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La Lombardia e le Alpi Redazione: Club Alpino Italiano, Sezione di Milano

via Duccio di Boninsegna 21/23 - Tel 02 86463516

Il ruolo strategico della Sezione di Milano photo STEFANO GUSMEROLI

Spazio Oberdan

Cronistoria di un grande evento

di ROBERTO SERAFIN

mmagini fisse e in movimento, parole, musiche, un tocco di magia “multimediale”: la mostra dedicata alla “Lombardia e le Alpi” allo Spazio Oberdan di Porta Venezia che la Provincia ha messo a disposizione ha ancora molto da raccontare. Stimoli e idee ancora zampillano da questo progetto fortemente voluto dalla sezione di Milano del Club Alpino Italiano e dalla Provincia. Per alcuni è stato un evento raro e inaspettato, circondato sulle prime da un ingiustificato scetticismo e poi rapidamente cresciuto nella considerazione di amici e soci delle molte sezioni lombarde del CAI che hanno fatto a gara per mettere a disposizione la loro “argenteria”. Una vera rivelazione per Milano, metropoli che negli anni del boom ha riempito i propri sogni di spiagge assolate e festose, ma che le montagne le ha da sempre sotto gli occhi e quasi non se ne accorge quando il cielo è sereno e soffia il fohn, con le Lepontine che fanno capolino in fondo a corso Sempione, inquadrate sotto l’Arco della Pace. Preludio a questa riconquista milanese delle montagne che ci si augura duratura è stata dunque questa rassegna in cui la Lombardia ha fatto i conti con una passione rimasta a lungo sotto traccia, dispersa in mille rivoli, alimentata da appassionati “de gamba bona”, penne nere, irriducibili corridori d’alta quota, arrampicatori, sciatori. Da sottolineare allo Spazio Oberdan la presenza del più famoso dei quadri che meglio rappresentano una “mount city” piantata in mezzo alla pianura (Milano, ovvero la mediolanum dei latini): è stato quasi un pellegrinaggio quello che i cinquemila visitatori hanno compiuto per ammirare “Il Duomo di Milano”, una tempera su olio del 1958 dipinta da Dino Buzzati (19061972), grande firma del Corriere della Sera. Ed è

significativo che il Duomo con le sue guglie di roseo marmo di Candoglia sia stato dall’autore, stregato dalle montagne, riplasmato in un susseguirsi di guglie calcaree che simulano le magie dei Monti Pallidi. Milano non è soltanto nebbia e smog e abbandonarsi ai sogni non costa niente, anche in tempi di crisi. Buzzati a parte, nella capitale dell’editoria le occasioni per una diffusa mediatizzazione della montagna non sono mai venute a mancare. Un esempio? Alla fine dell’Ottocento il Corriere della Sera confezionò un allettante numero alpinistico esposto in mostra. Una rarità assoluta. Del resto, nel 1931 all’ombra della Madonnina nasce, o meglio rinasce dalle ceneri di precedenti esperienze, Lo Scarpone. Una testata gloriosa, testimonianza di una passione che attraversa i tempi e i regimi. Oggi soppresso nella versione cartacea dalla dirigenza del Club alpino, il giornale inventato dal giornalista Gaspare Pasini, socio della Società Escursionisti Milanesi, agganciò molte sezioni del CAI promuovendone le attività e al tempo stesso si rifece ai grandi quotidiani generalisti ospitando grandi firme come quelle dei “corrieristi” Buzzati, Cesco Tomaselli, Giovanni Cenzato. Acqua passata, ma il futuro ha un cuore antico. La montagna è stata protagonista nel 1906 all’Esposizione universale ai Giardini Pubblici e ha avuto una luminosa vetrina all’alba del terzo millennio con il progetto Milanomontagne patrocinato dalla Regione e organizzato dal comitato EVK2CNR. Ed è ragionevole ipotizzare che un ruolo di primo piano le sia assegnato anche all’ormai imminente Expo 2015. Una sfida che la maggiore sezione milanese ha raccolto e rilanciato alle sue consorelle e di cui queste pagine costituiscono un utile pro memoria. ■

Gestire rifiuti in alta montagna è complesso e costoso: meglio portare i rifiuti a valle, dove potranno essere conferiti nella raccolta differenziata, presente in più del 90% dei Comuni italiani, compresi quelli più sperduti.

Oggi in Italia la raccolta differenziata degli imballaggi in plastica sfiora le 700.000 tonnellate, il tasso di recupero complessivo è del 71%.

Dal 1998 al 2011 la percentuale di riciclo in Italia è passata dal 37% a circa il 90%: 4 imballaggi cellulosici su 5 vengono oggi avviati a riciclo.

Classificata “grande evento” in una lettera del 9 giugno 2011 dalla commissione del CAI per le celebrazioni del 150° anniversario, quindi con impegno di contributo economico, la mostra “La Lombardia e le Alpi” ha iniziato la sua gestazione nella vecchia sede della Sezione di Milano con affaccio nella Galleria Vittorio Emanuele. Mancavano due anni all’evento, ma per la cordata dell’organizzazione non sembrò esserci tempo da perdere. L’impegno se lo è preso Lorenzo Revojera, socio benemerito, che della commissione centrale fa parte e che ha tutti i requisiti, come storico dell’alpinismo, per mettere in piedi un evento che gli si attaglia alla perfezione. La titolarità dell’iniziativa viene assunta dal CAI Milano e manifestata con lettera del 4 ottobre 2011 al presidente

generale Umberto Martini a firma presidente milanese Giorgio Zoia, mentre si apre la collaborazione con la segreteria della sezione in vista della nascita di un gruppo di lavoro. Incontri e contatti con possibili sponsor e rappresentanti della Provincia per la concessione dello Spazio Oberdan impegnano nel 2012, con il gruppo di lavoro, Revojera e Zoia. Si interpellano possibili prestatori, senza i quali ogni sforzo sarebbe vano. Fra gli altri il Museo Scienza e Tecnologia per i cimeli del K2, il Fondo Ambiente Italiano per i cimeli di Guido Monzino custoditi a Villa Balbianello, la Cineteca del CAI per la mostra e il film su Alfonso Vinci, Giorgio e Laura Aliprandi che metteranno a disposizione carte rare e introvabili. CONTINUA A PAGINA 6

photo FILIPPO PODESTÀ

Così è stata classificata la mostra dalla commissione del CAI per le celebrazioni del 150° anniversario

In viaggio con alcuni degli amici più illustri delle montagne lombarde e del Club Alpino Italiano

I lombardi alle prime scalate di GIORGIO ZOIA

L’inquadratura insolita del versante nord del Pizzo Badile che ha accompagnato la mostra allo Spazio Oberdan è densa di suggestioni. Si individuano anche i vassalli della celebre montagna, dalla punta Sertori alla Trubinasca, e ciò vuol dire apertura alle altre vette lombarde. La foto (realizzata dal fotografo Roberto Ganassa del gruppo Clickalps) richiama al pensiero la celebre impresa di Cassin del 1937, che proiettò d’un tratto una parete delle Alpi Lombarde nel novero dei colossi più ambiti dagli scalatori di tutto il mondo, e quell’impresa fra le più ammirate del nascente alpinismo estremo. Nessuna immagine, dunque, è più adatta di questa a condensare il significato della mostra: essa ha l’ambizione di rappresentare – limitatamente allo spazio disponibile, con l’obbligo di scegliere fra una miriade di eventi, di cimeli, di immagini, di documenti, di ricordi tutti importanti per chi frequenta i nostri monti – la storia di un amore che dura da centocinquant’anni: l’amore dei lombardi per le loro montagne prima, poi

per quelle di tutto il mondo. E non solo dei lombardi di nascita; ma anche dei lombardi adottati, e Cassin ne è un esempio, lui friulano fattosi lecchese; vedi caso, proprio ai piedi di quei monti sorgenti dall’acque che di più lombardi non ce n’è. Il lombardo adottato più insigne presente alla mostra risale addirittura al ‘500; quel Leonardo che per primo raffigurò le Grigne e le Prealpi lombarde in un disegno databile 1511, conservato alle Raccolte Reali di Windsor. La capacità dei lombardi di considerare come uno di loro ogni ingegno valido viene da lontano… La mostra è stata curata con passione da un gruppo di soci della Sezione di Milano del CAI e della SEM, con l’aiuto di altri soci delle Sezioni lombarde, di istituzioni e di privati che hanno generosamente collaborato con prestiti di ogni tipo. Ad essi vada il mio ringraziamento, come pure al Vicepresidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Milano, Umberto Novo Maerna, che ha posto a disposizione il prestigioso Spazio Oberdan. ■

Dallo Spazio Oberdan alla Piramide del CNR sulle pendici dell’Everest

Un consorzio che ama la montagna

Il messaggio è arrivato puntualmente tra le bacheche dello Spazio Oberdan grazie al Cobat, consorzio nazionale per la raccolta e il riciclo: l’ecosistema alpino va tutelato anche con un’accorta strategia per una gestione integrata di varie tipologie di rifiuti. “Sono 25 anni che il Cobat opera su tutto il territorio”, spiega il presidente Giancarlo Morandi, “attraverso la sensibilizzazione e l’informazione ai cittadini, rendendosi promotore di comportamenti virtuosi. La nostra

esperienza è considerata la più avanzata non solo nel settore di pile e accumulatori, ma anche di pneumatici fuori uso, apparecchiature elettriche ed elettroniche e pannelli fotovoltaici giunti a fine vita”. L’operare del Cobat

Queste pagine

LE ALPI

AL POPOLO A PAGINA 2

Presidente della Sezione di Milano del Club Alpino Italiano

photo CLICKALPS - ROBERTO GANASSA

I

Un’avventura cominciata in Galleria Vittorio Emanuele

si estende in effetti fino alle alte quote himalayane come dimostra la recente missione alla Piramide, base di ricerca del Cnr alle pendici dell’Everest. Qui, con la partecipazione dello stesso presidente Morandi, provetto alpinista, sono stati sostituiti moduli e batterie: più di due tonnellate di materiali portati su a dorso di yak, come riferisce un appassionante servizio sul supplemento “Sette” del Corriere da cui è tratta l’immagine che pubblichiamo per gentile concessione. ■

EVENTI

COLLATERALI A PAGINA 3

LA MOSTRA

SALA PER SALA A PAGINA 4

CARLO NEGRI MAESTRO DI ALPINISMO

A PAGINA 6

PELLEGRINA DELLE ALPI

A PAGINA 7

GLI SPONSOR DELL’EVENTO

Quando la montagna richiede nuova energia Quando la montagna chiede nuova energia

A PAGINA 8

IL COBAT C’È

IL COBAT C’È: 25 anni di attività

dall’Himalaya alle valli delle Alpi sono la Batterie di testimonianza accumulatori elettrici e pannelli hannoimpegno migliorato la migliore delfotovoltaici nostro qualità della vita anche nei rifugi di montagna. Noi di Cobat interveniamo

quando questi elementi www.cobat.tv terminano il loro ciclo attivo, awww.ottandaduecobat.it salvaguardia del www.cobat.it delicato ambiente delle terre alte. 25 ANNI DI ATTIVITÀ dall’Himalaya alle valli delle Alpi sono la migliore testimonianza dell’impegno di Cobat.

