Dizionario di parole inventate

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dizionario di parole inventate





Non si guarda mai con un senso puro alla volta, ma conosciamo sempre con molti sensi attivi in parallelo. Il cervello tende quindi a costruire relazioni di tipo sinestetico tra cose diverse. Nasce così Il Dizionario di parole inventate nel quale uno studente inventa una parola, un’altro la collega a una forma e infine l’ultimo trova una definizione adeguata. I riferimenti sono numerosi, in ambito letterario Fosco Maraini si dileggia ne I gnosi e le fanfole, lo psicologo Wolfgang Köhler cerca di dare forma a “takete” e “baluba” mentre i neuroscienziati Vilayanur S. Ramachandran ed Edward Hubbard propongono di individuare “kiki” e “bouba” tra una forma spigolosa e una arrotondata. La relazione tra forma visiva e suono della parola è fondamentale e nel “Laboratorio 1: fondamenti di design della comunicazione A” dell’anno accademico 2019-2020 ci siamo divertiti a cercare la forma e la definizione adeguata alle parole inventate da altri.



a



abbrocondolare

abbrocondolare v. intr. (io abbrocondolo ecc.) [o abbrocondolarsi]. Il processo di caduta delle gocce di pioggia sui fiori tropicali. Il nome è dato a causa del suono di gocce che cadono su foglie; tutta la notte è abbrocondolato; durante l’inverno nella giungla molto spesso abbrocondola.

Lorenzo Putinati / Francesco Resini / Alena Rodionova


acerare

acerare v. tr. [der. di acera] (io acero, tu aceri, ecc.). 1. Verniciare con acera: prese il prezioso barattolo e cominciò ad a. la mobilia con cura (Dario Finzi). 2. Per estens., impreziosire un manufatto, aggiungere valore risaltando le qualità. 3. Dare un aspetto perlaceo e opalescente al legno, grazie all’applicazione di sostanze che simulano la tipica finitura data dall’acera, dovuta all’estratto di conchiglie di cui è composta.

Alice Cecchinato / Anna Censi / Nicola Citron


africciare

africciare v. tr. [incrocio di affricciare con afrigliare] (io africcio, ecc.). (lett.) arroncigliare, (non com.) affricciare, (non com.) afrigliare, afriscare. 1. Rendere una superficie frastagliata, non lineare, ricca di intagli; fig., a. le sopracciglia, il naso, corrugare le sopracciglia, per mostrare dubbi, incertezze, ecc. 2. intr. pron. Assumere una forma africciata, non omogenea. 3. Procedimento di preparazione nel campo dell’artigianato. ◆ Part. pass. africciato, anche come agg. e s.m.

Alessia Hyka / Nicole Kolano / Chiara Laudonia


albossante

albossante (o albossato) agg. [dal lat. albussantius, dal gr. αλβοσσαντ e dall’incrocio tra albo e il fr. santé «salute»]. 1. Di un oggetto che fa stare bene la persona che lo utilizza grazie anche alla sue forme sinuose e ai suoi colori spesso chiari se non tendenti al bianco puro. 2. Di una persona che riesce, con i propri comportamenti e le proprie frasi, a far sentire a suo agio un ospite come se facesse parte della famiglia da anni anche se è la prima volta che viene ospitato in quell’abitazione.

Cristina Neresini / Virginia Padovani / Davide Pegorari


arrospellare

arrospellare v. tr. [composto dai verbi arrostire e spellare]. Arrostire la carne a fuoco tenue sullo spiedo fino a provocarne lo spellamento. Riferito alla macabra variante della pratica medievale che prevedeva di bruciare vivi i condannati sul rogo come pena per eresia, stregoneria, sodomia o altro. L’imputato sottoposto ad arrospellamento veniva solitamente legato ad un palo orizzontale, sotto il quale venivano posti abbondanti fasci di legname e paglia a cui veniva dato fuoco. Per farlo confessare si abbassava lo spiedo sempre piÚ vicino alla fonte di calore fino allo spellamento delle carni: solevano sottoporre le streghe ad arrospellamento. Si poteva morire per asfissia oppure per arresto cardiocircolatorio: molti innocenti morirono arrospellati. Andrea Concheri / Francesco Dalla Benetta / Elena Dalle Stelle



b



bacchiaro

bacchiaro (anche, bàchiro) s.m. [lat. bàculum, prob. dal greco βακις]. 1. In senso proprio, bastone empireo usato dai sacerdoti romani per interpretare il volere degli dèi, dato dall’osservazione del volo degli uccelli. Si credeva, inoltre, avesse dei poteri curativi e d’interpellanza con i defunti. Appartenente all’arte occulta, è considerato uno dei più importanti simboli del mondo soprannaturale, insieme all’ayahuasca amazzonica e alle bambole vudù africane. Etimologicamente, è assai probabile che provenga anche dal greco βακις, ovvero Bacide, un noto indovino della Beozia. 2. Nel linguaggio comune, utilizzato per indicare una costante brama di conoscenza dell’avvenire.

