesso,” brontolò Castiel, colpendo con la matita la fronte di Dean. “Ti prego, trovati qualcos'altro da fare prima che perda la testa?” “So già quello che voglio fare. Voglio che tu venga con me a letto; spegneremo la luce e mi lascerai mettere le mani nelle tue mutande.” Castiel non lo gratificò con una risposta e Dean si imbronciò, posando per un po' la guancia sul ginocchio di Castiel. “Fai qualcosa questo weekend?” chiese inaspettatamente e Castiel aggrottò la fronte. Alzò lo sguardo dai suoi 1 Interpretava il ruolo del Capitano Kirk in Star Trek.
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appunti e si rassegnò a prestare attenzione a Dean. “Lo sai che non ho niente da fare. Perché me lo chiedi?” Dean si raddrizzò, allungando le gambe, con lo stomaco di Castiel che gli faceva da cuscino mentre guardava la TV. “Probabilmente non ti andrà di farlo perché hai un libro da leggere.” “Dean,” disse Castiel, scuotendo la testa. “Che c'è? Cosa hai in programma? Siamo andati in campagna solo due settimane fa.” “Beh, ti devo una gita in spiaggia,” disse Dean, senza voltarsi. Castiel inclinò la testa con curiosità. Glielo doveva? Quando era stato? “Sai, dopo che ho vinto quella corsa contro Boyd? Ti ho detto che ti avrei regalato tre giorni o qualcosa del genere.” “È stato più di un anno fa.” “Beh, sì, ma comunque sia!” “Ok,” disse Castiel timidamente, chiudendo il libro, “me lo ricordo.” “Lo so che inizia a fare freddo, ma ho pensato che potremmo andare in spiaggia. Non ci sarà tanta gente e se ci andiamo sul presto possiamo avere qualche ora solo per noi. Possiamo fare anche altre cose, tipo visitare il porto turistico o forse andare a trovare tua sorella.” Castiel si pietrificò. “Non penso proprio.” “Però hai detto che si è trasferita lì. E tu la vuoi vedere! Lo so che è così!” Dean si mise a sedere e si girò. Castiel lanciò il libro sul pavimento e aprì le braccia, Dean scivolò in avanti posando la testa sul suo petto. “Non voglio farle una sorpresa del genere. Si è trasferita da mia nonna finché non torna a scuola a Gennaio. E solo perché l'ha detto ad Anna Milton non significa che voleva farmelo sapere,” aggiunse Castiel sottovoce, giocando con i capelli di Dean. Anna era stata gentile a passargli il messaggio quando l'aveva incontrata per aiutarla con una ricerca. Castiel non avrebbe mai ammesso a Dean come avesse cercato con insistenza di carpirle ulteriori informazioni. Rachel non aveva detto molto ad Anna, ma qualunque cosa Castiel avesse scoperto, gli sarebbe stato sufficiente. Dean sospirò contro di lui. “Va bene, allora non andremo a trovare tua sorella. Andremo solo in spiaggia.” “Ci divertiremo,” lo assicurò Castiel. “Possiamo giocare con la tua nuova videocamera.” Dean si illuminò, sorridendo, accoccolato tra le gambe di Castiel, il suo corpo caldo e pesante. “Sarebbe divertente. Filmare tutto quanto o una cosa così,” divagò, spingendo la fronte nella carezza della mano di Castiel. “Non posso credere che ti hanno dato una videocamera invece dei soldi. Avremmo dovuto venderla,” disse, pensandola sullo scaffale nell'armadio, inutilizzata. “Beh, allora venderò la tua Polaroid,” minacciò Dean, e Castiel smise di massaggiargli lo scalpo per pizzicarlo. “Ahio!” “Dico solo che i soldi ci sarebbero serviti. Ci manderai sul lastrico a furia di mangiare.” “Stiamo bene; inoltre, le videocamere sono fiche. Non ne ho mai avuta una. Potrebbe farci comodo un giorno.” “E quando mai una videocamera potrebbe farci comodo?” Castiel rise, strofinando la nuca di Dean, con l'altro braccio intorno alla sua schiena. “Non lo so, dico solo che potrebbe. Un giorno mi ringrazierai per non avertela fatta vendere,” rispose Dean saggiamente, accoccolando il viso ancora di più nel colletto del maglione largo di Castiel. Castiel rise lievemente e fece scorrere le dita tra i capelli di Dean, e poteva sentire le sue labbra sfiorargli la
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clavicola. Mormorò sommessamente, sorridendo. “Quando quel giorno arriverà, mi assicurerò di ringraziarti.” Castiel non aveva idea di cosa portare in spiaggia a parte la videocamera di Dean e la sua Polaroid. Stava facendo freddo quindi era sicuro che l'acqua sarebbe stata ancora più fredda, perciò andare a nuotare era probabilmente fuori questione, ma il solo stare in spiaggia con Dean gli bastava. Mise in valigia un paio di maglioni e camicie, e due paia di jeans insieme alle cose essenziali. A Dean servì il resto della settimana per fare le valigie perché non riusciva a decidersi su cosa portare. In realtà era divertente il fatto che Dean volesse apparire al meglio quando sarebbe andato in spiaggia. Alla fine, Castiel rovistò nel borsone e sostituì alcune delle cose che Dean aveva scelto con indumenti più adatti. L'ultima cosa da mettere in valigia era la videocamera, e Castiel si mise la Polaroid intorno al collo, con il borsone a tracolla, pronto ad andare. Dean uscì dalla camera da letto e si avvicinò a lui, infilando le dita nei passanti dei pantaloni di Castiel per tirarlo contro di sé. “Ci divertiremo questo weekend.” Dean sorrise mentre lo baciava, e Castiel sollevò le mani, facendole scivolare sul petto di Dean per poi posarle sulle sue spalle. “Peccato che non possiamo farlo in pubblico.” Castiel premette il viso sul collo di Dean per un istante prima di ritrarsi, sistemando il borsone sulla spalla e sollevando la fotocamera al viso, guardando attraverso l'obiettivo. Dean distolse lo sguardo e Castiel scattò una foto. La fotocamera ronzò e fece un click prima di produrre una fotografia, e Castiel la tirò via, aspettando un momento prima di togliere la pellicola, rivelando la foto di Dean. “Sei davvero fotogenico, lo sai?” Castiel rise sommessamente, e Dean sorrise quando gli camminò accanto, strappando la foto dalle mani di Castiel. “Ehi!” “Mmm, hai ragione.” Dean ispezionò la foto mentre apriva la porta, camminando nel corridoio del condominio, con Castiel dietro di lui che chiudeva la porta uscendo. “Ridammela, Dean!” Dean non gliela restituì finché non raggiunsero il furgone di Bobby, il loro mezzo di trasporto in prestito per il fine settimana. Le loro cose erano stipate nella parte posteriore, Castiel salì nella cabina, sbattendo lo sportello, lisciando l'angolo piegato della foto. Si sfilò la fotocamera dal collo e la posò sul pavimento, mettendo i piedi sul cruscotto, esaminando i graffi sui mocassini, con la foto ancora liberamente in mano. Dean accese la radio ed entrambi cantarono le canzoni che conoscevano, ridendo ogni volta che si resero conto di aver dimenticato le parole. Il viaggio non era terribilmente lungo, ma Dean non lasciava Castiel guidare, e così finì coll'annoiarsi e si mise a leggere, poi schiacciò un pisolino, svegliandosi quando Dean gli disse che aveva preso una stanza in un piccolo hotel a venti minuti dal mare. “Possiamo andare lì se vuoi. La donna alla reception ha detto che siamo venuti nella stagione sbagliata, ma le ho detto che eri mio cugino in visita da fuori stato e non avevi mai visto il Pacifico prima d'ora.” Castiel sorrise tristemente alla bugia. “Due letti?” sospirò, e Dean annuì. “Ci stringiamo,” replicò, aprendo la parte posteriore del furgone per tirare fuori i borsoni. Castiel lo seguì, e dovette ammettere che in realtà non era così male. Con suo grande sollievo, erano letti da una piazza e mezza, e si mise a sedere su uno dei due quando Dean gettò i borsoni sull'altro. Alzò lo sguardo su Castiel il quale sollevò gli angoli della bocca quando Dean si diresse verso di lui, facendoli poi entrambi rotolare sulla coperta pulita ma leggermente stantia. “Grazie,” sussurrò Castiel, guardando Dean negli occhi, e Dean lo baciò in modo casto. “Grazie a te,” disse Dean a sua volta e Castiel corrugò la fronte, facendo una forte risata. “Per che cosa?” bisbigliò, strofinando il pollice sul mento di Dean. Dean scrollò le spalle. Non rispose mai, e Castiel non era convinto che sapesse esattamente cosa stesse cercando di dire. Lo guardò solo per molto tempo prima di raddrizzarsi e di stirarsi. “Beh, abbiamo un bel po' di tempo da ammazzare prima del tramonto. Vuoi andare a vedere il mare?” chiese, e Castiel sorrise, entusiasta. Attraversarono col furgone la sonnolenta cittadina, seguendo i segnali che portavano alla spiaggia. Dean non disse
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molto, e nemmeno Castiel, che guardava il paesaggio scorrere fuori dal finestrino. Ad un certo punto posò la mano sulla coscia di Dean e Dean tolse la propria dal volante per coprirla. Il finestrino era freddo contro la guancia di Castiel, ed immaginò che il vetro fosse come la sua fotocamera, che inquadrava gli alberi e l'erba che passavano rapidamente, e i suoi occhi l'otturatore, che ricordava tutto, preservando l'immagine insieme agli altri milioni di piccoli ricordi che aveva raccolto da quando stavano insieme. La vera fotocamera giaceva spenta ai suoi piedi, la custodia beige sbatteva ogni tanto contro la sua caviglia. La strada si restrinse e si biforcò, curvando lungo entrambi i lati di una piccola piazzola di sosta. Dove prima la strada era fiancheggiata dagli alberi, adesso si apriva in una pianura che scendeva verso la spiaggia, con il vento che soffiava sull'erba alta e piena di piante infestanti e tra i cespugli bassi e non curati. Dean fece scegliere a Castiel una direzione, ma non aveva importanza. Non c'erano altre auto. I pneumatici scricchiolarono quando Dean svoltò nel piccolo parcheggio, spegnendo il motore e sfregandosi le mani. Guardò Castiel, ma Castiel stava cercando di vedere oltre le rocce davanti a loro, aprendo lo sportello e uscendo, portando con sé gli stivali. Si mise a sedere contro il furgone e si tolse i mocassini, spingendo poi i piedi negli stivali, ascoltando il fruscio di Dean che afferrava il giaccone dal sedile posteriore per infilarselo. Castiel chiuse il pesante sportello del furgone una volta essersi cambiato le scarpe e corse fino al bordo del minuscolo spazio ritagliato come parcheggio. Si avvicinò, scavalcando la parete rocciosa davanti a lui, e poi saltò giù, trovandosi di fronte alla spiaggia. Oltre a ciò, un percorso serpeggiante attraverso l'erba portava all'acqua che si schiantava sulla sabbia. Castiel rimase fermo per un istante, distendendo e piegando le dita contro i palmi, osservando le onde avanzare e ritrarsi, i gabbiani che urlavano in cielo, le loro voci stridenti portate dal vento. Si tuffarono in mare, le loro sagome oscurate dal cielo coperto, mentre il vento tagliava i capelli di Castiel, rendendo le sue guance rosee. Si strinse la giacca a vento, tirando le corde del colletto per chiuderselo intorno al collo, e dopo alcuni secondi ulteriori ad osservare la spuma delle onde, fece un balzo indietro sulla ghiaia, vagando verso il furgone. Prese la coperta che si erano portati e la tenne contro il petto prima di ritornare dov'era, stringendosi tra i massi, entusiasta di scrutare di nuovo la baia. L'acqua grigia si schiantò, e Castiel si ritrovò a sorridere nonostante il gelido umido che minacciava di intrufolarsi nella giacca. Sentì lo strascichio di una scarpa contro le rocce e si girò per vedere Dean scivolare lungo un lato, socchiudendo gli occhi nella brezza, guardando il mare ingrossarsi con una sorta di felicità attenuata. Fece qualche passo finché non si trovò accanto a Castiel, le labbra arricciate, mordendo un lato della bocca in quel modo sbilenco che Castiel amava tantissimo. “Allora?” disse Dean, e Castiel sentì il vento ruggire nelle orecchie e spostò lo sguardo da Dean al Pacifico. Il luminoso disegno a quadri del suo giaccone gli dava l'aspetto di un gigante papavero rosso tra le rocce brulle e il paesaggio sabbioso, con la videocamera dentro la custodia tenuta sotto un braccio. “Da bambini andavamo sempre sulla costa,” rispose Castiel sinceramente. “Ma era durante l'estate.” “Beh, adesso sei grande e vaccinato, quindi ho immaginato avessi bisogno di una nuova esperienza,” gli disse Dean, prendendogli la mano. Castiel lasciò che lo guidasse lungo la discesa verso l'acqua, con gli stivali che riempivano le orme superficiali che Dean si lasciava alle spalle. “Con te tutto è una nuova esperienza,” continuò Castiel sottovoce, arrossendo, una volta arrivati finalmente sulla parte piatta della sabbia, stringendo di riflesso le dita di Dean quando inciampò su un sasso. Gli uccelli marini volavano in cerchio sopra di loro, osservandoli, abbassando le teste, aprendo i becchi per emettere richiami striduli. “Come ti avevo detto!” Dean sorrise. “Tutto per noi!” Castiel guardò la spiaggia deserta e vide che era vero – non c'era anima viva a parte loro due. Era tranquillo tranne che per il movimento metodico delle onde e le grida dei gabbiani. Il sole faceva capolino tra il cielo nuvoloso e si rifletteva a macchioline sull'acqua prima di sparire lentamente dietro le nuvole. Castiel fece cadere la coperta e lasciò la mano di Dean, vagando senza dire una parola verso l'acqua che lo attirava a sé. Poteva sentire Dean che lo osservava mentre procedeva a zig zag sulla sabbia, fermandosi per raccogliere una conchiglia e poi lanciarla in mare, i capelli scompigliati dal vento mentre si avvicinava alle onde scure. Dean non lo seguì, lasciandolo raggiungere la riva, fissando il confine della spiaggia dove l'acqua si ritraeva e si schiantava, e poi scivolava fino alla punta delle sue scarpe. Si voltò verso Dean, occhi spalancati, e Dean sorrise, facendo un passo verso di lui. “C'è un granchio!” disse Castiel, indicando, e Dean lo raggiunse, osservando l'affascinante camminata obliqua della piccola creatura verso l'acqua, fluttuando con i leggeri turbinii che sbattevano senza sosta sulla riva. Castiel lo osservò, incantato, e Dean dolcemente scivolò di nuovo nella consapevolezza che non c'era nessun altro. La
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spiaggia vuota faceva da eco ai suoi pensieri, e Castiel lo guardò, tirandogli giù le maniche del maglione facendole uscire da sotto il giaccone, le sue dita iniziavano a diventare rigide per la costante burrasca che veniva dal mare. Castiel non disse nulla mentre scrutava il viso di Dean – ritornò con lo sguardo sull'acqua, girando la testa per fissare l'angolo ovest del cielo. “Una barca!” commentò, sollevando il braccio, il dito che la seguiva mentre il vascello navigava lentamente attraverso la baia. Non ci fu risposta, ma Castiel agitò la mano in ogni caso e, dopo un istante, anche Dean lo fece. Quando non vennero notati, lasciarono cadere le braccia, le loro dita si sfiorarono prima di intrecciarsi. “Sarebbe bello,” disse Castiel. “Salpare. Sai? Stare fuori in mare così,” fece un cenno alle onde. “Senza nessuno che ti dica come essere o dove andare.” “Da solo?” continuò Dean, tirando la mano di Castiel, infilando l'altra in tasca, conducendolo lungo la riva, osservando le onde avanzare e ritrarsi, sempre abbastanza vicino alle sue scarpe, ma mai fino a toccarle. Castiel scrollò le spalle. La coperta e la videocamera erano un puntino scuro sul pendio, un angolo della coperta stava sbattendo contro il vento come una piccola bandiera blu. “Beh, con te, naturalmente,” si corresse, facendo un ampio sorriso a Dean che rise leggermente, inclinando la testa all'indietro per guardare gli uccelli scendere in picchiata sulle rocce. “Dico sul serio!” stuzzicò Castiel. “Tu ed io. Potremmo prenderci una barca – una di quelle belle, sai, tipo una casa galleggiante o qualcosa del genere! Potremmo navigare intorno al mondo. Sarebbe bello. Scommetto che ti è permesso di baciarmi in acque internazionali.” Dean fece un sorrisetto compiaciuto. “Sono sicuro che mi sia permesso di fare più di quello!” Si ammutolì quando Castiel gli diede un pugno leggero sul braccio. “Non rovinare tutto!” grugnì Castiel giocosamente, e Dean gli lasciò la mano per avvolgere il braccio intorno alle sue spalle, portando bruscamente la sua testa alla propria, baciandogli con forza i capelli, e poi il lato del viso, facendo barcollare Castiel. Castiel mise la mano sul fianco di Dean, nel tentativo di divincolarsi, ma Dean era forte e sapeva che Castiel non voleva distaccarsi. Non veramente. Lo baciò di nuovo, proprio sull'angolo dell'occhio. “Sei così poetico,” sospirò contro l'orecchio di Castiel, per stuzzicarlo, e Castiel gli diede una piccola botta contro le costole con l'avambraccio. Dean però si mise a ridere. “Sei solo geloso perché ho delle ottime idee.” “Forse.” Dean strinse le spalle, rilassando il braccio sulla schiena di Castiel, tenendolo ancora inchiodato al suo fianco. Castiel posò la testa sulla spalla di Dean, appoggiandosi a lui, la sua mano combattiva scivolò intorno alla vita di Dean, sistemandosi sul fianco. “Non era affatto male come idea,” aggiunse Dean, “ma dove andremo quando ci stancheremo? Non ritorneremo mica qui.” Castiel mormorò, tenendo perfettamente il passo con Dean. “Non lo so,” disse Castiel con voce affievolita, guardando la maretta. “Quando sarò medico, guadagnerò il doppio di te e comprerò un'isola.” “Un'intera isola?” disse Dean in tono meravigliato, e Castiel lo strinse, accoccolando la guancia nel calore del suo giaccone e del suo corpo. “Un'intera isola, solo per noi,” promise Castiel, “per quando ci stancheremo di vedere il mondo, o per quando finiremo i dischi da ascoltare, o per quando saremo vecchi. Basterà andare sulla nostra isola. Avrà una baita con un'enorme veranda dove ci sederemo a lamentarci.” “Perché a lamentarci?” Dean rise, e Castiel fissò sognante un punto sull'oceano dietro di lui. “Perché è quello che fanno le persone anziane!” spiegò. “Però se sei con qualcuno che ami davvero, non credo ci sia molto di cui lamentarsi.” “Non lo so,” mormorò Dean dolcemente, spostandosi per mettersi di fronte a Castiel, chinandosi per baciarlo con gentilezza. “Sono sicuro di poter trovare qualcosa di cui lamentarmi.”
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Castiel fece una piccola risata e aprì il giaccone a quadri di Dean, infilando le braccia nel suo calore e avvolgendole intorno al corpo di Dean, posando la testa contro il suo petto. Dean avvolse la braccia intorno a Castiel, tirandolo verso di sé, e Castiel seppellì il viso nell'incavo del collo. “Ci faremo costruire una casa, una bella casa a due piani con un sacco di spazio. E avrà una staccionata bianca.” “Tutto questo su un'isola?” Dean rise e Castiel riuscì a sentire la risata rimbombare attraverso il suo petto, e mise la mani sulle reni di Dean. “Sarà un'isola bella grande.” Si soffermò brevemente, facendo scivolare le dita sotto l'orlo della camicia di Dean, e poté sentire Dean rabbrividire quando le sue fredde dita si posarono sulla sua pelle calda. Castiel si ritrasse leggermente, facendo avanzare le dita sulla pelle di Dean quando alzò lo sguardo verso di lui. Dean sorrise e si chinò per catturare le sue labbra, stringendo le braccia intorno a lui per un istante prima di sollevarne una per far passare le dita tra i capelli di Castiel. Castiel tirò fuori le braccia dal giaccone a quadri di Dean per avvolgerle intorno al suo collo, grattandogli gentilmente con le dita i capelli sottili sulla nuca. Castiel si ritrasse e Dean continuò a baciarlo, sull'angolo della bocca e lungo la mandibola, prima di ritrarsi lui stesso, lisciando con le dita i capelli di Castiel, scostandoli dal viso. “Voglio passare il resto della mia vita con te.” Castiel poteva sentirsi il calore sulle guance, e invece di dire qualsiasi altra cosa, baciò Dean come se stesse morendo per soffocamento, prendendo tutto quello che poteva in quel breve istante. Il braccio di Dean lo tirò più vicino al suo petto, e sorrise contro le sue labbra mentre faceva scivolare le dita dai capelli per posarle sulle sue reni, afferrando la giacca di Castiel. “È un periodo molto lungo.” Castiel sorrise ed accarezzò con le dita la guancia di Dean. “Sei sicuro di voler passare tutto quel tempo con me?” “Darei la mia moto per passare il resto della mia vita con te.” C'era una risata nella voce di Dean e il sorriso di Castiel diventò più ampio. Diede un piccolo bacio alle labbra di Dean, facendo scivolare le mani davanti al suo giaccone. “Sei serio, eh?” “Mortalmente serio.” “Anch'io voglio passare il resto della mia vita con te.” Dean lo baciò di nuovo prima che Castiel si ritrasse, ridendo sommessamente mentre camminava sul pendio della spiaggia verso la coperta dove aveva abbandonato la videocamera, con Dean dietro di sé. La tirò fuori dalla custodia e l'aprì, assicurandosi di averci messo il nastro. “Prova ad immaginare, però,” disse mentre armeggiava con la videocamera, accendendola e puntandola direttamente a Dean. “Un'isola tutta per noi, con il nostro giardino. Potremo invecchiare insieme.” “E diventare anziani litigiosi.” Dean rise sommessamente, rifuggendo dalla videocamera, ma Castiel la teneva fissa su di lui, guardandolo attraverso l'obiettivo. “Sarebbe bello.” Dean continuava a rifuggire dalla videocamera prima di afferrarla e toglierla dalle mani di Castiel, puntandola su di lui. Castiel aggrottò la fronte e si strinse la giacca addosso, voltandosi per guardare verso il mare. Il vento gli soffiava i capelli dal viso, e dovette socchiudere gli occhi. La brezza fece diventare rosee il suo naso e le sue guance, e Dean venne più vicino a lui. Castiel distolse la sua attenzione dal mare e la rivolse a Dean, sorridendo mentre camminava verso di lui, spingendo via la videocamera per baciarlo prima di girarsi, dirigendosi verso la costa. Dean sollevò la videocamera e lo seguì. “Potremmo vedere il mondo su una barca.” Castiel si girò, lentamente, attentamente, camminando all'indietro mentre parlava a Dean. “Immagina tutti i posti dove potremmo andare su una barca!” Gettò le braccia in aria, facendo un gran sorriso, e Dean rise dietro la videocamera. “Ho sempre voluto viaggiare. Non ho mai trovato il tempo di farlo,” ammise Dean mentre seguiva Castiel per la spiaggia con la videocamera, attento a non inciampare sulla sabbia. Castiel si fermò e si mise le mani in tasca.
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“Ti amo, lo sai. Ti amo così tanto, Dean.” Castiel poteva vedere Dean sorridere dietro la videocamera, e tirò fuori le mani dalle tasche e camminò verso di lui, prendendo il viso di Dean tra le mani per baciarlo. Quando si ritrasse, vide che Dean aveva messo via la videocamera e l'aveva puntata su di loro, filmando tutto quanto. Avrebbe dovuto saperlo che Dean avrebbe fatto qualcosa del genere. “Ti amo anch'io.” Dean gli baciò la punta del naso, le labbra calde contro la sua pelle fredda, e Castiel premette il viso sul collo di Dean. Sentì Dean spegnere la videocamera quando avvolse delicatamente un braccio intorno a lui, e fece scorrere la mano sul giaccone a quadri di Dean, il tessuto morbido sotto il suo palmo. “Però un giorno dovremmo comprarci una casa. Non voglio vivere in un appartamento per sempre.” “Costa meno di una casa.” Dean scrollò le spalle, e Castiel fece scivolare una mano nel giaccone di Dean, posando le dita sul suo petto. “Sì, beh, guadagnerò abbastanza soldi per entrambi, e poi potremmo comprarci una casa solo per noi. Forse una casa lontana da tutti quanti così non dovremmo avere a che fare con le persone.” “Stai cercando di farci diventare dei reclusi?” sbuffò Dean, sollevando una mano per tirare con gentilezza i capelli di Castiel, e Castiel lo pizzicò attraverso la camicia, ridendo quando Dean imprecò. “Lo sai cosa intendo. Non voglio che ci venga fatto del male.” “Cas, non permetterò a nessuno di farci del male.” Castiel si ritrasse per guardare il viso di Dean. Era serio, i suoi occhi verdi risoluti e la mascella rigida. La mano di Dean vagò tra i suoi capelli, gli accarezzò la guancia, e sorrise dolcemente. “Non permetterò che ti venga fatto del male.” “Lo so.” Castiel sorrise e lo baciò prima di ritrarsi, allontanandosi da lui. “Ho dimenticato la mia fotocamera nel furgone. Torno subito!” Castiel agitò la mano una volta prima di correre attraverso la spiaggia, arrampicandosi sulle rocce per raggiungere il furgone. Aprì lo sportello, allungò la mano, ed afferrò la sua fotocamera, sbattendo lo sportello dietro di sé, il suono del metallo forte nel silenzio. Ritornò alla spiaggia, infilandosi la cinghia da collo sulla testa lasciandola penzolare contro il suo petto, e notò che Dean aveva la videocamera accesa, puntata direttamente su di lui. Sorrise e sollevò la fotocamera, fermandosi a guardare attraverso l'obiettivo per scattare da lontano una foto a Dean. La fotocamera ronzò e fece un click, e Castiel tirò fuori la foto, lasciando cadere la fotocamera sul petto. Tolse la pellicola quando raggiunse Dean, guardando nella videocamera come se stesse guardando direttamente il viso di Dean, sollevando la foto per mostrargliela. “È venuta bene!” La mise in tasca, attento a non piegare gli angoli, e camminò lungo la spiaggia, girandosi ogni tanto per assicurarsi che Dean lo stesse seguendo. Era difficile sentire i suoi passi con il rumore delle onde che si schiantavano sulla riva, ma riusciva a percepire che era lì. Scattò alcune foto al mare, fermandosi a guardarle prima di annuire a se stesso e metterle in tasca. Fece foto all'erba alta vicino alle rocce, mettendo anche loro in tasca. Più che altro, fece foto a Dean dietro la videocamera, Dean con la videocamera, qualsiasi cosa di Dean. Alla fine, però, la fotocamera finì il rullino e rimase con le tasche piene di foto e una fotocamera vuota che gli penzolava dal collo. Il sole stava quasi per tramontare e il cielo si stava scurendo. Il vento era aumentato ed era più freddo di prima. Castiel si strinse la giacca addosso e Dean spense la videocamera, muovendosi verso Castiel per avvolgere il braccio intorno alle sue spalle, tirandolo al suo fianco e baciandogli i capelli. “Pronto a tornare?” Castiel annuì e lasciò che Dean lo conducesse fino al furgone, fermandosi a raccogliere la coperta da dove l'avevano lasciata. Il viaggio di ritorno fu tranquillo, Castiel era stanco per il freddo; posò la testa sulla spalla di Dean, e Dean tenne il braccio intorno alle sue spalle mentre Castiel si addormentava cullato dalla musica smorzata che proveniva dalla radio. Si svegliò dopo un po', quando Dean lo scosse con gentilezza e lo scansò, passando le dita tra i suoi capelli.
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“Su, andiamo dentro e mettiamoci a letto.” Castiel sorrise e strisciò fuori dalla cabina del furgone, seguendo lentamente Dean verso la loro stanza. Era calda ed accogliente, e tirò fuori le foto dalle tasche e le mise sul letto in più dove si trovavano i loro borsoni; sapeva che non l'avrebbero utilizzato. Si sfilò la giacca e si mise a sedere, togliendosi gli occhiali e posandoli sul comodino tra i due letti, strofinandosi gli occhi con una mano. Dean si mise a sedere sul letto di fronte a lui, senza giaccone e scarpe. Castiel si tolse gli stivali calciandoli, e Dean tese le braccia verso di lui; Castiel strisciò sul suo grembo ed avvolse le braccia intorno al collo di Dean, chiudendo gli occhi. “Ti sei divertito oggi?” Castiel annuì e si accoccolò ancora di più a Dean. “Ho fatto un sacco di belle foto.” “Ci torniamo domani mattina, che ne dici?” Castiel annuì e si alzò dal grembo di Dean per mettersi a sedere accanto a lui, afferrandogli l'orlo del maglione per tirarlo sopra la sua testa. Dean gli fece la stessa cosa e poi si tolse i pantaloni, aiutando Castiel a sfilarsi i propri quando si arrese a sbottonarli, troppo stanco per combatterci. Dean rise sommessamente e tirò le coperte sopra di loro mentre si sistemava accanto a Castiel, con il braccio intorno alla sua vita, premendo il viso nei suoi capelli. Castiel si premette a sua volta contro di lui, mormorando lievemente. Dean distese le dita sopra il suo stomaco, e Castiel sollevò la mano per posarla su quello di Dean, e Dean emise una risata sospirata nei suoi capelli. “Che c'è di così divertente?” borbottò Castiel, le parole un po' impastate. “Niente. Torna a dormire, Cas.” *** Il giorno seguente dormirono fino a tardi, uscendo dalla loro stanza d'hotel un po' dopo le due. Mangiarono cibo messicano in un piccolo ristorante a buon mercato lungo la strada per la spiaggia, teste chinate sul tavolo da picnic nel retro, sorridendosi timidamente, sfiorandosi le gambe tra le panche. Parcheggiarono nello stesso posto, guardinghi quando videro un altro furgone sulla ghiaia, ma la spiaggia era comunque deserta. “Probabilmente pescatori,” spiegò Dean, mettendosi a sedere sulla sabbia, armeggiando con la videocamera. Castiel si appoggiò contro la sua gamba, tentando di decidere se il sole avesse scaldato la sabbia abbastanza da fargli togliere gli stivali. Decise di non farlo ed osservò l'acqua avanzare e ritrarsi, con il mento appoggiato sulle braccia conserte. Prima avevano scandagliato le pozze di marea, Castiel si era accovacciato davanti ai piccoli laghetti superficiali, affondando con esitazione le dita nell'acqua e sorridendo a tutti i piccoli granchi e alle piante marine, con Dean chinato sopra di lui ad indicargli le cose. Adesso si copriva con la mano il viso dal sole abbagliante dietro le nuvole, gli uccelli continuavano ad urlare sopra le loro teste. Gli avanzi del pranzo erano in un sacchetto di carta ai loro piedi, all'interno l'ultima delle quattro tortillas di farina. “Com'è il nastro?” chiese dopo un istante, senza guardare Dean. Sentì la spalla di Dean urtare la sua quando scrollò le spalle. “Ce n'è parecchio.” Castiel annuì, sospirando, fissando le onde. “A cosa stai pensando?” Dean sorrise, grattandogli la manica. Castiel inclinò la testa, sistemandosi sulle sue braccia. Non sapeva come spiegarlo. Sapeva solo che non aveva mai, in tutta la sua vita, in tutta la loro relazione, amato nessuno, Dean, in un modo così assoluto come ora. C'era una sorta di mestizia in questa sua consapevolezza – non si sarebbe mai rimpadronito di questo istante, lo sapeva. Era come leggere un libro per la prima volta, o il momento dopo la fine di un film quando ti rendi conto che cosa significasse. La certezza arrivò e se ne andò e Castiel prese un respiro profondo ed iniziò ad alzarsi in piedi. Dean lo guardò raddrizzarsi e Castiel sorrise all'acqua. Ogni volta che toccava la riva, era nuova – era innamorarsi tutto daccapo,
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dimenticarsi di ciò che veniva prima, e quell'onda era l'onda più preziosa solo per quel secondo, e poi si ritrasse. Era un ciclo infinito, immutabile come l'alba. L'aria salata era fresca e umida quando inspirò, calda e bagnata quando espirò. “Dove stai andando?” chiese Dean, e quando Castiel si girò da sopra la spalla, Dean aveva in mano la videocamera che lo inquadrava. Castiel agitò la mano. “Vuoi che venga con te?” “Ti amo!” disse, e Dean rise; evidentemente Castiel non l'aveva sentito. O forse sì. Comunque sia, sembrava stesse a posto. “Lo so!” urlò in risposta e Castiel scosse la testa. No, non lo sai, pensò, ma non aveva importanza. Un giorno Dean avrebbe capito. Castiel continuò a camminare lungo la spiaggia, consapevole che Dean lo stesse ancora guardando, e raccolse una conchiglia, gettandola in mare, dove toccò il fondo. Ne raccolse un'altra, strofinando le mani sulle creste. Era pallida con strisce indistinte, e l'interno era liscio per la schiuma delle onde e per la sabbia. La lanciò. “Voglio vederti!” urlò Dean, e Castiel ubbidì, girandosi e agitando ancora una volta la mano. Racchiuse le mani intorno alla bocca, e gridò, “ti amo!” Dean sorrise, il vento che portava la sua voce a lui. Castiel lasciò cadere le braccia, e Dean percepì che c'era qualcosa di diverso. L'aria era cambiata. Dopo che aveva urlato, l'aria si era trasformata. Castiel era incorniciato in quella piccola finestra, in quel piccolo istante, e quando si voltò qualcosa in Dean si protese, volendo vedere il suo viso di nuovo. Castiel invece camminava vicino all'acqua, gettando un'altra conchiglia. Dean abbassò la videocamera dal suo occhio. Il suono della voce di Castiel nel vento sembrava troppo fievole nei suoi ricordi. Voleva sentirla di nuovo, cercare di ricatturare quel secondo che se n'era già andato, tanto improvviso ed irrompente quanto gli uccelli che sbattevano le ali sopra le loro teste. Aprì la bocca con l'intenzione di dire qualcosa, ma non fuoriuscì nulla. Le onde sguazzavano, e il vento ruggiva nelle sue orecchie e dentro la maglia lavorata ai ferri. Si era tolto il giaccone a quadri, e Castiel aveva solo la giacca a vento, che svolazzava intorno alla sua vita stretta come una bandiera devastata dalla guerra. Castiel si soffermò, guardando lo stormo di uccelli che sfrecciava sopra la sua testa e verso il mare. Si infilò le mani in tasca, osservando la sagoma dei volatili confondersi con le nuvole, le loro ali fondersi insieme finché non si distinsero più. Il sole si affacciò tra le nuvole, illuminando la schiena di Castiel e poi ombrandola di nuovo. Qualcosa di quella scena turbò Dean; il modo in cui Castiel si poneva, la sua figura così lontana, le mani tese così semplicemente lungo i fianchi. Dean voleva chiedergli di ritornare, di camminare verso di lui, ma Castiel era così fissato sull'oceano che Dean quasi rimpianse di avercelo portato. Girati, voleva dire. Voglio vederti. Grida ancora. Ma non ci riuscì. Come se avesse percepito il disagio di Dean, Castiel si girò ancora una volta ed agitò una mano alla videocamera. Dean rispose al saluto, e un'onda si schiantò, l'acqua sfiorò gli stivali di Castiel, ritornando poi nel mare; le conchiglie lasciate indietro brillavano come piccoli cimeli scintillanti, il loro interno setoso e iridescente, baluginante di blu, indaco e strisce di verde. Rotolarono indietro con l'acqua, cadendo nella risacca, con il sole che risplendeva su di loro. Erano come piccoli gioielli che venivano trascinati via, qualcosa di strano e glorioso, e Dean sapeva che se Castiel si fosse avvicinato di più, avrebbe visto il loro mezzo guscio frastagliato, con esposto l'interno macchiato. Quegli interni scintillanti, come se Dio ci avesse premuto il pollice, lasciando la sua impronta luccicante. Si domandò se Castiel fosse così – se Dio avesse lasciato la sua impronta su di lui. Dean non voleva saperlo; significava dover aprire Castiel per scoprirlo, ma alla fine, sarebbe stato bellissimo al suo interno, Dean lo sapeva. Quel tipo di bellezza che quando la inclinavi tra le mani, potevi vedere quel tenue viola fumoso e frammenti di sole ancora prigionieri dentro di lui. Dean abbassò la videocamera dal suo occhio e la posò gentilmente sulla coperta, e Castiel stava ancora guardando il mare, con i capelli marrone scuro scompigliati all'indietro dal vento.
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Era quel genere di cosa che ti faceva piangere. *** Quella notte fecero l'amore lentamente, il materasso a molle gemeva ad ogni spinta, ma nessuno dei due lo notò. Dopodiché, Castiel accarezzò la schiena di Dean, la propria pelle arrossata e calda nella piccola camera. Quando chiuse gli occhi nel buio, poteva vedere linee indistinte blu scuro e macchie viola e verdi come i fuochi d'artificio che vengono ogni volta che ci si sfrega gli occhi con vigore. Rimasero per un momento e poi evaporarono – un'apparizione fugace. Castiel sospirò nel sonno e Dean cercò di smettere di pensare. Sulla strada di casa, Castiel si appoggiò serenamente contro il poggiatesta. Sembrava si fosse addormentato, ma non lo era. Non voleva rovinare l'immagine di una spiaggia vuota e dell'oceano infinito guardando il paesaggio o la strada nuda. Anche quando Dean gli disse che avevano filmato tutto, quindi non importava, scrollò le spalle e tenne gli occhi chiusi. “Mi è piaciuto tanto,” mormorò. “Dovremmo ritornarci.” “Lo faremo,” aveva detto Dean dolcemente sopra il suono vibrante e distorto di una chitarra, “te lo prometto.”
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Capitolo V Dicembre, 1969 L'avevano letto sui giornali, naturalmente. Tutti l'avevano letto. La notizia uscì prima di Natale, e Castiel fissò il titolo in prima pagina, senza sbattere le palpebre, prima di spostarsi in cucina. Dean si fiondò sul meteo invece, lamentandosi del freddo mentre Castiel metteva su il caffè. “Mettiti un altro maglione, perché non alzerò il riscaldamento,” disse Castiel, riempendo la tazza di Dean, “non ce lo possiamo permettere adesso.” Dean sbuffò, girando un'altra pagina. “Il reclutamento è domani1,” commentò, e Castiel annuì, mescolando lo zucchero nella propria tazza. “Staremo a vedere, immagino,” replicò. “Immagino di sì.” La pagina crepitò quando Dean la stese. “Non posso credere che sabato sarà così freddo. È una presa in giro...” Castiel osservò il latte vorticare nel caffè, facendolo diventare dello stesso colore di una caramella mou. “Domani è davvero il primo Dicembre? Mi sembra ieri che c'è stato il Ringraziamento,” mormorò, aggrottando la fronte. Non c'era niente che non andava. “Nevicherà in anticipo quest'anno,” continuò Dean, “ci scommetto.” “Lo dici da quasi quattro anni, Dean, e ti sbagli ogni anno,” sottolineò Castiel, girando ancora il cucchiaino nella tazza con fare assente. Dean alzò lo sguardo dal tavolo. “Mi stai provocando o che?” La risata di Dean distolse di colpo Castiel dai suoi pensieri, e gli passò il caffè, facendolo scivolare attraverso il tavolo. Gli occhi di Dean non si staccarono dal giornale mentre beveva, digrignando i denti. “Vuoi un po' di toast?” “No, sto a posto così.” Castiel annuì e bevve il proprio caffè, strofinando i calzini di lana contro le gambe della sedia quando arricciò le dita dei piedi. “A lavoro le mance dovrebbero essere buone. È Dicembre, quindi ricordati di essere cortese e di augurare buone feste,” disse in tono scherzoso, e Dean sollevò le sopracciglia, ancora leggendo. “È sbagliato,” disse Castiel all'improvviso, con il viso accaldato. “È sbagliato che facciano una cosa del genere.” “Non possiamo farci nulla,” disse Dean con gentilezza, senza alzare ancora lo sguardo. “Quindi è inutile arrabbiarsi. Non possiamo farci nulla.” “Possiamo, se solo ascoltassero per mezzo secondo e capissero che non stiamo facendo nulla di buono laggiù,” continuò Castiel, stringendo la mano intorno alla tazza. Dean scosse la testa. “Cas, ti prego. Non adesso.” “Non mi piace. Non mi piace affatto,” sussurrò Castiel, e Dean sospirò, piegando il giornale e schiaffandolo sul tavolo. “Non accadrà nulla,” disse Dean nel tentativo di consolarlo, ma Castiel corrugò la fronte. 1 Il primo Dicembre 1969, per far aumentare il numero di chiamate al servizio di leva, venne messo in atto il sistema di reclutamento chiamato Draft Lottery: in una scatola venivano inserite 366 capsule di plastica contenenti i numeri da uno a 366 (una capsula per ogni giorno dell'anno, compreso il 29 febbraio). I numeri venivano estratti a sorte e ad ogni numero corrispondeva una data di nascita. Chi aveva la sfortuna di nascere in quel giorno tra il 1944 e il 1950 era chiamato a servire gli Stati Uniti nella guerra in Vietnam. Con il metodo del 1969, alla data di nascita di Dean, il 24 Gennaio, corrispondeva il numero 59.
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“Questo non lo sai!” sbottò, e Dean lo fissò per un istante prima di ammorbidire l'espressione in viso. “Andiamo a cena fuori,” disse Dean con entusiasmo, tentando di cambiare discorso, e Castiel grugnì, pensando ai moduli di domanda per le facoltà di medicina che ancora doveva compilare. “Devo sul serio vestirmi?” borbottò, incurvando le spalle, e Dean rise, alzandosi in piedi e scompigliandogli i capelli. “Andiamo, sono giorni che giri per casa come un'anima in pena. Usciamo.” “Non mi va,” mormorò Castiel, ma Dean era già fuori portata d'orecchio. Toccò il giornale e lo girò in modo da avere davanti il titolo in prima pagina. Lo fissò per un po' e poi capovolse il giornale, strofinandosi il viso con stanchezza. Forse si era preso qualcosa. Rimase seduto in silenzio, ascoltando Dean che camminava per la camera da letto, aprendo e chiudendo l'armadio, il rumore dei passi pesanti significava che Dean si era messo gli stivali. Castiel era perso nei suoi pensieri, con la mano che si muoveva sul giornale prima di ritornare ad avvolgere le dita intorno alla tazza. Sobbalzò quando sentì una mano sulla spalla e Dean che si chinava per baciarlo sulla guancia. “Andiamo, Cas, preparati così possiamo andare a mangiare.” Castiel scosse la testa e portò la tazza alla bocca, prendendone un sorso prima di posarla sul tavolo. “Non mi sento bene. Possiamo andarci un altro giorno?” Chiuse gli occhi quando Dean gli accarezzò i capelli, con il palmo sulla fronte, e Castiel sollevò una mano per stringere il polso di Dean. Dean gli baciò i capelli, spostando la mano sulla sua spalla, e Castiel si rilassò nel suo tocco, afferrando di nuovo la tazza. “Sì, ci andremo un altro giorno.” Dean si allontanò e ritornò in camera da letto, il giornale sul tavolo un costante promemoria di quello che stava per verificarsi. I moduli di domanda per le facoltà di medicina rimasero ignorati per il resto della serata, e mangiarono gli avanzi degli spaghetti della sera prima, con Dean che dava dei colpi leggeri col piede sul polpaccio di Castiel, sorridendogli sopra la forchetta. Castiel rise sommessamente mentre mangiava, allungando attraverso il tavolo la mano per prendere quella di Dean. Dean intrecciò le dita con quelle di Castiel e mangiarono in un silenzio confortevole, urtando i piedi sotto il tavolo, entrambi ridendo. Guardarono Star Trek, con la testa di Castiel sul grembo di Dean, il quale passava le dita tra i capelli di Castiel, districandogli i nodi dato che non si era pettinato per tutto il giorno. Castiel non stava prestando molta attenzione all'episodio, ma ogni tanto Dean rideva, e a Castiel bastava ascoltare la sua risata. Ad un certo punto era scivolato nel sonno, e quando si svegliò, la televisione stava solo trasmettendo lo statico, e la mano di Dean era ancora sulla sua testa. Si sfregò gli occhi e si mise a sedere, Dean grugnì quando la sua mano cadde sul divano, e Castiel si avvicinò, facendo scorrere le dita tra i capelli di Dean, chinandosi per sfiorargli la guancia con le labbra. “Dean,” sussurrò, e Dean emise un ronfo ritraendosi. Castiel non riuscì a fare a meno di ridere quando Dean aprì a fatica gli occhi, sollevando la mano per strofinarli, mugolando. “Che c'è?” “Su, andiamo a letto. È tardi.” Dean annuì e gentilmente baciò Castiel prima di alzarsi dal divano, spegnendo la TV mentre si dirigeva in camera da letto, e Castiel lo seguì, sfilandosi nel frattempo uno dei maglioni. L'appartamento era freddo, e il pavimento era freddo sui suoi piedi nudi, ma il letto era caldo quando scivolò sotto le coperte, raggomitolandosi immediatamente su Dean, con la testa premuta sotto il suo mento. Mormorò sommessamente quando Dean fece scivolare la mano lungo la sua schiena, infilando le dita sotto l'orlo del maglione per posarle sulle reni. Castiel avvolse il braccio intorno alla vita di Dean, premendosi su di lui il più possibile, spiegazzandogli la maglietta quando Dean premette il viso sul colletto del maglione. “E se–” “Non dirlo,” lo interruppe Dean e Castiel scosse la testa. Si sentiva la gola stretta, ma non voleva piangere, non
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davanti a Dean, non adesso. “Non vado da nessuna parte. Non ti lascerò.” “Me lo prometti?” Castiel sussultò quando sentì la propria voce rotta, ma Dean strinse il braccio intorno a lui e gli baciò la fronte, e Castiel si rilassò, anche se solo un poco. “Te lo prometto.” Castiel non si sentiva meglio quando si svegliò, e rimase a letto più del dovuto, e sapeva che Dean era stufo del suo comportamento. “Ti stai tormentando con questa cosa, ed è inutile,” brontolò Dean, vestendosi alla rinfusa mentre Castiel si deprimeva, fissandolo dal cuscino. Non era impressionato da come Dean la prendesse bene. Non era sollevato dal fatto che Dean non fosse preoccupato o ansioso o nervoso. Lo faceva imbestialire. “Non significa davvero niente per te il fatto che potresti venir arruolato oggi?” sbraitò, mettendosi a sedere, spingendo la mano di Dean lontano da sé. Fissò le lenzuola. “Come cazzo fai a rimanere così indifferente?” “E anche se significasse qualcosa per me?” rispose Dean seccamente, gettando le braccia in aria. “Anche se fosse così, che cosa potremo mai fare? Non possiamo farci niente. È quello il punto! Non dipende da noi!” “Potresti almeno comportarti come se fossi arrabbiato!” ruggì Castiel, calciando via le lenzuola e spintonando Dean quando andò verso il comò. Rovistò tra i cassetti, buttando le magliette sul pavimento. “Potresti almeno comportarti come se te ne fregasse qualcosa!” “Che cosa vuoi da me?” urlò Dean, e non era questo ciò che voleva Castiel. Non lo era. Non oggi. “Vuoi che rompa qualcosa? O che mi metta a piangere? Perché non lo farò perché non cambierebbe nulla! Se servisse a qualcosa, lo farei!” “Vorrei solo che dicessi di avere paura!” gridò, sbattendo con forza il cassetto. Qualcosa saltò fuori e colpì il pavimento. “Vorrei che dicessi di avere paura e che non vuoi andarci. Qualcosa. Basta con tutte le stronzate che mi propini sul fatto di non agitarmi.” “Non voglio!” disse Dean bruscamente, sedendosi con pesantezza sul letto. Castiel strinse i denti. “Non ho alcuna intenzione di fare niente del genere.” “E allora quando lo farai?” sbottò Castiel, voltandosi alla fine di scatto verso di lui. Dean era accasciato su se stesso, con la testa tra le mani. “Non lo so,” rispose Dean con calma. “Ho paura, va bene? Ecco, l'ho detto. Ho paura, ma sono anche pratico e so che la paga è buona.” Castiel chiuse gli occhi, i lineamenti del viso contorti. “Perché continui a dirlo? Sono mesi che lo dici,” sibilò, “troverò un altro lavoro. Posso aspettare uno o due semestri, perché continui a dirlo? Lo so che faccio storie, ma non siamo così a corto di soldi, e non ti chiederei mai di arruolarti.” “Perché è vero! Tutti i miei amici del garage sono andati, Cas! Sono tutti laggiù, e gli sta andando molto bene!” “Smettila di parlare in quel modo!” gridò Castiel, “smettila di parlare in quel modo, non lo sopporto! Per noi è diverso!” “Come diavolo fa ad essere diverso? Hanno delle mogli, Cas, alcuni di loro persino dei bambini – !” “È come se nemmeno te ne importasse, vero? Quello che rischiamo? Ogni giorno che stiamo insieme, rischio di perderti! Non lo capisci? Potrebbero sfrattarci, o qualcuno potrebbe farti del male solo perché stai con me, e ora tu vuoi prendere in mano una pistola e finire in una cazzo di giungla! Grazie, è così rassicurante!” Dean mise le mani piegate tra le ginocchia quando Castiel uscì infuriato dalla stanza ed entrò in bagno sbattendo la porta. Dean guardò il pavimento e si alzò in piedi, bussando sul legno della porta. “Cas, andiamo,” implorò. “Andiamo, vuoi davvero fare così oggi?” Castiel si appoggiò al lavandino e respirò profondamente. “Lo capisco,” disse Dean, la voce più addolcita, “lo capisco, va bene? Lo so – lo so che è diverso.” Castiel non rispose. “Non mi piace pensare a quella merda, lo sai – ma non mi puoi fare lo sciopero della parola.” Castiel rimase immobile.
