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Un caso di spiritualità nell’arte contemporanea

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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica Diploma Accademico di Primo Livello in graphic design indirizzo comunicazione di impresa Anno Accademico 2017/18 Candidato Sefora Severino Relatore Vittorio Ugo Vicari

Progetto grafico Sefora Severino Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Pubblicazione composta in Helvetica, creato nel 1957 e disegnato da Max Miedinger. © Copyright 2018 Accademia di Belle Arti di Catania Sefora Severino Tutti i diritti riservati www.accademiadicatania.com


Sefora Severino

UN CASO DI SPIRITUALITÀ NELL’ARTE CONTEMPORANEA Antonio Presti e il Rito della Luce



INDICE


Un caso di spiritualità nell’arte contemporanea

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Un caso di spiritualità nell’arte contemporanea

INTRODUZIONE p. 9

PRIMO CAPITOLO La fine della religiosità artistica 1.1 Il funerale dell’arte contemporanea p. 15 1.2 L’opera aldilà dell’oggetto p. 32 1.3 Paradisi terreni: Land Art p. 40

SECONDO CAPITOLO Brandelli d’utopia. “Fiumara d’arte”: dal cemento allo spirito 2.1 Il profeta del Fiume: Antonio Presti p. 53 2.2 Il riscatto dell’arte nella terra dell’abusivismo: la nascita di Fiumara D’Arte sede principale di spiritualità p. 57 2.3 L’Atelier sul Mare: un albergo vivente, in cui l’ospite si fonde completamente con l’opera stessa p. 67

TERZO CAPITOLO Rito della Luce: Il silenzio come lingua universale 3.1 Schede di catalogo sulle edizioni del Rito della Luce

p. 73

APPARATI Illustrazioni Indice delle illustrazioni Bibliografia Sitografia

p. p. p. p.

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INTRODUZIONE

Nella percezione comune siamo sempre attratti dallo spirito classico dell’arte, e rimaniamo sovente delusi dalla visione di un’opera che ci appare un oggetto di uso comune. Voglio dire: siamo stati abituati ad un approccio naturalistico e classicismo, stentando di riconoscere la bellezza che potrebbe trasmettere un’opera d’arte contemporanea, dalle avanguardie storiche in avanti. L’assunto di base della teoretica novecentesca è che anche un semplice orinatoio esposto dentro un museo, perfino spogliato dei suoi significati universali, può diventare arte; ciò che conta è l’essenza delle idee che la sottende. Le critiche nei confronti della nuova visione degli artisti a noi contemporanei sono state parecchie, partendo dal concetto di mercificazione artistica di Walter Benjamin (1936), ove l’espressione artistica risultava ormai annullata dalla continua produzione, sopprimendone così la sua unicità. La domanda che potrebbe sorgere è: Non è forse l’espressività intrinseca nell’opera a donare ad essa valore e quindi santità? E’ su questa domanda che si concentra il mio elaborato, partendo da un sintetico excursus storico nel tentativo di capirne meglio le risposte, per arrivare alla contemporaneità dei nostri tempi. Quindi, dovendo scegliere tra i molteplici esempi del XX secolo, abbiamo convenuto di scendere giù fino in Sicilia, dove risiede un 9


paradiso terrestre, Fiumara D’Arte, che ospita opere ambientali proteggendo il concetto di Bellezza e di Spiritualità Interiore. L’uomo sente la necessità di soddisfare la propria sete di conoscenza utilizzando semplicemente il suo sguardo; bisognerà però fare una netto distinguo tra i verbi ‘guardare’ (to see) ed ‘osservare’ (to look). Lo sguardo porta ad uno scanning veloce e superficiale; l’osservazione, invece, spinge oltre, conducendo l’osservatore ad entrare all’interno dell’opera, divenendo egli stesso l’opera. Il pensiero dell’uomo è formato da un insieme di concetti che si muovono casualmente nella nostra mente, così come i suoi artefatti; la casualità della Land Art che si unisce al concetto del divenire e il mutamento, fanno adesso parte dell’arte. In passato la tela rispecchiava nettamente la realtà imprigionandola attraverso pennellate di colore, proteggendola dalla sua usura, escludendo dunque la categoria spaziotempo; via via, quest’ultima sarà parte integrante dell’operato, rispecchiando in maniera totalizzante il concetto vitale dell’uomo. Se da una parte la critica novecentesca continua ad appoggia la bellezza smisurata dell’arte classica perché unica, dall’altra essa si focalizza sempre più sulla potenza del cambiamento, sull’essenza dell’idea; così l’arte,in fin dei conti, è tornata ad essere parte integrante dell’uomo e del suo continuo fluire nel tempo post industriale, tecnologico ed informatico. Due anni di studi di arte contemporanea hanno permesso di avvicinarmi alla potenza di questo filone; non tanto per la bellezza materiale ed oggettiva dell’artefatto, quanto per la nuova ed inusuale concezione di certo novecento, trasposta in opera attraverso metodi che si discostarono dall’accademismo di marca ottocentesca. Tale interesse lo devo innanzitutto al Prof. Vittorio Ugo Vicari, mio relatore; egli mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con un mondo che mi ha profondamente affascinato. Le ricerche bibliografiche sono state condotte partendo dalla piattaforma nazionale OPAC, www.sbn.it, che ha consentito l’individuazione e la collocazione di opere importanti da consultare nel corso del tempo. Dette consultazioni sono primariamente avvenute 10


presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, e la Biblioteca di Storia dell’arte dell’università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Completata la ricerca cartacea, ho approfondito molti argomenti attraverso materiali online, dai siti ufficiali dei singoli artisti citati, delle riviste d’arte, delle case d’asta; da video interviste ed esperienze visive, visitando musei e parchi-museo, per comprendere al meglio il concetto di Land Art. Qui s’innesta il discorso su “Fiumara D’arte”, sul suo fautore Antonio Presti, sugli orizzonti spirituali più recenti della sua biografia ed azione; è stato un onore aver potuto attingere notizie e memorie direttamente del mecenate di Castel di Tusa, dove m’è stato concesso di poter visitare la fiumara e il ben noto “Atelier sul mare” da una prospettiva guidata. La tesi è suddivisa in tre parti. Il primo capitolo è un breve e non esaustivo excursus storico volto alla comprensione di come l’arte del novecento abbia conseguito un riconoscimento universalistico, dando voce alle critiche che si opponevano al cambiamento radicale di tale arte, perché ormai lontana dai principi accademici, ed a quelle, invece, fautrici della rivoluzione. Il secondo ed il terzo capitolo racchiudono una ricerca centrata sul parco scultoreo di Fiumara D’Arte in Sicilia, e le varie edizioni del Rito della Luce. Se per arte non dobbiamo intendere soltanto la bellezza formale che incornicia un’opera, ma dobbiamo andare oltre, riuscire ad entrare all’interno della coscienza dell’oggetto; se è soltanto in quel momento che avverrà una vera e propria comprensione di essa; se l’arte non è nient’altro che la trasposizione dell’uomo nel suo continuo divenire, perché santificarla e vederla come qualcosa lontano da noi? L’opera è un artefatto materiale che racchiude la coscienza umana, e il pubblico per comprenderla dovrà ‘scavare’ al suo interno. Per tali ragioni, il Rito della Luce in Sicilia viene qui considerato un possibile coronamento dei risultati attesi, in quanto racchiude l’essenza degli argomenti qui proposti, primariamente rivolti al tema della spiritualità nell’arte contemporanea. Esso ingloberebbe la visione spirituale dell’uomo, percorrendo la via della purezza, una sorta di catarsi interiore che si ripropone ogni anno dal 2010 11


in avanti, e di cui viene dato conto fino all’ultima edizione del 2017. E questa è la parte finale della tesi, di certo la più importante. Concludo con i ringraziamenti a coloro che hanno permesso di poter realizzare questo elaborato. Sono passati tre lunghi anni e, tra alti e bassi, sono ancora qui a contemplare le esperienze vissute e a sorridere perché soddisfatta del mio lavoro; è stato faticoso, ma alla fine ne è valsa veramente la pena. Ho avuto l’opportunità di conoscere molta gente che con il tempo è entrata nella mia vita riempiendomi di insegnamenti e dunque inducendomi a crescere. Non vorrei apparire autoreferenziale, ma il primo grande grazie va a me per essere riuscita in questo percorso, per non aver mollato mai nonostante il vento non fosse sempre in poppa e dunque vacillassi un po’. Aver fatto tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno, mi gratifica e mi soddisfa. Un grazie infinito va alla pazienza e alla guida sapiente del Prof. Vittorio Ugo Vicari, mio relatore, che mi ha supportata dedicando molte ore alla mia tesi, offrendomi sempre nuove possibilità e stimolando continuamente la mia curiosità. Ringrazio la sua fiducia nei miei confronti, perché mi ha concesso di vivere delle esperienze mai vissute, e conoscere persone che sono state fondamentali nella stesura dell’elaborato. Grazie all’Accademia di Belle Arti di Catania che mi ha dato la possibilità di portare avanti i miei studi e di approfondire i miei interessi, ma soprattutto grazie per avermi circondata di colleghi, pochi ma buoni, i quali mi hanno supportata durante questo percorso; grazie a tutti i professori. Ringrazio la città di Roma per aver dato il giusto input alla mia ricerche, soprattutto l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, e la Biblioteca Nazionale Centrale con il loro personale, sempre molto disponibile ed interessato. Per le medesime ragioni ringrazio la Città di Enna, la sua Biblioteca Comunale ed il suo personale. Grazie alla tecnologia, alle piattaforme online, alle riviste, ai libri, ai musei, alla biblioteche, grazie ai viaggi fatti in onore delle mie ricerche, che hanno riempito il mio bagaglio culturale. Grazie al Professore Rosario Genovese che mi ha permesso di poter 12


entrare in contatto con Fiumara D’Arte. Un grazie a tutto il suo personale per la grande disponibilità ed opportunità che mi ha concesso. Grazie ad Antonio Presti, al suo immenso amore per la Sicilia; grazie, perchÊ i nostri incontri sono stati preziosissimi ed essenziali. Un ringraziamento va a tutte quelle persone che fanno parte della mia vita, o che ne hanno fatto parte che mi hanno supportata spiritualmente e mentalmente, ed hanno creduto in me. Grazie alla mia famiglia ed ai miei amici.

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1. 14


1. LA FINE DELLA RELIGIOSITÀ ARTISTICA 1.1 il funerale dell’arte contemporanea: Scardinati i principi classici accademici, muore il concetto di essenza artistica, che rinascerà attraverso una nuova percezione del mondo. 1.2 L’opera aldilà dell’oggetto: Non sarà più una semplice tela a soddisfare l’estro artistico, bensì la nuova visione del mondo, e la decontestualizzazione degli oggetti comuni, elevati ad opera d’arte. 1.3 Paradisi terreni: Land Art: l’artista esce dal museo e ritrova l’arte a stretto contatto con la natura; facendo i conti con il suo continuo divenire, la quale trasformerà e distruggerà il suo operato.

1.1 Il funerale dell’arte contemporanea Sino a poco tempo fa il tema filosofico della “morte dell’arte” sembrava rimasto confinato solo nell’ambito di sistemi estetici dell’idealismo, e dunque ancora ancorato alla situazioni culturali. Con la parola ‘morte’ dunque ci si ricollegava al concetto di fine, termine di qualcosa; ma quando muore qualcosa, qualcos’altro dovrà pur nascere; nel contesto dell’arte contemporanea, sostituiremo il verbo ‘nascere’ con ‘rinascere’. In tal senso, i percorsi dell’arte nel novecento hanno fortemente invocato un’associazione particolare: ‘morta’ sarebbe dunque tutta quell’arte che da un certo punto in avanti non ha seguito più i 15


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canoni classici, denudandosi dalle prassi tradizionali le quali non permettevano, ad esempio, un rapporto simbiotico con l’opera a causa di particolari costrizioni, quali erano le committenze, i limiti di budget, la censura ecclesiale, quella accademica etc. Così, il termine ‘morte’ veniva ad essere sostenuto da due aspetti contrapposti, come un ossimoro: da una parte si esaltava il cambiamento, dall’altra la sua fine non più rinviabile. Per morte non vogliamo intendere soltanto la fine, o il cambiamento, ma anche tutto quelle teorie che contraddistinguono le varie correnti artistiche del Novecento, fino al contemporaneo. In questa sede s’intendono trattare solo alcuni aspetti della complessa questione: da una parte parlare di concettualizzazione negli anni ‘60 e di sublimazione dell’opera; dall’altra intendere la trasformazione come comunicazione di massa ed eliminazione della costante soggettiva, fino ad arrivare alla produzione della ‘insignificante’ Pop Art. A ribadirlo sarà Jean Baudrillard nell’opera Il Complotto dell’Arte: L’arte contemporanea approfitta di questa incertezza, dell’impossibilità di un giudizio di valore fondato e specula sul senso di colpa di coloro che non ci capiscono nulla, o che hanno compreso che non c’era nulla da capire. Come può un tale meccanismo continuare a funzionare nonostante la disillusione critica e la frenesia commerciale? E se ci riesce, quanto tempo potrà durare questo illusionismo, questo occultamento, cent’anni, duecento anni?1

Posizione opposta a Baudrillard sarà quella di Arthur Danto, critico e filosofo che si schiera contro gli essenzialisti. Osservando la Brillo Box (fig.1) di Andy Warhol, che visivamente è molto simile alla omonima scatola di detersivo, Danto si domanda cosa renda la prima un’opera d’arte: poiché la differenza dalla normale scatola non risiederebbe in un elemento visivo, egli giunge alla conclusione per cui sarebbe la sua componente teoretica/estetica, cioè qualcosa di non visibile ma soggetta a giudizio, a renderla diversa. Per l’autore oggetti indistinguibili 1 Baudrillard 1997, p. 26. 16


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visivamente possono avere proprietà diverse. La teoria che egli sviluppa sarà ‘relazionale’; per essa, la differenza che c’è tra due oggetti identici dal punto di vista percettivo, ma con statuto ontologico differente, rende l’uno un’opera d’arte, l’altro un oggetto normale. Tale proprietà viene definita “mondo dell’arte”.2 Ritornando sui passi di quell’arte che mostra ancora il suo spirito, dichiararsi ‘morta’ vorrà dire una dissoluzione finale materialistica: l’arte si annulla nel suo stesso concetto, nella sua stessa pratica, passando dal piano mimetico o percettivo a quello esecutivo e mentale. L’astrazione sarà la parola chiave del nostro discorso; il grado di osservazione aumenta, si raggiunge la costante ontologica. Si creano quindi dei tabù, delle critiche preconfezionate, causate dall’educazione artistica ricevuta, ove l’opera viene ridotta, purtroppo, a superficialità perché quello che conta è la rappresentazione, la lettura narrativa della comunicazione, bloccando il rapporto empatico che fino ad allora non è mai esistito. L’uomo è abituato a vedere, a concretizzare e giustificare tutto ciò che lo circonda, e dunque anche gli operati contemporanei. Si evolve così una nuova relazione tra lui e l’arte, superando quella contemplazione di un tempo, quasi imposta da motivi intellettuali, emotivi, teorici e pratici, consentendo una fruizione attiva. Si attuerà una trasformazione: l’arte non sarà più un semplice canale di trasmissione di informazioni, bensì una concretizzazione della poetica artistica. Il rapporto attivo non verterà soltanto sulla fruizione dell’opera, ma anche sulla relazione artista-opera. Si entra così nella logica narcisista dell’arte: l’artista scappa dal Tempio Divino dove era costretto a sottostare, rispettando regole ben precise condizionanti il suo essere, e a conferire alla propria opera un contatto mistico tra l’uomo e quest’ultima, trasposizione figurativa del Sublime. Dio rimane così al centro di ogni operato e l’artista ne esplica la sua potenza. Ma l’arte del novecento ne stravolgerà il 2 Danto 2003 (2007), pp. 65-86. Contributo che si articolerà ulteriormente negli anni successivi, in particolare in quella che verrà considerata la sua opera fondamentale, Danto 2008. 17


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concetto: contemporanea è, così, dunque, quell’arte in cui si evince la libertà di espressione; a parlare attraverso svariati metodi, sarà l’artista spoglio da qualsiasi condizionamento. Da questo momento in poi si potrebbe parlare di rinascita artistica, non tanto per i cambiamenti metodologici applicati, bensì per l’indipendenza acquistata. Le opere diventano quasi degli specchi ove si riflette l’essere dell’artista che vi si applica, o per meglio dire il suo Ego; molti, sono esempi portanti di questo percorso ‘artistico-narcisista’, dal padre della Pop Art a quello delle tele squarciate. Sorge dunque una domanda: riflessa non è forse anche l’ambientazione delle nuove tecnologie? La fotografia ad esempio, trasposizione realistica di ciò che ci circonda, o gli smartphone ormai parte integrante della vita dell’uomo, che elevano la personalità dell’utente attraverso i selfie, aumentando la sua autostima. Nell’arte moderna non è il mezzo ad essere esaltato, ma l’idea che vi si applica; l’opera così non è più l’elemento in sé che gli occhi delle essere umano percepiscono, ma ciò che si vuole trasmettere: l’idea. A colmare questo stravolgimento artistico sarà l’arte astratta, che sposerà il nuovo approccio artistico, e quel bello superficiale che salta alla vista. Si potrà allora parlare di emancipazione artistica? Evoluto sarebbe colui che decide di mettere in ballo la propria esistenza, ed elevarsi ad essere unico.3 Scrive, infatti così Gilles Deleuze4: La pittura deve strappare la Figura al figurativo. Bacon evoca due dati stando ai quali pittura non avrebbe con la figurazione o l’illustrazione lo stesso rapporto della pittura moderna. Da un lato la fotografia ha assunto su di sé la funzione illustrativa e documentaria, al punto che la pittura moderna non deve più assolvere a questo compito,che invece spettava ancora alla 3 Battaglini 2014. 4 Deleuze, Gilles (1925-1995); negli ultimi sviluppi della filosofia francese è centrale la ripresa del pensiero di Heidegger e, soprattutto, di Nietzsche. In Nietzsche e la filosofia (1962) e in Differenza e ripetizione (1968), Deleuze indica in Nietzsche il pensatore che, contro il primato dell’unità e dell’identità, proprio della tradizione metafisica occidentale a partire da Platone, ha riconosciuto la positività del molteplice, del diverso e del divenire; egli interpreta la volontà di potenza di Nietzsche non come volontà di sopraffazione e di dominio, ma come critica a ogni forma di potere e invito alla trasgressione e alla liberazione del desiderio. 18


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pittura antica. Dall’altro, la pittura antica era ancora vincolata a certe “possibilità religiose” che davano un senso pittorico alla figurazione,mentre la pittura moderna è un gioco ateo. Non è sicuro, tuttavia che queste due idee, riprese da Malraux, siano adeguate. […] nella pittura antica il legame tra l’elemento pittorico e il sentimento religioso sembra a sua volta mal definito dall’ipotesi di una funzione figurativa che sarebbe semplicemente santificata dalla fede. […] Non si può certo dire che nella pittura antica fosse il sentimento religioso a sostenere la figurazione: viceversa, esso rendeva possibile la liberazione delle Figure, il sorgere delle Figure al dilà di ogni figurazione. Né si può dire che alla pittura moderna, in quanto gioco, sia più facile rinunciare alla figurazione. Anzi, la pittura moderna è invasa, assediata dalle foto e dai cliché che si collocano sulla tela prima ancora che il pittore abbia iniziato il suo lavoro. Si cadrebbe infatti in errore se si credesse che il pittore operi in una superficie bianca e incontaminata. L’intera superficie è fin da subito investita virtualmente da ogni genere di cliché con cui è necessario rompere. E Bacon intende appunto questo quando parla della foto: essa non è una figurazione di ciò che si vede, ma è quanto l’uomo moderno vede. Essa non è dannosa semplicemente perché figurativa, ma perché pretende di regnare sulla vista, dunque sulla pittura. Così, avendo rinunciato al sentimento religioso, ma assediata dalla foto, la pittura moderna, suo malgrado, è in unasituazione difficile per rompere con la figurazione, la quale sembrerebbe il suo miserabile dominio esclusivo. Questa difficoltà è attestata dalla pittura astratta: c’è voluta la straordinaria opera della figura astratta per strappare l’arte moderna alla figurazione. Non vi è però un’altra via, più diretta e più sensibile?5

Colui che costituirà un’opera contemporanea può essere definito artista? Secondo Tom Stoppard “un’artista è qualcuno che possiede un talento che gli permette di fare più o meno bene ciò che altri, senza quel talento, non possono fare che male o per niente”.6 Possiamo dunque percepire la bravura dell’artista 5 Deleuze 1995, pp. 29-31. 6 Stoppard, Tom, (1937), drammaturgo britannico di origine ceca, le sue opere sono raffinati divertissements in bilico tra farsa e parodia, collage e pastiche; le situazioni eterogenee da cui scaturisce il materiale drammatico delle sue non-storie vengono di volta in volta ingegnosamente rifuse e modellate grazie anche a giochi scenici brillanti e spregiudicati, a effetti stranianti e fantasiosi, all’uso di un linguaggio funambolico che si avvale di una 19