Chiara Laudonia / Francesca Lorenzi / Maria Angela Mancini


bafuffolo

bafùffolo (o fùffolo) s. m. [lat. tardo baffĕru, dal lat. class. baffuĕre]. 1. Specialità culinaria italiana, di origine veneziana: pasta all’uovo in sfoglia, ritagliata a dischi sovrapposti o successivamente ripiegati su sé stessi, con un ripieno che varia anche secondo usi regionali: a base di spinaci, ricotta oppure carne, e conditi con formaggi o erbe; con il sing. bafuffolo (detto talora anche fùffolo) si indica la singola sfoglia: assaggia questo b. e dimmi se ti sembra a giusta cottura. 2. Piccolo quadrupede della famiglia dei camelidi di origine asiatica allevato per la sua pregiata lana aranciata: hanno corporatura robusta, muso stretto, orecchie a spirale e coda uniformemente rivestita di peli; sono animali agili, curiosi e paurosi.

Viola Ghigi / Leonardo Gumiero / Alessia Hyka


bislaculliano

bislaculliano (o bislaculiano) agg. [dal greco bislacul]. Si riferisce al comportamento bizzarro e strano di qualcuno, diverso dal solito; Michele oggi è b. O di qualche essere vivente; quel gatto è b. â—† Avv. bislacullianalmente, con comportamenti strani diversi da quelli comuni: competere bislacullianalmente.

Federico Bonamini / Alice Cecchinato / Anna Censi


bradistaceo

bradistaceo s. m. [comp. dal gr. βραδύς, «lento», e dal lat. taceo «silenzioso»]. Crostaceo esapode della famiglia palinuridi (lat. scient. Palinurus rilgarisis), i cui esemplari possono raggiungere il metro di lunghezza, caratterizzato da un esoscheletro spesso e ricco di aculei con funzione di difesa. Essendo un Palinuro non possiede chele e a causa della sua pesante corazza è estremamente lento nei movimenti. Animale comparso 200 milioni di anni fa, considerato fossile vivente, vive esclusivamente nella depressione oceanica Fossa delle Marianne cibandosi di plancton, alghe, spugne e altri vegetali marini.

Nicola Citron / Andrea Concheri / Francesco Dalla Benetta


bruloglio

bruloglio (o bruolo) s. m. [lat. mediev. brolium, di origine celtica]. 1. Parola anticamente diffusa in tutta l’Italia Settentrionale e Toscana, che significava orto, per lo più cinto da un muro o siepe, all’interno del quale venivano spesso coltivati anche alberi da frutto. 2. così veniva appellato il luogo pubblico in una città dove si adunavano i mercanti per trattare di affari, così detto per essere circondato da alberi. 3. oggi la parola viene usata per parlare di uno spazio archetipico che rimanda alla piazza italiana, alla quale si accede attraverso un ampio stradone.

Giacomo Furlan / Tommaso Gatti / Viola Ghigi



c



catimnio

catimnio (o catiminio) agg. e s. m. [comp. del lat. tardo cattus «gatto» e del lat. minĭmus «minimo»]. 1. Felino di piccole dimensioni, privo di orecchie o di qualsiasi apparato uditivo; presenta un pelame di media lunghezza e di colore variabile; ha una coda corta non ben distinta dal resto del corpo; è dotato di scarsa agilità e debole equilibrio a causa delle tre zampe pesanti. In similitudini, con allusione alla proverbiale lentezza e goffaggine di questi felini: camminare come un catimnio; quindi, fig., persona lenta e goffa: muoviti, catimnio! 2. agg. Che è proprio dei catimni: passo c.; mosse c.; fig.: flemma catimnia.

Leonardo Gumiero / Alessia Hyka / Nicole Kolano


chitambu

chitàmbu s. m. [voce di origine africana] (in ital. pl. chitambe). Strumento musicale di origine africana, costituito da un tamburo assemblato ad un corpo ligneo allungato dotato di 3 corde musicali; l’estremità inferiore presenta un piede d’appoggio, mentre quella superiore viene posata alla spalla per sostenere lo strumento e consentirne l’uso con entrambe le mani. Utilizzato tipicamente come accompagnamento durante le danze tribali delle popolazioni dell’Africa centrale: ballare accompagnati dal c.; suonare un c; a ritmo di c.

Tobia Farinati / Alexia Fincato / Valeria Frassoni


ciodane

ciodane (o clodane; anche ciòdan) s. m. [nome attribuito dallo scopritore, M. Clodin, e derivazione dal cognome dello stesso]. Elemento chimico di simbolo Ci, numero atomico 131, peso atomico sconosciuto, appartenente al gruppo dei gas nobili, presente in minime quantità nell’atmosfera; per la sua inerzia chimica utilizzato nel riempimento di lampade a incandescenza e di tubi elettronici. Se conservato alla temperatura di -33 °C cristallizza.