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“Vuoi sul serio fare così?” La voce di Dean stava diventando di nuovo roca. “Sai una cosa? Va bene. Fa' come ti pare. Resta pure muto, non me ne frega niente.” “Fai sempre così,” mormorò Castiel, e Dean aprì la porta. “Cosa?” “Ho detto che fai sempre così. Non te ne frega mai niente. Continui imperterrito ad andare avanti, infischiandotene delle conseguenze, e quando io mi fermo a rifletterci sopra, mi fai sentire come un idiota perché non mi butto a capofitto nelle cose.” Afferrò i lati del lavandino. “Dici sempre che penso troppo. Beh, forse ci penso troppo ed è perché tu non ne vuoi parlare, agisci e basta.” “Parlarne sistemerà le cose? Stanotte li guarderemo comunque tirare fuori il coniglio dal cappello, e poi tutto tornerà alla normalità.” “E se invece non sarà così, Dean?” “Non possiamo farci niente comunque! Ci hanno incastrato, Cas! Sono fottuto se rimango qui, e sono fottuto se vengo arruolato, e sono fottuto in ogni caso perché sono un frocio! Lo puoi chiedere a chiunque in giro e ti diranno la stessa cosa!” Dean stava iniziando di nuovo ad urlare, e Castiel lo guardava dallo specchio. “L'ho imparato molto tempo fa che piangerci sopra non risolverà nessuno dei miei problemi, va bene? Non ha riportato indietro mia madre e non mi ha fatto smettere di farmi piacere il cazzo, e non ha impedito a mio padre di togliersi gli anelli quando mi picchiava! Puoi solo andare avanti!” “Quindi non ti fa soffrire?” “Certo che mi fa soffrire! Questa stupida guerra mi terrorizza! Sono terrorizzato da quello che mi farà! Ho visto quelli che sono ritornati – sono dei fantasmi, Cas! Non voglio diventare così! Non voglio diventare metà uomo di quello che ero!” Castiel si voltò per guardare il viso vero di Dean, non il suo riflesso allo specchio. “Ascoltami. Ascoltami sul serio; ogni giorno ti svegli e vai a lavorare e non ti sento per ore, Dean. Lo sai cosa mi fa questo?” Dean aprì la bocca e Castiel continuò, scuotendo la testa. “Non posso prendermi cura di te quando sei a lavoro. Non posso assicurarmi che tu stia bene e che nessuno ti faccia del male, ed è la peggiore sensazione al mondo. Ogni giorno non ho il controllo che hanno le altre persone. Quando quegli uomini vanno al garage, le loro mogli non si devono preoccupare di sentire che sono stati picchiati a morte in un vicolo o che sono stati licenziati per aver dormito con un altro uomo. Cazzo, è già abbastanza guardarti rischiare la vita sul circuito, e adesso stanno cercando di portarti via da me per un anno e io non...” Si rese conto che stava piangendo e deglutì, strofinandosi il viso. Dean sospirò. “Stiamo attenti,” insistette Dean con voce sommessa, camminando verso di lui. “Stiamo sempre molto attenti.” “Quella volta con Alastair – Dean, avrebbe potuto ucciderti.” “Ce l'aveva con me. Eravamo rivali in pista e voleva metterlo sul personale.” “Non prenderla sottogamba quando ho visto quello che ti ha fatto,” grugnì Castiel. “Dean, se non fossi venuto giù per le scale, non ti avrei mai trovato. Saresti potuto morire dissanguato.” “Ma non è successo, e per domani capirai che tutta questa litigata è stata stupida. Verrò chiamato nella fascia più bassa e non ci dovremo preoccupare di nulla. Non mi chiameranno nemmeno.” Castiel sapeva di non poter vincere. “Vuoi andare a mangiare fuori?” chiese, a voce bassa, e Dean annuì, non ascoltandolo veramente. “Certo.” Mangiarono spaghetti al ristorante cinese dell'isolato, e Dean fissò il cielo sereno fuori dalla finestra. “Forse sabato nevicherà,” disse, e Castiel fissò il blu splendente. Sapevano entrambi che era una pia illusione. Ritornarono a piedi all'appartamento, e quando Castiel aprì la porta a Dean gli sorrise e Dean ricambiò il sorriso e, per un istante, tutto andava bene. Castiel chiuse gli occhi nell'ascensore e pensò alla spiaggia di quel Novembre piovoso. Non ci erano ancora ritornati – forse una volta conclusa tutta questa storia, l'avrebbe suggerito. Potevano
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andarci quando sarebbe stato più caldo a nuotare. Sarebbe bello. A Dean piacerebbe. Quando ritornarono, Castiel non riusciva a fare niente di produttivo, quindi fece un sonnellino sul divano. Dean fece finta di leggere il giornale. A metà pomeriggio entrambi avevano bevuto troppo caffè. Si misero a sedere uno accanto all'altro sul divano e quando l'uomo alla TV chiamò il compleanno di Dean nella fascia più alta nessuno dei due disse niente. Dean si alzò ed andò alla finestra, accendendo una sigaretta, appoggiato sul davanzale a guardare il traffico in basso. Castiel rimase immobile, con le dita che giocavano con un bottone allentato del cardigan. Lo contorse finché non si staccò e poi si alzò in piedi. Si recò in cucina, accendendo la luce, ricordandosi che avevano bisogno di far sistemare quel ronzio. Forse era il cablaggio. Forse avevano solo bisogno di una nuova lampadina. La TV era ancora accesa nell'altra stanza e chiamava altri numeri, e Castiel sbatté le palpebre quando aprì il frigorifero, tirando fuori il latte. “Oh,” mormorò, prendendo uno strofinaccio – il latte gli era scivolato dalle mani. Cadde in ginocchio, sbattendo con la spalla contro lo sportello del frigorifero facendolo oscillare, ed iniziò a pulire, ma il latte sembrava spargersi dappertutto. Il cartone era ancora rovesciato; era probabilmente quello il motivo. Pensò di raddrizzarlo, ma le sue mani continuavano a muoversi sul latte freddo, raccogliendolo verso lo strofinaccio. “Fermati,” disse Dean, e Castiel non l'aveva sentito entrare. Era occupato a cercare di ripulire. “Cas, fermati.” “Va tutto bene,” rispose Castiel. “Va tutto bene. È tutto a posto.” “Cas... amore, fermati,” sussurrò Dean, cercando di togliergli lo strofinaccio dalle mani, ma Castiel non aveva ancora finito. “Va' a sederti, ci penso io qui,” insistette, ma la sua voce stava cominciando a diventare più acuta in gola. La ingoiò, calmo. “Va tutto bene. È tutto a posto, si sono sbagliati. Non è niente.” Dean gli mise le mani sulle spalle e lo costrinse a raddrizzarsi, gli occhi verdi sbarrati e pieni di preoccupazione. “Cas,” disse, e Castiel scosse la testa. “No.” “Amore, devi tenere duro,” bisbigliò, strofinandogli le spalle. “Non ti agitare.” “Sto bene,” pianse Castiel, e tentò di divincolarsi dalla presa di Dean, e i pantaloni erano imbevuti di latte, il che significava che avrebbe dovuto lavarli quella notte. Riuscì a liberarsi e mise la mano sul bancone, determinato a sollevarsi, ma trovò che il suo corpo fosse troppo pesante. Diede alla colpa ai pantaloni intrisi di latte. Diede la colpa al latte anche quando cedette e si piegò in avanti. “No, no, no,” mormorò, e Dean gli toccò il viso e il collo come se non sapesse cos'altro fare. Andava tutto bene. Perché Dean non capiva che andava tutto bene? Si erano sbagliati, latte versato, bastava ripulire, era inutile piangere, giusto? Era inutile piangere perché non c'era nulla che potessero fare, quindi perché stava piangendo? Perché stava piangendo adesso quando non serviva? “I ragazzi vanno e tornano ogni giorno,” disse Dean. “Ogni giorno, Cas.” “Non provare a razionalizzarlo con me!” gridò Castiel, spingendolo via, “non farlo – non osare... 59, Dean. Eri il numero 59, cazzo!” Seppellì il viso tra le mani. Dean si mise a sedere, stordito, osservandolo. C'era ancora il latte dappertutto e lo infuriava. Digrignò i denti pronunciando qualcosa di incoerente e poi trasalì, tentando di tenerlo a freno. “Cazzo,” borbottò Dean. “Cazzo, c'è latte dappertutto.” Raddrizzò il cartone e Castiel allungò la mano e toccò quella di Dean automaticamente. Stava tremando così forte. Alzò lo sguardo verso gli occhi di Dean e si raggomitolò verso di lui, portandolo contro il petto. “Shh,” sussurrò Castiel nei suoi capelli. “Shh, va tutto bene.” Dean singhiozzò sulla sua spalla, e Castiel lo cullò tra le braccia, con il latte che sciabordava mentre dondolavano. Le mani di Dean gli afferrarono il maglione, affondando le unghie spuntate nella schiena.
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I palmi di Dean erano umidi quando li premette contro di lui. “Cazzo,” mugolò, e Castiel continuò a cullarlo perché non sapeva cos'altro fare. “Stupido latte,” disse Dean con voce soffocata. “Stupido latte dappertutto.” “Lo ripuliremo,” disse Castiel in tono rassicurante, con le guance che gli prudevano dove le lacrime continuavano a cadere. “Non ti preoccupare.” Dean si ritrasse, facendo leva sul corpo di Castiel, alzandosi in piedi. Prese un altro strofinaccio da qualche parte e si rimise sulle mani e sulle ginocchia, finendo quello che Castiel aveva iniziato. Si palpava il viso mentre lo faceva, tirando su col naso e schiarendosi la gola. Sederono in silenzio uno davanti all'altro. Le ginocchia di Castiel dolevano sul pavimento freddo. Si sistemò gli occhiali storti che Dean aveva urtato con la spalla. La quiete era opprimente. Dean fece un respiro forte e Castiel alzò lo sguardo e vide che si stava grattando dietro la testa. “Sarà una cosa rapida. Hanno bisogno di uomini,” disse Dean, e Castiel annuì intontito. Sì, ovvio. Comprensibile. “Quindi ci vorranno fuori di qui velocemente. Dovrò andare alla stazione di reclutamento.” Il telefono squillò, spaventandoli tutti e due. “È Sam,” disse Castiel automaticamente, ma Dean non si mosse. “È Sam,” ripeté Castiel, e Dean si contrasse. “Dovrò mettere la moto in magazzino,” borbottò, strofinandosi la mandibola. Castiel si alzò tremante e si recò in camera da letto, sollevando la cornetta dalla forcella. “Abbiamo appena visto i numeri,” disse Sam precipitosamente, e Castiel attorcigliò il filo del telefono intorno al dito, arricciando e distendendo le dita dei piedi sul pavimento di legno. “Gesù Cristo, non posso crederci. Come sta? Sta bene? È arrabbiato?” “Abbiamo molto di cui parlare,” rispose Castiel blandamente; la lingua era secca e continuava a sbattere sui denti. “La sta prendendo bene, credo, una volta superato lo shock.” “Gesù Cristo. Non ho mai pensato che sarebbe successo, davvero, voglio dire, non ho mai pensato...” disse Sam, le parole gli morirono in bocca, e si allontanò dal ricevitore, bisbigliando qualcosa a Jessica. “Jess è fuori di sé,” mormorò, “assolutamente fuori di sé.” “Starà bene,” disse Castiel, più che altro a se stesso, e sentì Jessica parlare a Sam dall'altro capo della linea. Dean stava bene, non gli sarebbe accaduto nulla. Se ne andava solo per un po' di tempo, ma sarebbe ritornato proprio com'era, e tutto sarebbe andato a posto. Sarebbe ritornato a casa. “Posso parlarci?” “Sì, sì,” disse Castiel lentamente, allontanando il telefono dall'orecchio e posandolo. Ritornò in cucina dov'era Dean, ancora sul pavimento, i suoi occhi erano rossi e il suo viso era bagnato. Castiel si accovacciò davanti a lui. “Sam vuole parlare con te.” Dean scosse la testa e si aggrappò al maglione di Castiel, appallottolando il tessuto nella mani e tirandolo più vicino a sé. Castiel si lasciò trascinare e Dean premette il viso nell'incavo del collo, avvolgendo le braccia intorno a lui. “Non voglio lasciarti.” “Sam vuole parlare con te,” ripeté Castiel quando posò la mano sulla nuca di Dean, strofinando dei cerchi sulla sua schiena con l'altra mano. Castiel lo tenne stretto a sé, cercando di calmarlo. “Che cosa farai?” disse Dean da qualche parte sulla sua spalla, la voce impastata. “Ti aspetterò.” Poteva sentire Dean arricciare le labbra in un sorriso sul suo collo prima di ritrarsi, baciandolo fino a rimanere senza fiato prima di alzarsi e dirigersi in camera da letto. Calò il silenzio per un momento, ma poi sentì Dean parlare a Sam nell'altra stanza. Castiel si passò una mano tra i capelli. I suoi pantaloni erano bagnati per il latte, anche il suo maglione, e il pavimento non era stato ancora completamente ripulito. Prese un altro strofinaccio dal bancone e finì di asciugare il latte rimasto sul pavimento prima di alzarsi e buttarlo nel lavandino con l'altro. Ci avrebbe pensato in seguito una volta che le cose si fossero calmate e stabilizzate. Non riusciva a sentire quello che Dean stava dicendo e, a dire la verità, non lo voleva sapere. Non voleva affatto
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concentrarsi su quello che stava accadendo. La voce di Dean aumentò di volume per un momento prima di ammutolirsi, e Castiel si recò in camera da letto, togliendosi il cardigan e la camicia al di sotto. Li lasciò cadere sul pavimento senza tante cerimonie, spostandosi verso l'armadio per tirare fuori un maglione asciutto. Ignorò Dean al telefono, infilandosi il maglione sulla testa e tornando in salotto. Il televisore era ancora acceso quindi lo spense, attraversando la stanza verso il giradischi. Lo accese e diede una scorsa agli album, tirandone fuori uno e mettendolo sul giradischi, trovando la canzone che voleva. Era un'azione calmante, lasciar cadere l'ago in posizione. Il crepitio degli altoparlanti ruppe il silenzio, e poi la musica iniziò a suonare. Castiel si accasciò sul tappeto, tirando le maniche sulle mani per strofinarsi gli occhi mentre Elvis cantava. Non sapeva cosa avrebbe dovuto fare con se stesso una volta che Dean se ne sarebbe andato. Certo, avrebbe continuato ad andare a lezione, forse avrebbe trovato un lavoro per mantenere un tetto sulla testa, ma avrebbe aspettato che Dean ritornasse a casa. Avrebbe aspettato che Dean ritornasse a casa illeso, rimanendo lo stesso del giorno in cui sarebbe partito. La canzone finì e Dean emerse dalla camera da letto e si mise a sedere accanto a lui, sollevando il braccio per avvolgerlo intorno alla spalla di Castiel, e Castiel si appoggiò a lui. “Che cosa ha detto Sam?” “Non aveva molto da dire. Non c'è molto da dire. Pensa che dovrei offrirmi volontario – e farla finita.” Castiel sospirò e si spostò, ritraendosi da Dean per scivolare sul suo grembo, infilando la testa sotto il collo di Dean. Dean gli baciò la fronte, strofinando la mano lungo la sua schiena. “Non voglio che te ne vada.” “Lo so, amore, lo so,” disse Dean, baciandogli la tempia ed accarezzandogli i capelli. “Il tempo passerà così in fretta. Sarai occupato con lo studio e i tuoi amici, e nemmeno ti accorgerai che non ci sono.” “Non dire così,” gracchiò Castiel mentre si strofinava il viso sulla spalla di Dean. “Non dire così, Dean. Non sarai qui con me ed io non saprò cosa fare con me stesso.” Dean lo baciò ancora e ancora, e Castiel singhiozzò contro il suo collo finché non gli fece male la gola, e poi si fermò. L'ultima canzone smise di suonare e l'ago si sollevò, ma il disco continuò a roteare sul giradischi. La stanza era silenziosa, tranne che per il suono di loro due che respiravano e di Dean che canticchiava mentre gentilmente cullava Castiel, con una mano che si muoveva sulla sua schiena e l'altra tra i suoi capelli. “Potremmo trasferirci,” disse Castiel, la sua testa una foschia di pensieri ed immagini proiettate. “Non possiamo fuggire, Cas. Questo non è qualcosa da cui possiamo scappare.” Castiel scostò la testa dalla bocca di Dean e divenne irrequieto. “Possiamo trasferirci a–” “Non sarò un disertore,” lo interruppe Dean, e Castiel fece cadere le mani in grembo, torcendo l'orlo del maglione con le dita. Dean gentilmente gli afferrò le mani e le sollevò, baciandone il palmo, il dorso, il polso. “Questo è qualcosa che possiamo superare.” “Me lo prometti?” Castiel tirò su col naso, sbattendo la fronte contro quella di Dean. Dean sorrise sommessamente prima di baciarlo. “Te lo prometto.” Dean si recò alla stazione di reclutamento il giorno seguente e si arruolò, e Castiel non voleva che lo facesse, ma Dean era determinato a non ritardare l'inevitabile. Dean aveva ventidue anni; era pronto per la leva e non ebbe nessuna proroga. L'uomo alla stazione era sorpreso dal fatto che non si fosse arruolato prima. Era strano. Dean era disponibile per il servizio militare. Sarebbe stato dispiegato. Arrivò la lettera di reclutamento, e quando arrivò, Dean la lasciò sul tavolo per farla leggere a Castiel. Non la lesse mai. Rimase lì finché non scomparve. Non nevicò quel Dicembre, e Castiel sapeva che Dean ne era deluso, come lo era sempre. “Sta aspettando il tuo ritorno. Quando ritornerai, nevicherà per un'intera settimana e le strade verranno chiuse e dovremo rimanere chiusi in casa tutto il giorno,” scherzò Castiel, tenendogli le mani, accarezzandone il dorso con i pollici. Non aveva pianto da quando Dean era stato arruolato e stava facendo del suo meglio per non farlo perché Dean aveva ragione – non serviva a nulla. Quando il suo viso diventava inquieto Dean scrollava le spalle,
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mordendo il suo panino, o chiudeva una porta, o si metteva una maglietta, o distendeva la coperta sul letto. “A mala pena ti mancherò.” Castiel diceva qualcosa come, “sono sicuro che tu abbia ragione.” Che triste menzogna era; quanto strano e stupido era fare finta che non fosse successo niente, ma era meglio che dirgli che lo amava finché le stesse parole non si esaurivano, ed era meglio che dire di essere spaventato e triste e distrutto. Che desiderava che invece fosse lui a partire, e non Dean. Non Dean, tutti tranne che Dean. Le parole sembravano così prive di senso quando tentava di dirle, come gettare una corda in acque profonde e guardarla affondare. L'ultimo giorno si insinuò come un ladro nella notte. Dean gli baciò il collo, il petto, lo stomaco, ma non era ancora eccitato, e si coprì gli occhi con le mani così Dean non l'avrebbe visto piangere. Piagnucolò le sue scuse e Dean lo tenne stretto, dicendogli che era tutto a posto, ma Castiel era così disgustato di se stesso. Avrebbe dovuto essere in grado di farlo, ma non poteva. Non ci riusciva. “Ti amo più del sesso,” aveva detto Dean in tono aspro, costringendolo a togliere le mani dal viso, “quindi smettila di dire che ti dispiace,” e la disperazione nella sua voce aveva fatto scuotere la testa a Castiel e trattenere un singhiozzo che si stava spingendo su per la gola. “Non ha importanza, noi siamo molto di più,” sussurrò Dean, più e più volte, e Castiel continuava a scuotere la testa, toccando le spalle di Dean e poi lasciando scivolare le mani sulla sua schiena e sul suo petto, incapace di rimanere fermo. Pianse forte nel cuscino per dieci minuti mentre Dean era seduto sul bordo del letto, con una mano sulla sua gamba, accarezzandogli col pollice il polpaccio attraverso il lenzuolo stropicciato. Quando smise di piangere, Dean si alzò e si preparò il caffè. Non dormirono. Mangiarono panini al burro di arachidi sul letto, con Dean che lo guardava nonostante gli occhi arrossati, e quando ebbero finito spazzolarono via le briciole e si appoggiarono uno contro l'altro a guardare il sole che sorgeva. “Mi domando come sarà,” disse Dean a voce bassa contro lo stomaco di Castiel, accoccolandosi sulla sua maglietta. “Caldo,” replicò Castiel con distacco. “Verde. Probabilmente vedrai delle cose bellissime.” “Te ne parlerò.” “Quando tornerai a casa,” sussurrò Castiel. “Quando tornerò a casa,” replicò Dean. Decisero che Castiel non gli avrebbe mandato nessuna lettera. Era occupato con le lezioni, e a Dean non piaceva fare il sentimentale quando poteva evitarlo, ed era troppo per loro, erano entrambi d'accordo. Era troppo da chiedere a loro stessi e andava bene così. Sam li portò in auto alla base militare, con Jessica sul sedile anteriore, che si voltava ogni cinque minuti come per dire qualcosa, ma non lo fece mai. Fece commenti sul tempo o su quello che avevano mangiato a pranzo, ma qualcos'altro indugiava sulle sue labbra che però non disse mai. Forse era la stessa cosa che Castiel stava pensando – che dovevano baciarsi proprio lì davanti a qualche generale, venir schiaffeggiati sul polso e spediti a casa. Il volto di Dean era deciso ed ostinato, e Castiel sapeva che Dean non avrebbe cambiato idea. Sarebbe partito. Castiel chiuse gli occhi e trovò la mano di Dean sul sedile; la strinse. Sam e Jessica scesero dall'auto e Castiel non rimase sorpreso quando girarono la testa, e Dean si chinò per baciarlo. Lo baciò, e Castiel sapeva che era il modo in cui le persone si baciano prima di morire, o di andarsene per sempre, e voleva tenergli stretta la mano e farlo restare nell'auto, ma sapeva che non poteva. Non era quello ciò che amava di lui? Non potevi far fare niente a Dean. Lo amava per questo. Ti amo nel mio letto di notte e quando mi sveglio, e amo sentirti cantare, e amo dirti di smetterla di darmi fastidio, e amo camminare con te fino a una Van's Noodle House , e ti amo – ti amo, quindi promettimi che sarai come l'oceano e che tornerai da me, anche quando ti portano via. Torna sempre da me. “Che c'è?” sussurrò Dean, e Castiel aprì gli occhi. “Quando hai paura, pensa solo a me,” disse Castiel, sapendo che quella non era la prima volta che glielo diceva, “pensa a quel giorno sulla spiaggia. Io sarò lì.”
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“Ce l'hai quella foto?” disse Dean, e Castiel annuì. “In tasca.” “Guardala ogni giorno,” disse Dean con voce rotta, e deglutì. “Guardala ogni giorno, va bene? La guardi ogni singolo giorno, non lasciare passare nemmeno un giorno senza guardarla, e io sarò sempre lì a guardarti...” Sam batté sul finestrino e Dean alzò lo sguardo verso di lui sopra la spalla di Castiel. Scesero senza dire una parola. Sam lo abbracciò forte e Jessica si concentrò sulla sua uniforme, sistemandogli il colletto prima che Dean le prendesse le mani e le baciò. Jessica sorrise, piangendo, e gettò le braccia intorno al suo collo. Castiel si guardò intorno e vide le madri, i padri e gli innumerevoli fratelli e sorelle. Le mogli, le fidanzate e le ragazze. Allungò la mano per farla stringere a Dean, gli altri uomini stavano iniziando a confluire verso le linee. Dean gli toccò le dita e poi gli strinse forte la mano. “Ti ricordi?” disse Castiel d'impulso, all'improvviso, e gli occhi verde bottiglia di Dean si spalancarono. Castiel sorrise. “Ti ricordi cosa mi avevi detto?” Dean scosse la testa e il viso di Castiel si contorse con tristezza, e cercò di restare impassibile, facendo un respiro profondo, posando l'altra mano sul dorso di quella di Dean. “Non sembra giusto,” tentò di dire. “Mi avevi detto, ‘non sembra giusto dire addio’.” Dean lo fissò a lungo, e Castiel osservò la realizzazione vagare attraverso i suoi lineamenti. Strinse le loro mani. “Ci vediamo allora,” disse sommessamente, e poi si stava ritraendo, e Castiel sentì il tessuto della sua uniforme sul pollice. Guardò Dean indietreggiare e girarsi, buttando il borsone sopra la spalla. “Andiamo, tesoro,” bisbigliò Jessica, riempiendo le mani vuote di Castiel con le proprie. “Andiamo.” Lo fece voltare insieme a lei, e Castiel sentì le luci tremolare con ogni passo che faceva verso l'auto. Chiuse gli occhi contro l'oscurità incombente, e pensò all'oceano, alle gocce della pioggia di Novembre sul parabrezza del furgone di Bobby – come sembravano correre insieme, e come sembrava tutto offuscato. Pensò a come facessero sembrare il mondo strano e tranquillo e grigio. Pensò al giaccone a quadri di Dean rosso sangue. Incespicò sui suoi passi.
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Capitolo VI 1971 Il Vietnam non era affatto come Dean se l'era immaginato. Era verde e umido, almeno su quello Castiel aveva ragione ma, pensò Dean tra sé e sé, forse le cose sarebbero state differenti se si fosse trovato lì per un diverso motivo. Il paesaggio era bellissimo, questo era un fatto, ma vedeva le cose in modo diverso. Ogni volta che andava da qualche parte, cercava sempre dei posti che gli offrissero riparo in caso succedesse qualcosa, perché non voleva rimanere allo scoperto dove gli potevano sparare. Aveva qualcuno da cui ritornare, qualcuno che lo aspettava a casa illeso, ed avrebbe mantenuto quella promessa a Castiel. Adam Milligan si era unito al loro plotone pochi mesi dopo la partenza di Dean da casa. Era un pivello, spedito direttamente dal Kansas, e quasi tutti lo evitarono nelle prime settimane perché nessuno voleva trovarsi accanto a lui nel caso facesse un errore da novellino sul campo. I nuovi ragazzi erano solitamente i primi a farli, e i primi ad essere mandati a casa in sacchi di plastica. Stava piovendo e si erano fermati a riposare per la notte alla base. Dean era seduto sul bordo della sua brandina, con la sigaretta che ciondolava dalle labbra, quando Adam entrò nella sua tenda, la camicia attaccata alla pelle, bagnata fradicia. Dean rise seccamente, soffiando il fumo dal naso, quando Adam si diresse verso di lui, sedendosi sulla brandina davanti alla sua. “Rimasto sorpreso dalla pioggia?” La cenere cadde dalla sigaretta quando frugò nelle tasche posteriori, tirando fuori un pacchetto di sigarette e offrendolo ad Adam. Adam scosse la testa e gli fece con la mano un cenno di rifiuto, e Dean scrollò le spalle e posò il pacchetto accanto a sé. “No, grazie.” Dean sollevò le sopracciglia, stupito nel vedere quanto Adam fosse educato. Erano mesi che aveva a che fare con uomini rozzi e volgari quanto lui, quindi era quasi un sollievo avere qualcuno attorno con un po' di buone maniere. Diede un ultimo tiro alla sigaretta e poi la buttò a terra, spegnendola con il tacco dello stivale. Adam si spostò sulla brandina, con gli occhi che guizzavano attorno a sé prima di fermarsi e concentrarsi su Dean. “Allora, cosa ti porta qui dentro?” “Sta piovendo.” Dean rise di nuovo, scuotendo la testa e facendo scorrere una mano tra i capelli. “Ma non mi dire. Piove sempre, cazzo. Sarebbe stato un miracolo se ci avessero mandato qui durante la stagione secca.” Adam rise sommessamente e si piegò all'indietro, nel tentativo di strizzare un po' d'acqua dalla camicia, ma riuscì solamente a distenderla. Aggrottò la fronte e mise le mani in grembo. “Da quando sei qui?” “Alcuni mesi.” Dean scrollò una spalla, posando le mani sulla brandina e inclinandosi leggermente all'indietro, osservando Adam per tutto il tempo. “Sei Milligan, giusto?” “Sissignore.” Adam annuì, sorridendo leggermente. “Adam Milligan.” “Non c'è bisogno di chiamarmi 'signore'. Dean va bene. O Winchester, come fanno gli altri.” Si raddrizzò e Adam si ritrasse leggermente, allontanandosi da lui. Il ragazzo era un bastone con un cespuglio di capelli, non lunghi, ma ingarbugliati. Non poteva avere più di diciotto anni, e al pensiero Dean sentì lo stomaco stringersi. Non riusciva a credere che stessero mandando fin laggiù dei ragazzini appena usciti da scuola. “Quanti anni hai?” “Diciannove.”
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“Cazzo,” bisbigliò Dean, passandosi la mano sul viso. “Immagino che non abbiano di meglio da fare che mandare dei ragazzini quaggiù, eh? Mettere in fila voi poveri fessi per buttarvi nel tritacarne?” Adam strinse le spalle e Dean scosse la testa. Nemmeno un pizzico di paura negli occhi del ragazzo. Se non altro, era indifferente a tutto. Probabilmente povero, suppose Dean. Un sacco di ragazzi si erano arruolati per guadagnare dei soldi – se riuscivano a durare a lungo. Allungò la mano dietro di sé e prese il pacchetto di sigarette, tirando fuori un'altra sigaretta. L'accese velocemente e buttò il fiammifero usato a terra, facendo un lungo tiro. Adam lo osservava, e Dean vide il barlume dell'innocenza. Frenò l'impulso di sospirare. Andava bene per Dean essere laggiù, assolutamente grandioso, ma odiava vedere i ragazzi dell'età di Adam. Sembrava come se durassero solo una notte e poi giacevano a terra, chiedendo delle loro madri. “Hai qualcuno a casa?” “Mia madre.” Ci fu una pausa, quando Dean espirò, il fumo che si addensava tra di loro, e Adam tossì, agitando la mano attraverso di esso. “Te?” “Mio fratello,” rispose Dean velocemente, facendo un altro tiro. Il suo elmetto era a terra accanto agli stivali, e lo spinse gentilmente sotto la brandina con il tallone; la foto all'interno era stata piegata e spiegazzata molte volte ma era al riparo da pioggia e temporali. “Non hai una ragazza che ti aspetta?” “Questi non sono affari tuoi.” La cenere cadde sullo stivale e la calciò via, Adam seguì il movimento con gli occhi prima di ritornare con lo sguardo sul viso di Dean. Stava aggrottando la fronte, e Dean scrollò le spalle. “Scommetto che ce l'hai, eh?” “Piantala, ragazzino.” “È carina? Come si chiama?” Dean si tolse la sigaretta dalla bocca e la tenne tra le dita, puntandole nella direzione di Adam. Adam sussultò e si inclinò all'indietro. “Tu ce l'hai una ragazza che ti aspetta?” “Beh, ehm, no.” “Nemmeno io, quindi chiudi il becco, capito?” Riportò la sigaretta tra le labbra e fece un tiro, e Adam strascicò a terra la punta dello stivale. Calò il silenzio tra di loro, la pioggia batteva sul tetto della tenda, e poteva sentire le persone che parlavano al di fuori. Sembravano Ash e Henriksen, che parlavano di una trasmissione che Ash aveva ricevuto via radio. Adam ruppe il silenzio per primo, e Dean gemette. “Allora, com'è tuo fratello?” Dean finì la sigaretta e la gettò a terra insieme a quella precedente, riservandole lo stesso trattamento con il tacco dello stivale. “Sveglio. È di gran lunga molto più intelligente di me. Sta studiando per entrare nella facoltà di legge di Harvard. Adesso è a Stanford.” Sorrise con affetto e si passò una mano tra i capelli. Gli mancava Sam da impazzire, e gli mancava anche Jessica. Gli mancava vederli insieme, tutti sorrisi e risate, i capelli dorati di Jessica ancora più splendenti alla luce del sole, e Sam che doveva abbassarsi per baciarla sulla guancia. “California?” disse Adam in tono meravigliato, sporgendo la testa in avanti. Dean rise. “Del Nord,” concluse Dean, e Adam si rabbuiò. “Che c'è? Volevi che dicessi Hollywood?” “Non lo so. Non sono mai stato fuori dal Kansas. Beh, quella una volta era la verità.” “Dal Kansas al Vietnam, Dio mio.” Dean rise di nuovo, più forte. “Raccolgono voi ragazzi come granturco estivo.” “Mi sono offerto volontario,” disse Adam in tono beffardo, arrossendo. “Mia madre ha faticato da sola per tutta la sua vita. Ho pensato che questo fosse un buon modo per toglierle un po' di peso dalle spalle.” Dean non disse nulla e tacquero di nuovo.
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“Ti manca molto, eh?” “Non ne sai nemmeno la metà, ragazzino.” Adam sorrise e si grattò il polso con fare assente, guardando a terra. “Non sono qui nemmeno da tanto tempo ma già mi manca mia madre. Mi manca da impazzire.” Sollevò le mani per strofinarsi gli occhi, e Dean si piegò in avanti, afferrandogli la spalla. Adam sorrise, un piccolo sorriso, e Dean gli strinse la spalla in modo rassicurante. Lo sguardo che gli rivolse ricordava a Dean di Sam quando era più giovane, quando chiedeva dove fosse la madre, se sarebbe ritornata presto a casa, e questo spezzava il cuore a Dean. “Ehi. Tornerai a casa in men che non si dica, okay?” Non ritrasse la mano finché Adam non annuì e si strofinò di nuovo gli occhi. “Pochi mesi sembreranno come un paio di giorni, fidati di me.” “Sì, okay.” Adam ridacchiò, strofinandosi il palmo delle mani sui pantaloni. “Sì, mi fido di te.” “Ma non lasciare mai che ti vedano piangere, okay?” insistette Dean. Adam annuì vigorosamente, indurendo i lineamenti del viso. Sembrava un ragazzo tosto. Aveva un atteggiamento diverso dagli altri anche se era più giovane. Era da un po' che Dean lo osservava da lontano. “Ti vedono piangere, sei fritto,” continuò Dean, roteando il collo e le spalle, la pioggia batteva più forte. “Dubito che gliene freghi qualcosa. Non mi parla nessuno.” “Perché stanno aspettando di vedere se farai una cazzata. Sei un pivello, tesoro,” disse Dean con voce strascicata, battendo pigramente le dita sulla scatola dei fiammiferi. Sollevò le sopracciglia ad Adam. “Farai una cazzata?” “No,” sbottò Adam, raddrizzandosi. “Passami una sigaretta.” “Così si fa.” Dean sogghignò, facendone uscire una dalla scatola con un colpetto sulla mano di Adam. Si piegò in avanti e Dean accese un altro fiammifero, scuotendolo per spegnerlo quando la punta della sigaretta diventò incandescente. Adam tossì leggermente e scosse la testa. “È passato un po' di tempo,” disse con voce soffocata, gli occhi gli lacrimavano. “Sa di merda.” Dean strinse le spalle, considerando la nozione di fumarne una terza. Non c'era nient'altro da fare. Scosse la testa e mise via il pacchetto per più tardi; era insensato sprecarle. “Non fumo dal liceo. Mia madre mi ha fatto smettere,” continuò. “Dice che è una minaccia per la salute.” “Mmm,” annuì Dean, grattandosi la fronte, non ascoltando veramente. I suoi pensieri vagarono; era così stanco che non riusciva nemmeno a tenerli a freno. “Qualcuno che conosco dice la stessa cosa,” disse, dopo un istante sbattendo le palpebre per destarsi dai suoi pensieri, e Adam si rianimò, dando dei colpetti alla sigaretta per far cadere la cenere. “La tua misteriosa ragazza?” disse in tono di scherno, e Dean roteò gli occhi. “Anche se fosse, che cazzo cambierebbe? Non sapresti comunque che aspetto ha,” replicò Dean, alzandosi in piedi e stirandosi e poi rimettendosi a sedere, la brandina che cigolava sotto di lui. “Sono solo curioso. Tutti gli altri non fanno altro che parlare della figa che si fanno. Credevo che anche tu fossi così. Parlano anche di te.” Dean rise, gettando la testa all'indietro, ruotando il polso per farlo scrocchiare. “Sono sicuro che hanno molto da dire.” Sorrise, e Adam spense la sigaretta come aveva fatto Dean, tirando fuori un pacchetto di chewing gum dalla tasca. Ne scartò una e la masticò. “Non proprio. Dicono che sei il miglior tiratore dell'unità. E che non parli molto. Dicono anche che ce l'hai duro per Henriksen.” Adam continuò a masticare, e Dean scosse la testa per l'assurdità. “Voi due vi girate intorno.” “Rispetto Henriksen e lui rispetta me, il che lo rende mio amico – ma hanno ragione. Sono il miglior tiratore che abbiamo in questo plotone di merda.” “Come mai sei così silenzioso? Cioè, se fossi più grande, mi farei un sacco di amici,” sproloquiò Adam. “Se avessi metà del rispetto che hai tu – lo userei, capisci? Ma tu non chiedi mai dei favori. Lo so. Ti ho osservato. Non li chiedi mai.”
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La bocca di Dean si contrasse e roteò la spalla di nuovo, sentendo il muscolo teso che gli tirava e gli doleva. “Non sono qui per farmi degli amici,” rispose Dean, “non sono qui per fare dei favori a nessuno.” Il suo viso era di pietra mentre parlava, la voce sommessa, “sono qui per fare quello che mi dicono così che possa incassare quando è finita e tornarmene a casa. Ho fatto una promessa ed è tutto ciò di cui mi importa.” “Cosa? Hai promesso di sposarla quando torni a casa?” Adam fece uno schiocco con la gomma, e Dean incrociò il suo sguardo. Adam lentamente smise di masticare. “Ecco un piccolo consiglio, fratellino,” sussurrò Dean. “Non parlare di cose che non capisci.” “Scusa,” mormorò Adam. “Non lo sapevo... scusa.” “Non ti preoccupare,” sospirò Dean. “È complicato... tutto qua.” “Ne vuoi parlare?” Adam sogghignò e Dean si allungò e gli diede un pugno forte sul braccio, facendolo guaire. “Sta' zitto. E la prossima volta che sei in linea, non guardarti in giro come un idiota – mantieniti dentro il gruppo.” “Stronzo...” borbottò Adam, massaggiandosi la spalla, sorridendo un po' a Dean. Dean ritornò a rimuginare, lo sguardo distante, e Adam sapeva che non avrebbe tollerato altre domande stupide. Non sembrava quel tipo di persona. Però quello che diceva aveva senso. Si comportava come se non fosse lì. Non veramente. Stava solo tenendo il posto lì per un po', pazientando finché non sarebbe stato da un'altra parte – era solo di passaggio nella loro unità, non ne faceva davvero parte. Tranne che per Henriksen, che lo stimava e a volte chiedeva la sua opinione, e Ash, ma Ash era strano e un genio e nessuno tranne Dean e Henriksen gli parlava senza alcun tipo di autorità. Adam si leccò le labbra. “Allora, la ami?” “Sì,” disse Dean automaticamente, e come per riflesso, tirò fuori una sigaretta e l'accese. “Come facevi a sapere che l'amavi?” “Che cazzo di domande fai, Milligan? Stai scrivendo un libro? Uno di quei romanzetti rosa?” “No, volevo solo saperlo!” si precipitò a dire Adam. “Probabilmente vorrebbe che ti facessi almeno un amico.” Dean ridacchiò bonariamente e strinse le labbra intorno alla sigaretta, inalando, sfiorandosi la bocca con le unghie sporche. “Come facevi a saperlo?” “Il momento in cui ci siamo incontrati,” rispose Dean. “Ecco quando l'ho capito.” Adam impallidì. “Sei un povero babbeo, lo sai?” Si grattò dietro la testa. “Sul serio, Winchester, ma chi cazzo parla in quel modo? Amore a prima vista? Sono stronzate.” Dean sorrise come se conoscesse qualche segreto. “Che cosa dovrei dire? Quando abbiamo scopato? È quello che direbbero gli altri, ma non riconoscerebbero il vero amore nemmeno se gli mordesse il culo. Ma forse non mi stai chiedendo del vero amore. Vuoi solo i dettagli piccanti. Lo so come la mente di un diciannovenne funziona.” “Tu non sai un accidente.” Adam arrossì. “Stavo chiedendo del vero amore. Sai, sposarsi e cazzate del genere. Avere dei bambini. Una staccionata bianca. Quindi va' a farti succhiare il cazzo, stronzo.” Dean si fece una gran risata, fumando la sigaretta lentamente, facendola durare. Non rispose ad Adam ulteriormente, guardando invece il suo petto – aveva una catenina d'oro intorno al collo che spariva sotto la camicia. “Che cos'è?” La indicò e Adam abbassò gli occhi, sorpreso, prima di tirarla fuori e tenere la sottile medaglietta in mano. “È San Michele. Mia madre me l'ha spedita prima che lasciassi il centro addestramento reclute. Ha detto che mi avrebbe protetto, o qualcosa del genere.” Accarezzò la medaglietta con il pollice sporco e poi la infilò di nuovo sotto la camicia. “Non lo so; non ci credo molto, ma la faceva sentire meglio, ed è come averla con me. Lo capisci?”
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Dean annuì, pensando alla fotografia nascosta dentro il suo elmetto. “Quanto senti che stai per perdere il controllo, basta che la guardi. Ti farà rimanere quello che sei,” gli consigliò. “Non vuoi tornare a casa da tua madre cambiato, e fidati di me, questa guerra sta cambiando i ragazzi più velocemente di quanto riescano a cambiarsi i vestiti.” Adam annuì saggiamente. “Ti capita mai di aver paura?” mormorò e Dean tirò una boccata alla sigaretta per un istante. “Sì,” disse dopo un minuto. “E che cosa fai?” La voce di Adam stava tremando. “Ero... me la sono fatta sotto durante l'ultimo raid. Pensavo che sarei morto. Davvero. Non sapevo nemmeno cosa fare.” Dean deglutì a fatica, cercando di non pensare all'ultimo raid. Avevano dato fuoco all'intero villaggio; così tanti bambini li stavano guardando. Chiuse gli occhi per un istante prima di riaprirli. “Scegli qualcosa. Qualcosa che ti rende felice, e pensa a quello. E poi aggrappatici finché le tue gambe non funzionano di nuovo e ritrovi l'orientamento e alla fine sai cosa devi fare.” “Tu a che cosa pensi?” Dean esitò. “Molte cose.” Agitò la mano, dato che la sigaretta stava bruciando un po' troppo vicino alla pelle. “Immagino di guardare attraverso una videocamera – solo io che riprendo qualcosa. Per un documentario o cazzate del genere. Di solito aiuta, e quando te lo ricordi più tardi, non senti nessun suono. Nessuno che urla o che stronzeggia. Il silenzio totale.” “Pensi a lei?” sussurrò Adam, scrutando Dean. L'uomo non stava guardando lui, ma a terra. Adam voleva sapere – voleva sapere il segreto. Perché Dean la teneva sotto chiave, lontana da tutti. “No, se posso farne a meno,” confessò Dean, sentendosi male allo stomaco. Aveva promesso che avrebbe pensato a lui – l'aveva promesso, ma non poteva farlo quando erano sul campo. “Loro non hanno posto qui,” disse con voce affievolita, “se ci pensi troppo a lungo, questo posto li afferrerà come uno di quei serpenti enormi – uno di quei grossi stronzi lunghi che quasi calpesti. Finirà coll'ingoiarl–...” si interruppe e tirò un'ultima boccata dalla sigaretta. “Riesci a farne a meno?” disse Adam incerto, e Dean fece un sorriso triste. “Di solito no,” mormorò, buttando il terzo mozzicone per terra, spegnendolo con il piede come gli altri. “Ma è così che va. È quello che devi fare. Pensa a tua madre, pensa a quella medaglietta o a San Michele, cavolo, pensa alla mia stupenda faccia, e non avrai paura.” Adam roteò gli occhi ed entrambi guardarono l'entrata della tenda quando Henriksen chiamò Dean, la sua voce che tuonava per tutta la base. “Certo, Winchester,” biascicò, e Dean si alzò ed uscì fuori dalla tenda, scompigliando i capelli di Adam quando gli passò accanto. Una volta andatosene, Adam si guardò attorno e lo sguardo gli cadde sulla brandina di Dean e una piccola collezione di cose che aveva. C'era una piccola agenda e quando Adam si alzò e la sfogliò, curioso, vide che era piena di X sulle date del calendario, senza dubbio il conto alla rovescia al giorno del congedo di Dean. Non c'erano lettere, ma c'erano pezzi di carta con sopra disegnate delle moto, e una sezione trasversale di un motore. Adam ne rimase colpito, ma li mise da parte, cercando qualcosa. Qualcosa che avrebbe rivelato chi fosse lei. Adam aveva bisogno di vedere il suo viso; aveva bisogno di sapere che Dean aveva ragione su tutto. Rovistò in giro, controllò persino sotto il cuscino, ma non c'era letteralmente nulla che indicasse che Dean avesse una famiglia. Frustrato, Adam guardò sotto il letto e vide l'elmetto di Dean posizionato pigramente accanto a una delle gambe incrociate della brandina. Poteva vedere le parole “Buck Stops Here” 1 scritte sul davanti con un pennarello nero, ma non era una cosa fuori dal comune. Tutti scrivevano qualcosa sul proprio elmetto. C'era anche 1 “Lo scaricabarile finisce qui”. È una frase che è stata resa popolare dal presidente americano Harry Truman, che teneva un cartellino con questa frase sulla sua scrivania nello Studio Ovale. La frase si riferisce al fatto che il presidente deve prendere le decisioni ed accettare la responsabilità diretta di tali decisioni.