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dal ‘complesso’ della sua opera. E di un’opera concettuale, in cui troviamo la massima astrazione e l’impiego di mezzi non direttamente utilizzati dall’artista? Sicuramente, la funzione di una figura quasi divinizzata in passato subisce un mutamento, le capacità artistiche diventano vere e proprie progettazioni funzionanti grazie alle nuove tecnologie, esse permetteranno di avere un approccio diretto con il pubblico. E’ questo il discorso che verrà affrontato, ad esempio, da Studio Azzurro7: l’interattività, la proposizione di un nuovo modo di fruizione nel quale il fruitore, non sarà un semplice spettatore, ma partecipe attivamente al completamento dell’opera. Emerge quindi una nuova tipologia di artista: l’artista plurale, inteso come artista capace di relazionarsi con il suo simile, capace di attrarre il pubblico ad entrare a far parte del suo progetto. Artista e pubblico, quindi, diverranno parte essenziale dell’operato. Cambia così la visione dell’artista che pian piano si trasformerà in progettista, e il fruitore diverrà l’opera stessa in quanto strettamente collegata all’ambiente circostante che l’assorbe. Il fruitore potrebbe anche assumersi la responsabilità di coautore, si stravolgono così le costanti contemplative e passive di un tempo; similmente, le critiche puramente soggettive portano a giudizi estetici in continuo mutamento. Se l’arte e gli oggetti in cui essa si esplica divengono un mezzo di espressione dell’uomo, e la comunità riesce a riconoscervisi, l’arte si ritrova fuori di sé, vasta gamma di stili e di rimandi linguistici alla pubblicità, alla religione, alla fantascienza, alla politica. La sua affermazione è avvenuta con la commedia Rosencrantz and Guildenstern are dead (1966; versione cinematografica con regia dell’autore, 1990), ideale continuazione di un episodio marginale dell’Amleto di Shakespeare, in cui erano già presenti tutte le caratteristiche tipiche della sua drammaturgia. Accanto al teatro, svolge un’intensa attività di sceneggiatore per il cinema e la televisione, che lo ha portato a lavorare, tra gli altri, con Rainer Werner Fassbinder e Steven Spielberg. 7 Nel 1982 Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi danno vita ad un’esperienza che nel corso degli anni esplora le possibilità poetiche ed espressive delle nuove culture tecnologiche; a loro si aggiunge, dal 1995 al 2011, Stefano Roveda. Attraverso la realizzazione di videoambienti, ambienti sensibili e interattivi, percorsi museali, performance teatrali e film, disegnano un percorso artistico trasversale alle tradizionali discipline e formano un gruppo di lavoro aperto a differenti contributi e importanti collaborazioni. 20


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fuori dal suo oggetto, dalle sue pratiche autoreferenziali. Allora torna ad esser necessaria. Marcel Duchamp sarà uno dei massimi esponenti di quest’attitudine; egli sottolineerà come, opponendo la propria firma su una pala da neve di produzione industriale, o su una riproduzione della Gioconda (fig.2) a cui ebbe a disegnare i baffi, egli stava creando un’opera vera e propria. Risaltava da queste sperimentazioni la superficialità del pubblico e del mondo dell’arte, che ancora esaltava ed apprezzava un’opera limitatamente all’artista che l’aveva prodotta. Pur così, ancora non siamo tuttavia molto vicini all’ ‘arte empatica’. Dall’Espressionismo in poi, il concetto di perfezione e purezza artistica si sublima; a dichiararlo sarà Walter Benjamin.8: il concetto di arte con il passare delle epoche ha assunto un carattere differente. Se nell’era del classicismo l’arte era ancora il simbolo di ritualismi religiosi, oggi (leggi 1936, quando Benjamin sistematizza e rende pubblico il suo pensiero) vi è stato uno stravolgimento del concetto in cui non predomina più la clausola dell’aura di santità dell’opera, ma si presenta una metamorfosi artistica. Tralasciamo l’esteticità, e concentriamoci sull’essenza del concetto: L’articolarsi dell’arte contemporanea sempre più come riflessione del suo stesso problema (l’arte sull’arte) costringe a rendersi conto del fatto che, in molti dei prodotti artistici odierni, il progetto operativo che essi esprimono, l’idea di un modo di formare che essi realizzano in concreto, diventa sempre più importante rispetto all’oggetto formato; e se un tempo si prendeva coscienza di una poetica come strumento accessorio per penetrare sempre meglio la natura dell’opera, oggi ci si avvede che molte operazioni critiche prendono l’opera formata come strumento accessorio per comprendere un nuovo modo di formare, un progetto di poetica.9

Questa è, se non altro, la rivoluzione lanciata da due personaggi emblematici come Malevich e Duchamp, rivoluzionari totali non lontani dal concetto di spiritualità. Obiettivo rivoluzionario era la rivalutazione del mondo sotto una chiave assolutamente personale, in cui vigeva la decontestualizzazione degli elementi ed una nuova 8 Benjamin 2000, p.6-9 . 9 Eco 1983. 21


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rinascita degli stessi. Richiamando di nuovo in causa Arthur Danto, questa attività svolta nel ready-made potrebbe essere definita e denominata come trasfigurazione del banale. Con questa locuzione egli indica il cambiamento di status, la trasfigurazione, appunto, che alcuni oggetti possono subire per mano degli artisti. Il concetto di trasfigurazione originale per eccellenza, secondo Danto è quella di Gesù descritta nei Vangeli sinottici: Pietro, Giovanni e Giacomo videro davanti a loro Gesù trasfigurato: «Il suo viso splendevacome il sole, e la sua veste era candida come la neve». E’ possibile che a splendere fosse l’opera d’arte, ma l’incandescenza non poteva costituire il tipo di differenza specifica richiesto da una definizione dell’arte, se non come metafora.10

In uno dei testi a cui egli fa riferimento, La nascita della tragedia di Nietzsche, si discerneranno due tipologie di rappresentazione: rappresentazione come ripresentazione, e rappresentazione come ‘stare per’. Un esempio che finirà per produrre due visioni differenti di trasfigurazione sarà un’opera di Raffaello, contenente in nuce le critiche filosofiche di Nietzsche: «Raffaello […] ci ha rappresentato in un dipinto simbolico quel depotenziarsi dell’illusione nell’illusione, il processo originario dell’artista ingenuo e insieme della cultura apollinea. Nella sua Trasfigurazione la metà inferiore col ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione che lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostra il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario, dell’unico fondamento del mondo: l’ «illusione» è qui un riflesso dell’eterno contrasto, del padre delle cose. Da questa illusione si leva poi, come un vapore d’ambrosia, un nuovo mondo illusorio, simile a una visione, di cui quelli dominati dalla prima illusione non vedono niente – un luminoso fluttuare in purissima delizia e in un’intuizione priva di dolore, raggiante da occhi lontani. Qui abbiamo davanti ai nostri occhi, per un altissimo simbolismo artistico, quel mondo di bellezza apollinea e il suo sfondo, la terribile saggezza di Sileno, e comprendiamo, per intuizione, la loro reciproca necessità”.11

10 Danto 2008, op. cit., p.25. 11 Nietzsche 1977, cap IV, pp. 34-39. 22


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«Solo il sentimento, specialmente all’inizio del cammino, crea la vera arte […]. L’arte agisce sul sentimento e quindi può agire solo col sentimento».12 Definisce così Kandiwsky la sua idea di arte: si tratta di una nuova via che permetterà l’esplicazione del proprio io interiore, un’arte lontana dall’imitazione verista non corrispondente ad una libertà soggettiva assoluta, in quanto la scelta di un colore, di una linea, di una forma avviene in base al principio della necessità interiore che consiste nell’efficacia espressiva, nel duplice senso di “comunicare con lo spirito” e “comunicare la propria interiorità”. L’essenza dell’astrattismo pittorico secondo Kandinsky non nasce da una ricerca formale della bellezza ma dalla necessità di darle significato comunicando attraverso la propria interiorità, in quanto “La bellezza del colore e della forma […] non è un fine sufficiente in arte”.13 Crolla dunque quella grammatica iniziale finalizzata a conseguire un’opera eccessivamente schematica ed oggettiva. L’artista si emancipa mettendo da parte i dogmi estetici e gli stilemi accademici, poiché non esiste alcun dovere ma tutto si basa sull’esigenza di far fuoriuscire il proprio io, che vive in profondità. «Solo il sentimento, specialmente all’inizio del cammino, crea la vera arte […] L’arte agisce sul sentimento e quindi può agire solo col sentimento.»14 Purché sia chiaro che la generazione di espressionisti alla Kandinsky operava su di un terreno già preparato da altri. Non possiamo, ad esempio, trascurare il fatto che gli ambienti letterari ottocenteschi ed in particolare l’Inghilterra e la Germania, avevano di già postulato una via interiore e idealista della Weltanschauung;15 L’arte in stretta relazione con la filosofia, ricercherà la sua autonomia già dall’era del Positivismo, in cui sarà la scienza ad oggettivare e a rappresentare la verità delle cose. Se fino al Romanticismo, sarebbe stata l’arte la fonte primaria di verità, finita quest’era muore la sua essenza primaria 12 Chini 2002, p. 50. 13 Ibidem, p. 28. 14 Ibidem, p. 50. 15 Weltanschauung: termine ted. («visione, intuizione [Anschauung] del mondo [Welt]»). Concezione della vita, del mondo; modo in cui singoli individui o gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo e la posizione dell’uomo in esso. Citazione dalla Treccani 23


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d’espressione. Sarà Hegel a portare avanti, tra gli altri, tale visione funeraria del mondo artistico: “L’arte in conformità alla sua più alta determinazione è e rimane per noi qualcosa di passato”.16 L’arte romantica dunque, e quella a venire, si sviluppano proprio in contrapposizione all’idea forte di verità promossa non solo da Hegel, ma con una ben distinta concezione di verità, anche dal Positivismo scientifico, da cui l’arte non poteva che prendere le distanze rivendicando la sua autonomia. Lo sviluppo tecnicoscientifico non era mai avvenuto così velocemente come allora, proprio quando cioè inizia a cadere l’idea forte di verità per cui si fa strada un’arte che sarà sempre meno pedagogica, che non desidera mai finire, mai giungere a comprensione ultima, anche in contrapposizione allo scientifismo ottocentesco. Ne sono un esempio già i “poeti maledetti” francesi, dai quali certamente emerge un primo relativismo; tra costoro Baudelaire, il quale ci aveva già avvertito della necessità di rappresentare l’animo piuttosto che la realtà verista o quella dei pompiers.17 Esaltando quell’io interiore sofferente dinnanzi alla nuova società corrotta e malata sfuggente all’incombenza del tempo attraverso l’arte; con Les Fleurs Du Mal, il ‘poeta maledetto’ si definirà pittore del suo tempo rappresentante di un’era sociale malvagia che aveva sopperito gli ideali dell’uomo; La vita era la trasposizione del male e l’arte non poteva più mostrare una realtà idilliaca, ma spalancare i propri occhi di fronte lo Spleen18 della vita. La purezza dell’arte e la figura del poeta vate decadono, entrambi avendo perso l’aureola, la funzione di guida e di elevatezza morale. Bisognerà svegliare l’uomo mediante una poetica che 16 Hegel 1997, p.78. 17 Arte accademica, o Art Pompier, fu definita con intenti derisori la pittura prodotta in Francia nella seconda metà del XIX secolo sotto l’influsso delle Accademie di Belle Arti. L’espressione indica ancora oggi quell’arte, appunto, accademica e ufficiale, gradita al potere, che, pur eseguita con tecnica magistrale, risulta spesso falsa e vuota fino al cattivo gusto. 18 In francese, Spleen rappresenta la tristezza meditativa o la malinconia. Il termine venne reso famoso durante il decadentismo dal poeta francese Charles Baudelaire, ma era utilizzato anche anteriormente, in particolare nella letteratura del Romanticismo. La concezione di spleen e di melanconia deriva dalla medicina greca degli umori: uno di questi era la bile, contenuta nella cistifellea. 24


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si esplichi attraverso la dialettica dello Spleen e dell’Idèal.19 Nasce il Simbolismo, che permetterà di poeticizzare il mondo ormai deturpato, per via di uno stile perfetto e musicale che renda consapevoli del male di vivere, ma ne risalti una bellezza controversa delle cose. Il poeta/artista che abdica, contestato dalla società, cercherà più di una via di fuga per estraniarsi da tutto il resto. egli cerca la sua pace interiore lontano dalla realtà in cui vive, attraverso viaggi, droghe, alcool e poesia: come un albatro sul ponte di una nave che cerca di spiccare il volo, e in cielo spiegherà le sue ali per raggiungere la sua meta: la libertà. Una via figurativa a tale bisogno era già stata tentata nella generazione precedente, con Paul Gauguin in testa; Il suo contributo al Simbolismo avvenne con la formazione della “Scuola di Pont-Aven”. I suoi pittori presero come punto di riferimento le vetrate gotiche e gli smalti cloisonné, stendevano colori puri e uniformi, contornati da un netto segno nero. Ne derivò una pittura dai toni intimistici che rifiutava la copia dal vero e l’imitazione della visione naturalistica. Ma il Positivismo poi troverà il suo limite anche all’interno della stessa scienza, in particolare nel dibattito epistemologico tra Ottocento e Novecento, che ha messo definitivamente in crisi l’idea di un ‘sapere forte’. In questo contesto l’Arte Romantica si fa perlopiù interprete di quello che avrebbe detto Nietzsche nella Gaia Scienza: “la morte di Dio” e la conseguente transvalutazione dei valori. Gli artisti sono arrivati a concepire cioè che i valori sono dei ‘valutati’, essi dipendono dalla soggettività del valutante e, in quanto tali, sono il frutto di un concepire che si “autofonda”.“Il pensiero ‘può’ tutto, perché tutto, anche Dio, ricade nel pensiero: nessuna alterità rispetto al pensiero”.20 Questa affermazione, che sembra paradossalmente hegeliana, riassume bene lo 19 L’Ideal è l’aspirazione ad un mondo puro e incontaminato dalla corruzione e dalle meschinità del mondo; condizione costante della poesia baudelairiana che, attraverso le risorse dell’immaginazione, supera la superficie delle cose per elevarsi verso una realtà superiore, sconosciuta alla maggior parte degli uomini. Lo Spleen e l’Ideal sono in continuo conflitto, una scissione tra il poeta e la rappresentazione dell’uomo moderno. 20 Hegel 2013, p. 39. 25


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slittamento della nostra epoca in direzione del pensiero. Gli artisti sono cioè giunti a concepire che non c’è “nulla al di fuori del concepire” e, in conseguenza di ciò, l’arte si è proclamata libera. Capace di “dire tutto” - “Se Dio è morto tutto è permesso” fa ripetere Dostoevskij a Ivan Karamazov e di “fare tutto” come si manifesta chiaramente nel ready-made introdotto da Duchamp. In Fontana (1916) Marcel Duchamp provocatoriamente presenta un orinatoio rovesciato, tolto dal suo usuale contesto, e firmato, come se si trattasse, e certamente lo è, di una vera e propria “opera d’arte”. Questo gesto esprime l’assolutezza della soggettività dell’artista nel Moderno-contemporaneo: non c’è più altro da rappresentare se non la coscienza della propria incondizionatezza. Una soggettività, quella dell’artista oggi, che afferma la propria libertà fino al gesto ‘estremo’ di rendere artistico non più l’oggetto presentato, ma la stessa operazione (casuale). Non a caso, per Duchamp, fondamentale nell’arte è l’idea, non tanto la sua realizzazione. Ecco che quindi l’arte è sempre più riflessiva e sempre meno d’immediatezza, come già aveva affermato Hegel. Arte non è più fare (dunque mostrare una bravura e una competenza anche tecniche), ma scegliere. È così che vengono scardinati, successivamente anche da Malivich, i concetti convenzionali oggettivi dell’arte. Cadono i codici simbolici tradizionali; l’opera si esalta all’assoluto, a sé stessa; spogliata da qualsiasi banalità che l’avrebbe trasformata in altro, raggiungendo la purezza, il cosiddetto “grado zero”. Sarà Reinhardt21 a concentrarsi su tale poetica concettuale, tralasciando il fattore della percezione ed attuando un processo puramente mentale. L’opera riporterà il suo concetto in sé, l’essenza 21 Adolph Dietrich Friedrich Reinhardt, noto come Ad Reinhardt (1913–1967), è stato un pittore statunitense tra i maggiori esponenti dell’ Espressionismo astratto e del Minimalismo. Fu profondamente influenzato dall’arte e dalle teorie del pittore russo Kazimir Malevich, fondatore del Suprematismo, il cui dipinto Quadrato nero del 1915 lo ispirò ad utilizzare campiture di colore coprente disposte in pattern geometrici come quadrati e rettangoli. Questi esperimenti portarono alla creazione di tre serie di pitture monocromatiche: le Red Painting, le Blue Painting e, soprattutto, le Black Painting, quadri apparentemente tutti neri ma in realtà composti da lievissime sfumature intorno al nero. 26


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dell’oggetto, cioè lo zero o ancora meglio ‘lo zero assoluto’, che verrà simbolicamente omologato e riconosciuto nel nero. L’artista concettuale dunque si spingerà alla metafisica, sostituendo l’eidos al logos22 Se Malevich con la sua forma assoluta porta a compimento l’arte risolvendola nell’uomo, Duchamp assolutizza la ‘cosa’ dissolvendo il sistema dell’arte nella natura, nella vita. Entrambi gli artisti possono essere definiti mistici escatologici: l’uno ci parla della sopravvivenza del pensiero dopo la morte, della res, l’altro dell’importanza del concetto dopo la riduzione della cosa a feticcio anestetico ed intransitivo. Il concetto, assunto come ‘noumeno’ si rivela attraverso l’accidente materiale, il ‘fenomeno’; si tratterebbe quindi di un rapporto metonimico, una catena metaforica di cui parla Roland Barthes, in cui il significato diventa esso stesso significante. «Qualsiasi materia può assumere all’interno del sistema dignità d’arte: fiori, alberi, i più comuni utensili domestici, colti nell’accidentalità naturale dell’esistenza»;23 è cosi che profetizza Hegel l’estetica dell’arte contemporanea, in cui lo spirito assoluto raggiunge l’apice: l’arte è il momento in cui l’Assoluto viene colto in maniera immediata attraverso l’intuizione sensibile. Ma non tutte le intuizioni sensibili hanno lo stesso valore, così che ad un grado inferiore starà l’arte simbolica che si esprime soprattutto attraverso l’architettura; poi ci sarà l’arte classica espressa prevalentemente in forma di scultura; all’apice ci sarà l’arte romantica, che trova espressione soprattutto in pittura, musica e poesia. Il motivo di questa superiorità è dato dal fatto che l’arte romantica trascura quelle espressioni in cui è più forte l’elemento sensibile, dando così maggior sfogo allo spirito. Il romanticismo segna la morte dell’arte, intendendo con l’espressione non che dopo di essa non si possa più produrre, ma che in essa lo spirito raggiunge pienamente la consapevolezza che l’arte è una forma inadeguata di espressione dell’Assoluto. Il padre 22 Eidos: traslitterazione del gr. εἶδος aspetto, forma. Termine filosofico con cui Platone designa l’idea, Aristotele la forma. Ripreso da Husserl per designare l’essenza oggetto d’intuizione. Logos: sostantivo greco (λόγος parola, discorso, ragione), variamente usato nel linguaggio filosofico e teologico. Citazione dalla Treccani. 23 Miccini 1977, p.1. 27


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del re-made, Duchamp, è praticamente dentro questa asserzione. Tornando all’assunto di base da cui partivamo, si deduce ora e meglio che il termine morte non viene usato con il suo significato primario, ovverosia della fine di qualcosa, bensì nel suo significato di auflösung (dissoluzione-risoluzione), il continuo dialogo dell’arte, il suo continuo mutamento. L’estetica muta continuamente secondo le epoche e i popoli; ciò che per una data tradizione culturale era arte, ora pare dissolversi di fronte a nuovi modi di operare e fruire. Occorre dunque capire come approssimarsi a un tale nuovo metodo di espressione; Umberto Eco la chiamerà Opera Aperta, sottolineando il dialogo interpersonale che si verrà a creare nel momento della fruizione. ‘Definitezza’ ed ‘apertura’ sono i due termini con cui il semiologo italiano definisce l’arte moderna. Peraltro, nelle antiche concezioni dell’arte, l’accento era implicitamente posto sul polo della ‘definitezza’ dell’opera.24 Ad esempio, l’approccio che la poesia dantesca esige dal lettore è di tipo univoco: il poeta dice qualcosa e spera che il lettore lo legga in quel modo. Con l’arte contemporanea si avviano alcune nuove prospettive di lettura, stimolando la libera interpretazione. E’ un approccio che discende dal Simbolismo francese in avanti, per cui l’utilizzo simbolico permetterebbe di creare un ampio ventaglio di significati tanto imprecisi quanto validi, soggettivamente valutati dal lettore. Il simbolismo moderno è invece aperto, proprio perché vuole essere anzitutto comunicazione dell’indefinito o dell’ambiguo. Potremmo porre l’attenzione, ad esempio, su di un genere di opere che danno la possibilità di reazioni interpretative libere: i Mobiles (fig.3) di Calder. Opere a metà tra la scultura di galleria e l’oggetto di arredamento, entità plastiche che si metamorfizzano continuamente offrendosi sempre sotto nuovi angoli visuali. Ma, nonostante, si parli di libertà interpretativa, colui che darà vita all’opera cercherà in un certo qual modo di ridurre sempre più il campo interpretativo, veicolandone indirettamente la lettura. Stiamo parlando però di un’arte che non varcherà la soglia del XXI secolo, in quanto tesa a divenire nuovo mezzo di comunicazione di massa, ovvero di pubblicità. A teorizzare questa 24 Eco 1984, p. 163-164. 28


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critica sarà il citato Jean Baudrillard, che nel 1994 parlava di: «… generale malinconia della sfera artistica», in cui «siamo destinati alla retrospettiva infinita di ciò che ci ha preceduti». Quando un sistema diventa parodia, anche l’effetto eversivo si traduce in banalità a effetto pubblicitario. L’arte del XXI secolo non è più iconoclasta perché non distrugge immagini come avveniva fino alla pittura astratta, ma anzi fabbrica «una profusione di immagini in cui non c’è niente da vedere». Prima di andarsene, Baudrillard fece appena in tempo ad accorgersi del crescente successo dell’artista simbolo della nullità contemporanea, quel Tino Sehgal che non concede interviste, non permette di filmare o fotografare le sue performance dove non accade niente di rilevante, tranne il momento in cui incassa lauti assegni da privati collezionisti invasati e musei pubblici irresponsabili. Quest’ultima generazione di artisti ha perfettamente compreso l’essenza pubblicitaria del mondo, applica una messinscena e persino il cinismo di Warhol appare datato e ingenuo. Esiste infatti una differenza tra i profeti del nulla e la nullità eretta a godimento estetico perverso: «la maggior parte dell’arte contemporanea si dedica proprio a questo: ad appropriarsi della banalità, degli scarti, della mediocrità eleggendoli a valore e a ideologia». Se ne potrà mai uscire? Non certo continuando a rivolgere lo sguardo al passato. Baudrillard affermava di non provare nostalgia per vecchi valori estetici: «l’arte può avere ancora un grande potere di illusione. Ma la grande illusione estetica è diventata una disillusione... e dopo un po’ gira a vuoto». Tocca allora arrendersi all’evidenza che non sia più possibile applicare il criterio del giudizio critico sul valore dell’opera ma solo quello della spartizione amichevole e conviviale. Tutti insieme, tutti vestiti di nero, al funerale dell’arte contemporanea ...25

