Abitare lo slum - Severino Ferrara

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SEVERINO FERRARA

ABITARE LO SLUM PROGETTO PER UN INSEDIAMENTO INFORMALE SOMALO



POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura e Società Corso di laurea in Scienze dell’Architettura A.A. 2012-2013

Abitare lo slum

Progetto per un insediamento informale somalo

Tesi di laurea di:

Severino Ferrara matricola 762586 Relatore:

Prof. Andrea Di Franco Correlatore:

Prof. Emanuele Tanzi



Indice 5

Introduzione

7 Capitolo Uno. La povertà urbana 9 1.1 L’urbanizzazione del pianeta 15 1.2 L’urbanizzazione nei Paesi poveri 18 1.2.1 Il fenomeno degli slums 23 1.2.3 L’abitazione informale 27 Capitolo Due. La riqualificazione degli slums 29 2.1 Politiche di intervento negli slums 33 2.1.1 Slum upgrading partecipativo 37 2.2 Il ruolo degli architetti 38 2.2.1 Il villaggio di New Gourna di Hassan Fathy 43 2.2.2 Incremental Housing a Belapur di Charles Correa 46 2.2.3 Elemental Quinta Monroy di Alejandro Aravena 51 2.2.4 Conclusioni e indicazioni progettuali 53 Capitolo Tre. Caso studio: Progetto per l’insediamento informale Bulo Jawaanley, Galkayo, Somalia 55 3.1 Motivazioni della scelta del caso studio 56 3.2 La città di Galkayo 60 3.2.1 Internally Displaced Person (IDP) 67 3.3 Materiali e tecniche costruttive tradizionali 71 3.3.1 Vantaggi delle coperture in volta nubiana 72 3.4 Progetto 87

Bibliografia e fonti



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Introduzione L’attenzione verso il soggetto trattato in questa tesi, il progetto di residenze per un insediamento informale in Somalia, nasce da un insieme di fattori che mi hanno portato a sviluppare questo argomento. Uno su tutti è il mio particolare interesse per il tema dell’architettura dello sviluppo nei Paesi poveri, ritengo che un progetto no-profit, che nasce con l’intento di risolvere una problematica che affligge persone in cattive condizioni di vita sia uno stimolo importante per un architetto. Un altro fattore che mi ha portato alla scelta di questo argomento è stato l’incontro con l’associazione COMSED, che è un’organizzazione non governativa che dal 1995 svolge attività di cooperazione internazionale promuovendo lo sviluppo sociale e culturale dei Paesi in via di sviluppo, concentrandosi prevalentemente sulla Somalia. Sono venuto a conoscenza dei loro progetti nella città di Galkayo, che si sviluppa in una zona desertica della Somalia settentrionale, qui l’associazione gestisce un ospe-

dale, lavorando prevalentemente per aiutare gli sfollati (Internally Displaced Person) che vivono nei vari insediamenti informali presenti sul territorio all’interno della città, i profughi scappano dalle aree rurali assediate dai problemi della siccità, della guerra e della pirateria nella speranza di trovare una situazione migliore nelle aree urbane, qui occupano i vuoti della città con abitazioni informali, baracche e tende, che generano condizioni di vita difficili, sono ripari temporanei e senza servizi anche se ormai costituiscono la loro casa da più di venti anni. Ho deciso di sviluppare un progetto di residenze e spazi pubblici che possa migliorare le condizioni di vita di queste persone, concentrandomi sull’insediamento Bulo Jawaanley in cui vivono 140 famiglie. Il tema della residenza è molto importante in quanto l’abitazione risulta uno dei problemi che affligge i milioni di poveri urbani nel mondo che sono costretti a vivere in condizioni disumane negli slums, questo tema della povertà urbana verrà trattato nel Capitolo Uno di


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questo scritto. Nel Capitolo Due verrà trattato il tema dello sviluppo degli slums, analizzando i vari approcci al problema, partendo dai primi tentativi, poco attenti alla situazione dei poveri, fino ad arrivare ai progetti di slum upgrading partecipativo degli ultimi anni, tramite i quali le città sviluppano progetti di riqualificazione dei quartieri informali considerando la partecipazione degli abitanti degli slums. Infine verrà analizzato il ruolo degli architetti nei processi di sviluppo degli slums, individuando tre progetti significativi che serviranno da riferimento per il progetto del caso studio, che verrà sviluppato nel Capitolo Tre, considerando l’aspetto della partecipazione attiva degli sfollati nella costruzione della propria casa, analizzando i materiali e le tecniche costruttive tradizionali dell’architettura africana delle zone desertiche.


Capitolo Uno La povertĂ urbana



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1.1 L’urbanizzazione del pianeta “La crescita delle città costituirà il fattore maggiormente influente sullo sviluppo della prima metà del XXI secolo”. Sono le parole di apertura del Rapporto su Lo stato della popolazione nel mondo dell’UNFPA nel 19961. Questa affermazione si sta rivelando di giorno in giorno sempre più vera. Fino ad oggi l’umanità ha abitato e lavorato principalmente nelle zone rurali, ma il mondo sta per lasciarsi alle spalle questo passato, il numero e la percentuale dei residenti nelle aree urbane continuerà a crescere vertiginosamente. A livello globale dunque, tutta la futura crescita della popolazione si verificherà nelle città, piccole e grandi. Il processo di urbanizzazione del pianeta non è una novità degli ultimi decenni. La prima ondata di urbanizzazione avvenne nel Nord America e in Europa nel corso di due secoli, dal 1750 al 1950: la popolazione urbana salì da 15 a 423 milioni di persone, passando dal 10 1 UNFPA, The State of World Population 1996: Changing Places: Population, Development and the Urban Future, pag. 1, UNFPA, New York, 1996.

al 52 per cento della popolazione totale. All’inizio del XX secolo le regioni attualmente industrializzate avevano più del doppio di cittadini urbanizzati rispetto a quelle in via di sviluppo (150 milioni contro 70 milioni). Nonostante livelli di urbanizzazione molto inferiori, i Paesi in via di sviluppo hanno oggi 2,6 volte più cittadini urbani delle regioni industrializzate. Questo divario è destinato ad allargarsi rapidamente nei prossimi decenni. Negli ultimi due secoli il fenomeno dell’urbanizzazione si è contraddistinto per una crescita sempre più rapida e vorticosa. Nel 1950, le città con una popolazione superiore al milione di abitanti erano ottantasei in tutto il mondo, nel 2001 erano quattrocento e nel 2015 saranno almeno cinquecentocinquanta2. Nel corso del XX secolo la popolazione urbana mondiale è cresciuta con estrema velocità (passando da 220 milioni a 2,8 miliardi) e i prossimi decenni vedranno un tasso di 2 MIKE DAVIS. Il pianeta degli slum, pag.11 Feltrinelli, Milano, 2006


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Crescita della popolazione mondiale in miliardi Fonte: United Nations, World Urbanization Prospects

crescita urbana ancora più elevato

fa parte di una “seconda ondata” di

per i Paesi in via di sviluppo. Que-

transizioni demografiche, econo-

sto fatto sarà rilevante soprattutto

miche e urbane, molto più grande

in Africa e in Asia, dove tra il 2000 e

e veloce della prima. La prima on-

il 2030 la popolazione urbana è de-

data di transizioni moderne ebbe

stinata a raddoppiare, il che signi-

inizio in Europa e America del Nord

fica che l’urbanizzazione totale di

nella prima metà del XVIII secolo,

queste due regioni nell’intero arco

nel corso di due secoli (1750-1950)

della storia umana raddoppierà nel

queste regioni vissero la prima

corso di un’unica generazione. En-

transizione demografica, la prima

tro il 2030 le città e le metropoli del

industrializzazione e la prima on-

mondo in via di sviluppo raccoglie-

data di urbanizzazione.

ranno l’81% della popolazione ur-

Nell’ultimo mezzo secolo i Paesi

bana nel mondo.

più poveri hanno avviato una tran-

L’enorme incremento della popo-

sizione analoga. In entrambe le ur-

lazione urbana dei Paesi più poveri

banizzazioni la crescita della popo-


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lazione è andata di pari passo con

poveri del mondo. Ma la tesi secon-

quei cambiamenti economici che

do cui l’urbanizzazione è ancella

alimentano la transizione urbana,

dell’industrializzazione non è più

in questo caso però la rapidità e

sostenibile.

le dimensioni dell’urbanizzazione

Al giorno d’oggi la città è impre-

sono infinitamente maggiori che

gnata dalla nuova economia glo-

nel passato, il che comporta un’in-

bale, come sostiene Sassen3. Un’e-

finità di nuovi problemi per le città

conomia, che ha di conseguenza

dei Paesi più poveri. Fino alla metà

lo sviluppo di funzioni di comando

del secolo scorso chi emigrava nel-

e di servizi alla produzione e che,

le città trovava lavoro, nelle fabbri-

sebbene richieda personale spe-

che, nei porti, nell’edilizia, nel set-

cializzato e di alto livello, necessi-

tore pubblico, nei servizi domestici.

ta anche di mano d’opera a basso

Inoltre dai villaggi si emigrava verso

prezzo per far sopravvivere funzioni

Paesi poco popolati, gli emigranti

di produzione intensive e manua-

partiti dall’Europa per ragioni eco-

li. Le imprese di pulizia, i servizi di

nomiche erano ben accolti in quei

ristorazione, le mansioni ripetitive

Paesi in cui c’era bisogno di coloni

ad alto impiego di mano d’opera

ed erano apprezzati per la perseve-

nell’edilizia o nella produzione in-

ranza e lo spirito imprenditoriale.

dustriale e manifatturiera, costitu-

Nelle “nuove” terre portavano la

iscono il corollario locale, urbano,

forza lavoro necessaria per svilup-

della globalizzazione. Nelle città

pare vaste zone ricche di risorse

del terzo mondo questa dimensio-

naturali. Fino a trent’anni fa, si ri-

ne locale necessaria ai processi

teneva che un simile passaggio dal

globali è pervasa dall’economia in-

sistema di produzione agricolo-ru-

formale, e trova negli slums il suo

rale a quello urbano-industriale si sarebbe verificato anche nei Paesi

3 SASKIA SASSEN, Le città nell’economia globale, Il Mulino, Bologna, 2004


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corrispettivo spaziale. La prospet-

zione progressiva delle economie

tiva della globalizzazione induce

mondiali. Le persone vanno dove

a inserire nella valutazione delle

ci sono posti di lavoro, i quali a loro

relazioni tra sovrappopolazione ur-

volta nascono dove ci sono investi-

bana e sviluppo la distinzione tra

menti e attività economiche, che si

sistemi di città equilibrati e sistemi

concentrano in maggior parte nelle

di città cosiddette “primaziali”: nei

aree urbane più dinamiche, grandi

primi le attività produttive e i servizi

e piccole, e attorno ad esse. Ma nei

sono distribuiti tra diverse città; nei

Paesi in via di sviluppo le città pri-

secondi, in una città, solitamente

maziali difficilmente generano oc-

la capitale, sono concentrati disor-

cupazione sufficiente a rispondere

dinatamente popolazione, attività

alla domanda di una popolazione in

economiche e servizi. Di consueto

crescita. Per di più non tutti i seg-

i primi tipi di sistemi sono propri

menti della popolazione godono in

dell’Europa occidentale e, in gene-

uguale misura dei benefici dell’ur-

rale, delle aree economicamente

banizzazione; ne restano esclusi

sviluppate, mentre l’America Lati-

quelli che per tradizione si trovano

na, i Caraibi, ampie parti dell’Asia

ad affrontare l’emarginazione so-

e, in una certa misura, l’Africa sono

ciale ed economica: donne e mino-

caratterizzati dalla presenza ege-

ranze etniche, per esempio.

monica o isolata di città primaziali.