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qualcos'altro che però Adam non riusciva a leggere, e il repellente per gli insetti era infilato sotto l'elastico, ma non c'era assolutamente nient'altro. Dei passi lo fecero sobbalzare e si affrettò fuori dalla tenda, pensando ancora all'elmetto, ma poi tutti si stavano radunando e si unì al gruppo. Forse gli altri avevano ragione – c'era qualcosa di più nella storia di Dean Winchester, ma lui non era disposto a raccontarlo. *** “Pare che oggi nuoteremo, signorinelle, quindi fatemi vedere quelle gonne alzate!” sbraitò Henriksen dalla fine della linea. Adam mugugnò e Dean gli diede una spinta in avanti, sistemandosi lo zaino sulla spalla e tenendo il fucile dritto sopra la testa. Le braccia, rafforzate da mesi in cui aveva portato con sé il suo M-16 e la sua intera esistenza sulla schiena, a mala pena protestavano mentre lo teneva sollevato. “Smettila di lamentarti e cammina,” sbottò Dean, sussultando quando seguì Adam nell'acqua paludosa, gli stivali che sprofondavano nel fondo fangoso. Era un caldo boia, e le zanzare sciamavano intorno ai loro corpi, la pellicola sulla superficie dell'acqua che arrivava fino alla cintola si divideva mentre a fatica ci passavano attraverso. La linea del plotone serpeggiava tra gli alberi e il sottobosco. Dietro di loro Henriksen stava cantando Wade in the Water2 e Dean combatté con l'impulso di dirgli di stare zitto. Lo stava facendo andare fuori dai gangheri. Prima uscivano dalla palude, meglio era. Era una stronzata, la missione che era stata assegnata al plotone. Dean sorvegliava Adam, quasi scontrandosi con lui quando nell'acqua un serpente strisciò davanti al ragazzo, e Adam si soffermò brevemente per farlo passare prima di continuare. Dean roteò gli occhi e diede uno schiaffo all'elmetto di Adam, che grugnì qualcosa e riprese a camminare. Però arrivarono presto sulla terraferma, e una volta che tutti erano usciti, il medico andava in giro a controllare le punture. Un ragazzo si era slogato una caviglia nel tragitto e quasi era affogato come risultato, ma altrimenti erano tutti intatti. “Riposate, domani avanzeremo ancora!” urlò Henriksen mentre il plotone si accampava, separandosi nei loro gruppi e rovistando tra le loro cose. “Che stronzata di missione,” si lagnò Dean. “Un'altra ricerca del cazzo? Siamo come il gatto che si morde la coda qui fuori. Ci fanno camminare per miglia per una missione di merda.” “Stiamo fornendo rinforzi, coglione, non è solo una ricerca,” commentò Ash, scaricando la radio, assicurandosi che non fosse stata danneggiata dall'acqua. Dean scosse la testa. “Li chiamano rinforzi, ma quello che intendono dire è esca. Vogliono vedere se prima di arrivare quei musi gialli ci salteranno addosso. Ne hanno perso le tracce e non sanno in quale direzione sono andati.” “Chiudi quella fogna e mangia qualcosa piuttosto!” Ash rise. “Il tuo livello di glucosio è basso, principessa.” Dean roteò gli occhi e tirò fuori il barattolo argenteo dallo zaino, aprendolo con un movimento rapido del polso. Adam fece lo stesso, spalando il contenuto nella sua bocca come se non riuscisse a mandarlo giù abbastanza in fretta. Una grossa goccia di pioggia atterrò sul viso di Dean che quasi buttò a terra il barattolo. “Piove sempre, cazzo,” disse Dean, e Adam, che stava già raschiando il fondo del barattolo dopo aver bruciato la sua razione senza pensarci due volte, sospirò pesantemente accanto a lui in accordo. “Non posso nemmeno accendermi una sigaretta di merda,” continuò Dean, borbottando tra sé e sé, usando la parte più pulita della mano per pulire la forchetta mentre Adam rideva a bocca piena. Dean scosse la testa, il cibo bagnato. Lo faceva incazzare. Tutto era bagnato. Era sempre bagnato – o umido. I tuoi vestiti, i tuoi capelli, la tua pelle, i tuoi fiammiferi. Tutto, sempre afflosciante e cadente e molle. “Cos'è afflosciante e cadente?” disse Ash, sollevando lo sguardo da dove stava facendo una diagnostica alla radio. Fece un sorriso sardonico e Dean lo ricambiò con uno affettato. “Il tuo cazzo,” rispose Dean con prontezza, senza battere ciglio. Adam si strozzò ridendo intorno alla forchetta e si diede dei colpi al petto alcune volte mentre inghiottiva. “Non è quello che ha detto tua madre!” Ash ridacchiò, armeggiando con la sua attrezzatura. “Ah sì? Beh, mia madre è morta,” concluse Dean, mettendo da parte il barattolo, asciugandosi la condensa dal 2 Wade in the Water (Guadate nell'Acqua) è un brano spiritual afroamericano.
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viso. Non aveva nemmeno fame. Ash rise di nuovo, più sommessamente stavolta, scuotendo la testa, e Dean usò il tacco dello stivale per scavare un solco nel terreno, facendo fuggire freneticamente una formica da sotto terra. Adam continuava a mangiare, fissando nel vuoto e Dean guardava lui e il suo fisico mingherlino. Per il ragazzo sarebbe stato meglio se fosse nato come un appendiabiti per la dimensione delle sue braccia magre. Dean prese il barattolo e lo mise dall'altro lato, vicino alla gamba di Adam. “Finiscilo,” disse, facendo un cenno al barattolo mezzo pieno e alla carne brodosa all'interno. Adam lo guardò, con occhi da cucciolo ed esitante, aspettando finché Dean non gli diede uno sguardo fisso, spingendo il barattolo ancora di più verso di lui. “Non ne ho bisogno.” “Se Milligan non se lo mangia, lo farò io!” vociò Ash, sorridendo, e Adam roteò gli occhi, raschiando il resto della cena di Dean in piccoli bocconi. Non alzò lo sguardo mentre mangiava, e Dean annuì soddisfatto. “Non so perché mi preoccupo, il cibo non ti finisce da nessuna parte,” disse Dean con voce strascicata, le dita che si contraevano per la voglia di una sigaretta. Se solo smettesse di piovere per due secondi. Pensò che avrebbe potuto stare sotto un albero con Ash, ma avrebbe significato muoversi e al momento era perfettamente contento di starsene seduto. Avevano marciato per ore ed aveva i piedi intorpiditi e formicolanti per il tragitto sfiancante. Con un'espressione torva, Dean scavò ancora di più con il tallone e poi soffocò uno sbadiglio. Adam distrattamente schiacciò una zanzara che continuava a posarsi sul suo collo, strofinando dove l'aveva punto con le dita ossute, grattandosi la pelle con le unghie corte. “Ho un metabolismo veloce,” rispose Adam, e Dean vagamente si ricordò il suo commento di prima e fece un sorriso compiaciuto, sbuffando aria attraverso il naso. “Quella è la traduzione italiana per culo scheletrico,” borbottò, senza perdere un colpo. Adam roteò di nuovo gli occhi e continuò a mangiare, ripulendo gli avanzi di Dean. “Sai, sei davvero un figlio di puttana,” commentò Adam, puntando la forchetta nella direzione di Dean, inghiottendo il cibo in un sol boccone. “Non mi stupisco se non parli mai della tua famiglia o della tua misteriosa ragazza. Cioè, una volta pensavo che era perché fossi triste o qualcosa del genere. Che non ti piacesse parlarne. Adesso so che è perché sei uno stronzo e non hai nessuno.” “Fratellino, non sai un accidente di me.” Dean ridacchiò, raccogliendo un ramo e cominciando a intagliarci delle tacche col coltello. Scosse la testa, sospirando. “Ma proprio niente.” “Allora dimostralo!” insistette Adam, e Dean non riusciva a crederci che stavano davvero per avere questa conversazione di nuovo. “Andiamo, tutti parlano della propria ragazza, ma tu non dici mai niente. Neanche una parola. Quindi, dimmi che tipo di ragazza è quella che ti sta aspettando. E ho dato un'occhiata alla tue cose e non hai lettere o foto da nessuna parte. A parte, forse, qualunque cosa sia che tieni dentro quel tuo elmetto – ti ci aggrappi con entrambi le mani e che mi venga un colpo se non hai una foto delle sue tette lì dentro.” Ash alzò gli occhi dalla radio, con le sopracciglia sollevate. Dean incrociò il suo sguardo e poi lo distolse. La pioggia tamburellava su un barile alcuni metri più in là, smorzando il suono di Dean che tagliava il bastone col coltello. “Tua madre non te l'ha mai detto che è maleducazione chiedere alla gente della propria vita privata?” disse Dean, dando ad Adam uno sguardo estenuato. Adam accatastò i barattoli vuoti e si prese un sorso di whisky dalla fiaschetta che teneva in una delle tante tasche del suo zaino. “È brutta,” disse Adam e Dean buttò il bastone a terra. “È così, è brutta.” “Non hai nient'altro di meglio da fare che irritarmi a morte?” Dean sbadigliò, e Adam si sporse in avanti, versando un po' di sugo acquoso da un contenitore vuoto, guardandolo scorrere nel piccolo solco che Dean aveva scavato nel terreno. “Dai, Winchester.” Ash rise, chiudendo la radio. “Come se ce l'avessi tu di meglio da fare.” “Non incoraggiarlo,” sbottò Dean e Adam sorrise. “No, per favore, incoraggiami!” continuò Adam, facendo sobbalzare le ginocchia. “Chi è? Com'è?” Dean mugugnò, strofinandosi gli occhi, ignorando palesemente la domanda di Adam. Adam non si scoraggiò, e Ash venne sotto la pioggia, pestando coi piedi una zona piana dove sedersi mentre si stirava la schiena con rapide
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e calcolate contorsioni della spina dorsale. “È una vecchia ciabatta?” “Giuro su Dio che se mi danno il congedo con te mi sparerò in testa,” gemette Dean, e le posate sferragliarono contro il barattolo quando Adam si spostò, ardente di curiosità. Una goccia di pioggia cadde sulla mano di Dean e non si preoccupò di scuoterla via; la lasciò scivolare lungo il braccio nudo, la t-shirt che gli rimaneva attaccata per l'umidità. “Se non me lo dici, devo supporre che tu abbia una relazione con la tua mano destra,” disse Adam con finta sobrietà e Dean dovette combattere l'impulso di strangolarlo. “Ricordami di riempirti di botte tra qualche anno,” rispose Dean abbastanza allegramente e Adam lo guardava con ‘sincerità’, gli occhi cadenti e quasi seri. “Dean, la tua aggressività denota un atteggiamento difensivo!” “Adesso basta,” disse Dean bruscamente e Adam si ammutolì, guardandolo con apprensione. Dean si tolse l'elmetto e lo gettò a terra accanto a sé. “Lo vuoi proprio sapere? Guarda tu stesso.” Guardò Ash il quale scosse la testa. “Oooh, no, Winchester, non mi trascinerai in questa storia.” Si alzò in piedi, agitando le mani sulla difensiva, “ho altri posti dove stare!” disse, allontanandosi. Adam guardò l'elmetto e l'afferrò, sorridendo vittorioso, ma Dean lo guardava con un'espressione seria. Adam si schiarì la gola e si strofinò le mani, mettendo l'elmetto in grembo. Guardò all'interno, ed eccolo lì. Un piccolo quadrato biancastro calcato contro la parte superiore. Dean guardò Adam costantemente mentre questi tirava fuori la foto e la confusione gli sbocciava in viso. “Questo è tuo fratello?” chiese e Dean lo fissò. “Tu che dici?” “Sei gay per tuo fratello?” “Ma che cazzo, Adam.” “Chi è?” sussurrò Adam, lisciando la foto. L'uomo – beh, non poteva esattamente dire uomo. Aveva un aspetto piuttosto giovanile, il suo sorriso era tranquillo e dolce, la linea delle labbra separata uniformemente. Adam non riusciva a capire. “Si chiama Cas,” disse Dean, e Dio mio, quanto tempo era passato da quando aveva detto il suo nome, “e giuro sulla vita di tua madre, Adam, che se lo racconti a qualcuno, renderò la tua vita un vero inferno. Mi hai sentito? Un vero inferno.” Adam annuì stupidamente, fissando ancora la foto. “Lui è... no. No, non può essere vero,” disse Adam, fissando ancora la foto che era stata ovviamente piegata e ripiegata un migliaio di volte. “Adesso lo sai, quindi puoi chiudere quella fogna e smetterla di rompermi,” grugnì Dean, strappandogli la foto dalle mani e rimettendola nell'elmetto che aveva tolto bruscamente dal grembo di Adam. Adam sussultò, ancora frastornato. “Così, tu e lui...” “Se lo vai a raccontare in giro, sarà l'ultima cosa che farai.” “Non dirò nulla, è che – tu e lui?” mugolò Adam. “E tutti gli altri...” Improvvisamente cominciò a vederci chiaro. “L'hanno già capito. Beh, la maggior parte lo sospetta,” disse Dean blandamente, posando l'elmetto accanto a sé con gentilezza. “È per questo che non mi parlano molto. Però tu sei lo stronzo più chiassoso da queste parti, e mi stavi facendo impazzire. Se Henriksen l'ha capito, non gliene frega un cazzo. Sono un corpo caldo. Ad Ash non interessa comunque. Ci è arrivato la prima volta in cui ci siamo conosciuti.” “Dove l'hai incontrato?” chiese Adam, e Dean roteò gli occhi, strofinandosi il viso mentre cominciava a piovere sempre di più. Coprì l'elmetto capovolto con lo zaino.
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“Ad una festa, idiota.” “Una festa?” “Sì, una festa del cazzo, dove pensavi? Una caverna?” Adam premette le labbra insieme. “Non sapevo che voialtri andaste alle feste.” “Voialtri?” Dean fece una risata secca. “Adam, siamo proprio come tutti quanti. Andiamo alle feste. E ci muoviamo nella società. Abbiamo un lavoro e paghiamo le bollette della luce. Roba eccitante, vero?” “Lo sai cosa voglio dire.” Adam arrossì, dandogli un calcio. “Non ho mai incontrato un finocchio prima d'ora,” sussurrò in un secondo tempo e Dean rise più forte. “Sì invece, solo che non lo sai.” “E tutte quelle cazzate che mi hai detto sulle ragazze!” protestò Adam, “non ne sai un accidente!” “Non ti ho mai mentito!” interruppe Dean, e gli occhi di Adam strabuzzarono. Dean gli fece un sorriso sornione, “non ho mai detto di essere selettivo.” “Ma tu ami...” Adam trasalì di nuovo. “Hai detto che lo ami.” “È così,” rassicurò Dean. “Te l'ho detto, non ho mai mentito.” “Lo ami?” “Fratellino, fai sempre le domande più cretine.” “Non è la cosa più assurda che abbia sentito quaggiù,” borbottò Adam. “Forse è per questo che non sono così scioccato.” Dean annuì. “È l'ultima delle tue preoccupazioni,” concluse Dean, la sua voce era scesa ad un mormorio che si fondeva con la pioggia, “questo mondo cerca sempre di intromettersi nella vita delle persone. È il motivo per cui siamo in questo inferno.” Adam annuì. “Ti manca?” “È lungo il giorno?” mormorò Dean. “Allora che cos'è? Quello che gli hai promesso?” Dean rimase immobile e, prima che potesse rispondere, Adam continuò a parlare. “È lui la persona a cui pensi? Quando hai paura? Cas?” “Non dire il suo nome qui,” sussurrò Dean aspramente, “non farlo. Non qui.” Adam chiuse la bocca e sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “Beh, merda,” disse, “mi sento proprio un coglione.” “Dovresti.” Dean sorrise. “Ma non fa niente. Basta che non lo racconti in giro.” “Non lo farò, lo giuro. Hai ragione sul fatto che la gente si intromette. Hai ragione su quello. Fa solo del male così. Perché dovrebbe fregarmi qualcosa di quello che fai? Cioè, davvero.” “Vatti a cercare qualcosa da fare. Va' a dormire. Abbiamo molta strada da fare domani,” lo interruppe Dean e Adam si rese conto che stava parlando a vanvera. Toccò la catenina di San Michele intorno al collo e si allontanò, sistemando il suo sacco a pelo e sdraiandosi sopra di esso. Dean ancora non sapeva se fosse pentito di averglielo detto. Solo il tempo l'avrebbe detto, ma si fidava di Adam. Era ostinato e leale, e per qualche ragione si fidava implicitamente di Dean. Il sole stava iniziando il suo viaggio verso l'orizzonte e Dean aveva il turno di notte. Chiuse gli occhi, tentando di riposare un po' quando poteva, prima di venir svegliato e doversi attrezzare per sostituire qualcuno. Si appoggiò contro lo zaino, e chiuse gli occhi. Questa missione era una stronzata. Era tutto una stronzata. Avrebbero subito un'imboscata, lo sapeva. Sentiva il presentimento salire su come la bile nella gola, e lo rendeva contemporaneamente inquieto ed affaticato. Un
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momento prima voleva camminare, e un momento dopo non voleva muoversi per il resto della vita. I battiti del suo cuore accelerarono e cercò di respirare, concentrandosi su qualcos'altro. Adam russava, esausto, e Dean si ricordò quando riusciva a dormire così, ma ultimamente non era così facile. I suoi sogni erano vividi e angoscianti. Lo facevano soffrire. Aprì gli occhi e guardò il posto dove prima si trovava Ash, la luce che lo illuminava, creando delle strane ombre su alcune delle cose di Ash ancora sparse in giro. Come se fosse in una stanza diversa, piena di oggetti diversi. Un giradischi, un letto a due piazze spinto contro la parete, il comodino che si stagliava accanto. Sentì il ticchettio di un orologio nella pioggia tamburellante; lo schiocco di un accendino che veniva acceso, il suono che sbocciava dal nulla come una rosa. Qualcuno stava canticchiando, girando le pagine di un libro con un dito bagnato di saliva. Il brusio degli insetti sembrava fluire e riversarsi come una marea nell'entroterra, il loro ronzio meccanico si trasformava e si tramutava in rumori più familiari, proprio come la pioggia. Stava ancora piovendo; pioveva sempre in quel paese afoso. Ascoltava, e più lo faceva, più gli sembrava di sentire il suono delle onde – come l'oceano che si infrangeva sulle rocce grigie. La luce del sole che quel giorno aveva nascosto dietro gli occhi, quel poco che poteva racimolare, lavò l'interno delle palpebre di un grigio attenuato; il grigio del mare, le rocce grigie, le nuvole grigie. Il cigolio di qualcosa di metallico divenne il grido di un gabbiano sopra il ruggito del mare. Torna a casa. La voce portata dal vento arrivò alle sue orecchie e le dita di Dean si contrassero. “Presto,” promise, e Castiel raccolse una conchiglia, facendo scorrere le dita sulle creste. Il mondo era della qualità granulosa delle fotografie. Dean era di nuovo dietro la videocamera, osservando Castiel che gettava la conchiglia in mare, sorridendo quando l'acqua spruzzò. “Guarda qui,” disse, e Castiel si voltò, accecante e splendente, il sole che gli illuminava la pelle, oscurandogli per un istante il viso prima che fosse di nuovo visibile. Sorrise, camminando verso Dean, verso la videocamera, fermandosi poco prima, guardandosi timidamente attorno. Dean riusciva a sentire la bobina girare, lo scatto dei meccanismi interni, e l'oceano. Castiel rise, e fece un'espressione impacciata, calciando la sabbia, con il vento che gli scompigliava i capelli sulla fronte. “Non ti sento...” disse Dean, e Castiel alzò gli occhi, il suo sguardo dolce. Dean scosse la testa, ma l'immagine non si spostò mai, ininterrotta nei suoi movimenti. La visuale fissa di un obiettivo fotografico. Castiel inclinò la testa, guardando nella videocamera, ma sembrava come se vedesse oltre quella, come se potesse vedere dentro Dean. “Dio, mi sono dimenticato la tua voce?” sussurrò Dean, improvvisamente angosciato. Castiel non vacillò mai, e all'improvviso alzò gli occhi e la videocamera seguì il suo sguardo diretto ai gabbiani. “No, no, guarda qui,” continuò Dean, la voce ridotta ad un sussurro disperato, “no, Dio, no, non farmi dimenticare il suo viso...” La videocamera centrò di nuovo l'obiettivo e Castiel fece un passo avanti. Ti amo! Dean guardò la sua bocca, i denti perlacei, il modo in cui le labbra si arricciavano intorno alle parole, ma non riusciva a sentirle. Ti amo! Aveva riso alla seconda volta, e il vento spingeva contro i vestiti, attraverso i capelli, ma era come guardare dietro a un vetro. Aveva riso alla seconda volta, si ricordò Dean, lo capiva dai suoi occhi. Castiel si voltò. Fece qualche passo verso la spuma ed agitò la mano, lanciando un'occhiata dietro di sé. Dean sentì il braccio sollevarsi e anche lui agitò la mano in risposta. Ti amo! Castiel aveva racchiuso la bocca tra le mani per urlare – Dean sentì le lacrime che gli tagliavano il volto, l'aria fredda le faceva percepire quasi troppo calde.
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“Ti amo,” sussurrò, e Castiel agitò la mano di nuovo, ridendo quando si voltò ancora verso il mare. “Ti amo. Tornerò a casa presto. Ti amo.” Castiel si piegò, raccogliendo un'altra conchiglia. “Aspettami,” disse Dean con voce tremante. “Non andare troppo lontano.” Castiel lanciò la conchiglia nelle onde. Dean aprì gli occhi, guardando la sagoma distante di Adam nell'oscurità, ascoltandolo respirare. Era notte ormai, e quando sbirciò l'orologio vide che aveva ancora due ore prima del suo turno. Deglutì, inspirando lentamente e si passò le mani appiccicose sul viso, fredde per il sudore. Inclinò la testa verso lo zaino, e gli scrocchiò il collo. Cercò di recuperare il senso della realtà; il sogno si stava ancora dissolvendo, i suoi resti venivano lavati via come alghe spodestate. Avrebbe voluto sognare un altro ricordo. Una volta quello era il suo preferito. Il mare e Castiel nella sua giacca a vento, la sensazione delle loro mani che scivolavano una sopra l'altra, la vacuità del mondo. I capelli di Castiel che gli toccavano il mento mentre guardavano il mare, la sua risata quando lo afferrò alla vita e lo sollevò, il modo in cui gettavano il pane ai gabbiani e parlavano di volare e di barche. Di sogni e case su isole. Adesso c'era solo il silenzio, il vuoto infinito di una videocamera, Castiel che camminava pigramente lungo il mare, chinandosi a guardare i granchi o i pesciolini, intrappolato lì, in quell'istante. Lo sentiva così lontano, e ad ogni passo che Castiel faceva, la distanza continuava a crescere e Dean non sapeva come fermare tutto questo. Chiuse gli occhi all'oscurità, cercando di non pensare a niente, ma il silenzio terrificante rimase con lui. Dove era andata la sua voce? Chi l'aveva portata via? Cosa l'aveva sovrastata e l'aveva reso muto e con lo sguardo triste? Quando guardava Dean, i suoi occhi erano così tristi, come se volesse dire delle cose che non poteva dire. Dean si rigirò e si strofinò il viso ancora una volta. Voleva dire qualcosa, ma il nome di Castiel rimase intrappolato sulla sua lingua. *** Adam non raccontò mai nulla di Castiel a nessuno, e non menzionò mai più il suo nome intorno a Dean. Dean era contento per questo, contento che Adam l'avesse ascoltato, che l'avesse rispettato. Era un bravo ragazzo, e forte. Ma ciò non significava che le cose sarebbero migliorate solo perché qualcuno non andava a spifferare dove a Dean piaceva metterlo. I giorni erano caldi, l'aria era appiccicosa, e trascorrevano la maggior parte del tempo a camminare attraverso la giungla e l'erba alta fino alla cintola. Sempre in guardia, sempre a guardarsi le spalle, a guardare dove mettevano i piedi, aggrovigliati in uno stato costante di paranoia. Tutti stavano cercando di rimanere vivi in modo da poter tornare a casa. Adam però rimaneva vicino a Dean, non solo perché Dean era l'unico che parlasse con lui, ma a tutti piaceva mantenere la distanza da lui sul campo perché era ancora troppo inesperto per essere affidabile, e un bersaglio troppo facile. Camminavano lungo il confine della foresta alla loro sinistra e un campo vuoto alla loro destra, e Adam non voleva stare zitto riguardo le zanzare che lo pungevano sul collo. “Vuoi smetterla di lamentarti?” sbottò Dean e lo spintonò da dietro. Adam inciampò e si diede uno schiaffo alla nuca quando si girò per guardare Dean. “Non voglio prendermi qualcosa da loro. Chissà che tipo di malattie ci sono qui fuori?” Dean scosse la testa ed esortò Adam a proseguire, aggiustando la presa al suo M-16. Non si imbatterono nulla per il resto della giornata, e Henriksen aveva detto al plotone di riposarsi una volta che il sole fosse scomparso dietro l'orizzonte. Aveva rinfrescato leggermente, ma gli insetti erano peggiori di notte, e Dean dovette sopportare Adam che borbottava tra sé e sé e si lamentava sottovoce finché il ragazzo non si stancò abbastanza da spianare il sacco a pelo e accovacciarsi sopra. Adesso Dean aveva sempre il turno di notte – Henriksen gliel'aveva assegnato permanentemente quando notò che Dean non dormiva mai abbastanza, ma riusciva comunque ad andare avanti con solo poche ore di sonno. Se ne stava in disparte dal resto del plotone, tamburellando distrattamente ritmi sul fusto del fucile, scrutando la giungla e facendo scorrere lo sguardo sugli altri. Alcuni non dormivano; giocavano a carte e scrivevano lettere, radunati in gruppi intorno alle lampade. La maggior parte dormiva, contorcendosi e gemendo, o lagnandosi della scomodità.
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Dean guardava Adam più di tutti, lo sapeva. Non era il suo lavoro riservargli un'attenzione speciale, ma qualcosa in lui era determinato a riportarlo illeso da sua madre. Lo spacciò per un non volere affrontare le ripercussioni dell'alternativa, ma in tutta onestà era una decisione inconscia quella di badare ad Adam. Il suo istinto fraterno che prendeva il sopravvento, o qualcosa del genere. Adam russava nel sonno e si rigirò, buttandosi un braccio sul viso, e Dean sorrise, togliendosi l'elmetto e grattandosi la testa. Guardandosi attorno, lo posò sul ginocchio e tirò fuori la foto, spiegandola, lisciando i bordi e le grinze. Non riusciva a vederla bene nel buio della giungla, ma l'aveva memorizzata molto tempo fa. Il dolce sorriso di Castiel. Il sorriso che riservava solo per Dean, il sorriso che diceva mille cose con un solo accenno di denti, gli occhi grandi, blu e sinceri. Stava probabilmente parlando con lui prima che venisse scattata, ma Dean non se lo ricordava con certezza. Sapeva solo che era la sua foto preferita. Fece scorrere il pollice sulla fotografia, inclinando la testa per guardare i rami degli alberi sopra di lui, il cielo completamente oscurato alla vista. Ritornò con lo sguardo sulla fotografia, e la ripiegò prima di nasconderla nell'elmetto. Si rimise l'elmetto in testa e sistemò il fucile, riprendendo la guardia. Qualcuno venne a dargli il cambio qualche ora più tardi, e quando ritornò barcollante da Adam decise di dormire seduto. Per la prima volta da alcuni giorni era stanco e si appoggiò ad un albero, lo zaino dietro di sé. Chiuse gli occhi e si appisolò. Castiel sorrideva sotto di lui, avvolgendo le braccia nude intorno al suo collo, le labbra contro le sue, e Dio, quanto gli mancava baciare Castiel. Lo baciava come se stesse morendo, leccando dentro la sua bocca e assaporandolo, rubandogli il respiro. Castiel si ritrasse, sorridendo, ridendo, ma la sua risata era silenziosa mentre Dean gli accarezzava i capelli e lo baciava di nuovo. Gli toccò il collo, sfiorando la pelle con le dita, e Castiel si contorse sotto di lui, aprendo la bocca in un'altra risata vuota. “Presto sarò a casa,” promise Dean, e Castiel inclinò la testa sul letto, accarezzandogli la guancia pigramente con un pollice. Dean coprì la sua mano con la propria e Castiel intrecciò le loro dita insieme, incrociando lo sguardo di Dean in un modo quasi indecifrabile. Dean gli baciò la fronte, le guance, le labbra; lo baciò dappertutto, lo toccò dappertutto. Non voleva dimenticarlo, non voleva perderlo. Poteva sentire Castiel affondare le dita nella sua schiena, e Dean lo baciò di nuovo, Castiel ansimò senza emettere alcun suono, graffiandolo lungo la schiena. Si ritrasse, scostando i capelli di Castiel dal viso, e Castiel distese le braccia sopra la sua testa, sorridendogli. Ti amo, disse con il semplice movimento della labbra, e Dean gli prese il viso tra le mani, incorniciandolo con le dita. Gli occhi di Castiel scintillavano giocosamente. “Lo so,” rispose Dean. Castiel si spinse in avanti ed avvolse le braccia intorno al collo di Dean, premendo il viso sulla sua spalla, il corpo che tremava contro il suo. Dean cercò di tranquillizzarlo e gli accarezzò la schiena, e poteva sentire del bagnato sulla spalla, ma quando Castiel si ritrasse, e Dean fece per baciarlo di nuovo, si pietrificò. Castiel non stava piangendo, stava sanguinando. Gli scorreva dal naso, e Dean andò nel panico, cercando qualcosa con cui pulirlo, ma non c'era niente e si ritrovò con le mani insanguinate. Si svegliò ansimante, occhi bagnati, e subito se li strofinò con il dorso delle mani, faticando a riprendere fiato. Si piegò in avanti, seppellendo il viso tra le mani, e trasalì quando sentì una mano sulla spalla. “Ehi,” sussurrò Adam, e Dean ritrasse le mani dal viso, guardandolo nell'oscurità. “Stai bene?” “Sì, sì.” Dean si sfregò lungo il viso con una mano e si raddrizzò. “Solo un brutto sogno. Non è niente di che.” Adam annuì e gli diede una pacca sulla spalla e poi la strinse saldamente, il che rassicurò Dean ben poco, prima di girarsi e ritornare al suo sacco a pelo. Fu il primo di molti incubi e, da quella notte in poi, Dean sognava soprattutto Castiel. Non erano come i sogni che faceva prima, quelli in cui erano sulla spiaggia e Castiel stava svanendo; invece, Castiel stava sanguinando. Dei lividi violacei fiorivano sulla sua pelle quando Dean lo toccava, e il sangue gli fuoriusciva dagli angoli della bocca e dal naso. Il sangue si incrostava e crepava quando sorrideva, inconsapevole di quello che stava accadendo, anche quando Dean tentava di farlo smettere. “Che succede?” gridò Dean, allontanandosi da Castiel, tenendo le mani sollevate, durante un particolare incubo. Il
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sangue scendeva a rivoli sul pavimento. Era raggrumato all'attaccatura dei capelli di Castiel e colava nel colletto della sua camicia. “Che ti succede?” urlò ancora Dean, non sapendo cosa fare. Castiel lo fissava, facendo quel suo sorriso dolce. Va tutto bene... va tutto bene. È tutto a posto. Dean scosse la testa, la pozza di sangue sul pavimento stava avanzando lentamente verso i suoi piedi; Castiel continuava a gocciolare sangue dalle maniche e dai pantaloni, spargendosi dappertutto. “No, no, stai morendo!” gridò Dean, e Castiel aveva un'espressione così preoccupata e fece un passo in avanti. “Ti sto uccidendo, Cas!” urlò Dean, spingendolo via. Castiel scivolò su una chiazza del proprio sangue, fissandosi le mani. Si strofinò i palmi pensieroso, rivolgendo lo sguardo a Dean. Va tutto bene, sorrise, rassicurante, e Dean sentì le lacrime iniziare a cadere. “No, no,” pianse mentre Castiel diventava sempre più pallido, ricoprendosi di lividi sul collo, sul petto, sul dorso dei piedi. Si alzò in piedi e posò le mani appiccicose e calde su quelle di Dean, stringendole. Baciò la mandibola di Dean con le labbra spaccate, e Dean sentì la bocca di Castiel muoversi sulla sua pelle come per dire qualcosa, ma non riuscì a capire cosa fosse. “Basta – basta,” ansimò, mettendosi a sedere, e poi era di nuovo sveglio, tremante, e chiuse le mani a pugno. Si morse le nocche per trattenersi dall'urlare; gli occhi di Castiel sembravano così blu contro il rosso, così calmi. Dean non sapeva cosa significasse, ma lo spaventava a morte, e gli incubi spesso sembravano così reali che, anche dopo che si svegliava, non sapeva dove si trovava. Iniziò a diventare più distante, non parlava più quanto prima, e Adam si accorse che Dean iniziò a dormire meno del solito. Era il giorno prima che dovessero arrivare al posto di blocco. La giungla era fitta e l'umidità era così pesante nell'aria che respirare era diventato faticoso. I vestiti di Dean gli si erano attaccati, e anche se ormai ci era abituato, lo irritava comunque. Se li stava tirando quando Adam lo urtò con la spalla, e Dean sobbalzò leggermente, sperando che Adam non l'avesse notato. “Ehi, perché sei così nervoso?” “Ma di che parli?” Dean finse un sorriso, urtando a sua volta Adam con la spalla e sollevando di più lo zaino sulla schiena. Adam scosse la testa e continuò a camminare. Ci fu uno sparo e Dean fremette, alzando la testa di scatto appena in tempo per vedere Corbett venir trapassato sul collo da un proiettile. Il suo sangue schizzò sull'erba e cadde a terra, qualcosa nello suo zaino tintinnò. Poi il guizzo metallico di un proiettile che lacerava l'aria, seguito da un altro. Rimasero immobili, in attesa. La pioggia gocciolava. Si infiltrava ovunque. Aspettarono. Henriksen urlò di mettersi al riparo e Dean strattonò Adam dietro una copertura, buttandolo a terra alla base di un albero mentre toglieva la sicura al fucile. Aspettò. “Uomo a terra!” vociò qualcuno, troppo tardi, e da dove si trovava Dean poteva vedere Teixeira, il loro medico, slittare sulle ginocchia per raggiungere Corbett, premendo la mano sul suo collo per fermare l'emorragia. Adam osservava con occhi spalancati e pietrificati. Le gambe di Corbett calciarono e poi si fermò, la testa ciondolante, le mani strette intorno al polso di Teixeira. “Porca puttana!” sibilò Dean, preparandosi. Adam rimase premuto contro l'albero, tenendo stretto la medaglietta, gli occhi chiusi. “Milligan!” disse Dean e Adam lo guardò. “Tranquillo, fratellino.” Dean sorrise e Adam ricambiò il sorriso con esitazione, annuendo. Dean si guardò intorno e vide che Henriksen stava coprendo Ash. Ash stava armeggiando con la radio, chiamando le coordinate nel ricevitore, tenendo la voce più bassa possibile mentre i proiettili squarciavano l'aria densa, il rumore metallico delle mitragliatrici sembrò avvicinarsi sempre di più. “Ho bisogno di analisi!” urlò Henriksen, “andiamo, cazzoni! Ditemi cosa vedete!” Dean chiuse forte gli occhi ed afferrò il fucile, abbassandosi. Si accovacciò, piegandosi intorno al lato dell'albero e scansionò l'area. Si voltò e gesticolò a Henriksen, alzando cinque dita e poi altre cinque. Henriksen gli fece cenno di avvicinarsi e Dean guardò Adam. Sorrise in modo rassicurante e Adam lo esortò ad andare.
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“Sto bene,” mormorò, strizzando l'occhio, e Dean gli diede una pacca sull'elmetto prima di affrettarsi verso Henriksen, scivolando dietro tre alberi mentre altri proiettili gli sfrecciavano vicino. Il cuore gli martellava nel petto. “Almeno dieci, ma penso che siano un'esca – ce ne sono di più al lato opposto,” bisbigliò Dean, e Henriksen abbassò la testa per sentire. Annuì cupamente. “Siamo nudi,” grugnì Henriksen. “Nudi come mamma ci ha fatto, cazzo.” Dopodiché ci fu una raffica di movimenti e ordini. Dean si precipitò in avanti con altri due soldati e fece fuori uno dei mitraglieri al primo tentativo. L'altro sergente si occupava del fianco, risalendo sulla sinistra mentre il fronte manteneva la loro attenzione, e Dean voleva cercare Adam ma non riusciva a trovarlo. Dean sollevò di nuovo il fucile e premette il grilletto. Un'ombra cadde a terra. Qualcuno correva nel sottobosco e urlò di mettersi al riparo quando una granada venne lanciata in aria, e Dean si accovacciò, mani sulla testa. Sentì la terra colpirlo sull'elmetto e il rumore martellante dei fucili sopra la testa quando sollevò il viso, avanzando strisciando, fermandosi ad ogni tot metri per sparare. Più ombre filtravano attraverso gli alberi, sfrecciando tra le piante rampicanti e confondendosi, essendosi nascoste dietro la prima ondata. “Quei figli di puttana continuano ad arrivare!” urlò qualcuno, e Dean si chiuse in se stesso, guardando attraverso il mirino, in attesa. Espirò e premette di nuovo il grilletto, e un'altra ombra crollò a terra. Lo scontro a fuoco continuò per diversi minuti, e l'imboscata si stagnò in un momento di calma. Era una truppa di bassa lega di Vietcong, e anche se era ben nascosta, il loro plotone la superò in potenza di fuoco. Calò il silenzio e Henriksen ordinò di ripiegare, e Dean si tirò su. Stava correndo verso il resto del plotone quando ci fu un scalpiccio nel sottobosco e si voltò. Il sole divideva gli alberi, facendo stagliare la figura che stava emergendo. “Non sparate! State fermi!” urlò Henriksen, ma era troppo tardi – ci fu lo scoppio sordo di uno sparo. Una volta. Due volte. “Porca puttana, ho detto non sparate!” gridò Henriksen, e Dean fissò la figura piegarsi in avanti, tenendosi l'addome. Colse il barlume di capelli castani sporchi quando l'elmetto cadde, e Dean stava correndo. “Figlio di puttana!” ansimò Dean, afferrando il soldato che era strisciato da Adam per primo e spingendolo via. “Winchester, togliti dalle palle!” “Chi è stato?” disse Dean con voce isterica mentre si piegava su Adam, scivolando in ginocchio, tirandolo sul suo grembo. C'era sangue su tutta l'uniforme e gli stava gocciolando sulle mani. Adam ansimò, soffocando nel sangue che gli scivolava dalla bocca, e Dean si tolse il giubbotto per fare pressione. Gli occhi di Adam si rovesciarono. Gli uomini stavano in silenzio, fissando Dean che toccava il viso sudato di Adam, girandolo verso di sé, macchiandogli di terra la guancia e la fronte. “Non ti azzardare a morire,” ringhiò Dean, premendo più forte quando il medico si fece avanti, spingendo via le sue mani per ispezionare la ferita. “Non morirai così, figlio di puttana. Non ti lascerò morire così!” “Si sta dissanguando,” disse il medico con calma, tirando fuori una scatola dal borsone, strappando la parte superiore con i denti. Applicò il QuikClot3 sulla pancia di Adam, e il sangue si coagulò in uno strato spesso. Adam si dimenò, urlando, e Dean cercò di calmarlo, tenendolo fermo. Henriksen imprecò, calciando qualcuno. “Quando vi do un ordine mi aspetto che lo seguiate, cazzo! Nessuna eccezione!” Si rimpicciolirono sotto il suo sguardo. “Pensate che parli a vanvera? Pensate che mi piaccia sentirmi parlare? Guardatelo! Guardatelo adesso! È uno dei nostri! Poveri, stupidi coglioni che non siete altro. Non riuscite a distinguere un nemico da uno dei nostri, inutili figli di puttana!” Si chetarono quando Adam gorgogliò, stringendo il giubbotto di Dean. Dean scosse la testa. “Piano, piano, vacci piano.” Guardò dietro di sé mentre Adam si contorceva, il sudore che si raccoglieva agli angoli degli occhi del ragazzo. “Chiama qualcuno! Dobbiamo portarlo via da qui!” Ash accese la radio e il medico sollevò la testa per fermarlo. 3 QuikClot è il nome di un farmaco di tipo agente emostatico. Il prodotto originale era disponibile in granuli da versare direttamente sulle ferite per fermare la perdita di sangue. Il farmaco agisce assorbendo l'acqua contenuta nel sangue in modo da concentrare le proprietà di coagulazione del sangue stesso.
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“Non farlo,” disse rapidamente, tirando fuori la siringa, armeggiando col tappo. Diede dei colpetti all'ago. “Lo stiamo perdendo.” Dean scostò i capelli di Adam dal viso e Adam soffocò di nuovo, inghiottendo il sangue che saliva dalla gola. “L-la mia mamma...” disse, gli occhi stavano diventando vitrei, Dean annuì. “Glielo dirò, non ti preoccupare, glielo dirò,” sussurrò. “Le dirò che sei morto con onore. Le dirò che hai combattuto duramente, hai combattuto duramente, fratellino.” Gli si spezzò la voce. La mano di Adam cadde su quella di Dean e la strinse mentre l'altra si muoveva a scatti verso il collo, strappandosi la medaglietta. Aprì la bocca e Dean gli fissò il viso, mentre spingeva la catenina d'oro nel pugno verso il petto di Dean. “Gliela manderò, la avrà,” disse Dean e Adam scosse la testa. “No!” gridò, e gorgogliò di nuovo. “Tu...” disse con voce affievolita, e Dean prese la mano di Adam, che aprì le dita per premergli la medaglietta nel palmo. “Ce l'ho,” disse Dean fievolmente, “ce l'ho, non ti preoccupare.” “... Tu,” ripeté Adam prima di rabbrividire. Le sue gambe calciarono e poi la testa rotolò all'indietro sul braccio di Dean. Dean fissò il suo viso morto, ancora tenendo debolmente tra le dita la medaglietta. “È morto,” disse il medico, e Henriksen imprecò. Dean continuava a fissare gli occhi morti di Adam, asciugando le lacrime che cadevano sulla sua pelle, creando dei sentieri superficiali nello sporco. Lentamente lo tirò giù dalle sue ginocchia piegate, le braccia rigide sul petto. Dean si tolse il giubbotto fradicio e lo sbatté, posandolo su Adam. “Tu e tu, portatelo al posto di blocco,” disse Henriksen sommessamente, e il medico tirò fuori un sacco di plastica dal suo borsone, srotolandolo. “Winchester.” Dean alzò lo sguardo ma non incrociò gli occhi di Henriksen. “Prendi le sue piastrine e controlla se ha della posta.” Dean annuì vagamente e sollevò la testa di Adam per sfilagli le piastrine militari dal collo, mettendosele in tasca. Gli occhi di Adam fissavano con uno sguardo vacuo gli alberi, la bocca aperta. In seguito Dean gli controllò le tasche e trovò una lettera spiegazzata per sua madre. Toccò l'angolo insanguinato e poi la mise insieme alle piastrine, alzandosi finalmente in piedi. Sollevò la testa in direzione degli altri uomini dall'espressione greve in volto. “Non so chi di voi è stato,” disse, “ma se mai lo scoprirò, vi ammazzo. Avete il dovere di badare a quelli più giovani. Si fidano di voi. Si fidava di voi, e giuro sulla sua tomba che se mai scoprirò chi l'ha ammazzato, sarà la sua fine.” Guardò di nuovo a terra e sorpassò Henriksen, che gli mise una mano sulla spalla per tirarlo indietro in modo da poter camminare accanto a lui. Le settimane si confonderono l'una con l'altra. Dean non sapeva cosa fare con se stesso. Scrisse la lettera alla madre di Adam, ma sapeva che non era abbastanza. Era il suo unico figlio. Il suo unico figlio, ed era morto, e Dean non era riuscito a fermarlo. Tutto quello che aveva da mostrare era la lettera spedita a casa con il suo corpo. Era un ragazzo coraggioso. Dean gli aveva voluto bene come ad un fratello minore. Era così dispiaciuto. Così dispiaciuto. Quando di notte chiudeva gli occhi, Castiel lo abbracciava mentre piangeva, e graffi e lividi apparivano sulla scia delle carezze di Dean. Torna a casa, diceva Castiel con il semplice movimento delle labbra, e Dean scuoteva la testa, fissando a terra. Le impronte di Castiel erano insanguinate e ogni tanto si fermava; le tre ferite da proiettile nel suo addome lo facevano piegare per i crampi prima di raddrizzarsi. Alla fine Dean si era abituato a vederle e lasciava che accadessero. Non c'era nulla che potesse fare.
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Torna a casa, ripeteva Castiel, e finalmente, Dean fu in grado di sollevare la testa e fissarlo in viso. Gli toccò la pelle sotto l'occhio e la pelle si increspò in un delicato livido giallo, e Castiel si appoggiò al palmo della sua mano. “Domani,” gracchiò Dean, “domani...” Si svegliò e per la prima volta dopo tanto tempo aveva il volto asciutto. Fece le valigie con calma e strinse la mano a Henriksen e ad Ash. Salì nell'elicottero e guardò la giungla sparire sotto i suoi piedi, allontanandosi sempre di più. Stava succedendo. Era tutto finito. Stava tornando a casa. Chinò la testa tra le ginocchia, il rumore dell'elicottero era così forte che nessuno poteva sentirlo mentre singhiozzava. Un altro uomo che se ne andava con lui gli mise il braccio intorno alle spalle e gli baciò la testa. “Lo so, amico, cazzo se non è commovente, vero? Abbiamo vissuto l'inferno in terra e finalmente ne stiamo uscendo fuori. È surreale, cazzo!” Dean gli diede una pacca sulla spalla, annuendo, e si asciugò gli occhi, guardando la terra verde scorrere sotto i suoi stivali sporchi, e toccò in apprensione la medaglietta di San Michele sotto la camicia. “Non vedo la mia signora da tredici mesi e ho una paura matta! Mi domando se è cambiata... non ti preoccupi di non poter riconoscere nessuno?” Dean voleva dire di no, ma non ci riusciva, quindi sorrise e basta invece. Non aveva paura di non riconoscere Castiel. Dean aveva molta più paura che Castiel non avrebbe riconosciuto lui.