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Novembre 2013 - la Lombardia e le Alpi

Storia e società

E Milano spalancò le Alpi al popolo

Lorenzo Revojera, capocordata nell’organizzazione della rassegna allo Spazio Oberdan di cui è stato l’ideatore, rievoca una pagina gloriosa dell’alpinismo “cittadino” che divenne preziosa risorsa per le classi lavoratrici nel contesto dello sviluppo industriale della metropoli lombarda Sottile indagatore di quella “magnifica ossessione” che è la montagna, il milanese Lorenzo Revojera ha fatto la sua parte come alpinista diventando una colonna portante della Società Universitaria del CAI (SUCAI). Ma soprattutto ha raccontato le Alpi tanto amate mettendo a frutto, lui ingegnere, la sua vocazione innata per la scrittura. Tra i suoi libri vanno citati Storie di casa e di montagna (patrocinio della Sezione di Milano del CAI, 1994), Sui monti fioccano (Persico, 2000), Un patrizio milanese verso la modernità (Persico, 2004), Milano e le sue montagne uscito con la sua regia per il CAI nel 2002. Capocordata nel gruppo di amici che ha concepito e realizzato “La Lombardia e le Alpi”, ha colto l’occasione per approfondire un argomento che gli sta particolarmente a cuore: l’affermarsi agli inizi del secolo scorso, nel contesto dello sviluppo industriale di Milano, di un alpinismo di matrice popolare incentivato dalle élites che in città avevano rivolto per prime l’attenzione alle montagne. “La vocazione industriale e commerciale di Milano”, spiega Revojera, “iniziò a delinearsi, come è ben noto, alla fine dell’800 per raggiungere la sua consacrazione a livello internazionale con l’Esposizione Universale del 1906, coincidente con l’apertura del traforo ferroviario del Sempione che assicurò un collegamento rapido con l’Europa centrale. Lo sviluppo produttivo non si fermò al nucleo cittadino ma si estese ad altri centri abitati lombardi; Sesto San Giovanni, ad esempio, intorno al 1910 da borgo rurale di 5000 abitanti si trasformò in polo industriale con la Breda, la Falck,

la Magneti Marelli, la Campari, la Pirelli…”. Una crescita così impetuosa quali ripercussioni sociali ebbe nel mondo dei lavoratori? “Di fatto il problema operaio si presentò a Milano per la prima volta in Italia; la preoccupante condizione dei lavoratori venne alla luce con le prime inchieste negli anni Ottanta; fu scritto: a Milano esiste un quarto dei depositi nazionali a risparmio, però ottomila persone risultano senza domicilio; l’orario di lavoro era di undici ore quotidiane per una paga giornaliera variabile da una lira a due lire e mezzo. Poche industrie, sulle 682 che esistevano in città nel 1882, concedevano agli operai il riposo domenicale, che fu fissato per legge solo nel 1907. Le condizioni di orario, di riposo, di sicurezza e di igiene, erano lasciate alla coscienza degli imprenditori”. In che modo la montagna divenne un utile strumento per migliorare la qualità della vita? “La classe operaia si organizzò. Il primo congresso del partito dei lavoratori italiani ebbe luogo a Milano nel 1891: nello stesso anno si costituì la prima Camera del lavoro, sempre a Milano. Da allora, l’azione politica sviluppata dalla città assunse grande rilievo nel paese e molti fenomeni politico-sociali nazionali ebbero la loro incubazione proprio a Milano. Le reazioni alle condizioni di vita dei lavoratori in Lombardia, in presenza di un travolgente quanto disordinato sviluppo industriale, furono numerose. Accanto ai sindacati e alle Camere del lavoro, quasi tutti organismi di matrice socialista, nacquero le Associazioni di mutuo soccorso, ad alcune delle

quali non furono estranei i parroci locali; e – per quanto qui ci interessa – le prime società sportive”. Che ruolo ebbe il Club alpino nell’incentivare la frequentazione della montagna da parte delle masse popolari? “Ci si rese ben presto conto che quei monti sullo sfondo della pianura lombarda non erano irraggiungibili, e che c’erano dei “signori” di un certo Club alpino che le conoscevano bene. Ma quegli stessi signori non erano tutti d’accordo nell’ammettere fra loro appartenenti a classi sociali meno evolute; un autorevole socio del CAI di Torino, Adolfo Hess, quando ormai la questione dilagava e inquietava i benpensanti, promosse nel 1913 sulla rivista del CAI una sua personale inchiesta, raccogliendo risposte da alpinisti italiani ed esteri a questi due quesiti: esistono le forme “aristocratica” e “democratica”dell’alpiA una grande escursione nel nismo? Le Società Alpine hanno esse lo scopo Cadore è dedicata questa tavola di Achille Beltrame sulla Domee l’interesse di favorire nica del corriere del 28 settembre 1913 che ritrae i partecipanti la forma “democratica” milanesi alla Forcella di Lavaredo. (o popolare), posto che bonini” ebbe fasi alterne e del CAI Milano. Egli così esista? Le risposte numerosi concluse nel 1891, ma in enunciava il programma del sissime, di firme autorevoli, quello stesso anno – adottannuovo sodalizio: diffondere respinsero nel loro complesdo il motto “col popolo, per la pratica dell’alpinismo anso ogni apertura “democrail popolo” – l’acronimo SEM che per le classi lavoratrici e tica” – aggettivo che a quei fu recuperato e nacque una meno abbienti della città, fra tempi apparteneva all’area nuova Società Escursionisti tutti coloro che per una serie culturale socialista”. Milanesi a carattere prettasvariatissima di circostanze I ceti popolari però asmente alpinistico”. si sarebbero trovati a disagio sunsero autonomamente Quale fu la reazione del nelle file del consorzio alpil’iniziativa di frequentare CAI? nistico italiano. La “Gamba le montagne… “Nel CAI Milano predomibona” fu di poco preceduta “A Milano fin dal 1884 nava allora il ceto borghese e nel tempo solo dalla “Società si era costituita la Società aristocratico e i suoi dirigenAlpina Operaia A. Stoppani” Escursionisti Milanesi ti – coscienti delle necessità (SAOAS) che – come ricorda “Gamba bona” fra artigiani, sociali – incoraggiarono la una lapide posta sul Resegoimpiegati e operai appasnascita della SEM, tant’è che ne un secolo dopo – fu fonsionati di podismo e di pastra i fondatori figurò Frandata nel 1883 “in un radioso seggiate in montagna. Sede cesco Bertani, noto profesmattino di maggio” da un sociale in via San Fermo 11. sionista e autorevole socio gruppo di operai lecchesi”. L’esperienza dei “gamba-

Quando le gite profumavano di narcisi Al termine di una narcisata i soci del Club Alpino Operaio Comasco celebrano la festa del narciso con un fantasioso stemma intessuto di questi profumatissimi fiori.

operaio consiste soprattutto in una frequentazione turistica di alcuni luoghi del circondario comasco, con gite collettive che vedono coinvolti numeri imponenti di soci operai. Alle tradizionali gite sociali si affiancano manifestazioni, sportive o meno, che vanno dalle gare e dai raduni sciistici e podistici alle gnoccate, alle fragolate, alle panettonate in capanna, alle castagnate. Di grande popolarità erano negli anni Trenta e Quaranta, e anche nel dopoguerra, le narcisate, come suggerisce l’immagi-

ne della festa del narciso del CAI, con gli enormi mazzi affidati alle ragazze mentre lo stemma sociale sovrastato dall’aquila è costruito da centinaia di queste amarillidacee appena recise. A proposito, il nome narciso deriva dalla parola greca narkao (stordisco) con riferimento al profumo inebriante dei fiori che in primavera riempiono i prati delle Prealpi. Un profumo che evoca ancora, in chi ha raggiunto il traguardo della terza età, un’atmosfera d’altri tempi, un modo diverso di di-

fu colui che impresse una svolta decisiva alla questione. Dotato di carisma personale – le sue conferenze sulla montagna fra il 1904 e il 1943, più volte replicate e raccolte nel volume “Le Alpi al popolo” pubblicato nel 1945, erano affollatissime – di capacità organizzativa e aggregante, intuì che era giunto il momento di mostrare a chi viveva chiuso in città la realtà della vera alta montagna. Basta quindi con le facili passeggiate e le brevi escursioni sulle Prealpi lombarde: nel 1911, cinquantenario dell’unità d’Italia, Tedeschi parte con la prima delle “gite alpine popolari” – alimentate soprattutto da lombardi – al passo di Zocca (2749 m) in Val Masino, appoggiandosi, con sagacia mediatica, al “Corriere della sera” e ad altri organi di stampa, nonché a una compagnia di Alpini per i pernottamenti in tenda. Il successo è straordinario: 20 lire di iscrizione, 626 partecipanti dei ceti più diversi, moltissimi esclusi con forti proteste. Nessun incidente. Tutti compiono la traversata fino alla Val Bregaglia e in 200 raggiungono la vetta della Cima di Castello (3215 m). Tedeschi si commuove al vedere nel gruppo le ragazze della Società Mediolanum “simpatiche nei loro abiti maschili nascosti in parte dalle corte gonne, coi volti arrossati dal sole, coi capelli in leggiadro disordine...”. Le “gite alpine popolari” furono ripetute nel 1912 e 1913, nella zona Rosa-Cervino e alla Forcella Lavaredo con la collaborazione del Touring Club, sempre con ugual successo e migliaia di partecipanti. L’apertura delle associazioni – e dell’alta montagna – ai ceti popolari era ormai un fatto compiuto”. ■