L’abbandono in massa del lavo-

L’impatto prodotto dalla globalizza-

ro agricolo, intensificatosi negli

zione sull’andamento della crescita

ultimi cinquant’anni, è stato ac-

delle città rappresenta una diffe-

compagnato da quello dei villaggi.

renza cruciale tra le transizioni del

L’esodo dalle campagne è un feno-

passato e del presente. Le metro-

meno che riguarda prevalentemen-

poli sono le principali beneficiarie

te il Sud del mondo: entro i prossimi

della globalizzazione, dell’integra-

vent’anni, le metropoli di Giacarta,


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Dacca, Karachi, Shanghai, Bombay

– case, energia, forniture idriche,

conteranno ciascuna venticinque o

sistemi fognari, strade, strutture

più milioni di abitanti, nasceranno

commerciali e industriali – da re-

nuove megalopoli con popolazioni

alizzare più rapidamente di quanto

superiori agli otto milioni di abitan-

sia accaduto in Europa e Nord Ame-

ti e ipercittà con più di venti milioni

rica. Sviluppare e adattare forme di

di abitanti. È necessario mettere in

organizzazione politica, sociale ed

opera nuove infrastrutture urbane

economica per rispondere alle esiLe dieci città più grandi del mondo nel 1990 Fonte: Chandler T. (1987) Four Thousand Years of Urban Growth: An Historical Census,St. David’s University Press.

Le dieci città più grandi del mondo nel 2015 Fonte: Stime United Nations Population Fund


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genze del nuovo mondo urbanizzato è una sfida molto più ostica che in passato. Dalle tabelle è evidente come città molto povere siano cresciute enormemente, ma a che prezzo? Nel prossimo paragrafo verranno analizzate le condizioni di vita di oltre un miliardo di persone che vivono in quei luoghi alla periferia delle grandi metropoli: slums, baraccopoli, bidonville, favelas, poco importa il nome, rappresentano l’inferno per intere generazioni di individui.


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1.2 L’urbanizzazione dei paesi poveri Fino a poco tempo fa l’epicentro della povertà e delle sofferenze dell’umanità era costituito dagli insediamenti rurali. Tutte le valutazioni quantitative della povertà, che avessero come parametro il reddito, i consumi o le spese, dimostravano che la povertà era più profonda e diffusa nelle zone rurali che in quelle cittadine. I centri urbani nel loro complesso offrivano una migliore accessibilità dei servizi per la salute e l’istruzione, delle infrastrutture di base, di informazioni, conoscenze e opportunità. Tali constatazioni erano facilmente comprensibili dati i vari capitoli di spesa dei bilanci, la concentrazione dei servizi e gli altri vantaggi intangibili delle città. Oggi però la povertà nelle aree urbane è in crescita più rapida che in quelle rurali, anche se vi si dedica molta meno attenzione. I dati aggregati nascondono disuguaglianze profonde e sorvolano sulla concentrazione di gravi situazioni di povertà nei centri urbani. La maggior parte delle stime in realtà sottovalutano la diffusione e l’entità della povertà urbana.

Poveri, mendicanti e senza tetto hanno fatto parte del panorama urbano fin dalla nascita, in Mesopotamia, delle prime città della storia. I poveri sono per la gran parte relegati in zone socialmente segregate chiamate baraccopoli. Il nostro concetto di baraccopoli moderna risale alla rivoluzione industriale nella Londra del XIX secolo o nella New York dell’inizio del XX secolo. Le caratteristiche basilari della vita nelle baraccopoli non sono cambiate: oggi la differenza è soltanto nelle dimensioni. Gli abitanti delle baraccopoli del nuovo millennio non sono più poche migliaia in qualche città di un continente in rapida industrializzazione. Comprendono un abitante su tre delle aree urbane, ovvero 1 miliardo di persone: un sesto della popolazione mondiale. I dati che emergono dal rapporto ONU Challenge of slums1 permettono di tracciare una mappa della povertà urbana nel mondo attuale. Questo rapporto pubblicato nell’ottobre del 2003 integra tre fonti ine1 The challenge of slums, United Nations Human Settlements Programme, 2003


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Popolazione urbana che vive negli slums 0-10% 10-20% 20-30% 30-40% 40-50% 50-60% 60-70% 70-80% 80-90% 90-100% nessun dato Fonte: Stime United Nations Population Fund

dite di analisi e dati. Primo, si basa su studi sinottici sulla povertà, sulle condizioni negli slums e sulla politica abitativa in trentaquattro

raccopoli e slums con percentuali che raggiungono l’incredibile cifra del 90% nella regione dell’africa sub-sahariana. Si stima che sulla

metropoli del terzo come del primo mondo. Secondo, utilizza un database comparativo, unico nel suo genere, relativo a duecentotrentasette città in tutto il mondo. Terzo, incorpora dati globali d’indagine sulle famiglie, informazioni che aprono nuovi territori di analisi in quanto includono la Cina e il blocco ex sovietico. È evidente come nei Paesi del sud del mondo la maggior parte della popolazione urbana vive in ba-

terra possano esistere più di duecentomila slum, diversi per estensione e numero di abitanti. La città con maggior popolazione che vive negli slums è Bombay con 10-12 milioni di abitanti, seguita da Città del Messico e Dacca, dove gli abitanti dei quartieri degradati sono 9-10 milioni e da Lagos, Il Cairo, San Paolo, Shangai e Delhi con circa sette milioni. I poveri della città sono concentrati negli slums dell’America Latina, come nelle


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baraccopoli di Baghdad e Gaza; in India le persone che vivono in queste condizioni sono 160 milioni, in Cina più di 900 milioni. Le persone

pressione delle guerre civili e delle insurrezioni. In alcune zone dell’America Latina, in Corea del Sud e Taiwan le masse contadine si spo-

che vivono negli slums del mondo sono, ad oggi, più di un miliardo di persone. Fino alla prima metà del secolo scorso la crescita urbana nei Paesi poveri del mondo avveniva ad una velocità piuttosto lenta, il massiccio trasferimento della povertà rurale nelle città veniva ostacolato da fattori economici e politici che negavano l’accesso al centro urbano a vasti settori della popolazione agricola. L’esplosione della crescita urbana, con conseguente deflagrazione del fenomeno degli slums, inizia ovunque durante il periodo post-bellico ma è causata da diversi fattori a seconda delle aree. Negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso l’abolizione della legge coloniale sui pass laws, che controllava la migrazione urbana, permette alla popolazione rurale dell’Africa subsahariana di avvicinarsi alle città. In America Latina, Algeria, India-Pakistan e Sud-est asiatico il fattore determinante è la

stavano verso le città attratte dalle opportunità di lavoro offerte dallo sviluppo dell’industria locale. Una seconda fase di urbanizzazione nei Paesi poveri con conseguente esplosione della povertà urbana si è verificata nel 1975, con l’imposizione del Programma di Aggiustamento Strutturale (PAS) varato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale. I PAS determinano delle “condizionalità” che i Paesi poveri devono rispettare per ottenere nuovi finanziamenti dal FMI o dalla Banca Mondiale. I Paesi poveri si sono trovati a dover abolire gli aiuti ai piccoli proprietari terrieri per rispettare il PAS, in questa maniera i contadini sono stati costretti ad affogare nei mercati globali dei prodotti agricoli dominati dalle grandi società agro-industriali generosamente sovvenzionate dal Primo Mondo. Inoltre il PAS ha imposto la privatizzazione e l’eliminazione dei controlli sulle importazioni, nonché


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uno spietato ridimensionamento del settore pubblico. Il risultato finale è stato una gigantesca crescita dell’urbanizzazione indipendente

dalle autorità dei Paesi del Terzo mondo, in questo modo si riduce il fatto a un problema minore di cui non ci si occupa.

dall’industrializzazione e perfino dallo sviluppo stesso. I Paesi del Terzo mondo non sono stati in grado di fornire abitazioni ai nuovi lavoratori urbani, perché i governi che si sono succeduti dopo l’indipendenza hanno avvantaggiato le élite locali invece di occuparsi dei poveri. L’idea di uno Stato interventista fortemente impegnato nell’edilizia sociale e nello sviluppo dell’occupazione rimane un sogno nei Paesi del Terzo mondo, i governi non si sono mai sforzati di occuparsi di combattere gli slums e risolvere i problemi della marginalità urbana. In molte città povere le relazioni tra i cittadini e i loro governi non esistono, i poveri si trovano a dover comprare l’acqua dai commercianti privati e pagare gruppi di vigilanza per la sicurezza, non esistono scuole, servizi igienici e ospedali. I governi sono totalmente disinteressati alla situazione dei poveri, la popolazione degli slums viene molto spesso sottostimata

1.2.1 Il fenomeno degli slums Il fenomeno degli slums, nelle varie forme in cui si manifesta, rappresenta i luoghi ai margini delle periferie delle città del sud del mondo dove la maggior parte della popolazione vive in condizioni di sovraffollamento, espulsa dai percorsi di legalità, in mancanza di servizi e reperibilità di acqua. Uno slum è caratterizzato dalla ripetizione densa e disordinata di tante precarie costruzioni, realizzate con materiali poveri, in parte riciclati, senza servizi, abitate dalla popolazione più povera. Nel passato, la gente occupava un pezzo di collina e costruiva la propria casa, successivamente arrivava la polizia per lo sgombero, ma nell’arco di una generazione si poteva ottenere il diritto a vivere lì. Questa occupazione tradizionale non esiste più, l’unica terra che si può occupare abusivamente è quella che nessuno rivendica perché compromessa da fattori geografici, topografici o sociali, nelle zone ad


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alto rischio ambientale o nelle zone vicine a discariche di rifiuti tossici. Questi luoghi sono l’espressione della povertà urbana e rappresen-

zione operativa degli abitanti degli slums, identificandoli con individui a cui manca uno o più dei seguenti elementi:

tano un modo alternativo per soddisfare i bisogni e le aspirazioni dei ceti più poveri a cui le strutture sociali convenzionali non sono in grado di dare risposta. Nel 2002 il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-HABITAT)2 ha dato una defini-

1. Accesso all’acqua (accesso ad una quantità sufficiente di acqua potabile per l’uso familiare, ad un prezzo sostenibile, disponibile per i membri della famiglia senza che siano soggetti a sforzi estremi) 2. Accesso a servizi igienici (accesso ad un sistema di eliminazione degli escrementi, o nella forma di bagno privato o di bagno pubblico condiviso con un numero ragionevole di persone)

2 Agenzia delle Nazioni Unite il cui compito è favorire un’urbanizzazione socialmente ed ambientalmente sostenibile e garantire a tutti il diritto ad avere una casa dignitosa. www.unhabitat.org

Slum Dharavi a Mumbai, India Fonte: National Geographic, www.nationalgeographic.com


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3. Spazio vitale sufficiente (meno di tre persone per stanza di un minimo di quattro metri quadri) 4. Qualità/durata delle abitazioni

e la febbre tifoide o quelle opportunistiche che accompagnano l’AIDS. La vita negli slum perciò impone enormi carichi sociali e psicologi-

(strutture adeguate e permanenti edificate in luoghi non pericolosi) 5. Garanzia del possesso (esistenza di documentazioni attestanti la garanzia dello stato di possesso o la percezione o l’esistenza di fatto di una protezione contro gli sfratti) In questa definizione il concetto di abitante di uno slum è stato esplicitamente ridotto alle caratteristiche fisiche e giuridiche dell’insediamento, mettendo da parte le condizioni socio-economiche, più difficili da misurare. Il rapporto The Challenge of Slums mostra come questi luoghi impongono ai loro abitanti la sopportazione di alcune delle più intollerabili condizioni di vita, che frequentemente includono la condivisione di bagni con centinaia di persone, la convivenza in quartieri sovraffollati ed insicuri e la costante minaccia degli sfratti. Gli abitanti di uno slum sono più soggetti a contrarre malattie dovute all’inquinamento dell’acqua, come il colera

ci sui residenti il che spesso porta alla distruzione delle famiglie e alla esclusione sociale. Anche se è opinione comune che gli slum siano terreno fertile per la criminalità, il report mostra che i suoi abitanti siano nei fatti più spesso le vittime che gli esecutori di questi crimini. Il rapporto mostra come l’esistenza degli slums in molte città può avere dei benefici involontari. Per esempio essi sono spesso il primo punto di sosta delle popolazioni che dalla campagna emigrano verso la città; essi forniscono degli alloggi a basso costo tali da poter permettere ai nuovi emigranti di risparmiare sufficiente denaro per la loro eventuale incorporazione nella società urbana. La maggior parte degli abitanti di uno slum guadagna da vivere in attività informali ma cruciali per molte città, fornendo quindi dei servizi che non potrebbero essere facilmente disponibili tramite l’economia formale. Nel Terzo mondo, la scelta abitativa