A portare avanti codeste teorie sull’arte contemporanea sarà Nigel Warburton,26 che tenterà di delimitarne meglio i concetti ribadendo che è impossibile trovare delle definizioni. La questione dell’arte viene posta dall’autore non in termini di 25 Beatrice, Luca, Baudrillard e il funerale dell’arte contemporanea, in “www. ilgiornale.it”, 11 marzo 2013. 26 Warburton (1962) è un filosofo inglese, al momento senior lecturer presso la Open University. Conosciuto soprattutto per i suoi testi di divulgazione filosofica, è anche autore di saggi di estetica ed etica applicata. Uno dei suoi saggi principali sarà: Warburton 2004. 29


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risposta al concetto d’arte in sé, ma al livello dell’opera d’arte nella sua concretezza. L’obiettivo è quello di concentrarsi sulle singole opere, analizzarle, scomporle, chiedersi il motivo della loro realizzazione e capire quali sensazioni ci trasmettono. Ciò che conta è l’oggetto in sé, classificato all’interno della dimensione reale dell’uomo; se l’oggetto non avesse importanza, non avrebbe senso valutare la distinzione tra arte e non arte. Qui vengono riportate due fotografie per esplicarne meglio il concetto: Film Still #21 (fig.4) di Cindy Shermane, e Carri armati in piazza Tien Anmen, Pechino (fig.5) di Stuart Franklin. La prima è arte, la seconda è una fotografia giornalistica. Ritorniamo al discorso che abbiamo fatto precedentemente, ovvero la fine della contemplazione passiva dell’opera; l’arte contemporanea, spesso orientata verso l’installazione e la performance, ci offre, nel confronto e nel reciproco dialogo con la scienza, molti spunti di riflessione anche a questo proposito. Accade fra l’altro che sia la scienza stessa a riconoscersi nell’arte, se consideraiamo quelle opere che - prescindendo qui dall’abbozzo nella sua indeterminatezza inventiva - hanno la capacità di costituire ambienti e luoghi attraverso il medium tecnologico. Si pensi solo al significato di un’installazione come lo Weather Project di Olafur Eliasson alla Tate Modern di Londra nel 2003. È un nuovo sole che illumina , per così dire “inventa” un nuovo ambiente e modifica anche il modo di sentire. Quest’ultimo interviene, come un’energia nuova, sul sentimento individuale e su quello collettivo approssimandoli, creando una diversa comunità, lirica ed epica al tempo stesso. Ivi, l’immagine sembra addirittura costituire il modello di un nuovo ecosistema. Per questa via entriamo a contatto con una profonda mutazione dei caratteri dell’esperienza estetica che è profondamente modificata, quantomeno in ambito figurativo, dalle nuove caratteristiche dell’immagine. L’esperienza estetica si va trasformando da esperienza eminentemente contemplativa ad esperienza “immersiva”. Lo spettatore vive così nell’immagine come nel proprio mondo-ambiente. La distinzione tradizionale tra tecnica e natura viene meno. L’esperienza estetica è un’esperienza-pilota 30


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che ci guida attraverso le trasformazione dei comuni, abituali mondi percettivi. Le trasformazioni rendono sempre più incerti i confini che dividono l’immagine artistica da quella non artistica. E’ in questo quadro che può proporsi in tutto il suo spettro la questione del “futuro dell’immagine”, la scommessa su di un futuro connesso all’idea di nuove morfologie, ma anche al progetto e all’idea della necessità di rivisitare il disegno schilleriano di una ‘Educazione Estetica dell’ Umanità’ (1793) 27. Non si tratterà più di integrare nuovamente cultura e natura, secondo le sue direttive originarie, ma di cogliere come l’immagine venga a costituirsi in un nuovo mondo-ambiente che non rispetta le divaricazioni tradizionali tra natura e cultura, tra artificio tecnico e mondo della vita. In un mondo che non prevede più le partizioni sicure della modernità classica dobbiamo imparare a vivere.28L’arte contemporanea porterà a sbloccare i sentimenti ormai congelati da una tecnologia che ha portato alla desensibilizzazione umana. Bisognerà quindi riaccendere quei movimenti sentimentali attraverso nuovi metodi di approccio artistico, trasformandoli in vere e proprie sinestesie, stravolgendone la costante anaffettiva. Capito come il XX secolo abbia cambiato la sua visione, si aprirono con il trascorrere degli anni vari filoni, spesso contrapposti: se da una parte, nel secondo dopoguerra, con il boom economico entrano nella società nuove ideologie artistiche che non riportavano più sentimenti ed emozioni, ma sottolineavano gli effetti costanti dell’oggetto di consumo e la sua divinizzazione, dall’altra si sperimentavano metodi di ricerca spirituale interiore. Nasce da questa atmosfera consumistica la Pop Art, sintomo di una civiltà moderna che non tendeva più alla ricerca di nuove idee ma all’oggettivazione di ciò che il sistema capitalistico offriva. Pop art è termine coniato da Lawrence Alloway, acronimo di Popular 27 Quest’opera contiene un insieme di lettere che venne prodotta da Schiller nel 1793; Tali lettere profilano il disegno utopico di una rigenerazione dell’umanità, da determinare mediante un’ ‘educazione’ della sfera sentimentale tramite l’arte. I prodotti artistici sono ‘forme viventi’ in cui la bellezza svela l’armoniosa realizzazione della libertà etica. 28 Varcellone 2014, p.133-134. 31


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Art (arte popolare) per la propensione ad una rappresentazione di oggetti di consumo. La cultura pop ingloba ed emancipa tutti quei concetti e quella tematiche dell’immaginario esistente contemporaneo, divenendo una fenomeno mediatico. Di pari passo si muove nell’animo di alcuni artisti la ricerca di un’idea sacrale dell’arte che è possibile incarnare, in continuità con l’esperienza astratta, tanto nell’action painting, allo scontro con un nuovo mondo commerciale di cui la Pop Art era interfaccia, quanto nel tema del monocrome sperimentato a partire da Piero Manzoni ed Yves Klein. In un mondo circondato interamente dal sistema degli oggetti, il ‘reincanto’ dell’arte era in vita attraverso l’eliminazione dell’oggetto commerciale dalla tela, operando verso l’immateriale, l’informale, l’antiformale. Si ricercava il senso di libertà e di immaginario intorno alla costante artistica, eliminando il concetto di natura quantitativa che mummificava la società. Al termine ultimo della ricerca era possibile creare vere e proprie cattedrali religiose, cappelle per la meditazione dove le persone sarebbero state libere di pregare o riflettere; in tal modo l’arte poteva essere sottratta al consumo; tale idea fu realizzata da Mark Rodthko, che finirà per definire “ciarlatani e giovani opportunisti” i pop artisti. Si apriva così uno scontro indiretto tra la ricerca della sensibilità calda dello spirito e l’anti sensibilità fredda delle arti popolari.

1.2 L’opera aldilà dell’oggetto Prendendo come punto di riferimento quattro momenti dell’arte contemporanea: il re-made di Duchamp (1917); il disegno di De Kooning cancellato da Rauschenberg (1953); il foglio di carta attraversato da Murakami (1955); il vuoto esposto da Klein (1958), si può estrarre un diverso concetto di opera. Il passaggio sarà lento ma radicale: da elemento materiale decontestualizzato e carico di concettualità, all’informalità tramutata in performance. Si tratta, in definitiva, della logica dell’happy ending portata avanti principalmente da Pollock, il quale farà prevalere il movimento corporeo, la spontaneità, 32


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l’equilibrio interiore, che poi venivano espressi e mostrati attraverso degli schizzi su tela (dripping). L’arte che si eleva pian piano a se stessa, non ha più alcun bisogno di elementi che la esaltino. Cos’è allora un’opera d’arte contemporanea? Possiamo davvero reputarla tale? Se ci si basa ancora sulla tradizione passata, sicuramente no. Il filosofo George Dickie (1926) affermava che qualsiasi cosa è apprezzabile a livello estetico. Ma da dove scaturisce una tale esteticità? Oggettivamente prostrandoci davanti ad un’opera contemporanea, sarebbe molto difficile poter esprimere stupore estetico in quanto essa non riporta concetti di bellezza oggettiva. Come abbiamo precedentemente detto, l’obiettivo adesso è quello di utilizzare l’elemento esposto come un canale di trasmissione, e non viceversa. Bisogna concentrarsi sul concetto, non sulla formalità dell’opera. La sua produzione consta di vari procedimenti iniziali che tendiamo a scartare perché nostro obiettivo è quello di vederla completa. L’opera è intrinseca a se stessa. La parte estetica è la parte superficiale dell’oggetto. Progettare significa pensare, ricercare, immaginare parole, suoni. Anche la raccolta di un sasso durante il tragitto in un bosco potrebbe essere reputata arte, in quanto vi è dietro tutta una ricerca approfondita ed accurata. Lo stesso Michelangelo diceva che la statua stava già dentro il blocco di pietra ancora prima di essere scolpita. Fare una statua non significa solo scolpire, ma capire il linguaggio della pietra scelta. Ci si lascia andare dunque all’espressione naturale, all’ambiente che ci circonda; sarà il Caso che favorirà una buona riuscita. Possiamo ritrovare questo concetto nell’arte ambientale, dove l’opera realizzata con materiali prevalentemente naturali, si prostra davanti al divenire continuo dell’ambiente. Purché sia chiaro un presupposto: qui la logica del caso si determina solo successivamente all’operato, perché la metodologia adottata è desunta dalle arti ingegneristiche, situazioniste e programmate. Nonostante quella della Land art sia un’opera prettamente ‘naturale’, l’artificio dell’uomo precede la casualità degli eventi. Cosa significherà quindi una tela monochrome? Con il passaggio all’astrazione, gli artisti pian piano rinunciarono alle immagini 33


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figurate arrivando fino alla loro assenza. I quadri monocromatici rappresentano il ‘grado zero’, la pittura basica in cui il colore non è più un mezzo per la comprensione dell’opera ma l’espressione di una superficie di convivenza tra visibile ed invisibile, opera e idea. “Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell’arte. Dal punto di vista dei suprematisti le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale. L’oggetto in sé non significa nulla. L’arte perviene col suprematismo all’espressione pura senza rappresentazione”.29

Con queste parole Kazimir Malevic annunciava il suo Suprematismo,30 di cui fu fondatore e di cui Quadrato Nero (fig. 6), è l’esito maggiormente programmato. La scelta di presentare una tela raffigurante un mero quadrato nero (1915) fu senza dubbio singolare ma ancora più interessante fu la scelta di esporlo per la prima volta situandolo nell’angolo della sala d’esposizione, luogo in cui secondo la tradizione russa venivano poste le icone sacre. Il dipinto suscitò numerosissime critiche da parte del pubblico e degli esperti ma, ad una più attenta osservazione, si nota come in realtà quello che può sembrare un semplice monocromo celi in sé una notevole ricerca. Cos’è che aveva compreso così in profondità Malevich? Cosa rappresentano le sue opere suprematiste prima della decisione di dedicarsi alla filosofia e alla scrittura? Se è vero che ancor prima della Rivoluzione di Ottobre il rifiuto della funzionalità dell’arte è una conquista della scuola 29 Malevich 2000. 30 Per il suprematista i fenomeni visivi del mondo oggettivo sono, di per sé, senza senso; la cosa importante è la sensazione, in quanto tale, a prescindere dal contesto in cui si manifesta. Malevich ha creato una grammatica suprematista basata su forme geometriche fondamentali; in particolare, il quadrato e il cerchio, contrario alle posizioni post-rivoluzionarie del costruttivismo e del materialismo. Il Costruttivismo, con il suo culto dell’oggetto, si occupa di strategie utilitaristiche di adattamento dell’arte ai principi di organizzazione funzionale; sotto il Costruttivismo il tradizionale supporto del pittore si trasforma in artista come ingegnere incaricato di organizzare la vita in tutti i suoi aspetti. Il Suprematismo, in netto contrasto con Costruttivismo, racchiude una filosofia profondamente antimaterialistica e anti-utilitaristica 34


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formalista31 (con Šklovskij, Jakobson, Eichenbaum), l’artista russo giunge a condividerne molte tesi per un percorso, spirituale oltre che artistico, tutto personale. Egli, al pari di Nietzsche, comprende che la creazione artistica è un’azione pura nel flusso incessante del divenire, ciò che il filosofo tedesco chiamò l’Eterno Ritorno dell’Uguale. Anche per Malevich il mondo si presenta sempre soggettivamente trasfigurato: “trasformando il mondo”, scrive, “io m’incammino verso la mia trasformazione”. In tal senso la natura che si offre al nostro sguardo non è mai identica e semplice nella bellezza delle sue forme, ma, nel ripetersi, diseguale e complessa. In modo analogo, l’arte che scaturisce da una ‘volontà di potenza’ determinata da ‘un’azione fine a se stessa’, intuitiva e mai pragmatica, non potrà imitare l’oggettualità della natura. Come a dire: non è concesso prendere tutto ciò che palpita e vive per fissarlo sulla tela come gli insetti di una collezione; asserisce Malevich: «guardare la natura per copiarla è un furto».32Ritornando al concetto di tela monocroma, egli si proseguirà con una sperimentazione del colore bianco, 31 Il Formalismo Russo (1914-1930), fu un’importante ed influente scuola di critica letteraria, inizialmente coniato con intenti denigratori, in quanto volto ad indagare solo l’aspetto formale dell’opera letteraria, non avendo il linguaggio una funzione pratica. In questo senso la letteratura serve esclusivamente a mostrare le cose da un punto di vista diverso, senza badare al contenuto e alla dimensione metatestuale, anticipando cosi le istanze dello strutturalismo. Anzi, è l’artificio, la forma che genera il contenuto, ciò che rende letterario un testo non è la storia della cultura, ma il linguaggio. Per i formalisti russi il linguaggio letterario è essenzialmente diverso da qualsiasi altro linguaggio perché, a differenza da questi, non ha alcuna funzione pratica. Per loro, la letteratura è un linguaggio che serve semplicemente a farci vedere le cose con occhi diversi, e riesce a farlo grazie a tecniche stilistiche e strutturali precise. Nell’ambito di questo orientamento, Shklovsky ha teorizzato il concetto di defamiliarizzazione. Secondo quest’ultimo l’uomo è incapace di mantenere una visione sempre ‘fresca’ della sua percezione degli oggetti: l’abitudine lo conduce ad automatizzare tutto ciò che si ripete e che si ripresenta alla sua coscienza. Questa processo di automatizzazione ha il vantaggio di servire per la sopravvivenza, ma è anche ciò che conduce a perdere la capacità di stupirsi, e quindi di riflettere su determinate realtà. Il compito dell’arte è proprio quello di ‘rinfrescare’ la nostra visione delle cose, di spostare il nostro modo di percezione dall’automatico e pratico all’artistico. 32 Giufrè 2016. 35


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con Composizione Suprematista: Bianco su Bianco (fig.7) (1918): un quadrato bianco su fondo bianco; un’impercettibile linea di contorno delinea il perimetro di un’area quadrangolare leggermente ruotata, come se l’autore avesse voluto delimitare un luogo mentale astratto perché quadrato, un non-oggetto non per questo meno possibile; la differenza, leggera ma decisiva, tra le due tonalità di bianco sancisce l’esistenza del locus protetto, quasi invisibile. Dopo Malevic, bisognerà aspettare altri trent’anni per rivedere il bianco così protagonista. Tra le sue astrazioni e quelle del secondo dopoguerra si trovano solo gli esperimenti in rilievo di Ben Nicholson33 degli anni Trenta. Qui il gioco dei bianchi si basa su leggere forme geometriche rivelate dai diversi livelli, come in 1934 (fig. 8). Tanti pittori, dagli anni Cinquanta in poi, dipingeranno le loro tele di un bianco perfetto e uniforme. Il quadro così appare vuoto, come se non fosse stato mai toccato. Come il foglio candido che blocca lo scrittore, l’artista predispone un divenire, il quadro possiamo immaginarlo noi continuando a cercare nel bianco la traccia di qualcosa. Il bianco diventa una sorta di portale verso l’infinito, verso quella ricerca interiore personale; tali sono i pannelli di Robert Rauschenberg, ad esempio: un’essenza che muove l’immaginazione e la memoria. Al fascino quasi mistico del bianco su bianco gli artisti non resistono. Tele sorprendentemente simili si ritrovano tra i maggiori esponenti dell’arte concettuale, spazialista, pop, povera e minimalista. Un breve excursus verrà fatto qui di seguito per presentare i vari filoni: Piero Manzoni, che ha increspato con tessuti e gesso la superficie bianca dei suoi Achrome (fig.9) (1957-1963); l’effetto è quello di un letto sfatto o di un’elegante plissettatura orizzontale, l’invisibile assume spessore e materia. Molto più regolari sono invece le texture create da Enrico Castellani attraverso composizioni di chiodi che tendono dal retro la tela, Superficie Bianca n°18 (fig.10) (1964); solo la direzione radente della luce può rivelare la trama nascosta attraverso il chiaroscuro. Nel caso 33 Ben Nicholson (1894-1982) pittore britannico, influenzato dal cubismo sintetico inizia a dipingere in modo astratto. Nel 1927 elabora uno stile primitivo, ispirato a Henri Rousseau e all’arte popolare inglese. 36


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di Alberto Burri il bianco si frammenta e le ombre delle fenditure disegnano in maniera netta l’immagine di un terreno inaridito, come il Cretto Grande 3 (fig.11) (1975); questa apparente regolarità diventa precisione millimetrica nei tagli che Lucio Fontana, con Concetto spaziale, Attese (fig.12) (1963), opera sulle sue tele; molte sono bianche, ma non è il bianco originale del supporto, esse sono state precedentemente dipinte; la superficie così irrigidita dalla pittura, reagisce alla fenditura in modo più netto. Il taglio si apre solo di poco, quanto basta per cambiare il corso della storia dell’arte e il concetto in sé dell’opera; il taglio diviene sinonimo di cambiamento, di un piccolo spiraglio di luce che l’artista durante il suo percorso artistico tormentoso è riuscito a scovare, ed ora vuole entrarci dentro: “Andare oltre”, Aldilà dell’oggetto. “ […] io buco; passa l’infinito da lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere […] invece tutti hanno pensato che volessi distruggere: ma non è vero io ho costruito, non distrutto.”34 Quello di Jasper Johns, invece, è un lavoro tono su tono; le sue serie numeriche, i suoi alfabeti o la bandiera USA diventano degli esercizi di sfumature e spessori pittorici appena leggibili, come mappe del tesoro scritte con l’inchiostro; è il caso di citare l’opera Flag (fig.13) (1955); ma c’è ancora meno sulle tele di Robert Ryman, Untiled (fig.14) (1960), sulla quali traspare disuniformità, strisce appena accennate, spatolate leggere. Opere all’insegna del motto “Less is more”: il meno è il più, tradotto brutalmente. Uno slogan coniato, forse, da Ludwig Mies van der Rohe, architetto razionalista tedesco che depurò le sue costruzioni da qualsiasi elemento ‘superfluo’ alla ricerca di spazi essenziali. Sempre van der Rohe amava dire “Dio è nei dettagli”, Quasi che in un insieme spoglio, svuotato di ogni decorazione, la bellezza risieda nella perfezione di un angolo, nell’incastro esatto di un giunto, nella raffinatezza della grana di un materiale. Fino ad ora ci si è focalizzati soltanto sull’utilizzo del bianco, sarebbe però il caso di spendere qualche parola per presentare un’artista che potremmo forse inserire all’apice dell’essenza 34 Sgarbi, Vittorio, Diamoci un taglio, con Fontana finì la pittura, in “www. ilgiornale.it”, 26 novembre 2017. 37


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dell’arte astratta e della sua spiritualità, Yves Klein. Il dipinto senza immagini, un quadro senza figure, come un libro senza parole, una fotografia senza soggetti: sono queste le peculiarità della sua poetica, quello di apportare ‘Zone di Sensibilità Pittorica Immateriale’, ossia situazioni pari a Nirvana reali, Zen35 che definiscono una pace interiore contemplativa, quasi diventando con il vuoto uno strumento per garantire una ricerca intima e interiore della propria sensibilità, andando oltre l’elemento reale. L’artista nizzardo aveva iniziato da subito utilizzando e sperimentando diversi colori e tonalità, per poi raggiungere uno stadio di naturalezza compositiva di alta intensità estetica. Egli durante le sue creazioni ha dato vita ad un colore: l’International Klein Blue, IKB (fig.15); mai proposto sul mercato, ma dalla 35 La pratica principale su cui lo Zen si basa per aiutare tutti gli esseri è la meditazione, che nello Zen viene chiamata Zazen. È una meditazione per risvegliarsi alla Vera Vita, per aiutarci a superare i nostri condizionamenti e attaccamenti che velano la realtà dell’esistenza umana. La parola Zazen, “seduti semplicemente”, significa che ci sediamo in meditazione zazen con semplicità, senza scopi e aspettative, senza nulla volere e pensare, persino senza l’idea di sedersi senza nulla volere e pensare. Il segreto e la difficoltà risiedono proprio in questa parola: semplicemente. Quando ci sediamo in Zazen, infatti, abbandoniamo saperi e conoscenza ed entriamo nudi nella pratica del non-sapere. Si dischiude una realtà quasi sconosciuta, dimenticata. Subentra il silenzio, la non-mente, ed emerge una condizione di calma, pace, non-pensiero, profondo rilassamento, assoluto silenzio. Due sono gli elementi principali di questa dottrina: sûnya e il satori. Śūnyatā è un sostantivo femminile della lingua sanscrita, che in italiano significa ‘vacuità’, una delle dottrine fondamentali nel Buddhismo. La dottrina della Śūnyatā acquisisce tuttavia significati diversi e diverso ruolo nelle varie scuole che si sono succedute nel corso della Storia del Buddhismo, alcune delle quali tutt’oggi esistenti. In questo senso è preferibile suddividere l’esposizione di questa dottrina a seconda dei testi di riferimento o delle scuole che la insegnano. Il Satori invece, in italiano tradotto con “rendersi conto”, nella pratica del Buddismo Zen indica l’esperienza del risveglio inteso in senso spirituale, nel quale non ci sarebbe più alcuna differenza tra colui che si “rende conto” e l’oggetto dell’osservazione. Il satori è il momento dell’illuminazione nella pratica del Buddismo Zen, momento in cui l’intera esperienza personale e cosmica è proiettata in un unico istante, che porta ad un annullarsi cosciente del soggetto, non derivante da una rinuncia al mondo esterno ma dalla partecipazione ad esso tramite l’atto puro. Tale processo è ben espresso dalla forma poetica dell’haiku. 38