Cartografia storica

Stili di vita Così i lombardi si godevano la montagna

Il termine “operaio” ricorre nelle sigle di alcuni gloriosi sodalizi legati alla montagna. A Trento la Sezione Operaia Società Alpinisti Trentini (SOSAT) da quasi un secolo tiene alta la bandiera dell’alpinismo trentino vantando un complesso corale che ha ben pochi rivali nel mondo della coralità alpina. Nel 1911 nasce in Lombardia l’Unione Operaia Escursionisti Italiani (UOEI), fondata con il motto “per il monte contro l’alcool” allo scopo di migliorare le condizioni sanitarie e di vita dei lavoratori. In pochi anni l’UOEI si rafforza e supera la soglia dei 10 mila soci, suddivisi in una quarantina di sezioni prima di confluire per legge, nel 1931, nelle sezioni territoriali del CAI. L’amore per la montagna e la solidarietà sono in quegli anni l’emblema del Club Alpino Operaio di Como. Anche qui scopo ideale delle attività è quello di contribuire al riscatto dei lavoratori dalle difficili condizioni di vita quotidiana e di lavoro. Come spiega lo storico Alessandro Pastore (Il Club alpino operaio di Como di Giuseppe Vaghi, Nodo Libri, 2011), resta lontano, diversamente da quanto avveniva per il CAI, l’interesse per la dimensione scientifico-naturalistica dell’alpe. L’alpinismo

Come si sviluppò l’alpinismo del popolo? “A Como la tradizionale industria serica alimentava molte irrequietezze nel proletariato, quando da una singolare alleanza fra gli industriali più avveduti e la popolazione operaia del quartiere San Rocco nacque un’associazione dedita all’esplorazione dei monti comaschi. L’intervento, organizzativo e economico, dei notabili tendeva altresì a sottrarre la mano d’opera alle tentazioni dell’alcol, dell’ozio e anche della politica; lo stesso del resto era avvenuto per la SAOAS, col patron senatore Mario Martelli. Nacque così nel 1885 il “Club Alpino Operaio” (CAO) che si distinse per le “gite collettive”, con partenza al sabato sera e marcia notturna “al suono brioso della fanfara sociale … per combattere il sonno”. Nel giugno 1911, a Monza, ebbe vita l’”Unione Operaia Escursionisti Italiani” (UOEI) per iniziativa di Ettore Boschi e pochi amici, fra cui Claudio Treves, Giovanni Bertacchi e Leonida Bissolati, socialista riformista. Il motto era significativo: per il monte, contro l’alcool. Da una costola dell’UOEI nacque nel 1920 l’APE (Associazione antialcolica Proletari Escursionisti): inizialmente attiva ad Alessandria, aveva connotazione rigorosamente ideologica di stampo socialista massimalista. Ebbe sezioni attive a Como, Milano, Bergamo, Lecco e Cantù”. La stampa seppe appoggiare e favorire il nuovo fenomeno delle “Alpi al popolo”? “Mario Tedeschi (18731944), eletto presidente del CAI Milano dopo Brioschi,

vertirsi. Non solo al Tivano, ma anche su verso Brunate lo splendore di prati biancheggianti di narcisi richiamava gruppi di giovani per la narcisata, la madre di tutte le gite perdute. A documentare queste gite è Silvio Saglio della Società Escursionisti Milanesi, illustre storico e autore di guide. Oggi il narciso è un fiore protetto, guai a raccoglierlo. ■

Una collezione unica al mondo Nella scintillante vetrina dello Spazio Oberdan, una delle maggiori attrazioni riguardava l’area dedicata alle rare carte messe e disposizione da due straordinari collezionisti e studiosi, i milanesi Laura e Giorgio Aliprandi. In Italia gli Aliprandi possono essere considerati come gli studiosi più avanzati Dalla collezione Aliprandi proviene nell’ambito della la carta (un dettaglio qui sopra) che cartografia stori- accompagna la “Relazione di Monviso et ca alpina, giacché dell’origine del fiume Po” pubblicata nel prima di loro mai 1627 da Valeriano Castiglione. si era affrontato lo Realizzata da Giacomo Antonio Biga, studio di questa di- riporta una misura dell’altezza di 3825 m sciplina con simile sorprendentemente inferiore di soli 16 m a ampiezza e varietà quella ora stimata. di prospettive. Normalmente impegnati nelle rispettive professioni di medico e farmacista, il loro impegno e la corretta metodologia di studio li hanno portati a raggiungere l’alto grado di vera ricerca scientifica a livello accademico. “Ritengo che anche il loro collezionismo mirato non solo al puro possesso, bensì al suo utilizzo a fini culturali sia un loro titolo di merito e un significativo esempio da imitare”, è l’opinione di Angelo Recalcati, a sua volta storico e collezionista, che ha avuto più volte l’occasione di confrontarsi per ragioni di studio con gli Aliprandi. ■


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la Lombardia e le Alpi - Novembre 2013

Un succcesso decretato da 5˙000 visitatori

Otto sale colme di oggetti, fotografie, testimonianze Al progetto ha collaborato sotto la guida di Lorenzo Revojera un gruppo eterogeneo di persone che per un anno hanno lavorato per reperire, organizzare e valorizzare materiali sparsi tra le diverse sedi lombarde del CAI, musei, archivi e collezioni private. Otto sale colme di oggetti, fotografie, testimonianze. Un tema specifico per ogni sala. Uno spazio dedicato alle video-proiezioni. Quasi 5000 visitatori. Questi alcuni dati relativi alla mostra La Lombardia e le Alpi, che è rimasta aperta presso lo Spazio Oberdan di Milano dal 17 maggio al 7 luglio 2013. La mostra è nata con l’intento di celebrare i 150 anni del CAI, fondato a Torino il 23 ottobre 1863 da Quintino Sella. Come già il nome lascia intendere, fulcro della mostra è proprio la storia dell’alpinismo lombardo, la storia della conoscenza delle Alpi e del turismo alpino. Inoltre si è voluto sottolineare e testimoniare il rapporto di forte relazione e attrazione che le città e i paesi lombardi hanno sempre avuto con il mondo della montagna; rapporto che forse ultimamente, con le nuove generazioni, si sta un po’ perdendo e manifestazioni come questa possono cercare di ravvivare. È stato per merito di Lorenzo Revojera, socio emerito del Club Alpino di Milano, che è partito il progetto:

egli ha raggruppato un insieme eterogeneo di persone per età, esperienza e competenze che per un anno ha collaborato per reperire, organizzare e valorizzare al meglio la gran quantità di materiali sparsi tra le diverse sedi lombarde del CAI, musei, archivi e collezioni private. Ogni due settimane il comitato organizzativo formato da Lorenzo Revojera, Roberto Serafin, Angelo Recalcati, Marco Polo, Lorenzo Serafin e Anna Girardi si è ritrovato per confrontarsi, dividersi i compiti ed aiutarsi. Preziosissima è stata la disponibilità di tutti coloro che son stati chiamati a collaborare, dai prestatori che per due mesi hanno lasciato oggetti anche di gran valore in mostra, agli autori dei testi per le didascalie e per il catalogo, a Davide Necchi che si è occupato di tutto l’apparato elettrico, a Lorenzo Renato che ha “rispolverato” l’immenso materiale custodito nell’archivio storico del Cai Milano, a tutte le sezioni lombarde che, in un modo o nell’altro, hanno partecipato alla realizzazione finale inviando materiale, gagliardetti e quant’altro.

Sotto la guida di Marco Polo Determinante è stata, nella “cordata” della mostra, la partecipazione di questo istruttore del CAI che ha messo a disposizione la sua consumata esperienza alpinistica

photo FILIPPO PODESTÀ

Per non perdere l’orientamento fra teche, bacheche e pannelli della mostra determinante è stato l’apporto di Marco Polo nel comitato organizzatore: una guida sicura non solo in coerenza con un nome tanto impegnativo, ma per un ruolino di marcia alpinistico di tutto riguardo. Marco, istruttore nazionale del CAI, non soltanto ha diretto per tre anni la prestigiosa scuola d’alta quota “Parravicini”, ma ha fatto parte dello squadrone di italiani che per la prima volta nel 1972 hanno calcato la vetta dell’Everest. Di esperienze alpinistiche ne ha accumulato a bizzeffe, nelle Alpi e altrove nel mondo, come dimostra una voluminosa brochure che Marco mette volentieri a disposizione degli amici, intitolata significativamente “Alla ricerca del tempo passato”. Una raccolta di relazioni, verbali, immagini con rari e sobri commenti in sintonia con quella sua modestia

venata di puntiglio, quella sua fiducia nel prossimo che nasce da ferrei principi e stili di vita. Non a caso Marco ha scelto, nella vita lavorativa, di far parte del Corpo Vigili di Milano, responsabile della sezione Nucleo Mobile. Oggi, raggiunta l’età della pensione la principale vigilanza che continua a esercitare con scrupolo è quella sui nipotini che gli vengono affidati.Un tratto saliente del suo carattere, per concludere, è lo spirito di avventura con cui ha affrontato questa insolita scalata. Il che, unito a un’innata curiosità e alla sua scrupolosità, ha fatto di Marco Polo un eccezionale compagno di scalate per chi si è preso cura della mostra: sempre disponibile ad accollarsi incarichi di ogni genere e a offrire la propria consulenza nei tratti più “alpinistici” della rassegna. Grazie, caro Marco, e alla prossima! ■