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è il risultato di un difficile calcolo di disorientati compromessi. I poveri urbani si trovano a dover valutare determinati fattori per ottimizzare i

sono loro che si prendono cura dei familiari malati, questo comporta per loro poco tempo per l’istruzione o per guadagnarsi da vivere. Negli

costi abitativi, la sicurezza del possesso, la qualità del riparo, il tragitto per il lavoro e talvolta l’incolumità personale. Per alcuni vivere in prossimità del posto di lavoro è più importante che avere un riparo sicuro e sono disposti a vivere per strada pur di essere vicini al lavoro, per altri, un terreno gratuito vale la pena di effettuare lunghi spostamenti tra la periferia e la città. Homeless International3, che è un’associazione che sostiene gli abitanti degli slums cercando di trovare soluzioni durature alla povertà urbana, ha individuato i vari problemi che affliggono gli abitanti degli slums e sono riportati nei seguenti temi. Donne Le donne e le ragazze devono sopportare il peso dei problemi connessi alla vita negli slums. Generalmente sono loro ad occuparsi del recupero e del trasporto dell’acqua, quasi sempre su lunghe distanze, e

slums delle città i servizi igienici sono praticamente inesistenti, così le donne sono costrette a andare in bagno di notte o al mattino, con il rischio di essere stuprate o molestate. Salute e mortalità infantile Le pessime condizioni igieniche nelle baraccopoli portano alla diffusione molto rapida di malattie anche mortali. Malattie come il colera, la malaria e la diarrea sono prevalenti in molti slums. I tassi di infezione da HIV negli slum di Kibera in Kenya sono il doppio della media nazionale. I bambini che vivono nelle baraccopoli hanno un rischio maggiore di contrarre malattie che arrivano a essere letali come la polmonite, la diarrea, la malaria, il morbillo o l’AIDS. L’approvvigionamento di acqua, servizi igienici e servizi sanitari aiuterebbe a ridurre la diffusione delle malattie. Educazione A molti bambini che vivono nelle baraccopoli è negata la possibilità

3 www.homeless-international.org


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di andare a scuola. Le barriere sociali e culturali negano agli abitanti degli slums la possibilità di completare la loro formazione di base. Molti non vanno a scuola e pochi hanno un’istruzione primaria completa. Occupazione Gli abitanti degli slums non hanno la certezza di una casa sicura e duratura, il che non li aiuta a trovare un lavoro. Senza un reddito affidabile non sono in grado di investire per migliorare le loro case e le condizioni di vita, così diventa sempre più difficile uscire dalla povertà. “Women Are Heroes” Action in Kibera Slum, JR Art Le fotografie di JR ritraggono occhi malinconici ed infelici che raccontano storie di donne forti che vivono la realtà degli slums. Fonte: http://www. jr-art.net/projects/ women-are-heroes-africa

Finanziamenti Le banche e altre istituzioni finanziarie spesso escludono i più poveri perché considerati “non bancabili”, nel senso che generalmente non possiedono nulla e quindi non vi si può concedere un prestito. Come risultato, gli abitanti degli slum devono ricorrere agli usurai che gli fanno pagare tassi di interesse molto elevati e infine li impoveriscono. Esclusione politica Le popolazioni degli slums spesso non vengono riconosciute dai governi, escludendole dai piani di


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sviluppo della città, negandogli il diritto al voto e la piena tutela attraverso la legge. Così gli si nega i diritti che gli altri cittadini hanno e

litiche pubbliche in settori cruciali come il lavoro, la proprietà della terra, la salute o l’istruzione, con l’occupazione abusiva dei terreni

quindi si genera un’esclusione sociale. Dignità e privacy La mancanza di servizi igienici e il sovraffollamento causa la mancanza di privacy. Questo problema è particolarmente grave per le donne, gli adolescenti, le giovani coppie e le famiglie numerose. Catastrofi naturali Catastrofi come tempeste, forti precipitazioni e terremoti colpiscono le aree urbane povere più gravemente rispetto alle altre, le baracche collassano facilmente sotto la pressione delle intemperie. Lo scarso drenaggio dell’acqua e la cattiva gestione dei rifiuti amplificano gli effetti delle catastrofi. Inoltre i poveri urbani generalmente vivono in aree più esposte, come ad esempio lungo i binari ferroviari, le sponde dei fiumi, sotto i ponti e intorno alle discariche.

compromessi, agevola la nascita delle città informali. L’informalità non riguarda solo gli aspetti riferiti alla casa ma coinvolge la sfera sociale, la legalità e l’economia di chi vi abita. Come sostiene Sassen nel suo libro “Globalizzati e scontenti”4 le città globali dovrebbero adottare politiche di tutela dell’economia informale invece di criminalizzarla, così si possono pensare interventi di legalizzazione tramite la riqualificazione dell’economia informale, all’interno di un contesto di rapporto partecipativo fra pubblico e privato, nel quale sia possibile recuperare un ruolo per lo Stato. La proposta della Sassen dovrebbe essere estesa a tutti i campi della città informale, soprattutto al concetto dell’abitazione, iniziando a considerare gli slums come “modi alternativi di fare città”5, una via ne-

1.2.2 L’abitazione informale Nei Paesi in via di sviluppo, il deficit abitativo e la mancanza di po-

4 SASKIA SASSEN, Globalizzati e scontenti, Il Saggiatore, Milano, 2002 5 CAMILLO MAGNI, Costruire l’abitare sociale nelle aree di marginalità in “Una Casa per Tutti”, Electa, Milano, 2008


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Abitazione informale nello slum Dharavi a Mumbai, India Fonte: http://masteremergencyarchitecture. com/

cessaria e alternativa per soddisfare i bisogni e le aspirazioni dei ceti più poveri a cui le strutture sociali convenzionali non sono in grado di

zione sociale dell’habitat, i processi di costruzione si basano su processi di scambi economici alternativi, propri dell’economia informale, op-

dare risposta. Per affrontare il tema dell’abitazione informale è necessario considerare tre aspetti fondamentali riguardo le condizioni operative, costruttive e procedurali proprie dei quartieri informali. Il primo aspetto riguarda i sistemi di produzione, che possono essere considerati come sistemi di produ-

posti al classico mercato. L’autocostruzione e l’attività di imprese edili solo parzialmente legalizzate ne sono un esempio. Il secondo si riferisce ai tempi di progetto, l’abitazione è al centro di un processo evolutivo che si adatta nel tempo alle specifiche necessità di chi vi abita, la costruzione iniziale viene via via migliorata fino a es-


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sere dotata di tutti i servizi necessari. Questo fenomeno determina una progressiva trasformazione dei luoghi delle città. Il terzo aspetto considera la casa non solo come dimora in quanto spesso alcune parti dell’abitazione vengono destinate ad attività di commercio, di manifattura, produzione di servizi e luoghi di scambio. È evidente che in contesti del genere è necessario individuare nuove tecnologie che possano stimolare processi di sviluppo alternativo. Queste tecnologie devono adattarsi alle specifiche condizioni socio ambientali e culturali di un contesto, utilizzare materiali locali o facilmente reperibili, necessitare di un basso investimento di base e di favorire le economie locali. L’obiettivo è di individuare tecnologie costruttive che siano facilmente replicabili anche da mano d’opera non specializzata e che migliorino la qualità architettonica e costruttiva.



Capitolo Due La riqualificazione degli slums



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2.1 Politiche di intervento negli slums I governi delle città, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, hanno reagito al fenomeno degli slums in diverse maniere. La prima reazione della maggior parte dei governi di fronte alla forte immigrazione e agli insediamenti spontanei fu relativamente uniforme, vennero stabilite delle leggi più ferree e applicato un maggior controllo alla nascita di nuovi insediamenti informali1 che sono stati considerati solamente come luoghi di povertà, malattie e criminalità. Questo era l’orientamento, in particolare dei governi africani che ambivano a realizzare città correttamente progettate e adeguatamente sviluppate; gli slums, per loro, rappresentavano una minaccia ai valori delle proprietà dei quartieri formalmente sviluppati e agli investimenti commerciali. Molti governi tentarono di fornire nuovi alloggi attraverso la costru1 PAYNE GEOFFREY, Informal Housing and Land Subdivisions in Third World Cities: A Review of the Literature. Oxford, UK, The Centre for Development and Environmental Planning at Oxford Polytechnic, 1989, p.37.

zione di edifici multipiano, pianificati, progettati e finanziati dagli enti nazionali preposti all’edilizia popolare. Queste iniziative si rilevarono ben presto insufficienti, le unità abitative realizzate erano troppo costose in termini economici a causa degli elevati standard costruttivi richiesti dalla legge. Inoltre il numero di abitazioni prodotte era insufficiente a soddisfare la forte domanda e le interferenze politiche al momento dell’assegnazione miravano a favorire un elite di reddito superiore a discapito dei veri poveri. Dagli anni ’70 del secolo scorso, alcuni governi iniziarono a considerare gli slums come risposte intelligenti ad una situazione di scarsità di abitazioni pianificate, un modo alternativo di fare città, necessario ai poveri per permettergli di vivere nelle città. I residenti degli slums iniziano ad essere considerati come auto costruttori delle proprie abitazioni che necessitano una minima assistenza da parte dello Stato, soprattutto sotto gli aspetti della sicurezza del possesso della terra


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che occupano (security of tenure) e della fornitura di servizi urbani di base (infrastrutture idriche e igieniche) in modo da migliorare la

neo che potesse essere eliminato dallo sviluppo economico. Alcuni governi ignoravano la presenza degli slums, segnando come bianche,

loro situazione. Nel 1976 la Dichiarazione di Vancouver ha affermato che un riparo adeguato è un diritto umano fondamentale ed è compito dei governi garantirli tramite l’auto-aiuto (self help) e l’azione comunitaria2. Negli ultimi decenni sono stati adottati diversi approcci al tema della riqualificazione degli slum. Da un’attenta analisi di questi approcci emerge che, in molte città, attualmente si stanno ancora praticando quei programmi che erano in uso decenni fa, come l’uso di sfratti e la bonifica degli slums come si verificava nelle città europee del XIX secolo. Un approccio che può essere definito inappropriato e che è stato adottato nei primi anni ’70, si basava su due convinzioni, la prima riteneva che gli slums fossero illegali e la seconda che si trattasse di un fenomeno inevitabile ma tempora-

ad indicare terreni non edificabili, le aree dove sorgevano gli slums. Questo genere di approccio era influenzato dall’esperienza europea del periodo del secondo dopo guerra, che affrontava la questione della mancanza di abitazioni con importanti piani di edilizia popolare per la popolazione povera. Ma questo approccio si rivelò impraticabile per la maggior parte dei Paesi poveri perché richiedeva risorse finanziarie di cui i governi non disponevano. Un’altra risposta allo sviluppo degli slums, fu, tra gli anni ’70 e ’80, quella degli sgomberi forzati, realizzati principalmente in quegli Stati dove il potere politico centrale era particolarmente forte e si scontrava con la debolezza dei governi locali e delle amministrazioni. Questo genere di approccio al tema degli slums può essere definito non democratico perché non considerava minimamente i diritti degli abitanti degli slums. Quando divenne chiaro alle autorità pubbli-

2 UN-HABITAT, Vancouver Declaration on Human Settlements and the Action Plan, Vancouver, June 1976


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che che lo sviluppo economico non aveva intenzione di considerare le popolazione degli slums, i governi decisero di sfrattare i poveri senza

la continua espansione della città verso le aree periferiche genera un ciclo infinito di nuovi sfratti e la creazione di nuovi slums.

pensare a stipulare negoziazioni volte a fornire una forma di risarcimento alle famiglie sfrattate o proporre delle soluzione alternative. Gli sfratti erano giustificati dalla realizzazione di progetti di rinnovo urbano e dalla costruzione di infrastrutture urbane. Questo approccio, ovviamente, non ha risolto i problemi degli slums, che si sono spostati verso la periferia delle città, dove l’occupazione delle terre è stata più facile perché la pianificazione e il controllo erano inesistenti, ma