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Capitolo VII Giugno, 1972 Castiel andò in auto con Sam e Jessica all'aeroporto e, per tutto il viaggio, non riusciva a smettere di muoversi. Continuava a battere i piedi sul pianale, tirandosi le maniche del golfino, e sfilandosi gli occhiali per pulirli, anche se l'aveva fatto pochi minuti prima. Ogni tanto Jessica si voltava per dirgli qualcosa, o forse per scompigliargli giocosamente i capelli. Lui rideva e le dava uno schiaffetto sulla mano, e anche lei rideva e si rigirava per dire qualcosa a Sam. Sapeva che la maggior parte dei soldati che tornavano a casa dalla guerra non erano gli stessi uomini di quando se n'erano andati, ma aveva speranza – aveva comunque speranza che Dean sarebbe stato ancora Dean, e che niente sarebbe cambiato. Non si erano scambiati lettere o pacchi, niente di tutto ciò, quindi Castiel non aveva la minima idea di che cosa fosse successo a Dean in Vietnam; aveva qualche idea, ma non voleva pensarci. Jessica si girò e scompigliò di nuovo i capelli di Castiel, ridendo. “Sei emozionato?” “Ovviamente!” Castiel sorrise e spinse via la sua mano dai capelli. Si era sforzato sul serio a pettinarli bene, e Jessica continuava ad arruffarglieli. Aveva cercato anche di vestirsi bene. Voleva che questo giorno fosse speciale, voleva che fosse bello. “Hai intenzione di baciarlo? Lì, davanti a tutti?” “Non essere assurda, Jess!” Castiel rise forte, attorcigliando le punte dei capelli con le dita, e Jessica rise sommessamente, scuotendo la testa. Sam roteò gli occhi nello specchietto retrovisore e Jessica si sporse per baciarlo sulla guancia prima di tornare su Castiel. “Sarebbe un tale shock, ci scommetto!” “Sì, ma questo non vuol dire che lo farò.” “Va bene, basta parlare di baciare mio fratello!” Sam ridacchiò, parcheggiando l'auto e spegnendo il motore. “Siamo arrivati, andiamo a prenderlo!” All'aeroporto Castiel stava accanto a Jessica, e per un momento poteva sentire le mani che gli tremavano lungo i fianchi prima che Jessica si avvicinasse e facesse scivolare la mano nella sua, stringendola in modo rassicurante. Castiel ricambiò la stretta, e Jessica lo urtò gentilmente con la spalla. “Andrà tutto bene, Cas,” sussurrò. “Starà bene.” Castiel annuì e le strinse di nuovo le dita; il rumore di un aeroplano rombava in lontananza mentre passava sopra il terminale. I soldati scesero in fila dall'aeroplano, e Castiel continuava a cercare Dean, alzandosi sulla punta dei piedi per guardare sopra le teste della gente. Si sistemò gli occhiali, spingendoli più in alto sul ponte del naso, e Jessica ritrasse la mano dalla sua per indicare qualcuno. Castiel seguì il suo dito e poi si pietrificò quando Dean lo guardò, incrociando i suoi occhi. Rimase col fiato in gola, e Dean fece quel suo sorriso vorace. “Cas–” Non sentì il resto di quello che disse Jessica perché si stava già facendo strada a spinte tra le persone, scusandosi con un paio di loro, mentre andava verso Dean, fermandosi davanti a lui quando lo raggiunse. “Dean,” iniziò a dire, ma le parole rimasero intrappolate a metà strada. Il sorriso di Dean si smorzò in qualcosa di più tranquillo. “Ehi,” sussurrò. Castiel si lanciò in avanti ed avvolse le braccia intorno al collo di Dean, e non gli importava che venissero visti. A dire la verità, voleva che tutti quanti vedessero. Voleva che tutti vedessero quanto amava Dean, e quanto gli era
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mancato, e se a qualcuno la cosa non piaceva, allora poteva guardare da un'altra parte. Si sciolse contro Dean quando sentì le sue braccia intorno a sé, Dean che premeva il viso nei suoi capelli, le dita che gli appallottolavano il golfino. “Mi sei mancato così tanto,” singhiozzò Castiel, premendosi più vicino a Dean, e Dean cercò di calmarlo, abbracciandolo più forte. “Va tutto bene. Adesso sono a casa. Va tutto bene.” Guardandosi intorno, vide le persone sussurrare tra di loro ed allentò la presa. “Forse non dovremmo fare una scenata qui,” mormorò, dando delle pacche alla schiena di Castiel in un modo più platonico. Castiel annuì e si ritrasse, togliendosi gli occhiali per asciugarsi gli occhi, arrossendo. Non voleva reagire così. Deglutì e sorrise, guardandolo mentre Sam e Jessica si avvicinavano di soppiatto. Dean vide Sam e il suo viso impallidì, come se avesse visto un fantasma. Spinse con gentilezza Castiel da parte ed afferrò il fratello, tirandolo in un abbraccio così forte che sembrava riluttante a lasciarlo andare. Castiel si torceva le mani nervosamente, guardandolo baciare la guancia di Sam. “Sammy,” lo sentì Castiel mormorare, e Sam abbassò la testa, stringendo forte Dean tra le sue lunghe braccia. “Mi sei mancato, Sammy,” gracchiò Dean, e quando si separarono, Dean gli diede un buffetto sulla spalla, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Sam rise goffamente, abbracciandolo di nuovo, e Dean lo lasciò fare, dandogli delle pacche sulla schiena e sorridendo. “Siamo così contenti che sei tornato,” disse Jessica, la voce sottile, e Dean si voltò verso di lei, con il viso che si spaccò in un gran sorriso. Jessica rise quando Dean la sollevò da terra, baciandole la guancia e rimettendola giù. “Dio, diventi sempre più carina ogni volta che ti vedo,” commentò e Jessica scosse la testa. “Sam non te l'ha detto? Ora faccio la modella per Vogue,” disse in tono stuzzicante, e lo sguardo di Dean si intenerì quando incrociò gli occhi di Sam. “Quand'è che la sposerai, Sammy?” “Dean!” protestò Sam, diventando rosso come un pomodoro, e Jessica tossì nella mano, alzando lo sguardo sul viso di Sam. “È tanto per dire – la vita non aspetta,” concluse Dean con voce affievolita. Guardò i loro volti con una sorta di distanza sui suoi lineamenti, e Castiel si fece avanti, rompendo il silenzio. “Penso che Sam sia in grado di gestire la situazione.” Ridacchiò, sfiorando con la mano l'uniforme di Dean, il tessuto grezzo sotto le dita. Incrociò lo sguardo di Dean, ancora meravigliato che fosse lì. “A proposito, domani Sam e Jess vogliono andare a cena fuori. C'è questo nuovo ristorante che ha aperto. È carino.” “Sì, sì, sembra bello.” Dean coprì la mano di Castiel con la propria, le dita erano ruvide per i calli che Castiel ancora non conosceva. Abbassò la voce. “Voglio solo tornare a casa, se va bene.” “Ma certo!” si affrettò Jessica a dire, guardandoli. “Vi porteremo a casa e stasera chiamerò Cas per programmare l'uscita!” Castiel comunicò la loro gratitudine, Dean decise di non dire nient'altro, sollevando il borsone sulla spalla e spostandone il peso. Castiel lo guardò con la coda dell'occhio, con il cuore che gli martellava per l'emozione, per l'ansia e per una felicità travolgente. Non c'era da sorprendersi se Castiel non riuscisse a tenere le mani lontano da Dean sul sedile posteriore dell'auto, tenendogli la mano tra le proprie, sfiorandogli con le dita il ginocchio. Dean aveva il braccio intorno alle spalle di Castiel e lo teneva vicino a sé, con l'altra mano che accarezzava il palmo di Castiel, toccandogli il polso, il braccio, tutto. Castiel premette il viso sulla sua spalla prima di intrecciare insieme le loro dita, stringendo la mano di Dean. Sam mise l'auto nel parcheggio fuori dal palazzo, e poi scenderono tutti. Sam aiutò Dean a prendere il borsone dal bagagliaio, e Dean se lo gettò sulla spalla. Abbracciò Sam con un braccio, dandogli una pacca sulla schiena, e poi avvolse il braccio intorno alla vita di Jessica, chinandosi per baciarla sulla guancia. “Ci vediamo domani?” “Sì, ci vediamo domani.” Sam sorrise e Jessica abbracciò Castiel baciandolo sulla guancia, e Sam gli arruffò i capelli. Rimasero in strada a guardarli andare via prima che Castiel alzasse lo sguardo su Dean con emozione.
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“Pronto?” chiese, indietreggiando verso la porta, e Dean sorrise, guardando il palazzo e la finestra all'ultimo piano. Emise un piccolo respiro. “Pronto.” Dean lo seguì nell'ascensore e Castiel premette il pulsante, e le porte si chiusero. Guardò Dean con grande aspettativa, ma Dean non si muoveva. Teneva il borsone in mano, fissando le porte chiuse mentre i numeri scattavano sul quadrante in alto; gli ingranaggi giravano facendo scuotere l'ascensore. L'ansia cominciava a salire dallo stomaco ma Castiel la bloccò, guardando invece la lampadina che ronzava, cercando di tranquillizzarsi. Sobbalzò quando l'ascensore si arrestò cigolando, sorreggendosi alla parete, e guardò Dean uscire per primo e fermarsi a pochi metri dalla porta, aspettandolo. Castiel lo seguì, tirando fuori le chiavi, e mise una mano sul braccio di Dean, infinitamente sollevato dal fatto che non avesse sussultato o che non si fosse ritratto. Scosse la testa. Dean stava bene. Stava bene, era solo stanco o qualcosa del genere, e cosa poteva aspettarsi Castiel? Dean era appena tornato a casa dalla guerra, e non c'era niente di sbagliato nel suo comportamento. Con la mente affollata di pensieri, Castiel lo tirò fino alla porta alla fine del corridoio, fermandosi brevemente quando una delle porte si spalancò e uscì fuori una bambina che stava facendo rimbalzare una palla rossa. La bambina si fermò e li fissò, e Dean si irrigidì, e Castiel lasciò cadere rapidamente la mano dal braccio di Dean. “Molly, se tua nonna ti scopre in corridoio, si arrabbierà!” disse Castiel debolmente e la bambina si morse il labbro, fissando ancora Dean. Castiel guardò il viso di Dean ed incrociò i suoi occhi e poi ritornò con lo sguardo su Molly. Dean fece un sorriso forzato. “E tu chi sei?” chiese Molly, e Castiel cercò di pensare a qualcosa da dire. “Molly!” emerse un'altra voce e Castiel salutò la signora Gardener. I suoi capelli bianchi balzavano su è giù mentre si affrettava nel corridoio con indosso la vestaglia, afferrando la mano di Molly. “Ciao Cas – oh, tu devi essere Dean! Cas aveva detto che saresti tornato a casa. Io sono Emily Gardener, e questa è mia nipote, Molly!” Allungò la mano per farla stringere a Dean e Dean così fece, con gentilezza, annuendo, ancora silenzioso. “Sei fortunato ad avere un amico così caro da tenerti la casa mentre eri via!” Rise, e Castiel sorrise, inclinandosi un po' più verso Dean, esortandolo a dire qualcosa. “Grazie,” rispose Dean a bassa voce, e la signora Gardener li salutò brevemente, prendendo Molly tra le braccia per riportarla nell'appartamento, sbattendo la porta dietro di sé. Molly aveva iniziato a piangere in segno di protesta, le gambette bianche che calciavano mentre si dibatteva, tenendo la palla stretta contro il petto. Dean sussultò quando la bambina iniziò a fare i capricci, il suo pianto smorzato dalle pareti. “Mi dispiace tanto,” si affrettò Castiel a dire. “Mi sono completamente scordato di loro due – si sono trasferite qua a Luglio, e mi sono completamente scordato di dirtelo.” Dean lo interruppe, mettendo la mano sul suo polso, il tocco leggero, le dita a mala pena sfioravano la pelle di Castiel. “Cas, non fa niente,” lo rassicurò, “ma questo borsone è pesante.” Castiel corse fino alla fine del corridoio, aprendo la porta. Sorrise, e Dean lo prese come un invito, camminando a passo lento verso l'appartamento. Guardò la porta e vide che era rimasta la stessa. Alcune cose erano cambiate. C'era un nuovo telo afgano drappeggiato sul retro del divano, e non era sicuro di riconoscere alcuni piatti. Era molto pulito ma, altrimenti, era rimasto lo stesso. “Ho cercato di tenerlo uguale il più possibile,” si affrettò Castiel a dire, chiudendo la porta dietro di Dean e strofinandosi le mani insieme. “Alcune settimane fa ho quasi comprato un nuovo divano, e c'è un tappeto nuovo nella camera da letto, ma il resto è tutto uguale. A parte le piante, immagino. Quelle sono nuove.” Rise timidamente, camminando accanto a Dean, osservando l'appartamento immacolato. “Purtroppo ho ucciso le ultime – ero sommerso dallo studio, e continuavo a scordarmi di innaffiarle.” Il borsone di Dean colpì il pavimento e si voltò, afferrando il mento di Castiel, inclinando la testa e premendo le loro bocche insieme. Castiel rimase pietrificato per un momento quando Dean si ritrasse, ancora tenendo il viso di Castiel tra le mani. “Parli ancora troppo,” mormorò, cercando negli occhi di Castiel, le palpebre spalancate e le pupille dilatate per la sorpresa. Senza alcun preavviso, Castiel balzò in avanti, facendo inciampare Dean sul borsone. La schiena di Dean colpì il
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bancone ma a mala pena lo sentì – Castiel si aggrappò a lui, baciandolo forte, utilizzando ogni occasione per leccarlo in bocca. Le sue mani accarezzavano freneticamente l'uniforme di Dean, aprendola con forza, disperato di raggiungere la pelle al di sotto. Si accontentò della canottiera, toccando lo stomaco di Dean mentre questi gemeva contro di lui. “Mi sei mancato, mi sei mancato,” cantilenò contro le labbra di Dean, baciandogli il mento, la mascella, il collo, ovunque lo potesse raggiungere. Le mani di Dean si muovevano in modo convulso sulla sua schiena, le dita gli afferravano il maglione, stringendo e rilasciando, baciando Castiel a sua volta, cedendo alla frenesia. Dean non sapeva cosa dire, quindi lo abbracciò, ed ansimarono l'uno contro l'altro, Castiel era così inebriato che non riusciva a capire dove finisse lui ed iniziasse Dean. Dean rabbrividì, chinandosi in avanti sulla spalla di Castiel, con le reni ancora premute sul bancone. Castiel gli tenne la nuca e gli baciò il lato del viso più e più volte, stringendolo col braccio mentre faceva scorrere l'altro mano lungo la schiena. “Oh Dio,” disse Castiel dopo un istante, dopo che si fossero calmati. “Oh Dio, sei finalmente qui, sei a casa – sei qui.” Dean respirava contro di lui, abbracciandolo più forte. Era lì. Era lì, doveva solo continuare a ripeterselo. Era lì, ed era la guerra ad essere lontana, non Castiel. Era a casa. Chiuse gli occhi quando Castiel premette il viso sul suo collo, baciandolo lì. “Ti amo,” esalò Dean e Castiel si immobilizzò e un brivido gli corse lungo la schiena, trasferendosi anche al corpo di Dean. “Hai fame?” disse all'improvviso, ritraendosi, voltandosi per non farsi vedere da Dean mentre si asciugava gli occhi. Dean si lasciò cadere le braccia mentre Castiel era indaffarato con il frigorifero, urtando gli occhiali quando li spinse più in alto con le dita, tirando su col naso bruscamente. “Ti preparo quello che vuoi, vuoi qualcosa? Posso prepararti quello che vuoi!” blaterò, gesticolando alla porta aperta. Dean lo osservò toccarsi il viso, deglutendo forte. “Mi va bene tutto,” gli disse Dean e Castiel annuì, mordendosi l'interno della guancia. “Ti farò il pollo allora, va bene? Lo vuoi? O la minestra? Vuoi la minestra? Ho un po' di minestra avanzata. Era–” si schiarì la gola, “era molto buona, o posso farti l'insalata di pollo se la vuoi; posso prepararti quello che vuoi.” Quando guardò Dean, i suoi occhi verdi erano così gentili. “Non mi importa,” mormorò. “Non mi importa davvero. Puoi farmi un panino al burro di arachidi se ti va. Non mi importa.” “Allora farò il pollo,” confermò Castiel, annuendo a se stesso, tirando fuori il necessario. Dean si tolse di mezzo, e raccolse il borsone trascurato, portandolo in camera da letto. Il materasso sprofondò sotto il suo peso quando ci si sedette sopra, slacciandosi le scarpe e togliendosele. Camminò a passi felpati verso l'armadio ed accese la luce – i suoi vestiti erano esattamente dove li aveva lasciati. Poteva sentire Castiel in cucina: il leggero fragore delle pentole che veniva tirate fuori e il forno che veniva acceso. Sbatté le palpebre, le lacrime che gli scendevano sul viso. Le asciugò e si cambiò d'abito, infilandosi una maglietta e un paio di jeans che erano più larghi di quanto ricordasse. Sussultò, credendo di aver sentito una zanzara ma non era altro che un granello di polvere proveniente dalla maglietta. Doveva aver perso la cognizione del tempo, rimanendo lì in piedi, e si diede una scrollata, tornando in salotto. Non sapeva cosa fare, quindi si mise a sedere sul divano. Quando lanciò un'occhiata in cucina, vide Castiel lì in piedi, come se neanche lui sapesse cosa fare. Dean si alzò e accese la TV. Tornò a sedersi con le gambe leggermente divaricate, appoggiando le mani in mezzo, e si mise a guardare il telegiornale, cercando di resettare la mente. Alcuni secondi più tardi Castiel apparve con due piatti in mano. “Continuo a distrarmi,” disse con voce roca, e Dean sorrise, prendendo il panino al burro di arachidi dalla mano di Castiel. Castiel si mise a sedere accanto a lui e posò il piatto sulle ginocchia. Non mangiò, ma passò invece una mano tra i capelli di Dean. “Sono diventati un po' più lunghi,” commentò e Dean sorrise col panino tra le labbra, non più abituato al modo in cui il burro di arachidi si attaccasse al palato. Finì di masticare ed inghiottì, fissando Castiel con occhi stanchi. “Già, non ti assillano così tanto per tagliarli quando sei là fuori perché ti sposti continuamente da un posto all'altro.”
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Castiel annuì. “Posso immaginarlo,” continuò, e Dean si rilassò nella carezza di Castiel, le sue dita che si trascinavano leggermente tra i capelli. Castiel fece scorrere la mano sul viso di Dean, togliendogli con il pollice una sbavatura all'angolo della bocca, e Dean fece scivolare il piatto sul pavimento. “Non ho fame,” sussurrò, e gli occhi di Castiel si chiusero quando la bocca di Dean scese sul suo collo. Ansimò, tenendo la testa di Dean su di lui, le braccia di Dean, più muscolose di quanto ricordasse, più forti, lo tirarono verso di lui. Divaricò le ginocchia e Dean si sistemò tra di esse, baciandogli il collo e la mandibola, e Castiel respirava pesantemente, a corto di parole, grattando con le dita i capelli e le spalle di Dean. La pelle di Castiel era così liscia e bianca, non screpolata come quella di Dean, o scura. Sfiorò lo stomaco di Castiel con la mano, e qualcosa dentro di lui si rivoltò. “Che c'è?” bisbigliò Castiel, occhi storditi. “Che c'è che non va?” Dean si fissò la mano, rimettendosi a sedere, lontano da Castiel. Si fissò il palmo e piegò le dita su di esso. Avrebbe potuto giurare che – ma non c'era niente. Era asciutto. “Va tutto bene,” disse Castiel in tono rassicurante. “Ci andremo piano.” Posò la mano su quella di Dean e Dean la strinse forte, torcendo le dita su quelle di Castiel. Dean annuì con aria assente. “Sono stanco,” mormorò, toccandosi la fronte e alzandosi lentamente in piedi. “Sono solo stanco.” Castiel lo guardò passare sopra il piatto e dirigersi in camera da letto, saltando dal divano per seguirlo. Dean si stava spogliando in un modo quasi meccanico, e Castiel si rese conto che fino ad un certo punto era così. Castiel rimase in disparte, osservando Dean tirare su le coperte, giocando con la manica della camicia. Erano solo le otto di sera. “Oh, che bello,” gemette Dean, affondando nel materasso, cercando il suo cuscino; era sotto quello di Castiel. “Scusa,” disse Castiel a bassa voce quando Dean lo tirò fuori da sotto. “Aveva il tuo odore.” Dean sorrise e lo rimise sul suo lato, gettando l'altro cuscino giù dal letto. Sollevò gli occhi verso Castiel, il petto nudo che si gonfiava e si abbassava. Castiel contorse le mani, fermandosi di colpo quando Dean si mise a sedere, togliendo le coperte dalle gambe. “Vieni qui,” disse Dean e Castiel ubbidì, Dean gli sfilò la camicia dai pantaloni, baciandogli il petto attraverso di essa mentre lo faceva. Gli tolse il golfino arrotolandolo e lo gettò sul pavimento. Castiel sospirò, tenendo i polsi di Dean mentre gli sbottonava la camicia, spogliandolo lentamente. Dean fece scorrere le dita sull'addome di Castiel, premendo timidamente i pollici sul bacino. Castiel si chinò, spingendolo contro i cuscini, con le mani spiegate sul suo petto. Si sfilò la cintura con uno strattone rapido e gli caddero i pantaloni, però dovette sfilarseli dai piedi insieme ai calzini. Li calciò via e posizionò le gambe su entrambi i lati della vita di Dean, sistemandosi sui suoi fianchi. Si tolse gli occhiali e li posò sul comodino, e Dean trascinò il palmo lungo il suo fianco, urtando con le dita le costole e la schiena, accarezzando il corpo di Castiel con movimenti ampi. Dean spinse i fianchi in avanti e Castiel gemette sommessamente, piegandosi sopra Dean, muovendosi a sua volta e sigillando le loro bocche insieme. La mano di Dean si trascinò fino al suo sedere, palpandolo leggermente e Castiel sospirò di nuovo, chiudendo gli occhi. “Non dobbiamo farlo per forza,” mormorò, e Dean lo baciò. “Adesso voglio farlo,” replicò, ed era così. Lo voleva. Bramava Castiel; bramava la sua pelle liscia che scivolava sulla propria, bramava i movimenti sinuosi del suo corpo simili alle onde dell'oceano. Però non sapeva cosa fare con le mani, ma a Castiel non importava, baciandogli via la preoccupazione dalla fronte mentre gli lubrificava il membro, inclinandosi all'indietro e prendendolo dentro di sé lentamente. La gola di Castiel ebbe un lieve singulto, ma era bello, ricordò a se stesso. Era bello sentirsi di nuovo completi. Dean era a casa, ed era lì, e lo stava toccando nel profondo ed era tutto quello che Castiel desiderava. Dean affondò le dita nella parte superiore delle cosce di Castiel, e Castiel le coprì con le proprie, muovendo i fianchi, cavalcando il suo membro, la testa gettata all'indietro.
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“Oh, Dean,” disse senza fiato, e Dean lo guardava, lo guardava perché Castiel era bellissimo, e perché aveva troppa paura di fare altro. Teneva le mani piantate sul letto, gli occhi aperti a metà mentre Castiel lo accarezzava sul petto e sul collo, muovendosi con costanza, nell'ovvio tentativo di ristabilire il loro vecchio ritmo. Castiel guardò gli occhi di Dean chiudersi del tutto, il viso calmo, i fianchi che si muovevano leggermente per spingere dentro di lui, ma niente di troppo urgente. Era lento e timido, e Castiel gli toccò il viso, ma Dean ancora non apriva gli occhi. Quando venne, Castiel lo tenne contro il petto, facendo scorrere le dita di una mano tra i suoi capelli, accarezzandolo con l'altra lungo il braccio e sul petto. Dean pianse contro il suo collo, e Castiel cercò di tranquillizzarlo, tenendolo più vicino a sé, coprendolo con il proprio corpo. “Sei a casa,” sussurrò, baciando la tempia di Dean. “Va tutto bene, sei a casa.” Dopodiché, scansò i capelli di Dean dal viso e trascinò le dita lungo il suo petto, notando la sottile catenina d'oro che era finita dietro il collo mentre scopavano. “Cos'è questa?” chiese, e Dean gli prese la mano prima che potesse toccarla. “Non è niente,” biascicò, scivolando ovviamente nel sonno. “Te lo racconterò domani.” Castiel ritrasse la mano e si distese contro la spalla di Dean. Era calda e più robusta di quanto ricordasse, a causa della massa muscolare che aveva acquisito, ma era lui. Premette il naso nella clavicola di Dean, immergendosi nella sua concretezza. Più tardi quella notte Castiel si svegliò, tastando confusamente il letto. Delirante per il sonno, pensò per un momento straziante che Dean se ne fosse andato, che avesse solamente sognato tutto quanto. L'indolenzimento tra le gambe gli diceva il contrario, ma si alzò comunque, camminando barcollante verso la luce che proveniva da sotto la porta del bagno mentre si infilava i boxer. “Dean?” gracchiò, spingendo la porta gentilmente, e Dean alzò lo sguardo dal sedile abbassato del water dove era seduto, con gli occhi arrossati. Castiel aprì la porta ulteriormente e Dean sollevò la mano. “Torna a letto,” disse a bassa voce, e Castiel lo fissò. “Che c'è che non va?” “Niente, torna a letto.” Castiel lo fissò. Era ovvio che stesse mentendo, ma non voleva insistere. Dean si sarebbe ripreso, giusto? Era stanco. Era solo un po' sfasato. Aveva solo bisogno di tempo per mettere la testa a posto, e prima o poi ne avrebbe parlato, avrebbero aggiustato le cose, e tutto sarebbe stato capito. “Vuoi parlarne?” chiese Castiel, e Dean scosse la testa, la catenina d'oro scintillava sul suo petto, un piccolo ovale d'oro pendeva da essa. Una medaglietta, come quelle che indossava sua nonna. Castiel voleva chiedere ma si ricordò la mano di Dean che era scattata in avanti per fermarlo quando prima ci aveva provato. Tempo. Aveva solo bisogno di tempo. “Torna a letto con me,” chiese Castiel e Dean sospirò. “Ho solo bisogno di alcuni minuti.” Castiel ebbe un piccolo tuffo al cuore. “OK,” sussurrò, chiudendo lentamente la porta e poi ritornando a letto. Per abitudine tirò il cuscino di Dean verso di sé. Aveva un odore diverso. *** Dean, si rese conto Castiel rapidamente, non aveva bisogno di tempo. Se fosse così, sarebbe cambiato qualcosa. Ma non cambiò nulla. Dean si rifiutò di parlare della medaglietta. Si rifiutò di parlare di molte cose, e si rifiutò di fare ancora di più. Le cose erano iniziate bene. Andavano a cena fuori, Dean andava al garage, ma arrivò il giorno in cui Dean non si alzò dal letto una mattina, e poi quella seguente, e poi quella seguente ancora. Giorno dopo giorno Castiel tornava a casa dal college o dal lavoro, e Dean era rivolto verso il muro, gli occhi chiusi, ma non dormiva, respirava solo, le braccia aggrappate intorno al cuscino.
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A mala pena mangiava, e a mala pena dormiva, trascorrendo la maggior parte delle notti davanti alla TV, o in bagno, piangendo dove non avrebbe svegliato Castiel. Nelle notti rare in cui si addormentava, spesso si svegliava urlando, dimenandosi in modo convulso, e quando Castiel allungava la mano per toccarlo, per farlo calmare, la scansava via gemendo qualcosa che non capiva. Castiel non si arrese. Ci doveva essere qualcosa che potesse fare, qualcosa che avrebbe scrollato Dean dalla sua apatia, solo che ancora non l'aveva trovato. Doveva continuare a tentare. Allora riempì i silenzi. Parlava continuamente del college, degli amici che si era fatto durante i movimenti contro la guerra: Balthazar, uno specializzando in antropologia, e la sua piccola cerchia di amici avevano aiutato ad organizzare le proteste. Dean sorrideva dolcemente, assecondandolo. Sedeva al tavolo, fissando fuori dalla finestra mentre Castiel parlava, come se fosse incapace di guardarlo. Castiel ne parlava con Sam, e Sam diceva che era stress post-traumatico. Dovevano solo aspettare che passasse, avere pazienza, continuare a tentare di indurre Dean a destarsi dal suo torpore. Queste conversazioni facevano sentire Castiel come un fallito. Conosceva Dean meglio di tutti, no? Lo amava. Aveva fatto l'amore con lui, l'aveva baciato, l'aveva aspettato. Si era sentito solo e stravolto, aveva penato ed aspettato, e pianto per la preoccupazione. Sarebbe dovuto essere in grado di fare qualcosa. Ci doveva essere qualcosa, doveva solo trovarla. Qualcosa per riportarlo indietro, per fargli capire che era lì. Condivideva il letto con due persone: Dean e la guerra, ed era ferocemente geloso e ancora più disperato di liberarsi della sfascia-famiglie, quella che stava tenendo Dean lontano da lui. Sapeva solo che non poteva arrendersi. Si rifiutava di farlo. Castiel si mise a sedere sul bordo del letto, toccando la spalla di Dean. “Ho chiamato Bobby. Ha messo a punto per te la tua vecchia moto da corsa – ho pensato che ti avrebbe fatto piacere andare a guidarla,” tentò Castiel, cercando di non mostrare la sua impazienza. Dean fissava il muro, senza muoversi. “Sono stanco,” sussurrò, e Castiel vacillò un po', contento che Dean gli stesse di schiena. “Amore, ti prego,” implorò. “Se ci vai, ti divertirai. Sarà così facile, vedrai. Ritroverai di nuovo il ritmo.” “Non sono preoccupato per quello,” disse Dean seccamente, tirando più vicino al suo corpo le coperte. “Sono solo stanco.” “Ma se ci vai non lo sarai più,” disse Castiel, accarezzando la schiena di Dean, “e se ti piace, il prossimo weekend possiamo andare in campagna. Sai, come facevano una volta? Ci portiamo il pranzo al sacco e passiamo la giornata fuori, solo tu ed io.” Dean non rispose e Castiel fece scivolare la mano sulla spalla di Dean. “Dean?” “Mmm.” Castiel sospirò. “Per favore, almeno puoi provarci? Lo so – lo so che deve essere difficile, ma se uscissi di nuovo, vedrai. Provaci. Per me, ti prego.” “Non posso,” mormorò Dean. “Non ci riesco.” “Ma ci riesci. Lo so che puoi farcela.” Castiel cercò di ridere. “Ci sono venti trofei che mi stanno fissando che mi dimostrano il contrario!” “Forse.” Castiel sapeva che forse voleva dire no, ma lo assecondò. “Dirò a Bobby forse.” Castiel non sapeva che quando Dean andava a dormire Castiel tossiva sangue. Che il suo corpo era ricoperto di croste e lividi che si spaccavano quando Dean lo accarezzava, e per tutto il tempo Castiel sorrideva, e per tutto il tempo Castiel gli diceva che andava tutto bene, con la bocca che si muoveva senza emettere alcun suono, scimmiottando il vero Castiel che era disperato di farsi ascoltare. L'avrebbero superato, dicevano i suoi sogni, e a volte, negli incubi più spaventosi, Adam era dietro Castiel e fissava il viso di Dean con occhi vitrei, lo stomaco a mala pena tenuto dentro.
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Si fidava di te. Quando era sveglio, poteva sentire la voce di Castiel diventare sempre più sottile, e provava vergogna, era distrutto. Aveva paura. Paura che gli avrebbe fatto del male, paura che avrebbe distrutto anche lui, che un giorno si sarebbe spinto troppo oltre e il peso della guerra si sarebbe tramutato in un coltello che avrebbe lacerato Castiel. Non riusciva a muoversi, non riusciva a reagire. Non era migliore di quei inutili figli di puttana del suo plotone, gli uomini su cui aveva voluto sputare, gli uomini che avevano ucciso Adam perché non erano stati abbastanza attenti. Un giorno Castiel uscì per andare a lezione e Dean si alzò. Si vestì. Si fece una doccia, tutti gli annessi e connessi, ma quando si trovò davanti allo specchio a mala pena riusciva a riconoscersi; era scarno e aveva le guance scavate, e c'erano delle righe sulla fronte che si rifiutavano di raddrizzarsi, e all'improvviso, con disgusto, si rese conto che quello era il viso che Castiel vedeva, e non era niente. Non era niente – non era un uomo, non era un amante. Niente. Era il viso di un soldato che non poteva più combattere. Un peso morto, che trascinava Castiel nel fondo con lui. Affogandolo. Non passò molto tempo prima che accadesse. Castiel era ritornato a casa e all'inizio era così contento – Dean non era a letto ed era così contento – ma poi si guardò intorno, e lo vide collassato sul divano, ed era così ubriaco che nemmeno riusciva a stare in piedi. Non appena vide Castiel, iniziò a piangere, e non riusciva a fermarsi. “Gli hanno sparato!” urlò, e Castiel cercava di sostenerlo per evitare che si accasciasse ulteriormente, col rischio di svenire. “Gli hanno sparato – l'hanno ammazzato. Era uno dei nostri, cazzo, e l'hanno ammazzato!” “Dean, di chi stai parlando?” Dean scosse la testa, ansimando, il muco e le lacrime gli scendevano sul viso. “Non posso! Non posso!” gridò. “Non sono riuscito a salvarlo!” Si graffiò il viso e la testa, incapace di controllarsi. “Dean, shh,” tentò Castiel, cercando di non farlo agitare. “Dean, ti prego, va tutto bene,” disse in tono rassicurante, ma Dean lottò, togliendosi di dosso le mani di Castiel. Si alzò in piedi e cadde a carponi, e Castiel si avvicinò per aiutarlo ad alzarsi. Dean non sapeva quanto forte lo spinse, ma i libri caddero dalla libreria e finirono sui piedi di Castiel quando andò a sbattere contro di essa. Dean, troppo ubriaco per rendersene conto, si mise a sedere sul pavimento, gemendo ancora. “Suo figlio è morto. È morto – l'abbiamo ammazzato. L'abbiamo ammazzato...” ansimò, raggomitolandosi su se stesso. Castiel, con la testa gli ronzava e che aveva iniziato a formicolare dove aveva urtato lo scaffale, fissò Dean, paralizzato. Dean, piangendo, emetteva singhiozzi secchi come colpi di tosse, e Castiel barcollò in avanti, cadendo a terra per tirarlo tra le sue braccia. “Va tutto bene,” mormorò, la voce tremante. “Va tutto bene, shh... shh.” Dean si chetò, aggrappandosi a lui, e Castiel seppellì il viso tra i suoi capelli. “Cosa ti è successo?” mugolò Castiel. “Che ti hanno fatto?” “L'hanno ammazzato,” biascicò Dean, “e tutto quello che hanno da mostrare è solo immondizia.” “Come posso aiutarti? Dimmelo, Dean, dimmelo,” sussurrò Castiel freneticamente e Dean scosse la testa. “Sono veleno,” mormorò. “Ti infetterò.” Castiel pianse, tremando mentre teneva la forma inerte di Dean contro di sé – Dean si incurvò ancora di più contro la sua spalla, non essendo abbastanza sobrio da stare dritto da solo. Alla fine riuscì a portarlo a letto. “Torna da me,” implorò Castiel, ma Dean non sapeva a chi si stesse rivolgendo. Castiel lo toccò dopo che Dean aveva capito cosa gli aveva fatto. Quando aveva capito che era lui la ragione per cui Castiel aveva un livido sulla schiena e un rigonfiamento sulla nuca.
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“Sto bene,” insistette Castiel, la voce acuta, piena di bisogno. Dean scosse la testa. Castiel emise un suono indignato, strisciando più vicino a Dean sul letto, obbligandolo a prestargli attenzione, baciandolo anche quando non reciprocò. “Sto bene, non è colpa tua,” continuò. “Non è colpa tua – sto bene.” Dean fissò il soffitto e Castiel singhiozzò quando prese la mano di Dean e se la mise sul petto. “Ti prego. Ci sentiremo entrambi meglio dopo, ti prego.” Castiel inclinò la testa in avanti, e Dean sapeva che stava cercando di non cadere a pezzi. Ci provava con tutte le sue forze. Dean non sapeva perché ci provasse. Non riusciva ad eccitarsi. Erano settimane che non ci riusciva; ogni volta che ci provava voleva vomitare. Riusciva a vedere la pelle di Castiel solo come una tela bianca da distruggere. “Toccami!” urlò Castiel, “toccami, perché non so... Dean, ti prego, ti prego.” La sua voce si affievolì, e Dean poteva sentirgli il cuore battere all'impazzata contro le costole; aveva le mani tremanti e le nocche bianche. “Ti prego,” quasi singhiozzò. “Sto bene, sto bene, quindi ti prego, abbracciami. Non devi fare qualcosa per forza – non dobbiamo farlo, voglio solo sentirti, così so, così posso sapere...” smise di parlare, fermandosi, osservando il viso di Dean, ma era impassibile. Dean lentamente tirò via la mano da sotto Castiel e si girò, rivolto verso il muro. Il letto cigolò quando Castiel si alzò. I piatti si ruppero quando Castiel li lanciò. Il volume dell'album che stava suonando non era abbastanza alto da coprire le urla di Castiel. Dean fissò il muro, e il quadro inchiodato su di esso sbatacchiò quando Castiel scaraventò a terra una sedia per la frustrazione. Castiel continuò a tentare perché non voleva arrendersi. Non si sarebbe mai arreso con Dean. Continuava a tentare di farlo scendere dal letto durante il giorno, di farlo uscire a prendere un po' di aria fresca, ma Dean non si schiodava. Si avvolgeva ancora di più le coperte intorno a sé, borbottando qualcosa come 'esco più tardi'. Però non accadeva mai, ovviamente, perché Dean non lasciava mai l'appartamento finché Castiel non se ne andava, ed era solo per arrivare al negozio di liquori. Furono innumerevoli le volte in cui Castiel tornava a casa e trovava Dean stravaccato sul divano, sul punto di svenire, con una bottiglia che penzolava dalle dita. Castiel gli toccava il viso, gli accarezzava i capelli e gli baciava la fronte, convincendolo con le moine ad alzarsi e aiutandolo ad andare in camera da letto. Castiel pensava di poter essere capace di odiare Dean allora; voleva odiarlo. Voleva picchiarlo, fargli entrare un po' di buon senso in testa, ma il viso di Dean era stremato, e i suoi occhi erano spenti e disinteressati. Castiel non poteva odiare Dean. Se n'era andato. Si muoveva come un cadavere da un posto a un altro, lasciando che Castiel lo spogliasse quando era troppo ubriaco per farlo da solo, così silenzioso, rotolando sul materasso per dormire o per fissare il muro. Almeno, quando urlava, Castiel riusciva a spigolare qualcosa da lui. Ma c'erano alcuni dettagli che tuttavia proprio non riusciva a tirare fuori da Dean. La chiave per svelare il mistero e capire tutto quanto, la ragione per cui teneva quella terribile medaglietta intorno al collo come un cappio, soffocandolo lentamente. Castiel si consolava perché era disperato. Dean aveva solo bisogno di tempo. Aveva solo bisogno di dimenticare; Castiel alla fine avrebbe trovato le parole che l'avrebbero svegliato, che gli avrebbero mostrato che era lì, a casa, e i terribili ricordi si sarebbero dissolti. Come un incantesimo, fantasticava Castiel; la medaglietta sarebbe semplicemente caduta dal suo collo frantumandosi in milioni di pezzi e sarebbe apparso il vero Dean. Che guardava lui, e non attraverso di lui. Ma Castiel era stanco di aspettare. Il peso era opprimente. Stava male. Aveva le borse sotto gli occhi e la sua voce era strozzata, contorta più e più volte anche se l'alzava raramente. Quando cercava di rispondere alle domande poste dai professori, gli si annodava la lingua ed era timido e le parole nuotavano sulle pagine dei suoi libri di testo, confondendosi insieme, luccicando come onde. Durante il giorno vagava come un fantasma, ignaro di tutto, e poi all'improvviso si trovava seduto sul bordo del letto a piangere, con Dean addormentato accanto a sé, e non si ricordava come fosse finito in quel modo. Non sapeva perché si preoccupasse di soffocare il proprio pianto. Dean non si sarebbe svegliato da un momento all'altro. Il sacchetto marrone accartocciato vicino al divano lo aveva assicurato.
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Com'era terrorizzante sapere che piangeva con sollievo. Dean era così immobile accanto a lui, il petto che si gonfiava e si abbassava in modo così regolare, il viso calmo e non deturpato dalla rabbia primitiva degli incubi. I mesi si trascinarono via, grattando le mura e i pavimenti e dentro il petto di Castiel. Niente funzionò. Castiel non era del tutto solo. Sam faceva quel che poteva; tentava di parlare con Dean con calma e raziocinio. Dean aveva bisogno di rimettersi in piedi, aveva bisogno di iniziare a sentirsi di nuovo un uomo degno. Di riacquistare un senso di se stesso. Cominciando con piccole cose, come andare in vacanza, qualsiasi cosa. E ogni volta Sam se ne andava, abbracciando Castiel, la bocca premuta fermamente con mille scuse. “Va tutto bene.” Castiel fece un sorriso forzato, toccando il braccio di Sam. Stava diventando molto bravo a mentire. “No che non va bene,” replicò Sam. “Quello che sta facendo – quello che ti sta facendo passare, è sbagliato. Vorrei sistemare le cose, ma non posso. Deve farlo lui, ed io ci sarò sempre per Dean, ma...” “Va tutto bene, lo supereremo,” assicurò Castiel, e non sapeva più a chi stava parlando. “In un modo o nell'altro, ce la faremo. Anche se ci vorrà un po' di tempo.” Poi Sam se ne andò, e Dean era ancora a letto, tenendosi strette le coperte intorno a sé, rivolto verso il muro, ignorando il mondo intero. Era così strano. A volte era così irreale. Come camminare dentro un quadro bizzarro, come se fosse una caricatura della vita, perché in quale altro modo poteva spiegarlo? Come aveva fatto Dean a trasformarsi da persona spensierata ed allegra a questo? Quando era successo? Quando si era spaccato a metà, come una conchiglia rotta, qualcosa di deforme ed incompleto che giaceva lì, lasciando che il mare lo bistrattasse? Dean si era arreso con se stesso molto prima che Castiel lo facesse. Stavano guardando la TV insieme, un vecchio episodio di Star Trek o qualcosa del genere, e nessuno dei due vi stava prestando attenzione. Castiel stava accarezzando il collo di Dean, contento che fosse sceso dal letto e che stessero passando del tempo assieme. Era quasi come se stessero ritornando nella loro vecchia routine: guardare la televisione insieme prima di andare a letto. Castiel gli baciò la guancia, l'angolo della bocca, tutto quello che poteva raggiungere, e Dean gli strinse con gentilezza la coscia dove aveva posato la mano. Castiel sorrise dolcemente. “Ti amo.” Rise tristemente, premendo il viso nel collo di Dean, avvolgendo le braccia intorno a lui. Dean divenne teso e si ritrasse, afferrando Castiel per le spalle quando questi cercò di avvicinarsi di nuovo. I suoi occhi erano vuoti, la sua bocca una linea piatta. Dean scosse la testa e gentilmente lo spinse via. “Mi dispiace.” “Dai,” disse Castiel debolmente, un'altra risata goffa sgorgò dalla sua gola. “Dì che anche tu mi ami.” Dean lo fissò. “Mi dispiace,” ripeté. Coprì le mani di Castiel con le proprie. Castiel scosse la testa. “Non fai sul serio,” mormorò, sorridendo. “Smettila di scherzare.” Dean guardò il punto dove le sue dita toccavano quelle di Castiel, accarezzandole dolcemente. “Ti amo,” concedette, e Castiel sentì un'inondazione di sollievo ingrossarsi dentro di sé. Poteva di nuovo respirare. “Vuoi andare a quel ristorante italiano? Non ci andiamo da parecchio, quindi ho pensato che ci potremmo andare.” “È finita, Cas.” “Hanno quel pollo al marsala che ti piace. Oppure potrei ordinarlo e portarlo a casa? Potremmo cenare a casa, ho pensato. Potremmo provare a cenare a casa, e poi forse, più in là, ceneremo fuori.” La voce di Castiel si spezzò alla fine, ma non sapeva perché. Sembrava un buona idea. Stuzzicare di nuovo Dean ad uscire. Dean non disse nient'altro e Castiel non... non capiva. Castiel ricadde contro il divano quando Dean si alzò, dirigendosi in camera per crollare sul letto, tirandosi le coperte addosso e girandosi per stare di fronte al muro. Si avvolse ancora di più nelle coperte e chiuse gli occhi.