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particolarità specifica di una poetica che è l’indefinito stesso; «Lunga vita all’immateriale!», un immateriale che non sarà qualcosa di inesistente, bensì un nuovo modo di esprimere le proprie idee attraverso l’astrazione, che porti alla ricerca dell’equilibrio interiore; un immateriale catartico e purificatore. L’artista spinge lo spettatore alla contemplazione immergendosi in un vuoto che ci farà precipitare nella meditazione. L’occhio non raggiunge un punto fisso, non ci sono figure da guardare, parole scritte da leggere, né vi è nessun tradizionale riferimento pittorico impresso sulla tela. Ci si abbandona all’ipnotico. Il blu di Klein è ipnotico. Il resto non ha importanza. Secondo la sua personale teoria fenomenologica del colore, ogni tonalità, ogni sfumatura del colore avrebbe scaturito sensazioni ed emozioni differenti, raggiungendo il massimo della spiritualità interiore attraverso quel Blu da lui partorito. E’ proprio nel vuoto che si esprime l’arte di Klein: una produzione artistica protesa a dare risalto a quell’unità cosmica e terrena tra il cielo e la terra senza un confine, senza un orizzonte, in una proiezione senza limiti e senza fine; un’arte tesa a creare una comunicazione invisibile tra l’uomo e l’infinito, concetto racchiuso nel 1958 in Monocromo blu senza titolo (fig.16). Il suo operato non si rapporterà soltanto dal punto di vista materialistico, nel tentativo di prendere contatto con il corpo umano; la sua arte si trasformerà in performace immortalate su grandi tele, definite da Klein “tracce di vita”, con la sua Antropometria dell’epoca blu (fig.17) (1960); qui i corpi delle modelle e dei modelli si lasceranno rotolare su superfici ruvide, a voler dare un’idea di impronta destinata a fissarsi nelle visioni delle persone e nelle immaginazioni fervide degli spettatori attenti. L’idea da veicolare, nella poetica di Klein, è quella dell’astratto: un’idea che eleva lo spettatore in visioni e panorami atemporali. Il pubblico si imbatteva in visioni particolari che lo portavano ad attivare una costante immaginativa estranea alla realtà quotidiana, una visione immediata e spontanea che non cercava spiegazioni razionali. L’arte di Klein, che diventa essa stessa rappresentazione viva, si nutre dei contributi corporei delle singole persone che vengono accolte e coinvolte nella loro 39


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individualità assoluta, raccolte da un elemento naturale qual’è la spugna, pronta ad “assorbire qualsiasi liquido”, punto di fascinazione per lo stesso autore. La spugna porta a identificare nell’autore quella transizione tra veglia e sonno, tra realtà e dimensione onirica, tra concreto e immateriale, dando senso quasi dinamico a quella transazione tra l’inspirazione e l’espirazione. L’arte astratta, ordunque, denuda all’essenziale un opera, spogliandola della sua complessità e conseguenzialmente della sua superfluità. È straordinaria la ricchezza del nulla rappresentato dal bianco. Perché dietro quel nulla non c’è il niente, c’è quel tutto uno che Malevich e Mondrian per primi ricercarono.

1.3 Paradisi terreni: Land Art Secondo la teoria estetica36 di Wilde, tutta la bellezza che 36 L’Estetismo: Atteggiamento del gusto e del pensiero che, in quanto pone i valori estetici al vertice della vita spirituale, considera la vita stessa come ricerca e culto del bello, come creazione artistica dell’individuo. Si tratta di un atteggiamento che sotto vari nomi ricorre nelle epoche più diverse, ma che come formulazione e applicazione coerente di una poetica rappresenta un tardo prodotto del Romanticismo, manifestatosi nella seconda metà dell’Ottocento, anzitutto in Inghilterra, con il ‘primitivismo’ di D.G Rossetti, e più con J.Ruskin, W. Pater, O.Wilde; e poi negli altri paesi europei. Ne furono massimi esponenti, in Francia J.-K Huysmans, creatore, nel romanzo À rebours, del personaggio di Jean des Esseintes, l’esteta per antonomasia; in Germania F. Nietzsche; in Italia G. D’Annunzio con Il Piacere, protagonista principalli Andrea Sperelli, etc. In quanto tale, l’e. si riconnette con quel più vasto movimento della cultura e del gusto che va sotto il nome di decadentismo e che, toccato il suo culmine verso la fine del 19° sec., sino ai primi decenni del Novecento. E al pari del decadentismo, l’e., nella ricerca mistico-sensuale di emozioni sempre più rare, degenerò in manierismi così nell’arte come nel costume. Il termine, infatti, è oggi usato in un’accezione limitativa e peggiorativa, per indicare ogni manifestazione o atteggiamento prezioso e raffinato in genere; e, in particolare, quella tendenza critica che, esasperazione e contraffazione della critica estetica propriamente detta, considera nell’opera d’arte soprattutto o esclusivamente il valore ‘musicale’ dell’espressione («ogni arte costantemente aspira alla musica», aveva affermato W. Pater), mutando il giudizio in una sensuale delibazione della parola, del colore. citazione tratta dall’enciclopedia Treccani. 40


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scorgiamo in natura è esclusivamente un riflesso della rappresentazione artistica. Volendo sintetizzare: esistono bei paesaggi perché esistono opere che li rappresentano. Potremmo denominare questa teoria anacronistica, in quanto la pittura del paesaggio non è più. Se i pittori romantici potevano considerare il paesaggio la vera arte dell’avvenire, presentendo e preparando il suo apogeo nella grande stagione paesaggistica dell’Ottocento, nel Novecento si inizierà a presentare un’arte senza paesaggio; è il secolo della rinunzia alla natura, della sua svalutazione. La natura non si lascia più rappresentare, è la sua stessa possibilità di farsi rappresentare che è andata in crisi. Possiamo denotarlo in uno dei gesti negatori di Marcel Duchamp, che nel 1914 prende una riproduzione molto manieristica di un paesaggio autunnale e vi aggiunge solo due punti di colore, rosso e verde; e di suo punto, accanto alla sua firma, un titolo straniante: Farmacia (fig.18). Anche Andy Wharol svuota il paesaggio di ogni pathos, numerando le zone di colore di una marina molto ordinaria, titolata Do it yourself (fig.19) (1962). Secondo la teoria di Adorno: “La riproduzione del bello naturale è una tautologia che mentre oggettualizza la manifestazione, contemporaneamente la elimina. […] Ciò che nella natura si manifesta viene derubato, tramite il suo raddoppio nell’arte, proprio di quell’essere in sé di cui l’esperienza della natura si sazia.”37

Il concetto porterebbe a pensare che l’era paesaggistica si sia conclusa definitivamente, ma qui non si sta parlando dell’ontologia della natura, bensì di un fatto storico. La storia è cambiamento, muta e si piega in base alle esigenze dell’essere umano, quindi sarebbe giusto pensare che potrebbe trattarsi di un cambio di sede, di un nuovo modo di comunicare mediante il cinema o la fotografia, ad esempio. Nasce anche il concetto di una natura rappresentativa impressionista, utilizzata per esplicare indirettamente uno stato d’animo del personaggio, o dell’artista stesso. Si aprono diverse dispute attorno alla nuova tipologia di canalizzazione dell’opera; con l’avvento dei nuovi mezzi 37 D’Angelo Paolo 2001, pp. 173-174. 41


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di comunicazione intesi come canali di trasferimento delle informazioni, potremmo dunque parlare di deriva delle immagini. Tali mezzi hanno svalutato il rapporto diretto tra l’uomo e ciò che lo circonda, rovinando così anche il bello della diretta. Un viaggiatore tipo, durante le sue escursioni starebbe per ore a guardarsi attorno attraverso una telecamera che gli permetterà di conservare i ricordi. Questa è la prova di come l’immagine abbia eclissato la natura. Avendo compreso come l’era dell’immagini rappresentative fosse finita, molti artisti hanno cercato di trasformare in opera le esperienze del proprio rapporto con la natura, o, per meglio dire, di trasformare in opera la propria esperienza in natura. Come ai tempi degli impressionisti, e delle ricerche en plein air che ruotarono loro intorno, vige nuovamente il principio del ‘uscire fuori dall’atelier’, abbandonare le gallerie, rompere tutti quegli schemi artificiali che non fanno altro che sviare dal contatto diretto con l’ambiente; da qui la scelta di non rappresentare più l’arte, ma di collaborare con l’ambiente impiegando i materiali naturali spontaneamente da esso offerti. Se c’è qualcosa che accomuna la Land Art Americana degli anni Sessanta con l’arte ambientale europea dei decenni successivi, è la consapevolezza del fatto che il patto mimetico che legava l’arte alla natura è andato in pezzi e che nulla è più vano di cercare di ricomporlo, ragione per cui l’arte non riuscirà a recuperare questo rapporto riproducendola, ma operandovi all’interno. Prima di immetterci in un filone specifico dell’arte ambientale occorre, comunque, fare un distinguo tra spazio e l’ambiente, concetti che apparentemente potrebbero sembrare quasi sinonimi. Per spazio intenderemo un ambiente artificiale o naturale che ancora non ha subito modifiche, per ambiente, invece, un luogo in cui è stato applicato un artificio umano. Sorge in noi il dubbio sulla data di nascita di questo filone artistico; Molti critici pongono il suo inizio con il Futurismo, in particolare con Boccioni, che noterà la stretta dipendenza dell’oggetto dall’ambiente che lo circonda; ma, matrici dell’arte ambientale sono anche il De Stijl, il Costruttivismo, il Bauhaus, con le loro tendenze architettoniche ed urbanistiche. Anche con Duchamp avremo un richiamo a questo 42


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tipo di arte, con la sua esposizione a Parigi sul Surrealismo, in cui recuperò 1200 sacchi di carbone che pendevano dal tetto; o ancora i suoi luoghi enigmatici visibili solo da spioncini, vere e proprie installazione ambientali, vedi: Essendo Dati (fig.20) (1962) che comprendeva La Caduta ad Acqua, e Il Gas d’Illuminazione. Altri artisti che applicarono il concetto furono: Fontana, con il percorso sullo spazialismo e l’utilizzo delle luci a neon per l’identificazione dello spazio, suscitando nei visitatori un senso di estraniamento e la perdita di cognizione del tempo dello spazio; Arman e Klein: i quali portano avanti due concetti differenti di spazio; il primo applicherà la dinamica dell’accumulo, il secondo, come detto, vira il concetto verso il più puro astrattismo. Anche nel movimento situazionista si tratterà l’argomento dello spazialismo, con Gallizio e il suo ‘anti-mondo’ (fig.21), ad esempio, che causerà soffocamento interiore a causa della pianezza della tela che tenderà quasi ad ingombrare la visione, una sorta di horror vacui. Dal fronte Pop emergono due artisti in particolare che si cimenteranno con l’ambiente; l’uno legato all’uomo, l’altro legato all’oggetto. Stiamo parlando di Segel, con la continua ripetizione di sé nelle sculture, ad esempio congelando le proprio azioni quotidiane nei centri urbani, vedi Woman in a Restaurant Booth (fig.22) (1961); ed Odelburg, che elimina la presenza dell’uomo verso una ricerca di oggetti di uso comune, accumulandoli, vedi The Store (fig.23) (1961), in cui predilige la tecnica della distorsione; gli oggetti assumono forme strane, parafrasi scultorea delle distorsioni percettive operate dalla pubblicità. Fino ad ora abbiamo dato conto di un’arte ambientale che, nonostante sfrutti le possibilità dello spazio offerto, si chiude in quattro mura. L’arte ambientale è anche creazione di spazi che portino sensazioni e percezioni pure, come è il caso di Turrel e Irvin con i loro luoghi bui ed insonorizzati, o di Newman che attraverso nuovi mezzi multimediali registrerà l’esperienza del visitatore durante l’attraversamento di uno stretto cunicolo. Giulio Paolini riflette sulla spazio museo e sul concetto di mostra in Ipotesi di una mostra (fig.24) (1963); l’opera consisteva nell’utilizzo di due sale del museo divise da un pannello trasparente che consentiva 43


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di guardare dalla parte opposta. La mostra era il pubblico stesso. La Land art ( filone artistico dell’arte ambientale) si svilupperà nell’ottobre del 1968 grazie ad una mostra organizzata alla Swan Art Gallery di New York, con il titolo Earthworks; essa si contrapponeva ai principi freddi e analitici della città metropolitana, ma allo stesso tempo alla Pop e alla Minimal Art, filoni artistici prettamente industriali, lontani anni luce dalla concezione uomoambiente. C’è da dire, però, che alcuni artisti che si cimenteranno nella sperimentazione di questa nuova concezione, come Walter De Maria, o Smithson, partivano da una matrice Minimal o processuale, in cui si prediligeva la configurazione geometrica e l’intervento in situ, due metodiche di cui parleremo a breve. Al suo apparire, da una parte la Land Art sembra voler reagire alla tecnologia e all’iper urbanizzazione del mondo contemporaneo; dall’altra, combattere la mercificazione dell’arte, dal momento che le sue opere-paesaggio, non direttamente fruibili per dimensioni, inacessibilità, distanza, deterioramento, rompono il percorso consueto del sistema, eliminando l’oggetto artistico in sé così come la galleria, il collezionismo privato, il museo. Di fatto, però, tale “de-materializzazione” dell’opera spinge diversi artisti, come l’inglese Richard Long, a concepire l’operazione ai fini di una sua riproduzione fotografica, la quale acquista ora, insieme a quello documentario, anche un valore di mercato. Le forme utilizzate erano destinate al divenire dell’ambiente, fino al loro riassorbimento ultimo. L’utilizzo di mezzi che possano documentare l’esperienza e muovere poi nello spettatore una sorta di curiosità che lo spinga a raggiungere quel posto, diventerà una condizione necessaria, ricollocando l’intervento in una dimensione museale, anche se a posteriori e in contumacia. Gli spazi espositivi deputati faranno in certo senso da tramite per il collegamento pubblico-naturaartista (sites-non sites). Talvolta la questione si farà megalitica, verso una concezione della opera come “inorganica”, connubio tra la possenza delle sculture e quelle delle architetture che rivendicavano sin dall’ideazione il legame con le realizzazioni colossali dei popoli antichi, che fossero le mastabe e le piramidi 44


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egizie, o quelle precolombiane. È questo il caso di Heizer come Complex I (fig.25) (1974): un terrapieno alto sette metri e lungo oltre quaranta, in parte contenuto da mura di cemento; una struttura aggettante in cemento armato che proietta la sua ombra sul terrapieno, mentre altre strutture sorgono nelle vicinanze. Qui l’intervento umano è minimo, prettamente indiretto ma determinato al tal punto con la natura che l’autore riassumerà con una brevissima frase: «It’s about art, not about landscape». Ad una concezione più diretta - non tanto per l’artefatto, quanto per la per la conoscenza approfondita del sito che rinvia a situazioni climatiche ed atmosferiche irripetibili - è riconducibile il caso di Walter De Maria, con Lightning Field (fig.26) (1977), realizzato in Nuovo Messico. L’opera consta di quattrocento sbarre di acciaio inossidabile nel terreno, a formare un rettangolo di un miglio per un chilometro. Le sbarre fuoriescono più o meno dal terreno, seguendone le altimetrie in modo da creare idealmente una superficie apicale piana. Poiché la zona caratterizzata da molti temporali e le sbarre agiscono da parafulmine, è possibile vedere i lampi scaricarsi a terra durante la visita. Precedentemente è stato detto che lo spazio museale sarebbe stato soltanto un luogo di stimolo, che avrebbe in qualche modo spronato e invogliato il visitatore alla visita diretta; Vi saranno però artisti che cercheranno di trasportare parte della natura in luoghi chiusi artificiali, favorendo il contrasto tra spazi aperti naturali, site, e spazi artificiali, non site, ripercorrendo in tal modo i principi dell’arte concettuale. È questo il caso di Walter De Maria nell’opera Earthrooms (fig.27) (1977) (delocalizzazione dello spazio naturale), e di Robert Smithson con la sua serie Non Sites (fig.28) (1968), entrambi in serrata dialettica tra il paesaggio e l’ambiente museale. Una metodica molto singolare è quella di Christo: i suoi “imballaggi” creano un ossimoro tra la naturalezza delle cose e la patina artificiale che le avvolge. Rispetto al resto degli artisti della Land Art, che realizzano i loro interventi con finanziamenti privati, egli si discosta dalla costante artistica mercantile, recuperando le somme necessarie dalla vendita dei suoi stessi manufatti. Spesso criticato per l’eccessiva invasione dell’ambiente, che avrebbe 45


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potuto in qualche modo rovinare l’habitat e l’equilibrio naturale. Perchè la scelta dell’impacchettamento? Una delle ipotesi è quella secondo cui impacchettare una forma serva a nasconderla e ad evidenziarla allo stesso tempo, lasciando alla fantasia dello spettatore il compito di immaginare cosa si celi sotto la tela. Sarà questa tecnica che renderà celebri le opere di Christo e Jeanne-Claude. Un esempio di questo si ritrova nella celebre opera realizzata tra il 1972 e il 1976 denominata Running Fence. Essa consiste in una recinzione continua, tesa da Est a Ovest per quasi quaranta chilometri tra alcuni declivi della campagna californiana, a nord di San Francisco. Si tratta di una serie di ampi teloni di nylon bianco appesi a un cavo d’acciaio sorretto da oltre duemila montanti metallici che, visti dall’alto, si snodano come un serpente e attraversano valli e colline fino a perdersi all’orizzonte. Quest’opera territoriale è volutamente giocata per contrapposizioni poiché la verticalità della recinzione si oppone nettamente all’orizzontalità del paesaggio e l’artificialità del nylon contrasta con la naturalità dell’erba. Infine anche il biancore dei teli si contrappone ai sobri colori del terreno. Questa incredibile muraglia bianca assume un grandissimo valore simbolico. Quando i teli sono gonfiati dal vento, infatti, l’enorme serpente sembra quasi animarsi e per tutta la sua lunghezza risuona di un crepitare secco e sonoro. Per la realizzazione dell’intero impianto furono necessari quattro anni, ma l’opera ebbe una vita estremamente breve essendo durata solamente quattordici giorni. L’esperienza ambientale verrà utilizzata in chiave metaforica da Barney con l’opera The Cremaster Cycle (fig.29), un ciclo di video ambienti dove lo spazio e semplicemente la scena presso cui si svolgeranno delle azioni. Nell’anatomia umana, per ‘cremastere’ si intende un muscolo scheletrico che ricopre i testicoli. Presente nel feto ancora prima del suo pieno sviluppo e prima ancora che il sesso dell’individuo si formi, esso è pienamente sviluppato nell’uomo ma è comunque presente, in piccola percentuale, nella donna. La sua funzione è quella di sollevare o abbassare lo scroto secondo fattori quali la temperatura, per favorire la spermatogenesi. Il progetto Cremaster (fig.30) di Matthew Barney ruota attorno a 46


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questo misconosciuto muscolo, eletto a paradigma di una saga epica del testicolo genitale, priva però di riferimenti sessuali. L’obiettivo della saga è di stimolare il cremastere attraverso immagine di grande impatto visuale. Non c’è allusione sessuale nel suo lavoro: l’approccio è chirurgico, freddo e distaccato, trattando il simbolo genitale come elemento organico e biologico. La saga si suddivide in cinque capitoli che sono subito apparsi come punto di svolta nel campo della videoarte. Il problema di molta videoarte, oltre ad una ricerca criptica, è quella di rimanere incatenata al proprio tempo storico invecchiando precocemente, come oggi i film di Fluxus che hanno perso larga parte del loro impatto scioccante. Se c’è un lavoro videoartistico in grado di reggere lo scorrere degli anni è proprio il lavoro di Barney: attuale, allegorico, perennemente affascinante nel suo flusso incontrollato di immagini. I cinque capitoli della saga non sono usciti in ordine numerico, ma in ordine apparentemente casuale: Cremaster 4 (1994), Cremaster 1 (1995), Cremaster 5 (1997), Cremaster 2 (1999) e Cremaster 3 (2002). L’ordine non è affatto pretenzioso, ma frutto della ricerca di un ciclo armonico, con il 5 in mezzo a due coppie di numeri con somma palindroma (4+1 = 5 = 2+3). Se non si attinge alle sinossi presentate dallo stesso Barney come chiavi di lettura, è difficile dare un senso a ciò che avviene sullo schermo. Più semplice è lasciarsi sopraffare da queste non-storie, da questi incubi di design, da questi sogni ad occhi aperti, subirli, restarne incantati. La forza di Barney sta nella capacità di incatenare lo spettatore davanti all’indecifrabile senza mai annoiarlo, anzi, stimolandolo e seducendolo. Una videoarte, in verità, molto vicina al cinema, dove il lavoro è ragionato e mai lasciato al caso. Un’opera barocca dove gli attori esistono in quanto presenze e non in quanto espressione, dove è l’immagine che deve raccontare, muovendosi tra riferimenti di vario tipo, alti e bassi, viaggiando tra simbologie massoniche e di folklore, arte, fotografia, moda, western, serial killers, tragedie di stampo greco, musical di stampo hollywoodiano classico, storie d’amore, magia; unendo i film con ‘leitmotiv’ enigmatici inquietanti ed indecifrabili come la vaselina, il petrolio e, in 47