Essendo una manifestazione nata per celebrare 150 anni di storia, le prime sale son state dedicate ad un percorso ideale che conduce dalla preistoria della frequentazione della montagna - quando ancora le Alpi erano popolate di mostri immaginari - alla creazione delle prime società alpinistiche europee, fino al delinearsi delle attività sociali delle sezioni CAI. È stata realizzata, poi, una sezione dedicata a I nostri padri, dall’Abate Stoppani al Papa Ratti, una dedicata agli Accademici, una alle diverse attività del Cai, una alle grandi spedizioni sull’Everest ed il K2, una alla letteratura di montagna, una all’evoluzione delle attrezzature, una alle fotografie di grandi alpinisti, una a modellini di rifugi e tanto altro ancora. Tutto ciò che è stato esposto è sapientemente raccolto e approfondito nel catalogo, realizzato da Roberto Serafin, in vendita presso la sede del Cai Milano, la libreria “Monti in città”, il “Libraccio” di viale Vittorio Veneto e la libreria Hoepli. Ma il progetto La Lombardia e le Alpi non si è esaurito con la chiusu-

ra dei battenti allo spazio Oberdan: dopo il grande successo ottenuto – è stata la seconda mostra più visitata nella stagione allo spazio della Provincia – si è pensato di rendere la mostra, o alcune sezioni di essa, itineranti, onde evitare che tutto ciò che è stato realizzato rimanga sigillato in una cantina per anni. Come spiega Lorenzo Serafin (architetto che si è occupato dell’allestimento) al Corriere della Sera, «in programma ci sono già quattro tappe: Varese, Cremona, Tradate e Bovisio Masciago. Di sicuro, le 200 fotografie e i 50 pannelli descrittivi si sposteranno in blocco. Più complesso sarà far viaggiare i 200 oggetti delle collezioni private». Sì, perché in realtà i numerosi pannelli, realizzati tutti con una grafica che li caratterizza e rende unici, bastano da soli a raccontare una storia fatta di scoperte, conquiste, emozioni, trionfi, sconfitte, che questa mostra si è proposta di raccontare a tutti, ricordare a chi è già nell’ambiente e spiegare a chi, del tutto ignaro, si è lasciato incuriosire ed affascinare. Anna Girardi

In cifre

• 700 mq di superficie espositiva • 655 mq di sviluppo pareti espositive, • 50 vetrine piane orizzontali • 5 nicchie espositive • oltre 50 pannelli descrittivi • 350 didascalie • 3 roll-up • 1 parete retroilluminata, • 50 mq di grafiche applicate a parete, • 2 postazioni video • 1 installazione audio • 2 manichini • oltre 200 foto e immagini • oltre 200 tra oggetti esposti e pubblicazioni • 5000 visitatori • 2600 firme sul “libro del rifugio” posto all’ingresso. • 112 le Sezioni del Club Alpino Italiano di appartenenza dei visitatori (dati desunti dal citato libro delle firme, di cui 30 non lombarde (fra cui Roma, Torino, Palermo, Novara, Trento, Uget Torino, Novara, Bassano, Chieti, Teramo, Bologna). Nota: il libro visitatori offre una gamma divertente di commenti (tutti favorevoli) e anche illustri firme tra cui, molto ambita, quella di Giulia Maria Crespi presidente onorario del Fondo Ambiente Italiano.

Cultura alpina

L’attrazione fatale di Recalcati

Storico, alpinista, apostolo della cultura alpina, ha messo in mostra allo Spazio Oberdan alcuni dei suoi tesori più preziosi Libri antichi ormai introvabili e poi stampe, immagini e cimeli raccolti in una vita di studi e ricerche. Ne trabocca ogni anfratto dello studio milanese di Angelo Recalcati in piazza Baiamonti, che un po’ fa pensare al forziere di Paperon dei Paperoni rigurgitante di dollari “movimentati” con giganteschi trattori. Qui invece il visitatore resta stupito per la facilità con cui quei preziosissimi volumi di montagna e di natura di tutto il mondo e di ogni epoca si lascino, nonostante l’affastellamento, rintracciare con estrema facilità da Recalcati, collezionista, storico della montagna, alpinista di valore. E sopratutto archivio vivente la cui memoria supera per numero di bit i computer più evoluti. Alla mostra “La Lombardia e le Alpi”, si deve alle sue ricerche uno degli aspetti più singolari e stimolanti sviluppati grazie al fantasioso allestimento: la materializzazione di draghi e fantasmi che nell’antichità si credevano di casa tra i monti della Lombardia, poi svaniti con la consapevolezza della montagna come “grande laboratorio della natura” e con la sua riconosciuta e piena fruizione estetica. Nelle sale dello Spazio Oberdan, Recalcati ha rievocato da par suo la scoperta delle montagne lombarde tracciando anche la storia delle pubblicazioni del CAI in cui è coinvolto come autore: assieme ad Alessandro Gogna ha infatti compilato la guida CAI-TCI Spluga- Mesolcina. E, sempre attingendo alle sue collezioni, ha raccontato

Angelo Recalcati a “Montagnalibri”: grazie all’organizzazione “Itinera alpina” le sue collezioni sono conosciute in tutto il mondo.

l’attrazione fatale di Leonardo da Vinci per le montagne della Lombardia: un’attrazione che si tradusse in stupende rappresentazioni pittoriche che Recalcati ha poi inserito nella riproduzione fotografica della skyline di una Milano anni Novanta, ora rivoluzionata dai nuovi grattacieli di Milano City, dalle sfolgoranti cuspidi d’acciaio del Centro direzionale. “Nella sua più intima essenza l’alpinismo”, spiega Recalcati, “è conoscenza puntuale della natura alpina unita alla sua contemplazione estetica, vissuta nel coinvolgimento del proprio essere in corpo e spirito. L’alpinismo è perciò cultura e lo dimostra la vastissima pubblicistica che l’accompagna nella sua evoluzione da oltre due secoli, da quando le montagne sono entrate nel nostro orizzonte culturale, all’incirca dal XVIII secolo”. Di questa cultura d’antico stampo, Recalcati è un apostolo fervente, puntuale agli appuntamenti che contano. Come a Montagnalibri a Trento dove il suo stand rappresenta ogni anno, in occasione del festival, un’attrazione assoluta per chi ha il gusto delle cose belle: una delle non frequenti opportunità di conoscere da vicino questo collezionista discreto e appassionato, che dispensa cultura senza etichette e vincoli di commissioni altisonanti. E che al termine dell’esposizione, zitto zitto, rimette i suoi tesori negli scatoloni e li riporta nel forziere di piazza Baiamonti. ■

Eventi collaterali

La montagna raccontata da sei illustri amici

Un incontro tra amici presso la sede del CAI Milano in occasione della mostra: da sinistra Lorenzo Revojera, Giorgio e Laura Aliprandi, Brunella Marelli.

“Uomini e problemi delle Alpi” era il filo conduttore del ciclo d’incontri organizzati in concomitanza con la mostra allo Spazio Oberdan. Sei illustri amici della montagna hanno accettato con la loro prestigiosa presenza di tenere viva l’attenzione sull’evento dando appuntamento il martedì nella rinnovata sede della Sezione di Milano messa a disposizione per interessamento della Commissione culturale. Di rilievo la partecipazione di appassionati accolti con cordialità dal presidente Giorgio Zoia, dalla presidente della Commissione culturale Brunella Marelli e da Lorenzo Revojera ideatore e infaticabile “anima” della mostra. Ha aperto la serie coordinata da Roberto Serafin martedì 4 giugno Michele Comi con immagini e appunti su Bernina, Disgrazia, Masino. Geologo, guida alpina e maestro di sci, Comi (1969) è nato e vive in Valmalenco. In qualità di alpini-

sta-ricercatore ha preso parte a varie spedizioni in Himalaya, Karakorum, Africa, Sudamerica e Polo Nord. E’ erede di una famiglia valtellinese che per anni ha gestito il rifugio Bignami della Sezione di Milano in alta Valmalenco. Tra i suoi libri “Monte Disgrazia, Picco glorioso: 150 anni di storia” scritto per Bellavite con Giuseppe Miotti. L’11 giugno è toccato a Popi Miotti, altro illustre esponente dell’alpinismo valtellinese narrare in concomitanza con l’uscita del suo libro autobiografico “Gli archivi ritrovati”, come l’alpinismo si è trasformato negli anni Ottanta in Val di Mello, la “Yosemythe italiana”, per merito di un gruppo di scalatori che si sono definiti “sassisti”. “Con il trascorrere del tempo”, ha raccontato Miotti, “le regole dell’alpinismo, o meglio, le convenzioni legate a quel mondo, cominciavano a non piacermi per lo stesso motivo per cui non mi piacevano le spesso

ipocrite convenzioni del comune vivere sociale. Facendo grandi ascensioni mi ero trovato in un finto Olimpo dove il valore di un individuo si misurava più per il grado superato e per il numero di scalate fatte che per le sue qualità intrinseche. Mi sembrava che ci fosse una sorta di ingenuo, ma al tempo stesso malsano, modo di intendere questa attività. Nell’apparente libertà di muoversi fra i monti vi erano invece sbarre e ceppi tipici di molti altri sport con l’aggiunta di buone dosi di retorica, falsità e moralismo”. Il ciclo di conferenze è entrato nel vivo il 18 giugno con lo storico Stefano Morosini, esponente di rilievo del CAI Bergamo, che ha illustrato con alcune significative proiezioni e alla luce di rari documenti ritrovati 150 anni di storia del Club Alpino Italiano. Hanno giocato in casa invece il 25 giugno i milanesi Laura e Giorgio Aliprandi raccontando la riscoperta

del Monte Rosa nella storia e nelle carte. Assai rinomati a livello internazionale, gli Aliprandi sono autori di ponderosi volumi e apprezzati conferenzieri in Italia e all’estero. Da anni si dedicano anche allo studio di un’annosa vertenza: l’attribuzione della vetta del Monte Bianco che i francesi tuttora rivendicano. Un omaggio a Carletto Negri, maestro e amico di generazioni di alpinisti milanesi, è stato il tema della conferenza di chiusura il 2 luglio. La figura dell’alpinista considerato tra i padri della Scuola d’alta montagna “Parravicini” è stata tratteggiata da Marco Dalla Torre, autore del libro fresco di stampa “Carlo Negri, frammenti di vita alpina” (Bellavite, Missaglia 2013). Una degna conclusione per un progetto concretizzatosi attraverso varie iniziative dopo oltre un anno di preparazione e con il coinvolgimento di alcune delle più illustri personalità della cultura alpina. ■


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Portfolio

Novembre 2013 - la Lombardia e le Alpi

La mostra sala per sala

Una passeggiata attraverso la storia dell’alpinismo dal

Come l’alpinismo - fenomeno sportivo ma anche spirituale, culturale e filosofico - sappia far breccia nella pragmatica operosa Lombardia, è uno dei fili conduttori di questa mostra voluta dalla Sezione

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estimoni di eccezione il conte Lurani Cernuschi, patrizio milanese, l’abate Antonio Stoppani, cantore del Bel Paese, il cardinale Achille Ratti poi eletto pontefice che per primi fecero conoscere ai cittadini questo ambiente nuovo. Vittorio Ronchetti, medico alpinista esploratore milanese con cinque spedizioni nel Caucaso (1907-1913) precorse altri grandi successi lombardi di alpinismo extra-europeo.