Matteo Benvegnù / Anna Bernardi / Ester Bisighini


codauro

codauro (o codaurio) agg. s. m. [der. di coda e di aurea, dal lat. volg coda, class. cauda e dall’agg. lat. aurum]. Di persona che crea appositamente e a proprio vantaggio situazioni di rischio, difficoltà e pericolo a danno di qualcuno, per poter poi intervenire quale risolutore dell’evento negativo, traendo, una volta superata la fase critica, riconoscimento da parte della «vittima» e dell’opinione pubblica. Coda aurea, espressione che fa riferimento a un colpo di coda eccellente, ovvero ad un improvviso cambiamento di direzione del proprio comportamento. Termine presente nel romanzo giallo di G. Storti «Il chirurgo» (1932) il cui protagonista metteva appositamente a rischio la vita dei pazienti, per poi salvarli.

Virginia Padovani / Davide Pegorari / Matteo Pelizza


crallo

crallo (o cerallo; anche crallio o cerallio) s. m. [dal lat. crallius, gr. κράλλω, comp. di κρ- «tempo» e άλλω «altro»]. Essere di un altro tempo, preistorico. Creatura marina della famiglia dei crostàcei vissuta nei fondali fino a ca. 540 milioni di anni fa. Generalmente di piccole dimensioni, dotato di similtentacoli utilizzati per prelevare le sostanze nutritive e muoversi nell’ambiente acquoso circostante. La struttura centrale del corpo è depressa e ricoperta da un esoscheletro rigido, dai colori vivaci, dotato di appendici pungenti per difendersi dai predatori.

Mouhamadou Habib Diaw / Nicole Dolci / Tobia Farinati


crosticiato

crosticiato agg. dal v. tr. [ dal fr. crostiquer]. In ambito culinario, metodo di cottura atto ad ottenere una superficie croccante attraverso la fiammatura di una pietanza. Part. pass. crosticiato, come agg.: crema catalana, carne crosticiata: scottare

Elena Dalle Stelle / Nicola De Bortoli / Giulia de Gregorio




d



drellisco

drellisco (o drelisco) s. m. [dal gr. δrκαιlloscùs]. 1. Porzione di qualsiasi tipo di stoffa rimanente alla fine di un lavoro sartoriale. Di varie forme e dimensioni. Solitamente inutilizzabile. Il tavolo della sarta alla fine del lavoro era colmo di drellischi. 2. fig. Con sign. spreg. riferito a una persona che critica la società senza rendersi utile a migliorarla. Quell’uomo non fa mai nulla e continua a criticare il nostro lavoro, è proprio un drellisco.

Pietro Romanato / Valerio Romano / Martina Sartori



e



estaggire

estaggire v. intr. (io estaggo, tu estaggi; aus. essere). 1. Desiderio di fuggire per situazione di timore restando però nell’impossibilità di farlo, tipico delle deformazioni oniriche. 2. ◊ Part. pass. estaggito, anche come agg.; colui che fugge dalle proprie responsabilità restando lontano dalla realtà.

Silvia Stramare / Filippo Tovornik / Elena Trovò



f



faceroso

faceròso agg. s. m. [dal lat. facerosus, der. di facenus -nŏris, dal tema di facĕre «fare»]. Usato in età medioevale per definire i monaci dell’ordine di Faccio, grandi lavoratori nell’ambito della produzione di olio ricavato dal legno di faggio. Nel linguaggio com. faceròso è usato per indicare una persona che si sente in dovere di fare qualcosa, caratterizzata da un impellente senso del dovere: Luca è un ragazzo f., Andrea lavora in modo f., dovrebbe prendersi del tempo libero! Avv. facerosaménte, da faceròso, in modo elogiativo: Elena lavora f., presto le verrà riconosciuto un aumento di stipendio!

Francesco Dalla Benetta / Elena Dalle Stelle / Nicola De Bortoli


fascarmentare

fascarmentare v. tr. [dall’aramaico fasàrm «condivisione»] (io fascarmento, tu fascarmenti, ecc.). 1. Comunicare a distanza con qualcuno limitandosi allo scambio di battute di pessimo gusto: i pellerossa fascarmentavano tramite segnali di fumo; Luca sta fascarmentando da Hong Kong. 2. Lanciare messaggi o segnali nello spazio per mezzo di grandi fionde: la NASA fascarmenta da anni per scoprire altre forme di vita.

Alexia Fincato / Valeria Frassoni / Giacomo Furlan


folluno

folluno (o foluno; anche folliuno) agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. fòlunum, der. di folùnere «follunare»]. Di persona che, per semplicità d’animo e per inesperienza del mondo, mostra piena consapevolezza di sé e delle proprie azioni quando i risvolti negativi di una scelta importante presa alla leggera si presentano. La parola assume sfumature diverse a seconda che si riferisca a una persona molto giovane: un bambino f., un ragazzo f., innocenti, spensierati, per caratteristica propria dell’età; o a persona adulta: un giovane f., una donna f., puri di esperienze, di responsabilità; sei stato un f. Con sfumatura negativa, privo di responsabilità, incline ad evitare le decisioni difficili per timore di delusioni future.