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Castiel apparve nel vano della porta, proiettando la sua ombra sopra Dean. “Allora devo andare a prendere il pollo domani?” Dean aspettò un momento. “Come vuoi, Cas,” sussurrò, e Castiel indietreggiò dalla camera, tornando a sedersi sul divano. Non venne a letto. *** Dean si svegliò da solo; Castiel era andato a lezione. Tirò fuori il suo borsone dal fondo dell'armadio ed iniziò a spingerci dentro i suoi vestiti, i movimenti meccanici e rilassanti. Gli piaceva – fare le valigie, mettere via le cose. Il borsone era così ordinato e, quando chiuse la cerniera, aveva un aspetto preciso e curato, il suo peso gli era familiare. La bambina che aveva incontrato quando era ritornato – Molly? – era in corridoio, e lo salutò; la salutò a sua volta prima di entrare in ascensore. Prese un taxi per andare al garage di Bobby, e poteva vedere la sua moto a lato dell'edificio, bella com'era il giorno in cui era partito. Il garage era chiuso, ma il furgone di Bobby era parcheggiato fuori, così Dean provò la maniglia, non stupendosi quando la trovò sbloccata. La porta dell'ufficio di Bobby era aperta, ed entrò dentro. Bobby alzò lo sguardo, sorpreso, ma poi gli si illuminò il viso quando si rese conto di chi fosse. “Dean! Ma dove diavolo sei stato? Hai un aspetto di merda... il che è meglio di quanto pensassi.” “Sono venuto per la mia moto,” disse Dean con voce impastata, oscillando leggermente per far sfogare un po' della sua energia nervosa. Bobby lanciò un'occhiata al borsone marrone sulla sua spalla. “Vai da qualche parte?” disse lentamente, e lo sguardo di Dean si indurì. Non era lì per rispondere a delle domande. Era lì solo per prendere la sua moto. Voleva solo la sua moto, nient'altro, e poteva vedere Bobby che si stava preparando per fargli una predica. “Fammi riformulare la domanda: stai partendo?” Dean non disse nulla. “Ma Cas–” “Ti prego, non dirglielo,” mugolò. Dean si strofinò il viso, e Bobby si alzò, attraversando la stanza per tirare Dean contro il petto. Dean pianse sulla sua spalla, e Bobby gli strofinò gentilmente la schiena prima di ritrarsi, tenendolo a debita distanza. “Non puoi fargli questo.” “Non sono un bene per lui, Bobby,” gracchiò Dean, asciugandosi il naso. “Lo sto facendo soffrire, lo sto uccidendo. Giuro che lo sto uccidendo.” “Dean, per favore–” “Non puoi farmi cambiare idea!” Dean si ritrasse, strofinandosi gli occhi con un mano e sistemandosi il borsone sulla spalla con l'altra. “Dove sono le chiavi della moto? Devo andarmene di qui.” Bobby tirò fuori le chiavi dall'ultimo cassetto della scrivania e le passò a Dean, afferrandolo per un abbraccio prima che avesse la possibilità di girarsi e precipitarsi fuori dalla porta. Tenne il mento di Dean fermo, impedendogli di distogliere lo sguardo. “Devi ritornare, puoi ritornare. Quando vuoi,” insistette. Dean annuì e ricambiò l'abbraccio, stringendo le chiavi nella mano prima di divincolarsi ed uscire dalla porta, puntando dritto verso la sua moto. Amava Castiel, continuava a ripetersi, e lo faceva per lui. Era il premio di un codardo. *** Quella sera Castiel tornò a casa più tardi, non sorpreso dal silenzio dell'appartamento dato che era quasi sempre silenzioso al suo ritorno. O Dean era ancora a letto o era fuori. Ebbe tuffo al cuore; se Dean era fuori, era inutile
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comprare la cena. Posò la borsa sul pavimento con un tonfo pesante, i libri la caricavano troppo, e si strofinò la nuca, roteando le spalle. La camera da letto era vuota quando ci guardò dentro, il materasso era scoperto, e Castiel continuava a strofinarsi il collo con fare stanco, tornando in salotto per accendere il televisore e sedersi sul divano. Fissò lo schermo, gli attori, e sospirò pesantemente, inclinando la testa all'indietro. Solo cinque minuti. Poi si sarebbe rialzato. Solo cinque minuti, e sarebbe stato bene. Era così stanco, e l'appartamento era così tranquillo. Era così silenzioso e la testa gli pulsava forte. Le sue ossa sembrarono sprofondare nei cuscini, e quando si è svegliò più tardi nella notte, si accorse che Dean non era ancora a casa. Si guardò intorno confusamente, abituando la vista al buio, poi si alzò dal divano e andò in camera da letto, solo per trovare che la luce che aveva seguito veniva dall'armadio. La porta era aperta a metà, la luce accesa, e quando sbirciò dentro, notò che la maggior parte delle magliette di Dean erano scomparse. Il borsone non c'era più. Le sue scarpe. Castiel indietreggiò finché non sentì il bordo del letto affondare nella parte posteriore delle ginocchia, e crollò sul materasso; le gambe non riuscivano più a tenerlo in piedi. “No,” disse pacatamente. Le lacrime gli bruciavano gli occhi e scosse la testa, toccandosi i capelli, incredulo. “No, no, no.” Si alzò di scatto, tornando all'armadio. Forse Dean aveva solo spostato le sue cose, pensò mentre le cercava, tirando fuori le proprie cose e gettandole sul pavimento. Si spostò al comò, frugando nei cassetti mezzi vuoti. Si fermò in mezzo alla camera da letto, i vestiti ai suoi piedi, ed istintivamente si premette le mani sugli occhi. “Svegliati,” sussurrò. “Svegliati. Questo è un incubo.” Sentì come se il petto stesse sul punto di collassare, la gola troppo stretta per far passare qualunque suono. Si fece strada a fatica uno strano grido rotto, e Castiel si piegò in avanti con un senso di vertigine, il battito cardiaco martellante nelle orecchie. “Non fai sul serio,” disse a nessuno. “Non farmi questo. Dean, ti prego.” Aspettò che la porta si aprisse, di sentire il passo pesante degli stivali di Dean, di sentirlo rovistare nelle credenze per un bicchiere d'acqua, ma non c'era nulla. Il silenzio divorò la sua voce e Castiel si aggrappò al proprio corpo, mordendosi la lingua quando i singhiozzi lo fecero tremare. Castiel aveva cercato con tutte le sue forze di impedire a Dean di diventare qualcuno che non era, e non ci era riuscito. Si tolse gli occhiali e gridò nelle mani. Aveva fallito e la guerra gli aveva portato via Dean, quella sfasciafamiglie che da sempre incombeva sopra le loro teste, lentamente dilaniando Dean fino a spezzarlo. Una parte di Castiel sapeva che sarebbe accaduto, ma non pensava che sarebbe successo così presto. Non pensava – pensava che avessero tempo. Pensò che era quello che gli era stato dato in cambio per aver lasciato andare Dean, per essersi fidato che qualcosa l'avrebbe riportato indietro. Era quello il prezzo, no? Tempo per guarirlo. Tempo per rimetterlo in sesto, per ricucire insieme i suoi pezzi. Il tempo non aveva mantenuto la sua parte dell'accordo, e Castiel si domandò con una paura improvvisa se questa fosse la vera favola. Come quelle spaventose in cui i bambini venivano mangiati dai lupi o dalle streghe e nessuno viveva felice e contento. Non c'erano formule magiche. Non c'erano parole che potesse dire. Dean se n'era andato. Lentamente si alzò dal pavimento, il petto che sussultava, e barcollò verso il letto, lasciandosi cadere su di esso. Non si prese nemmeno la briga di tirare propriamente le coperte o di spogliarsi. Posò il corpo sul cuscino di Dean e si mise rivolto verso il muro che Dean aveva trascorso la maggior parte delle sue giornate a fissare, gli occhi che vagavano in cerca di risposte. Non c'erano risposte lì. Era solo un muro; bianco ed impietoso. Chiuse gli occhi, la rabbia lo faceva piangere. Non voleva più piangere, perché piangere non gli avrebbe ridato Dean. Ma il letto sembrava così vuoto senza di lui, e l'appartamento era così tranquillo senza le sue urla, senza il ricordo costante che Dean era proprio lì. Castiel rise amaramente, scuotendo la testa, perché era patetico pensare che avrebbe preferito avere Dean accanto a sé, che si agitava nel sonno, piuttosto che stare a letto da solo. Ma era vero, perché almeno Dean sarebbe stato con lui.
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Capitolo VIII Fine Febbraio, 1981 “Dean, hai una chiamata!” Dean sollevò lo sguardo dalla moto che stava riparando e si alzò in piedi, camminando verso Bobby che si era sporto dalla porta del suo ufficio, tenendo in mano la cornetta del telefono. Annuì, asciugandosi il viso con uno straccio, fissando la cornetta all'orecchio con la spalla, mentre cercava di strofinare via alcune macchie di grasso dalle dita. Bobby uscì dall'ufficio, socchiudendo la porta per dargli un po' di privacy. “Dean Winchester,” disse, lanciando un'occhiata alla piccola parte di pavimento levigato del garage proprio fuori dalla porta. Una crepa aveva cominciato a correre dal battiscopa alla fine del muro e si estendeva per un bel po', sparendo sotto una Harley. “Pronto?” disse, dopo essere stato accolto dal silenzio. “Mi dispiace,” disse una voce sconosciuta. “Mi dispiace disturbarti al lavoro.” Dean socchiuse gli occhi e guardò di traverso la crepa nel pavimento, cercando di riconoscere la voce, ma non ne venne a capo. “Chi è?” continuò, sistemandosi il telefono in mano, dando le spalle all'ufficio e al resto del team del garage. “Ci conosciamo?” La persona dall'altro capo del filo sembrò esitare, ma alla fine fece un respiro profondo. “Non ci siamo mai incontrati di persona. Sono Gabriel Novak.” Gabriel Novak prese un altro respiro. “Il fratello maggiore di Castiel Novak?” Come se Dean avrebbe mai potuto dimenticare quel nome. Dean non disse nulla. “... mi è stato detto che potevo raggiungerti a questo numero, o che, se non eri in città, Bobby Singer avrebbe saputo come raggiungerti,” continuò Gabriel, la sua voce diventava sempre più sottile. “Castiel voleva che ti chiamassi da parte sua.” “È uno scherzo?” disse Dean con voce sommessa, lo stupore che circondava quel nome si stava lentamente sollevando. Si sentiva sempre di più a disagio. “Chi cazzo sei?” Ci fu una pausa pregnante e Gabriel – se era chi diceva di essere – si schiarì la gola. “Castiel voleva – senti, lo so che non vi parlate da anni. Me l'ha detto. Mi ha detto che probabilmente ti saresti arrabbiato quando ti avrei chiamato, ma dovevo chiamarti. Non mi sarei mai disturbato se non me l'avesse chiesto.” Dean si appoggiò alla parete vicina, incrociando il braccio sul petto. “Fai in fretta, sto lavorando,” disse aspramente, abbassando la testa in modo che il rumore di un motore che veniva testato non gli infastidisse l'udito. “Vuole vederti,” disse Gabriel semplicemente. “Tutto qua.” “Dovrebbe capire che non posso farlo,” replicò Dean. “È malato.” “Senti, non so perché pensi di avere il diritto di chiamarmi – !” disse Dean con rabbia, guardandosi intorno alla ricerca della forcella così poteva chiudere la telefonata. “Sta morendo.” “– ma non ho il tempo di preoccuparmi ogni volta che Cas si prende un raffreddore, va bene? Ci siamo lasciati. Anni fa. Quindi riattacca pure il telefono,” ringhiò Dean, ma scoprì di non riuscire a muoversi. “Lo so che per te deve essere una cosa difficile da sentire,” disse Gabriel, “e lo so che non vuoi sentirla da qualcuno come me, ma vuole davvero vederti.”
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Dean si fermò, il viso ancora contorto dalla rabbia. “Cosa hai detto?” “Sta morendo, Dean.” La voce di Gabriel si spezzò. “È molto malato.” “Stai mentendo,” sibilò. “Stai mentendo. Sei incazzato con me perché eravamo amanti – perché io e tuo fratello stavamo insieme, e adesso stai cercando di punirmi, non è vero? Ascolta, non ho tempo per questi scherzi malati. Devo lavorare, quindi vaffanculo!” Gabriel non disse nulla per diversi secondi. “Mi dispiace tanto, Dean.” “Beh, dispiace anche a me, cazzo! Pensi di potermi chiamare nel bel mezzo del lavoro per dirmi una stronzata su Cas per farmi sentire una merda. Per farmi sentire una merda, perché non riesci a sopportare il fatto che abbiamo scopato! Stronzate, sono un mucchio di stronzate!” “Mi dispiace tanto.” “Smettila di dirlo!” sbraitò Dean. “Smettila di dire che ti dispiace per una bugia del cazzo!” Gli prudeva la pelle; sentiva come se fosse troppo stiracchiata su di lui, come se stesse per scoppiare fuori da essa da un momento all'altro. Si sentiva il viso caldo e rosso. “Tu devi capire!” disse Gabriel a voce alta, e Dean poteva sentire ancora più parole stipate in gola, che spingevano, nel tentativo di uscire fuori dalle labbra, ma le ingoiò. Dean si portò una mano tremante alla bocca, facendo scorre le dita sulla mandibola. “Vuole vederti. Non ha chiesto di nessun altro al di fuori della famiglia.” La mano di Dean si piegò in un pugno, si sentiva la lingua spessa e pesante ed aveva in bocca il sapore metallico dei centesimi. “Perché vuole vedermi?” chiese Dean, scuotendo la testa. “Noi... ci siamo lasciati. Non ci parliamo da allora.” “Sta morendo, Dean,” ripeté Gabriel. “Dov'è?” “San Francisco General.” Ebbe un tuffo al cuore; non sapeva che Castiel fosse a San Francisco. “Viveva nella zona della baia da qualche anno ormai,” spiegò Gabriel. “Per molto tempo neanche noi abbiamo saputo dove fosse. Siamo finalmente riusciti a vederlo quando Rachel si è sposata – è venuto al matrimonio. Sembrava stesse bene allora, un po' magro, ma...” Le parole di Gabriel scomparvero nel nulla. “Quanto tempo gli rimane?” disse Dean all'improvviso, non sapendo da dove fosse venuta fuori quella domanda. Ma eccola lì. Le parole lo bruciarono quando passarono tra le sue labbra, scure ed amare. “Non dirmi cazzate.” “Non me l'hanno saputo dire con certezza.” “Non dirmi cazzate,” ripeté Dean, la sua voce un sussurro stanco. “Alcune settimane. Forse meno.” “No,” disse Dean automaticamente. “No, non può essere vero.” “Mi dispiace,” disse Gabriel di nuovo. Dean non sapeva esattamente per che cosa Gabriel si stesse scusando. Lui e Castiel si era lasciati molto tempo fa. Non sapeva cosa dire. Sentiva il cervello molle dentro il cranio e non riusciva ad elaborare le parole di Gabriel. Più cercava di capire il loro significato preciso, più continuavano a contorcersi ed ingarbugliarsi. Alcune settimane. Forse meno. Sentiva di dover ridere. “Devo andare...” disse Dean vagamente, ed allontanò la cornetta dall'orecchio. Gli tremavano le mani, e se era per rabbia o per paura, non lo sapeva. Si sentiva quasi male, aveva il capogiro, e si appoggiò al muro dietro di sé, passandosi una mano tremante tra i capelli.
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Doveva essere uno scherzo, uno scherzo crudele che Castiel e suo fratello gli stavano giocando; una vendetta per come Dean aveva lasciato Castiel. Vendetta perché aveva preso e se n'era andato senza nemmeno un avvertimento e, davvero, Dean credeva che questo fosse qualcosa che si meritava. Quello che aveva fatto era stato proprio schifoso da parte sua, ma il fratello di Castiel che gli diceva che l'uomo che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo stava morendo – perché? Forse non si meritava questo. Forse. Respirava, premendosi i palmi negli occhi, con le mani ancora tremanti. Premette la schiena contro il muro, spinse ancora di più i palmi negli occhi, e c'era una vocina nella sua testa che gli diceva di sfogarsi, di urlare, di piangere, di sfogarsi e basta. Ma non poteva. Aveva bisogno di andare a casa. Aveva bisogno di andare a casa subito. Sentì qualcuno bussare leggermente alla porta, e Dean tolse le mani dagli occhi e vide Bobby nel vano della porta. Aveva la fronte corrugata, e sembrava preoccupato; probabilmente avevano sentito Dean urlare pochi momenti prima. “Non è niente, Bobby.” Gli dolevano gli occhi, ed aveva le guance bagnate, così se le strofinò con il dorso delle mani, asciugandosi dopo i palmi sulle cosce. Cercò di respirare ma sentiva la gola stretta, e non si accorse che Bobby era entrato nella stanza finché non sentì il peso familiare della mano di Bobby sulla spalla. Le sue dita la strinsero forte, e Dean si rilassò al contatto, sospirando sommessamente e chiudendo gli occhi. “Va' a casa, riposati un po'.” Dean stava per protestare, perché non poteva andare a casa adesso. Stava lavorando su una moto, e aveva programmato di finirla quel giorno, ma Bobby gli strinse la spalla ancora più forte, fissandolo con uno sguardo che diceva a Dean che non avrebbe accettato un no come risposta. Tutto quello che poteva fare era annuire ed essere d'accordo. Sì. Aveva bisogno di andare a casa e riposarsi un po'; aveva bisogno di andare a casa e mettere un po' d'ordine tra i suoi pensieri. Camminò verso la porta, aprendola, e quando lo fece, si voltò. “Lo sapevi che Cas è a San Francisco?” chiese. Bobby si sedette pesantemente sulla sedia. “Perché non me l'hai detto?” insistette Dean, affrontando Bobby completamente, “perché diavolo non me l'hai detto?” “Sei andato via!” sibilò Bobby. “Lui se n'è andato dopo un anno o due che sei partito. Mi ha chiesto per settimane dove fossi e gli ho dovuto dire che non volevi essere trovato!” Il senso di colpa era come avere i vestiti bagnati. Era un peso uniforme su tutto te stesso, ed era melmoso e si trascinava insieme a te dovunque andassi, aggrappandosi alla pelle, senza permetterti di dimenticare che era lì. Quell'oppressione umida. “Perché non me l'hai detto?” disse Dean, e Bobby scosse la testa con indignazione. “Non me l'hai chiesto!” Dean sapeva che sbagliava ad essere arrabbiato, ma non sapeva più quello che era. “È malato,” continuò, e il viso di Bobby cadde in confusione. “Malato? Chi era al telefono?” Dean fissò il muro, cercando di mettere insieme i pezzi nella testa. “Suo fratello,” rispose. “Ha detto che è malato.” “Che cos'ha? Sta bene?” Dean scrollò le spalle passivamente.
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“Vuole vedermi,” disse con voce affievolita. “Proprio me, fra tutti quanti.” “Ci andrai, vero?” “Non lo so ancora,” concluse Dean, passandosi una mano tra i capelli. “Non penso sia una buona idea.” Bobby ci pensò per un istante, sigillando le labbra, tamburellando il dito sul braccio della sedia. “Non ho intenzione di chiedere i dettagli, ma quando qualcuno è malato, e ti vogliono vedere, tu non dici di no.” Dean non replicò. Andò giù al bar e si fece un drink e poi vagò verso il suo appartamento. Non aveva chiesto il numero di Gabriel per richiamarlo, aveva solo riattaccato. Fissò il telefono per molto tempo prima di sollevare la cornetta. *** “Non crederai mai a chi mi ha chiamato oggi,” disse Dean a Sam, sprofondando nella poltrona con schienale reclinabile, sfregandosi la fronte con fare stanco. “La Regina d'Inghilterra,” disse Sam con una risata, e ci fu un fragore metallico in sottofondo. “No,” disse Dean a bassa voce, smettendo di muovere la mano. “No.” Ci fu una pausa e la linea crepitò con un rumore statico. “OK,” disse Sam lentamente. “Mi arrendo. Chi era?” “Gabriel Novak.” “Lo conosco?” “È il fratello maggiore di Cas,” concluse Dean, facendo cadere la mano nella morbidezza felpata della poltrona. Sam rimase zitto. “Mi ha chiamato per dirmi che Cas vuole vedermi.” “È un po' da bambini, no? Chiedere al fratello maggiore di dirtelo,” disse Sam, e le dita di Dean si contrassero. “Ha chiamato perché Cas è malato. Sta morendo.” La linea tornò ad essere silenziosa. “Vuole vedermi, Sammy,” borbottò Dean, e rise un po', una risatina goffa. “Continuo a pensare che sia uno scherzo, ma chi scherzerebbe su una cosa del genere?” “Mi dispiace tanto, Dean,” replicò Sam. “Perché tutti continuano a dirmelo?” disse Dean ad alta voce, spostandosi a disagio sulla poltrona. “Perché tutti continuano a scusarsi con me? Non siamo più nulla. Ci siamo lasciati.” Sam sospirò, e Dean sapeva che aveva un'espressione stizzita in volto, anche se non poteva vederlo. “Tu l'hai lasciato,” corresse Sam, e Dean sapeva che aveva ragione, ma non era in vena di discutere. “Non importa, non penso di avere il diritto di andare,” disse Dean. “Non dovrei andare.” “Allora non andare,” mormorò Sam. “Jess e io cercheremo di andare a trovarlo. Dov'è?” “San Francisco General.” “Dovresti andare.” La voce di Sam era persuasiva. “Prenditi un po' di ferie. Le stai accumulando da anni. Bobby capirà. Se non altro, forse vuole solo una spiegazione.” “Io non ho niente da dirgli, Sam. Davvero. Sono confuso sul perché probabilmente tanto quanto lui. Che cosa gli dovrei dire?” “Ascolta, tu non eri qui, quindi non l'hai visto, ma Dean...” Sam fece una pausa, e Dean trattenne il respiro. Era la prima volta che parlavano di Castiel dopo anni. Non riusciva nemmeno a ricordare l'ultima volta. C'era mai stata un'ultima volta? Non aveva parlato con nessuno in quei primi mesi. Non fu finché non tornò in California che aveva davvero ricontattato Sam. Non era andato in nessun posto speciale; in Oregon a stare da un vecchio collega motociclista, un veterano come lui. Avevano fatto dei lavoretti a Portland e poi nel '75 Dean era tornato a Sacramento. Bobby aveva mantenuto la sua promessa, e il giorno seguente era di nuovo a lavorare in garage. Bobby non aveva fatto molte domande. E nemmeno Dean.
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“... era veramente distrutto,” concluse Sam. “Perché dovrei andare a trovarlo? Se sta per morire, perché dovrebbe vedermi?” “Probabilmente perché vuole trovare un po' di pace e mettersi tutto alle spalle. E tu puoi aiutarlo in questo.” Dean fletté la mano in un pugno e poi la distese di nuovo. “Ci andrò. Per un paio di giorni almeno. Forse servirà a qualcosa.” Sam lo assicurò che era la cosa giusta da fare e riattaccò. Era del tutto consapevole di come entrambi avessero sorvolato sulla realtà che Castiel stesse morendo. Rimase taciuto tra di loro il fatto che Dean non avrebbe avuto mai più la possibilità di rivedere Castiel. Trovare la pace – era una stronzata. Alcune settimane, forse meno. Dean rimase seduto col telefono in grembo, le parole stampate dentro la sua testa. Settimane. Settimane. Com'era successo? Come faceva qualcuno ad avere settimane? Cercò di ragionare in termini di giorni o minuti perché i numeri erano più grandi, ma tutto ricadde a alcune settimane. Riprese il telefono. “Operatore, come posso assisterla?” Si schiarì la gola. “Mi serve il numero del San Francisco General Hospital.” “Un momento, adesso la connettiamo.” La linea crepitò, poi trapelò la voce di una donna esile. “San Francisco General, parla la reception.” “Devo sapere se avete ricoverato qualcuno,” disse Dean in modo grossolano, la voce impastata. “Nome del paziente?” “Castiel Novak.” Ci fu una lunga pausa, la donna respirava sulla cornetta. “Sì, l'abbiamo ricoverato il 2 Febbraio.” “Il 2 Febbraio?” “È corretto. Posso assisterla in altro modo?” “No,” gracchiò Dean. Il 2 Febbraio. Stava lì già da tre settimane. Dean si appoggiò di nuovo alla poltrona. Tre settimane? Tre settimane e stava morendo? Dean non capiva. Castiel non era mai stato male quando stavano insieme – ma erano passati degli anni. Era passato molto tempo. Dean prese in prestito la moto da un amico per il viaggio. Prese poche cose; non intendeva stare a lungo. Una visita veloce, tutto qua, diceva a se stesso. Una visita veloce all'ex in punto di morte. Per dargli un po' di pace. Per dare ad entrambi un po' di pace. Il viaggio fu bellissimo e il tempo era perfetto – sole e cielo blu per tutto il tragitto fino a San Francisco. Si sistemò in un albergo e chiamò di nuovo l'ospedale, tanto per essere sicuri. Castiel era ancora lì. No, non potevano rilasciare ulteriori informazioni se non dimostrava di essere un parente, ed avrebbe dovuto presentarsi lui stesso in ospedale per dimostrarlo. Dean prese in considerazione la possibilità di fare dietrofront, ma ormai era lì ed aveva già prenotato la camera. La reception dell'albergo gli diede le indicazioni per l'ospedale e nel giro di un'ora Dean stava fissando l'edificio di cemento colorato, e quelli color sabbia che sorgevano dietro di esso. Camminò sotto l'insegna dell'ingresso
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principale, il suo colore turchese allegro gli faceva rivoltare lo stomaco. Dovette ritornare indietro dove aveva parcheggiato la moto a fumarsi una sigaretta per calmarsi e poi riprovarci. Si guardò nello specchietto della moto e si domandò se apparisse così vecchio come si sentiva. Aveva solo trentaquattro anni. Andò alla reception e l'infermiera seduta lì sollevò lo sguardo da dietro gli occhiali. “Sono qui per vedere Castiel Novak?” tentò di dire, e la donna sfogliò il registro, fornendogli il numero della stanza e gli orari di visita. Dean la ringraziò e seguì le sue indicazioni per gli ascensori. Si fissò le mani vuote, pigiando il pulsante per il quarto piano. Avrebbe dovuto portare qualcosa. Ma cosa avrebbe potuto portare? Scosse la testa. Non aveva importanza. Le porte dell'ascensore si aprirono e Dean si trovò in un lungo corridoio bianco. Non vide alcun segnale, e andò alla postazione infermieristica davanti a sé, appoggiandosi sul bancone. Una donna dai capelli scuri era seduta dietro la scrivania, sfogliando una rivista, toccandosi pigramente il labbro mentre leggeva. “Mi scusi.” Dean si avvicinò e la donna sollevò lo sguardo, posando la rivista e sorridendogli. Dean notò le borse sotto i suoi occhi, ma non sembrarono sminuire la sua grazia. Il cartellino col nome, quando Dean lo guardò, diceva “Tessa” in lettere curate e precise. “Sto cercando Castiel Novak? Non riesco – non riesco a ricordare il numero della sua stanza.” Qualcosa balenò sul suo viso e la sua bocca sembrava stesse per aprirsi. “Oh,” bisbigliò. “È qui per vedere Cas?” “Sì,” rispose Dean con fare irrequieto. “Devo,” tossì, “devo firmare da qualche parte?” La donna lo osservò tossire e poi incrociò di nuovo il suo sguardo. “Ha avuto l'influenza o un raffreddore o una qualsiasi infezione delle vie respiratorie nelle ultime settimane?” Dean scosse la testa. “No.” La donna annuì e si alzò dalla sedia e prima di spostarsi davanti alla scrivania si fermò, guardando Dean un'altra volta. “Posso vedere un documento d'identità, se non le dispiace?” Dean tirò fuori il portafoglio, pescando la patente da uno degli scomparti, facendola scivolare attraverso la scrivania. La donna la prese e la ispezionò prima di restituirla. “Allora tu sei Dean,” disse, e Dean deglutì a fatica. Castiel aveva parlato di lui? L'infermiera – Tessa – non sembrava arrabbiata quando lo guardò. Sembrava felice. Stava sorridendo. Le si erano illuminati gli occhi. “Aspetta, ti ci porto io! Voglio vedere la faccia che farà...” La sua voce si affievolì e fece il giro del bancone, stirandosi l'uniforme bianca inamidata, facendo un cenno a Dean verso il corridoio. Dean superò diverse porte chiuse ad entrambi i lati, con il cuore che gli martellava nel petto. “Oggi è un giorno buono,” disse Tessa in tono colloquiale, e Dean non capiva cosa significasse. “La scorsa notte ha dormito bene e stamattina è molto loquace.” Tessa rise. “Ma quand'è che non parla, giusto?” Dean le fissò il profilo. Si chinò per baciarlo – “non stai mai zitto, cazzo”... “Che cos'ha?” chiese Dean all'improvviso e Tessa rimase stupefatta dalla domanda e rallentò il passo. Dean la fissò nei suoi occhi sorpresi. “Che cos'ha?” Tessa corrugò la fronte. “Sei Dean, giusto?”
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“Non stai rispondendo alla mia domanda.” Tessa lo squadrò e si voltò del tutto verso di lui. “Cas ha detto che Gabriel ti aveva chiamato.” “Per favore, rispondi alla domanda,” implorò Dean e il viso di Tessa si rabbuiò. “Penso che la domanda più giusta sia che cos'è che non ha,” disse, ma quando Dean non comprese, i suoi occhi diventarono tristi ed indulgenti. “Ha quello che noi chiamiamo pneumocistosi, ma per te sarebbe come un brutto caso di polmonite.” “Polmonite?” balbettò Dean. “Cas non ce l'ha mai avuta. Ha solo pochi mesi più di me.” La bocca di Tessa era una linea dritta. “È... è più di questo. Ma, in poche parole, le cose stanno così. Stiamo facendo tutto il possibile.” Dean annuì e Tessa ricominciò a camminare finché non si fermò; Dean quasi si scontrò con lei. “Penso di doverti avvertire,” sussurrò Tessa, e le mani di Dean stavano iniziando a diventare sudaticce. Tessa non voleva guardarlo negli occhi. “È molto malato, e si vede.” “Voglio vederlo,” si precipitò Dean a dire, e Tessa annuì. “OK.” Dean si rese conto che il motivo per cui Tessa si era fermata, era perché si trovavano di fronte a quella che supponeva fosse la stanza di Castiel. Poteva sentire una radio che suonava, la musica si diffondeva da sotto la porta. Tessa bussò sulla porta e poi l'aprì, il viso luminoso, tutte le tracce di disagio si erano cancellate, sostituite da un sorriso dolce. “Come sta il mio paziente preferito?” Fece un sorriso smagliante, entrando. Dean rimase bloccato, cercando di temporeggiare, nel vano della porta, il petto stretto. Se Castiel replicò, lui non riuscì a sentirlo molto bene. “Che ci stai facendo nascosto là fuori?” disse Tessa a gran voce, e Dean sobbalzò, facendo un passo in avanti nella stanza. Scandagliò la camera e il suo sguardo venne catturato dal letto, incominciando dai piedi, due collinette sotto la coperta, e viaggiò in su verso due mani scheletriche posate su un piccolo grembo. Due braccia magre come un chiodo. Un petto esile era avvolto in un cardigan del colore dei vasi di terracotta, ed era così ampio che inghiottiva quasi tutto il corpo che conteneva, usando le spalle ossute a mo' di stampella. Un tubo trasparente verde pallido serpeggiava sul collo fragile, finendo in una maschera. Un groviglio di capelli neri mossi, più spenti di quanto ricordasse... “Dean?” Gli occhi di Dean andarono di scatto su quelli di Castiel. Erano luminosi e vitrei, e dalle ombre infossate del suo viso, scintillavano come due fiamme blu sulla sua pelle pallida. Regnava il silenzio tranne che per il suono calmo ed ovattato di un macchinario. Castiel sollevò la mano dal grembo e la porse, tenendola in bilico a pochi centimetri sopra le coperte. Dean la guardò tremare e Castiel la posò di nuovo; la sola azione l'aveva stremato. Dean sentì il suono leggermente bagnato del suo respiro, e vide la sua bocca piegarsi in un enorme sorriso, anche se tremolante, sotto la maschera. “Ti stavo... ti stavo,” disse lentamente, dovendo fermarsi per respirare, “ti stavo aspettando... ho detto a Tessa... le ho detto...” Girò la testa per guardare Tessa che gli sorrise. “È vero, mi ha detto che saresti venuto. All'inizio non gli credevo, ma eccoti qui!” La federa frusciò quando Castiel mosse di nuovo la testa, lo sguardo fisso su Dean. Dean fissò la forma debole di Castiel sul letto e non – non ci credeva. Quello non era Castiel.
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Castiel aveva la pelle bianca, ma non così. Castiel aveva le cosce che cedevano quando le stringevi, aveva le guance che si arrossavano con facilità. Non smetteva mai di parlare, e le sue mani erano calde, salde e più forti di quel che sembravano, non gracili come due uccellini morti sulle coperte. “Vieni qui,” disse Castiel con voce implorante. “Vieni qui...” Dean si mosse, senza mai staccare lo sguardo da lui, ancora cercando di comprendere. Castiel allungò la mano e Dean la prese, fissandola – era così leggera. Un palmo pieno di spiccioli, e così sottile, la pelle quasi traslucida. Poteva vedere le vene blu sul polso. Castiel gli strinse la mano, e Dean si rese conto che era ancora calda. Guardò le lacrime gocciolare sul dorso della sua mano. “Sono così contento,” disse Castiel piano, la voce non più di un sospiro. Il suo petto si gonfiò, ebbe degli spasmi, e poi si abbassò. “Sono così contento. Sono così contento che sei venuto...” Dean sbatté le palpebre, ma la lacrime continuavano a scendere. Non lo sapeva. Non lo sapeva. Nessuno gliel'aveva detto. “Sarei dovuto venire prima,” disse con voce tremante. Castiel diede un'altra stretta debole alla mano di Dean. “Non piangere,” sussurrò. “Sono così felice... non piangere... non voglio che tu pianga.” Tessa aveva lasciato la stanza, e Dean ritrasse la mano da quella di Castiel, sfregandosi il viso. Gli occhiali di Castiel erano appoggiati sul comodino accanto a una brocca d'acqua e un bicchiere con una cannuccia lunga e i resti di un pranzo. Dean voleva toccare con la mano la piccola montatura dorata che non vedeva da tanto tempo, ma si trattenne per ora, tenendo le mani a posto. “Gabriel.” Dean si schiarì la gola, cercando di essere professionale. “Gabriel mi ha detto che volevi vedermi. Vuoi dirmi qualcosa?” Guardò Castiel che gli stava ancora sorridendo, con la mano appoggiata vicino al bordo del letto. “Gabe... non è molto bravo a... seguire le indicazioni.” Rise debolmente, e la risata si trasformò in un attacco orribile di tosse. Alzò il pugno alla bocca, tremando, incapace di girare la testa lontano da Dean. Quando ebbe finito, i puntini di saliva erano rimasti sull'angolo della bocca e all'interno della maschera. Guardò Dean con occhi lacrimosi. “Potresti?” rantolò, indicando vagamente verso il comodino. Dean prese un piccolo panno e si sporse in avanti, allungando la mano per toccare la maschera. “Va bene così?” Castiel annuì, chiudendo gli occhi quando la mano libera di Dean gli prese il mento per tenerlo fermo. Dean sollevò la maschera dal suo viso e gli tamponò delicatamente le labbra screpolate ed asciugò l'interno della maschera, la riposizionò, e si assicurò che i piccoli elastici verdi non si attorcigliassero mentre la sistemava sul naso di Castiel. Castiel fece un gran sorriso, i denti sembravano macchiati a causa della maschera di plastica, e il suo respiro ne appannava l'interno. “Sei un... talento naturale.” Sorrise e Dean non ne poté fare a meno. Passò la mano tra i capelli di Castiel. Erano lunghi e ruvidi, e una ciocca venne via sulla sua mano, ma non gliene importava nemmeno un po'. I capelli caddero sulla fronte di Castiel e Dean li scostò di nuovo, fissandogli il viso cinereo, guardando il suo sorriso aumentare ad ogni movimento della mano di Dean. Dean si accorse che la mano di Castiel gli stava accarezzando il polso, e i suoi occhi si riaprirono lentamente. “Ho detto a... Gabe... che volevo dirti qualcosa,” disse Castiel piano, con voce soffocata, ma Dean era abbastanza vicino da poterlo sentire. Dean aprì la bocca per domandargli cosa fosse, ma Castiel sorrise segretamente. “Pensò che aspetterò,” disse in tono giocoso, “non voglio che tu... scappi via... da me.” “Ti fa male?” disse Dean, ignorando l'ultimo commento di Castiel il quale inclinò la testa. “Quando respiri?” “Non più... così tanto... adesso,” rispose Castiel dopo un momento di pausa. Agitò debolmente la mano alla flebo
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sopra di lui. “Morfina,” spiegò. Allora era per questo che i suoi occhi erano così vitrei. “È una droga... fantastica,” si precipitò a dire alla fine, e Dean si guardò i piedi. Si morse la lingua, cercando di non soffermarsi sul suono congestionato del respiro di Castiel. “Sai...” Castiel ruppe il silenzio, “... sai...” Le parole gli morirono in bocca e Dean alzò lo sguardo. Riprese fiato, e mostrava un pizzico di dolore sulla sua fronte. La sua mano tremolava sulla coperta – una cosa marrone chiaro e pesante che ovviamente era stata portata da casa. Come la camicia, il maglione e, suppose Dean, i pantaloni. “Non pensavi che venissi,” finì Dean per lui, e Castiel annuì, aprendo lentamente le palpebre. “Avevo... paura.” “Non l'ho quasi fatto,” gli confidò Dean, la sua voce un basso sussurro pieno di vergogna. Castiel annuì di nuovo con comprensione. “... non ti biasimo.” “Dovresti,” disse Dean. “Dovresti dare la colpa a me.” “L'ho fatto,” disse Castiel, interrompendo Dean prima che potesse continuare, “all'inizio... ho dato la colpa a un sacco... di cose.” Dean si asciugò gli occhi, e Castiel si tirò giù la maschera dalla bocca lentamente. “Guardami.” “Non posso,” disse Dean con voce soffocata, coprendosi gli occhi con la mano, posando l'altra sulle ginocchia. “Ho dato la colpa... alla guerra... al presidente...” continuò Castiel e Dean scosse la testa. “... a me stesso. Per... molto tempo... ma...” Dean cercò alla cieca la sua mano e Castiel la prese. “... Non voglio... più essere arrabbiato,” mormorò Castiel, “... sono così stanco... di essere arrabbiato... e triste... sono così stanco, Dean.” Strinse la mano di Dean. “... Voglio... essere felice. Cerchiamo... di essere felici.” “Cosa c'è da essere felici?” disse Dean, sollevando alla fine la testa, gli occhi furiosi, “cosa c'è da essere felici, perché nemmeno dovrei essere qui!” singhiozzò, allungando la mano, rimettendo al suo posto la maschera di Castiel. “Mettiti la maschera, porca miseria!” Castiel accarezzò il dorso della mano di Dean col pollice. “... Sono felice... perché hai mantenuto la tua promessa.” “Non ho mantenuto proprio niente, Cas, ti ho lasciato andare. Ho lasciato che ti accadesse questo – io...” La sua bocca non voleva più formare le parole. “... Oh, Dean,” disse Castiel, “... sei... finalmente tornato a casa... da me.” Il suono rotto che si lacerò fuori da Dean rimbalzò per tutta la stanza, così piccola che sembrava di essere in una scatola di scarpe. Dean scivolò in avanti sulla sedia bassa finché non si ritrovò con la testa appoggiata sul letto. Castiel gli toccò i capelli con la mano tremante. “È passato... molto tempo,” disse in tono confortante, “... ed è stato... difficile... ma... va tutto bene adesso. Va tutto bene. Possiamo... riposare.” “Stai morendo!” sibilò Dean, sollevando la testa, contorcendo il viso quando Castiel lo guardò, i suoi occhi così grandi e tristi. “Cristo, Cas, stai morendo proprio davanti a me – oh, Gesù...” “Lo so,” sussurrò, la mano smise di accarezzare i capelli di Dean e si spostò sul suo viso, “... ma sei venuto. Sei venuto... e io sono...” Toccò la guancia di Dean e poi la racchiuse con le sue dita sottili. “... Mi sei mancato.” Dean chiuse gli occhi, il viso contorto. Chi cazzo credeva di prendere in giro? Uno sguardo – uno sguardo. Era bastato per sopraffarlo. Nel momento in cui entrò in quella stanza sapeva che sarebbe rimasto. Non c'era
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nessun'altra opzione. Sarebbe stato lì con lui fino alla fine. Era così stupido – ogni volta che pensava di poterla battere, la vita gli mostrava quanto fosse uno sciocco. Sarebbe rimasto fino alla fine. Non lo avrebbe lasciato. Non poteva lasciarlo. Non questa volta. “Anche tu mi sei mancato,” disse piangendo, “anche tu mi sei mancato.” Castiel sorrise, asciugandogli una o due lacrime col pollice. Dean si prese un momento per guardarlo. “Se vuoi essere felice,” disse sommessamente, “possiamo essere felici.” Castiel annuì con quanto entusiasmo il suo corpo gli permettesse, ansimando. Rimase senza fiato e gli occhi si spalancarono e si toccò il petto attraverso il maglione, le sue labbra diventavano sempre più pallide. “Cas?” disse Dean freneticamente, raddrizzandosi, e Castiel gli afferrò forte il braccio quando prese il pulsante di chiamata. “Sto – bene!” insistette, “sto – bene!” Alla fine smise di ansimare e si calmò, il suo corpo si rilassò così profondamente che Dean pensò che avrebbe potuto affondare attraverso il letto. Le sue dita allentarono la presa sul braccio di Dean e chiuse gli occhi, cercando di controllarsi. “Se le chiami... me ne daranno di più...” Mosse la testa verso la flebo. “E ti addormenteresti?” disse Dean a bassa voce e Castiel annuì. Dean aggrottò la fronte. “Dovresti riposare. Ne hai bisogno.” Castiel aprì gli occhi e lo fissò. “A che... pro?” sussurrò e Dean ricambiò il suo sguardo fisso. “Perché non puoi fare questo a te stesso o succederà più velocemente!” sbottò Dean, “non ho intenzione di discutere a riguardo.” Castiel sbatté le palpebre e il suo volto si rilassò, le spalle fecero un solco più confortevole nei cuscini. “Se hai bisogno di riposare, puoi riposare,” lo rassicurò Dean, e Castiel combatté per tenere gli occhi aperti, la stanchezza improvvisamente lo stava portando via. Le sue gambe si contrassero sotto le coperte. “... Sei… appena arrivato.” “Qui non si tratta di me.” Castiel lottò contro la stanchezza. Solo per questa volta avrebbe voluto che il sonno lo lasciasse in pace. Solo per questa volta, perché se chiudeva gli occhi Dean se ne sarebbe andato di nuovo, no? Scosse la testa, ma il suo corpo lo tradì. Non sapeva perché a questo punto la cosa ancora lo sorprendesse. Il suo volto si rilassò e Dean lo guardò addormentarsi. Le sue mani erano incrociate sul grembo e Dean gli tolse un ciglio dalla guancia col pollice. Respirava e gli sussultò il petto; il gorgoglio basso del liquido nei polmoni non lo lasciava mai completamente. Era un suono terribile e spaventoso. Dean si sfregò il braccio, infreddolito nella camera, nonostante la giacca. Avrebbe voluto chiedere come fossero arrivati a questo punto. Ci doveva essere qualcosa – in qualche modo, l'universo aveva pareggiato i conti con loro. Era una punizione? Dean si strofinò il viso. Non lo sapeva. Sapeva solo che quando Castiel si fosse svegliato, lui sarebbe stato lì. Non avrebbe fatto lo stesso errore questa volta. *** Al quinto giorno, Dean era in rapporto amichevole con quasi tutte le infermiere del piano, ma non riusciva ad incantarle come Castiel. Castiel conosceva ognuna di loro e sapeva anche le piccole cose. I loro mariti, i loro figli, quello che progettavano di fare per Pasqua. Sembravano tutte felici quando entravano in camera, ma nessuna era così felice come Tessa. Castiel era il suo paziente preferito, e non era la sua opinione, era la verità. Ogni tot ore veniva a misuragli la pressione arteriosa o a
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cambiare la flebo. A volte aggrottava la fronte, ma non lo dava a vedere a lungo, invece lo aiutava con una risposta del cruciverba o facendo a Castiel una domanda stupida per farlo sorridere. “Ora che sei qui, non ha niente di cui parlare!” disse ridendo una mattina, portando a Dean una tazza di caffè, mentre faceva il suo giro. Castiel aveva sorriso, accarezzando la mano di Dean. Dean era riluttante a mostrare affetto di fronte agli altri, ma Tessa sembrava essere l'eccezione. “A lei... non importa,” gli aveva assicurato Castiel. “Tutto il giorno era Dean questo, Dean quello!” continuò giovialmente, dando un buffetto alla spalla di Castiel, una volta finito il suo lavoro. Castiel la fissava con adorazione. “Tessa... è un gioiello..." diceva quando se ne andava. “È molto simpatica.” Castiel annuì. “Lei... veniva a... parlare con me... Gabriel è venuto... solo una volta, quindi...” “E gli altri?” chiese Dean, anche se conosceva già la risposta. Castiel guardò fuori dalla finestra, il viso immerso nella luce del sole a strisce a causa dalle tendine. “Rachel... non poteva restare... e Michael non è mai... venuto.” “E tuo padre?” “Ictus,” sussurrò Castiel, “quando... eri... laggiù.” Dean spalancò gli occhi. “Cas, perché non me l'hai detto?” implorò. Castiel si voltò verso di lui, gli occhi tristi, facendo un piccolo sorriso. “Non stavi... ascoltando.” Dean distolse lo sguardo per la vergogna. Quei giorni erano un tale caos nella sua testa. Spesso credeva di aver sognato la metà delle cose che erano successe. Anche la guerra era svanita. Non lo mordeva più come una vipera, e quando lo faceva, era diventato tollerante al suo veleno. Le ferite si erano cicatrizzate, comportandosi come un ginocchio fallato nei giorni di pioggia. Quello che aveva fatto a Castiel però... Dean fece un respiro profondo. “Che ci è successo?” chiese, e per la prima volta era sincero con se stesso. “Cas, che cos'è successo?” Castiel guardò la finestra un momento più a lungo, per considerare la sua riposta, suppose Dean. Si rivolse a Dean, la luce dalla finestra creava un'aura dietro la sua testa. “Siamo... cresciuti...” sospirò, scrollando debolmente le spalle. Era una scusa per entrambi. “Eravamo... molto giovani, Dean... e il mondo... pretendeva molto da noi.” Dean si morse l'interno della guancia. “È stata davvero dura per me quando sono tornato a casa,” tentò di dire. “Lo so che ti stavo facendo soffrire. Era – era così insopportabile da guardare, e credo, credo di aver deciso che stavi meglio senza di me. Ero troppo per te. Se l'avessi saputo...” “Non lo sapevi,” intervenne Castiel. “... Nessuno di noi due poteva saperlo.” Dean annuì, e Castiel si accomodò un po' meglio sul letto, tendendo verso Dean. “Che cosa... fai... adesso?” Dean cercò di sorridere, avvicinandosi al letto di Castiel. Gli accarezzò i capelli, guardandolo sbattere le palpebre ad ogni carezza. “Lavoro di nuovo con Bobby. Alleno anche. Dei giovani ragazzi testoni come me. E una ragazza. È molto brava.” Castiel rise un po', il suono sussurrato e debole. “Guidi ancora... la moto?” Dean grattò leggermente la testa di Castiel e Castiel si rilassò al contatto. “Sempre.” Castiel emise un piccolo suono di soddisfazione, sentendosi appagato dalla notizia.