2 1954, G IV 1958, Eve tre delle grandi extraeuropee co Lombardia che h ferito all’Italia una di primo piano n ma alpinistico in le, coinvolgendo i pinisti dell’epoca le immagini e a originali utilizzate spedizioni.

I padri dell’alpinismo lombardo Paura, desiderio, conoscenza e avventura

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n percorso ideale conduce dalla preistoria della frequentazione della montagna, popolata di mostri immaginari, alla creazione delle prime società alpinistiche. Tra gli “inventori” dell’alpinismo Leonardo da Vinci e la sua infaticabile esplorazione del territorio e delle montagne lombarde attraverso disegni e descrizioni che ne confermano la straordinaria valenza anticipatrice.

Torino 1863

Montagne in cellulosa

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nfine una serie di proiezioni a ciclo continuo tra cui una retrospettiva sui valtellinesi Alfonso Vinci, con i suoi film realizzati negli anni ‘50 sulla catena andina e Alfredo Corti, con le sue foto tridimensionali di inizio secolo nelle Alpi Retiche.

Rifugi e sentieri

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a mostra si apre col con la festosa accoglienza degli stemmi delle sezioni lombarde e il racconto dei 150 anni del CAI attraverso alcuni motivi cari alla divulgazione e alla sensibilizzazione che il sodalizio, fondato in Torino nel 1863 per iniziativa di Quintino Sella, svolge per statuto. Accanto ai nomi dei primi duecento soci fondatori il profilo in costante crescita del corpo sociale fino ai quasi 316 mila soci odierni.

Posto a cerniera tra i ricchi e sontuosi palazzi di corso Venezia e la dinamica arteria commerciale di corso Buenos Aires, al margine del multiculturale quartiere ex Lazzaretto, lo Spazio Oberdan, in via Vittorio Veneto 2 a Milano, nasce nel 1999 con un opera di ristrutturazione condotta dall’architetto Gae Aulenti che ha consentito di attivare in multifunzione una sala per proiezioni, convegni e concerti e uno spazio per mostre. La presa in consegna da parte della Provincia di Milano ha poi dato, attraverso un fitto programma di eventi e di iniziative, vitalità a questa istituzione, operando anche un’azione di contrasto al degrado della adiacente piazza Oberdan. E proprio grazie alla attenta gestione di questo importante presidio culturale è stato possibile mettere in scena la storia dell’alpinismo lombardo e del Club Alpino, con la collaborazione preziosa di tutto lo staff organizzativo del Settore cultura della Provincia che da subito si è lasciato coinvolgere, compartecipando a tutte le fasi di allestimento e di promozione dell’evento. (tutte le foto dell’allestimento sono di Filippo Podestà)

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a storia e l’evoluzione dei più noti rifugi lom cune grandi tappe e la loro rappresentazion lipuziani modellini. Non manca un salto nel pre tissimo progetto - unico nel suo genere - di ri storica capanna Marinelli sulla parete est del M


Portfolio

la Lombardia e le Alpi - Novembre 2013

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lle sue origini: al vaglio 150 anni di Sodalizio

e di Milano nel 150° anniversario della fondazione del Club Alpino Italiano condensando anni di ricerche nelle “banche della memoria” dell’alpinismo lombardo.

Gasherbrum erest 1973: spedizioni oncepite in hanno cona posizione nel panoranternazionai migliori ala. In mostra attrezzature e durante le

Sulle vette del mondo Letteratura d’alta quota

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ltra importante eccellenza regionale è la capacità di raccontare la montagna e l’alpinismo, un’arte di cui Dino Buzzati fu maestro assieme a una eletta schiera di alpinisti-scrittori: Antonia Pozzi, Clemente Rebora, Ettore Zapparoli e Giovanni Bertacchi. Qui campeggia il celebre Duomo di Milano dipinto da Buzzati in forma di montagna dolomitica.

Il lungo sguardo

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l valore grafico e conoscitivo del vedutismo alpino trova espressione nella prolifica produzione di Edoardo Francesco Bossoli, il più importante autore in ambito italiano, la cui veduta delle Alpi dalla guglia del Duomo di Milano dimostra il forte rapporto di relazione tra la vocazione orizzontale del capoluogo lombardo e la maestosa catena alpina nella seconda metà dell’800.

Comunicare la montagna

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a montagna inizia a “fare notizia” nei primi anni del ventesimo secolo grazie alle copertine della Domenica del Corriere, e a Milano, capitale dell’editoria, le occasioni per una diffusa mediatizzazione non mancano. In mostra anche il “Numero Alpinistico”del Corriere della Sera del 1883, oggi prezioso incunabolo.

CAI si stampi!

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na rassegna di pubblicazioni delle sezioni lombarde del CAI con doveroso omaggio a Silvio Saglio e Gino Buscaini, due grandi divulgatori, succedutisi alla direzione della collana “Guida ai Monti d’Italia” edita da CAI e Touring Club Italiano.

mbardi attraverso alne sotto forma di lilesente, con il recenistrutturazione della Monte Rosa.

Prime guide alpine di Lombardia

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e grandi dinastie di guide raccontate attraverso una carrellata di immagini e di documenti storici: da Antonio Baroni, padre putativo di tutte le guide lombarde, alle varie dinastie dei Fiorelli in Val Masino, dei Lenatti in Valmalenco, dei Compagnoni in Valfurva: tramandandosi il mestiere di padre in figlio, con il loro entusiasmo hanno saputo “trascinare” in montagna generazioni di cittadini.

I grandi della montagna lombarda

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Maestri della fotografia alpina

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a Lombardia conta forse più di ogni altra regione alpinisti a storia complessa della fotografia di montagna in Lombardia pasdi valore che si distinguono in ogni specialità e la seziosa attraverso realizzazioni significative. Basti pensare alla ricchezza ne, in primo piano con una serie di ritratti di Marco Mazzole- della “Guida Alpi Retiche Occidentali” del 1911: la fotografia analizza, ni. In mostra una selezione di materiali da alpinismo e una svela e illustra il territorio come non era mai successo prima. serie di invenzioni nate all’ombra della Madonnina.


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Novembre 2013 - la Lombardia e le Alpi

Personalità

Alla scuola dell’inflessibile Carletto

La mostra allo Spazio Oberdan ha reso omaggio all’amatissimo direttore della Parravicini, fucina milanese di grandi alpinisti, ai cui “frammenti di vita alpina” ha recentemente ridato vita Marco Dalla Torre

Numerose le occasioni di incontro con gli sponsor: qui il presidente Giorgio Zoia e Lorenzo Revojera incontrano ad Albizzate (Varese) il project manager della Vibram Jerome Bernard (a destra)

Segue da pagina 1

Cronistoria di un grande evento Angelo Recalcati elargirà preziosità bibliografiche insieme con la sua competenza di storico, Almerina Buzzati concederà il famoso quadro di Dino con il Duomo di Milano e soprattutto si stabilirà di attingere alle collezioni della Sezione di Milano: quadri, panorami, gagliardetti, stemmi, moltissimi documenti, libri. Il percorso espositivo va delineandosi in ogni minimo particolare, anche se si precisa che è stato steso “per eccesso, cioè tenendo conto di ognuno dei temi suggeriti dal gruppo di lavoro e prevedendo quindi di esporre tutto il materiale relativo. Si può legittimamente pensare di ridurre il materiale esponibile senza tuttavia impoverire la mostra; ad es. senza prevedere necessariamente che per ogni sezione ci sia una bacheca…”. Secondo questo progetto il percorso espositivo verrà diviso in 16 sezioni. Lo schema parte dallo studio storico/scientifico di Giuseppe Garimoldi e Angelo Recalcati con il contributo di Revojera. La prima parte ha la funzione di introdurre alla mostra indicando la profondità delle radici. “La frequentazione della montagna, che prenderà il nome di alpinismo, non è il capriccio di benestanti annoiati, ma la risposta al richiamo di bellezza e di conoscenza del territorio”, annotano i curatori-progettisti. Il documento presentato da Garimoldi e Recalcati fa riferimento alla Grigna nel disegno di Leonardo, a figure di spicco come il botanico Vandelli, Ermenegildo Pini autore di “Dell’elevazione dei principali Monti e di diverse altre parti della Lombardia Austriaca”), Lazzaro Spallanzani sui monti dell’Alto Lario. Si propongono citazioni brevi e significative da riportare su pannelli o direttamente sul muro (esempio: “…da una parte tutta la catena delle Alpi e dall’altra la bella città dominata dal Duomo i cui intagli sembrano cristalli incavati nel ghiaccio”, frase di John Ruskin in Praeterita). Non potrà mancare il panorama di E. F. Bossoli delle Alpi dal Duomo, la veduta del M.Rosa dal Duomo al tramonto dopo un temporale di J. Ruskin in “Modern Painters”, l’acquerello di Estella Canziani dal tetto del Duomo in “Piedmont”. “Si potrebbe allestire un settore coi suoi numerosi e spettacolari panorami e

con la serie di quadri appartenenti alla sezione di Bergamo”, scrivono Garimoldi e Recalcati. E in effetti la sezione denominata “Il lungo sguardo” sarà tra le più apprezzate e spettacolari. Tra le fonti raccomandate Giacomo Cavaleri, l’album fotografico “Nell’alta Valtellina, 1889”, Riccardo Piatti Album sez. di Como 1884-1885, Giacomo Cavaleri, album fotografico Nelle Alpi Retiche 1891/92, Paolo Prudenzini, album fotografici delle montagne lombarde, 1889 e seguenti. Ci si sofferma poi sull’opera di Alfredo Corti, sulle Scuole di alpinismo, sull’attività di soci fuoriclasse: Cassin, Bonatti, Mauri, Buscaini. Si sottolinea come il CAI lombardo sia stato promotore e catalizzatore di attività alpinistico-escursionistica popolare con particolare riferimento alla Società “Gamba Bona” da cui discende la SEM, “Società Escursionisti Milanesi”. E si citano la“Compagnia alpina fra gli operai di Lecco” (1883), prima società alpina a proclamarsi operaia. Nel 1898 prese il nome di “Società Alpina Operaia, Antonio Stoppani”; UOEI, “Unione Operaia Escursionisti Italiani”; AAPE (APE), “Associazione Antialcolica Proletaria Escursionisti”. Il preventivo provvisorio prevede un budget di 50.000 euro +IVA. Gli incontri si susseguono nella nuova sede del CAI in via Duccio di Boninsegna diventato il quartier generale della rassegna. Nuove idee germogliano… E arriviamo al 2013. Entro fine gennaio si fissa la consegna dei testi per catalogo, il 1 febbraio iniziano le pratiche amministrative, mentre entro il 15 febbraio va ultimata la versione definitiva del progetto esecutivo dell’allestimento. Il 1° marzo è l’inizio della redazione testi del materiale descrittivo (pannelli 70x100, didascalie, tabelle, ecc.) e loro consegna progressiva al laboratorio per la realizzazione. Entro marzo: chiusura pratiche amministrative (Provincia, assicuratore, ecc.), acquisizione programmazione cinematografica (a cura di Piero Carlesi e Pino Brambilla), il 10 aprile fine della produzione del materiale descrittivo (pannelli 70x100, didascalie, tabelle ecc.) Dal 4 al 13 maggio si provvede all’allestimento, il 16 maggio l’inaugurazione. ■