Alena Rodionova / Pietro Romanato / Valerio Romano


fonifono

fonìfono (o fonnìfono) s. m. [dall’ing. foniephone, comp. del cognome dell’inventore dello strumento, lo scozzese Sean Fonie (che lo brevettò nel 1847) e phone «-fono»]. Strumento musicale a percussione della famiglia dei lamellofoni fornito di piccolissime placchette di metallo o bambù e una piccola cassa di risonanza in legno, molto simile alla più diffusa e antica kalimba africana. Il suono è prodotto premendo e rilasciando la punta delle lamelle con la punta delle unghie oppure delle dita.

Paola Zaia / Davide Barbiero / Matteo Benvegnù


fracesto

fracesto s. m. [dal fr. frapper, incrociato con il lat. cĭsta, gr. κίστη]. 1. Recipiente richiudibile, in genere grazie a un sistema ad incastro nella sua parte superiore di forma triangolare, solitamente munito in uno o in entrambi i lati di un sistema flessibile che permette di attaccare e fissare il fracesto a un qualsiasi tipo di supporto; i materiali variano secondo le epoche: un f. di legno, di pelle, di plastica rigida, di plastica flessibile. 2. fig. Con sign. spreg. riferito a persona considerata avida e tirchia.

Nicole Dolci / Tobia Farinati / Alexia Fincato


franfulle

franfulle v. in. [voce onomatopeica] (io franfullo, ecc.; aus. avere). Falsa affermazione esposta in modo non chiaro, veloce e con un tono basso: durante l’interrogazione Mario franfullò ripetutamente; come tr.: gli franfullò qualcosa in un orecchio. ◆ Part. pass. franfullato, anche come agg.: parole franfullate ripetute volte; bisogna evitare di esporre questioni franfullate.

Claudia Mandara / Tommaso Marcon / Silvia Marinello


frassogliante

frassogliante (o frassoso) agg. [dal latino frassos: complesso di rami e foglie di un albero o di un arbusto]. 1. (Di suono) che ha stretta somiglianza con il rumore, fruscio, brusio delle foglie e dei rami spostati o mossi dal vento: in questa zona del parco è presente un rumore alquanto frassogliante; il rumore frassoso di quest’albero concilia la mia lettura. 2. In ambito musicale viene utilizzato per definire un complesso di suoni o rumori che creano un fastidioso fruscio, rumore di sottofondo.

Ester Bisighini / Giovanni Bolgan / Federico Bonamini



g



giumbro

giùmbro s. m. [dal lat. giumbrum «colante»]. 1. Composto organico derivante dalla decomposizione delle meduse morte portate dalla corrente sui bagnasciuga delle spiaggie mediterranee; noto per l’odore particolarmente acre veniva usato nelle abitazioni degli antichi paleoveneti per evitare sgraditi visitatori. 2. spreg. o scherz.: Odore difficilmente sopportabile dove sei stato? puzzi di g.; l’odore di g. impestava la casa.

Anna Censi / Nicola Citron / Andrea Concheri


goldare

goldare v. tr. [dall’ingl. golding, der. di gold «oro»] (io gòldo, ecc.). In metallurgia, o più com. in oreficeria, processo di stesura o applicazione di uno strato d’oro sopra una superficie attraverso l’uso di varie tecniche: g. un anello, g. una catena.

Tommaso Pesiri / Arianna Piermattei / Sebastiano Preo


gorlatta

gorlatta (o goralatta; anche gorattia o garattia) s. f. [dal lat. scient. gorgalatum der. dal lat. gorgoneus medusa].. Mollusco appartenente alla famiglia dei cefalopodi ottopodi. Diffusa in quasi tutti gli oceani e mari del mondo, a eccezione delle zone polari. Essa è costituita da una parte inferiore robusta che consente di mantenersi salda al fondale durante il processo di mimetizzazione, durante il quale le due protuberanze laterali scavano nella sabbia. La parte superiore, invece, è formata da corti tentacoli che vengono utilizzati per catturare le piccole prede delle quali si nutre..

Nicole Di Paolo / Mouhamadou Habib Diaw / Nicole Dolci


gracema

gracèma (o grasèma) s. f. [dal plur. gracème, forma italianizzata del lat. scient. Gracemae]. Nome generico delle piante della famiglia Grachemee, e più comunem. dei loro fiori che si sono sviluppati nel corso dell’evoluzione in strutture peculiari altamente specializzate per l’impollinazione ad opera di animali; riuniti in grappoli o solitari, sono fiori irregolari, col tepalo molto differente dagli altri per forma, colore e talora per la presenza di 2 sproni.