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generale, il colore bianco, colore di purezza e allo stesso tempo di morte; colore in grado di unire opposti. Per quanto criptico, Cremaster è un viaggio da intraprendere: un’esplosione continua di riferimenti visivi di innegabile valore, di suggestioni agli antipodi e di narrazioni unite dalla continua lotta per un dominio, identificabile dal punto di vista anatomico come la lotta di due gameti con l’obiettivo dell’equilibrio ormonale, uno scontro tra forze naturali e artificiali, immerse in un ambiente strettamente ermafrodita, armonia utopica del maschile e del femminile. Ulteriore confine dell’arte ambientale è rappresentato dalla serie di opere esposte in luoghi naturali; così come ogni giardino antico ha il suo maze, il suo labirinto vegetale, anche i parchimuseo di arte avranno un loro percorso, come il Philadelphia Labyrinth, 1974, di Robert Morris, il Maze di Dennis Oppenheim, 1970, La Fattoria di Celle in Toscana, Fiumara D’Arte in Sicilia (al cui dedichiamo un intero capitolo). Se fino ad ora si è voluta sottolineare la forte differenza di pratica tra la Land Art (uso di materiali naturali) e tutti gli altri filoni, vi sarà un’artista che cercherà di far conciliare l’artificiosità con la natura stessa; stiamo parlando di Michelengelo Pistoletto e del suo Terzo Paradiso (fig.31): È la fusione fra il primo e il secondo paradiso. Il primo è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo è il paradiso artificiale, sviluppato dall’intelligenza umana, fino alle dimensioni globali raggiunte oggi con la scienza e la tecnologia. Questo paradiso è fatto di bisogni artificiali, di prodotti artificiali, di comodità artificiali, di piaceri artificiali e di ogni altro genere di artificio. Si è formato un vero e proprio mondo artificiale che, con progressione esponenziale, ingenera, parallelamente agli effetti benefici, processi irreversibili di degrado e consunzione del mondo naturale. Il Terzo Paradiso è la terza fase dell’umanità, che si realizza nella connessione equilibrata tra l’artificio e la natura. Terzo Paradiso significa il passaggio a uno stadio inedito della civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. A tale fine occorre innanzi tutto ri-formare i principi e i comportamenti etici che guidano la vita comune. Il Terzo Paradiso è il grande mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità nella visione globale. Il termine paradiso deriva dall’antica lingua persiana e significa 48


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“giardino protetto”. Noi siamo i giardinieri che devono proteggere questo pianeta e curare la società umana che lo abita. Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità.38 Perchè, dunque, la scelta del numero tre? La riposta a questa domanda verrà trascritta dal medesimo in Ominiteismo e Demopraxia (2017) La Trinamica è la dinamica del numero Tre. È la combinazione di due unità che dà vita a una terza unità distinta e inedita. Nella Trinamica il Tre rappresenta sempre una nascita, che avviene per combinazione fortuita, o voluta, fra due soggetti. La Trinamica si attua nel processo di: congiungimento, connessione, combinazione, coniugazione, interazione, fusione di due elementi in sé semplici o complessi. Il fenomeno trinamico avviene in chimica e in fisica, si estende nella fisiologia dei corpi e arriva a comprendere la vita sociale nei suoi aspetti culturali, politici, economici e religiosi. Il segno-formula della Trinamica, assunto anche come simbolo del Terzo Paradiso, disegna tre cerchi allineati. I due cerchi esterni rappresentano tutti gli opposti e comunque ogni dualità. Il Teorema della Trinamica identifica nel cerchio centrale, generato dalla congiunzione dei due cerchi esterni, un terzo soggetto prima inesistente. La Trinamica agisce nella sfera naturale così come in quella artificiale, includendo ogni ambito e aspetto della società umana. La troviamo ad esempio nella reazione fra ossigeno e idrogeno da cui si ottiene l’acqua; nell’interazione fra masse d’aria calda e fredda, causa dei fenomeni temporaleschi; nella connessione fra polo positivo e polo negativo, che produce energia elettrica; nell’unione fra il maschile e il femminile, che genera un nuovo essere; nella dialettica fra tesi e antitesi, che produce la sintesi; nella fusione fra gli opposti modelli politici dell’assolutismo e dell’anarchia, che sviluppa la democrazia. La Trinamica è la scienza delle relazioni e degli equilibri. Ma soprattutto, è il principio della creazione. Con il Triplo Cerchio, ho inteso creare il simbolo della vita, cioè del finito, ovvero ciò che nasce e muore. Questo non poteva essere fatto senza tener conto del simbolo dell’infinito, in quanto quest’ultimo precede ogni nascita e segue ad ogni morte. La vita, che sia di uomo o di mosca, di albero o di civiltà, ha un inizio e una fine: il tempo 38 Pistoletto Michelangelo, 2003. 49


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di ciascuna è una durata. Essa dà confini all’infinito. La durata è rappresentata dal cerchio centrale della Trinamica, compresa fra i due cerchi laterali che rappresentano l’infinito. La durata non è mai statica. È una creazione continua e si svolge nella connessione di separati elementi. Dunque la vita è creazione. Il Triplo Cerchio, segno/formula della Trinamica, integra la vita nell’infinito.39

39 Pistoletto Michelangelo, pp. 53-55, 2017. 50



2. 52


2. BRANDELLI D’UTOPIA. FIUMARA D’ARTE: DAL CEMENTO ALLO SPIRITO 2.1 Il profeta del Fiume: Antonio Presti. Presentazione biografica del poeta vate siciliano, e della sua chiamata artistica. 2.2 Il riscatto dell’arte nella terra dell’abusivismo: La nascita di Fiumara D’Arte sede principale di spiritualità. 2.3 L’Atelier sul Mare: un albergo vivente, in cui l’ospite si fonde completamente con l’opera stessa.

2.1 Il profeta del fiume: Antonio Presti. Presentazione biografica del poeta vate siciliano, e della sua chiamata artistica. Una figura artistica discussa nel tempo, in lotta continua tra l ‘odi et amo’ da parte del pubblico e dei critici: Antonio Presti (1957), porta con sé i principi dell’esaltazione spirituale dell’arte. Una lotta impari, quasi sempre vinta, durata vent’anni; una ricerca del concetto di ‘memoria paterna’, la rivalutazione della sua isola, la costruzione di un giardino Zen dove l’elemento industriale, il cemento, si eleva ad infinito. A capo di un’azienda edile dopo la morte del padre nel 1982 (quest’ultimo imprenditore edile), insoddisfatto dal concetto di 53


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guadagno economico, Presti trasformerà la sua figura di erede in una sorta di novello mecenate di Sicilia, profeta della bellezza siciliana, ponendosi come obiettivo il recupero e il risveglio delle proprie radici attraverso iniziative che esaltassero la grandezza di questo luogo ameno. Nello stesso anno fonda, pertanto, l’Associazione Culturale ‘Fiumara d’Arte’, portatrice di molteplici iniziative che andranno dalla ricomposizione in parco ed itinerario territoriale dell’omonimo parco-hortus-labirinto (1982), alla rivalutazione del quartiere periferico Librino a Catania, luogo da sempre sottovalutato, separato dal resto della città mediante un muro di dieci chilometri, alto dieci metri, che verrà trasformato nella Porta della Bellezza (fig.32) (2000) grazie all’aiuto dei bambini di tutte le scuole del luogo; una vera e propria rivoluzione, seguita da un progetto fotografico intitolato Io sono bello (2004-2005) con lo scopo di fotografare i volti dei cittadini di Librino riaffermandone la cittadinanza e il diritto alla libertà; immergendosi, infine, nelle rive del fiume Oreto di Palermo, locus ormai dimenticato, costruendovi intorno un museo a cielo aperto nell’intervento Io sono il fiume Oreto dell’Umanità (2004). «La Sicilia deve e vuole parlare della sua bellezza»1 , ribadirà spesso Antonio Presti; dalle sue parole traspare una netta presa di posizione rispetto a nuovi stimoli di rinascita civile e culturale. Obiettivo fondante era ed è l’eliminazione del codice di lettura antica della nostra terra, riassumibile in un unica parola: mafia. Bisognava, dunque, sovvertire le dinamiche che hanno portato, nel lungo periodo, a giudizi assolutamente negativi sull’isola. Decidendo, in tal senso, di stravolgere le sue costanti di vita e concependo un nuovo ideale di ricostruzione dell’anima che prescindesse dai limiti imposti dai poteri politici, economici e sociali, Presti ci propone un’arte stracolma di principi etici e viva come il ricordo del proprio padre, un vero e proprio elogio alla vita denominata da lui stesso una “Lucida Folli”2 che non appartiene al codice ordinario dell’esistenza. Consacrata successivamente attraverso l’erezione di una scultura maestosa, tale follia costituirà 1 Presti Antonio, La politica della Bellezza, in www.ateliersulmare.com. 2 Video intervista ad Antonio, 30 giugno 2016. 54


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un percorso metaforico della vita: il Parco scultoreo di Fiumara D’Arte. Non è stata semplice l’accettazione pubblica dei progetti ivi conservati, perché trattasi di opere monumentali, informali, astratte, realizzate su territori demaniali. Ne sono scaturiti molteplici dubbi non solo sullo sfruttamento della natura per la costruzione di un artificio umano che invada lo spettro naturalistico valorizzandolo, secondo alcuni, deturpandolo, secondo altri, ma anche sul diritto di proprietà. Poiché, in definitiva, di chi finiranno per essere quei terreni su cui si staglia il diritto di espressione attraverso l’arte? Il 19 ottobre del 1986 fece scalpore l’ordinanza di sequestro di quel ‘paradiso terrestre’, costruito con tanta fatica da Presti, durante la sua inaugurazione; arrivati sulle sponde del torrente Romei, davanti alla Stanza della barca d’oro di Hidetoshi Nagasawa3, una delle tante opere costruite all’interno del Parco, due vigili urbani ne intimarono l’alt giudicando l’opera abusiva, notificando agli interessati la sua distruzione entro i trenta giorni, secondo un ordine che passava dalla Pretura di Mistretta (ME), ordine che però era partito dalla Soprintendenza per i Bene culturali e Ambientali di Messina. La storia della Fiumara continuò dunque, per un certo tratto, in ambito giudiziario e mediatico: «In un paese come la Sicilia, in cui trionfano l’abusivismo e la speculazione edilizia, l’arte può contribuire a far crescere una nuova sensibilità, a far maturare un nuovo rapporto tra l’uomo e il suo territorio»4. Si apriva così “una fiumara di polemiche”: secondo la legge (sic) Antonio Presti era colpevole di abusivismo e violazione della legge Galasso5; gli veniva comminata così una 3 Hidetoshi Nagasawa (1940) performance artista, scultore e architetto giapponese. La spiritualità orientale fusa con la cultura occidentale, attraverso delle scultura in oro, o marmo, ove l’opera si adatta all’ambiente che la circonda. Una rapporto osmotico costante; creando da qui il concetto dei giardini zen. 4 Articolo tratto dalla rivista “Europeo” 33-34, 25 Agosto 1989. 5 Ct. Legislativa, L. n. 431, 8 agosto 1985, che in proposito recita: Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni dirette alla tutela dei territori costieri e contermini ai laghi, dei fiumi, dei torrenti, dei corsi d’acqua, delle montagne, dei ghiacciai, dei circhi glaciali, dei parchi, delle riserve, dei boschi, delle foreste, delle aree assegnate alle università agrarie, delle zone gravate da usi civici, delle zone umide e dei vulcani; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione 55


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pena detentiva di quindici giorni e pecuniaria di 23 milioni di lire, nonché la demolizione dei manufatti. Secondo Presti, non sono le opere abusive, ma le idee: «Le mie provocazioni non sono state accettate perché non erano sponsorizzate da nessuno»6; il fatto di avere le capacità di esaltare l’arte in se stessa senza la necessità di un apparato burocratico, sottintende che essa non passi per certi canali, e dunque andrà distrutta, distruggendo in tal modo la libertà di pensiero. Bisogna combattere per questo, riaffermare il diritto di espressione: «Se le opere che ho costruito vengono legalizzate e cioè inserite all’interno di un progetto di Parco d’Arte, saranno le opere stesse a vincolare il territorio dall’abusivismo edilizio. Io voglio dimostrare che saranno queste sculture la salvezza del territorio. E per questa stessa ragione sono così provocatorie».7 Ad onor del vero, ciò che salvava Presti dall’accusa di abusivismo non era l’opera d’arte in sé, ma la sua eminenza; e dunque, per riflesso, la grande cultura internazionale del suo mecenate e la sua visione spirituale ed utopica. Nell’ordinanza del Tribunale di Messina, sotto l’egida degli organismi di tutela, si cela la grande cecità nel riconoscere la grande opera d’arte pubblica, poiché le motivazioni giuridiche di quell’atto, diversamente, ci sarebbero apparse inoppugnabili. Voglio dire: se al posto di Antonio Presti, e di Pietro Consagra, e di Hidetoshi Nagasawa, e di Tano Festa etc., si fosse imposto un modello “minore”, provinciale, volgare, le motivazioni culturali ed apologetiche del mecenate non avrebbero mai retto. La politica della mercificazione dell’arte, la quale comunemente porta ad una fruizione ristretta dell’opera, poiché essa si fonde allo spettro economico con norme e del 26 giugno 1985; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con i Ministri dei lavori pubblici, dell’agricoltura e delle foreste e della marina mercantile; Il presidente della Repubblica emana il seguente decreto legge: «All’articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: Sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497: [...]f) I parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;[...] 6 Sarpi 1991. 7 Ivi. 56


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vincoli che bloccano la libera espressione ed interpretazione, viene qui annullata dalla ‘Devozione alla bellezza’, locuzione neologistica dello stesso Presti (infra), che esalta l’arte a ‘dono’ per tutta l’umanità. Viene spiegato così, e forse anche giustificato, il motivo per il quale le opere ‘maggiori’ si elevano sui territori demaniali. L’arte è un bene pubblico ed il suo potere catartico deve pervadere l’animo di qualsiasi creatura vivente. In arte non esistono costrizioni. Una visione che potrebbe apparire quasi utopica ed irrealizzabile, ma l’Antonio Presti ‘maestro Zen’ crede in sé, crede nel potere del cambiamento, e gioca con tutte le sue forze sin dall’età di ventinove anni, paragonandosi ad una pietra che cerca di risalire alla montagna con tutte le sue forze, e non appena scalata la vetta sarà capace di diventare mare. È in questo modo che svilupperà il percorso della Fiumara passo dopo passo, partendo dalle montagne e proseguendo vero l’ondeggiare del mare. 2.2 Il riscatto dell’arte nella terra dell’abusivismo: La nascita di Fiumara D’Arte sede principale di spiritualità. Un viaggio catartico, la voce metafisica della natura che va oltre il tangibile, la continuità tra la vita e la morte. Un percorso monumentale che nasce allo sfociare del fiume Tusa, una specie di Giardino dell’Eden, sede ontologica dell’essere umano religioso, l’archè di tutto; dalle montagne scoscese si arriva a valle, davanti all’infinità del mare raggiungendo la purificazione interiore. Un museo a cielo aperto, La fiumara di Halaisos, culla di antiche civiltà sviluppatasi attorno alla Chora di Halaesa a partire dal V sec. a. C., torna ad essere il centro propulsore di una realtà artistica e culturale per l’intuizione visionaria di un solo uomo, con l’intenzione di rivalutare il proprio territorio ormai sotterrato da una matrice economica e culturalmente emarginata attraverso iniziative no profit che non hanno chiamato all’appello le figure economiche e politiche del territorio; di sicuro la ‘rigenerazione’ e la ‘rivalutazione’ dell’antica Halaesa era già stata messa in atto 57


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burocraticamente sul versante occidentale: da un lato si assisteva alla trattativa per la realizzazione del Poligono di tiro nel territorio compreso tra Castel di Lucio e Mistretta; dall’altro andava in progetto la cementificazione o il riassetto idrico del fiume Tusa, questione controversa che continuerà per circa dieci anni. Infine, negli anni ‘80, sulla fascia costiera tra Santo Stefano di Camastra e Castel di Tusa si abbatté l’abusivismo edilizio. Da questo scenario, spento e senza speranze, Presti ha tratto stimoli nuovi e diversi per la valorizzazione del territorio, cercando di risanarne i problemi o quanto meno di alleviarne la drasticità, tentando di riscattare una terra ormai risucchiata da certa imprenditoria, dalla speculazione violenta della classe dirigente, che con il passare del tempo radeva al suolo l’espressione della natura. Sette sculture dislocate, progettate e costruite da svariati artisti che si sono resi disponibili per la realizzazione di un sito in pellegrinaggio artistico nel territorio dei Nebrodi. Obiettivo portante dell’iniziativa non sarà tanto l’esaltazione delle opere in sé, in quanto astratte, quanto la messa in contatto dell’uomo con la grandezza della natura, senza la pretesa di emulare la sua potenza, ma di esaltarla; ben lungi dal volerla modificare o addomesticare. Nel momento in cui si avviava il progetto di cementificazione del fiume Tusa, scongiurato nel 1999, alla sua foce Pietro Consagra8 elevava una grande scultura frontale a due elementi, che incarnava l’astrazione del concetto di morte all’insegna del ricordo del padre di Presti: La materia poteva non esserci (fig.33) (1986). Il linguaggio adottato dall’autore era parte di una sperimentazione plastica e scultorea che si protraeva nel tempo, un metodo di espressione informale, caratterizzata dal rifiuto di qualsiasi forma. Esempi portarti di 8 Pietro Consagra (1920-2005) scultore e scrittore italiano, uno dei più prestigiosi esponenti dell’astrattismo intenaziolae. La sua poetica artistica può essere sintetizzata attraverso una sua citazione: «Esprimere il ritmo drammatico della vita di oggi con elementi plastici che dovrebbero essere la sintesi formale delle azioni dell’uomo a contatto con gli ingranaggi di questa società, dove è necessaria volontà, forza, ottimismo, semplicità, chiarezza». Predilige l’uso delle due dimensioni, conferendo sempre all’oggetto un significato drammatico, creando una dialettica tra l’opera e la profondità di ciò che lo circonda. 58


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arte informale materica sono: Jean Dubuffet9, con la sua scultura Monument with Standing Beast (fig.34) (1984), sita tutt’oggi a Chicago, lo spagnolo Antoni Tã¡pies10 in Cruz Y Tierra (fig. 35) (1975) e l’italiano Alberto Burri11 con Sacco e Rosso (fig.36) (1954). Gli effetti di trasparenza la rendono suggestiva ed imponente, specie nelle ore notturne quando il buio e il silenzio lasciano spazio di espressione alla natura. Nonostante la sua struttura in cemento, l’alternarsi di spazi aperti e chiusi dà una sensazione di leggerezza. Il visitatore viene invitato a passarvi attraverso, come se quel ponte favorisse l’accesso ad un’altra dimensione: il passaggio dalla vecchia alla nuova vita; e si fondesse con l’infinità del cielo grazie ai suoi 18 metri di altezza, ed ai suoi colori contrastanti di nero e bianco, che si distinguono dal colore delicato del cielo e delle sue nuvole. Vista oggi, l’opera di Consagra, che al momento della sua inaugurazione spiccava su tutto determinando il paesaggio circostante ed il suo skyline, alla luce del recente ponteggio autostradale che la sovrasta ha in larga parte perso la sua potenza. Ponteggio e sculture fatte della stessa materia, l’uno artificio finito dell’uomo volto alla via dei trasporti, l’altro una potenza infinita, che quasi distoglie l’attenzione dalla guida. Pian piano che ci si avvicina sempre più, è come sentirsi dei piccoli granelli rispetto alla sua maestosità, una sensazione positiva, un abbraccio mistico, che avvolge e distoglie l’uomo dalla costante 9 Jean Dubuffet inizia il suo percorso artistico nel 1945, teorizzando ed introducendo il concetto di ‘Art Brut’, un arte infantile, spoglia di principi teorici e pratici, rivendicando i suoi principi anticulturali, poiché secondo lui, la cultura blocca, impoverisce, soffoca. Dunque andrà contro corrente, creando un filone artistico che si liberi dal tradizionalismo. 10 Antoni Tapies con la materia, le visionarie inserzioni oggettuali, le trame grafiche graffite con urgenza concitata e brusca, sono dunque congenitamente impliciti sin dall’inizio, nel suo lavoro. Il problema di Tàpies non è, prima, di essere, di sentirsi, surreale o astratto, così come dopo non sarà di definire la qualità del proprio informale. Altro è il senso, altra la ricerca oscura e potente, della sua pittura. 11 Alberto Burri esplicherà il concetto di ‘consunzione’, in cui non è più la vita che corrode e trasforma l’opera, bensi il principio energetico imposto su di esse, quasi a voler imprimere un significato metaforico primordiale che accellera la loro corrosione; come ad esempio il fuoco. Massima espressione della sua poetica con la serie i cretti negli anni ‘70. 59


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vita di tutti i giorni, come quei veicoli sul ponte. Per paradosso, nel 1989 la Soprintendenza diede il nulla osta alla cementificazione dell’alveo fluviale, dichiarando abusivo il monumento. Proseguendo lungo la spiaggia di Villa Margi, a due chilometri dal Comune di Santo Stefano di Camastra, si staglia davanti ai nostri occhi una imponente finestra di un azzurro color ‘anima’, con piccole nuvole bianche, alta 20 metri, posta verso ovest per intercettare meglio il crepuscolo e racchiudere uno scorcio di quel mare infinito: Monumento per un poeta morto (fig.37) (1989) di Tano Festa12, eretto un anno dopo la sua morte; realizzato in cemento armato ed armatura ferrosa, il monolite cercherà di spezzare il senso di finito ed aprirà una nuova visione della vita, stimolando l’immaginazione che vagherà verso spazi non finiti. Una finestra che imprigionerà uno spicchio di quel mare azzurrissimo, divenendo quasi un quadro racchiuso da quella cornice monocroma. Un’opera d’arte vivente che cambia a seconda degli agenti atmosferici condizionandone il movimento; l’uomo si prostra dinanzi ad un pezzo d’orizzonte, contemplando. A dimostrazione della eminenza sua e delle altre opere lungo l’itinerario, il Monumento alimenta oggi una vera e propria teoria del restauro: dopo diversi anni dalla sua costruzione, l’aria salmastra aveva corroso pian piano l’intera finestra; l’obiettivo era riportarla in vita. La fiumara doveva essere ripresa, e messa in sesto, oppure, in quanto opera di Land art, disgregarsi lentamente sotto il divenire naturale? Nel 2005 Antonio Presti sceglie di rispondere al richiamo indiretto della teoria del restauro, cercando aiuto nello stato italiano che rifiutò la richiesta. Al rifiuto, rispose con altrettanto rifiuto. La finestra venne ricoperta da un telo blu, con sopra scritto ‘chiuso’ in tutte le lingue del mondo. La decisione creò scalpore, risvegliando l’attenzione del presidente delle Repubblica in carica quell’anno: Carlo Azeglio Ciampi. Il 6 gennaio del 2006, dopo venticinque anni di battaglie, venne istituito il Parco di Fiumara d’arte. In quel torno di anni, alle accuse di ambizione personale, egli ha risposto 12 Tano Festa (1938-1988) artista pittore e fotografo italiano. Protagonista della scuola pop romana, accolse con rigore formale le soluzioni “new dada”, proponendo isolati oggetti monocromi di uso quotidiano: persiane, specchi, e finestre, divenendo supporto della sua attività artistica. 60