Alla fine degli anni ’70, dopo i fallimenti dei piani repressivi contro gli slums, iniziò a essere preso in considerazione l’approccio di auto-aiuto e di upgrading in situ per rispondere al fenomeno degli insediamenti informali. A livello internazionale aumentò la consapevolezza del diritto alla casa e alla protezione nei confronti della sfratti, il dibattito portò alla definizione di nuove norme che favorissero il self-help e l’upgrading in situ. Queste politiche si concentravano su Bambini assistono alla demolizione della loro casa durante lo sgombero forzato, maggio 2012, dello slum Bagmati River Banks a Kathmandu, Nepal Fonte: http://sillyfunda.wordpress. com/2012/05/09/ kathmandu-metropolitan-remove-illegal-squatters-from-bagmati-river-slums/


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tre aree principali, la prima era la fornitura di servizi urbani di base, la seconda, la fornitura di security of tenure per gli abitanti degli slu-

mobilitazione e l’organizzazione delle comunità dei poveri nel miglioramento degli slums. La politica della “delocalizzazione”

ms e la terza, l’accesso innovativo al credito, adatto al profilo economico dei poveri. Queste iniziative di slum upgrading, svolte tra gli anni ’70 e ’90, si concentravano prevalentemente su fornire i servizi, ma le comunità non mantenevano gli impianti e i governi si occupavano della manutenzione solo quando erano previsti dei controlli da parte degli esperti internazionali che elargivano i finanziamenti. Presto fu chiaro che nei processi di slum upgrading era necessario il coinvolgimento degli abitanti degli slums non solo nei processi di costruzione e miglioramento degli slums, ma anche nei processi decisionali e di progettazione stabilendo le priorità di azione e il supporto all’attuazione. Così l’approccio di “abilitazione” (enabling), che si sviluppò a partire dalla metà degli anni ’80 sino al 1996 con l’Agenda Habitat3, cercava di coordinare la

(relocation) viene associata a quasi tutti i tipi di approcci agli slums, anche se può essere considerata positiva solo nell’ipotesi in cui il trasferimento viene effettuato con il consenso e la collaborazione delle famiglie degli slums coinvolti, nel peggiore dei casi, la relocation è poco più di uno sgombero forzato, senza alcun tentativo di consultazione o considerazione delle conseguenze sociali ed economiche di persone in movimento in sedi lontane, spesso periferiche, che non hanno accesso alle infrastrutture, ai servizi urbani o di trasporto. Tutti questi approcci agli slums continuano ad essere utilizzati ancora oggi in diversi contesti, anche approcci poco appropriati, come ad esempio la negligenza o lo sfratto sommario. Ma, tuttavia, è possibile affermare che vi è stata un’evoluzione di approcci strategici agli slums con i programmi di slum upgrading partecipativo degli ultimi anni.

3 A New Agenda for Human Settlements, Habitat 1986


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2.1.1 Slum upgrading partecipativo Negli ultimi anni, il miglior programma per gli interventi residenziali nei Paesi in via di sviluppo è lo slum upgrading partecipativo. Lo slum upgrading partecipativo è un processo attraverso il quale le aree informali delle città dei paesi poveri sono gradualmente migliorate, formalizzate e incorporate alla città stessa, estendendo la sicurezza del possesso della terra, i servizi e i diritti di cittadinanza agli abitanti degli slums. Si tratta di fornire ai poveri i servizi alla pari degli altri abitanti della città. Questi servizi includono l’aspetto giuridico (proprietà della terra che occupa-

del possesso, così i poveri sono al sicuro dagli sfratti e sono più propensi a investire nella realizzazione della propria abitazione e nel corso del tempo potranno incrementare lo sviluppo dell’intera comunità. I progetti di slum upgrading sono necessari in quanto tutte le persone hanno il diritto fondamentale di vivere in un ambiente dignitoso. Riqualificare e prevenire la formazione di nuovi slums è un interesse delle città perché queste rischiano di perdere l’autorità in quei quartieri informali dove non vi sono servizi e sicurezza, potrebbero diventare aree di criminalità e focolai di malattie che possono espandersi

no), fisico (infrastrutture), sociale (sicurezza e istruzione) o economico (riconoscimento dell’economia informale). Queste attività di riqualificazione dovrebbero essere intraprese dal governo locale con la partecipazione di tutte le parti: residenti, imprese e autorità nazionali. Un elemento chiave per la riuscita dei programmi di slum upgrading è la regolarizzazione della proprietà della terra, garantendo la sicurezza

in tutta la città. Inoltre regolamentare l’economia informale propria di quella aree garantirebbe un aumento dell’economia di tutta la città. Lo slum upgrading risulta il modo più conveniente e vantaggioso per garantire alloggi ai poveri urbani. La soluzione agli slums non può essere lo sgombero, anche se a volte risulta necessario, se uno slum si sviluppa su un terreno compromesso, pericoloso o instabile, la deloca-


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Riunione degli abitanti dello slums Yerawada a Pune in India, per la definizione del progetto Incremental Housing Strategy di Urban Noveau Fonte: http://www.urbanouveau.com/

lizzazione negoziata può essere la migliore opzione, ma generalmente gli slums sorgono su terreni ben posizionati, con facile accesso alla

cessario stimolare gli abitanti di tutta la città a capire perché è importante. Il problema più grande nei processi

città dove i poveri lavorano. I fattori necessari alla buona riuscita di un programma di slum upgrading sono: la forte volontà politica da parte delle amministrazioni, il coinvolgimento, anche economico delle comunità che vivono negli slums e la collaborazione tra tutti gli attori che prendono parte al progetto. Lo slum upgrading deve soddisfare un bisogno reale, è ne-

di slum upgrading è quello di trovare soluzioni a una vasta gamma di esigenze. Gli slums non sono tutti uguali, i problemi variano molto, perciò lo sviluppo partecipato è la soluzione migliore, le persone partecipano indicando i propri interessi che dovranno essere presi in considerazione. I governi rivestono un ruolo chiave nell’agevolare e dare avvio alle ini-


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ziative, pur mantenendo la responsabilità finanziaria e il rispetto delle norme di qualità. Il cambio fondamentale, rispetto ai programmi di

migliorare le condizioni di vita dei poveri urbani, le comunità selezionano i propri investimenti, da destinare alla realizzazione delle infra-

upgrading precedenti, sta nel fatto che le comunità di poveri vengono coinvolte fin dall’inizio, e danno un contributo alla realizzazione del progetto, non in termini strettamente monetari ma in termini di contributo lavorativo. Molte agenzie sono state coinvolte nello slum upgrading, nel corso degli ultimi 25 anni, in tutte le regioni del mondo insieme a migliaia di amministrazioni locali e di ONG. Per realizzare progetti di questo tipo sono necessarie un’ottima organizzazione, una buona volontà locale, la coesione, la volontà politica e resta da vedere se siano replicabili su vasta scala. Le esperienze più recenti di upgrading possono essere caratterizzate dall’avere obiettivi più modesti e su scala ridotta, spesso concentrandosi su uno o due interventi, a partire da un unico quartiere di dimensioni limitate. Gli investimenti in infrastrutture, realizzati in questi progetti, devono

strutture che ritengono prioritarie, attraverso un processo di pianificazione partecipativa supportato da un team di intermediazione sociale. Ai progetti di upgrading sono riconosciuti effetti specifici positivi, i progetti hanno aumentato lo stock abitativo e la qualità degli slums esistenti, oltre ad aver migliorato la qualità della vita dei poveri tutelando i loro diritti. La Banca Mondiale4 ha effettuato delle valutazioni delle diverse iniziative di upgrading, che mettono in evidenza che le abitazioni realizzate sono accessibili alla maggior parte dei beneficiari a basso reddito ai quali erano destinate. I dati disponibili indicano, inoltre, che le spese per questo miglioramento dell’edilizia abitativa non sono andate a discapito di altre esigenze, come nel caso del cibo o dei servizi sanitari, il concetto della partecipazione attiva 4 WORLD BANK, Informal Settlement Upgrading in Sub-Saharan Africa: Retrospective and Lesson Learned, DC, The World Bank, 2003


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dei poveri nella costruzione della propria casa risulta essere essenziale per limitare i costi. Il concetto di security of tenure, che

precedenza per acquistare l’acqua da venditori ambulanti, e migliorato la condizione delle donne che generalmente dovevano occuparsi

si riferisce alla possibilità di avere la sicurezza sul possesso della terra che occupano i poveri, ha dimostrato di avere effetti positivi, in quanto i poveri, sicuri del possesso della terra, iniziano a investire per migliorare la propria abitazione e di conseguenza vengono migliorati gli interi quartieri. Altro fattore positivo che si sviluppa a seguito dei progetti di upgrading e quello dell’aumento dei redditi dei poveri, che avendo la certezza di una proprietà sicura riescono ad ottenere un lavoro e finanziamenti, alcuni decidono di realizzare camere extra da destinare all’affitto che fornisce un flusso di reddito importante per la sopravvivenza della famiglia. Infine, la fornitura delle infrastrutture e dei principali servizi urbani, quali rete idrica e servizi igienici, ha migliorato la qualità della vita dei residenti degli slums. Si è infatti osservato come la fornitura di acqua corrente ha abbassato la spesa che i poveri dovevano affrontare in

del recupero dell’acqua, affrontando lunghi tragitti tutti i giorni. La presenza di servizi igienici ha diminuito la trasmissione di malattie garantendo luoghi più salubri e ha garantito maggior privacy per le donne che vivono negli slums. I programmi di slums upgrading però, non sono esenti da critiche, spesso l’upgrading viene definito come un cerotto, un approccio frammentario che va a beneficio di pochi fortunati e fa ben poco per affrontare le dinamiche di fondo di sviluppo degli slums. A questo proposito i programmi di upgradig, vengono sottoposti a continue valutazioni che possano individuare le positività e le criticità dei vari progetti in modo da determinare un metodo di approccio al problema degli slums più efficiente perché l’upgrading rimane uno dei metodi più validi per il miglioramento immediato e tangibile delle condizioni di vita dei poveri.


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2.2 Il ruolo degli architetti Negli ultimi tempi un grande numero di architetti, pianificatori, ingegneri e altri professionisti sta cercando di migliorare l’ambiente costruito considerando tutti i settori della società, in particolare le categorie più povere e vulnerabili. Mentre molti professionisti sono dominati dall’obiettivo di guadagnare sempre di più, altri lavorano volontariamente per offrire la propria esperienza a favore delle persone meno fortunate di loro. Gli architetti che si stanno impegnando nel miglioramento delle condizioni di vita delle persone nei Paesi poveri del mondo, dovranno comprendere appieno le necessità di queste persone, mettendo da parte la propria esperienza derivata dai contesti dei Paesi sviluppati, troppo diversi dagli slums. Come sostiene Geoffrey Payne “L’idea che gli architetti siano i leader dello sviluppo dell’ambiente costruito, li incoraggia a considerarsi come i soggetti più influenti nella creazione e gestione dell’ambiente costruito. […] la sindrome “io lo conosco meglio” è comune tra gli architetti e di

sicuro non gli crea una buona reputazione”1. Gli architetti dovrebbero opporsi alla teoria “io lo conosco meglio” cercando di avvicinarsi alla progettazione e costruzione considerando la partecipazione della comunità come sostengono Gamez e Rogers nel loro saggio “An Architecture of Change”: “Quello di cui abbiamo bisogno è un’architettura del cambiamento, un’architettura che vada al di là della progettazione di edifici verso processi di coinvolgimento di tutti i componenti delle comunità”2 per comprendere al meglio i bisogni degli abitanti degli slums. Vi sono alcuni esempi di architetti che lavorano su progetti di miglioramento degli slums considerando l’aspetto del coinvolgimento delle comunità, nei seguenti paragrafi verranno analizzati tre progetti che 1 PAYNE, GEOFFREY. Are Architects and Planners Obstacles to Slum Upgrading?, Papers from a seminar in Barcelona in April 2008. Dick Urban Vestbro: Stockholm, Sweden, Royal Institute of Technology. 2008. 2 GAMEZ J., ROGERS S. An Architecture of Change, Metropolis Books, New York, 2008.