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“Lo so, quando sono tornato a casa, lo so che ci hai provato, ma non è stata colpa tua. Lo sai che non è stata colpa tua, vero?” “Capisco che... non c'era molto... che potessi fare.” “Non è mai stata colpa tua, Cas,” ripeté Dean, e Castiel lo fissò, gli occhi annebbiati per i farmaci. “Cosa ci stavi facendo qui? A San Francisco?” disse Dean in tono leggero, dopo essersi schiarito la gola, cercando di cambiare discorso. Castiel si irrigidì, visibilmente, e si agitò un po', giocherellando con il tubo dell'ossigeno. “... È... complicato.” Dean cercò di seguirlo. “Cas?” “Devi... capire... che... quando te ne sei andato...” disse con voce affievolita, “è stata... dura per me.” Dean sapeva che Castiel stava usando le sue stesse parole per aiutarlo a comprendere. Castiel guardò il soffitto, e poi di nuovo il letto scegliendo le parole. Doveva stare attento con loro adesso. Stava anche cercando di ricordare, come faceva sempre quando i ricordi emergevano a forza, dove esattamente tutto fosse cambiato. Non ci riusciva mai. Gli sfuggiva ogni volta che ci pensava, a quell'evento che doveva contenere tutte le risposte, ma non riusciva mai a definirlo con precisione come avrebbe voluto. Oggi, per qualche motivo, era più difficile che mai e gli cominciò a dolere la testa per lo sfinimento. “Cas?” disse Dean, smettendo di accarezzargli i capelli per toccargli la spalla. Lo sguardo di Castiel era sfocato e distante, tutta la sua espressione stava diventando vacua. Castiel si destò dai propri pensieri, quando sentì il peso ancorante della mano di Dean sul suo braccio. “Scusa...” rantolò, “... non... mi ricordo... molto bene...” “Non fa niente,” disse Dean in tono rassicurante, guardando ancora il viso di Castiel con preoccupazione. “Forse sono solo le medicine.” Castiel non disse nulla, e la sua mano si contrasse sulla coperta, un segnale silenzioso per dire che voleva che Dean gliela tenesse. “Scusate, sto interrompendo qualcosa?” Dean sollevò la testa di scatto, separando bruscamente le loro mani, e fissò l'uomo biondo nel vano della porta. Il suo accento inglese si era stagliato attraverso la stanza e Dean si ritrovò in piedi, e la sedia era stata scansata in modo avventato. L'uomo lo fissò per molto tempo. “Salve,” disse rigidamente, e Dean guardò Castiel. Stava sorridendo, e prima che Dean se ne rendesse conto, l'uomo aveva attraversato la stanza, andando verso l'altro lato del letto, chinandosi per baciare la fronte di Castiel. Fissò Dean, e Dean conosceva quello sguardo. Era una sfida. “Balthazar,” sospirò Castiel, prendendogli la mano, e Balthazar baciò anche quella, guardando Castiel con occhi sbalorditi. Dean conosceva anche quello sguardo – lo faceva ogni volta che entrava nella stanza di Castiel. Era uno sguardo che diceva che non riusciva a credere a quello che stava vedendo. “Ciao, tesoro,” disse Balthazar con voce sommessa, accarezzando ancora la mano di Castiel. Dean sprofondò di nuovo nella sedia, guardando da vicino come i due interagissero. “Ti ho portato un mazzo di carte.” Il suo sguardo scivolò su Dean quando lo tirò fuori dalla tasca, premendolo nel palmo di Castiel. “Cassy ti ha detto che ha un'incredibile faccia da poker?” “Balthazar... per favore...” insistette Castiel, la voce solo una frazione più tesa di quanto lo fosse normalmente. Dean guardò Balthazar a occhi stretti, e Balthazar scosse la testa con indignazione, strofinando il braccio di Castiel. “Cosa? Non mi è concesso essere arrabbiato con lui? Dopo tutto quello che ha fatto?” Il viso di Dean arrossì per la vergogna e Castiel fece uno sguardo truce, ritraendo la mano da quella di Balthazar,
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stringendo lui stesso il mazzo di carte. “Basta,” sussurrò, e Balthazar ritornò di scatto a guardare Castiel, il corpo incurvato a mo' di scusa. “Mi dispiace,” si precipitò Balthazar a dire. “Mi dispiace, non avrei dovuto perdere le staffe in quel modo.” Castiel gli diede un buffetto sulla mano e Balthazar incrociò di nuovo lo sguardo di Dean, ovviamente sorpreso dal suo silenzio. “Se hai qualcosa che vuoi dirmi,” disse Dean, “puoi dirla a me.” “Dean,” rimproverò Castiel, “... voi due... ma insomma.” “Sono serio. Tu non mi dici niente. Se lui lo farà, allora voglio ascoltare.” La bocca di Balthazar stava per aprirsi, quando Tessa bussò alla porta. “Oh, wow, hai fatto il tutto esaurito oggi!” esclamò la donna, e il sollievo di Castiel era quasi palpabile. Dean vide che Tessa portava una piccola vasca, e si alzò in piedi, spostandosi per non intralciarla. “Ora del bagno,” disse Castiel a Balthazar che si diresse verso la porta, con Dean che lo fissava. “Forse posso portarti a pranzo?” chiese Balthazar e Dean lanciò un'occhiata a Castiel. Annuì, gli occhi chiusi, il corpo prostrato mentre Tessa lo aiutava a togliersi il maglione, facendolo chinare gentilmente in avanti. Dean sospirò, ritornando all'uomo britannico. “Certo.” Scrollò le spalle, seguendolo in corridoio. Camminarono in silenzio verso l'ascensore, ma mentre aspettavano lì, Dean poteva percepire lo sguardo di valutazione. “Sei molto bello,” disse Balthazar, “ma hai l'aspetto di uno che non mangia un vero pasto da giorni.” “Perché è così,” disse Dean seccamente. “Sono qui da quasi una settimana.” Adocchiò Balthazar prima di riprendere a parlare. “E non ho intenzione di andare da nessuna parte.” Balthazar non disse nulla, premendo di nuovo il pulsante nervosamente, con la mano in tasca che rumoreggiava con quelle che sembravano chiavi. “Non ti ha detto di me allora. Del resto, come avrebbe potuto,” continuò Balthazar. “Ti ha nominato ad un certo punto quando stavamo insieme. Immagino che tu sia parte del motivo per cui si trova qui.” Entrarono in ascensore, interrompendo la conversazione. Calò un silenzio imbarazzante, Balthazar ancora sbatacchiava le chiavi in tasca senza fermarsi, finché non arrivarono al piano principale. Dean automaticamente svoltò verso la mensa, ma Balthazar gli afferrò il braccio. “Niente cibo dell'ospedale,” disse freddamente, e Dean lo seguì con riluttanza verso l'uscita.
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Capitolo IX Alcune Settimane, Forse Meno Erano seduti in un piccolo, affollato, ristorante messicano, e Dean era dibattuto su cosa ordinare. Non aveva molta fame, e nessun piatto aveva un aspetto particolarmente invitante. Si sfregò l'occhio e continuò a fissare la stessa cosa all'infinito, rileggendo per caso la stessa frase. “Mi piacerebbe dirti che siamo stati insieme, ma non sono sicuro che cosa fossimo realmente,” disse Balthazar all'improvviso, gettando il menù sul tavolo, disgustato. Anche Dean posò il suo, appoggiandosi allo schienale della sedia. “Ti dispiace se fumo?” “Per niente.” Dean tirò fuori una sigaretta dal pacchetto e l'accese, osservando il fumo bluastro dissiparsi. “Penso che mi abbia usato. Per dimenticarti,” disse Balthazar, ridendo forte. “È assurdo che debba essere proprio io a raccontarti tutto questo.” “Lo apprezzo.” Dean strinse le spalle. “Cas non può dirmi niente. O non vuole. Non riesco a capirlo.” Fece un tiro, e scosse la testa, espirando rapidamente. “Comunque sia, non voglio fargli pressioni. A volte tossisce e...” Si interruppe, Balthazar era irrequieto. “Sono io che l'ho fatto andare all'ospedale,” disse Balthazar a bassa voce. “Un giorno si è svegliato e... non lo so. Mi ha chiamato al lavoro e quando sono tornato a casa, ha detto che aveva vomitato e non sapeva come fosse successo. Era nel bel mezzo del salotto, e c'era...” Balthazar si fermò e fece un respiro profondo, “c'era vomito dappertutto e lui era lì in mezzo – pensavo fosse morto. Davvero. Non era nemmeno la prima volta che l'ho pensato.” Dean batté la sigaretta nel posacenere, lo stomaco che si stringeva e si torceva in un pugno. “Diventava sempre più magro; ho pensato che fosse lo stress, ma poi sono iniziate a girare delle voci, sai, e ho sentito dire che c'era qualcosa in giro, ma l'ho ignorato. Era solo stress, o qualcosa del genere, ma poi sono entrato, e diceva che non riusciva a respirare e ha perso i sensi. Gli hanno diagnosticato un'infezione delle vie respiratorie superiori, ma non era solo questo. L'hanno praticamente ricoverato da un giorno all'altro per polmonite. E poi la situazione è degenerata molto rapidamente.” “Era mai stato male prima?” “Non per anni – non in quel modo. C'è stata solo una volta, un anno o due dopo che siamo arrivati qui, ma era solo l'influenza.” La cameriera li interruppe e Dean finì per ordinare altro caffè, e Balthazar prese un misto di tutto. “Puoi spizzicare se vuoi,” disse ma Dean non gli rispose. “Te l'hanno detto? Che tipo di polmonite ha?” “Pneumocistosi .” “Pneumocistosi,” disse Balthazar con una piccola risata. “L'ho controllata nella biblioteca di riferimento. È quasi inesistente. È causata da un fungo che è dappertutto, e da quel che ho potuto ricavare, non si verifica mai. Respiriamo i batteri ogni giorno e non lo sappiamo.” Dean cercò di non pensarci troppo. “Che gli è successo?” chiese dopo un lungo silenzio. Balthazar si mosse sulla sedia, sorseggiando delicatamente l'acqua. Posò il bicchiere ed asciugò la condensazione che aveva lasciato sul tavolo.
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“Tu,” disse con franchezza. Dean annuì. “Non è giusto però. Non voglio darti tutto il merito. Gli sono successe molte cose, ma tu... alla fine c'eri sempre e solo tu.” “Se l'avessi saputo...” “Ma non lo sapevi, e ormai sta succedendo,” sbottò, Balthazar, scuotendo la testa, “non dovrei essere crudele con te. Non eri lì. Non... non hai visto.” “Per favore,” implorò Dean. “Voglio aiutarlo. Voglio aggiustare le cose.” Balthazar fissò lo sguardo su di lui. “Lo vuoi davvero però?” Dean ricambiò lo sguardo, rifiutandosi di distoglierlo. “Darei qualsiasi cosa per cambiare tutto quanto.” Balthazar bevve un altro sorso d'acqua ed aggrottò la fronte. “Avrò bisogno di qualcosa di più forte di questo,” commentò, facendo un cenno alla cameriera, chiedendo uno shot di tequila. La cameriera lo portò subito e Balthazar lo trangugiò, senza battere ciglio. Si sistemò sulla sedia e fece un respiro profondo. “Penso fosse il '73.” *** Castiel aveva sempre più difficoltà a concentrarsi a lezione. I suoi libri sembravano contenere un'accozzaglia di parole che si riformavano ogni volta che cercava di leggerle, quindi alla fine smise di provarci del tutto. Ritornava a casa in un appartamento vuoto e buio; le tapparelle erano sempre chiuse, con piccoli frammenti di luce che filtravano sul pavimento di legno. Preparava la cena per sé, si sedeva sul divano davanti alla televisione a guardare qualsiasi cosa stessero trasmettendo. 'Guardare' era un termine approssimativo. Era più evitare Star Trek e Ai Confini Della Realtà. Erano comunque dei telefilm stupidi. A volte riceveva delle telefonate, ed ogni volta che il telefono squillava, pregava che fosse Dean che gli diceva che stava tornando a casa. Che si scusava con lui ininterrottamente, dicendogli che era stato uno stupido ad andarsene, che era un imbecille, e che ancora amava Castiel. Castiel era abituato a non ottenere quello che voleva. Balthazar, un suo compagno di college, lo chiamava per controllarlo. All'inizio era una cosa sporadica, solo una chiacchierata informale per assicurarsi che Castiel stesse bene. Alla fine, le loro conversazioni iniziarono a durare, a volte dilungandosi per ore, e a volte Balthazar riusciva perfino a farlo ridere. Castiel riattaccava il telefono e notava che il viso gli doleva a forza di sorridere. Ma non era la stessa cosa come quando Dean lo faceva ridere o sorridere. Niente era più lo stesso. Dean se n'era andato da quasi un anno, e tutto era diverso. Castiel cercò di smettere di pensare a lui del tutto, ma era difficile perché ogni volta che si guardava intorno all'appartamento, c'era un altro ricordo pronto e in attesa. Quando Dean se n'era andato, avevano messo il contratto di locazione a nome di Castiel; tecnicamente sulle carte l'appartamento era di Dean. Quasi tutto gli apparteneva, e Castiel non poteva sfuggire dall'idea di lui. A volte si dimenticava di aver lasciato accesa la luce della camera da letto, e si ritrovava a pensare che forse Dean era tornato, forse Dean era in camera da letto a rimettere i suoi vestiti a posto nell'armadio e nel comò. Però finiva sempre con una delusione, perché Dean non era ritornato. Castiel sapeva che non sarebbe mai più ritornato. “Dovresti trasferirti.” Erano al piccolo caffè in fondo alla via del suo appartamento, lui e Balthazar, seduti dentro a pranzare insieme. Castiel scosse la testa e diede un morso al suo panino, spingendo gli occhiali sul naso con il dorso della mano. Poteva percepire gli occhi di Balthazar su di lui, e deglutì, ancora scuotendo la testa. “Non posso farlo. E se ritorna e io non ci sono?” “Tesoro,” disse Balthazar, allungando la mano dall'altra parte del tavolo, appoggiando delicatamente le dita sul
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suo polso. “Lo sai che non ritornerà. Quel posto ti sta uccidendo, devi andartene da lì. Ha delle vibrazioni molto brutte.” “Non posso,” sospirò Castiel, tirando via la mano e mettendola sulle ginocchia, e Balthazar ritrasse il braccio, giocando con l'angolo di un tovagliolo. “Dove andrò?” “Puoi venire a stare da me. Ho un sacco di spazio a casa mia. Cerco qualcuno da quando Dylan ha rotto con me.” Balthazar scrollò una spalla, e Castiel ci rifletté per un attimo. Balthazar viveva più vicino al campus, e non avrebbe dovuto passare il resto della sua vita da studente da solo, a tenere il muso nell'appartamento. Sarebbe stato bello avere un compagno di stanza, qualcuno con cui parlare e passare il tempo. Non avrebbe dovuto cenare da solo, o guardare la televisione da solo. Non avrebbe più dovuto essere solo. “Sì,” annuì, sorridendo dolcemente. “Sì, sarebbe bello.” Il weekend seguente, Balthazar era nel suo appartamento per aiutarlo ad inscatolare le sue cose. Ascoltavano la musica mentre lavoravano, e Castiel fece dei panini per loro quando decisero di prendersi una pausa. Si misero a sedere sul pavimento del salotto e rise con leggerezza di cose vuote, cose facili... “Che hai intenzione di fare con tutti i mobili?” Castiel masticò il suo panino, con il burro di arachidi che si attaccava al palato, e deglutì a fatica. “Venderli, immagino.” "Soldi per nuovi libri, eh?” “O nuovi dischi.” Castiel ridacchiò, ed era una sensazione aliena. Non aveva riso sul serio da tanto tempo, ed era così diverso. Si fermò e mise il panino sul piatto sulle ginocchia, togliendosi gli occhiali per strofinarsi gli occhi. “Cassy?” “È solo che–” bisbigliò, ridendo con le lacrime agli occhi. “È solo così strano. Pensavo che non avrei mai lasciato questo posto, che sarei stato qui per sempre.” Rise di nuovo, e Balthazar si spostò in avanti, allungando la mano e tirando Castiel verso di lui. Castiel riconobbe il tocco, e sfiorò con la mano la gamba di Balthazar. “Pensavo che non sarebbe mai finita, ed eccomi qui, a fare armi e bagagli ed andarmene.” “Va tutto bene,” disse Balthazar in tono rassicurante, strofinando dolcemente la schiena di Castiel, e Castiel scosse la testa, ridendo di nuovo e sfregandosi gli occhi. “È solo così strano.” Scrollò le spalle e si asciugò il naso, sorridendo leggermente. “Che scemo che sono. Perché mi sono commosso? Sto andando avanti, giusto?” Balthazar annuì e prese il piatto di Castiel da lui, posandolo sul tavolino insieme con il suo. Gli arruffò gentilmente i capelli con un sorriso, e Castiel si rilassò al contatto, chiudendo gli occhi per un momento. “Beh, finiamo di imballare, mm?” suggerì a bassa voce e si alzò, e Castiel lo guardò, prendendogli la mano quando gliela tese. Balthazar lo tirò in piedi, e Castiel sorrise, aggiustandosi gli occhiali. Imballarono il giradischi e gli ultimi dischi; Castiel li mise con cura nelle scatole e li posizionò nel bagagliaio dell'auto di Balthazar. “Tesoro, sei pronto?” Castiel si alzò, con l'ultima scatola sotto il braccio, un album in mano – uno dei primi che avesse mai posseduto. “Solo un secondo!” gridò, fissando la stampa hawaiana sulla camicia di Elvis Presley. Alzò gli occhi, e giurò che, per un attimo, riuscì a vedere tutto come era stato, ma in un batter d'occhio sparì. Fissò il vuoto, chiedendosi se fosse così che si era sentito Dean appena ritornato dalla guerra. Vuoto. Come avrebbe potuto saperlo Dean? Come avrebbero potuto saperlo tutti e due – si leccò le labbra. “Tesoro!” La voce di Balthazar lo strattonò di nuovo nella realtà. “Arrivo!” rispose, rimettendo il disco in mezzo agli altri, camminando verso la porta. Posò la mano sulla maniglia ed aprì, ma proprio mentre stava per andarsene, esitò, tornando indietro ancora una volta. Un silenzio sommesso e le ombre occupavano la stanza, ed era surreale pensare che questa fosse l'ultima volta che avrebbe visto l'appartamento. Era l'ultima volta che sarebbe stato in quello spazio che avevano condiviso per così
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tanto tempo, e si chiese che cosa le pareti direbbero se potessero parlare. Quello che avrebbero scelto di dirgli. Passò con lo sguardo sulla cucina e sul soggiorno. Avevano lasciato il tavolo da cucina e le sedie. Il letto nella stanza sul retro, oltre il corridoio. I pavimenti spogli erano più spenti di quanto ricordasse, ora che i tappeti non c'erano più. Un po' più rovinati, un po' più usurati, ma ancora li amava. Li avrebbe sempre amati. Nello stesso modo in cui amava – Si fermò prima di iniziare. Non sembrava giusto, pensò, anche dopo tutto quel tempo. Dopo tutto quanto. No, non era mai sembrato giusto. “Ci vediamo allora,” disse a bassa voce, e chiuse la porta dietro di sé. *** Castiel era stato a casa di Balthazar solo un paio di volte, ma sembrava diversa dall'ultima volta in cui c'era stato. Doveva smettere di pensare all'appartamento come di Balthazar; Balthazar stesso glielo ricordava costantemente. Era casa sua adesso; era dove viveva. Era più piccola di quella vecchia, ma andava bene. Mise il resto dei vestiti nel comò e si sedette sul bordo del letto. Doveva comprare delle lenzuola nuove, si rese conto, perché il letto era più piccolo di quello al vecchio appartamento, il che in realtà non era un problema. Non aveva intenzione di condividere quel letto con nessun altro. Si mise a ridere un po' amaramente e scosse la testa, allontanandosi dal letto verso le ultime scatole sul pavimento. C'era un piccolo tavolo nella stanza e ci posò sopra il suo giradischi, appoggiando i dischi al muro accanto, mettendo tutto in ordine, e quando ebbe finito, mise su Elvis. Il volume non era forte – non voleva disturbare Balthazar, ma era abbastanza forte da essere sentito nella piccola stanza. Si distese sul nudo materasso, con una mano dietro la testa, e chiuse gli occhi. A Dean non dispiaceva Elvis... Balzò fuori dal letto ed attraversò la stanza, togliendo il disco dal giradischi ed infilandolo nella sua custodia. Ritornò al suo posto con il resto dei dischi, e Castiel se ne stava lì, a piedi nudi e con il viso tra le mani, ma, per la prima volta dopo molto tempo, non pianse. Se ne stava lì, in attesa, ma le lacrime non arrivarono mai. La cosa lo scombussolò, ma quando alla fine decise di alzarsi dal pavimento ed andare in soggiorno, Balthazar era seduto sul divano a guardare qualcosa in televisione, e si raddrizzò quando vide Castiel. Era passato molto tempo da quando qualcuno l'aveva fatto. “Non volevo disturbarti,” disse Balthazar, il suo accento, per qualche ragione, era dolce e rinfrescante e nuovo, “ma ho preparato la cena se hai fame.” “Grazie.” Castiel sorrise e andò in cucina, prendendo un piatto fuori dalla credenza. Si sedette a tavola e mangiò in silenzio e, prima di finire, Balthazar si unì a lui. “Allora, so che non hai lezione domani, e nemmeno io, quindi hai voglia di fare qualcosa?” “Voglio sistemarmi.” Castiel prese un boccone di pasta, fissando il piatto. Non vide Balthazar annuire, ma sentì il cigolio della sedia contro il legno duro, e sentì una mano sulla nuca e delle labbra contro i capelli. “Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno, Cassy.” Balthazar esitò un momento, e poi senza dire una parola, lasciò cadere un altro bacio sulla sua testa e tornò in soggiorno. La forchetta di Castiel indugiò per un momento. Chiuse gli occhi e continuò a mangiare. *** Quando arrivò l'estate del '75, Balthazar vedeva che Castiel era sempre più a suo agio con il fatto che Dean non ci fosse più e che non sarebbe tornato. Sorrideva di più e rideva di più, e trascorreva più tempo con Balthazar. Passavano le notti insieme a guardare la televisione e a preparare la cena, e qualche volta nei weekend, uscivano anche insieme. Sapeva però che un cuore spezzato non era un problema facile da risolvere, ma ci provava tutti i giorni che trascorreva con Castiel.
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Dean ancora saltava fuori. Nominato di passaggio, o quello che Castiel probabilmente riteneva un caso fortuito, ma Balthazar non si lamentava mai. Non era come se avessero delle lunghissime conversazioni su Dean. Non parlavano mai di lui che se n'era andato; solo che se n'era andato. Che era lì e poi non c'era più. A volte guardavano la TV, e veniva trasmesso Ai Confini Della Realtà e Castiel si alzava a cambiare canale senza dire una parola. Balthazar annuiva e basta, con comprensione, ed avvolgeva il braccio intorno alle spalle di Castiel, quando tornava a sedersi accanto a lui. Altre volte, Castiel si rinchiudeva nella sua stanza per ore, e non c'era nulla che Balthazar potesse fare per convincerlo ad uscire. Era difficile, ma quei giorni diminuirono sempre di più col passare del tempo, e il più delle volte, Castiel trascorreva il suo tempo in salotto a leggere o a guardare la TV. Era così domestico, il modo in cui vivevano, e Balthazar pensava che fosse divertente. L'aveva detto a Castiel, il modo in cui si erano creati una sorta di routine, come si erano abituati gli uni agli altri così in fretta, e Castiel si limitò a sorridere dolcemente e borbottò con voce sommessa, “è buffo come succede alle persone.” Il college era finito in men che non si dica per entrambi, ma Castiel aveva detto a Balthazar di volersi prendere un anno sabbatico prima di andare alla facoltà di medicina. Di aver bisogno solo di una pausa da tutto quanto. “Dove pensi di andare?” “Non lo so.” Castiel rigirò la pasta nel piatto, e Balthazar lo osservò per un momento prima di guardare il proprio piatto e prendere un boccone. Diede un calcio leggero al polpaccio di Castiel sotto il tavolo, e Castiel sollevò lo sguardo. “Hai i moduli di domanda, vero?” Balthazar rivolse di nuovo lo sguardo a Castiel che annuì. “Ce li ho. Non ho avuto ancora occasione di compilarli.” Il discorso si chiuse lì, ed entrambi finirono di cenare in silenzio. La mattina seguente, Castiel non era nell'appartamento quando Balthazar si svegliò, e non diede peso alla cosa. Forse era uscito per prendere un po' d'aria fresca, il che era grandioso perché di recente era stato davvero giù di morale. Nessuno dei due aveva molto da fare dal momento che non avevano più lezione, e Balthazar poteva vedere come questo stesse destabilizzando Castiel. Non aveva niente con cui occupare la mente, per distogliere i pensieri da Dean, e stava ricadendo nello stato in cui si trovava prima. Non sentì Castiel per il resto della giornata. La porta si aprì con forza verso le undici di sera, e Balthazar sobbalzò sul divano, allarmato. Castiel era accasciato contro lo stipite della porta, strofinandosi il viso, gli occhiali storti e i capelli in disordine. Barcollò dentro e chiuse la porta, e Balthazar si alzò dal divano, muovendosi verso di lui, afferrandolo per le spalle, quando si accasciò in avanti. “Cassy?” “Ho visto–” si fermò, affondando le dita nelle spalle di Balthazar. “Ho pensato di averlo visto.” Castiel crollò sul pavimento e Balthazar si mosse con lui, sussultando quando Castiel lo strattonò a terra con forza, colpendo con le ginocchia il pavimento. “Va tutto bene,” bisbigliò Balthazar mentre le mani di Castiel si muovevano, aggrappandosi alla parte anteriore della camicia. “Ho pensato di averlo visto, e–” singhiozzò, premendo il viso contro il petto di Balthazar. “Mi ha fatto troppo male. Non sapevo cosa fare.” Puzzava d'alcol, e Balthazar lo teneva stretto, passando le dita tra i suoi capelli. “Sono andato... ho continuato a camminare, e ci ho provato, ma non posso dimenticare! Non riesco a dimenticarlo!” Balthazar si ritrasse da Castiel e gli tenne il viso tra le mani, povero Cas, Dio, sembrava patetico. Occhi arrossati e lacrimosi, gli occhiali di traverso sul viso e i capelli spettinati. Si era versato qualcosa addosso, del liquore o qualcosa del genere, e Balthazar aggrottò la fronte, preoccupato. “Va tutto bene,” ripeté, baciando la fronte di Castiel finché questi non si rilassò contro di lui, ubriaco. Tirò Castiel in piedi e lo aiutò a camminare verso la sua camera, mettendolo a sedere sul letto e aiutandolo a sfilarsi le scarpe. Castiel si tolse da solo il resto dei vestiti, e quando Balthazar stava per andarsene, Castiel lo afferrò per la manica,
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guardandolo attraverso le sue ciglia bagnate. “Non andare.” La sua voce era rauca. Balthazar lo fissò, il calore si stava accumulando nello stomaco. “Sei ubriaco,” sussurrò, e Castiel si alzò in piedi, tirando le mani di Balthazar. “Toccami,” disse, lasciando cadere la testa sul collo di Balthazar, spostando le mani di Balthazar lungo i fianchi, premendo le dita di Balthazar nella sua pelle. “Toccami,” bisbigliò, baciando la bocca di Balthazar. Balthazar non riuscì a dire di no. *** La mattina seguente, Balthazar si svegliò e vide Castiel che stava fissando i propri vestiti sul pavimento, il viso contrito. “Va tutto bene,” disse Balthazar assonnato, accarezzando la spalla nuda di Castiel. “Questa è una buona cosa – voglio dire, se non ero io, sarebbe stato qualcun altro, giusto? Prima o poi?” Il viso di Castiel si contorse per un momento e poi si riprese, sotto controllo. “Prima o poi,” ripeté Castiel, costringendosi a distendersi sul letto, incastrando le gambe con quelle di Balthazar. Balthazar guardò i cerchi scuri sotto gli occhi di Castiel, le linee stanchi della bocca. Sembrava molto più vecchio di lui. Sempre con i nervi a pezzi. Toccò con esitazione il viso di Castiel che aprì gli occhi, blu e simili a quelli di una bambola. “Che ne dici di un cambiamento di scenario?” Balthazar sorrise, e Castiel sembrava confuso per un momento. “Mi sono appena trasferito,” disse piano, in tono distante. “Sì, tesoro, quasi un anno e mezzo fa,” gli ricordò Balthazar, e Castiel scosse la testa contro il cuscino. Era davvero passato così tanto tempo? “Comunque,” continuò Balthazar, accarezzando il sopracciglio di Castiel, “dicono che San Francisco sia incredibile. Molto vivace e c'è un sacco di gente come noi. Praticamente hanno un intero quartiere e ci sono persone che aprono negozi dappertutto. Sento delle buone vibrazioni. Davvero molto buone.” Castiel rimase in silenzio per un po', riflettendo, giocherellando con il bordo del lenzuolo. Balthazar respirava piano ed inclinò la testa, “dimmi a cosa stai pensando,” disse con leggerezza e Castiel lasciò balenare un sorriso. “Un cambiamento di scenario sarebbe bello,” disse Castiel alla fine. “Potremo cercare un posto più grande.” Balthazar prese la mano di Castiel nella sua, intrecciando le loro dita, felice quando Castiel non ritrasse la mano. “Tutto quello che vuoi, Cas.” *** Al ristorante, il cibo di Balthazar era arrivato e l'uomo biondo ne prese un boccone, interrompendo la sua storia. “Non può essere finita qui,” disse Dean, spostandosi sulla sedia. “Già,” riuscì Balthazar a dire dopo aver masticato un po'. Guardò Dean. “Non avevamo ancora incontrato lei.” “Lei?” Si chiamava Meg e, quando parlava, la sua voce aveva un accento del Sud lento e strascicato, come lo sciroppo che veniva versato da un bricco color crema. L'avevano incontrata in un club dopo che si erano trasferiti, e Castiel venne attratto da lei come una falena dalla luce. “Penso che gli ricordasse te,” disse, sgranocchiando una tortilla, e schiarendosi la gola. “Aveva qualcosa di molto avventato. Naturalmente, allora non sapevamo cosa fosse. Abbiamo solo pensato che non avesse scrupoli a prendersi dei rischi.” Quando incontrarono Meg, Balthazar e Castiel avevano dormito insieme abbastanza regolarmente da essere considerati una coppia. La cosa non sorprese Dean minimamente. Balthazar si era illuso in un primo momento – Castiel stava davvero andando avanti. Le persone avevano ragione, ed entrambi stavano fiorendo a San Francisco. Si potevano baciare in pubblico, tenersi per mano, e sembrava non essere un problema se si era abbastanza casti. La baia era un rifugio. Nella rete di sicurezza della loro comunità, l'amore era l'economia. Frequentavano bar, club, andavano a ballare, incontravano gente. Avevano sentito delle cose, ma loro erano rimasti in disparte. Castiel
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era troppo monogamo per i centri termali1, e non voleva prendersi qualcosa. “Non avevamo programmato di rimanere per sempre. La Davis Medical School aveva aperto nel '66 e Cas voleva tornare alla fine, ma non andò così, immagino.” Dean annuì vagamente. Il '66. Si ricordava qualcosa a riguardo sul giornale. Castiel aveva preso in considerazione l'idea di andare più in un istituto più serio rispetto alle altre facoltà di medicina, pur non avendo né l'età né il prestigio. Dean avrebbe voluto che Castiel frequentasse le scuole migliori. Iniziarono ad imbattersi in Meg sempre di più; faceva parte di quei figli dei fiori perduti, gli avanzi del movimento pacifista in diminuzione che era finito a San Francisco, come il resto degli emarginati della società. Il suo pubblico era selvaggio ed imprevedibile, ma Castiel era incuriosito da lei. Era così bella, diceva, al di sotto di ogni cosa. Sapeva come vivere. Balthazar non avrebbe mentito; affascinò anche lui. Affascinava tutti. Li seduceva con il suo bel sorriso, le fossette e i lunghi capelli mossi castani e una voce dolce come una pesca della Georgia. Era Castiel quello a cui riusciva a far fare qualsiasi cosa. “Prendi una città piena di giovani e chiedi quanto sesso possono avere, e avranno un sacco di sesso. Ecco perché abbiamo i centri termali. È solo per quello. È questione di libertà, di rompere il sistema. Ci immaginiamo al di fuori di esso.” Si passò una mano tra i capelli curati. “Meg era solo la versione droga, e Cas – non lo so. Ci andò dietro come un uomo posseduto. A quel tempo non mi sono reso conto che lo faceva per dimenticarti, ma era ovvio che era quello che stava cercando di fare.” Entrambi lo fecero. Drogarsi. Nei retrobottega e in piccole, case anguste dove Meg viveva. Rannicchiato spalla a spalla con Ruby o altri come lei. Meg doveva solo far ubriacare Castiel per fargli fare qualsiasi cosa le piacesse. “Io mi ero fatto al college, durante le proteste, ma Castiel non aveva provato, e avrei dovuto badare a lui,” disse Balthazar. Dean era sbalordito. Decisamente sbalordito. “L'eroina è stata brutta, ma la cocaina l'ha rovinato.” “La coca?” gracchiò Dean e Balthazar annuì. Si lasciò sfuggire la situazione di mano, ma Castiel sorrideva quando era fatto, e diceva che amava Balthazar quando era fatto, cosa non faceva mai da sobrio, ma come tutte le cose, andò troppo oltre. Era scomparso da giorni, e quando Balthazar si presentò in albergo dove tutti stavano festeggiando, non riusciva a trovarlo da nessuna parte. Erano tutti stravaccati in giro, e due di loro, le ombre di Meg senza nome, stavano facendo sesso sul divano, mentre Meg aiutava Ruby a spararsi in vena una siringa di eroina, leccandole nel frattempo il collo. Quando Balthazar chiese di Castiel, Meg aveva riso indicando il corridoio. “Shhhhh! Il bambino sta dormendo!” aveva ridacchiato nella mano, tenendo la punta della lingua tra i denti. Castiel non stava dormendo. “Ho pensato che stesse per morire, l'ho pensato davvero. Non so come ho fatto a portarlo in macchina, onestamente,” disse Balthazar, guardando fuori dalla finestra. “L'ho trascinato fuori da lì, non lo so...” Incrociò le mani e le mise sotto il mento. L'avevano lasciato lì, a sudare e a dimenarsi sul letto, fuori di sé. Aveva vomitato due volte sull'erba mentre si dirigevano al parcheggio, il corpo che si piegava su se stesso, ma Balthazar era riuscito a farlo entrare in auto in qualche modo. Aveva cominciato a balbettare, e Balthazar stava cercando di zittirlo, e con rabbia o paura, gli aveva afferrato le spalle e lo aveva immobilizzato sul sedile. “Finirai per ammazzarti!” aveva urlato. “Meg ti ha lasciato lì! Saresti potuto morire!” Gli occhi di Castiel erano vitrei e scintillanti quando sorrise a Balthazar. “Era quella l'intenzione,” biascicò, e Balthazar voleva buttarlo fuori dall'auto. Avrebbe voluto picchiarlo a sangue. 1 Si riferisce ai centri termali con sauna, piscina, idromassaggi, ecc. esclusivamente per gli omosessuali, dove gli uomini possono fare sesso liberamente. Negli Stati Uniti i primi centri termali gay apparvero negli anni '50 e vennero identificati come oasi di cameratismo omosessuale, e sono stati, e rimangono oggi, luoghi in cui era sicuro essere gay. Alla fine degli anni '60 e negli anni '70, questi stabilimenti prosperarono e divennero importantissime istituzioni gay; servivano come luoghi di incontro, dove rilassarsi e fare sesso.
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Castiel aveva riso, il suono caotico, come quello di Meg, e i suoi occhi rotearono in su. “Si tratta di lui, non è vero?” sibilò Balthazar. “È sempre per causa sua, cazzo! Mi sono stufato, Cas!” Castiel continuava a ridere, soffocando e tossendo mentre lo faceva, con la testa che dondolava sul sedile. “Ti ha lasciato! Ti ha lasciato – e io non l'ho fatto! Ti amo! Perché non puoi amarmi? Pensavo che stessimo ricominciando! L'avevamo dimenticato!” La risata di Castiel era cambiata. Era amara e cupa. “Vuoi sapere... un segreto?” aveva ansimato, tirando Balthazar più vicino, proprio contro il suo orecchio. “Non voleva toccarmi... non voleva... non voleva toccarmi.” “Cas, smettila,” disse Balthazar, la mano di Castiel vagava lungo il suo petto fino al collo, toccandogli la bocca. “... Dovevo essere io, cos'altro sennò? Perché non voleva toccarmi? Non voleva toccarmi... faccio schifo...” Alzò lo sguardo verso Balthazar, le labbra screpolate che borbottavano insieme. “Non sarai mai lui,” sussurrò. “Non puoi essere lui. Ci provi, ma non sarai mai lui.” “L'ho portato a casa, l'ho aiutato a vomitare, ho preso il ghiaccio quando smaltì l'effetto della droga. La febbre gli passò la notte dopo. Si scusò tantissimo,” Balthazar bevve l'ultimo sorso della sua acqua, scuotendo la testa, “ma non ho mai dimenticato quello che mi ha detto.” Socchiuse gli occhi, guardando Dean. “Non sarò mai te.” Dean aveva gli occhi chiusi. Non sapeva quando li avesse chiusi. “Dopo quel che è successo, si è ripulito e ha ottenuto un lavoro in un grande magazzino. Ha deciso che non voleva più fare il medico. Era come se il desiderio di diventarlo fosse sbiadito, come tutto il resto. Era ancora lui, ma era solo un gioco. Io ero il segnalibro, e sapevo di esserlo. Non mi dava più fastidio. L'ho reso più felice che potevo, e lui mi ha amato, anche se quell'amore era solo un riflesso di ciò che ha sempre provato per te.” “Si è arreso,” disse Dean e Balthazar mormorò in accordo. “Solo un segnalibro. Qualcosa con cui tenere la mente occupata.” “Quando pensi che abbia iniziato a sentirsi male? È così magro... non è una cosa che avviene dall'oggi al domani.” Balthazar scrollò le spalle, scuotendo la testa, non sapendo cosa dire. “Deve essere stato dopo il matrimonio di Rachel.” Sorrise. “Era così eccitato. Non lo vedevo così felice da anni.” “Sua sorella Rachel?” Balthazar mise il tovagliolo sul cibo mezzo mangiato, annuendo. “Sì, deve essere stato dopo il matrimonio, perché mi ricordo che aveva comprato un completo e aveva detto di essere calato di qualche taglia. Gli ho detto di smetterla di lavorare così tanto, ma stava per venir promosso al negozio ed era così felice perché le cose stavano cominciando ad essere un po' più reali. Ad un certo punto deve aver chiamato la famiglia e gli ha dato l'indirizzo. Forse a Gabriel o a qualcun altro, non lo so. Non parlava mai di loro, ma arrivò l'invito e lui era – era davvero fuori di sé per la felicità.” Balthazar si contorse, tirando fuori il portafoglio. “Penso di avere una foto qui...” Cercò nel portafoglio e tirò fuori una fotografia, piegata a metà. La fece scivolare sul tavolo e Dean esitò prima di guardare. La tenne a faccia in giù per un po' e poi la sollevò. Castiel era raggiante; e il completo gli stava bene, ma adesso ci sarebbe annegato dentro. Aveva perso facilmente la metà del peso che aveva nella foto, e anche allora era più magro di quanto lo fosse quando stava con Dean. Era accanto alla sposa, con il braccio intorno a lei. Era bellissima. Capelli chiari e gli occhi lacrimosi, ma sorrideva comunque. Rachel. Non aveva mai visto una sua foto oltre l'età di quattordici anni. “Ha cominciato a lamentarsi dei dolori al petto a Gennaio, e continuava a passarci sopra pensando che fosse un raffreddore perché non aveva avuto l'influenza da anni. Ha detto che ormai gli toccava, ma poi... si è ammalato,
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come ho detto.” Dean si rese conto di aver finito la sua seconda sigaretta e la spense nel posacenere. “Grazie. Per avermelo raccontato,” disse, e Balthazar rimase in silenzio per un po'. “Ancora ti odio. Per quello che gli hai fatto, ma,” rise con autocritica, “in quella stanza con lui, ho capito. Il modo in cui ti guardava prima che entrassi? Era tutto lì.” Dean annuì, perché non sapeva cosa dire. Anche lui si odiava per quello che aveva fatto perché adesso Castiel stava morendo, ed era tutto perché lo aveva lasciato. Ma Castiel non lo incolpava, il che faceva male più di ogni altra cosa. Di fronte a lui, Balthazar prese qualche banconota dal portafoglio e le lasciò cadere sul tavolo, spingendo la sedia indietro. Dean fece altrettanto e lasciarono il ristorante per tornare in ospedale. Prima di entrare, Balthazar fermò Dean, tirando fuori il portachiavi e giocherellandoci, tutti e due in piedi vicino alla sua auto, con il sole che picchiava sul parcheggio. “Vado in Inghilterra per un po',” disse piano, e Dean poteva vedere le lacrime nei suoi occhi, Balthazar sbatteva eccessivamente le palpebre per evitare che scendessero. “Non posso–” si soffermò, lottando con la chiave che stava cercando di estrarre, “–non, non posso stare qui. Non posso vederlo così.” Cercò di dire qualcosa di più, ma fallì. La chiave, infine, si staccò e la porse a Dean, e quando Dean la prese, Balthazar tirò fuori il portafoglio, cercando qualcosa. “Se è per me,” iniziò Dean a dire e Balthazar lo interruppe. “Lo è, e non lo è.” Tirò fuori un biglietto dal portafoglio e porse anche quello a Dean, con un indirizzo scarabocchiato sul retro. Balthazar fissò la chiave e spinse le dita di Dean per chiuderle intorno ad essa. “Sono solo il segnalibro, ricordi? Lui non ha più bisogno di me, e io non voglio essere qui.” “Non è vero,” disse Dean, mettendo i due oggetti in tasca. “Quando sarà tutto finito, puoi prenderla ed andare al nostro appartamento – ci sono le sue cose, e sono sicuro che vorrai darci un'occhiata... abbiamo redatto il testamento la scorsa settimana. Quello è il biglietto di suo fratello. È un avvocato e sta curando tutti i preparativi. Il completo è nell'armadio. Quello che indossava al matrimonio di Rachel...” “Non gli starà bene,” mormorò Dean, fissando una crepa nel cemento. “Non avrà alcuna importanza, suppongo,” sussurrò Balthazar, girando la testa dall'altra parte per asciugarsi il viso. *** Quando ritornarono, la televisione nella stanza era accesa e stava trasmettendo un vecchio film. Tessa era seduta in una delle sedie accanto al letto. Aveva la mano di Castiel nella propria, e Castiel sembrava addormentato. Tessa posò la mano sul letto quando la porta si aprì, e si alzò in piedi. “Non volevo che si sentisse solo mentre voi due eravate via.” Sorrise, e Castiel si svegliò, aprendo gli occhi. Sorrise dietro la maschera, il nuovo golfino che indossava faceva risaltare il blu dei suoi occhi solo un po', e Balthazar si spostò dall'altro lato del letto, prendendo gentilmente la mano di Castiel. “Ci vediamo, tesoro.” “Te ne... vai?” bisbigliò e Balthazar gli rispose. “Oh, solo per una vacanza, tesoro,” gracchiò Balthazar, chinandosi per baciargli la fronte, premendo le labbra un po' più a lungo sulla sua pelle. Castiel chiuse gli occhi e gli strinse la mano. “Quanto torno, ti racconterò tutto.” Dean distolse lo sguardo, e Tessa sgusciò fuori dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Balthazar gli accarezzò i capelli con l'altra mano, e Castiel sorrise tristemente quando Balthazar si ritrasse, muovendosi verso l'altro lato del letto per dare a Dean una pacca sulla spalla. “Prenditi cura di lui, Dean.” “Certo.” Balthazar si congedò e Dean si mise a sedere sulla sedia dove era Tessa. La mano di Castiel vagò verso di lui e Dean la prese, portandola alla bocca per baciargli le dita.
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“Non... tornerà,” disse Castiel tristemente, e Dean scosse la testa, stringendogli la mano. Castiel respirava, il petto gli sussultò, e chiuse gli occhi per un istante, aprendoli per guardare la televisione montata in un angolo della stanza. Dean seguì il suo sguardo, guardando la televisione per un momento. Non ricordava il nome del film, ma sembrava un vecchio film di fantascienza. Castiel rise piano, e quasi sembrò un sussurro sommesso. Dean scosse la testa e tornò a guardare Castiel. “Mi ha raccontato cosa ti è successo.” Castiel si irrigidì brevemente e poi si rilassò sul letto, aggrottando la fronte, ritraendo la mano da quella di Dean per posarla sul letto. “Mi dispiace...” “Ehi, non è colpa tua.” Dean si avvicinò, scostando i capelli di Castiel dal viso e accarezzandoglieli leggermente. Castiel chiuse gli occhi e si rasserenò al contatto. “Sono... stato così stupido...” bisbigliò Castiel, lasciando che Dean gli massaggiasse la testa. “... E se ti avessi... dimenticato? … così immaturo.” Dean si fermò. “Mi... mi... avrebbe spezzato... il cuore,” mormorò Castiel. Dean si chinò, tirando da parte la maschera e Castiel aprì gli occhi, lacrimosi e confusi. Ansimò, chiudendo debolmente le dita intorno al polso di Dean. Dean si ritrasse dalla sua bocca, e Castiel ansimò di nuovo, stringendo la presa sul polso di Dean con la mano tremante. “Non ho mai smesso di amarti,” disse Dean. “Anche – anche quando...” Castiel singhiozzò. Dean lo baciò, e lo baciò, e lo baciò. *** Dean non sapeva esattamente come si dovessero spuntare i giorni da “alcune settimane”. Ora dopo ora non notava davvero il fatto che Castiel stesse morendo. Era solo Cas, uno stanco, stanco, Cas che non riusciva a respirare. Al momento stavano giocando a Crazy Eights 2 sul grembo di Castiel; la nebbia del mattino non si era ancora diradata, e una pioggerella stava iniziando a picchiettare sulle finestre. La lampada del comodino dava alla pelle di Castiel un aspetto giallognolo, ma era una buona giornata; sorrideva di più ed era in grado di mettersi a sedere. Aveva un po' di appetito, il che era inconsueto. “... Sei ancora terribile... a carte...” disse Castiel, e Dean riuscì a ridere, guardando Castiel mettere giù un'altra carta e poi tirarla indietro, fissandola. “... Lo posso fare questo?” chiese, e Dean lo guardò di traverso, Castiel teneva ancora in mano la carta. “Sì, amore, l'hai fatto un paio di giri fa.” Castiel fissò la carta ed annuì, posandola sul mucchio, sorridendo a Dean. “Stai bene?” disse Dean, strofinando il braccio di Castiel attraverso il golfino. “Sì,” disse Castiel in tono distante, finendo di giocare il suo turno, facendo scorrere il dito sui bordi delle carte. Tessa fece capolino dalla porta e sorrise, e Castiel si sistemò, mettendosi a sedere più dritto, destandosi dal suo stupore momentaneo. “Ci sono altre visite per te, Cas.” Tessa spinse la porta e Sam entrò nella stanza, seguito da Jessica, e Dean poteva sentire un forte respiro sorpreso da Castiel, che abbassò le carte. Dean sapeva che Castiel stava sorridendo dietro la maschera, e quando si girò per guardarlo, i suoi occhi erano pieni di lacrime, e Dean allungò la mano per asciugargliele con il pollice prima di alzarsi ed avvicinarsi a suo 2 Un gioco da 2 a 4 giocatori nel quale l'obiettivo è scartare le carte che hai in mano accoppiando il numero o il seme della carta precedentemente scartata da un altro giocatore o cambiando il seme con un 8.