Valeria Frassoni / Giacomo Furlan / Tommaso Gatti


grugnotto

grugnòtto (o grugnòllo; anche grùno o grunòllo) s. m. [lat. grùnum «piuma»]. 1. Animale dell’ordine dei pulottari, caratterizzato dalla presenza di due pinne laterali, utili ai movimenti in acqua o in aria, una coda trapezoidale e un collo lungo. Il grugnotto è l’unico animale vivente in grado di abitare sia in acqua che in aria. Questo è dovuto alla sua struttura ossea cava che lo rende estremamente leggero e versatile. Si nutre principalmente di coccolatteri, che cattura e uccide con il suo veleno neurotossico. 2. Uso fig.: persona con l’alito pesante.

Luca Vanzetto / Nicolò Vespini / Paola Zaia



i



iaclù

iaclù (o iacluto) s. m. [dal greco ιακλυτο νουσ «coperto di notte», perché nel fiore in boccio i petali, cresciuti, manifestano gli stami alla natura con il calare del Sole]. Genere di pianta chenopodiacee della zona sud-est del Mediterraneo, più specificatamente nei pressi dell’isola di Creta. È caratterizzata da colori tendenti al blu e al viola e presentano piccole spine nel fusto. Droga medicinale utilizzata nell’antica Grecia per alleviare dolori muscolari a seguito degli addestramenti. Il succo della pianta, ricavato dallo stelo, ha un odore molto forte ma benefico dal punto di vista curativo, tanto da essere usato oggi nelle erboristerie per la produzione di olii essenziali.

Erica Pellizzaro / Tommaso Pesiri / Arianna Piermattei


ilchie

ilchie s. m. [dal greco θλίψη «afflizione»]. Concrezione che si forma nell’apparato digerente dei mammiferi simile al bezoar dei ruminanti, ritenuta nella medicina orientale e medievale, assolutamente inutile. La sua rara incidenza e la natura estrema dei fastidi, mai fatali, che provoca (sintomi influenzali, tachicardia, infiammazioni, ansia, irritabilità, psicosi) lo hanno reso paradigmatico ed è usato con allusione proverbiale per intendere fastidi e disgrazie, simile all’altrettanto proverbiale tegola in testa. Contrariamente allo sferico bezoar, con cui condivide la natura di formazione spontanea, inutile, ed imprevedibile, l’ilchie è di forma irregolare e presenta a volte propaggini, volte a massimizzare i fastidi all’ospite.

Giulia De Gregorio / Simone De Marchi / Francesco De Zen


insciolta

insciòlta s. f. [adattam. dell’ingl. ish-owl]. Composto organico utilzzato in terapia per le sue capacità curative nel trattamento di patologie come insonnia e narcolessia; noto per la sua inefficacia e gli effetti collaterali che si presentano ad ogni assunzione (difficoltà nel contare, tremore degli alluci): prenda 400 cc di i. per endovena. Entrato nel gergo comune come sinonimo di scadente, inefficace e illusorio: la chirurgia estetica sarebbe i. per te.

Francesco Resini / Alena Radionova / Pietro Romanato



l



lebilare

lèbilare (o lebilato; anche lebile o lebiratura) v. intr. [der. del lat. labilis, da labi «lèbilare»]. 1. Nel senso di equilibrio non stabile: al lebilare delle foglie. 2. Precipitare, andare dall’alto verso il basso, mosso dal proprio peso. 3. Lebilare la condizione di un sistema che, se perturbato anche lievemente e anche senza una causa macroscopicamente apparente, si porta in un altro stato di equilibrio un corpo o oggetto che sia: la tazza è lebilata per terra. Parlando di un corpo che scende da una certa altezza fino a fermarsi a terra o su altro corpo.

Elena Trovò / Marina Ulijancic / Luca Vanzetto


loave

loĂ ve (o lòave) s. m. e agg. [dal lat. loavus, der. di lotus e aveo]. 1. s. m. Antico animale della mitologia romana contraddistinto per il suo movimento armonioso e per le sembianze simili a quelle di un attuale lombrico. Presentava una grossa testa sproporzionata dal resto del corpo, una coda sinuosa che gli permetteva il movimento e una gobba a ridosso della testa che, secondo la mitologia romana, sarebbe stata aggiunta da Giove per placare l’astio di Giunone e Venere, invidiose del suo movimento armonioso. 2. agg. Armonioso, sinuoso; rif. ai ballerini di danza per esplicitarne le proprie qualitĂ artistiche: un ballerino l.; spesso utilizzato anche con rif. alla pioggia: una pioggia l.