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rifiutando persino l’incarico di Assessore ai Beni culturali della Regione Siciliana.13 Così, il 25 maggio 2007 si procedette alla “riapertura” della Finestra sul mare. «Riconsegniamo la Finestra ai giovani, a chi la prenderà in consegna per farla vivere ancora» ribadisce Presti durante un’intervista, “Dopo anni di solitudine e sofferenza, di lotte contro il Potere che ha tentato di distruggere la Fiumara, trasformo la resistenza in resilienza che non si oppone, ma si trasforma e si rigenera”. Due milioni di euro per il più grande progetto di restauro mai realizzato su un palco artistico en plein air. In cinque mesi di lavori la Finestra fu strappata all’ossidazione, recuperata e riportata al suo status originario, grazie all’utilizzo di materiali resistenti, che fino a poco tempo prima erano ancora impensabili; essi faranno si che l’opera rimanga intatta, e che allo stesso tempo ‘respiri’, come venne spiegato dall’architetto Angelo Pettineo, consulente di Fiumara D’Arte per il restauro, mentre il progetto redatto dal R.T.P. “Viaggiando nell’Arte”, è firmato da un pool di architetti guidato da Giuseppe Siragusa. I fondi assegnati al Consorzio Intercomunale Valle dell’Halaesa per il restauro e l’implementazione di Fiumara d’Arte, di cui fanno parte i comuni di Castel di Lucio, Mistretta, Motta d’Affermo, Pettineo, Santo Stefano di Camastra e Tusa provenivano da un PO FERS 20072013. Il restauro è poi proseguito su tutte le opere della Fiumara, fino a giungere al Labirinto di Arianna, il monumento in condizioni peggiori.14 Nell’ambito del parco, un’ulteriore impresa promossa dal mecenatismo di Presti è rappresentata dal cosiddetto Museo Domestico. Il caso è molto curioso: per circa sei anni (1990-1996) Presti organizzò a Pettineo (comune della Fiumara) Un chilometro di tela, che veniva poi tagliata e distribuita nelle varie abitazioni del paese per renderle partecipi e maggiormente integrate al progetto. Per gli abitanti del paese l’evento era paragonabile ad una festa religiosa senza simulacri, intriso di momenti volti 13 Anello Laura, in La finestra sul mare. L’ecomostro da demolire ritorna opera d’arte, in www.LaStampa.it, 22 giugno 2015. 14 La Pietra Salvatore, La Finestra sul mare di Tano Festa prima opera restaurata della Fiumara d’arte, in www.nebrodinews.it, 21 giugno 2015. 61


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alla socializzazione ed alla condivisione tra i partecipanti. Le case furono così trasformate in frammenti di un museo vivente, accogliendo in porzioni ciascuna un pezzo dell’opera d’arte complessiva. Un’onda blu orizzontale di cemento statica, sorge più avanti su di un poggio naturale nei pressi di Motta D’Affermo, Energia Mediterranea (fig.38) di Antonio Palma15 (1990), che cerca di collegare spazi lontani nel tempo, ma reali e contigui. Un’onda di venti metri per lato, in cemento armato nel color Blue Klein, attorniata da gruppi di pietre grandi quasi a voler rappresentare una scogliera, sospesa su un piano naturale che cambia in base alle stagioni. Un movimento del mare immobile, che grazie alla sua sinuosità statica dà la sensazione del movimento. Il pubblico è invitato all’utilizzo dell’opera, quasi fosse un tappeto volante, uno scivolo ruvido. Ciò che conta non sarà l’applicazione di principi architettonici contemporanei, bensì l’intenzione di sollecitare l’emotività del fruitore. Fermandoci ancora per un po’ a Motta D’Affermo. Su una leggera altura potremmo ammirare la maestosità di un tetraedro titanico realizzato in acciaio corten da Mauro Staccioli.16 L’opera ha insito in sé il nome: la sua posizione è perfettamente ricollegabile al titolo del progetto: 38° Parallelo -Piramide (fig.39) (2010). Parzialmente sprofondata nel terreno, la piramide presenta una fessura lungo lo spigolo occidentale, nel quale si incarna lo scorrere del tempo grazie al passaggio di luce. Un elemento impregnato di concetti metafisici, mistici e religiosi facilmente ricollegabile alle piramidi egizie, trapelando l’idea 15 Antonio Palma: Si esprime attraverso una pittura informale con il rifiuto di qualsiasi forma figurativa o astratta. La sua sperimentazione si ispira a grandi della tradizione pittorica come Masson, Duchamp, Kandinskij, Mondrian e Albers. 16 Mario Staccioli (1937-2018) Un dialogo continuo tra le sue sculture e lo spazio urbano. Una ‘scultura-segno’ che si pone in stretta correlazione con il luogo per il quale e nel quale è realizzata. Sceglie l’ambiente urbano e sposta l’asse di intervento dell’artista cercando, con la scultura, di rispondere alle istanze della società tutta. La sua scelta linguistica si caratterizza per la coerenza, l’essenzialità delle forme e la perfetta adesione agli ambienti per i quali realizza le sue “sculture-intervento”. Staccioli procede in un modo assolutamente rigoroso, studiando gli ambienti, la storia e le caratteristiche dei luoghi nei quali è chiamato a realizzare un’opera. 62


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dell’immortalità. Rispetto alle piramidi la sua struttura è particolare: quelle classiche hanno una base quadrangolare che ne favoriva equilibrio e staticità; quella di Staccioli è su una base triangolare e vista da lontano potrebbe sembrare pendente, molto più dinamica. L’obiettivo è di offrire uno spazio dove sia possibile cercare se stessi e la ragione della nostra esistenza, oggi che viviamo in un momento di crisi di identità e di ragione. Essa è un piramide-non piramide, perchè ha un lato aperto ove passa un raggio di sole durante il solstizio d’estate, al tramonto. Curiosa è la scelta della base triangolare e non quadrilatera, ma come sappiamo il numero tre rappresenta alquanto la struttura trinacria della Sicilia; quindi il simbolo ci rappresenta. Inoltre, dal punto di vista spirituale e religioso il triangolo racchiude la trinità, il massimo dell’elevazione spirituale. Si risale così lungo il cammino del fiume alla foce, alla ricerca del mistero della vita con il Labirinto di Arianna (fig.40) (1989) di Italo Lanfredini17, posto su un altura come un ombelico al centro di quella corona di rilievi che si aprono verso il mare attraverso l’alveo dell’Halaisos, tortuoso emblema della ricerca di sé. Un sentiero spiraliforme ricollegabile al modello cretese, struttura di cemento color mattone che si snoda da un ingresso a forma di vulva, quasi a significare l’inizio della vita, la nascita dal grembo materno ed il successivo confondersi, senza trovare una via d’uscita, all’interno del labirinto. L’opera ha due messaggi di speranza: la pozza d’acqua lacustre è il ritorno al liquido amniotico; il ramoscello d’ulivo, conquista finale a fine percorso, è simbolo universale della pace. Per giungere alla fine ed uscire da questa confusione occorrerà ‘Arianna’; un posto in cui perdersi e ritrovarsi: è qui che si eleva il concetto di Presti di ‘Viaggio Doppio’, in cui l’uomo non solo visiterà fisicamente il posto, ma la sua coscenza sarà portata a sviluppare un rinnovamento ed una crescita. Un viaggio che unisce due punti di vista dell’uomo: la bellezza visiva dell’arte, e la sua intrinseca potenza. Il concetto di ‘Doppio Viaggio verrà anche ripreso all’interno dell’Atelier, in cui ogni stanza darà la possibilità 17 Italino Lanfredini (1948) Uno scultore in continua sperimentazione; dagli anni ‘70 la sua scultura acquista una dimensione più ampia, non più opere oggettive, ma che dialogano col luogo e la sua Aura. Opere da attraversare, da abitare, da vivere: le Soglie, i Labirinti, i Giardini. 63


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di poter introdursi in periodi storici differenti, e dunque di favorire forte purificazione all’anima. Il pubblico potrà avere la possiblità di ‘viaggiare’ durante la notte scegliendo camere diverse, che sviluppano e stimolano parti diverse della coscenza umana. Ci si dirige poi a Romei nella Stanza di barca d’oro (fig.41) (1989) di Nagasawa18, natante capovolto che poggia sul proprio albero maestro ricoperto di foglie d’oro; qui l’uomo, travolto dall’emozione, si troverà davanti ad un tunnel nero ed oro, intraprendendo un viaggio introspettivo nei meandri del proprio inconscio alla scoperta del mistero della conoscenza. Un opera che, secondo progettista e committente, doveva essere chiusa e rimanere tale per circa cento anni, con l’obiettivo di basare tutto sul principio di memoria e ricordo. La barca è ancora lì, chiusa da una porta che la separa dall’uomo; non sarà possibile vederla per un secolo, bensì immaginarla con la forza del pensiero, si esplica così la filosofia orientale cui aderisce l’artista: l’opera negata alla vista, continuando ad esistere nel pensiero, può essere sentita perfino in modo più intenso, non solo fisicamente ma anche spiritualmente, grazie alla forza di volontà. Una tomba che racchiude quasi un ossimoro, vita e morte. Proseguendo sulla strada provinciale da Castel di Lucio a 18 Fortemente evocative e dall’elevato valore simbolico e lirico, le opere di Hidetoshi Nagasawa (Tonei, 1940) risultano sempre intensamente permeate dalla filosofia orientale, determinando una ricerca in cui si fondono sincreticamente eredità spirituali dell’Oriente e dell’Occidente. La formazione di architetto e di designer, innestata nella materica capacità plastica dello scultore, determina in Nagasawa una spazialità estesa e visionaria, costantemente ricondotta nell’alveo di una poetica fatta di equilibri e contrappunti, di vuoti e di pieni, di ombre che sfumano nella direzione di un segno conciso, essenziale, condensato, che lascia trasparire l’interiorità degli oggetti. Il viaggio, come esperienza concreta e come tòpos della sua ricerca, assume la valenza di rilevante passaggio di attraversamento simbolico, valicamento di confini segnici e culturali, riconoscimento del nuovo attraverso la rilettura del noto. La scelta dei temi, associata alla varietà di materiali come legno, ferro, cera, carta, bambù, rende palpabile il senso di una ricerca in costante tensione tra il visibile e l’invisibile, protesa verso un’idea creativa che dalla manualità muove verso un orizzonte sensoriale ed eidetico, attraverso un percorso costellato di “luoghi” materiali e immateriali, che Nagasawa costruisce sotto forma di dimore, stanze, porte, muri, giardini, recinti, barche, paraventi. 64


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Mistretta potremmo ammirare un muro precedentemente alzato attraverso del semplice cemento, che con il passare del tempo è stato ristrutturato e allestito da vari artisti: Il muro della Vita (fig.42) (1991). Il giorno dell’inaugurazione (1993) vennero piantati degli eucalipti sul suo retro; i bambini e gli artigiani del paese, e i ceramisti di Santo Stefano di Camastra ebbero la possibilità di seppellire le proprie creazioni di argilla non cotta nella terra impiegata per la piantumazione, fecondandola simbolicamente. Si amplia così il concetto portato avanti da ‘Fiumara D’arte’ che verte nella partecipazione unanime e attiva tra l’artista, il suo mecenate e il contadino, l’artigiano, l’intellettuale e il bambino, come già testimoniato nelle varie edizioni del Chilometro di tela, le attività svolte a Librino e sul fiume Oreto. Ci si avvicina poi ad una struttura istituzionale: la caserma dei Carabinieri, che è sempre apparsa ai nostri occhi come qualcosa di spento e triste. Ma Presti, insieme a molti artisti tra cui Piero Dorazio19 e Graziano Marini20, decide di rivoluzionare questa visione attraverso ceramiche variopinte e in pittura astratta, impiegando la gamma del blu in dissonanza con il rosso: Arethusa (1990). Arethusa è il nome di una fonte di Ortigia così talmente prossima al mare da poterne essere invasa. Gli antichi poeti narrano che le sue acqua si dipingevano di rosso quando ad Olimpia, lungo il fiume Alfeo, venivano uccisi in sacrificio gli animali. Il mito narra come la dea Artemide abbia trasformato Arethusa in una fonte per sfuggire al dio Alfeo invaghito di lei. Zeus, commosso, trasformava successivamente Alfeo in fiume. Lungo la strada che avvicina al Castel di Lucio, su un altura di fronte alla fiumara, Paolo 19 Piero Dorazio (1927-2005), Un astrattista, che trasforma le proprie esperienze di vita, in linee, e colori. La tela è verità, e deve dunque mostrare al pubblico qualcosa di reale attraverso varie tipologie d’espressione. 20 Graziano Marini (1957) Gli anni ‘80, è quello che vede la nascita dei suoi primi oli su tela, che traggono ispirazione dall’astrattismo italiano e dal concretismo, in quegli anni, diversamente da tanti artisti della sua generazione, egli non ha mai aderito alle mode del momento come la transavanguardia, ritenendola un sottoprodotto della tradizione della pittura moderna. (influenzato dall’arte di Max Bill, Sebastian Matta, Kenneth Noland, Joe Tilson, Giuseppe Santomaso, Luigi Veronesi, Antonio Corpora e molti altri ). 65


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Schiavocampo21 colloca la Curva gettata alle spalle del tempo (fig.43), una sorta di ‘spartitraffico’, scultura-totem che si sviluppa in verticale avvolgendosi su se stessa imitando il movimento di una vela, a metà strada tra il mare e la sorgente. Ordunque è un attimo cruciale, di cambiamento; occorrerà soffermarsi un attimo, voltarsi a guardare ciò che ci si lascia alle spalle, l’esplicazione astratta del concetto di passaggio dalla via antica alla via nuova, processo esistenziale fondamentale. Questa iniziativa potrebbe essere paragonata ad una sorta di viaggio dantesco in cui il “mecenate virgiliano” vuole accompagnarci in un’avventura spirituale ripiena di stimoli emozionali. Si percorreranno piccole stradine che porteranno in paesini immutati, collegando le opere. Si perde così il senso dell’andare ed inizia un movimento catartico liberatorio attraverso profumi, suoni che portano ad assaporare nuove percezioni. Dall’inferno, in cui si faranno i conti con la morte, al paradiso ove si esalterà la forza e la potenza della vita. Un’esperienza metaforica: ogni scultura richiama i momenti principali della vita di ciascun uomo, che lasciano libera l’interpretazione. Un crescendo di emozioni in cui si fonde la curiosità del visitatore per un progetto anticonvenzionale e l’inaspettato stupore dinnanzi alla maestosità di questi megaliti stonehengiani, riaffermazione di due principi esistenziali spesso tralasciati dall’uomo perché troppo grandi e difficilmente spiegabili. Dal concetto di esistenzialismo, ai valori morali ed etici, si passerà all’esaltazione della bellezza dell’opera d’arte in sé. Un quadro giapponese letto al rovescio, una riscoperta di se stessi che partirà dalla cima della montagna e pian piano seguirà il fruscio delle acque alle sue pendici, per congiungersi con l’infinito. Un cammino di Santiago che per qualche ora assorbirà l’uomo e lo catapulterà nella sua dimensione primordiale: la natura; lontano 21 Paolo Schiavocampo (1924) Scultore oltre che pittore, ha realizzato interventi artistici in diverse nazioni. In Germania negli anni 80 ha progettato il parco artistico di Hattingen. Per Gibellina Nuova, nella valle del Belice, ha progettato una piazza, lavorando in quel periodo con artisti di assoluto valore. Varie mostre di pittura sono state dedicate al maestro da istituzioni pubbliche e private nel mondo. Opere di Schiavocampo sono parte di collezioni pubbliche e private. 66


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dalla vita materiale e dalla corsa affannosa contro il tempo. Al centro di tutto c’è l’uomo, tutto il resto sarà un semplice contorno che viene a cristallizzarsi. Il viaggiatore rivaluterà il proprio essere sentendosi quasi nulla di fronte alla maestosità della natura, quasi come una confessione religiosa in cui il fedele si reca dietro la finestrella che nasconde il proprio volto, e si spoglia dei propri peccati, ed il prete farà da tramite per congiungere l’uomo a Dio. Così quei monumenti sono dei mezzi che permetteranno un insolito congiungimento con l’infinitezza della natura. L’uomo è la natura che lo circonda, ma la società moderna lo ha distolto dal suo habitat naturale. Bisognerà trovare un modo per riallacciare quel contatto ormai andato perso, e senza dubbio Antonio Presti ci riuscirà. 2.3 Art Hotel Atelier sul mare: Un museo vivente A completare cotal viaggio mistico e poter contemplare silenziosamente nelle ore notturne l’estrema bellezza artistica sarà L’Art Hotel Atelier sul mare; dove l’opera ha bisogno del suo fruitore per potersi completare. L’albergo museo si trova a pochi metri dal mare, nella baia di Castel di Tusa; ristrutturato dal maestro Antonio Presti. L’hotel può dirsi unico al mondo, in quanto possiede camere con vista sul mare ed eccezionalmente camere con ‘vista interiore’. L’idea è di congiungere il visitatore non tanto con l’opera, bensì con il proprio io interiore, e ritrovare tranquillità ed equilibrio grazie alla contemplazione suscitata da codesti magnifici ambienti realizzati da artisti a livello internazionale; un vero e proprio museo da vivere. Ogni stanza-museo ha il proprio nome, partendo con La Bocca della Verità di Mario Ceroli, soggetto ripreso nella spalliera del letto, che richiama il monolite posto presso la Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma; all’interno della camera, Ceroli si concentra principalmente sull’arredamento: dal letto, al cassettone monolite, a finire con un armadio in legno su cui sono incisi i simboli dell’Alfa e l’Omega. Nel 1991, Paolo Icaro progetta tra le pareti bianche della 67


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stanza Il nido: un alcova ovale che come una spirale avvolge il letto rotondeggiante, quasi a voler rappresentare metaforicamente il calore di un abbraccio. La costruzione di un nido d’amore, dove vigono la tranquillità conferita dalla struttura del letto, e la serenità dalla visione dell’azzurro del mare attraverso la grande finestra trasparente di fronte ad esso. Si raggiunge la massima contemplazione grazie alla filosofia orientale di Hidetoshi Nagasawa con la stanza Mistero per Luna (1991), ove vige il principio dell’essenzialità. Gli unici colori utilizzati sono il bianco, sinonimo di purezza, e il dorato, in assenza della luce artificiale, un continuo gioco tra la luce naturale e la materia. Il rapporto con il mare è alla base del progetto atelier-museo, ed è grazie a Michele Canzonieri che nel 1992 verrà realizzata Linea d’ombra: una stanza-nave dove il letto ruotato rispetto alle pareti è la trasposizione di una zattera che viene cullata dal mare e trascinata dal vento. Il culmine dell’esaltazione del mare avviene per via di una vetrata colorata che racchiude il notturno marino. Nello stesso anno Maurizio Mochetti affronta nella stanza Energia il tema della leggerezza, facendo uso di luci artificiali sotto un arredo rosso pesante che sembra levitare. Il colore rosso, metafora dell’eros e della passione, amplifica i sensi nelle ore notturne; soltanto una finestra incorniciata di rosso permette di esaltare i due stati della materia, e allo stesso tempo di porsi come un’unica via di fuga verso l’infinito. L’esaltazione della Sicilia è accuratamente studiata e progettata all’interno dell’hotel. Siamo nel 1993 e nasce Trinacria, emblema minimale dell’isola attraverso triangoli geometricamente perfetti. Un gioco continuo di due semplici colori rappresentativi: il nero che rappresenta il Vulcano (Etna) e il rosso simbolo del calore del sole che avvolge la nostra terra. Un percorso lungo e tortuoso, ma allo stesso tempo salvifico e catartico è La torre di Sigismondo di Raul Ruiz (1993). Essa nasce come set cinematografico per il suo film Turris Eburnea, ispirato alla pazzia di Astolfo, personaggio della Chanson de Roland. Una ripresa di strutture medievali che portano il visitatore ad immergersi nella sofferenza della prigionia dei ricordi di 68


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Sigismondo; ma dopo aver raggiunto la camera, attraversando un cunicolo lungo e tortuoso, colpo di scena: attraverso delle manovelle, la torre si staglia verso il cielo per farti respirare l’aria della libertà. Al centro della stanza, un letto rotondo prende quasi tutto il perimetro della camera, metafora della Luna. Sempre nel 1993, Maria Lai intraprende un viaggio verso gli abissi e concepisce la stanza Su barca di carta m’imbarco, dove il blu e il nero sono i colori principali rappresentanti le due isole da lei più importanti: la Sicilia e la Sardegna. I due colori della stanza si fondono ad un groviglio di fili dorati e piccoli elementi riflettenti quasi a volor simboleggiare le costellazioni e, allo stesso tempo, il caos primordiale. L’arte è idea, e l’idea viene esplicata attraverso vari codici che permettono la comunicazione. Con il passare delle ere i codici si sono evoluti, da semplici pitture rupestri si è passati alla digitazione per via di un tauch-screen di lettere o simboli. Sarà questo il tema affrontato nel 1994 nella stenza messa a disposizione per Renato Curcio e Agostino Ferrari, denominata Sogni fra segni. Dal bagno, piccola grotta primordiale, alla camera da letto in ‘stile’ moderno. Il museo vivente non ospita soltanto la celebrazione della nostra terra sotto varie chiavi di lettura, bensì si porrà la possibilità di esaltare figure importanti che hanno cambiato il corso della storia. È il caso del La Stanza del profeta (1995), dedicata interamente a Pier Paolo Pasolini; in cui vengono esaltati attraverso la potenza dell’arte i valori della giustizia. I quattro elementi primordiali, aria, acqua, terra e fuoco, vengono immessi all’interno del La stanza della terra e del fuoco (1996) di Luigi Mainolfi. Le pareti interamente in terra cotta rappresentano la terra, una finestra poi si apre sulla camera celebrando la freschezza del mare. Abbiamo fino ad ora parlato di sculture, ma Art Hotel ha pure una matrice pittorica: La stanza della pittura (1996) di Piero Dorazio e Graziano Marini. Le pareti nascondono il concetto di spazio grazie ai colori e all’unione delle linee, aprendosi verso la maestosità dell’acqua, vera e propria immersione in un’opera d’arte astratta. L’acqua è l’elemento naturale alla base della nostra 69


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esistenza; lo aveva già supposto Talete nel VI a.C., ma allo stesso tempo la scienza: Il nostro corpo ne è costituito per circa il 70%. All’interno dell’Atelier, nel 2006, lo stesso Antonio Presti insieme ad Agnese Purgatorio, Daniele Mitterand e Cristina Bertelli, crearono un ambiente dedicato interamente a questo elemento. All’entrata della camera, la scritta ‘Io sono acqua’ porta il visitatore a prendere consapevolezza di essere acqua in un tempio sacro ad essa dedicato. Qui ritroviamo la filosofia principale dell’hotel museo: il ricongiungimento con se stessi. La stanza è suddivisa in due parti, realizzata con materiali differenti: alluminio e rame. L’uno portatore dell’idea e del concetto di aridità e siccità, l’altro invece, grazie ai colori caldi rappresenta la purezza, e la vitalità. L’arte è anche poesia, non solo attraverso la stesura di un testo su un semplice foglio, ma grazie ad altri metodi più rudimentali come i tronchi degli alberi di ulivo (simbolo della saggezza). Ci troviamo all’interno della stanza Lunaria: Contrada senza nome (2007) di Vincenzo Consolo. Un vero e proprio racconto poetico che narrà la storia di un vicerè malinconico e della caduta della luna; una trasposizione metaforica della abdicazione del potere. Concludiamo il nostro tour museale con una stanza manifesto multiculturale: Hamman (2006) di Sislej Xhafa, che rimanda al contesto mediterraneo e mediorientale, da sempre officina di contaminazione per l’occidente.