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fungono da esempio della giusta applicazione di questa teoria, non è certo un caso che questi architetti provengano dai Paesi in via di svi-

se economicamente accettabile per lo stato e per gli abitanti. In quegli anni in realtà si andava imponendo il modello tecnologico-architettoni-

luppo, di cui riescono ad interpretare al meglio i bisogni delle comunità.

co occidentale, sia nella ripetitività dei moduli abitativi che permetteva una progettazione veloce e di facile “espansione”, sia in merito ai materiali e ai modelli strutturali che andavano diffondendosi nelle periferie urbane delle grandi metropoli industriali. In controtendenza, e pagando a caro prezzo tale presa

2.2.1 Il villaggio di New Gourna di Hassan Fathy Hassan Fathy è uno dei primi architetti che ha individuato, grazie all’idea del self-help, delle tecniche costruttive che permettessero di realizzare un’architettura auto prodotta dai poveri, il suo progetto più famoso è quello per il villaggio di New Gourna in Egitto.3 Negli anni quaranta la zona delle tombe faraoniche dell’antica Tebe, situata presso le attuali città di Karnak e Luxor in Egitto, era stata occupata da una piccola comunità la cui attività principale consisteva nello scavo delle rovine per il commercio di reperti archeologici. Il Dipartimento Egiziano delle Antichità decise allora di recuperare l’area archeologica e spostare l’intero villaggio di Gourna, con una soluzione che fos3 Hassan Fathy: New Gourna, in “Casabella”, n. 653, 1998, p. 66-67


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di posizione, Hassan Fathy all’epoca incontrò il fallimento per ragioni in buona parte non legate all’idea in sé.

essa, Fathy insegnava a costruire archi e volte come anche a riprodurre decorazioni e lavorazioni, caratteristici dell’edilizia tradizionale

Il progetto del nuovo nucleo urbano era impostato su alcune importanti idee che ancor oggi rendono unica nel suo genere la proposta e al tempo stesso delineano la personalità dell’architetto. Anzitutto il recupero della tecnica costruttiva locale, ovvero l’uso quasi esclusivo del mattone in terra cruda. Con

araba. Questo costituiva un primo contributo all’economicità di quella che egli promuoveva come edilizia popolare, e che immaginava potenzialmente applicabile all’espansione rurale dell’Egitto di quegli anni. In secondo luogo la costruzione del nuovo villaggio portava con sé una importante prerogativa che la Pianta di New Gourna. Sono rappresentati gli edifici realizzati, circa un quinto del progetto previsto in origine. In alto a sinistra, nella zona con gli alberi, si trova il mercato, in basso a destra la moschea e poco più in alto il teatro che si apre si una piazza. Questi edifici pubblici racchiudono lo spazio dedicato alle residenze. Fonte: STEELE JAMES, An architecture for people: the complete works of Hassan Fathy, Thames and Hudson, Londra, 1997, pp. 62-63


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Prospetto e piante di un blocco di abitazioni di New Gourna. Fonte: STEELE JAMES, An architecture for people: the complete works of Hassan Fathy, Thames and Hudson, Londra, 1997, p. 66

avrebbe resa economicamente accettabile per le famiglie sfollate: Fathy pretese che i futuri proprietari avessero potuto partecipare in

cipazione popolare poggiava anche su un altro pilastro. Al contrario delle metodologie pseudo-industriali, che consistevano nell’ela-

misura pressoché totale ai lavori edili. Avrebbe insegnato lui stesso alla popolazione le tecniche tradizionali, e diretto i lavori. La parte-

borare delle unità abitative che potessero essere applicate in modo ripetitivo e modulare, propose l’idea per la quale ogni nucleo fami-


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liare avrebbe ideato e contribuito alla progettazione del proprio spazio abitativo, rendendo così il tessuto urbano un aggregato di elementi

si nel fatto che lo spostamento in sé avrebbe comportato la perdita del lavoro per molti degli abitanti, e l’unico modo per mantenere lo

individuali e originali, pur se concepiti allo stesso modo e con gli stessi principi e legati dal disegno urbanistico a partecipare democraticamente alla vita cittadina. Nasceva così New Gourna, ma la popolazione aderì malvolentieri al progetto, nonostante la partecipazione fosse uno dei capisaldi dell’idea dell’architetto, i motivi sono da ricercar-

status quo era boicottare qualsiasi progetto che fosse stato proposto; molti critici erroneamente videro in tale rifiuto l’inadeguatezza del modello, ma oggi viene largamente rivalutato alla luce delle nuove tendenze architettoniche legate alla sostenibilità e alla riscoperta della tradizione. Foto di un blocco di abitazioni di New Gourna. Fonte: STEELE JAMES, An architecture for people: the complete works of Hassan Fathy, Thames and Hudson, Londra, 1997, p. 65


Residenze su una strada di New Gourna. Fonte: http://whc.unesco.org/en/activities/637/

Copertura in cupole nubiane della moschea. Fonte: STEELE JAMES, An architecture for people: the complete works of Hassan Fathy, Thames and Hudson, Londra, 1997, p. 73

Copertura in volte nubiane. Fonte: http://barbarapor a d a . w o rd p re s s . co m / 2 0 1 2 / 0 8 / 3 0 / hello-world/ Interno del teatro (immagine a destra) Fonte: www.greenprophet. com/2010/02/ hassn-fathy-sus t a i n a b le - a rc h i tecture/gourn a - t h e a t re - h a s san-fathy/ Vista aerea Fonte: http://whc.unesco.org/en/activities/637/


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2.2.2 Incremental Housing a Belapur di Charles Correa Come Fathy, l’architetto indiano Charles Correa è uno dei primi ar-

inferiore della penisola tra il porto e l’Oceano Indiano (oggetto di un enorme e crescente afflusso di gente in cerca di lavoro). Invece di

chitetti che considera realmente i bisogni e i desideri dei poveri. Il suo progetto di Incremental Housing1, sviluppato tra il 1983 e il 1986 a Belapur, in India, rappresenta l’esempio più significativo della sua idea di slum upgrading. L’intervento si trova a Belapur, uno dei principali nodi di New Bombay, città gemella di Bombay nata da un’idea di Charles Correa ed un gruppo di colleghi nel 1960 come mezzo per ridurre la pressione su una vecchia città fisicamente ristretta nella parte

espandersi ulteriormente in quella zona, suggerirono di colonizzare il terreno non attrezzato sul lato opposto della grande insenatura naturale del mare e di impostare una via di comunicazione tra la città madre e quella satellite. In questa zona le colline scendono formando una serie di valli caratterizzate da ampie macchie di vegetazione. Il quartiere progettato dall’architetto si trova in una di queste vallate. Il settore, che occupa circa 6 ettari di terreno, tenta di dimostrare come l’alta densità (550 famiglie e servizi vari) può essere raggiunta anche con una tipologia abitativa bassa.

1 CORREA CHARLES, Edilizia flessibile/ Incremental housing Belapur, New Bombay, in “L’architettura: cronache e storia”, n. 501, 1997, p. 324-326

Pianta con tre cortili comuni su cui affacciano 21 abitazioni (immagine a sinistra) Assonometria del piccolo cortile comune su cui affacciano 7 abitazioni (immagine a destra) Fonte: Edilizia flessibile / Incremental housing Belapur, New Bombay, in “L’architettura: cronache e storia”, n. 501, 1997, p. 324


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Gerarchia spazi

degli

Corte privata Piccolo cortile comune a 7 abitazioni (8x8m) Cortile comune a 21 abitazioni (12x12m) Spazio pubblico con presenza di servizi (20x20m)

Il suo studio, basato sull’osservazione dei tradizionali insediamenti indiani, ha suggerito che tale intervento dovesse essere sviluppato

la maggior parte dell’anno. Successivamente sette unità abitative si raggruppano formando una piccola corte comune di circa 8m

utilizzando una gerarchia spaziale che, partendo dal mondo privato della singola abitazione e passando attraverso una serie di ambienti comuni, arrivasse al maggiore spazio pubblico, il Maidan. La geometria di Belapur è quindi una interpretazione diretta di questa sintesi. Il progetto è quindi generato da una gerarchia di spazi. Il primo è la corte privata della singola abitazione utilizzabile come spazio all’aria aperta per diverse attività durante

x 8m. Tre di questi gruppi formano un modulo da ventuno abitazioni che descrive lo spazio collettivo della scala successiva (circa 12m x 12m). Questa gerarchia spaziale continua fino a quando si raggiunge lo spazio di vicinato più grande dove sono localizzati scuole ed altri servizi. Lungo una diagonale attraverso il sito è localizzato il bazar. Intorno al cortile di 8x8 m si raggruppano sette abitazioni. Ognuna di queste ha il suo pezzo di ter-


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ra, in modo tale che ogni famiglia possa usufruire di spazi aperti per aumentare le aree coperte. Inoltre non condividono alcun muro divisorio con i vicini: questo rende le abitazioni realmente ampliabili, poichè ognuno può ingrandire la propria casa indipendentemente dagli altri residenti. Queste residenze coprono quasi tutto lo spettro sociale, fino alle fasce di reddito più elevate; tuttavia per mantenere un principio di equità, le metrature variano solo marginalmente (dai 45 ai 70 m2). La forma e la pianta di queste abitazioni sono molto semplici, per poter essere costruite e ampliate da muratori e artigiani tradizionali,

creando così occupazione in un settore dell’economia urbana messo a dura prova dal forte spopolamento dei villaggi e delle campagne. Foto del progetto realizzato. Fonte: http://www.charlescorrea.net/


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Vista aerea, prima e dopo Fonte: ARAVENA ALEJANDRO, Elemental Quinta Monroy, in “Lotus”, n. 143, 2010, pp. 103

2.2.3 Elemental Quinta Monroy di Alejandro Aravena Un altro esempio più recente dell’attività degli architetti nel cam-

go. In quell’area un gruppo di cento famiglie occupava da trent’anni un terreno dell’estensione di mezzo ettaro e per esse non era mai sta-

po della riqualificazione degli slums è quello dell’architetto cileno Alejandro Aravena, con il suo progetto Elemental Quinta Monroy a Iquique in Cile. Nel 2003, il governo cileno, ha incaricato l’architetto Aravena e la sua equipe Elemental, di sviluppare un progetto per la Quinta Monroy, una baraccopoli situata nel centro di Iquique, una città nel deserto, a 1500 chilometri a nord di Santia-

ta trovata soluzione alcuna. Nonostante vi si vivesse in condizioni pessime (il 60% delle baracche non erano dotate di luce o ventilazione diretta, vi erano notevoli problemi di delinquenza e traffico di droga favoriti dal tracciato labirintico), la priorità assoluta era far sì che le famiglie restassero sul posto. Questo perché per risolvere positivamente una situazione come questa ciò che più importa è poter ubicare i nuovi alloggi in prossimità della rete di opportunità che ogni città offre: vicino al lavoro, ai mezzi di trasporto pubblico, ai centri educativi e sanitari. Tale collocazione è strategica per il recupero di un contesto sociale disagiato consolidatosi, in questo caso, nel corso di trent’anni. Questa vicinanza ai centri nevralgici cittadini si rifletteva di fatto nel valore del terreno (30 dollari per metro quadro), circa il triplo di quanto il programma per l’edilizia sociale può pagare normalmente. In fondo, solo un alloggio la cui qualità


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aumenti nel corso del tempo, che preservi le reti sociali e che sia ben ubicato nel tessuto urbano, può costituire un efficace strumento per

sviluppare e trasformare nel tempo l’unità abitativa minima in una casa, da 30 a 70 m2. L’equipe di progetto per prima cosa

superare la povertà. Il progetto è stato sviluppato all’interno del programma del Ministerio de Vivienda cileno chiamato Vivienda Social Dinamica sin Deuda (VSDsD) che si rivolge ai più poveri della società, coloro che non hanno la possibilità di ottenere un prestito e consiste nell’elargire 7500 dollari a famiglia con cui finanziare l’acquisto del terreno, i lavori di urbanizzazione e il progetto architettonico. Questo budget limitato, nell’ipotesi migliore, permette di costruire unità abitative di 30 m2. Questo obbliga i beneficiari a essere loro stessi a

cambiò l’approccio al problema: invece di progettare la migliore unità abitativa possibile con 7500 dollari e moltiplicarla per cento, pensò a quale fosse il miglior edificio realizzabile con 750.000 dollari in grado di ospitare cento famiglie. La proposta fu quella di smettere di pensare al problema dell’edilizia popolare come un costo e iniziare a vederlo come un in vestimento sociale. Il concetto è quello di garantire che il sussidio statale, ricevuto da ogni famiglia per il proprio alloggio, sia valorizzato giorno dopo giorno, come un investimento immobilia-