Nicole Kolano / Chiara Laudoni / Francesca Lorenzi


lobeglia

lobeglia (o lobiglia; anche lebiglia) s. f. [dal lat. scient. Lobillia, dal nome del botanico Rohant R. Lobilli (1767-1819)]. Genere di piante lobilliane, che comprende 10-15 specie erbacee, originarie delle regioni temperate del Vecchio Mondo, spec. delle zone con estate arida dell’Asia centrale, e due di queste, L. australis e L. sylvestris, sono presenti allo stato spontaneo, ma rare, anche sulle sponde del fiume Colorado in Arizona. Sono erbe con tubero globoso, foglie tutte basali, fiori di colore viola che crescono solitari su lunghi peduncoli. La fioritura delle piante nelle zone dell’Asia centrale avviene in autunno mentre le specie americane fioriscono in primavera. Queste ultime presentano fiori più grandi di vari colori, dal bianco al blu, con sfumature scure e molto chiare. Marina Uljančić / Luca Vanzetto / Nicolò Vespini



m



miracondo

miracondo (o mirecondo) agg. e s. m. [dal lat. miracundus, der. di vagabundus «vagabondo»]. Parola derivante dall’epoca romana, era infatti un aggettivo usato per descrivere una persona sfortunata presa quindi di mira dagli Dei maligni e per questo scacciata dalla propria casa. Persona presa di mira da un’organizzazione e quindi costretta a viaggiare non avendo mai una dimora fissa in quanto sempre in pericolo: sfortunatamente non lo vedremo ancora per molto perché Carlo è un miracondo.

Oliwia Barbara Spiralska / Silvia Stramare / Filippo Tovornik


molceria

molcéria (o molcérie; anche molcera o molcea) s. f. [dal lat. scient. molcaerĕa]. Pianta sempreverde della famiglia delle graminacee, cresce in luoghi molto umidi e ricchi di luce. La capacità delle radici di espandersi orizzontalmente le permette di crescere e diffondersi a macchie. Le foglie sono molto piccole, di forma affusolata e di un colore verde-bianco, esistono delle varianti in natura, dove il clima è più rigido, che possiedono delle foglie più grandi e di un verde scuro [molcaerĕa nordicalys] per permettere di catturare più luce. Anticamente usata come infuso per curare la febbre e il raffreddore, per questo motivo era considerata sacra nei paesi dei Balcani.

Maria Angela Mancini / Claudia Mandara / Tommaso Marcon


mósticaceo

mósticaceo (ant. mósticoso) agg. [dal latino mosticum]. 1. Dotato di proprietà fisiche proprie della gomma quali deformabilità ed elasticità, ma con consistenza viscosa e appiccicosa al tatto: sostanza mósticacea. 2. Riferito ad una pietanza sgradevole, di consistenza gommosa, difficoltosa da masticare: questo piatto è davvero mósticaceo. ◆ Avv: mósticaceménte, in maniera tenace, quasi testarda.

Nicolò Vespini / Paola Zaia / Davide Barbiero



n



narchilare

narchilare v. intr. [dal gr. ναρξιλειωαλλοι, comp. di ναρξιλειω«nuocere-» e αλλοι «agli altri»] ( io nàrchilo, ecc.; aus. avere). Nella tradizione occidentale, termine che indica azioni nefaste e surrettizie contro terzi: n. contro qualcuno; a volte scherz., riferito a persone che parlano appartate: che state narchilando?; in senso figurato riferito allo svilupparsi nascosto di gravi patologie mediche: la malattia che ha portato il paziente al decesso stava narchilando in lui da mesi, prima di essere scoperta dai medici del reparto.

Davide Barbiero / Matteo Benvegnù / Anna Bernardi



p



péndare

péndare (ant. e letter. pendaure; anche pendaaree) s. m. [dal latino scient. avem pendaræ]. 1. In criptozoologia, uccello caratterizzato da ali a curva inversa che gli permettono una maggiore stabilità di volo e da una protuberanza verso l’alto sulla parte superiore del becco, di piumaggio tendente all’azzurro. 2. Nelle credenze popolari, presso alcune popolazioni del Pacifico del sud è considerato un oracolo ed un animale guida. 3. In letteratura, qualche p. in prossimità delle coordinate che conducevano all’isola remota del Monte Analogo, ci indicò la giusta via (René Daumal).

Nicola De Bortoli / Giulia De Gregorio / Simone De Marchi


poncillare

poncillare (o poncisare) v. tr. [der. di poncio, dal lat. poncis, comp. di pon «pontito» e ciso «cisto»] (pres. io poncillo, tu poncilli, ecc.). 1. Pungere ripetutamente una superficie con un oggetto poncio: p. la creta, p. il legno, p. il metallo. 2. In botanica, tecnica tradizionale della popolazione dei Manrudi che consiste nel pungere più volte il fusto delle piante della famiglia delle Pontigacee al fine di modificarne la forma a scopo religioso: p. la pianta.