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3. Rito della Luce Il silenzio come lingua universale 3.1 I° edizione Rito della Luce. Celebrare la rinascita attraverso la ciclicità del tempo: La ricerca di una rinascita interiore a Motta D’affermo, il pubblico si reca verso la Grande Madre, il 38° parallelo per riscoprire la propria anima. 3.2 II° edizione Rito della Luce. Restituire bellezza: Alla ricerca della bellezza e della purificazione, in questa edizione il pubblico potrà mettersi in gioco esprimedosi attraverso la terracotta, o germogli di piante. 3.3 III° edizione Rito della Luce. Al futuro, e alle nuove generazioni: Il rito accoglierà due stagioni contrapposte, l’inverno e l’estate, per riscoprire l’essenza umana: la coscenza, il flusso della vita. 3.4 IV° edizione Rito della Luce. L’offerta della Parola: La Grande Madre/A ‘Ranni Matri’ e La Bellezza della Costituzione. : Una nuova stanza verrà innaugurata presso l’Atelier sul Mare, Rito della luce, si potrà dunque raggiungere la catarsi attraverso il sonno. 3.5 V° edizione Rito della Luce. Luce rigenerante: L’annullamento dell’evento presso l’Istituto Vespucci di Catania. 3.6 VI° edizione Rito della Luce. Resilienza della Bellezza: Inno alla Gioia di Vivere: In opposizione all’edizione precedente, la piramide diverrà simbolo di resilienza politica, restituendo gioia e speranza. 3.7 VII° edizione Rito della Luce. Ascolta il Silenzio: Il silenzio come limgua universale, per restare in ascolta con la propria anima e poter percepire i segnali della natura. 3.8 VIII° edizionde del Rito della Luce. L’Innesto: l’ultima edizione accoglie l’nnesto come punto di convergenza tra le diversità per una rigenerazione fututa.

La ricerca della spiritualità nel progetto di Antonio Presti ha trovato nel tempo la sua più completa espressione nel Rito della luce, ogni anno per circa otto edizioni, ultimamente in estate presso 73


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la Piramide di Fiumare D’arte. Proponendosi come portatore di pace e di benessere interiore in un’era così oscura, l’uomo sente la necessità di rinascere ricercando la luce, poiché “mai come adesso il modo ha bisogno di una rinascita interiore” (Presti). E’ proprio grazie alla ciclicità di questo rito che il vate Antonio Presti, con la partecipazione di centinaia di artisti e di varie istituzioni, ogni anno ribattezza il solstizio d’estate. Nel mese di giugno il Parco della Fiumara D’Arte si tinge di bianco; ove si combattono i nuovi mali dell’era contemporanea, attraverso la potenza dell’arte, inducendo ad un percorso di elevazione spirituale. Diagonalmente all’opera artistica La Materia Poteva non Esserci, elevando il nostro sguardo è possibile, rimanendo esterrefatti, riuscire a scorgere un imponente piramide rossastra che si eleva su un promontorio di Motta D’affermo, davanti al 38° Parallelo di Mario Staccioli; l’ubicazione di quest’opera si staglia verso l’immaginario odierno, quel parallelo divide le due Coree, divisione simbolica tra il regime dittatoriale asiatico, e l’oasi spirituale di Motta D’Affermo. La piramide diviene così un simbolo di rinascita e di vittoria, portatrice del sapere e della conoscenza, toccasana naturale che curerà l’ignoranza che ha ormai da tempo investito l’umanità. E’ proprio lì che accadrà quel combattimento tra il bene e il male, aspettando la notte per sconfiggere le tenebre. Si celebrerà la rinascita della conoscenza umana attraverso l’esaltazione della luce e del silenzio un religioso silenzio elevandosi a linguaggio universale, affinché l’uomo possa ritrovare quel dialogo andato perduto e rivalutare il rapporti veri tra esseri umani. Un ‘silenzio bianco’ che scava dentro ciascuna anima, portando alla riflessione e ad una nuova percezione di ciò che lo circonda; sarà come un seme che si innesca nel cuore dei partecipanti al rito, per prostrarsi dinanzi a ciò che la vita gli offre con un sguardo differente: l’osservazione diviene la riflessione. Dunque quel monte si trasforma in un tempio laico, in cui l’uomo si eleva a dio di se stesso, ricercando purificazione interiore, e la luce pervade il cuore di ciascun anima lì presente, regalando ad ogni essere un barlume di speranza per condurre un nuovo viaggio verso il cambiamento. Concludiamo questa breve presentazione con una poesia di 74


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Ungaretti che racchiude l’essenza di questo Rito: Sono un poeta un grido unanime sono un grumo di sogni Sono un frutto d’innumerevoli contrasti d’innesti maturato in una serra.1

3.1 I° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: Celebrare la rinascita attraverso la ciclicità del tempo Luogo: Motta D’Affermo (ME), Castel di Tusa, Castelbuono (PA) Data: 18-21/06/2010 Artisti coinvolti: - Musicisti: Bottega delle Percussioni, Chiara Burgio, Romina Copernico, Valeria Cimò, Giorgia Di Giovanni e Pierfrancesco Mucari, Tony Greco, Giana Guaiana, Antonio Maggio, Tiziana Marsala e Michele Petitto, Gil Nedjari, Giusy Parisi, Elisa Scuderi e Mirko Sollima, Siqiliah Ensemble, Alessandro Venza, Marilena Vita e con la partecipazione del centro Muni Gyana di Palermo. - Poeti: Antonella Anedda, Maria Attanasio, Franco Buffoni, Iano Burgaretta, Gabriella Canfarelli, Giuseppe Condorelli, Sergio Costa, Miguel Angel Cuevas, Roberto Deidier, Antonio Di Mauro, Gabriele Frasca, Bruno Galluccio, Aldo Gerbino, Milli Graffi, Andrea Inglese, Iolanda Insana, Paolo Lisi, Giancarlo Majorino, Francesco Margani, Luigi Nacci, Josephine Pace, Salvatore Padrenostro, Carmelo Panebianco, Elio Pecora, Margherita Rimi, Evelina Schatz, Fabio Scotto, Francesca Traìna, Patrizia Valduga, Lello Voce. 1 De Michelis 2012, p.37. 75


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Altri artisti: - Romina Copernico, Giorgia Di Giovanni e Pierfrancesco Mucari, Giana Guaiana, Gil Nedjari, Giusy Parisi, Matilde Politi, Doudou Diuf, Lajos Zsivkov, La Via del Suono, Siqiliah Ensemble, Francesco Bonacci, Fabio Lombardo, Maria Teresa De Sanctis, Giancarlo Parisi, Francesco Di Luisi, Giovanni Russo, Daniele Treves Band, Patrizia D’Antona, Terrae, Maria Rosa Piraino,e con la partecipazione di Sri Ananta Deva e Sri Amrita Ma, del centro Muni Gyana, dell’Associazione Paideia, del Centro Rishi di Palermo. Il mandala è firmato da Alessandro Lo Cascio, Franco Lo Coco, Mario Lo Conte. Fotografi: - Anastasi Davide, Azzaro Dario, Ballarino Maria Pia, Butera Francesco, Costa Alessandro, De Fino Natale , Di Giugno Alessandro , Floresta Claudio, Frixa Fabrizio, Gambadoro Claudia, Guarneri Luca , Laurentini Monica, Lauria Claudia Leanza Enzo Gabriele, Licari Antonio , Lo Cascio Emanuele, Lo Faro Laura, Mangiameli Santo , Marano Giuseppe, Matraxia Laura, Romano Stefania , Ruggeri Francesco, Salemi Mela, Sardo Cristofaro, Scalia Rosario , Spartà Marco, Tarantino Benedetto, Troina Francesco, Tropea Lidia , Zerbo Salvatore Istituzioni coinvolte: - Istituzione Comunale Museo Civico Castello dei Ventimiglia di Castelbuono, Comune di Motta D’Affermo, Regione Siciliana, Assessorato del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo, e Ministero dello Sviluppo Economico. Descrizione: L’inizio di un percorso che durerà per otto edizioni consecutive, nonostante le problematiche giudiziarie che cercheranno di bloccarne la sua sacralità. Questa sarà la prima edizione in assoluto del Rito mistico laico ideato da Antonio Presti in collaborazione con molte istituzioni e svariati artisti provenienti da tutto il mondo. Il rito si svolge in vari luoghi; ma il tempio 76


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principale della rinascita e della vittoria sulla tenebre avverrà a Motta D’Affermo, in una piramide maestosa, realizzata e donata a Fiumara D’Arte da Mario Staccioli, e battezzata il 10 Marzo 2010. Il tempio della luce, della ricerca interiore che unisce simbolicamente due concetti, il bene e il male, posta sul 38° parallelo. Una posizione non scelta a caso, ma ben ponderata. La piramide è il simbolo della resistenza della fiumara, ma anche della vita; nonostante gli scongiuri e le avversità, quella piramide è il raggiungimento della saggezza, dell’equilibrio, della pace interiore. Una piramide che unisce tutta l’umanità. La scultura in acciao cortes ossidabile che si concede completamente alla natura e al suo divenire, senza invaderla, è posizionata attentamente su di un parallelo specifico che comunica astrattamente con la Corea, luogo di conflitto e di sottomissione, in cui vige un regime totalitario, e questo tempio sacro che ridona luce all’anima dell’uomo. Una piramide che parla dell’illuminazione delle coscienze, ed è per questo che diviene simbolo del rito della luce; apparentemente, potrebbe sembrare chiusa su tutti i suoi lati, in realtà l’artista ha deciso di creare una fessura che faccia entrare uno spiraglio di luce, il simbolo di speranze e rinascita; specialmente nel giorno più lungo dell’anno, ove la luce è ancora più duratura. L’interno del tempio si potrà scoprire soltanto attraverso un tunnel che sembra racchiudere una metafora della vita, accessibile solo il primo giorno d’estate, durante la celebrazione del rito; un cunicolo frastagliato e tortuoso che al suo termine avrebbe mostra un bagliore caldo: la via d’uscita, la possibilità del cambiamento. Una spirale concentrica creata con delle pietre trovate proprio in quel punto durante lo sbancamento, massi provenienti dal mare, presenti ancora in loco, immortali, i quali, nonostante i cambiamenti ambientali, continuano a vivere senza arrendersi; ciò potrebbe essere letto in chiave metaforica, e dunque il vortice diviene simbolo della ciclicità, della continuità della vita, del rinnovamento. Il rito dovrà essere visto come un modo per rinascere ciclicamente. Così durante un’intervista risponde il Mecenate: In una società che ha smarrito ogni dignità e Bellezza vogliamo restituire un momento di ritualità che nella sua semplicità 77


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sia capace di parlare non solo ad artisti e intellettuali, ma al cuore della gente. Le antiche società celebravano il sole periodicamente, perché sapevano bene che la rigenerazione è ciclica. Noi invece abbiamo perso quella concezione circolare del tempo, che consente di ricominciare trasformando; noi viviamo un tempo lineare, perennemente in fuga, una successione di attimi sempre differenti che consentono una nascita ma non una rinascita. Mai come in questo momento, credo che il mondo ha bisogno di una luce rigeneratrice. Se penso poi che ogni nascita viene definita come un venire alla luce, spero che chi verrà alla Piramide possa attingere la forza per una rinascita interiore.2

La poesia, insieme a tutte le altre arti, staranno alla base della celebrazione, che non si svolgerà soltanto a Motta D’Affermo in questa sua prima edizione, in quanto Antonio Presti decise, quell’anno, di stipulare un rapporto artistico con le Madonie; avrà così inizio La Notte del Cunto e della Poesia al Museo Civico di Castelbuono, preludio e parte essenziale del Rito della Luce. La poesia è l’unico mezzo di comunicazione che ancora oggi permette all’uomo di imprigionare ed immortale le proprie emozioni, senza alcuna costrizione. 3.2 II° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: Restituire Bellezza Luogo: Castel di Tusa (ME), Castelbuono (PA), Motta D’Affermo (ME) Data: 17/21-06-2011 Artisti coinvolti: Musicisti: - Romina Copernico, Giorgia Di Giovanni e Pierfrancesco Mucari, Giana Guaiana, Gil Nedjari, Giusy Parisi, Matilde Politi, Doudou Diuf, Lajos Zsivkov, La Via del Suono, Siqiliah 2 Attasio, Maria, La Festa della Luce nella piramide siciliana, in “La Repubblica Online”, 16 giugno 2010. 78


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Ensemble, Francesco Bonacci, Fabio Lombardo, Maria Teresa De Sanctis, Giancarlo Parisi, Francesco Di Luisi, Giovanni Russo, Daniele Treves Band, Patrizia D’Antona, Terrae, Maria Rosa Piraino,e con la partecipazione di Sri Ananta Deva e Sri Amrita Ma, del centro Muni Gyana, dell’Associazione Paideia, del Centro Rishi di Palermo. Il mandala è firmato da Alessandro Lo Cascio, Franco Lo Coco, Mario Lo Conte. Poeti: - Cinzia Accetta, Antonella Anedda, Maria Attanasio, Vito Bianco, Dome Bulfaro, Anna Buoninsegni, Iano Burgaretta, Francesco Kento Carlo, Chiara Carminati, Giuseppe Condorelli, Miguel Angel Cuevas, Milo De Angelis, Paola De Benedictis, Roberto Deidier, Maria Teresa De Sanctis, Gabriele Frasca, Florinda Fusco, Iolanda Insana, Paolo Lisi, Canio Loguercio, Franco Loi, Rosaria Lo Russo, Alberto Masala, Luciano Mazziotta, Massimo Mori, Luigi Nacci, Josephine Pace, Adriano Padua, Isabella Panfido, Elio Pecora, Antonio Riccardi, Margherita Rimi, Evelina Schatz, Marco Simonelli, Bruno Tognolini, Sara Ventroni, Lello Voce . Fotografi: - Anastasi Davide, Azzaro Dario, Ballarino Maria Pia, Butera Francesco, Costa Alessandro, De Fino Natale , Di Giugno Alessandro , Floresta Claudio, Frixa Fabrizio, Gambadoro Claudia, Guarneri Luca , Laurentini Monica, Lauria Claudia Leanza Enzo Gabriele, Licari Antonio , Lo Cascio Emanuele, Lo Faro Laura, Mangiameli Santo , Marano Giuseppe, Matraxia Laura, Romano Stefania , Ruggeri Francesco, Salemi Mela, Sardo Cristofaro, Scalia Rosario , Spartà Marco, Tarantino Benedetto, Troina Francesco, Tropea Lidia , Zerbo Salvatore. Istituzioni: - Assessorato Regionale al Turismo (Legge Regionale 6/06”Valorizzazione turistica,fruizione e conservazione opera di Fiumara d’Arte”), Comune di Motta D’Affermo, Consorzio Valle dell’Halaesa, Comune di Castelbuono, Museo Civico Castello 79


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dei Ventimiglia di Castelbuono, Fondazione Telecom Italia. Descrizione: Con l’Atelier sul Mare la bellezza abbraccia vivamente i suoi ospiti, che si sentono un tutt’uno con l’opera d’arte, fondendosi. Obiettivo di questa edizione è quello di offrire la possibilità all’uomo di ricercare la propria bellezza e di rimettersi in discussione. Il Tempio diverrà il raggiungimento ultimo della purificazione, l’anima sarà stimolata durante tutto il percorso dalle performance artistiche disposte davanti ai suoi occhi: suoni come le percussioni, l’arpa celtica, le campane tibetane, il suono mistico del mantra tantrico e quello buddhista, le campane di cristallo etc, parole, movimenti quasi aerei dei corpi che si muovono silenziosamente anche ad occhi chiusi, e istallazioni. In questi edizione il visitatore sarà libero di esprimere se stesso attraverso la terracotta; all’entrata del percorso vi è un forno dove è possibile cuocere gli oggetti creati, o piantare dei germogli per omaggiare la terra e il suo cambiamento di stagione, affinchè lo accolga. Inoltre, durante la manifestazione sono inaugurate anche due nuove camere dell’Atelier sul Mare, La Stanza della Luce di Pepi Morgia, light designer e registra, e La Stanza dell’Opera di Mimmo Cuticchio, e per concludere un istallazione di design realizzata da Ute Pyka e Umberto Leone. 3.3 III° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: Al futuro, e alle nuove generazioni Luogo: Castel di Tusa (ME), Motta D’Affermo (ME), Museo della Ceramica, Palazzo Trabia Data: 23/24-06-2012 Artisti coinvolti:

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Musicisti: - Acqui Cavuri, Karim Alishahi, Mario Bajardi, Said Benmsafer, Alejandra Bertolino Garcia, Francesco Bonacci, Romina Copernico, Anna Costantino, Patrizia D’Antona (su testi di Clelia Lombardo), Simona De Gregorio, Jali Diabate, Francesco Di Luisi, Amico Dolci, Emilia Guarino, Gabriele Gugliara, Renato Miritello, Silvio Natoli, Ilaria Palermo, Giancarlo Parisi, Martino Passanisi, Luca Recupero, Siqiliah Ensemble, Faisal Taher, Gil Nedjari e con la partecipazione dell?associazione culturale e teatrale Small Shaker di Pettineo (Me): Maria Gerbino, Zino Giglio, Andrea Grillo, Cinzia La Rosa, Davide Muratore, Antonino Pappalardo, Sara Rampulla, Angela Rocca, Giusy Rocca, Emanuele Russo, Nino Spata, Alessandra Storniolo, Sara Storniolo, Veronica Storniolo. Poeti: : - Milo De Angelis, Maria Attanasio, Dome Bulfaro, Stefano Raimondi, Claudio Recalcati, Biagio Guerrera, Rosaria Lo Russo, Luigi Nacci, Giovanni Fontana, Ida Travi, Miguel Angel Cuevas ed esponenti della realtà siciliana come: Adriano Padua, Luciano Mazziotta, Margherita Rimi, Josephine Pace, Giuseppe Condorelli, Paolo Lisi, Cinzia Accetta, Giuseppe Carracchia, Sebastiano Adernò, Graziella Lo Vano, Mariangela Biffarella, Emiliano Zappalà, Pietro Russo, Maria Gabriella Canfarelli, Angela Bonanno, Francesco Balsamo, Saragei Antonini, Vincenzo Galvagno, Antonio Lanza e Adriano Rossi. Istituzioni : - Scuole coinvolte nel progetto “L’Offerta della Parola: La Grande Madre/A’ Granni Matri”: Istituto Comprensivo Don Milani (Tusa Castel di Tusa - Motta d’Affermo – Pettineo - Castel di Lucio), Liceo Scientifico Failla Tedaldi e la Scuola Elementare Ten. L. Cortina di Castelbuono, I.S. Liceo Classico e Scientifico Manzoni e l’I.C. Cocchiara di Mistretta, Istituto Comprensivo, Liceo Artistico, ITC Arcangelo Florena di Santo Stefano di Camastra, Istituto Agrario di Caronia. Contributo: Assessorato Regionale al Turismo (Legge Regionale 6/06 ”Valorizzazione turistica,fruizione e conservazione 81