E’ milanese la prima scuola d’alpinismo italiana d’alta montagna. Si tratta della prestigiosa Parravicini: una scuola nazionale, seconda in Italia dopo quella della Sezione CAI XXX Ottobre di Trieste che però, nel rispetto della consuetudine locale, si dedicava solo all’alpinismo dolomitico. Al suo nascere la Parravicini si proponeva di inserirsi nel solco degli scalatori milanesi come Lurani, Bonacossa, Vallepiana, Castiglioni, Negri, aperti per tradizione sia all’alpinismo dolomitico sia a quello delle Alpi centrali e occidentali. La scuola è dedicata a Agostino Parravicini, caduto nel 1935 sullo spigolo sud della cima di Zocca. Nel 1936 a Chiareggio in Valtellina presero avvio i corsi che hanno preparato generazioni di alpinisti. Primo direttore fu l’accademico Pompeo Marimonti. Gli succedette per un decennio Carlo Negri che

Il primo distintivo, ricamato su stoffa, degli istruttori della Parravicini (fine anni ‘30) Per anni, in primavera, la scuola Parravicini si è trasferita in Valtellina al rifugio Tartaglione-Crispo dove (foto a sinistra) un gruppo di allievi e istruttori posano con ironica spavalderia. Qui sotto Carletto Negri fa lezione di topografia e orientamento.

ebbe tremila allievi. La scuola passò poi all’Accademico e successivamente alla SUCAI, continuando nel suo programma sotto la direzione di Pino Gallotti, Romano Merendi, Paolo Re, Guido della Torre, Tino Albani, Piero Maffioli e altri. Negri è considerato un grande e indimenticabile caposcuola dalla mano ferma e dal passo irraggiungibile, come testimoniano i suoi allievi Fanco Piccinini e Marco Polo in Milano e le sue montagne (Milano, 2002). Sulla Parravicini Polo ha anche raccolto un corposo dossier ciclostilato, pieno zeppo di informazioni, relazioni, ritagli di articoli in buona parte apparsi sul mai dimenticato Scarpone. In concomitanza con la mostra allo Spazio Oberdan, per Carletto Negri è stata ritagliata una particolare ribalta grazie al libro fresco di stampa che gli ha dedicato Marco Carletto Ne- Dalla Torre (Carlo Negri impegna- gri, frammenti di vita to sui graniti alpina, Bellavite edidella Rasica, tore, 223 pagine, 14 in Valtellina. euro), presentandolo

nella serie di incontri organizzati in concomitanza con la mostra. “Nel ricordo di molti”, annota Dalla Torre, “rimane la sua modesta riservatezza: non era facile fargli raccontare le sue imprese. La storia stessa di questo libro ne è una conferma: dedicato a sua moglie a cui non lo fece mai leggere, nascosto in fondo a un cassetto…” Temuto e rispettato, Carletto si è fatto molto amare benché nessuno ardisse obbiettargli alcunché o prospettare eretiche proposte personali. Un esempio? Durante un’uscita ai Piani di Bobbio, nonostante il tempo minaccioso, Carletto si dirige senza esitare verso la cresta Ongania. Il nubifragio che si scatena non è motivo sufficiente per sconfiggere allievi e istruttori. Uno solo tra gli allievi si ri-

bella e con un coltellino taglia la corda di canapa da 12 millimetri e corre al riparo al rifugio Ratti. Imperterrito Carletto ordina di completare l’ascensione. Ma al rifugio l’allievo viene processato per direttissima e, riconosciuto colpevole, viene espulso dalla Parravicini e condannato a rimborsare la corda. Il motto del direttore, del resto, era “semm minga chi per divertiss”: nessuna pietà per chi si arrendeva alle difficoltà opposte dalla montagna che evidentemente non era, e non è, soltanto fonte di piacere o, come si direbbe oggi, di loisir! ■

Pubblicazioni

Il catalogo: un appassionante viaggio tra le banche della memoria In 12 capitoli e 245 immagini i temi della mostra vengono elaborati nel volume in grande formato, testimonianza di quanto la Lombardia sia legata alle sue montagne Vi siete persi la mostra? Peccato. Un rimedio tuttavia c’è. Gran parte della rassegna “La Lombardia e le Alpi” continua a vivere nelle 128 pagine del catalogo in formato 23x28 cm, prezzo di copertina: 25 euro (22 per i soci del Cai). La proprietà artistica e letteraria è della Sezione di Milano del Club Alpino Italiano che ha curato l’organizzazione dell’evento e di AG Bellavite srl, Missaglia (Lc). Il volume, curato da Roberto Serafin, approfondisce in 12 capitoli i temi della mostra con una serie di saggi e 245 immagini, molte delle quali inedite. Dopo le presentazioni del presidente generale del Cai Umberto Martini, del presidente della Provincia Guido Podestà, del vice presidente e assessore alla cultura Novo Umberto Maerna, del presidente del Cai Lombardia Renata Viviani e del presidente della Sezione di Milano (che ha organizzato la mostra) Giorgio Zoia, il libro descrive le varie aree espositive dell’allestimento curato dall’architetto Lorenzo Serafin, coordinatore Lorenzo Revojera, storico e socio benemerito del Club alpino milanese. Il catalogo, analogamente alla mostra,

vuole essere anche lo specchio dell’operosità lombarda che trova riscontro nella frequentazione sportiva della montagna: fra le curiosità va annoverato il “Rampichino”, prototipo di mountain bike lanciato a Milano con una grande campagna pubblicitaria negli anni Ottanta, le scarpette da arrampicata “airlite” con cui i sassisti della Val di Mello hanno mandato in pensione i vecchi scarponi, il curioso “arpione Roseg” commercializzato negli anni Trenta dalla Sezione Valtellinese del CAI che ha innovato la tecnica dell’arrampicata su ghiaccio. Un capitolo a parte è dedicato a nove “banche della memoria” che fanno della Lombardia una delle regioni più legate culturalmente e storicamente alle montagne grazie anche alla sua posizione centrale rispetto all’arco alpino. E’ comunque dall’archivio della Sezione di Milano e dalla prestigiosa annessa Biblioteca “Luigi Gabba” che proviene la parte più consistente del materiale esposto allo Spazio Oberdan. Nel cospicuo elenco dei prestatori figurano il Museo Nazionale della Montagna, il Museo della Scienza e della Tecnica, il Palamonti di Bergamo, la Sezione Valtellinese, la

Società Escursionisti Milanesi. Molte opere, come si può desumere dal catalogo, provenivano da collezioni private: tra queste le rarissime mappe dei cartografi Laura e Giorgio Aliprandi, manoscritti e cimeli conservati da Angelo Recalcati, il celebre Duomo di Milano dipinto da Dino Buzzati messo a disposizione da Almerina Buzzati. Nove saggi affrontano nel volume i temi della mostra attraverso le testimonianze di eminenti storici e specialisti: Lorenzo Revojera (nascita dell’associazionismo sportivo), Angelo Recalcati (paura, desiderio, conoscenza e avventura, ovvero i pilastri del nostro andare per monti), Marco Dalla Torre e Anna Girardi (letteratura d’alta quota nella regione lombarda), Lorenzo Viganò (il ruolo di Dino Buzzati nel diffondere i

valori della montagna), Pino Capellini (storie e miti delle Orobie), Eugenio Pesci (le Grigne quale laboratorio verticale), Giuseppe Garimoldi (le più belle immagini delle Alpi della Lombardia), Laura e Giorgio Aliprandi (la scoperta delle montagne lombarde attraverso gli antichi cartografi), Giuseppe “Popi” Miotti (la Val di Mello, culla del nuovo alpinismo) e Daniele Redaelli (la grande lezione di Riccardo Cassin). Le pagine del catalogo si affacciano infine sul territorio alpino della regione con le prestigiose immagini di due grandi fotografi lombardi: il valtellinese Alfredo Corti (che è stato ricordato nella mostra con un documentario e una serie di immagini in 3D risalenti ai primi anni del secolo scorso) e il bergamasco Tito Terzi. ■


Ritratti

la Lombardia e le Alpi - Novembre 2013

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Alpinismo femminile

Le incomprese signore del sesto grado Le milanesi Nini Pietrasanta e Mary Varale si collocarono ai vertici dell’alpinismo negli anni Trenta. Ma l’ufficialità del CAI non le tenne in considerazione. Fu soltanto nel 1977 che l’assemblea generale del Club accademico si espresse a larga maggioranza per l’ammissione delle donne Gli accademici del CAI l’hanno “voluta” come socia ad honorem soltanto un anno prima che morisse, nel 1999. Allo Spazio Oberdan, tra gli accademici, la milanese Ninì Pietrasanta (1909-2000) ha in qualche modo “bucato lo schermo” grazie al ritratto a olio dipinto nel 1937 (Ninì era in dolce attesa) dalla mamma di

suo marito Gabriele Boccalatte Evangelina Alciati, eccellente pittrice torinese. Accanto a lei non poteva mancare, in una rara immagine, Mary Varale, altra signora del sesto grado, immortalata al rifugio Porta nel 1929 con Emilio Comici. La figura di Ninì Pietrasanta è stata messa in luce allo Spazio Oberdan anche nel corso di una conferenza con lo storico Stefano Morosini , come si riferisce in queste pagine, che le dedicherà una “voce” nell’Enciclopedia Treccani, e di Gigi Giustiniani, impegnato nella realizzazione di un “corto” confezionato in

Qui accanto Ninì si fa bella in rifugio: lei stessa ha titolato la foto “Civetterie montanine”. Nella foto a destra una rara immagine di Mary Varale al rifugio Porta con Emilio Comici nel 1929