Martina Sartori / Laura Spagnolo / Oliwia Barbara Spiralska


pownare

pownare (o paónare; anche pawoneggiare) v. intr. [der. dal lat pavoōnis incrociato con lat. nāris]. 1. L’aprirsi della ruota profumata del pavone al fine di attirare l’attenzione della prescelta. L’altra funzione della ruota è strettamente difensiva: il pavone se ne serve per spaventare gli altri animali e disorientare i nemici. ◊ Part. pass. pownato, colui che ama mettere in mostra le sue doti e farsi bello davanti a tutti; anche come agg.; colui che è sconfitto da un avversario in modo umiliante.

Filippo Tovornik / Elena Trovò / Marina Uljančić


prafullo

prafullo s. m. [dal lat. pròfolum, comp. di pro- e folum «che rende folli»]. 1. Sogno bizzarro e particolarmente breve in cui sono coinvolti conoscenti, familiari o amici e che spesso lascia i sognatori turbati al loro risveglio: questa notte sono stato assalito da un p. che mi ha fatto svegliare malamente. 2. fig. Sensazione di confusione e disagio in una situazione di apperente normalità: quella riunione di lavoro è stata un vero p.

Tommaso Gatti / Viola Ghigi / Leonardo Gumiero


pullato

pullato agg. (part. pass. di pullare) [dall’ing. to pull, tirare]. 1. Che è stato messo/spalmato/distribuito in qualche posto o sopra qualcosa: ho la crema pullata; l’olio ben pullato nel piatto. 2. Che è stato investito con un mezzo, tirato sotto, a cui è stato recato danno con un veicolo, ecc.: la povera alce pullata è morta sul colpo; i coni segnaletici dei lavori in corso sono stati tutti pullati, tirati sotto.

Alexandre Pugnaghi / Lorenzo Putinati / Francesco Resini



r



rampigliante

rampìgliante (o rampègliante) agg. e s. m. e f. [part. pres. di rampìgliare]. 1. agg. Che presenta nella sua composizione generale punti arrotondati e appuntiti: quella casa è r.; quell’armadio è r. 2. s. m. e f. Chi, dopo aver passato una serata/nottata al lavoro, riesce ad avere piene forze per affrontare il giorno seguente: dopo la nottata passata al computer come fai ad essere così attivo? Sei r.

Anna Bernardi / Ester Bisighini / Giovanni Bolgan


rasinare

rasinare v. tr. [lat. der. di rasare]. Tagliare peli o piante in maniera esageratamente precisa: r. e farsi r. i capelli o la testa (anche semplicem. rasinare e farsi rasinare); r. il prato o la siepe. ď ˇ Part. pass. rasinato, anche come agg., con senso analogo a spilorcio: è sempre rasinato con i soldi; riferito a persona.

Silvia Marinello / Cristina Neresini / Virginia Padovani


refullare

refullare v. tr. [dal lat. refuctâre] (io refullo, ecc.). 1. Cambiare repentinamente la direzione di un flusso d’acqua attraverso un oggetto. Questo spostamento può essere generato da un’azione umana o da un macchinario: il pescatore refulla con un remo, l’elica della nave refulla. 2. Girare su se stessi velocemente con braccia estese, provocando uno spostamento d’aria. Movimento che viene eseguito da pattinatori e da ballerini di danze popolari: il pattinatore ha refullato un volteggio.

Giovanni Bolgan / Federico Bonamini / Alice Cecchinato



s



sàpimeltico

sàpimeltico agg. [comp. di sapido e melma]. 1. Che è privo di rigidità, con una forma spiritosa e molliccia: questo oggetto è s.; il cibo sul mio piatto è s.; uno slimer s. 2. In senso fig., caratterizzato da un movimento buffo che ricorda gli invertebrati: hai assunto una posa sapimeltica; sei s. quando cammini. ◆ Avv. sapimelticaménte, in modo sapimeltico, in senso fig.: il ragazzo balla sapimelticamente.

Simone De Marchi / Francesco De Zen / Nicholas Di Paolo


sblisciare

sblisciare (o sblisciato) v. tr. [lat. sbliscieratum]. 1. Uscire di nascosto , cercando di non farsi notare, senza salutare: Nonostante tutto quel ragazzo ha cercato di sblisciare via senza farsi vedere. 2. Fare qualcosa di losco, illegale, contro le regole: Quel ragazzo mi ha proposto un affare sblisciato.

Arianna Piermattei/ Sebastiano Preo / Alexandre Pugnaghi


shakiroso

shakiróso agg. [dal lat. shakirosus]. 1. Che presenta abbondanti curve: superficie s., un corpo s., un percorso s. 2. Più com. in senso fig., che provoca vertigini: immagine s.; suoni s. 3. Meno com. in senso fig., scorretto: gesto s. ◆ Avv., shakirÓsamente, con curve, fluidamente, sinuosamente: muoversi shakirosamente nello spazio; ha saputo infiltrarsi shakirosamente nella difesa avversaria.