Pianta del complesso Fonte: www.elementalchile.cl


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Pianta di un appartamento tipo e futura espansione Fonte: www.elementalchile.cl

re sicuro che aiuti le famiglie, non solo ad ottenere un riparo sicuro, ma anche ad uscire dalla povertà. Fu sviluppata una tipologia che

rantisse le relazioni tra gli abitanti. Furono divise le cento famiglie in quattro gruppi più piccoli di venti famiglie ogni uno, in modo da otte-

permettesse una densità abitativa sufficientemente alta da poter sostenere il costo del terreno, che essendo situato in una buona zona della città, valeva molto di più dei classici terreni periferici su cui si sviluppa l’edilizia popolare. All’interno del lotto di progetto, furono inseriti gli spazi pubblici (strade e passaggi), gli spazi privati (unità abitative) e gli spazi collettivi: una proprietà comune che ga-

nere una scala urbana abbastanza ridotta per consentire le relazioni tra i vicini, ma non troppo piccolo da eliminare le relazioni sociali già esistenti. Dato che il 50% delle residenze sarà auto costruito dagli abitanti è necessario realizzare un “edificio parallelo” sufficientemente “poroso” da consentire la crescita dell’unità abitativa all’interno della sua struttura. Da una parte, è necessa-


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rio porre un limite alla costruzione spontanea, al fine di evitare il deterioramento dell’intorno urbano nel tempo e dall’altra è necessario

localizzata e dosata. La proposta di Elemental consisteva nel suddividere il terreno in moduli di 9x9 m su cui ubicare volumi

garantire un facile processo di ampliamento a ogni famiglia. Gli spazi destinati agli ampliamenti sono stati delimitati da strutture solide e disposti in modo tale da essere grandi a sufficienza da rientrare nello standard di una stanza di dimensioni regolari, ma abbastanza piccoli da permettere accrescimenti costruttivamente semplici, basati su tecnologie povere. Poiché tali spazi sono separati da porzioni di fabbricato, l’eventuale cattiva qualità degli ampliamenti risulterà

di 6x6x2,5 m, contenenti un bagno e una cucina e posti sotto una soletta di cemento armato. Sopra la soletta sono stati disposti appartamenti duplex di 6x6x5 m, dei quali, inizialmente verrà consegnata una “torre” delle dimensioni di 3x6x5 m con uno spazio a doppia altezza, che include bagno e cucina. Entrambi gli alloggi hanno accesso diretto allo spazio collettivo e possono espandersi fino a 72 m2 in condizioni sicure e di buona abitabilità. Dal punto di vista strutturale, i duplex sono Prospetto Fonte: www.elementalchile.cl


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costituiti da strutture a “C” di materiali compatti, separate le une dalle altre da spazi di espansione di 3 m. Ciò dovrebbe garantire un adeguato isolamento acustico e prevenire la propagazione di eventuali incendi, oltre a ritmare la configurazione del fronte urbano. Il lato mancante della C è di un materiale più morbido, tale da facilitare gli ampliamenti in quella direzione. In conclusione come sostiene il gruppo Elemental: “Quando i finanziamenti coprono la metà del budget per un progetto, la domanda Foto prima e dopo Fonte: www.elementalchile.cl

Foto della corte interna Fonte: www.elementalchile.cl

più importante è che metà realizzare. Noi decidiamo di sviluppare la metà che una famiglia povera non potrà mai realizzare. In questo modo, speriamo di rispondere con gli strumenti propri dell’architettura a una domanda non architettonica: come superare la povertà”.1 Il progetto Quinta Monroy può essere considerato come una soluzione innovativa di riqualificazione dello slum partendo dalla partecipazione degli abitanti. 1 Quinta Monroy / Elemental Chile, in “Plataforma Arquitectura”, 17 Sep 2007 www.plataformaarquitectura.cl/?p=2794


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2.2.4 Conclusioni e indicazioni progettuali Dall’analisi dei precedenti progetti è possibile determinare la strada

abitazione passando per una serie di ambienti comuni, arriva al maggiore spazio pubblico. Nell’ultimo progetto analizzato,

migliore per intraprendere un progetto di sviluppo negli slums. L’elemento essenziale è senza dubbio la partecipazione degli abitanti, che sono chiamati a sviluppare la loro abitazione in fase di costruzione per poi trasformala in fasi successive autonomamente, ampliando gli spazi a seconda delle proprie necessità. Dal progetto New Gourna di Fathy emerge come il concetto dell’autocostruzione sia di vitale importanza per poter garantire la partecipazione degli abitanti, ma anche un notevole risparmio economico. Fathy recupera le tecniche costruttive locali, con strutture in mattoni di terra cruda, queste tecniche riducono i costi e sono facilmente replicabili dagli abitanti autonomamente. Nel progetto di Charles Correa, Incremental Housing a Belabur, è evidente l’interesse dell’architetto per la creazione di spazi pubblici che sviluppa seguendo una gerarchia spaziale, dal privato della singola

Elemental Quinta Monroy di Alejandro Aravena, emerge come l’idea dell’architetto sia quella di creare con l’abitazione un investimento sociale, si tratta di garantire che le unità abitative si possano modificare e valorizzare giorno per giorno. Fornendo inizialmente un’abitazione minima si riducono i costi e si da la possibilità alle famiglie di espandersi successivamente. Un altro fattore importante del progetto è quello di non delocalizzare le famiglie che vivevano in quel lotto. Riassumendo è possibile affermare che i punti salienti di un buon progetto di riqualificazione degli insediamenti informali sono i seguenti: 1. Sviluppo del progetto in situ, senza delocalizzare le famiglie 2. Autocostruzione 3. Recupero dei materiali e delle tecniche costruttive locali 4. Creazione di spazi pubblici 5. Possibilità di espandere le abitazioni



Capitolo Tre Caso studio: Progetto per l’insediamento informale Bulo Jawaanley, Galkayo, Somalia



55

3.1 Motivazioni della scelta del caso studio La scelta del caso studio, nasce dall’incontro con l’architetto Adriano Pace che ha realizzato diversi progetti no-profit in Somalia per l’associazione COMSED (Cooperation of Medical Service and Development) che è un’organizzazione non governativa che dal 1995 svolge attività di cooperazione internazionale promuovendo lo sviluppo sociale e culturale dei paesi in via di sviluppo. L’associazione è nata dall’idea di Abdulcadir Mohamud Giama un medico somalo, laureato in Italia, che da anni perseguiva il desiderio di lavorare per migliorare la situazione nel continente africano con particolare attenzione al suo Paese di origine. L’associazione ha realizzato diversi progetti nella città somala di Galkayo, in cui ha la sua sede operativa, la città si caratterizza per il problema dei poveri sfollati (Internally displaced person) che vivono in insediamenti informali nei vari quartieri. Individuando come caso studio uno di questi insediamenti informali, l’insediamento Bulo Jawaanley, viene proposto un progetto con l’o-

biettivo di riqualificare l’area con residenze e spazi pubblici che possano migliorare le condizioni di vita dei poveri, prestando attenzione al tema dell’autocostruzione da parte degli abitanti attraverso l’utilizzo di materiali e tecniche costruttive tradizionali, come mattoni in terra cruda e la tecnica della volta nubiana.


56

3.2 La città di Galkayo Galkayo si sviluppa nella parte centrosettentrionale della Somalia, Stato dell’Africa Orientale situato nel corno d’Africa. La città è capoluogo della provincia omonima e della regione del Mudugh, è divisa in due parti, la parte meridionale è controllata dallo stato autonomo del Galmudug, di cui è la capitale, mentre quella settentrionale appartiene al Puntland, altro stato autonomo della Somalia. Galkayo si trova in una regione desertica a 290 metri s.l.m., in una posizione strategica in quanto è connessa alle maggiori città del nord e del sud della Somalia, come Bosaso e Garowe, tramite l’autostrada

principale del paese che attraversa la città. La popolazione stimata è di 545.000 abitanti, il che fa di Galkayo la quarta città somala per numero di abitanti, dopo Mogadiscio, Hargeisa e Bosaso. Galkayo è situata in una regione desertica e questa posizione le conferisce un clima caldo-arido. Le temperature più basse (21-23°C) si registrano durante i mesi invernali, da novembre a febbraio, per poi aumentare gradualmente in primavera, quando inizia la stagione delle piogge, ad aprile e maggio. Nel periodo estivo, le temperature raggiungono valori massimi di 41°C per poi diminuire nel mese di set-

Localizzazione della Somalia nel continente africano (immagine a sinistra)

PUNTLAND SOMALILAND

Suddivisione amministrativa della Somalia (immagine a destra)

Etiopia

Provincia di Galkayo

GALMUDUG

SOMALIA CENTRALE Kenya

JUBALAND


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tembre. Il mese di ottobre è caratterizzato da rovesci che accompagnano l’arrivo dell’inverno. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX

Galkayo è stata devastata dalla lunga guerra civile somala, che vedeva contrapposti i clan Darood e Hawiy, scoppiata dopo il rovesciamento

secolo, Galkayo entrò a far parte del Sultanato di Obbia fondato nel 1878 da Ali Yusuf Kenadid, pretendente al trono del Sultanato di Migiurtinia. Nel 1888 il sultano Kenadid firmò col governo italiano il trattato che rese il sultanato un protettorato dell’Italia, la città fu così inserita nella Somalia italiana, protettorato e dal 1908 colonia italiana, con il nome di Rocca Littorio. Il governo italiano continuò per altri 14 anni per poi passare sotto il controllo britannico fino all’indipendenza della Somalia nel 1960.

del regime militare nel 1991. La popolazione somala si suddivide in numerosi clan e sotto-clan che non avevano mai formato una unità statale, lo stato è arrivato con la colonizzazione e le istituzioni statali sono di origine estranea alla loro cultura tradizionale. I somali sono un popolo tradizionalmente di pastori nomadi, in continua ricerca di pozzi d’acqua e di pascoli, la storia somala è piena di conflitti inter-clanici per il possesso delle magre risorse che offre una terra in gran parte desertica o semi desertica. Localizzazione della città di Galkayo al confine tra i due stati autonomi Galmudug a sud e Puntland a nord Fonte: www.somaliareport.com/index.php/post/3575


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Foto aerea Galkayo

di

Fonte: www.somalia.msf.org

Le infinite guerre inter-claniche hanno portato ad una massiccia perdita di vite e di beni costringendo i leader di ogni rispettivo clan a

il 4,5%, gli Sheikhal con il 3,2 % e clan minori con il 9,8%, secondo un rapporto del governo locale. Le due arterie principali della città, una

chiedere la pace, dopo di che ogni clan ha costituito un ente regionale creando le due regioni autonome del Puntland e del Galmudug, dividendo la città di Galkayo in due parti, nord e sud. Oggi almeno sei clan differenti vivono nei distretti di Galkayo compresi Darood e Hawiye, con percentuali rispettivamente del 51,5% e 20,7% della popolazione totale, altri clan sono i Dir con l’11,3%, gli Arab con

nord-sud e l’altra che si sviluppa verso est in direzione dell’aeroporto, segnano le linee di confine tra i tre diversi quartieri in cui si insediano i clan, il quartiere Israac a nord, Hormar a sud e Garsoor a ovest. Secondo un censimento del governo la popolazione della città conta 380.000 residenti, ma questo dato è alterato dal fatto che non vengono prese in considerazione tutte le persone che occupano le aree in-


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formali con accampamenti di fortuna, infatti altre stime contano più di mezzo milioni di abitanti, considerando anche tutte le persone che

dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) come “Internally displaced person” (IDP) e secondo un loro rapporto nel-

sono emigrate dalle zone meridionali della Somalia per sfuggire alla carestia, alle guerre e ai soprusi dei pirati. Questi sfollati sono definiti

la città di Galkayo ne vivono più di 59.0001. 1 Somalia Report, Part one: What is Galkayo?, http://www.somaliareport.com/ index.php/post/3575 Quartieri di Galkayo, arterie principali e secondarie, servizi e accampamenti degli sfollati