Anteprima

parte con il materiale filmato e le tante immagini lasciate da questa intrepida ragazza milanese, la cui figura emerge dalle pagine dell’unico suo libro, Pellegrina delle Alpi, ripubblicato in forma anastatica nella collana del CAI I Pionieri. Un libro che in quegli anni di autarchia schiude nuovi orizzonti all’universo femminile. “Una gentile fanciulla”, così viene descritta l’autrice del libro in una recensione sullo Scarpone del 16/9/34, “difende la propria passione nei confronti di un’opposta tendenza che vorrebbe vedere la donna vera solo sotto l’aspetto di un fiorellino ovattato, privo di energie e di colore, e senza un carattere e una propria personalità. E lei sa di tendere contro chi osa scandalizzarsi di un bel corpicino rudemente vestito, di due piedini calzati da grossi ferrati scarponi o di un insieme di vestimenta che possono contrastare con la moda corrente”. Ninì non si lascia incantare dai galanti riferimenti a quei fiorellini di campo e, tostissima, scala per prima con il compagno Gabriele Boccalatte, diventato nel 1936 suo marito, la parete sud dell’Aiguille Noire di Peuteret. Impara ad arrampicare con la guida Giuseppe Chiara di Alagna e si lega alla corda di alpinisti del calibro di Vitale Bramani, Alberto Rand Herron, Leopoldo Gasparotto oltre che, ovviamente, a quella di Boccalatte. Cessa la sua attività alpinistica alla morte del marito (il 24 agosto 1938 all’Aiguille du Triolet) con

il quale ha avuto un figlio, Lorenzo. Va segnalato che Nini ha avuto l’onore di essere inserita nel 2004 tra le italiane illustri nei tre volumi distribuiti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sulle donne “di maggior rilievo nella storia d’Italia, dall’Unità a oggi”. Un onore toccato anche a un’altra celebrità femminile dell’alpinismo meneghino, Maria Mary Gennaro (1895-1963), moglie di Vittorio Varale, giornalista sportivo della Stampa esperto di alpinismo. Compagna di scalate di Cassin, Comici, Tita Piaz, Mary frequentò a lungo le Grigne. La via Mary è la dedica che Cassin volle dare in suo onore a un itinerario che avevano aperto insieme nel 1931 sulla Guglia Angelina. Mary Varale, nonostante le 217 ascensioni compiute, alcune anche in solitaria, ha avuto problemi con la “parrocchia” del Club alpino rinunciando a far parte, in una vibrante lettera di protesta al presidente della Sezione di Belluno, a “questa compagnia di ipocriti e di buffoni” scegliendo per giunta la clandestinità durante il periodo di Salò e della guerra civile, mentre suo marito Vittorio è stato radiato dalla professione giornalistica per indegnità, cioè per antifascismo. La candidatura di Mary fu respinta nel 1966 dal presidente del CAAI Ugo di Vallepiana che a sua volta, nel 1938, era stato espulso dal CAI “arianizzato” perché ebreo in ossequio alle famigerate leggi razziali. Soltanto nel 1977 l’assemblea del CAAI si espresse a larga maggioranza per l’ammissione delle donne. ■

Un film sulla pellegrina delle Alpi

La più bella storia d’amore dell’alpinismo di tutti i tempi sta per arrivare sugli schermi. E’ la storia di Ninì Pietrasanta (1910-2000), una ragazza milanese che, attratta dal fascino irresistibile della montagna, compì negli anni Trenta imprese eccezionali con l’animo di un’innamorata. A rubarle il cuore fu Gabriele Boccalatte un bel ragazzo torinese, pianista di valore ma soprattutto alpinista tra i più quotati dell’epoca. E’ una ragazza come tante Ninì, che non vuole competere, ma solo essere se stessa. O almeno, questo sostiene nel suo libro “Pellegrina delle Alpi” di recente ripubbli-

cato dal Cai in versione anastatica. L’incanto alpino che lei stessa si è creata con le scalate va in pezzi però con la morte del suo Gabriele nel 1938. E’ a quel punto che Ninì volge le spalle alla montagna e, quasi sdegnata, chiude con l’alpinismo per dedicarsi al suo bambino, Lorenzo. Che diventerà grande senza mai avere conosciuto il padre e, soprattutto, senza essere messo a parte della straordinaria passione che legava i suoi genitori all’alpinismo. Il film, attualmente in lavorazione, è stato presentato il 12 giugno allo Spazio Ober-

dan: uno dei tanti eventi collaterali (proiezioni e conferenze) che si sono accompagnati alla mostra per tutta la durata della sua apertura grazie anche alla collaborazione della Commissione culturale e della Commissione cinematografica del CAI Milano. A raccontare Ninì Pietrasanta e il suo mondo ha provveduto Stefano Morosini, storico dell’alpinismo, autore del saggio “Sulle vette della patria” (Franco Angeli editore, 2009) e di una biografia della celebre alpinista milanese d’imminente pubblicazione per l’Enciclopedia Treccani.

A sua volta ha riferito sulle riprese del film Gigi Giustiniani, videomaker con esperienze nel campo della cinematografia di montagna, regista e sceneggiatore. Sul documentario (su internet filmnini.wordpress.com) è in fase di realizzazione con il contributo della Valle d’Aosta Doc-FF Film Fund, e su alcuni suoi aspetti organizzativi si sono espressi rappresentanti del Centro valdostano La Fournaise che si occupa della produzione con la milanese Lomar sas alla quale si devono i film “Il tarlo” con Armando Aste e “Guardiano di stelle” con Oreste Forno.

Accademici

Di qui passò il caparbio Nino Oppio Le vie di roccia dell’accademico milanese vengono ripetute ancora oggi e in alcuni casi “liberate” come di recente al Sasso Cavallo Un salto indietro di mezzo secolo di impone. Il mondo anche per gli alpinisti si fa piccolo in quel 1967, mentre nelle piazze sta per dilagare il Sessantotto. La Federazione sovietica per l’alpinismo annuncia un’Alpiniade nel Pamir, di norma inaccessibile per motivi politici. Che cosa desiderare di più? Da Milano si muove una piccola spedizione con Emilio Frisia, Giorgio Gualco e il minuscolo Nino Oppio (1906-1982), uomo deciso e caparbio come pochi. I tre accademici arrivano in vetta al Picco Lenin, 7134 m, suscitando l’ammirazione e la simpatia di tutte le altre delegazioni presenti all’Alpiniade. Oppio stabilisce un primato: è l’alpinista più anziano. Nel 1973, a 67 anni, farà di meglio superando il sesto grado della via Cassin al Badile, ma la sua fama sarà offuscata dallo stesso Cassin che nel 1987, alla soglia degli ottant’anni, festeggia il mezzo secolo dalla prima ascensione ripetendo la sua storica via, sia pure accontentandosi del ruolo di secondo di cordata. Particolare

Per partecipare alla produzione

Si può sostenere la realizzazione del film su Ninì Pietrasanta con un contributo libero sul conto corrente intestato a “La Fournaise” al seguente IBAN:IT05M030697684510725298262 indicando quale causale “Progetto film Ninì”.

Curiosità

Lombardi all’avanguardia anche nell’attrezzatura La vetta? Un’invenzione lombarda. Così era intitolato sul Corriere della Sera del 30 giugno 2013 un interessante articolo di Paolo Marelli. Prendendo spunto dalla mostra allo Spazio Oberdan, il giornalista pas-

Per partecipare all’Alpiniade organizzata nel ‘67 dalla Federazione sovietica da Milano si muove una piccola spedizione con Oppio, Emilio Frisia, Giorgio Gualco... importante: le vie tracciate da Oppio sono ancora di frequente al centro dell’attenzione dei moderni climber. Matteo Piccardi, ragno di Lecco, ha “liberato” il 18 luglio la via Oppio al Sasso Cavallo, nelle Grigne. “Da un po’ di tempo mi frullava in testa l’idea di andare a verificare personalmente i due passi di artificiale sulla Oppio. Leggo e rileggo la relazione, parlo

L’incontro allo Spazio Oberdan fra lo storico Stefano Morosini e il regista Gigi Giustiniani

con Gerri che ne aveva tentato la libera anni fa... Metto via informazioni e lascio il tutto a maturare per benino”, scrive nel suo blog ora che il problema è stato brillantemente risolto. ■

sava in rassegna i diversi contributi dell’imprenditoria lombarda all’evoluzione dell’andare in montagna. Parola d’ordine: garantire la sicurezza. Ecco allora la famosa suola di gomma Vibram che nel 1937 per

merito di Vitale Bramani soppiantò le suole chiodate, ecco le mitiche tende da campo Moretti adottate dalle grandi spedizioni, ecco il geniale “arpione Roseg” inventato nel 1935 da Luigi Bombardieri, banchiere di Milano trapiantato in Valtellina, per agevolare la progressione su ghiaccio, ecco i primitivi sistemi di imbragature escogitati dai bergamaschi Farina e Calegari. Ed ecco ancora le tante innovazioni introdotte della Camp di Premana azienda leader nel mondo per moschettoni, ramponi, piccozze. Di tutto questo c’erano eloquenti testimonianze alla mostra. Con in più una bici diventata un feticcio: il famoso Rampichino di Cinelli che nel 1985 spalancò agli appassionati di ciclismo i paradisi della mountain bike. Anche questa un’invenzione tutta lombarda, anzi milanese.

L’arpione Roseg, prestito della Sezione valtellinese del CAI


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Novembre 2013 - la Lombardia e le Alpi

Dietro le quinte

E la mostra diventa virtuale

Se un mese e 20 giorni, questo il breve lasso di tempo in cui La Lombardia e le Alpi è rimasta aperta allo spazio Oberdan, sono sembrati pochi a chi che avrebbero desiderato visitarla ma non ha trovato il momento giusto, a partire da dicembre 2013 è possibile effettuare sul web una visita virtuale della mostra. A pochi giorni dalla chiusura è giunta quasi inaspettata la proposta di un socio e appassionato fotografo di realizzare una serie di “fotografie immersive” del percorso allestitivo, che consentissero di ripercorrerne gli spazi, e la ricca sequenza di opere e di oggetti che allo scadere del tempo sono stati riconsegnati agli enti e ai singoli prestatori. Domenica 7 luglio alle ore 18, allo scoccare del tempo di chiusura, Mauro Tondelli assieme al suo collega Claudio Lepri hanno effettuato le riprese di tutte le immagini che poi Mauro ha elaborato in questi mesi in forma di visita virtuale: il lavoro di ricostruzione fotografica non si è limitato alla semplice riproposizione in sequenza delle foto panoramiche dei vari ambienti, ma ha trasformato il percorso una sorta di “iper-testo” nel quale,

attraverso una serie di aree cliccabili, è possibile visualizzare in formato piano e leggibile molti degli oggetti contenuti nelle vetrine oltre che tutta la sequenza dei pannelli tematici.