Francesco De Zen / Nicholas Di Paolo / Mouhamadou Habib Diaw


strafa

strafa s. f. agg. e s. m. e f. [dal verbo lat. strafare, der. di strafus-utis «disordine, scompostezza» e dal gr. στραφις «cose disordinate, scomposte»]. Riferito a persona che in un luogo pubblico, in un ambiente formale o sul posto di lavoro (es. a teatro, al museo, in ufficio), si presenta in pigiama. È usato soprattutto come epiteto ingiurioso: era proprio s., sei una s., c’è chi nasce s.; c’è chi diventa s. Nel linguaggio comune può indicare anche una persona che si presenta disordinato, arruffato, scompigliato nell’aspetto o nel vestiario. L’origine potrebbe essere ricondotta al verbo napoletano sciglià, «disordinare» o alla ricorrente espressione offensiva del politico italiano Cetto: Ah caino, ah s.!

Laura Spagnolo / Oliwia Barbara Spiralska / Silvia Stramare


stranzi

stranzi (o strenzi; anche strinzi) agg. [dal lat. stranzus]. 1. Che è in stato di apparente calma ma si intuisce un sub-stato di prossima attività: era un po’ s. 2. Di persona che non si muove per carattere lo farà presto: sedeva in poltrona in uno stato di s. 3. Di persona calma ma pronta ad attivarsi in molteplici impegni: aveva un’espressione o comportamento s. 4. Come esortazione amichevole a stare calmo: stai s.

Davide Pegorari / Matteo Pellizza / Erica Pellizzaro



t



tarmino

tarmino (o tarmo; anche tarminato o tarmelo) agg. e s. m. [da una pronuncia pop. tarmò dal greco tanrom tarfollato]. 1. agg. Che ha il colore del rampiglio (intermedio fra il tarmallo, piÚ chiaro, e il verdierello, piÚ cupo): il rampiglio t. nel bosco. 2. s. m. a. Il colore tarmino, che costituisce uno dei dieci colori del fastello: t. chiaro, intenso, ecc.; un rosso che tende al tarmino. b. In chimica, sostanza molto viscosa, utilizzata generalmente per tingere fibre tessili e lacche. Tarminato polverato (o pietra Tarmia), polvere di tarmino, usato come pigmento di base per la tintura.

Tommaso Marcon / Silvia Marinello / Cristina Neresini


travinziare

travinziare (o travinzia; anche travinzio) v. intr. e tr. [der. del lat. tardo (e ital. ant.) tranziare, che aveva lo stesso sign.] ( io travinzio, ecc.). Oggetto di tortura inventato nella Cina Antica e poi esportato in tutto il mondo. Ancora oggi è utilizzato per far testimoniare criminali pericolosi nei paesi in cui vige la pena di morte. Ha molti strumenti che si possono utilizzare nello stesso momento; l’uomo fu travinziato dalla polizia.

Sebastiano Preo / Alexandre Pugnaghi / Lorenzo Putinati




v



varcire

varcire v. tr. (pres. ind. io varcisco, tu varcisci egli varcisce, ecc), (aus. avere). 1. Ottenere, arrivare a, conquistare qualcosa di difficile e prolungato nel tempo. Riuscire a raggiungere un obiettivo desiderato utilizzando la forza fisica. Aver varcito qualcosa, cioè aver conseguito un traguardo importante: lo scalatore varcisce la vetta della montagna. 2. Varcito agg. m. sing. solitamente abbinato a un luogo o un territorio, rivendicato dal soggetto come proprio: la popolazione non potè entrare nel territorio perchÊ varcito dai nemici.

Matteo Pelizza / Erica Pellizzaro / Tommaso Pesiri


vitullo

vitullo (ant. vetullo) s. m. [dal lat. vetullum arnese utilizzato nell’antichità per decorare le anfore]. 1. Strumento realizzato in più materiali, utilizzato per praticare fori nel terreno, per sondaggi o estrarre campioni, per la posa di pali, nell’agricoltura, e in altri settori di intervento, formato da un braccio utilizzato come manovella e da un’estremità perforante conica. 2. fig. Si dice di una persona caparbia, testarda, che persiste nelle decisioni prese, giuste o sbagliate che siano: come agg. sei un v.; come sost. non agire come un v. Dim. vitullino; accr. vitullone

Francesca Lorenzi / Maria Angela Mancini / Claudia Mandara




z



zigliolare

zigliolare v. intr. [dal fr. tardo medievale zilluion «zotico lavativo»] (io zigliolo, ecc.). 1. Attendere passivamente il passaggio del tempo mentre ci si dedica ad attività futili. 2. Far dondolare il proprio corpo, spostando il peso da un piede all’altro in modo lento ed alternato. ◆ Part. pass. zigliolato, anche come agg.; aver raggiunto uno stato di equilibrio mistico, dovuto all’utilizzo di sostanze che alterano lo stato di coscienza.

Valerio Romano / Martina Sartori / Laura Spagnolo



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