Mustaqbal 2

"

ISRAAC

Cirjife

Allamin 2 Bulo Bacley

HORMAR "

Bulo Jawaanley

Arterie secondarie Accampamenti

Mustaqbal 1

GARSOOR

Allamin 1

Arterie principali

Bulo Celgab

Areoporto Scuole Ospedale

"


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Numero di IDP per Paese, dicembre 2012 Fonte: UNHCR, Global trends 2012

3.2.1 Internally displaced person (IDP) Un “Internally displaced person” (IDP) è una persona che è stata co-

tà internazionale non è legalmente obbligata a proteggere gli sfollati. I governi nazionali hanno la responsabilità primaria della situazione di

stretta a lasciare il luogo dove viveva alla volta di una sistemazione più sicura, ma a differenza dei rifugiati, che cercano asilo in paesi diversi da quello di origine, gli sfollati (IDPs) rimangono all’interno dei confini della propria nazione. Le cause più frequenti che generano IDP sono i conflitti armati, le situazioni di violenza, la violazione dei diritti umani o i disastri naturali. Mentre i profughi hanno il diritto a chiedere protezione internazionale ai sensi della Convenzione del 1951 sui rifugiati e del Protocollo del 1967, la comuni-

tutti gli sfollati nel loro territorio, ma spesso non sono in grado o non vogliono considerare questo fenomeno. Determinare il numero esatto degli sfollati nel mondo è molto difficile, in quanto si tratta di persone in continuo movimento, alcuni potrebbero essere tornati ai loro luoghi di origine, mentre altri potrebbero essere alla ricerca di una sistemazione, in ogni caso il fenomeno si sviluppa in moltissimi paesi del terzo mondo, in città grandi e piccole, per effettuare una stima degli sfollati è

Eritrea Viet Nam

285.100 336.900

Colombia

394.100

Myanmar

415.300

Congo Sudan

509.400 569.200

Siria

728.500

Iraq

746.400

SOMALIA Afghanistan

1.136.100 2.585.600


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necessario integrare i dati ufficiali con informazioni che arrivano dai rapporti delle organizzazioni umanitarie effettuati sul campo. Nel

nell’affrontare la questione dell’accoglienza dei rifugiati nelle aree urbane considerando l’aspetto della partecipazione attiva degli sfollati

2006 si stimavano 24,5 milioni di sfollati in 52 paesi del terzo mondo, dato in crescita rispetto alle stime dell’anno precedente (23,7 milioni nel 2005) , si può presupporre che il dato sia tuttora in aumento. Nel 2010 il 50% degli sfollati del pianeta trovava rifugio nelle aree urbane, che sono occupate ormai da diversi anni nonostante la precarietà delle abitazioni. Molti di questi sfollati probabilmente non avranno mai più la possibilità di tornare nei loro luoghi di origine. Secondo uno studio del 20131 la situazione degli sfollati che occupano le aree urbane per un lungo periodo, non viene sufficientemente considerata dalle organizzazioni internazionali che generalmente si concentrano prevalentemente sugli sfollati delle aree rurali, è necessario un cambiamento fondamentale

nella ricerca di condizioni di vita migliori, collaborando con la popolazione ospitante delle città. Nella città di Galkayo, secondo un rapporto del settembre 2010 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA)2, vivono 59.178 sfollati sparsi nei tre diversi quartieri a seconda della loro appartenenza ai clan. La maggior parte di queste persone sono fuggite dalle parti meridionali della Somalia per scappare dalla carestia o dalle recenti battaglie tra al-Shabaab3 e le forze alleate. In questi insediamenti l’assenza di una cor-

1 HAYSOM SIMONE, Sanctuary in the city? Reframing responses to protracted urban displacement, HPG Policy Briefs, http:// www.odi.org.uk/publications/7533-sanctuary-city-responses-protracted-urban-displacement

2 UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), Somalia: Gaalkacyo Town IDPs (Mudug Region), 28 September 2010, http://www.refworld.org/ docid/4cdba70a2.html 3 al-Shabaab è un gruppo insurrezionale islamista attivo in Somalia, è la cellula somala di al-Qaida, l’obiettivo primario del gruppo è la istituzione della regola della Shari’a come legge dello stato somalo. Altri fini sono la cacciata dei soldati stranieri dalla Somalia, soprattutto le forze etiopi alleate del governo, ma anche la forza internazionale di pace AMISOM, e il rovesciamento del Governo Federale di Transizione GFT.


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Accampamento di sfollati a Galkayo Fonte: www.somaliareport.com

retta igiene, di un buon riparo e di cibo e acqua porta a condizioni di vita disumane. Gli insediamenti degli sfollati a

to Bulo Jawaanley nel quartiere Hormar nella zona sud di Galkayo, si presenta come un agglomerato concentrato in un grande lotto con

Galkayo si sviluppano nei vuoti lasciati dall’urbanizzazione, in alcuni casi sono concentrati in un determinato lotto occupato abusivamente come nel caso degli insediamenti Allamin nel quartiere Garsoor, in altri si presentano in maniera più dispersa occupando diversi lotti più piccoli situati nella stessa zona, come nel caso dell’insediamento Bulo Celgab nel quartiere Hormar. Il caso studio invece, l’insediamen-

intorno altri piccoli lotti occupati, il rapporto dell’OCHA stima che in questo campo vivono 140 famiglie per un totale di 490 sfollati. I ripari realizzati dagli sfollati sono delle tende, simili alle abitazioni nomadi, aqal, presenti in gran numero nel territorio somalo. L’aqal, ha una pianta circolare con dimensione variabile dai 3 a 4 metri di diametro, la struttura portante è in legno che conficcato nel terreno è poi


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fatto confluire a calotta nella sommità, il tutto viene ricoperto da materiale di facile reperimento come foglie, lamiere o sacchi di juta, l’al-

e servizi igienici, cosa trascurabile negli accampamenti nomadi rurali che si stabilivano, in concentrazioni di poche famiglie, dove trovano

tezza varia dai 2 ai 2,50 metri e l’apertura è celata da sacchi o stoffe. All’interno si trovano, in un unico ambiente, stuoie in paglia e pelli di animali su cui dormire e mangiare, un burgiko (brace) per preparare il cibo e dei recipienti in terra cotta per l’acqua. I ripari degli sfollati di Galkayo sono realizzati nella stessa maniera, la differenza sta nel fatto che la concentrazione di tende che si raggiunge negli insediamenti urbani amplifica i problemi derivanti dalla mancanza di acqua

le risorse per vivere, inoltre questi ripari nascono come temporanei ma arrivano a diventare definitivi data l’impossibilità degli sfollati di ritornare ai loro luoghi di origine o di stabilirsi in abitazioni stabili. Una donna realizza la struttura della sua tenda Fonte: www.somaliareport.com

Pianta di un aqal somalo Fonte: FAVALORO GIOVANNI MARIA, Un architetto in Somalia, Samperi, Messina, 1984


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Sfollati in arrivo a Galkayo Fonte: www.somaliareport.com Insediamento di sfollati a Galkayo (immagine a destra) Fonte: www.somaliareport.com Insediamenti di sfollati a Galkayo Fonte: www.somaliareport.com

Bambini setacciano i rifiuti cercando materiali utili vicino a un insediamento Una donna con i suo bambino all’interno della loro tenda nell’insediamento Bulo Celgab (immagine a destra) Una bambina aiuta sua nonna nell’inseidamento Bulo Jawaanley Insediamento nella perfiferia di Galkayo (immagine a destra) Fonte: UNHCR/R. Gangale/May 2011, Galkayo: Vulnerable in a volatile land, w w w. f l i c k r. c o m / photos/unhcr


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Insediamento Bulo Bacley nel quartiere Hormar

Insediamento Bulo Celgab nel quartiere Hormar


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Insediamento Allamin 1 nel quartiere Garsoor

Insediamento Allamin 2 nel quartiere Garsoor

Insediamento Mustaqbal 1 nel quartiere Israac


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3.3 Materiali e tecniche costruttive tradizionali In una zona desertica come quella in cui si trova la città di Galkayo il recupero di materiali appropriati alla costruzione risulta essere un problema notevole, non vi è disponibilità di legno e ferro, che sarebbero reperibili solo da importazioni economicamente non sostenibili e difficilmente realizzabili dal punto di vista logistico data la grave situazione politica che affligge il paese. Risulta quindi necessario utilizzare la terra, unico materiale costruttivo veramente abbondante nel paese, anche per le coperture, facendo ricorso a tecnologie tradizionali quali le volte e le cupole. Nelle regioni desertiche dell’Africa, da sempre i contadini realizzano le proprie case col fango, o mattoni di fango, che estraggono dal suolo e lasciano essiccare al sole. Per anni, per secoli, sono stati tranquillamente fruttati gli elementi più ovvi per costruire in queste zone, e questi risultano, nel caso di questo progetto, l’opzione migliore per ovviare ai problemi dei costi costruttivi e del reperimento dei materiali. Inoltre le tecniche costruttive uti-

lizzate con questi materiali sono facilmente riproducibili da mano d’opera non specializzata, come gli abitanti dell’insediamento. Nella ricerca dei materiali e delle tecniche costruttive più adeguate alle zone desertiche dell’Africa, risulta estremamente importante il lavoro dell’architetto egiziano Hassan Fathy, con il suo progetto del villaggio New Gourna. Fathy, al contrario di altri maestri dell’architettura moderna, intende stabilire un legame con il passato. Attraverso un linguaggio vernacolare e funzionale, basato sull’impiego di una serie di elementi e tecniche edilizie proprie dell’architettura tradizionale, egli indaga a lungo nei suoi studi sugli edifici della vecchia città de Il Cairo e della Nubia. La ricerca di una architettura autoctona, radicata e in armonia con il luogo, deriva soprattutto dalla convinzione che essa, al contrario dell’Internazionalismo omogeneizzante e decontestualizzato, sia l’unica in grado di rispondere nel modo più efficace, sotto l’aspetto costruttivo, economico e di prestazione funzionale


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alle necessità fisiche, fisiologiche, psicologiche e culturali degli esseri umani. Architettura, dunque, come espressione dei costumi e delle

condizioni del sito di progetto, la disponibilità dei materiali e la mano d’opera. I muri portanti dovranno essere co-

tradizioni della comunità. La volta nubiana, ampliamente studiata da Fathy e diffusa grazie al suo libro “Architecture for the poor”1, è una tecnica ancestrale, la cui origine è da attribuire agli antichi egizi, e permette di costruire, con pochi strumenti e con materiali locali, coperture solide senza il bisogno di utilizzare legno per la centina, questa particolarità si converte in una tecnologia appropriata per le zone dove il legno non è presente. Inoltre migliora il confort termico e acustico, e permette lo sviluppo dell’economia locale favorendo l’autocostruzione da parte degli abitanti. Per tutti questi motivi risulta essere la tecnologia costruttiva più appropriata per il progetto in studio. Per costruire una volta nubiana in terra, come con ogni altro sistema, è necessario considerare la struttura completa dell’edificio, le

struiti in mattoni adobe 30x21x13 cm e dovranno essere abbastanza spessi da poter sostenere il peso della volta, dell’ordine di circa 50 cm. I mattoni della volta sono più piccoli, 20x15x6 cm, e sono realizzati con più paglia del solito per garantire un peso minore, presentano due scanalature parallele tracciate con il dito in diagonale da un angolo all’altro della faccia più grande. Le scanalature sono molto importanti perché permettono al mattone di aderire meglio ad una superficie fangosa infatti la malta sarà realizzata in fango. Dopo aver costruito i muri portanti laterali che sosterranno la volta, si procede con la costruzione della parete su cui appoggerà, più alta rispetto ai muri laterali ma meno spessa in quanto la volta scarica sui muri laterali. Una volta realizzato si procederà tracciando il profilo dell’arco che avrà la volta, aiutandosi con una marra o delle corde, è possibile collocare dei fili

1 FATHY, HASSAN. Architecture for the poor : an experiment in rural Egypt, Chicago, The university of Chicago press, 1973