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fratello e sua cognata. Afferrò Sam e lo tirò al petto in un abbraccio stretto prima di lasciarlo, e poi si mosse verso Jessica, baciandola sulla guancia prima di abbassare lo sguardo. “L'hai portata?”Allungò la mano verso il fagottino che Jessica aveva in braccio, tirando via la coperta per rivelare la loro figlia. Fini capelli biondi e occhi color nocciola. Dean le sorrise e la bambina allungò la minuscola mano, avvolgendo le dita intorno a un suo dito. “Certo.” Jessica rise sommessamente. “Volevamo che la vedesse prima di...” si interruppe, sorridendo tristemente. “Mi dispiace tanto, Dean.” “Va tutto bene.” Accarezzò con il pollice la guancia della bambina che si dimenò. “Andrà tutto bene.” Jessica si premette più vicino a Sam che avvolse il braccio intorno alle sue spalle, e teneva la figlia più vicina a sé mentre piangeva. Non riusciva più a trattenersi. Dean lo vedeva che Jessica stava cercando di essere forte di fronte a Castiel, ma con alcune cose non c'era proprio niente da fare, e capiva che a volte Castiel era molto difficile da guardare. “Jess...” disse Castiel dal letto, e Jessica rise piano, asciugandosi il viso. “Sto bene, Cas. Sto bene.” “È solo dura da accettare,” mormorò Sam, e Dean annuì. Sam gli afferrò la spalla con la mano libera e baciò la tempia di Jessica quando si ritrasse, andando a sedersi sul lato opposto del letto di Castiel. Castiel sorrise e prese la mano di Sam; sembrava così piccola nel palmo gigante di Sam. “Sam...” “Ehi, Cas.” Sorrise e coprì la mano di Castiel con l'altra mano, e Castiel rise sommessamente. “Sei... cresciuto.” Non riusciva a smettere di sorridere, e Dean era così contento che fossero venuti a vederlo. Jessica gli tirò la manica e rivolse la sua attenzione verso di lei. “Quanto tempo gli rimane?” sussurrò, e Dean scosse la testa, scostando una ciocca di capelli dal viso e infilandola dietro l'orecchio. “Non molto tempo.” Poteva sentire Sam e Castiel parlare tra di loro, su come Sam fosse andato a Stanford e fosse diventato un avvocato, e sentì Castiel dire quanto fosse orgoglioso di Sam. Calò il silenzio per un momento, e poi Castiel parlò di nuovo. “Come... si... chiama?” “Abigail,” rispose Sam, e Castiel annuì, voltandosi a guardare Dean e Jessica vicino alla porta. Entrambi rivolsero l'attenzione su di loro, e Sam fece cenno a Jessica di avvicinarsi. Si diresse verso il letto, e Abigail emise dei versetti tra le sue braccia, allungando le mani piccole per tirarle i capelli biondi. Jessica era diffidente però, e non si avvicinò troppo. Dean sapeva che Castiel avrebbe capito. “Dean...” Dean rivolse la sua attenzione a Castiel, avvicinandosi a lui, ma Castiel sorrise e strinse la mano di Sam. Sam lo guardò, guardò il modo in cui il suo petto si gonfiava e si abbassava ad ogni respiro sussultante che faceva. “Puoi... tenerla... tu?” Jessica annuì e si voltò verso Dean, mettendo delicatamente Abigail tra le sue braccia, e lui tenne stretta a sé. Era così piccola e fragile, come un uccellino, e lo guardava sbattendo le palpebre, allungando una mano vero il suo viso, le dita piccole che si aprivano e si chiudevano vicino al suo mento. Dean si chinò e la bambina lo afferrò, strofinando la barba incolta con le mani, emettendo i suoi versetti. Castiel rise e sollevò l'altra mano al viso, asciugandosi tremante gli occhi prima di rimetterla sul letto. “È... bellissima.” Jessica prese l'altra sedia accanto a lui, ora che le sue braccia erano libere, ed afferrò la mano di Castiel intrecciando le loro dita insieme. Sorrise mentre si lisciava i capelli con la mano. “È così bello vederti, Cas,” sussurrò. Castiel annuì leggermente e si rilassò al contatto. Abigail stava ancora
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afferrando il viso di Dean, e Dean si chinò per baciarla sulla guancia, facendola strillare divertita. Castiel lo guardò per tutto il tempo, il viso bagnato di lacrime, e per un momento, a Dean sembrò che sarebbe andato tutto bene. Che Castiel l'avrebbe superata. Che sarebbero stati di nuovo insieme. Castiel avrebbe guardato Abigail crescere, e forse qualche volta sarebbe andato a prenderla a scuola. Avrebbero avuto una casa insieme e Sam e Jessica sarebbero venuti a trovarli nei weekend con la figlia. Ma poi la realtà si palesò, e Dean sapeva che nessuna di quelle cose sarebbe state possibili. Sam guardò Jessica che annuì leggermente, sporgendosi in avanti per baciare la fronte di Castiel, e sorrise. Sam gli strinse la mano prima di alzarsi e allontanarsi. Jessica non sembrava volersene andare, e baciò Castiel sulla guancia, ridendo sommessamente. “Dobbiamo andare, ma torneremo. Lo prometto, Cas.” Castiel annuì e Jessica si ritrasse, muovendosi Dean per prendere Abigail. Le sue braccia si sentirono vuote e pesanti quando le lasciò cadere lungo i fianchi, e baciò di nuovo la bambina, poi Jessica, ed abbracciò Sam. Si salutarono, e Dean tornò al suo posto accanto a Castiel, prendendogli la mano. Asciugò le guance di Castiel con i pollici come meglio poteva, e Castiel chiuse gli occhi e sospirò, ma le lacrime continuavano a scendere. “Cas, ehi. Va tutto bene,” provò Dean a dire, ma Castiel scosse la testa. “Promettimi...” sussurrò, e Dean annuì, avvicinandosi, “che... vivrai... la tua vita.” “Non parlare così, ti prego,” implorò. Non voleva sentirlo adesso. Non voleva che Castiel gli facesse la paternale su come dovrebbe vivere la sua vita dopo la sua morte. Non voleva pensare a come, forse, nei prossimi giorni, Castiel non sarebbe più stato qui e Dean sarebbe dovuto tornare a casa senza di lui. Castiel respirava e l'angolo delle labbra si contorse in una smorfia; afferrò il polso di Dean, tirandogli via la mano dal viso. “Devi... farlo.” “Che cosa farò però?” “Quello che... stavi... facendo.” Si fermò per un attimo, stringendo gli occhi chiusi, portandosi la mano al petto mentre ansimava. Dean si avvicinò a lui e Castiel aprì gli occhi per guardarlo. Erano del colore tenue dei fiordalisi; vitrei, come la patina lucente sulla porcellana olandese. A Dean non piaceva più guardarli. Non erano gli occhi che si ricordava, così vibranti e luminosi, il blu più blu che avesse mai visto. “Okay.” Castiel sorrise, e chiuse gli occhi, voltando il viso per rilassarsi contro il letto. “Sono... stanco.” Dean gli prese la mano e la mise sul letto accanto a lui e si sporse in avanti per baciargli la fronte, scostando i capelli dal viso. “Riposati.”
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Capitolo X Forse Meno Qualcuno bussò alla porta, e Dean sobbalzò, alzandosi dalla sedia. Non si era reso conto di essersi addormentato. Era rimasto sveglio quasi tutte le notti, guardando Castiel, sperando che forse se lo guardava abbastanza a lungo, avrebbe guadagnato almeno un giorno in più. Dean cercò di non fomentare le proprie speranze. Si strofinò gli occhi e si voltò verso la porta. Tessa la stava spingendo per aprirla, il suo sorriso si trasformò in un'espressione corrucciata. “Ti ho svegliato?” “Non fa niente.” Dean rise piano, guardando di nuovo Castiel per assicurarsi che stesse ancora dormendo. Diventava sempre più difficile svegliarlo, e Dean non sapeva quale fosse il motivo; forse era perché stava per arrivare il momento. Scosse la testa, strofinandosi il viso; non ci voleva pensare. “Sono venuta a controllarlo.” Tessa sorrise e si mosse verso di lui, controllando la flebo di Castiel e l'ossigeno. Dean si appoggiò allo schienale della sedia e guardò Castiel che dormiva, guardò quando Tessa gli accarezzò la fronte con un gesto amorevole. Sapeva che Castiel significava molto per lei, che i due era diventati incredibilmente vicini durante la sua permanenza qui. “Parlava di te come se avessi appeso la luna in cielo.” Tessa rise piano, guardando Dean mentre distendeva la coperta sul letto di Castiel, rimboccandola più vicino al suo petto. “E non ha mai parlato male di te. Significhi tanto per lui, Dean.” “Lo so.” Dean si sporse in avanti ed accarezzò con le dita il dorso della mano di Castiel posata sul letto, con le dita che si contraevano sulla coperta, mentre sognava. “Ha qualcosa di diverso. Provi a smuoverlo e ti si infila dietro la testa.” Dean rise e scosse la testa, tracciando con il pollice l'osso del polso, più pronunciato di quanto ricordasse. Tessa si tirò il golfino intorno a sé e dondolò sui talloni. “Anche dopo tutto quello che ha passato, parlava ancora di te come se fossi tutto il suo mondo.” Tessa si mise a sedere sull'altra sedia, gemendo leggermente, esausto dal suo turno. Sorrise, allungandosi per sistemare l'elastico della maschera sulla guancia di Castiel, raddrizzandola e lisciandola. “Vorrei averlo conosciuto prima.” “Sarebbe stato bello per lui di avere un'amica come te, così non avrebbe dovuto sopportarmi tutto il giorno,” disse a se stesso, e Castiel si mosse sul letto, ma non si svegliò. “Dio solo sa che a volte non ero molto amichevole.” Dean abbassò la voce fino ad ammutolirsi, “sai – è così facile dimenticare quanto litigavamo.” Dean si strofinò la fronte, le gambe divaricate sulla sedia, la schiena dolorante “Ci arrabbiavamo così tanto, sapevo esattamente quali pulsanti premere, e adesso sembra solo tempo sprecato.” “Fa parte dell'essere innamorato di qualcuno,” disse Tessa dopo un momento, fissando il muro dietro la testa di Castiel. “Litighi e fai loro del male, ma per tutto il tempo ci stai provando.” Tornò a guardare Dean. “Finché sei disposto a combattere per loro, tutto il resto si bilancia, credo.” Un altro silenzio si promulgò. “Parla molto della spiaggia molto,” continuò Tessa, infilandosi i capelli scuri dietro l'orecchio. “Penso che sia un bel ricordo per lui. Ne parla soprattutto nei giorni brutti.” Dean si strofinò il viso. La spiaggia. Poteva ricordarla così chiaramente, Castiel con i suoi stivali e la giacca, Dean nel suo giaccone a quadri rosso. Il modo in cui le onde si infrangevano contro la riva e i gabbiani gridavano sopra le loro teste, quanto Castiel fosse eccitato, e Dean aveva filmato tutto su pellicola. Il modo in cui Castiel gli aveva detto che lo amava sopra il suono delle onde, gridando attraverso la spiaggia, con un sorriso. Si ricordava del piccolo letto nella camera d'albergo che avevano condiviso e di come, ogni volta che si muovevano, cigolasse sotto di loro. I ricordi erano così chiari, come se fossero accaduti solo ieri.
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“Ci siamo divertiti,” riuscì a dire, la voce tesa per l'emozione. La sua tristezza si sciolse in una risata, mentre si ricordava, alzando le mani per gesticolare, “aveva un assoluto mattone come macchina fotografica. Questa vecchia Polaroid del '65 che avevo preso a poco a un banco pegni. Ho speso un mucchio di soldi in rullini, ma non so cos'è successo alle foto.” “Sono sicura che ce le ha ancora.” Tessa sorrise di nuovo e scostò i capelli di Castiel dal viso. “Già,” concordò Dean. Tessa canticchiava dolcemente mentre passava le dita tra i capelli di Castiel, il petto di Castiel sussultava ad ogni respiro, dormendo ancora profondamente. “Non ho mai visto un essere umano amare qualcuno quanto lui ama te,” sussurrò. “Era così sicuro che saresti venuto; abbiamo provato a dirgli di non avere aspettative, ma era così sicuro. ‘Verrà. Dean mantiene le sue promesse’.” Strinse le labbra. “Volevo odiarti. Volevo essere arrabbiata con te per averlo lasciato, ma era impossibile non adorare la persona che Cas descriveva quando parlava di te.” “Vorrei che non l'avesse fatto,” disse Dean. "Vorrei che non avesse lottato così tanto; guarda dove lo ha portato.” “È un tipo tenace,” aggiunse Tessa, con uno sguardo dolce. “Non pensavamo che avrebbe tenuto così a lungo, sai. Ma, credo, sapeva di doverti aspettare.” Dean strinse le dita calde di Castiel. Castiel aveva resistito per lui. Il pensiero gli faceva più male di quanto pensasse avrebbe dovuto. Castiel l'aveva aspettato – e se non fosse mai venuto? La vita di Castiel era appesa ad un filo, ed era tutto a causa di Dean. “Non capisco perché deve essere lui,” disse Dean con voce rotta. “Perché non potevo essere io? Tutte quelle volte – ogni volta e l'ho sempre scampata. Perché proprio lui? Non ha fatto del male a nessuno. Non ha mai fatto niente di male a nessuno!” “Vorrei poterlo dire,” sussurrò Tessa. Dean sentì la mano di Castiel ritrarsi da sotto la sua, e poi si posò sul suo polso, le dita che si muovevano lentamente. “Dean...?” Castiel lo guardò confusamente, e Dean si sporse in avanti prendendo la mano di Castiel per baciargli le fragili dita. Gli tenne la mano ed accarezzò il braccio di Castiel, continuando ad urtare l'ago cannula della flebo. Castiel sorrise, stordito. “Ehi, amore,” disse Dean, “va tutto bene. Torna a dormire, okay?” “Stavamo solo parlando,” aggiunse Tessa mentre si alzava, e si chinò sul letto per sorridergli. “Ma adesso dovrei andare. Ho altri pazienti da controllare.” Castiel annuì e sorrise. “Ci vediamo domani, Cas.” Tessa se ne andò e Castiel si rivolse verso Dean, sfiorandogli il polso con le dita sottili. Sembrava che stesse diventando sempre più magro di giorno in giorno, ma Dean cercò di ignorare il fatto. Invece si concentrò sul modo in cui Castiel muoveva le dita sulla sua pelle, il modo in cui avvolgeva le dita intorno alla sua mano, le unghie spuntate che affondavano nella carne del palmo. Era ancora Castiel. Era ancora il suo Cas. “Di che... cosa... stavate parlando?” Le ultime parole uscirono in fretta, come se stesse cercando di farle uscire più velocemente possibile. “Di te.” Dean sorrise e strofinò il pollice lungo il dorso della mano di Castiel, e Castiel emise una breve risata. “Tessa mi stava dicendo quanto sei chiacchierone... come se non lo sapessi già.” Castiel annuì e sorrise, ma non disse nient'altro per un momento. Guardava solo Dean, sorridendo timidamente dietro la maschera, e per un istante Dean venne riportato a quel primo momento in cui aveva messo gli occhi su di lui. I suoi capelli erano ordinati, pettinati all'indietro e acconciati, e gli occhiali erano messi dritti sul suo viso. Aveva il golfino abbottonato e i pantaloni stirati, la cravatta era un po' storta a causa della confusione della festa, e la primissima cosa che Dean aveva pensato era che sarebbe dovuto andare lui a sistemargliela. Si sarebbe chinato per sussurrargli qualcosa all'orecchio e Castiel si sarebbe sporto in avanti, portando i loro volti più vicini. “Ti... amo,” disse Castiel all'improvviso, e Dean rise. Rise e si strofinò gli occhi; non si era nemmeno accorto di
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aver iniziato a piangere di nuovo. “Dio, Cas.” Gli baciò le dita, il polso. “Ti amo anch'io.” Ancora sentiva quelle parole come estranee sulla sua lingua. Aveva passato tanti anni senza dirle, e non pensava che sarebbe mai stato in grado di usarle di nuovo. Ma Castiel era qui, e lo stava guardando come la prima volta quando Dean gli aveva detto quelle parole. “Sono... stanco,” mormorò dopo un po', ritraendo la mano da quella di Dean per toccargli delicatamente il viso. Dean tenne la mano sulla guancia, girando il viso per baciargli il palmo della mano. “Okay,” lo rassicurò Dean, guardando i suoi occhi chiudersi lentamente. “Ci vediamo domani mattina.” Castiel annuì e lasciò cadere la mano, girando il viso contro il cuscino. Castiel si addormentò poco dopo, e Dean si grattò i capelli prima appoggiarsi alla sedia, cercando di dormire anche lui. Venne svegliato qualche ora dopo da un suono debole. “Cosa c'è?” disse, sbattendo le palpebre confusamente. Castiel lo fissava, gli occhi enormi. “... sei tu...” sussurrò. Dean corrugò la fronte. Si sporse in avanti, strisciando la sedia sul pavimento per avvicinarsi. “... sei tu...” ripeté Castiel e Dean gli scostò i capelli dal viso. “Cosa c'è che non va?” Lo sguardo di Castiel era annebbiato, il viso confuso. “... sei a casa...?” biascicò, “quando... quando? Non... non me ne sono accorto...” Dean non capiva. “Cas, di che stai parlando?” Castiel guardò la parete di fondo, muovendo le mani pigramente, chiudendo gli occhi. “... non me ne sono accorto...” Si riaddormentò e Dean lo guardò a lungo, preoccupato, scrutando il suo volto. Si strofinò gli occhi e restò sveglio finché poté, ma alla fine non ce la fece più a resistere. Quando si svegliò, era mattina, il sole filtrava dalle imposte e si diffondeva su tutto il letto di Castiel. Castiel era sveglio e guardava fuori dalla finestra; mentre Dean si svegliava sempre di più, torcendo il collo rigido, poteva vedere che le imposte erano state tirate su a metà. Attese un attimo prima di ottenere l'attenzione di Castiel, turbato dalla conversazione improvvisa della scorsa notte. Castiel rimase fissato a guardare fuori, il cielo di un blu brillante. Dean si domandò che cosa dire. “Buongiorno,” disse infine, e Castiel si voltò verso di lui, sorridendo debolmente. Dean si spostò, le gambe doloranti, “allora, hai fatto un brutto sogno ieri notte?” Castiel inclinò leggermente la testa sul cuscino. “Mmm?” Dean gli guardò il viso: era chiaro che non sapesse di che cosa stesse parlando. “Devono essere le medicine,” sussurrò Dean a se stesso. Castiel lo fissò con uno sguardo assente. “Stai bene?” chiese, e Castiel si contrasse un po'. “Oh...” sussurrò, e poi tornò a guardare fuori dalla finestra. “Dovremmo andare... al mare... un giorno,” disse e il viso di Dean si rabbuiò. “Che vuoi dire?” “Dovremmo... dovremmo andarci,” disse, quasi pigramente. Dean scosse la testa, toccando la mano di Castiel, cercando di attirare la sua attenzione. Gli occhi di Castiel erano sfocati e guardavano freneticamente la stanza, roteando all'indietro.
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“Amore, ci siamo andati. Non ti ricordi?” Finalmente riuscì a far smettere agli occhi di Castiel di muoversi, ma quando finirono su Dean, sembrava che guardassero attraverso di lui. “Dobbiamo andarci... è quello che... ho detto...” la voce era un po' impastata, e Dean allungò la mano per prendere il pulsante di chiamata. *** Attese fuori mentre il dottor Ether, o almeno così l'aveva chiamato Tessa, esaminava Castiel, Tessa con lui. Il dottor Ether se ne andò per primo, il camice che sventolava. Non si fermò a parlare con Dean, ma Tessa uscì dopo un momento, il viso preoccupato. “Cos'ha che non va?” chiese Dean, e Tessa mise le mani nelle tasche del suo lungo golfino color grigio melange. “È... non lo sappiamo proprio,” fu tutto quello che riuscì a dire. “Mi dispiace, Dean, non posso spiegartelo adesso, devo fare il giro visite.” Si affrettò giù per il corridoio, e Dean venne lasciato da solo. Quando sbirciò nella stanza di Castiel, questi stava di nuovo fissando fuori dalla finestra e Dean scivolò all'indietro, seguendo dove era andato il dottor Ether. Quando non lo trovò da nessuna parte, scese al primo piano. Aveva bisogno di cibo, si rese conto all'improvviso. Non si ricordava mai di mangiare in questi giorni. Castiel lo prendeva in giro dicendo che sarebbe diventato magro come lui, anche se Dean trovava mai quelle battute molto divertenti. Dean notò l'uomo seduto a uno dei molti tavoli della mensa; stava spizzicando un piatto di pasta, ma perlopiù stava bevendo sorsi calcolati di caffè fumante. Era un uomo dall'aspetto estenuato, con le borse pesanti sotto gli occhi, le mani sottili e precise. Anche se prima Dean l'aveva visto solo di spalle, sapeva che era la persona con cui aveva bisogno di parlare. Dopodiché non perse tempo, navigando nella sala affollata come meglio poteva finché non si ritrovò a sovrastare il dottore dalla sedia di fronte a lui. Il dottore mangiucchiò un grissino, ma non si scomodò a guardare Dean. Da questa vicinanza, Dean vide che accanto al piatto c'era un fascicolo; una cartella manilla rivoltata e le cataste ordinate di carta bianca, messe sopra, attaccate alla copertina interna. Girò la pagina e poi fece un cenno con la mano libera verso la sedia vuota. “Non stia lì in piedi. Si sieda.” Il suono della sedia che veniva trascinata sul pavimento di piastrelle fu soffocato dal ronzio delle persone; infermieri, pazienti, ma soprattutto gli amici e i familiari profughi dei suddetti pazienti – e naturalmente, il dottore di fronte a lui. Dean diede un'occhiata al suo camice e vide l'etichetta stampata col nome attaccata proprio sopra la tasca del camice bianco del dottore. Dr. Ether. Aveva ragione. “Ho alcune domande per lei,” disse Dean, alzando lo sguardo verso il viso affilato dell'uomo. La sua struttura ossea era allarmante, e i suoi capelli neri rendevano la sua pelle bianca ancora più bianca. Dean si domandò come mai non venisse scambiato per un impresario di pompe funebri, piuttosto che per un uomo che salvava delle vite. “Che cosa le fa pensare che risponderò?” disse l'uomo con voce strascicata, e poi smise di sfogliare le carte e guardò Dean dritto in faccia. "Anche se, lo ammetto, è affascinante quanto lei sia sfrontato.” “Lei è il dottore di Cas, e ho alcune domande a riguardo.” Il viso del dottor Ether si rabbuiò considerevolmente mentre inclinava la testa riconoscendo il nome. “Ah, quindi lei è Dean.” Dean si sporse in avanti sulla sedia, le mani incrociate davanti a sé. “E anche se lo fossi?” Il dottor Ether, abbastanza sorprendentemente, accennò un sorriso. “Il fratello del mio paziente mi ha avvertito che forse ad un certo punto sarebbe apparso.” Squadrò Dean e fece un sorriso affettato. “Ha anche accennato il fatto che sarebbe potuto essere preoccupato.” “Oh, sono un po' più che preoccupato,” ringhiò Dean, stringendo i pugni. Il dottor Ether diede un altro piccolo,
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calcolato morso al suo grissino e alla pasta e si pulì delicatamente la bocca con il tovagliolo di carta preso dal dispenser accanto a lui. “Si è guadagnato la mia attenzione, quindi chieda pure.” Dean guardò il dottor Ether bere un sorso d'acqua da un bicchiere sul vassoio di fronte a lui, e sentì la bocca diventare più asciutta di prima. “Perché non sta migliorando? Vedo la gente lì dentro costantemente, ma non è cambiato niente in una settimana.” Il dottor Ether fece un respiro profondo e guardò con aria assente la pasta beige e il piano del tavolo di formica, come se non sapesse esattamente da dove cominciare. Dean si sentiva già un groppo in gola che stava diventando impossibile da ingoiare. “Ha una minima conoscenza di quello che fa il sistema immunitario?” disse l'uomo più anziano, lisciando il bordo di una delle sue unghie. “Ti protegge – dalle infezioni.” Il dottor Ether sorrise cupamente ed incrociò lo sguardo in preda al panico di Dean. “Precisamente. Protegge l'organismo dalle infezioni.” Bevve un altro sorso di acqua e si asciugò la condensa sui pantaloni. “Castiel Novak non ha un sistema immunitario,” disse con calma. Dean abbassò le sopracciglia quasi automaticamente. “Cosa vuol dire che non ha un sistema immunitario?” Desmond Ether guardò il soffitto, chiuse gli occhi e poi batté un punto sui fogli nella cartella manilla. Dean si rese conto con orrore che quei fogli erano di Castiel, i numeri e le figure, le note scritte in un scarabocchio filiforme e le sottolineature rosse. Erano tutti di Castiel. “Il conteggio dei suoi linfociti T 1 è praticamente inesistente.” Il dottor Ether scosse la testa, la sua espressione perplessa. “In verità, non abbiamo mai visto niente di simile – il suo corpo è più che compromesso. Nell'ultimo mese molti ragazzi sono stati ricoverati nelle stesse condizioni, e sono quasi tutti come lui. Sui trentacinque anni, omosessuali.” Batté di nuovo il dito. “Io e i miei colleghi ne siamo molto turbati, e il numero continua a crescere. Hanno dovuto chiamare il centro malattie infettive. Abbiamo avuto un agente che ha studiato il caso del signor Novak per quasi tutto il suo ricovero. È solo uno di una serie di strani avvenimenti che abbiamo avuto.” Dean cercava di capire esattamente ciò che gli veniva detto. Sapeva che Castiel aveva la polmonite, e da quello che aveva potuto ricavare, si trattava di una forma rara. Ma avrebbe dovuto essere curabile. Castiel era giovane, era sempre stato sano. “Allora cosa ha intenzione di fare?” sbottò Dean, guardando il dottore mischiare la pasta senza alcuna volontà di mangiarne di più. La forchetta si fermò, i rebbi infilzarono un pezzo di verdura, e quasi sembrò avere un aspetto scioccato alla domanda di Dean. “Fare?” rispose con calma, strizzando gli occhi a Dean. “Che cosa devo fare?” “Per aiutarlo!” disse Dean ferocemente, sporgendosi in avanti. “Per aiutarlo a guarire!” Gli occhi del dottor Ether si socchiusero ulteriormente, stavolta con pietà. “Mi scuso per non essere stato chiaro – non c'è nulla da fare. Pensavo di essere stato ovvio quando le ho detto che non c'è nulla che protegge Castiel Novak da tutto ciò che abbia la possibilità di sgusciare dentro il suo corpo. Questi ragazzi stanno morendo. Non posso guarirli. Li sto semplicemente accompagnando verso l'inevitabile.” Le parole sembravano incomprensibili ed estranee a Dean, come se le stesse ascoltando e sapeva che erano parole, ma non riusciva a capire cosa volessero dire. “... c-cosa vuole dire...” provò a dire, scuotendo la testa. “... ci deve essere qualcosa – lei è un dottore,” aggiunse disperato, la sua rabbia che aumentava. “Non mi dica che non si può fare un cazzo, è una stronzata!” Sbatté il pugno sul tavolo, facendo tintinnare le posate e il portatovaglioli. L'acqua sciabordò irregolarmente dal bicchiere e cadde nel vassoio. Il dottor Ether non disse nulla per un po' mentre gli sguardi fissi della gente a poco a poco 1 L'AIDS danneggia il sistema immunitario e in particolare i linfociti T, i quali giocano un ruolo centrale nell'immunità cellulare.
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divagavano altrove. “Non posso dargli un nuovo sistema immunitario,” disse il dottor Ether sommessamente. “Non posso neanche aiutarlo a crescerne uno nuovo.” Il dottore si prese un momento, forse per interiorizzare. “Non c'è nulla che io possa fare per lui. Abbiamo cercato di gestire i suoi sintomi, ma a questo punto non ha alcuna importanza. Lo capisce?” “Per favore,” sussurrò Dean. “Per favore, se si tratta di soldi, se si tratta di qualsiasi altra cosa.” Dean si fermò quando una mano toccò la sua. Non si era reso conto di averla allungata. Ora stava afferrando disperatamente la manica dell'uomo. Si sentiva come se stesse già scivolando in ginocchio ad implorare. “Figliolo,” il viso del dottor Ether era greve, “devi capire che qualcosa lo sta mangiando vivo dall'interno. Non posso regalargli un'ora nemmeno se lo volessi, anche se non fosse una questione di soldi.” “Quindi lo lascerete marcire?” esclamò Dean. “Lo lascerete in quel letto del cazzo a deperire?!” Il dottore sentì la mano di Dean affondare nel suo avambraccio. Fece una smorfia. “Stiamo facendo tutto il possibile per rendere la transizione confortevole.” Dean distolse lo sguardo, vero la fila della mensa indaffarata. Allentò la presa e fece cadere pigramente le mani sul grembo. Si sentiva il cervello molle dentro il cranio. “Transizione,” sussurrò, la sua voce che si lacerava. Tutte quelle volte Tessa era venuta a controllarlo, lo stava solo aiutando... a morire? Intorpidendolo per non farlo soffrire – perché l'avrebbero perso. Lo sto perdendo. Era come un incubo. Come i brutti sogni che aveva avuto in Vietnam. Doveva solo svegliarsi, e sarebbe tutto finito. Tutto. Si sarebbe svegliato e sarebbe stato a letto nell'appartamento, e Castiel sarebbe stato accanto a lui, una gamba sopra, una gamba sotto. Lo avrebbe baciato e poi sarebbe tornato a dormire, l'unica cosa che mostrava il trauma del sogno sarebbe stata un sudore leggero e una scrollata di capo per schiarirsi le idee. “Gli restano pochi giorni, a questo punto. Arresto respiratorio e cardiaco sono improvvisi. Il suo cuore potrebbe fermarsi in qualsiasi momento.” Dean cercò di ingoiarlo, ma il groppo non voleva andare giù. “Se parliamo rigorosamente in termini di polmonite, la mancanza di ossigeno gli ha affaticato eccessivamente il cuore. Sta facendo il doppio del lavoro con la metà dei risultati. Alla fine cederà. Sempre se il liquido nei polmoni non lo soffochi prima.” Ci fu un momento di silenzio prima che il dottore continuasse a parlare, la sua voce lenta e spessa, come se fosse melassa che gocciolava nelle orecchie di Dean. “Prima di allora potremmo perdere tutto. Il suo corpo si sta spegnendo mentre parliamo – reni, fegato, intestino. Si sta arrestando tutto.” Dean continuava a guardare lontano, in modo che il dottore non lo avrebbe visto mentre si mordeva l'interno della guancia così forte che temeva di squarciarla. “L'unica cosa che posso dargli sei tu.” Dean scattò la testa verso il dottore. Stava guardando fuori dalle finestre sopra la spalla di Dean, le mani incrociate. Annuì a se stesso. “La situazione era così disperata,” mormorò, “ma quando sei arrivato abbiamo visto dei piccoli miglioramenti. Cose minori. Cose superficiali, ma tuttavia, qualunque risultato positivo è ben accetto. Sono un dottore da molto tempo, Dean, quindi non so perché continuo ad essere sorpreso da ciò che l'amore fa alle persone.” Dean arrossì. “Non so di che cosa stia–” iniziò a dire in tono aspro, ma ritrovò il sorriso di commiserazione del dottore. “Non vi è alcuna ragione di mentire,” la sua voce era bassa, “non fa alcuna differenza per me. Infatti, sono contento. Le persone che muoiono hanno bisogno di un motivo per svegliarsi al mattino, altrimenti non lo faranno.”
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Il cuore di Dean batteva così veloce nel petto. Si sentiva stordito, strano. Come se non fosse dentro il suo corpo, ma ci stesse galleggiando sopra, osservando tutte le cose orribili che continuavano ad essere dette. “Mi lascerà rimanere con lui allora?” Il dottor Ether sospirò. “Se potessi prescrivere una cosa del genere, lo farei, e se qualcuno ha un problema a riguardo possono vedersela con me. Voi... partner... o come vi chiamate, siete cruciali per l'inchiesta. Puoi darci dettagli su quello che Castiel faceva prima, quali erano le sue abitudini. Qualsiasi cosa pur di darci una sorta di appiglio.” Dean distolse di nuovo lo sguardo. “Ma se rimani, devi sapere cosa affronterai.” Dean annuì con aria assente. “Ci dobbiamo aspettare il peggio, Dean. Perderà la vista. L'uso della parola. Tutto. Quello che hai visto è solo la punta dell'iceberg. Il suo cervello è come qualsiasi altro organo, ed è altrettanto vulnerabile a qualsiasi cosa stia nuotando dentro di lui. Anche se alla fine sarà cosciente, la comunicazione sarà difficile. La cosa lo spaventerà; la sua malattia provoca ansie a causa dell'insufficienza respiratoria.” Dean chiuse gli occhi e poi li riaprì, stancamente. Non aveva la forza di ascoltare nulla. Voleva tornare in camera. “Quindi la sua memoria?” “L'hai visto tu stesso.” Voleva andare a vedere Castiel, perché era vivo, ed aveva bisogno di guardarlo. Non sapeva se Castiel lo sapesse o no. “Basta che mi dica cosa fare,” bisbigliò, “e lo farò.” Il dottor Ether fece un respiro profondo e lo espirò lentamente. “Parla con Tessa. Ti dirà tutto. Temo di dover tornare a lavorare.” E così, la conversazione si concluse e il dottor Ether chiuse la copertina della cartella sul fascicolo e se lo infilò sotto il braccio. Non ci fu un addio, nessuno scambio reale. Dean sapeva che era perché sarebbe stato ridondante. Non c'era altro da dire. Il dottor Ether si alzò e se ne andò, e Dean continuò a guardare la fila delle persone. Dopo qualche minuto si alzò tremante e andò a comprare un'arancia e la portò nella stanza di Castiel. Rimase bloccato nel vano della porta quando arrivò, ad osservare Tessa armeggiare con la flebo; Castiel aprì gli occhi e gli sorrise sotto la maschera per l'ossigeno. “Sei stato via per un po',” disse Tessa con un sorriso, dando voce a quello che solo il viso di Castiel poteva mostrare. Sollevò lo sguardo dal suo lavoro, studiando Dean. Dean scrollò le spalle debolmente e andò verso la sedia accanto al letto. Castiel gli prese la mano automaticamente e gli accarezzò le dita, guardando l'arancia. Non voleva vedere Tessa che metteva più morfina nella sacca. “Ne vuoi un po'?” chiese Dean e Castiel fece un gran sorriso. Dean si leccò le labbra ed iniziò a sbucciarla, usando il coltellino che aveva in tasca. Castiel gli guardò le mani per tutto il tempo, continuando a sorridere. “L'arancia è la tua preferita, Cas?” chiese Tessa e Dean dovette intervenire. Sentì il fruscio di Castiel che scuoteva la testa sul cuscino. “Mirtilli,” rispose Dean. “Ne mangia a chili.” Ne mangiava, corresse la sua mente. Quasi gli scivolò il dito mentre stava mettendo via il coltello. “Non... sono... di stagione,” disse Castiel lentamente, tirando la maschera da parte prima di non riuscire a tenere la mano sollevata più a lungo. Sorrise timidamente e Tessa gli diede un buffetto sulla spalla, ridendo. “Beh, forse posso procurarmene un po' per te.” Dean non rispose, continuò semplicemente a sbucciare l'arancia, gettando le bucce sul comodino. Sentì la porta chiudersi quando Tessa se ne andò, e notò che la sua mano non si muoveva più. “... Shh,” sentì Castiel dire e sembrava come se fosse dall'altra parte della stanza. “Dean...”
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“Mi dispiace,” singhiozzò Dean. “Mi dispiace, merda – non volevo farlo.” Fece a pezzi l'arancia, sezionandola, ma non riusciva a vedere quello che stava facendo. “Merda.” “Dean.” “Mi dispiace.” Fissò l'arancia, e c'era succo su tutta la sua mano. Rise pateticamente, e la gettò insieme alle bucce, asciugandosi le mani sui jeans, e mentre lo stava facendo, il suo corpo si piegò in avanti sulle ginocchia; non riusciva più a stare dritto. “L'ho rovinata, mi dispiace!” singhiozzò contro le sue dita appiccicose. Avevano un odore dolce. “Va tutto bene,” disse Castiel con calma. “Non... ti preoccupare.” “Non dirmi di non preoccuparmi!” pianse Dean. “È che – sono molto triste, ok? Sono molto... sono molto triste.” “Dean?” Dean tirò su col naso ed alzò la testa, singhiozzando leggermente. “Io... io voglio dirti,” disse Castiel, le sue parole lente e meditate. “Voglio dirti... perché ho voluto che tu... venissi... a trovarmi.” Castiel incrociò il suo sguardo e mise entrambe le mani sopra quelle di Dean. “Devi... smetterla,” continuò, la voce bassa, solenne e debole, “... devi smetterla di fartene... una colpa.” “Ne abbiamo già parlato, Cas,” mormorò. “Beh... ascolta.” Guardò Dean dai suoi cuscini, il golfino tutto appallottolato intorno al collo, la camicia spiegazzata. Il suo viso era giallastro alla luce della lampada da comodino, e Dean sapeva cosa stava cercando di dire. “Tu... tu... mi devi promettere,” bisbigliò Castiel, “... guardami...” Dean, che guardava ovunque tranne che Castiel, ricambiò lo sguardo. “... Non nasconderti più. Non scappare più... voglio che tu sia felice... voglio... voglio che tu sia felice senza di me.” Dean ci aveva già provato. Davvero. “Non chiedermelo,” mugolò. “Non chiedermi questo.” “Dean,” disse Castiel in tono severo, costringendolo a continuare a guardarlo negli occhi. “... Dean, sto morendo... e... io...” Scosse la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi, ma non pianse. Era come se si rifiutasse di farlo. “... Non voglio morire. Non voglio... ma tu... tu non stai morendo... non sei... non sei morto... quindi smettila di comportarti come se lo fossi.” “Come faccio ad essere felice senza di te?” gracchiò Dean. “Come posso farlo? Tu sei tutto. Sei sempre stato tutto.” “Devi... provarci,” rispose Castiel. “Devi... farlo... o niente di tutto... questo... ne sarà valso la pena.” “Non ne valgo la pena – niente di tutto questo ne è valso la pena,” lo interruppe Dean. “Guarda che cosa ti ha fatto? Guarda dove ci ha portato?” “Non farlo – mai!” disse Castiel con ferocia, sbalordendo Dean. I suoi occhi erano chiari e furiosi; non era mai stato così coerente in questi giorni. “Non scusarti mai per... noi.” Dovette fermarsi per riprendere fiato, e il suo sguardo si addolcì. “Non... non scusarti per... chi eravamo.” Dean scosse la testa e Castiel portò la mano al suo viso. “Mi rendevi... così felice, Dean,” bisbigliò. “Abbiamo fatto del nostro meglio... ci abbiamo... provato... ed è
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stato... davvero bello...� Dean annuÏ, non del tutto convinto, ma capiva cosa stava dicendo Castiel. Voleva solamente che qualcuno lo spiegasse al suo cuore.
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Capitolo XI Meno Un'altra infermiera venne da Castiel per fargli fare stretching sul letto e Dean uscì dalla stanza, camminando nel corridoio. Vide Tessa appoggiata contro la postazione infermieristica, esaminando qualche farmaco, tirandosi i capelli all'indietro. Era estremamente bella, pensò. Anche se era stanca non lo dava mai a vedere – e il suo sorriso la faceva sempre splendere. Alzò lo sguardo quando Dean si avvicinò, sorridendo un po' ed appuntando qualcosa sulla sua cartella. “Sta facendo i suoi esercizi?” “Mhmm,” disse Dean. “Non gli piace che lo guardo. Lo fa sentire strano.” Tessa rise leggermente, scuotendo la testa. “Perché ti piace Cas così tanto?” chiese Dean, e Tessa scrollò le spalle. “Penso che tu sappia già la risposta, ma immagino perché si sentisse solo. Nessuna delle infermiere non – non ci parlano con lui. Quello che ha, sta ricevendo una sorta di stigma e, beh, la gente non sa quello che sta succedendo. Senti parlare di questi ragazzi che muoiono e vivono in un certo modo e la gente ha paura.” “Sì,” gracchiò Dean. “Lo so.” Tessa scrollò di nuovo le spalle. “Voleva solo qualcuno con cui parlare, soprattutto di te.” Tessa gli lanciò un'occhiata. Dean sorrise vagamente e giocherellò con una penna sul bancone. “Che gli sta succedendo?” “Un fungo, o un tumore... non...” fece una pausa, pesando le parole. “Dr. Ether non lo sa. Potrebbe essere qualsiasi cosa a questo punto. Non pensa sia una cosa che valga la pena perseguire. Un test più approfondito potrebbe seriamente stressare il suo sistema.” “Sono passate appena due settimane,” disse Dean. “Doveva avere più–” Tessa serrò le labbra, cercando di rimanere professionale. “Queste cose succedono e basta,” lo consolò meglio che poteva, “ma indipendentemente dal tempo, avrà bisogno di te. Ora più che mai. Sta iniziando a delirare, e la sua memoria va e viene. Quando eravamo lì con lui...” Si fermò, coprendosi la bocca, sforzandosi di non piangere. “Tessa, devi dirmelo.” “Dr. Ether gli ha chiesto qual era l'ultima cosa che si ricordava, e lui ha detto che ti aveva appena lasciato alla base militare.” Tutto ad un tratto il viso di Dean cominciò a sudare, diventando umido. “È stato più di dieci anni fa.” “È inconsistente. Un minuto sembra essere in grado di ricordare, e il minuto dopo no. Non lo sappiamo. Dean, devi essere in grado di gestire la situazione.” Le unghie di Dean affondarono nei palmi. “Voglio solo che finisca tutto,” si ritrovò a dire, e poi se ne vergognò immediatamente. Tessa annuì.
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“È del tutto naturale,” sussurrò, “se vuoi, posso darti qualche consiglio... per rendergli le cose più facili?” “Mi piacerebbe molto,” gracchiò Dean. Passarono i venti minuti seguenti a discuterne, Dean ascoltava attentamente mentre Tessa gli spiegava cosa stava succedendo al corpo di Castiel, come presto non avrebbe dormito molto, e avrebbe mangiato di meno. Parlarono dell'ansia che la sua respirazione gli causava, e di come fosse importante impedirgli di sovreccitarsi. Alla fine, Dean sentì, se non altro, di poter fare qualcosa. Non era del tutto impotente. Poteva aiutare Castiel. Poteva fare la cosa giusta. “Tessa?” disse all'improvviso mentre la donna si allontanava. Tessa girò la testa sopra la spalla e Dean si leccò le labbra per un momento prima di dire, “hai modo di procurarti un proiettore?” *** Castiel non sapeva cosa stesse succedendo quando portarono il piccolo tavolo e posizionarono il proiettore su di esso. Dean non sapeva perché si era portato con sé le bobine. Qualcosa gli aveva detto che avrebbe dovuto farlo. Quando quel giorno arriverà, ti ringrazierò. Si mise a sedere, guardando come Tessa gli mise gli occhiali delicatamente sul viso, ridendo quando Castiel sbatté le palpebre, lo sguardo offuscato e confuso. Anche Sam e Jessica erano lì, seduti fianco a fianco, il braccio di Sam intorno alle spalle di Jessica. Un'amica stava badando alla bambina, dissero, quando Castiel lo chiese, rispondendo pazientemente alla domanda più e più volte, dato che Castiel la chiedeva più e più volte. “Cosa... stai facendo?” sussurrò, guardando Dean che posizionava una delle bobine. Lanciò un'occhiata a Castiel mentre Tessa prendeva il suo posto vicino alla parete, spegnendo le luci. Avevano tolto le foto dal muro e quando Dean avviò il proiettore, regolando la lente, si chinò verso il letto di Castiel. “Ti porto in spiaggia,” rispose. Il viso di Castiel assunse uno sguardo di totale sorpresa e fissò il muro. Dean sapeva che per un attimo non aveva respirato, perché non l'aveva sentito – quel rivelatore suono rigonfio. Il proiettore partì, e improvvisamente, erano sulla spiaggia. Dean non stava guardando il muro però, stava guardando Castiel. Le ombre giocavano sul suo viso, riflettendosi sugli occhiali, e i suoi occhi erano spalancati e candidi, mentre guardava la scena che si svolgeva. Jessica rimase senza fiato quando Castiel apparve sulla parete, i capelli folti e lucenti, tutto il corpo che risplendeva sotto il sole con indosso la giacca a vento. La videocamera fece una panoramica lungo la spiaggia deserta, guardando l'acqua, e poi rivolgendosi in alto verso i gabbiani. La scena cambiò. Dean era in piedi accanto a una pozza di marea, indicando un riccio di mare e Castiel, con in mano la fotocamera, guardò il riccio e poi il viso di Dean. Dean sorrise, e disse qualcosa che non riusciva a ricordare. “Sei tu,” sussurrò Castiel, e Dean gli prese la mano sulla coperta. Non era calda come al solito, e la presa di Castiel era debole, quasi impercettibile. “Sono io,” constatò, e Sam si voltò verso di loro, il sorriso lacrimoso, anche al buio. Vagarono sulla spiaggia, si sedettero sulla coperta, e Castiel stava leggendo un libro, cercando di spingere via Dean quando lo infastidiva. Dean filmò Castiel che scattava foto con la sua Polaroid, al sole e alle scogliere. Dean teneva la videocamera mentre lo baciava e Jessica si coprì la bocca con le mani. Dean fissò Castiel, guardandogli le lacrime scendere giù per il viso, il petto che si gonfiava e si abbassava, gli occhi fissi sull'acqua. Su Dean. Sulla spiaggia. Dean sapeva, senza ombra di dubbio, che non si ricordava quasi nulla di quel giorno. Il suo volto era pieno di uno strana, bellissima espressione, gli occhi guizzanti, divorando tutto. La bobina finì e Dean sistemò quella successiva, e lo scenario rimase più o meno lo stesso per un po'. Solo loro due che scherzavano, ma poi la scena diventò molto più familiare. Castiel si alzò e si allontanò dalla videocamera prima di voltarsi. Sorrise, ed era così chiaro quello che stava dicendo.
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Ti amo. Castiel aveva uno sguardo meravigliato, tutto il corpo gli formicolava. Riconosceva quel momento. Era stato lì. Si ricordava la sensazione, quello che aveva provato nel guardare Dean e dirlo. Come un segreto che avrebbe sempre custodito con sé. Un cuore dentro il suo cuore. Stava guardando Dean, non la videocamera. Ti amo. Aveva salutato e riso e sorriso, ma non era così importante come quello che aveva detto. Ti amo. L'aveva urlato. Ti amo. “Sono io,” sussurrò. Era lui. Quello era lui. Ti amo. Lui. Sentì Dean stringergli la mano. “Sei tu.” “Siamo noi,” bisbigliò Castiel, e Dean distolse lo sguardo per un attimo per ricomporsi. “Siamo noi.” Erano loro. In silenzio le onde scivolavano avanti e indietro, e quando Dean le guardò, quasi poteva sentire il suono che facevano ad ogni respiro di Castiel. Castiel gettò una conchiglia in mare e la marea la portò via. Tre giorni dopo non era in grado di formulare frasi complete. Se fosse la sua mente o la sua capacità di respirare, Dean non l'avrebbe mai saputo. Si lamentava anche della vista, e Tessa gli disse che avrebbero fatto quel che potevano. Sembrò capire e non ne fece più menzione. Dean gli parlava tutto il giorno; gli parlava di una casa su un'isola. Una staccionata bianca. Due anziani che bisticciavano sul portico. Riempì i silenzi infiniti con la propria voce, raccontandogli storie, dicendogli qualsiasi cosa che gli venisse in mente. Castiel lo guardò a lungo, respirando lentamente, con le braccia scheletriche posate goffamente lungo i fianchi. Fissò Dean e sorrise, i suoi occhi blu e scintillanti. Dean si domandava quanto riuscisse a vedere veramente in quel momento. Non aveva importanza, ricordò a se stesso. Qualsiasi cosa era sempre meglio di niente. Anche se non sapeva di che cosa Dean stesse parlando, Castiel sembrava felice, e questo bastava. Ad un certo punto Dean aveva esaurito le parole, e Castiel si era mosso per la prima volta da ore per allungare la mano fredda e sfiorare la manica di Dean. Dean coprì le dita ghiacciate con le proprie. “Sai quella medaglietta che avevo?” disse Dean. “Doveva... doveva impedirmi di cambiare. Doveva farmi restare quello che ero.” Le dita di Castiel si contrassero, gli occhi puntati sulla parete di fondo. “Credo di averlo capito troppo tardi,” sussurrò Dean, sfregandosi la mano sotto gli occhi. “Mi dispiace tanto non essere stato l'uomo di cui avevi bisogno, Cas.” Castiel disse qualcosa che Dean non riuscì ad afferrare, l'ultima sillaba strascicata “... la” assomigliava al suono della marea che si infrangeva sulle rocce. *** Castiel morì un giovedì. C'era il sole. Tardo pomeriggio. Una bellissima giornata californiana. Il tempo che trascorreva verso l'inevitabile era tranquillo. I suoi occhi vitrei erano infossati nella testa, mezzi aperti, il suo corpo inerte sul letto. A volte emetteva un suono, o sollevava la mano per lisciare la vestaglia, sul petto. Ad un certo punto durante la notte, Tessa era venuta a controllargli la flebo. Dean aveva sollevato gli occhi abbastanza a lungo per guardarla toccare la mano di Castiel, e sapeva che quando la donna si voltò si stava asciugando il viso. “Posso stare a letto con lui?” disse Dean, spezzando il suono sussultante del respiro di Castiel. Tessa annuì, sempre facendo finta di leggere qualcosa. Dean spinse la sedia indietro e tirò giù il parapetto. Si sistemò progressivamente sul letto, tirando Castiel sulla sua spalla. “Attento alla testa,” iniziò Tessa a dire, ma dovette interrompersi. Dean tirò la coperta sul grembo di Castiel, appoggiando la guancia sui capelli secchi e fragili di Castiel. Castiel respirava, come le onde che si infrangevano.