Il risultato sembra rispondere bene all’esigenza di creare un “sito vetrina”, che illustri e promuova i contenuti della mostra: uno spazio di informazione e di promozione che la sezione CAI di Milano propone all’interno della comunicazione web sezionale, con caratteristiche grafiche e architettura web del tutto peculiari. I contenuti proposti e la loro possibile, auspicabile implementazione in chia-

La Lombardia e le Alpi nel 150° anniversario della fondazione del Club Alpino Italiano 1863-2013 Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, Milano 17 maggio – 7 luglio 2013 In collaborazione con:

ve culturale alpinistica, evidenziano il ruolo della sezione CAI Milano quale capofila di un evento culturale nato con il patrocinio della presidenza del CAI nazionale e in particolare di quello lombardo che, riproponendoa distanza di pochi mesi dalla manifestazione, la creazione di questo nuovo strumento di comunicazione intende rilanciare il ruolo della mostra quale terreno di incontro e di dialogo fra le sezioni del Club Alpino Italiano. E’ bello anche immaginare che il percorso virtuale possa continuare e che oltre le sale dello spazio Oberdan ci siano molte altre “stanze” ancora da esplorare: un’operazione possibile proprio grazie alla disponibilità di un ampio patrimonio storico culturale che le nostre sezioni custodiscono e hanno mostrato di saper condividere. E’ proprio a partire dai testi e dalle immagini provenienti dalle nostre biblioteche sezionali che si può attingere per le molte mostre ancora da raccontare; mostre che potranno essere virtuali grazie a elaborazioni informatiche come questa, ma anche reali, per divulgare un nostro pezzo forte: la cultura dell’alpinismo.

Saggi di: Laura e Giorgio Aliprandi, Marco Dalla Torre, Pino Capellini, Giuseppe Garimoldi, Anna Girardi, Eugenio Pesci, Angelo Recalcati, Daniele Redaelli, Lorenzo Revojera, Lorenzo Viganò Ricerca storico/iconografica: Marco Polo, Renato Lorenzo, Tiziano Lozza, Ezio Furio, Stefano Gusmeroli Proprietà artistica e letteraria: Sezione di Milano del Club Alpino Italiano, maggio 2013. Progetto grafico e impaginazione: A&B, Besana in Brianza (MB)

Assessorato alla Cultura della Provincia di Milano Presidente della Provincia di Milano Guido Podestà Vice Presidente e Assessore alla Cultura Novo Umberto Maerna Direttore del Settore Cultura e Beni Culturali Claudio Martino

Prestampa digitale, stampa e legatoria: GreenPrinting® A.G.BELLAVITE srl, Missaglia (Lc) Allestimento: Modo Allestimenti - Busto Arsizio Stampe e supporti grafici: Colore Due - Milano

Con il patrocinio:

Presidenza Generale del Club Alpino Italiano Gruppo Regionale Lombardo CAI

s.r.l

FO TO LAB O R ATO R I O

& D I G I TALE

www.coloredue.it Tel.02/4980720 r.a.- Fax 02/48006154 E-mail: coloredue@coloredue.it

Unico Elements - Verona Sonorizzazione: Fulvio Binetti / Bintmusic - Milano

PANTONE Red 032 C C: 0 - M: 88 - Y: 68 - K: 0

PANTONE 432 C C: 78 - M: 61 - Y: 49 - K: 50

Food & drink: Vinile - Milano Manichini: La Rosa - Milano A cura della: Sezione di Milano del Club Alpino Italiano CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI MILANO

Proprietà artistica e letteraria: Sezione di Milano del Club Alpino Italiano, maggio 2013. Comitato scientifico: Pino Brambilla, Piero Carlesi, Giuseppe Garimoldi, Angelo Recalcati, Lorenzo Revojera Comitato organizzatore: Anna Girardi, Davide Necchi, Marco Polo, Lorenzo Revojera (coordinamento), Angelo Recalcati, Lorenzo Serafin, Roberto Serafin Progetto dell’allestimento e grafico: Lorenzo Serafin Catalogo a cura di: Roberto Serafin

Monitoraggio ambientale Hortus - Legnano

Hortus

srl

Collaborazione all’allestimento: Silvia Alfano, Alberto Castiglione, Davide Necchi, Sergio Pasqual, Filippo Podestà Comunicazione e Ufficio stampa: Gabriele Zerbi (Ufficio stampa CAI Milano) Marco Piccardi (Ufficio stampa Provincia di Milano/ Cultura) Project management: Fabrizio Giussani Assicurazione: Nationale Suisse S.p.A. Prestatori: CAI sezione di Milano: Biblioteca della montagna “Luigi Gabba” e Archivio storico-fotografico CAI Sede Centrale e Cineteca Nazionale CAI, SEM - Società Escursionisti Milanesi, CAI sezione di Bergamo, CAI sezione Valtellinese - Sondrio, CAI sezione di Bovisio Masciago, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia

Il determinante contributo degli sponsor

L’impegno dei volontari che hanno dato vita alla mostra allo Spazio Oberdan sarebbe stato vano senza i determinanti contributi della Provincia, della Sede centrale del CAI e degli sponsor che hanno sostenuto il progetto mostrando sensibilità e lungimiranza. All’appello lanciato dal Comitato organizzatore ha prontamente risposto il Cobat, l’organizzazione che interviene quando le batterie di accumulatori elettrici e i pannelli fotovoltaici terminano il loro ciclo attivo. E sempre sul versante dell’ecologia, altre due organizzazioni hanno voluto porre un prestigioso sigillo alla mostra: si tratta di Comieco, struttura impegnata nella raccolta differenziata e nel riciclo dei rifiuti prodotti dai grandi flussi turistici che interessano la montagna; e di Corepla che opera affinché gli obiettivi, fissati dalla direttiva 94/62 recepita in Italia con il Decreto Ronchi, siano

raggiunti in modo efficiente ed economico intervenendo all’interno della “filiera plastica” per coinvolgere i cittadini e le imprese. Due istituti di credito prestigiosi sono venuti incontro agli organizzatori allargando il tanto che basta i cordoni della borsa: il Credito Valtellinese e la Fondazione Cariplo.Vi è stato poi il contributo determinante della Fondazione AEM che ha condiviso oneri e obbiettivi di questa iniziativa, in affinità a quanto assiduamente si realizza presso lo Spazio dell’Energia a Milano. Nel campo degli attrezzi e degli articoli sportivi, tre i contributi significativi: quello della Camp di Premana (Lecco) i cui prodotti racchiudono 125 anni di storia grazie all’impegno di quattro generazioni d’imprenditori; quello di Montura, prestigiosa azienda di abbigliamento tecnico sportivo e quello di AlpStation il cui emporio a

Leonardo da Vinci - Milano, Museo Nazionale della Montagna - Torino, Archivio Casa Buzzati, Archivio Rosminiano - Stresa, Archivio Bertacchi - Chiavenna, Archivio Antonia Pozzi - Pasturo (Lc), Fondazione Bombardieri - Sondrio, Cinelli Genuine Merchandising, Ragni di Lecco, Laura e Giorgio Aliprandi, Lorenzo Boccalatte, Marco Dalla Torre, Franca Frisia, Mario Giacherio, Alessandro Giorgetta, Giuseppe “Popi” Miotti, Architetti Jacopo Muzio e Guido Boroli, Marco Polo, Angelo Recalcati, Guido Scaramellini, Roberto Serafin Hanno collaborato le seguenti sezioni lombarde del CAI: Abbiategrasso, Aprica , Besana in Brianza, Bovegno, Bozzolo, Brugherio, Cantù, Carate Brianza, Cassano d’Adda, Castellanza, Chiavenna, Cinisello Balsamo, Codogno, Cornaredo, Crema, Erba, Gallarate, Gazzada Schianno, Giussano, Gorla Minore, Lovere, Luino, Mantova, Merone, Muggiò, Olgiate Olona, Paderno, Parabiago, Romano di Lombardia, Saronno, Sesto Calende, Sondrio, Tradate, Varese, Vedano, Vigevano, Villa Carcina Si ringraziano: Orazio Boffa, Luciano Calabrò, Cinzia Casali, Roberto De Martin, Franco Donati, Claudio Ferri, Lucia Foppoli, Roberto Ganassa, Annalaura Gatto, Tiziano Giussani, Giusy Gobbi, Matteo Gregorietti, Carlo Lucioni, Rolly Marchi, Marco Mazzoleni, Roberto Moiola, Lavinia Moretti, Miriam Mosetti, Erica Perolfi, Pietro Pirelli, Claudia Porta, Luca Reduzzi, Franco Ricardi, Gigi Rigamonti, Massenzio Salinas, Alberto Santi, Gaudio Saracino, Dario Sarzi, Mauro Scansi, Angelo Schena, Adriano Venturini, Renata Viviani, Antonella Senese, Claudio Smiraglia, Mauro Reguzzoni, Mauro Tondelli, Claudio Lepri Si ringrazia il personale della Provincia di Milano che ha collaborato alla realizzazione della mostra

Con il supporto di:

Milano è meta di appassionati di montagna. Anche la Vibram era ovviamente rappresentata nel percorso espositivo dal momento che risale al 1937 la prima suola per scarpe da montagna battezzata “carrarmato”, ideata da Vitale Bramani. Per il ruolo tecnico vanno citati in particolare Modo Allestimenti per l’insostituibile supporto non solo allestitivo, la società Hortus che, ha fornito hardware e software per effettuare il monitoraggio climatico dello spazio Oberdan durante la mostra, e ClickAlps che ha concesso l’uso del bello scatto di Roberto Ganassa come immagine dell’evento. Non va infine dimenticata la collaborazione della fabbrica di biciclette Cinelli che ha messo in mostra un prototipo del Rampichino, la mountain bike che proprio a Milano diede il via alla pratica dell’escursionismo ciclistico. ■

la Lombardia e le Alpi

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