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guida per mantenere la regolarità del tracciato. Successivamente si comincerà a posizionare i mattoni su entrambi i muri, il primo verrà

Tra il secondo e il terzo corso verrà posta una zeppa di fango ancora più grande della precedente in modo da farlo deviare ancor più dalla verti-

posizionato con la faccia scanalata appoggiata di piatto contro l’impasto di fango, poi verrà posizionato un po’ di fango sopra di questo per formare una specie di zeppa alla base del primo mattone in modo che il secondo mattone venga a trovarsi leggermente inclinato contro il muro di fondo. Per evitare che le congiunture dei mattoni siano allineate fra loro, il secondo corso comincerà con mezzo mattone, sopra il quale ne verrà posato uno intero.

cale. Così facendo verranno realizzati una serie di costoloni inclinati e progressivamente sempre più alti che seguono il contorno dell’arco finché le due curve di mattoni si ricongiungono nella parte superiore. Infine si otterrà una superficie inclinata su sui posare i corsi successivi garantendo una solida base di appoggio ai mattoni, tale inclinazione impedisce ai mattoni di cadere e quindi sarà possibile realizzare la volta senza centina. Muratori tracciano il contorno della volta sul muro di fondo con la malta di fango Fonte: FATHY HASSAN, Costruire con la gente: storia di un villaggio d’Egitto: Gourna, Jaka Book, Milano, 1985


Fasi di costruzione dei primi costoni inclinati su cui poggerà il resto della volta Fonte: FATHY HASSAN, Costruire con la gente: storia di un villaggio d’Egitto: Gourna, Jaka Book, Milano, 1985


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3.3.1 Vantaggi dell’utilizzo della volta nubiana I vantaggi derivati dall’utilizzo della volta nubiana sono molti. Que-

sona per costruire un metro quadro di volta. La tecnica costruttiva è abbastanza semplice, vengono realizzate luci di massimo 3,5m, e

ste strutture sono autoportanti e permettono di coprire luci evitando l’uso dei solai, vengono realizzate senza centina che tradizionalmente è costruita in legno; nelle zone in cui questo materiale non è reperibile, come il caso di progetto, questa tecnica diminuisce i costi e i tempi di costruzione. I mattoni adobe in terra cruda, non necessitano una fornace per la cottura, quindi non è indispensabile il legno per la combustione, è sufficiente lasciarli seccare al sole; inoltre sono un buon isolante termico e acustico quindi non sono necessari altri isolamenti, fatta eccezione di una guaina impermeabile, da posizione sulla volta, per far fronte alla stagione delle piogge. Per queste ragioni e per la facile reperibilità, i mattoni adobe si convertono nel materiale più economico. La mano d’opera necessaria per la costruzione ha un alto grado di efficienza, in quanto in media sono necessarie solo due ore per per-

può essere insegnata alla comunità in modo che possano realizzare la propria casa autonomamente. La curvatura della copertura permette che l’aria calda salga verso l’alto e nelle regioni aride, come il caso del progetto, consente di mantenere gli ambienti più freschi. Risulta molto utile creare un’apertura della parte superiore in modo da permettere la fuoriuscita dell’aria calda. In conclusione, la tecnica costruttiva della volta nubiana, risulta essere un sistema di copertura economico, ecologico, utile, stabile e quindi il più appropriato per il progetto in studio.


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3.4 Progetto

Foto aerea dell’insediamento Bulo Jawaanley

L’insediamento Bulo Jawaanley si trova nel quartiere Hormar nella zona sud di Galkayo, secondo il rapporto dell’OCHA in questo insediamento vivono 140 famiglie per un totale di 490 sfollati e si sviluppa in un lotto nelle vicinanze della strada principale che attraversa la

Stato di fatto, 140 tende tende

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40

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città. Si presenta come un agglomerato concentrato di tende in un grande lotto con intorno altri piccoli lotti occupati da altre tende. In questo insediamento l’assenza di una corretta igiene, di un buon riparo e di cibo e acqua porta a condizioni di vita disumane.


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L’obiettivo del progetto è quello di garantire un’abitazione stabile a ogni famiglia dell’insediamento, realizzando delle unità abitative mi-

il comfort termico e garantire il recupero dell’acqua piovana. Parte del progetto verrà realizzata nel lotto già occupato dall’inse-

nime di 20m2 fornite di servizi sanitari, quali un bagno e un serbatoio per la raccolta dell’acqua. A ogni unità abitativa corrisponderà una spazio aperto di pertinenza di 20m2, in cui sarà possibile estendere l’abitazione in fasi successive autonomamente, in modo tale da ottenere una casa da 40m2. Il progetto intende migliorare le condizioni di vita degli abitanti dell’insediamento favorendo l’integrazione nella vita della città, per questo motivo verranno sviluppati edifici e spazi pubblici, quali un mercato coperto con una piazza e altri edifici più piccoli che saranno dedicati alle attività delle ONG che operano nella città di Galkayo per aiutare gli sfollati. L’utilizzo dei materiali e delle tecniche costruttive tradizionali, quali i mattoni in terra cruda e le tecniche della volta e cupola nubiane, garantiranno un notevole risparmio economico e favoriranno l’autocostruzione. Inoltre grazie a queste coperture sarà possibile migliorare

diamento, ma per motivi di spazio, alcune famiglie dovranno essere delocalizzate. Nelle vicinanze del lotto, a soli 200 m, è stato individuato un vuoto tra gli edifici esistenti, questo risulta lo spazio più appropriato per spostare alcune famiglie. Grazie a questa delocalizzazione sarà possibile realizzare il progetto senza dovrer sfrattare le famiglie, in quanto verranno realizzate prima le residenze del lotto di espansione, in cui inizieranno a essere trasferite le famiglie che occupano il lotto dell’insediamento e poi, nello spazio lasciato libero verrano costruite le residenze rimanenti. I due lotti saranno messi in comunicazione da una strada che parte dall’arteria principale vicina al lotto dell’insediamento, per arrivare sino al lotto della nuova espansione in cui verrà realizzato il mercato con la piazza principale che saranno connessi a un’altra arteria importante che passa nelle vicinanze del secondo lotto.


1. Aree di progetto

lotto 1

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lotto 2

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2. Allineamenti

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3. Proposta progettuale

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residenze

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espansione residenze

edifici pubblici

spazi pubblici


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1. Aree di progetto Nell’immagine 1 della pagina precedente vengono rappresentati i lotti su cui verrà effettuato l’inter-

Nel lotto 2, le residenze vanno a occupare i vuoti tra gli edifici esistenti, e l’espansione di queste è limitata dall’edificio del mercato che forma

vento. Il lotto 1 è l’area su cui si sviluppa l’insediamento attualmente e misura circa 7900 m2. Il lotto 2 è l’area che è stata individuata per l’espansione e misura circa 6000 m2. I due lotti si trovano a poco più di 200 m di distanza, tra di questi è presente una strada che li collegherà alle due arterie principali che passano in prossimità dei due lotti. 2. Allineamenti Seguendo gli allineamenti (immagine 2) con gli edifici esistenti, è stata definita una griglia su cui verranno sviluppate le residenze. La griglia genera moduli di 4x5m, 20m2, che è la dimensione dell’unità abitativa minima che si vuole fornire agli sfollati. 3. Proposta progettuale Nel lotto 1 i volumi delle residenze sono disposti in quattro stecche, ogniuna di questa termina con un edificio pubblico, destinato all’attività delle ONG, e uno spazio pubblico antistante che fungono da limite all’espansione delle residenze.

una corte che genera una piazza. La corte è aperta in due punti in modo da garantire il collegamento con le due arterie principali. Inoltre altre aperture più piccole, posizionate nel volume inferiore della corte, garantiranno l’accesso, ai residenti della parte sud del secondo lotto, al mercato e alla piazza. Tra le varie stecche, sono presenti dei passaggi, larghi 5 m, che si riducono a 3 m tra i volumi delle residenze, in modo da garantire l’accesso, la ventilazione e l’irraggiamento ad ogni unità abitativa.


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Residenze Schema di due residenze

Il modulo iniziale di 4x5m è stato modificato per fare in modo che il volume dei servizi combaci nelle

Unità abitativa iniziale Servizi (bagno + serbatoio per l’acqua piovana)

due abitazioni contigue. In questo modo l’unità abitativa iniziale sarà di 24 m2 (6x4m) e la futura espansione sarà di 16 m2 (4x4m).

Espansione futura della residenza

Schema delle fasi costruttive di un blocco di quattro residenze

1. Muri portanti

3. Volte

2. Muri di fondo

4. Volte dopo l’espansione

La copertura delle residenze sarà realizzata in volta nubiana. Gli schemi mostrano le fasi costruttive sino ad arrivare al volume completo con l’espansione successiva, che verrà

realizzata autonomamente dai residenti. Le volte più piccole (1,5m) corrispondono ai servizi, mentre quelle più grandi (3,5m) fungono da copertura al resto dell’abitazione.


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Per prima cosa vengono realizzati i muri portanti che sosterrano la volta, questi saranno realizzati in mattoni di terra cruda adobe 30x21x13

no essere utilizzati come mercato coperto. Nel lotto 1, questi edifici saranno dedicati all’attività delle ONG, e saranno il punto di incontro

cm e saranno spessi 50 cm. Successivamente vengono realizzati i muri di fondo su cui poggeranno i primi costoloni della volta, questi saranno spessi la metà dei muri portanti. Infine verranno realizzate le volte, con mattoni più piccoli dei precedenti (20x15x6 cm), quelle più ampie saranno lasciate incomplete in modo che possano essere completate successivamente quando i residenti vorranno ampliare la propria abitazione.

tra queste e la comunità locale. Qui le associazioni presenti sul territorio potranno svolgere le attività di aiuto agli sfollati, quali fornitura di cibo e acqua.

Edifici pubblici Analizzando l’esperienza di Hassan Fathy con il villaggio di New Gourna, si propone, per gli edifici pubblici, dei volumi coperti da cupole nubiane. Ogni modulo ha dimensione 5x5 m, e essendo aperto su tre lati permette la comunicazione con lo spazio spazio pubblico antistante e tra i vari moduli. Nello spazio dedicato al mercato, questi moduli generano un porticato che racchiude la corte, e potran-

Portico del mercato di New Gourna di Hassan Fathy Fonte: FATHY HASSAN, Costruire con la gente: storia di un villaggio d’Egitto: Gourna, Jaka Book, Milano, 1985

Schema di un edificio pubblico coperto con cupola nubiana


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Planivolumetrico lotto 1

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Planivolumetrico lotto 2

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Pianta del suolo lotto 1

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Pianta del suolo lotto 2

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30


B’ Pianta di due blocchi da 4 abitazioni ogniuno La prima pianta rappresenta il blocco come verrà realizzato inizialmente, le abitazioni saranno fornite di un bagno, un serbatoio per la raccolta dell’acqua e un lavabo posizionato nel locale principale. La seconda pianta rappresenta il blocco di abitazioni con le possibili espansioni.

A

A’

B Sezione A-A’

Sezione B-B’

0

1

3

5


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Prospetto frontale di un blocco di residenze prima dell’ampliamento

Prospetto laterale di un blocco di residenze prima dell’ampliamento

Prospetto frontale di un blocco di residenze dopo l’ampliamento

0

1

3

5

Schemi di ventilazione prima e dopo l’ampliamento Le aperture nella parte superiore della volta facilitano la fuoriuscita dell’aria calda e migliorano in comfort termico

Assonometria di un blocco di quattro residenze


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Vista 3D del lotto 1

Vista 3D del lotto 2




Bibliografia e fonti



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The challenge of slums, UN-Habitat, 2003 SASSEN SASKIA, Le città nell’economia globale, Il Mulino, Bologna, 2004 DAVIS MIKE, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2006

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Quinta Monroy Housing: Elemental: Iquique, Chile, in “Area”, n. 128, 2013, pp. 74-81

Sitografia www.unhabitat.org www.homeless-international.org www.somaliareport.com

Videografia RAINEWS24, Slum, città informale e abusivismo, in “Mi chiamo città”, puntata 7, febbraio 2011 DAVID SATTERHWAITE, Urban poverty, www.youtube.com/watch?v=IuVTqlSelDI, febbraio 2012


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