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Tessa chinò il capo, toccando l'estremità del letto, con le mani bianche che si fondevano con le lenzuola al buio. “Non manca molto,” disse con voce rotta, e Dean non disse nulla, ma piegò la mano su quella di Castiel, strofinando la pelle cartacea con il pollice. Tessa rimase ai piedi del letto a lungo, e si asciugò l'occhio con la punta delle dita. “Mi dispiace tanto.” Le vacillò la voce, quasi come se fosse sul punto di frantumarsi. L'atteggiamento professionale se n'era andato da tempo. Dean scosse la testa, ascoltando i suoi passi sparire in fondo al corridoio. Nel vuoto che ne seguì, Dean si ritrovò la bocca aperta, ma le parole non vennero fuori. Accarezzò la spalla sottile di Castiel, fino al gomito spigoloso. Gli tremavano le dita dove le appoggiò sulla sua pelle. “Va tutto bene,” disse al silenzio. Un'altra onda si infranse quando Castiel respirò. “Va tutto bene. Puoi lasciarti andare, lo so – lo so che stai tenendo duro, perché sei preoccupato. Sei troppo testardo, Cas, e lo so che stai tenendo duro per me, ma voglio fare la cosa giusta stavolta. Non – non ti farò aspettare di nuovo.” Castiel emise un suono soffocato e Dean lo spostò, e sembrava che qualcosa aleggiasse dentro Castiel, un segno di riconoscimento che era andato perduto da ore. Guardò la TV fino al mattino, con Castiel ancora appoggiato contro di lui, finché, alla fine, non scalciò inquieto con la gamba, e la sua respirazione aumentò ad una velocità impossibile a causa del liquido che gli si era accumulato nel petto. Dean lo sapeva. “Va tutto bene,” lo rassicurò Dean. “Lo sai. Lo sai che ti amo. Lo sai che è così, quindi va tutto bene. Puoi lasciarti andare adesso.” Scosse di nuovo la testa, cercando di cancellare le lacrime, ma non si volevano fermare. Tessa aveva detto che l'udito era l'ultima cosa ad andarsene. Basta che continui a parlare con lui. Potrebbe essere ansioso, o spaventato. “Non avere paura,” disse Dean di colpo, “stai andando così bene, Cas. Stai andando molto bene.” Si tormentò il cervello alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa da dire, e improvvisamente si ricordò il viso di Castiel che lo guardava. “Perché è la tua canzone preferita?” La mano di Castiel gli accarezzò il mento. Dean non perse mai di vista i suoi occhi, anche quando Castiel si guardò la mano, timido. Diede un colpetto alla bocca di Dean con l'indice, muovendosi in modo che il palmo della mano gli racchiudesse la mascella. Dean sorrise contro la pelle di Castiel, incapace di contenere il suo sorriso. Il ragazzo dagli occhi blu di fronte a lui era così bello, e lui non lo sapeva. Praticamente splendeva; la sua anima brillava di qualcosa di blu e bianco e Dean voleva avvolgersi in esso. Qualcosa come la grazia di Dio, qualcosa di simile alle macchioline blu e verdi delle conchiglie marine o delle bottiglie di vetro. “È che – mi piacciono le canzoni sull'amore.” Castiel sussurrò una risata, e Dean si legò quella risata intorno al dito come un fiocco di pizzo. Le canzoni sull'amore non gli erano mai interessate prima, ma adesso, non avrebbe detto nulla a riguardo. Voleva un altro sorriso, voleva un altro sguardo sognante negli occhi di Castiel, così cantò insieme alla canzone. Voleva che Castiel si innamorasse di più di lui, perché niente avrebbe più fatto male se fosse successo. Se ne era convinto, giovane e stupido. Questo ragazzo avrebbe capovolto il suo mondo e le stelle sarebbero cadute come pioggia. Dean l'aveva già sentita, vero? Sulla radio. Da qualche parte. Da qualche parte prima, ma in quell'istante Castiel lo stava guardando e Dean non l'aveva amato mai come in quel momento in cui era seduto dall'altra parte del tavolo, guardandolo allontanarsi, ascoltando la canzone. Quella che canticchiava mentre sfiorava il braccio di Dean quando si addormentava, quella che suonava finché non si rovinò il disco. “Ti ricordi?” bisbigliò. “Te lo ricordi? In quel piccolo appartamento? Sai, ancora – ancora non riesco a ricordare dove ho sentito quella canzone. Però ho sempre saputo le parole.” Castiel respirò di nuovo aspramente e Dean gli aggiustò un po' il golfino, lisciandolo con il palmo della mano. Si guardò la mano e non ce la fece a farlo di nuovo per un attimo. “Wise men say,” cominciò a cantare, “only fools rush in...1” Fece scivolare la mano sul grembo di Castiel, chiudendola intorno alle sue dita fredde. “But I can't help–” Castiel trasalì, ansimando, con la mano che afferrava l'aria. I suoi occhi erano spalancati e 1 Chi è saggio dice / solo gli sciocchi fanno le cose di corsa
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ciechi, e le sue gambe si contrassero. Dean fissò il muro, tenendolo stretto, “I-I can't help falling in love with you.2” Ci fu un suono terribile. Castiel succhiò dentro l'aria che turbinò nel suo petto, il rumore denso e umido, e quando espirò, sibilò, come le onde che si infrangevano contro le rocce, come la marea che strisciava indietro verso il mare. Ogni volta che hai paura... Castiel smise di respirare del tutto. Poteva sentire il cuore di Castiel battere una volta, e poi la grande pausa. Un altro battito. Alzò la videocamera al suo occhio, guardando attraverso l'obiettivo. Le foto incorniciate sul muro si stavano sfocando insieme, fuoriuscendo dai bordi e mescolandosi sulla carta da parati spenta, un pasticcio di acquerello. Castiel non si muoveva. Castiel si voltò verso la videocamera, sorridente. Doveva essere coraggioso. Doveva essere coraggioso – doveva essere coraggioso come non lo era mai stato prima. Guardò la sua bocca aprirsi. Aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui. Era come guardare i fiori sbocciare a rallentatore. Che si sarebbe sempre preso cura di lui. Fece un respiro. Il suo ragazzo. Occhi sulla videocamera. Il suo ragazzo. Ti amo. Dean stava cercando di ricordarsi cosa dire. “Va tutto bene,” disse con voce rotta. “Va tutto bene – like a river flows, surely to the sea,3” cantò, e il monitor stava urlando, e Dean dovette cantare più forte così che Castiel potesse sentirlo, chinando la testa più vicino possibile, premendola contro la sua tempia, sperando che le parole viaggiassero direttamente dentro di lui. “Darling so it goes, some things are meant to be...4” Camminò più lontano sulla spiaggia, ridendo adesso, scintillando come un diamante, la luce che rimbalzava e ritornava nei suoi occhi, il bagliore del sole che brillava sui suoi occhiali, facendolo splendere, facendo splendere la sua anima – “So take my hand,” cantò, e la sua voce stava cadendo a pezzi, riusciva a malapena a sentire se stesso sopra il lamento del macchinario, “take my whole life too...5” Le dita rimasero nelle cavità delle sue guance, il pollice gli accarezzava le labbra. Racchiuse la bocca tra le mani e gridò... Il rumore raggiunse il suo picco, e Dean rimase in silenzio, incapace di continuare, le lacrime che cadevano nei capelli di Castiel. La sua guancia era premuta sulla spalla di Dean, con gli occhi che fissavano con sguardo assente oltre al petto di Dean, brillando dal suo viso incolore, due mezze lune che emergevano da sotto le ciglia scure. Ti amo. Crash. Ti amo. Crash. Ti a– Dean rimase immobile. Si domandò se la linea piatta fosse solo qualcosa che si stava immaginando. Si domandò se fosse qualcosa che la sua mente aveva rievocato, perché era quello che si vedeva sempre nei film. Non riusciva a ricordare l'ultima parte della canzone. Non sentiva nient'altro a parte il monitor, che ancora suonava, il rumore gli passava attraverso e si diffondeva dappertutto. Non si mosse. Non sussultò, non respirò. Rimase semplicemente lì ad aspettare, ad aspettare un tremito che l'avrebbe svegliato, ma non arrivò mai. Era vagamente consapevole dell'ombra di Tessa quando entrò nella stanza, seguita dal dottore. Tessa andò al monitor e lesse qualcosa, guardando l'orologio. Lo spense e la stanza fu catapultata nel silenzio. Dean fissò lo stesso punto sul muro, con le braccia ancora intorno al corpo di Castiel, con la guancia ancora appoggiata sui suoi capelli. 2 3 4 5
Ma non posso fare a meno di innamorarmi di te Come un fiume che scorre sicuro verso il mare Tesoro, va così, alcune cose sono destinate a succedere Allora prendi la mia mano / prenditi anche tutta la mia vita
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Tessa si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla. “Dean?” Mosse la testa verso il suono della sua voce, ma non staccò gli occhi dal muro. Tessa gli strinse il braccio. “Dean, ti devi alzare adesso.” Annuì, lasciando lentamente Castiel e facendolo affondare nei cuscini, l'ultima sensazione di calore del suo corpo era impressa nella braccia di Dean. Dean si alzò con l'aiuto di Tessa, e una volta in piedi si girò. Guardò il viso di Castiel, e sentì il proprio corpo iniziare a cadere a pezzi. “Oh Dio,” gracchiò. Tessa lo prese tra le braccia, cercando di portarlo fuori dalla stanza, ma Dean non riusciva a muoversi. “Andiamo Dean, shhh...” tentò Tessa ma Dean non voleva ascoltarla. Li stava guardando mentre sistemavano gentilmente Castiel in una posizione più stabile. Sfilarono l'ago cannula dal suo braccio e tolsero il nastro adesivo. Un'infermiera spiegò un lenzuolo bianco ed iniziò a coprirlo. Non riusciva a muoversi. Non – non riusciva – “No, lo amo,” disse debolmente. “Lo amo.” Spinse via Tessa, le gambe tremanti. “Voi non – voi non capite,” tentò di dire di nuovo, ma nessuno lo stava ascoltando. “Lui è – è il mio amore,” mugolò, “vi prego, è il mio amore.” “Dio, Gesù,” pianse Dean, e le ginocchia gli cederono. “Lo amo–” Tessa crollò sul pavimento con lui mentre Dean singhiozzava sulla sua spalla, stringendole le braccia così forte che poteva sentire i pollici schioccare. Urlò su di lei e la donna gli avvolse le braccia intorno alla schiena, muovendo una mano sulla nuca. Il suo berretto da infermiera si staccò e cadde sul pavimento. “Dean, shhh, devi controllarti!” continuò, ma Dean singhiozzò di nuovo. Dopodiché Tessa smise di parlare. “Shh,” mormorò, cullandolo mentre il dottore e le infermiere se ne andavano. Dean arrancava a respirare, e calò il silenzio. La bobina finì ed incespicò. La conchiglia di Castiel affondò nell'oceano. *** Sam stava camminando lungo il corridoio e si fermò quando vide la nuca di Dean su una sedia nella sala d'aspetto. Stava sfogliando una rivista, girando le pagine svogliatamente senza leggerle realmente. Sam si avvicinò alle sue spalle, sedendosi su una sedia accanto a lui. “Non mi sono preoccupato di richiamare. Sono partito non appena ho ricevuto il messaggio – come sta?” chiese, infilando le lunghe gambe sotto la sedia. Dean non disse nulla, continuando a girare le pagine, fissando le persone felici e le pubblicità sgargianti di dentifrici e gocce per gli occhi. “Sta bene, immagino,” disse dopo un lungo momento, senza alzare lo sguardo. “Posso andare a vederlo?” continuò Sam e Dean strinse le spalle. “Probabilmente no,” sussurrò. “È morto più di un'ora fa.” Sam stava per alzarsi, ma si ritrovò con le mani incollate ai braccioli della sedia. “Che cosa?” disse in tono soffocato. “È andato in arresto cardiaco, circa un'ora fa, forse di più. Non mi ricordo.” Sam guardò il viso di Dean, cercando di definire la sua reazione. Sembrava calmo. Girò una pagina, guardando il testo. “Dean?” “Che c'è?”
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“... io – come stai?” “Sto bene.” “Sul serio, voglio dire–” Dean finalmente alzò gli occhi e poi tornò a guardare la rivista. “Dobbiamo prendere il suo completo.” “Ce ne possiamo preoccupare più tardi,” bisbigliò Sam, toccandogli il braccio. Dean si ritrasse di scatto, la rivista cadde a terra. Fissò le pagine spiegazzate, i battiti del suo cuore accelerarono. “Dobbiamo farlo – quello che indossava al matrimonio di sua sorella. Dobbiamo prendere il suo completo.” Si alzò e si diresse verso gli ascensori, Sam gli corse dietro, afferrandogli il braccio. “Dean, devi pensare a te stesso per due secondi!” implorò. “Non lasci l'ospedale da settimane!” “Non ha importanza!” gridò Dean, e le infermiere dalla postazione alzarono di scatto la testa. “Niente ha più importanza!” “Dean–” Dean si divincolò dalla presa di Sam, asciugandosi il viso, entrando in ascensore. Premette il pulsante più volte, e quando finalmente si aprì al piano principale, uscì fuori scappando. Salì sulla sua moto per dirigersi verso l'indirizzo che Balthazar gli aveva dato fuori dal ristorante. Dean si asciugò di nuovo gli occhi, avviando la moto e sfrecciando sulla strada. Sapeva di essere ben oltre i limiti di velocità, ma sperava che qualcuno l'avrebbe fermato. Forse poteva fare a botte; forse gli avrebbero sparato. Forse un autobus lo avrebbe investito se passava col rosso. Ma era tranquillo. Il mondo era tranquillo. Continuava ad andare avanti, il tempo continuava a trascorrere, e non era giusto. Non era giusto che il mondo continuasse a girare senza Castiel. Non era giusto. Aveva passato solo un mese con lui. Appena un mese. Piangeva così forte che non riusciva a vedere, così accostò in un piccolo parco. Si diresse nel parcheggio più vicino e si tolse con violenza il casco, appoggiandosi sui manubri della moto. Pianse nel peggiore dei modi; senza fare rumore, la bocca aperta e le corde vocali tese, ma non c'era abbastanza aria per trasportare qualunque suono. “Stai bene?” Alzò lo sguardo, ancora singhiozzando, cercando di asciugarsi il viso. Una donna di colore lo guardava pacatamente. Scosse la testa, e la donna si fece avanti per toccargli il braccio. “Ho chiesto, va tutto bene?” Scosse la testa. “Mi sono perso!” gridò disperatamente, tendendo in mano il biglietto. Glielo prese, strascicandosi più vicino. Indossava una piccola uniforme e la sua etichetta col nome diceva ‘Olivia’, e mentre scrutava il pezzo di carta, annuì, dandogli di nuovo un buffetto sul braccio. “Oh, tesoro, non è molto lontano da qui!” Sorrise, la brezza leggera le smuoveva i capelli ricci. “Basta seguire questa strada proprio qui, e girare a destra. Questa via dovrebbe essere proprio lì. Basta che prosegui!” Dean annuì, e vide il suo braccialetto – un serpente giallo che si toccava la coda. Si voltò verso il suo viso e la donna prese un fazzoletto di stoffa dalla borsa, dandoglielo. “Non ti sei perso,” mormorò, e Dean lo prese, avvolgendo le dita su di esso. Notò le piccole aquilegie ricamate su di esso mentre lo portava al viso, asciugandosi con forza la pelle. “Stai attento, tesoro, va bene?” disse, e Dean la ringraziò, ingoiando il groppo in gola mentre le porgeva fazzoletto. La donna insistette che lo tenesse e poi continuò per la sua strada, camminando lentamente nel crepuscolo crescente lungo il marciapiede verso un piccolo quartiere. Dean seguì le sue indicazioni e presto si fermò di fronte a un piccolo complesso di appartamenti. Salì le scale fino al secondo piano ed arrivò alla porta che corrispondeva al numero sul biglietto, infilando la chiave nella serratura ed aprendo la porta con la spalla.
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Era tranquillo e buio. Era più grande della casa che avevano condiviso a Sacramento, e il mobilio era migliore. Era confortevole e leggermente moderno, senza dubbio c'era più l'impronta di Balthazar che di Castiel. Vagò dentro, accendendo la luce. La cucina era ordinata; c'erano dei bicchieri puliti nel lavandino. Una ciotola. C'era un tavolo da cucina in legno scuro e una piccola credenza contro la parete di fondo del salotto. Continuò a camminare e vide delle foto di Castiel con Balthazar. Fotografie della famiglia di Balthazar. Castiel con un piccolo cane terrier. Castiel con persone che Dean non conosceva. Dean si asciugò il naso con la manica e passò oltre, inciampando nel retro, verso la camera da letto. L'orologio ticchettava sul muro e c'era un libro su uno dei comodini e una piccola pianta in un vaso che aveva bisogno di essere innaffiata. Dean si spostò verso l'armadio, senza soffermarsi sul letto. Era di fronte all'armadio ed aprì le ante scorrevoli a specchio, rivelando quello che dovevano essere le cose di Castiel; l'altro lato era vuoto. Allungò una mano e toccò una camicia. Un maglione. Sentì il tessuto sotto le dita. Tirò le stampelle da una parte, guardando, e mentre lo faceva, vide qualcosa che gli era sfuggito quando era entrato, riflesso nello specchio. In un angolo del salotto, appena visibile attraverso la porta della camera, c'era il giradischi di Castiel. Dean si lasciò cadere le mani lungo i fianchi e si voltò, tornando in salotto. Guardò il vecchio giradischi, ancora in perfette condizioni, e si chinò per rimuovere la polvere in un angolo col dito, sollevando il coperchio per rivelare il disco all'interno. Vide l'album e scosse la testa, e senza pensarci ulteriormente, lo accese; l'ago riprese da dove era stato interrotto. Love me tender, love me sweet, never let me go…6 Elvis si propagò nell'appartamento vuoto e Dean si alzò, gli ultimi raggi del sole gettavano ombre blu sulle pareti bianche. … you have made my life complete, and I love you so…7 La bocca di Dean si contorse mentre ascoltava. “Non mi dispiace Elvis,” mormorò all'appartamento vuoto. Con le parole che ancora si disperdevano dietro di lui, tornò all'armadio, spingendo da una parte i vestiti. Il completo di Castiel era proprio in fondo, e Dean dovette spingere tutti i suoi vestiti per arrivare ad esso, e quando lo raggiunse per tirarlo fuori, il suo piede urtò contro qualcosa che sbatacchiò. Colpendolo di nuovo, Dean corrugò la fronte. Tirò fuori il completo e lo posò con cura sul letto, e poi si girò per chinarsi. Si mise da una parte un paio di scarpe di Castiel e allungò la mano verso l'angolo posteriore, toccando qualcosa di liscio e leggermente appuntito. Un angolo di una scatola di scarpe. Dean la afferrò e la tirò fuori, trasportando con essa un turbinio di polvere. Love me tender, love me long, take me to your heart…8 Il pavimento scricchiolò quando si mise a sedere sulle ginocchia, tirando più vicino a sé la scatola. Era pesante, e qualunque cosa ci fosse all'interno sbatteva a strappi. For it’s there that I belong, and we’ll never part…9 All'improvviso si ricordò l'ultima parola di Castiel e le sue dita danzarono sul bordo del coperchio. Con il palmo della mano lo lisciò, togliendo la polvere per rivelare la parola ‘Dean’ scritta in caratteri ordinati. Love me tender, love me long, tell me you are mine…10 Dean si scosse la polvere dalla mano e con cura sollevò il coperchio, mettendolo da parte. Il cuore gli batteva in gola mentre fissava i fogli di carta piegati all'interno della scatola, mischiati con quelle che poteva vedere fossero fotografie. Le polaroid. 6 Amami teneramente, amami dolcemente, non lasciarmi mai andare. Love Me Tender è il titolo di un brano interpretato da Elvis Presley nel 1956. Si tratta di una delle ballate più celebri e riconoscibili dell'artista. 7 Hai reso la mia vita completa, e ti amo così tanto 8 Amami teneramente, amami a lungo, portami nel tuo cuore 9 Perché il mio posto è lì, e non ci separeremo mai 10 Amami teneramente, amami a lungo, dimmi che sei mia
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Dean sollevò con attenzione il foglio di carta in cima e lo tenne tra le mani. In realtà erano due fogli di carta piegati insieme, e da dietro si vedeva la penna blu sfocata nella scrittura corsiva di Castiel. Li aprì con delicatezza, e quello che aveva sospettato venne confermato. Marzo 1980 Caro Dean, Dean voleva ripiegarli, ma ormai erano sbocciati tra le sue mani. Gli tremavano le mani mentre li teneva, incapace di smettere di leggere. Pensavo alle conchiglie oggi. Ho visto una donna con una maglietta che le aveva stampate sopra, e mi sono ricordato della spiaggia, e di te, e di questa scatola. Sono tornato indietro e ho letto tutte le lettere, e per la prima volta, dopo tanto tempo, non ero triste – non nello stesso modo. Sono così stanco ultimamente. Sono così stanco di essere arrabbiato, e triste, perché non era quello il punto. Sono triste perché non avrò più la possibilità di dirti di nuovo certe cose. Sono triste per questo, ma non sono triste come lo ero quando te ne sei andato. Penso di essermi aggrappato a quello troppo a lungo. L'ho confuso coll'amarti, e non sono la stessa cosa. Essere triste per le cose che mi mancano non è amarti. Non lo è mai stato. Amarti era qualcosa di molto più grande. Non credo di poter smettere di amarti. Penso che sia una parte di me adesso, e non se ne andrà mai. Mi rende quello che sono, e una volta pensavo che mi mutilasse, ma non lo penso più. Amarti ti ha riportato da me. Mi sei mancato. Il vecchio tu. Non sei mai veramente tornato a casa, e lo capisco ora, e so che non è stata colpa tua o mia o di nessuno. Erano solo le circostanze che non abbiamo potuto evitare, ma mi sono reso conto che solo perché la nostra storia è finita come è finita, non definisce ciò che eravamo prima. Riavere quei ricordi è una cosa così preziosa. Avere quella parte di te di nuovo con me – è inimmaginabile. Pensavo alle conchiglie, e pensavo a quel giorno sulla spiaggia e mi ricordo che ero seduto sulla coperta a guardare l'acqua, e mi hai chiesto a cosa stavo pensando. Stavo pensando a come avessi paura di non poterti mai amare tanto quanto allora. Che quel momento sarebbe stato portato via con la marea, che non sarei mai stato più in grado di provare com'era sapere di amarti così tanto come allora. Le parole di Castiel sembrarono scendere sulla pagina prima di ricominciare. Mi dispiace che le cose non abbiano funzionato come volevamo. Mi dispiace – mi dispiace che non siamo stati in grado di affrontare quello che ci è accaduto. Il fatto che non abbiamo potuto realizzare i piccoli piani fa più male di quelli grandi, a volte. Non avrebbe avuto importanza una casa o l'isola. A volte mi fermo al lavoro e mi rendo conto che non siederò mai più con te in una Van's Noodle House, e non so esattamente – sono così terribile a scrivere lettere, Dean. Sono contento che tu non le abbia mai lette quando eri in Vietnam, erano tutte così terribili e noiose e prolisse. Penso – Penso che, il punto di tutto quanto, sia che quel momento sulla spiaggia? Non avevo mai veramente capito chi fossi fino a quell'istante. Ecco chi sono. Sono quella persona, e lì, proprio lì accanto a me, quello eri tu. Ecco chi sei. È così meraviglioso sapere che non ti ho perso. Che eravamo sempre proprio dove dovevamo essere. Per tutto questo tempo ho pensato di averti perso, ma eccoti lì... I ricordi servono a questo. Posso ricordare noi, e posso continuare a vivere. Posso andare avanti e sapere sempre dove trovarti quando mi manchi. Mi manchi sempre. Voglio che tu lo capisca un giorno. Che capisca tutto questo su di noi. Non devi – non devi sentirti in colpa, e lo so che ti senti in colpa, e capisco perché è successo quel che è successo. È successo e basta. Noi – è successo e basta, Dean, e va bene. Sto bene. Starò bene. Una volta mi hai detto che non sembrava giusto dire addio. Non sul serio.
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Pensavo di doverlo fare – pensavo di dover lasciare andare tutto ciò che amavo di te, ma non è così, e avevi ragione, e non saresti soddisfatto di te stesso nel saperlo? Quella verità non è mai stata più chiara di così per me, amore mio. E tu sarai, sempre, il mio amore. Tuo, Cas Dean lesse oltre, giù in fondo, dove la calligrafia di Castiel cambiava un po'. Lo lesse e posò la lettera sulla gamba. Ci vediamo allora.
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Epilogo Aprile, 1981 Era l'ultimo posto in cui Dean voleva essere, ma sapeva che Castiel avrebbe voluto che lui fosse lì, e lo stava facendo solo per Castiel. Non aveva mai incontrato nessuno della famiglia di Castiel, e lui aveva solo parlato col fratello, Gabriel, al telefono. Aveva visto delle foto, ma erano soprattutto di Rachel, la sorella preferita di Castiel. Suo padre era morto, e non aveva mai sentito parlare molto di sua madre. Si sentiva fuori luogo e non erano ancora partiti per il cimitero. Sam era seduto sul divano con Abigail, baciandole il viso e sorridendo quando Dean scese al piano di sotto, e Jessica si avvicinò, posando la mano sul suo petto. Sorrise dolcemente e gli sistemò la cravatta, mettendosi in punta di piedi per baciarlo sulla guancia. “Sei bellissimo.” Gli toccò la spalla e si ritrasse, lisciando le mani sul suo vestito. Le sorrise e Sam si alzò dal divano, Abigail gli tirava i capelli mentre la teneva. Jessica la prese dalle sue braccia, e Abigail si calmò, ammutolendosi mentre Jessica dondolava con gentilezza assieme a lei. “Sei sicuro che vuoi che veniamo?” domandò Sam, posando la mano sulla spalla di Dean, stringendola. Dean sospirò e passò il pollice sul colletto della camicia di Sam, annuendo. “Sì. Cas l'avrebbe voluto.” Jessica passò di nuovo Abigail a Sam che sorrise quando la prese, toccandole il viso col naso. La bambina strillò e gli diede dei buffetti sulle guance, e Dean sorrise. Jessica andò al piano di sopra, dicendo che aveva bisogno di assicurarsi che i suoi capelli fossero a posto prima di partire. Avevano tempo. Il funerale non iniziava per un'altra ora, e il cimitero era vicino. Abigail si calmò e tirò il colletto della giacca di Sam. “È pazzesco, eh?” Dean annuì, strofinandosi una mano sul viso. “Sembrava andasse meglio. Ho pensato che forse – forse –” le ultime parole piombarono nel nulla e Dean si premette le dita sugli occhi. Sam lo afferrò per le spalle e lo tirò verso di lui, e Jessica apparve dalle scale per prendere Abigail di nuovo. Dean gli afferrò il bavero della giacca quando Sam avvolse le braccia intorno a lui, circondandolo completamente e tenendolo contro il suo petto. Sam cercò di calmarlo e lo accarezzò lungo la schiena. Dean sapeva cosa Sam volesse dire. È in un posto migliore, non soffre più. Non lo disse. Dean non credeva in questo genere di cose. Le speranze in un Dio e in un Paradiso erano i lussi degli uomini che non avevano visto dei ragazzi morire. Che non li avevano tenuti tra le braccia a guardarli soffrire per mano di un destino avventato e accidentale. Aveva seppellito quelle cose con Adam, e ora, più di se stesso sarebbe stato sepolto con Castiel. Sam lo abbracciò stretto e cercò di calmarlo finché non seppe che Dean potesse mantenere il controllo. Dean si ritrasse e si palpò il viso, asciugandosi le lacrime. “Dio.” Gli si spezzò la voce, e si asciugò il naso con il dorso della mano. “Non lo so–” “Dean.” Sam lo fermò prima che potesse iniziare, le mani appoggiate sulle spalle, tenendolo a distanza. “Ci andrai. Devi andare. Lo sai che Cas ti vorrebbe lì.” “Ma la sua famiglia sarà lì.” Voleva una scappatoia. Non poteva farlo, non era abbastanza forte per farlo. Dopo l'ospedale, voleva solo arrendersi. “Non mi importa, Dean. Sei più forte di così, lo so che lo sei.” Dean sollevò le mani ed avvolse le dita intorno ai polsi di Sam, tirando via le sue mani e annuendo. Doveva farlo.
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Non gli importava se la famiglia di Castiel era lì, e non gli importava se non lo volevano lì. Ci sarebbe andato, e avrebbe salutato Castiel. Avrebbe fatto la cosa giusta. “Sì, sì.” Sorrise debolmente e si strofinò gli occhi. “Andiamo.” Salirono nell'auto di Sam, e Dean si mise a sedere sul sedile posteriore con Abigail. Le solleticò le dita dei piedi e lei strillò, scalciando i piedini. Rise sommessamente e le accarezzò la testa, i suoi capelli sottili gli solleticarono il palmo della mano, e Abigail emise dei versetti, sbadigliando e chiudendo gli occhi, appoggiandosi allo schienale del seggiolino. Dean sorrise e si spostò, girandosi a guardare fuori dal finestrino. Il quartiere di Sam e Jessica era carino, pieno di grandi, belle case. Castiel le avrebbe adorate; gli erano sempre piaciute le case dall'aspetto vintage. Diede un colpetto alla sua tasca e la carta all'interno fece un tenue suono di stropicciamento al suo tocco. Spinse la mano in tasca per tirarla fuori, e una volta fatto, la spiegò, lisciandola contro la coscia. Era una vecchia foto che era riuscito a trovare tra la sua roba. Non ricordò di averla presa quando uscì di casa, ma per qualche ragione, sentì il bisogno di tenerla, quando la trovò. La data sul retro diceva che era del 1969, l'anno in cui Dean era stato arruolato e spedito in Vietnam. Era una sua foto scattata prima che il compleanno di Dean venisse chiamato in televisione. Era una domenica pigra, e Castiel aveva ottenuto più rullini per la sua macchina fotografica. Dean glieli aveva comprati il giorno prima, per fargli una sorpresa. Era sempre così eccitato quando aveva più rullino per la sua macchina fotografica, perché amava scattare foto di ogni cosa. Lo rendeva così felice, lo faceva sorridere così tanto, e Dean amava essere in grado di far sorridere Castiel. Faceva caldo, tutte le finestre dell'appartamento erano aperte, e nessuno dei due stava indossando una maglietta. I capelli di Castiel si erano appiccicati sulla fronte, e Dean glieli scostava ogni volta che poteva. Castiel rise e si ritrasse per un attimo prima di tornare a dare un leggero bacio alle labbra di Dean. Rimasero nell'appartamento quel giorno, e ad un certo punto, Castiel aveva scattato una foto di Dean che rideva ed era felice. Non aveva la minima idea che Castiel gliel'avesse scattata finché non sentì il ronzio della fotocamera che sputò fuori la foto, ma era una foto che in realtà gli piaceva. Castiel scrisse subito l'anno sul retro, e dopo che Dean fu arruolato, aveva detto a Castiel di tenerla con sé, sempre. Di guardarla ogni volta che poteva. Accarezzò con i pollici il bordo della foto, guardando una versione più giovane di se stesso. La versione di se stesso che era innamorata e molto più felice, perché era in grado di svegliarsi ogni mattina con Castiel accanto a sé. Era in grado di baciarlo ogni volta che voleva nel comfort della propria casa, di cenare insieme e guardare la televisione insieme. Ridere insieme. Deglutì a fatica e ripiegò la foto, spingendola in tasca. ... e lì, proprio lì accanto a me, quello eri tu... Sam e Jessica non dissero molto mentre si dirigevano al cimitero. Poteva vedere Jessica che si lisciava nervosamente le mani sul vestito, guardandolo nello specchietto retrovisore ogni volta che poteva. Dean incrociò il suo sguardo una volta, sorridendole dolcemente, e lei ricambiò il sorriso, distogliendo l'attenzione per armeggiare con la radio, cambiando stazione finché non trovava una canzone che le piacesse. Dean stringeva i pugni e poi li spiegava, lisciandosi le mani lungo le cosce; il tessuto dei suoi pantaloni era ruvido sotto il suo tocco. Si voltò a guardare fuori dal finestrino, e poteva sentire Abigail agitarsi sul seggiolino accanto a lui. Si girò e la guardò, e lei gli sorrise, allungando le braccia. Le toccò la mano e Abigail avvolse le piccole dita intorno al suo indice, scalciando i piedi. “Assomigli proprio a tua mamma,” le sussurrò, e la bambina sbatté le palpebre. L'auto si fermò e Dean guardò fuori dal finestrino. C'erano poche auto parcheggiate nei pressi del cimitero, e in lontananza poteva vedere una piccola massa di persone vicino alla bara. Chiuse gli occhi per un momento, paralizzato dalle emozioni che si rigonfiavano dentro di lui. Stava succedendo. Era davvero lì. Oggi avrebbero veramente seppellito Castiel. Non si era accorto che Sam e Jessica erano scesi dall'auto finché lo sportello posteriore non si aprì e Sam si chinò dentro. Sobbalzò ed aprì gli occhi, e Sam gli sorrise mentre liberava Abigail dal seggiolino. Ricambiò il sorriso, anche se era un po' tremolante, ed aprì lo sportello, uscendo e camminando dall'altro lato dell'auto. “Non dovevi venire, sai.” “Supporto morale,” disse Jessica, mentre si muoveva per stare accanto a lui, prendendogli la mano nella propria e stringendola. Vennero fermati a metà strada da una ragazza bionda mentre si dirigevano verso la cerimonia. Si mise davanti a
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Dean, con le braccia incrociate sul petto, socchiudendo gli occhi. Per un istante, Dean non la riconobbe, ma poi si ricordò la foto che Balthazar gli aveva mostrato. “Rachel?” “Devi essere Dean.” Tutto il corpo di lei si rilassò, e Dean vide che stava stringendo un fazzoletto in mano. Il mascara le era colato e si era incrostato agli angoli degli occhi, ma non sembrava che le importasse. “Cas mi ha parlato di te al mio matrimonio,” aggiunse, scuotendo la testa incredula. Si portò il fazzoletto alla bocca, e Dean capì che stava cercando di non piangere mentre deglutiva visibilmente. “Davvero?” Dean rise scuotendo la testa. Dio, Cas aveva sul serio parlato di lui alla sua famiglia, anche dopo tutto quello che aveva fatto? “Non riusciva a stare zitto se parlava di te!” Rachel rise, il suono si strappò fuori da lei, smorzato dal fazzoletto e dalla sua mano. Le dita di Dean si contrassero. Si esprimeva proprio come Castiel. “Non riusciva mai a stare zitto in genere,” corresse Dean, e Rachel rise più forte, ma il suono si trasformò in qualcos'altro. Il sorriso di Dean vacillò e lei annullò la distanza tra loro, avvolgendo le braccia intorno alla sua schiena, premendo il viso su di lui. Le tremarono le spalle e Dean rimase paralizzato prima di sollevare automaticamente la mano sulla sua nuca, chinando il viso sui suoi capelli, ricambiando l'abbraccio. Rachel lo strinse prima di ritrarsi, tamponando gli occhi con il fazzoletto. Le sue guance erano color rosso ciliegia per il pianto e il suo rossetto era sbavato, ma era bella come Castiel l'aveva sempre descritta. “Volevo ringraziarti,” continuò, “per... per esserti preso cura di lui. Lo so cosa devi pensare di me.” Le tremava il labbro. “Che razza di sorella abbandonerebbe il fratello in un momento del genere, ma l'ho guardato e non ho potuto–” si interruppe. “Non voleva che lo vedessi in quello stato,” pianse, ricomponendosi. Dean annuì, toccandole la spalla. “Cas stravedeva per te,” mormorò e lei annuì. “E penso che volesse davvero che tu fossi felice in un modo in cui lui non poteva essere, e se questo l'ha fatto allontanare da te, non era perché non ti volesse bene.” Rachel concordò con lui. “Gli ho detto che gli volevo bene,” sussurrò, asciugandosi le guance con il fazzoletto umido. "L'ho fatto. Gli ho detto che gli volevo bene prima di andarmene, quindi lo sapeva.” “Lo sapeva,” la rassicurò Dean. Rachel si ammutolì, irrequieta, e Dean sapeva che stava per dire qualcos'altro. “Michael non sarà felice di vederti,” sussurrò Rachel, “ma mi ha promesso che non avrebbe fatto nulla di inappropriato. Tanto per lui contano solo le apparenze, quindi non penso che ti debba preoccupare. Non so Gabriel... è – è molto confuso da tutto questo.” Diede dei buffetti nervosi alla sua gonna e poi lo guardò con un'espressione che Dean riconobbe come vergogna. Era ovvio che non sarebbero stati felici. Erano il motivo per cui in un primo momento Dean non voleva venire. Lo sapeva che non sarebbero stati felici. Non voleva rimuginarci sopra. “Questo è mio fratello.” Fece un cenno verso Sam, e Rachel si voltò per sorridergli, stringendogli la mano. “E sua moglie, Jess, e mia nipote, Abigail.” Rachel e Jessica si scambiarono qualche parola, e poi Rachel li condusse dove la cerimonia veniva tenuta. Era piccola, solo loro cinque, e Gabriel e Michael. Ovviamente non erano elettrizzati nel vedere Dean, ma lo ignorarono per la maggior parte del tempo. La cerimonia fu breve, e una volta finita, Michael e Gabriel si congedarono senza dire una parola. Non sembrarono voler rimanere abbastanza a lungo per vedere la bara di Castiel venir abbassata nel terreno, ma Rachel non se ne andò. Era accanto a Dean quando questi sfiorò la bara con la mano, ritraendola per tirare fuori la foto dalla tasca. “Che cos'è?” chiese Rachel a bassa voce, e Dean la spiegò e gliela mostrò. “La teneva quando ero via in Vietnam, e volevo solo che l'avesse ora.” Rachel sorrise e annuì, sfiorandogli il braccio prima di voltarsi. Ripiegò la foto e l'infilò in una delle fessure della bara prima che venisse abbassata. Sam fece scivolare il braccio intorno alle sue spalle e lo tirò indietro, e Dean ritornò all'auto con lui. Jessica era già seduta dentro, e Dean salì sul sedile posteriore, premendo il palmo della mano sulla fronte. Jessica si voltò sul sedile e prese una delle sue mani, tenendola tra le proprie.
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“Andrà tutto bene, Dean.” Si asciugò gli occhi con la mano libera. “Sì... starò bene.” *** In un primo momento non sapeva che cosa fare con la scatola. Rimase su uno scaffale nel suo appartamento per giorni prima che la tirasse finalmente giù e la riaprisse. Lesse le lettere. Risalivano al 1971, la maggior parte erano state scritte nei tredici mesi in cui Dean era stato in servizio, ma ce n'erano alcune disseminate tra queste e l'ultima. Era così strano come riuscisse a sentire chiaramente la voce di Castiel nella sua testa, e, insieme con le foto, a vederlo, ma per molto tempo non sapeva cosa fare con le lettere e le foto e lasciò la scatola pigramente sullo scaffale . Per l'anniversario di Sam e Jessica, gli avevano chiesto di venire a badare a Abigail mentre loro andavano a La Jolla per il weekend, e Dean non aveva nemmeno esitato; fece le valigie non appena riattaccò il telefono. Adorava sua nipote e non riusciva a pensare a nient'altro che volesse fare di più, se non averla tutta per sé per un paio di giorni. Mentre stava facendo i bagagli, i suoi occhi continuavano a vagare sulla scatola, e dopo una mezz'ora a fissarla, finalmente la tirò giù e la mise accanto alle sue cose. Aveva comprato il vecchio furgone di Bobby dopo che Castiel morì. Era più conveniente ora che non guidava la moto costantemente, e gli piaceva. La casa di Sam e Jessica era in periferia, e nel tragitto passò davanti al cimitero dove era sepolto Castiel, e nemmeno dovette rifletterci per decidere di fermarsi lì. Non c'era stato da alcune settimane a causa del lavoro, e voleva assicurarsi che i fiori che aveva portato l'ultima volta non fossero appassiti. Salendo sulla salita erbosa verso la sua tomba, vi trovò una donna con indosso un impermeabile giallo, con i capelli scuri scompigliati leggermente dal vento. “Tessa?” disse Dean, quando si fermò, e Tessa si voltò, con la sua mano delicata sul viso. “Dean!” esclamò, rivolgendosi verso di lui; il vento gli sventolava la gonna sulle ginocchia. “Scusa se ti ho spaventato,” si precipitò Dean a dire, schiarendosi la gola e guardando la tomba di Castiel. “Sei l'ultima persona che mi aspettavo di vedere qui.” “Non posso credere che ci siamo imbattuti l'un l'altro – sono qui solo per un paio di giorni. Mia cugina voleva che venissi a vedere la sua nuova casa, e non avevo ancora avuto la possibilità di fare visita a Cas.” Guardò la tomba, infilandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Continuano ad arrivare, sai,” mormorò. “Ragazzi come lui.” Giocherellò distrattamente con la borsetta, la sua voce prese un tono più basso. “Li perdiamo ogni volta.” I suoi capelli si mossero quando scosse la testa. “Non ho mai visto niente di simile.” Dean rimase in silenzio. “Grazie per avermi chiamato,” disse Dean disse all'improvviso. “Dopo tutto quanto.” Tessa sorrise. “Ho pensato che avresti apprezzato parlare con qualcuno che era stato lì. Grazie per avermi detto dove è stato sepolto. Non dovevi farlo.” “Ti adorava.” Dean strinse le spalle. “Eri una rivale pericolosa.” Tessa roteò gli occhi. “Aveva qualcosa, non so cosa fosse. Come se la gloria divina l'avesse toccato,” disse dopo una pausa. “Anche quando stava così male... non lo so. Potevi vederla dentro di lui. Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato di aver visto la sua anima.” Dean annuì. “Ma tu lo sapevi già,” aggiunse Tessa, e Dean rise tristemente.
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“Ti ha mai detto che è stato amore a prima vista?” “No!” Sorrise, infilando le mani nelle tasche del suo impermeabile. Dean ricambiò il sorriso e poi entrambi guardarono di nuovo la tomba di Castiel, quando a Dean balenò in mente un pensiero. “Ti piacerebbe vedere alcune sue foto? Di prima?” Gli occhi di Tessa luccicarono. “Sarebbe assolutamente incantevole,” disse piano. Seguì Dean verso il furgone, e Dean aprì la porta della cabina, tirando la scatola verso di lui e rovistandoci dentro. Tirò fuori alcune delle numerose fotografie e si spostò accanto a Tessa per mostrargliele. “Questa era ad una gara... sono lui e Sam,” indicò Dean e Tessa sollevò una mano alla bocca, prendendo delicatamente la foto dalla mano di Dean, guardando quella successiva. “Era così carino,” sussurrò e Dean sorrise. “Lo so.” Insistette sul fatto che Tessa prendesse le foto con sé e gli occhi di lei si riempirono di lacrime quando le tenne in mano. “So che può non sembrare molto,” disse dolcemente, asciugandosi qualche lacrima, sollevando la testa per guardare Dean, “ma non credo che le persone come Cas dicano veramente addio.” Dean l'abbracciò. “Le persone come Cas dicono ‘ci vediamo allora’,” le sussurrò all'orecchio e Tessa lo abbracciò più forte. Si separarono, e Dean si diresse a casa di Sam. Jessica gli diede la lista delle cose da fare e delle cose da non fare, ma Dean sapeva come gestire la sua Abby, e Jessica lo ringraziò circa mille volte mentre Sam la trascinava fuori dalla porta verso l'auto. Dean aiutò Abigail a fare ciao ciao dalla finestra mentre Sam e Jessica uscivano dal vialetto, e Jessica agitò la mano verso di loro. Fece rimbalzare Abigail contro di sé e lei rise, nascondendo il viso nel suo collo e ridendo quando le fece il solletico. Era così graziosa, le treccine bionde legate in un nastro rosso, i suoi grandi occhi verdi incorniciati da lunghe ciglia che gettavano delle ombre sulle sue guance rosee. Dean la mise sul pavimento a giocare con i suoi giocattoli, guardandola dal tavolo della cucina mentre si riscaldava un po' di casseruola, guardandola farsi gli affari propri. Si dimenava e farfugliava ai mattoncini, alle palline colorate e al morbido agnellino di peluche, seduta sulla sua copertina quadrata, battendo le mani di tanto in tanto. Dean le sorrise, e le cianciò una risposta quando Abigail si espresse a cinguettii, contento di riuscire a farla sorridere. “Ti voglio bene, dolce Abby.” Sorrise e la bambina ridacchiò, mettendo due mattoncini insieme felicemente. Dean guardò la scatola accanto al suo borsone sul divano e batté le dita sul tavolo. I suoi occhi tornarono su Abigail e si grattò la testa, pensando. Quando la sedia raschiò sulle piastrelle, Abigail alzò gli occhi e poi riprese a giocare, parlando tra sé e sé in una lingua incomprensibile. Dean tornò a sedersi al tavolo, fissando il foglio di carta e la penna che aveva preso dal cassetto della scrivania di Sam nello studio accanto. Deglutì e sentì di nuovo Abigail ridere, il suono gioioso, bello e meraviglioso. Più tardi le avrebbe dato la cena, le avrebbe fatto un bagno ed avrebbe asciugato il suo corpicino dimenante. Avrebbe cantato per lei e l'avrebbe messa a letto, guardandola nella culla mentre dormiva, i suoi sogni dolci e soffici. Abigail avrebbe saputo quanto fosse amata, anche quando sarebbe cresciuta. Anche quando sarebbe stata troppo grande per stare sul suo grembo o sulle sue spalle. Voleva raccontare a qualcuno tutto questo, ma non era sicuro di come affrontare la cosa. Ma aveva promesso a qualcuno che ci avrebbe provato. Avrebbe mantenuto le sue promesse d'ora in poi.
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Dean battÊ la matita contro il tavolo e guardò il foglio bianco. Le linee aspettavano pazientemente di essere riempite da lui. C'era molto da recuperare. Fece rotolare la matita tra le dita e poi attentamente la portò in basso, esitando un attimo prima di scrivere finalmente due parole sulla prima riga. Caro Cas.
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