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opera di Fiumara d’Arte”), Consorzio Valle dell’Halaesa, Comune di Motta D’Affermo, Comune di Santo Stefano di Camastra. Museo della ceramica Santo Stefano di Camastra - Palazzo Trabia. Descrizione: La terza edizione del Rito della Luce, abbraccia non solo l’inizio dell’estate, ma anche il giorno più lungo d’inverno, il 21 dicemembre data facilmente riconoscibile, a causa della profezia Maya: La fine del mondo. In un era come questa, il materialismo ha schiacciato i sentimenti e le emozioni dell’uomo; bisognerebbe quindi offrire al mondo l’opportunità di poter riflettere su se stessi, di non farsi consumare da problemi superficiali e materiali, riuscendo a riscoprire la Bellezza e l’essenza della vita: la conoscenza. Sarà proprio da questo punto che Fiumara D’arte si apre la possibilità di attuare un nuovo rito anche d’inverno, questa volta coinvolgendo trenta scuole e tremila studenti, compresi vari artisti che accettarono la proposta. Luogo di culto della conoscenza e del sapere è l’Istituto Comprensivo Campanella Sturzo, a Librino (CT); la scuola è il principale luogo di formazione della società, centrifuga emozionale e spirituale. Presti sente, inoltre, la necessità di rivalutare ed emancipare queste zone di Catania, che ormai da molto tempo vengono messe da parte a causa di un declasso sociale. Il progetto ha carattere universale ed è replicabile su larga scala: la luce della conoscenza è universale e inarrestabile, è l’acqua con la quale si bagna il flusso della vita. Uno slogan quasi di protesta, per sottolineare la costante superficiale su cui l’uomo contemporaneo nuota, escludendo la profondità d’essere che vive in ognuno di noi. Durante il rito gli alunni leggeranno le poesie insieme ai poeti, trasformando le parole in vera spiritualità; inoltre saranno presenti dei mandala capaci di racchiudere significati simbolici universali, colmi di sacralità. In occasione della manifestazione, è presentato l’Archivio socio-antropologico della città di Catania, frutto del lavoro svolto negli ultimi due anni dalla Fondazione Fiumara d’Arte nel quartiere di Librino. L’Archivio scaturisce da un progetto che ha coinvolto trenta 82


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giovani fotografi siciliani e alcuni grandi maestri della fotografia internazionale nella creazione di laboratori didattici nelle scuole, di tutta Catania, alle quali è stato affidato il tema della Costituzione. Gli studenti, insieme ai fotografi e al personale docente, hanno interpretato e tradotto in immagini un articolo della Costituzione, scelto da loro stessi. Inoltre, sono state coinvolte le famiglie di cento bambini di Librino, i quali hanno raccontato la storia della loro vita per immagini e catturato, sempre per immagini, lo spirito, la vita e l’anima di venti associazioni di volontariato della città. Ivi sono depositati i volti di oltre trentamila persone: gli abitanti di Librino e di Catania in generale, che hanno condiviso il percorso per un’idea comune di bellezza, intesa come concezione e conoscenza che pervade la vita di ogni essere vivente. La Fondazione donerà l’Archivio socio antropologico alla Sovrintendenza ai Beni culturali di Catania con l’intento, e la speranza, che possa essere sottoposto a vincolo e tutela quale bene immateriale protetto e condiviso dalla città. In estate verrà invece ripetuto il rito della Luce sotto una chiave estiva, il processo sarà simile ogni anno, ciò che cambierà sarà il tema affrontato dalle varie materie artistiche. Uno degli elementi principali della terza edizione sarà il Mandala gigante di Loredana Longo con l’aiuto di Degal:Waiting; che racconta attraverso un insieme di specchi il tempo dell’ attese in un mondo in cui tutto corre veloce; gli specchi rifletteranno il cielo, l’infinito e dunque la speranza. Anche in questa edizione seguirà la Notte della Poesia, al Museo della Ceramica, Palazzo Trabia, momento fondamentale d’espressione sacra. 3.4 V° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: L’offerta della Parola: La Grande Madre/A ‘Ranni Matri’ e La Bellezza della Costituzione Luogo: Castel di Tusa (ME), Motta D’Affermo Data: 21/23-06 -2013

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Artisti coinvolti: Musicisti: - Mario Bajardi , Francesco Barone e Gaspare Renna ,Giuseppe Basso, Alejandra Bertolino, Francesco Bonacci, Duo Biogroove, Max Busa , Puccio Castrogiovanni, Dario Chillemi, Circo Blu-Cattivo Costume, Gianni De Nitto, Francesco Giunta, Roberto Gottardi, Giana Guaiana, Fabio Lombardo, Marco Milone , Renato Miritello, Ezio Noto, Alberto Pisciotta, Luca Recupero, Raffaello Regoli, Sikiliah, Marco Selvaggio, Enrico Sorbello, Enzo Tamburello, Paolo Tofani, gruppo Omni. Poeti: - Sebastiano Adernò, Saragei Antonini, Maria Attanasio, Francesco Balsamo, Mariangela Biffarella, Angela Bonanno, Rita Caramma, Antonino Cicero, Gianpaolo De Pietro, Claudia Di Stefano, Maria Grazia Falsone, Biagio Guerrera, Graziella Lo Vano, Francesco Margani, Ennio Marino, Rita Marta Massaro, Luigi Nacci, Francesca Napoli, Josephine Pace, Margherita Rimi, Pietro Russo, Ignazio Sauro, Angelo Santangelo, Emiliano Zappalà. Artisti: - Perfomance: la danzatrice Giovanna Velardi; l’attrice Patrizia D’Antona che con la sua compagnia presenta “Ecuba mille voci” e la performer-autrice catanese Daniela Orlando (che recentemente nel documentario “L’Anti Gattopardo. Catania racconta Goliarda” di Alessandro Aiello e Giuseppe Maio ha interpretato il ruolo della scrittrice Goliarda Sapienza) insieme a Umberto Naso, Gaetano Parisi, Valeria Anzaldo, Assia Torrisi, Alessandra Garofalo, Marilyn Garofalo, Salvo Pappalardo. Le Associazioni Culturali: Coro di Cefalù “Associazione Musica per l’Uomo”, il coro di bambini di Sant’Agata di Militello, Incanto , Gruppo Majorette ,Small Shaker, di Pettineo, Folk e Banda di Motta d’Affermo,Coro Monteverdi, Ic Aversa Nebrodiadi, Progetto Mistretta, Laboratorio teatrale tusano di Tusa.

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Fotografi: - Mostra fotografica di Pina Inferrera e istallazione di Luisa Mazza, museo albergo Atelier sul mare ( via Cesare Battisti , Castel di Tusa) Descrizione: Con la quarta edizione del Rito della Luce, Antonio Presti insieme ad altri artisti deciderà di dedicare interamente una stanza nell’Hotel Atelier sul Mare intitolato Rito della Luce. Come abbiamo già detto in precedenza, gli ospiti all’interno dell’hotel si fonderanno con le stesse opere d’arte; ed è ciò che succederà anche in questa camera, in cui si raggiunge il massimo della catarsi interiore. La testata del letto, infatti, ripropone una facciata della piramide di Mario Staccioli, tempio laico della conoscenza e della bellezza, e lo stesso concetto verrà applicato da Presti su questa parete. In maniere tale da coinciliare il sonno con la ricerche del proprio equilibrio interiore. I materiali ferrosi utilizzati danno sensazioni primigenie, come se l’ospite fosse catapultato proprio all’interno del 38° parallelo, lì dove lo spiraglio di luce è il seme della ragione. Il Rito della Luce 2013 ideato, organizzato e promosso dalla Fondazione Antonio Presti-Fiumara d’Arte, in questa edizione si svolge in collaborazione con tre festival molto particolari come la “Rassegna di musica Omaggio a Demetrio Stratos” che dopo l’edizione piemontese del 2012, si sposta ora sulla piazza dell’Atelier sul Mare di Castel di Tusa (Me). Siciliani gli altri due festival che collaborano al Rito della Luce 2013: il “Dedalo Festival di Caltabellotta” (Ag) per la valorizzazione della musica indipendente e dell’arte libera, ed il “Marranzano World Festival”, rassegna tra folk e world music a Ragusa Ibla. In occasione del Rito della Luce 2013, all’Art Hotel verrà inaugurata la mostra fotografica di Pina Inferrera e l’installazione di Luisa Mazza. All’Atelier sul Mare, il 22 giugno, verrà anche inaugurata la Stanza del Rito della Luce, omaggio di Antonio Presti e dei poeti contemporanei alla Piramide 38° Parallelo di Mauro Staccioli.

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3.5 V° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: Luce Rigenerate Luogo: Castel di Tusa (ME), Motta D’Affermo (ME) Data: 21/22-06-2014 Artisti coinvolti: Musicisti: - Coro Mistretta, Coro voci bianche S. Agata Sabrina Gallà, Gruppo bandistico Tusa. Poeti: - Cinzia Accetta, Pino Alberti, Arabic Band (Cristina Marchione, Lamin Saho, Alberto Alaimo, Nicoletta Casano e Teresa Brancatello), Maria Attanasio, Gaspare Balsamo, Antonio Barracato, Mariangela Biffarella, Grazia Calanna, Maria Cancilla, Rita Caramma, Luigi Carotenuto, Natalia Castaldi, Antonino Cicero, Giuseppe Condorelli, Michele Conti, Angela Costanzo, Patrizia Curreri, Gianluca D’Andrea, Patrizia d’Antoni con Cristiana D’Apolito, Maria Hutan, Silvana Negru, Hadibur Raman,Francesco di Franco, Francesco Di Luisi, Alessandra Di Tommaso, Rita Elia, Salvi Fullone, Luca di Martino, Vincenzo Galvagno, Giuseppe Genzardi, Pina Granata, Raffaele Gueli, Salvo Gugliuzza, Ginevra Gulli, Maria Grazia Insinga, Riccardo Insolia, Antonio Lanza, Santina Lazzara, Salvo Leggio, Paolo Lisi, Graziella Lo Vano, Francesco Margani, Rita Marta Massaro, Melko Van Kaster, Francesca Napoli, Alessandro Nasello, Margherita Neri Novi, Pamela Nicolosi, Antonella Nieri, Ezio Noto, Daniela Orlando, Josephine Pace, Sebastiano Patanè, Michele Piccione, Hilmar Pintaldi, Emanuela Pistone e Khar Seck, Isola Quassud, Alessandro Puglisi, Margherita Rimi, Giovanni Russo, Lucia Sardo e Marcello Cappelli, Ignazio Sauro, Ersilia Severino, Small shaker, Salvatore Solarino, Domenico Stagno, 86


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Mario Vasile, Laura Vinciguerra, Pietro Vizzini, Emiliano Zappalà. Istituzioni coinvolte: - Sindaco di Catania Enzo Bianco, l’assessore comunale alla Scuola Valentina Scialfa, le presidi degli Istituti VespucciCapuana-Pirandello e Sante Giuffrida rispettivamente Carmela Pittera e Maria Concetta Lazzara, il presidente della Sesta Sezione del Tribunale Civile di Catania Marisa Acagnino, il direttore del Teatro Stabile Giuseppe Dipasquale, l’artista Enzo Rovella, l’avvocato Domenico Di Stefano e il notaio Paolo Saporita Descrizione: La quinta edizione del rito della luce, accoglie di nuovo l’inizio delle due stagioni contrapposte, estate ed inverno. Un anno alquanto particolare, a causa dell’annullamento del rito organizzato presso l’ Istituto Vespucci di Catania: Non ci sono stati margini di mediazione, non c’è stata condivisione di scelte, nessuna apertura né negoziazione: “adesso chi ha spento la luce della bellezza deve assumersi la responsabilità”3, risponderà così Presti durante un intervista. Annullare un evento del genere significhera annullare il desiderio di quelle migliaia di persone che avevano dato se stesse per l’organizzazione, e allo stesso tempo che avevano creduto e sperato nel potere del cambiamento. Spegnere quelle candele ha significato, spegnere le speranza e sottomettersi a uomini che egoisticamente abusano del loro potere mediante la burocrazia, bloccando lo slancio dell’arte e dello spirito; ribaltando dunque i principi essenziali del Rito della Luce: sconfiggere le tenebre , e far regnare la luce. Tema di quell’edizione invernale fu Rigerare L’Universale. Presti non si arrende, vuole cercare di capire e rispondere attarverso una lettera pubblica al Sindaco di Catania Enzo Bianchi, lettera in cui trasparirà una forte perdita di fiducia nei confronti della città, dopo anni di lavoro, ed una profonda delusione. Scrive: 3 87


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Per la seconda volta non mi sono sentito protetto, non mi sono sentito garantito. E ho deciso che, visto che il Rito quest’anno è stato snaturato, il prossimo si rigenererà in un altro Comune, attiguo a Catania. Sarò pronto a riconsegnarlo quando la città non manifesterà più queste forze oppositive ma solo sentimento di condivisione.4

Vince però il culto all’estate, organizzato principalmente a Motta D’Affermo dinanzi al tempio laico 38° Parallelo per la quinta edizione, diversi gli artisti e i progetti realizzati, come la mostra fotografica che sarà possibile visitare, Luce e Segni . del giornalista e condirettore del «Giornale di Sicilia» Giovanni Pepi, che rimarrà aperta sino al 14 settembre. Quaranta scatti che ripercorrono il viaggio del visitatore attraverso le stanze del museo-albergo Atelier sul Mare. In questa edizione il mandala che apparirà ai piedi della Piramide, è firmato dall’artista Milo Floramo con la collaborazione di Eugenia Rossello. Di antichissime origini e presente in diverse culture, il Mandala rappresenta un disegno simbolico universale. Per la quinta edizione del Il Rito della Luce si ispirerà alla Luce rigenerata. Un’opera che verrà condivisa con il pubblico presente. Chi vorrà, infatti, potrà completare l’installazione inserendo all’interno dell’immagine ciotole d’acqua e candele accese. 3.6 VI° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: Resilienza della Bellezza: Inno alla Gioia di Vivere Luogo: Motta D’affermo (ME) Data: 21-06-2015 Artisti coinvolti: Musicisti: - Antonio Aiello, Karim Alishahi, Francesca Amato, Francesco Bonacci, Gabriele Cammarata, Diego Cannizzaro, Suraj Carlino, Enrico Coppola, Gianni Cosentino, Giuseppe Di 4 Idonea, Valentina, Rito della Luce torna a Motta D’Affermo: nessun riavvicinamento con Bianco, in “newsicilia.it”, 21 giugno 2015. 88


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Bella, Antonella Furian, Carmelo Geraci, Enrico Grassi Bertazzi, Raffaele Messina, Elisa Moschella, Emanuela Pistone e Isola Quassùd, Alessandro Puglia, Luca Recupero, Francesca Sassioti, Andrea Sciacca, Sebastian Torres, Debora Troia, Francesco Vaccaro, Simona Vizzinisi, Lucia Zahara. Attori: - Giuseppe Carrozza, Patrizia D’Antona, Sandro Dieli, Fabio La Rosa, Mimmo Minà, Carmen Panarello, Stefania Sperandeo, Agostino Zumbo. Performance e installazioni: - Teresa Arrabito, Atman Yoga Association Enna (insegnante Anna Mahadevi Lo Grasso), Compagnia del matto giullaresca, Manuela Caruso, Laura Cassarà, Maurizio Caudullo, Antonello Bonanno Conti, Stefania Cordone, Daniela Costa, Massimo Estero, Giana Guaiana e Pippo Barrile, Gianna Parisi, Giulia D’Urso, Lino D’Urso, Giuseppe Livio, Mario De Rose, Michele La Paglia, Umberto Naso, Grazia Nicolosi, Marzia Nigito, Stello Quartarone, Giuseppe Raffaele, Gaetano Rallo, Manlio Scaramucci, Demetrio Scopelliti, Anna Maria Viscuso, Salvatore Trovato. Accademia delle Belle Arti di Catanzaro: progetto performativo coordinato da Lara Caccia con i docenti Pietro de Scisciolo (artista e docente di tecniche del marmo), Gina Nicolosi (artista e docente di Decorazione), Elvira Todaro (artista, performer e docente design) e gli studenti Gianluigi Ferrari; Daniele Giglio, Francesco Esposito, Salvatore Puzzo, Francesco Trunfio, Roberto Sorrentino, Gianluca De Scisciolo, Claudio Scolieri. Poeti: - Martina Costantino, Emilia La Golia, Orazio Labbate, Cinzia Pitingaro, Bice Previtera, Mariangela Pupillo, Georgeta Quagliano, Francesco Rigano, Anna Studiale; Consulenza musicale: Mirco Bertolucci. Fotografi: 89


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-Gaetano

Rallo,

Roberta

Mazzone,

Claudio

Floresta.

Descrizione: Dopo l’esperienza catanese, durante nel solstizio d’inverno 2014, durante il quale la Fondazione, aveva scelto di sospendere il rito a causa di assurdi e inspiegabili problemi istituzionali quali una diffida dei Vigili del Fuoco, il Rito torna ora per il solstizio d’estate alla Piramide, 38° Parallelo, sulla collina di Motta d’Affermo. Qui la Fondazione offre un nuovo dono con l’ennesimo atto di Devozione alla Bellezza, quella Bellezza che ha trovato nella resistenza il suo valore di differenza, la sua anima. La novità della sesta edizione risiede però nel fatto che la Piramide si trasforma da luogo simbolico di resistenza alla politica istituzionale che non promuove la Conoscenza come valore di futuro, in luogo simbolico di Resilienza: un peculiare tipo di resistenza che non si oppone e che, all’interno di una sua circolarità, resiste, rigenera e trasforma. Quello della Resilienza e il cammino che Fiumara d’Arte intende percorrere d’ora in avanti. Obiettivo fondante sarà resfituire la gioia di vivere ai siciliani, senza pretendere nulla dalla Grande Madre, la Sicilia, ma di rispettarla e amarla, amando quindi anche le proprie radici. In una società scellerata e fondata sul potere del dio denaro, occorre per un attimo salvare l’uomo da questa dipendenza malata che lo allontana dalla spiritualità. La piramide quindi, insieme a tutte le arti che racchiuderanno il Rito saranno proprio un percorso catartico che consenta all’uomo di ricercare la gioia e la felicità di vivere a contatto con l’arte e la natura. La gioia e l’arte in stretto connubio si esplicheranno in spiritualità, grazie alla creatività e alla voglia di accrescere la propria conoscenza. 3.7 VII° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: Ascolta il silenzio Luogo: Motta D’affermo (ME), Atelier sul Mare Data: 21-26/06/2016 90


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Artisti coinvolti: Musicisti: - Karim Alishahi, Francesca Amato, Francesco Bonacci, Gabriele Cammarata, Diego Cannizzaro, Romina Copernico, Enrico Coppola, Gianni Cosentino, Giuseppe Di Bella, Carmelo Geraci, Enrico Grassi Bertazzi, Giovanni Mattaliano, Raffaele Messina, Elisa Moschella, Sajncho Namčylak, Domenico Pontillo, Luca Recupero, Silvana Urso, Mario Vasile, Trio Ethos (Giuseppe Aiosi, Lorena Bellina, Enzo Toscano) con Sabrina La Ferrara, Gaetano Fontanazza; l’Ensemble d’Arpa Lucia Sardo con Marcello Cappelli, Irene Sposito, Cristiano Pluchino, Laura Avellino, Alessandra Famoso e Adriana Pistorio. Cori: - Sebastiano Zingone e il Coro di Mistretta; Giuseppe Cannizzaro e il Coro di Pettineo, Fabio Giuranna e il Coro delle Mani Bianche Compagnia “Il Ciclope”; Serena Pantè e il Goethe Chor; Alessandro Valenza, il Coro delle voci bianche delle Madonie e il Coro Polifonico delle Madonie. Poeti: - Cinzia Accetta, Maria Attanasio, Claudia Barcellona Chiara Bentivegna, Vincenzo Calvagno e Antonio Lanza, Giusy Cancemi di Maria e Tiziano Sabatelli, Sereno Dolci, Mariagrazia Falsone, Annamaria Giannini, Biagio Guerrera, Paolo Gulfi, Pamela Nicolosi, Josephine Pace, Sebastiano Patanè, Gianluca Pipitò, Elio Provitina, Paola Puzzo Sagrado, Margherita Rimi, Giò Scifo. Attori: - Alessandra Costanzo, Patrizia D’Antona, Sandro Dieli, Mimmo Minà, Maria Angela Pupillo, Stefania Sperandeo, Agostino Zumbo. Performance e installazioni:

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- Associazione Bab’Art, Atman Yoga Association Enna (insegnante Anna Mahadevi Lo Grasso), Benedicta Bertau, Giana Guaiana e Pippo Barrile, Gianna Parisi, Simona Ruffino, Associazione Incontemporanea (Antonio La Colla, Luisa La Colla, Roberta Rizzo, Alessandra Consiglio, Salvo Scherma, Salvo Rivolo, Daniela Hadhiri, Massimo Basso, Giorgio Gristina, Giancarlo Lunetto, Ninni Pagano, Alessandra Oria Bollino, Giacomo Gargano, Pietro Mistretta, Angela Belviso, Patrizia Genova, Nanda Virzi, Andrea Mancuso) , Ottavio Cappellani, Angelo Cigolindo, Giulia D’Urso e Vira Giacco, Lino D’Urso, Gloria Di Paola, Mario De Rose, Agnese Giglia, Umberto Naso, Miriam Pace, Gaetano Rallo, Demetrio Scopelliti, Salvatore Trovato. Anima Mundi dell’amore di Khaled al-Asaad per Palmira, progetto performativo itinerante di Umberto Naso, consulenza musicale di Salvatore Fresta, con Valeria Anzaldo, Santa Contarino, Salvatore Fresta, Patrizia Lascari, Umberto Naso, Nora Patuzzi. Cronista: - Giulia Lo Porto Videomakers: - Antonella Barbera, Simone Bellanca, Antonio Macaluso, Luca Sorbera Descrizione: Il silenzio è la parola chiave che accompagnera tutte le edizioni del Rito della Luce. Soltanto attraverso il silenzio si è capaci di ascoltare ciò che la nostra anima ha da dire e ciò che la natura vuole comunicarci. Il silenzio aiuterà a raggiungere la catarsi interiore e l’unione unanime con il resto del pubblico presente; un linguaggio universale che avvolge tutti. Qualche giorno prima della sesta edizione, un incendio invase Motta D’Affermo deturpandone la bellezza; dunque il titolo dell’iniziativa subì un viraggio molto pesante, rivoltandosi contro chiunque non rispettasse la natura e non l’ascoltasse; un appella, una risposta quasi malefica nei confronti di uomini che non riconoscono la propria identità in essa. 92


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Sarà dovere di questo Rito ribadire l’importanza dell’ascolto della natura e di conseguenza di se stessi. Perchè noi siamo natura, proveniamo da essa, è la natura che ci ha concesso la vita. Durante questa edizione, il silenzio attraverserà anche l’Atelier sul Mare, dove verrà fondata una nuova stanza da Antonio Presti e Ottavio Cappellani intitolata Io sono il blu, una splendida immersione nel blu, tra cielo e mare, che si affaccia sull’infinito fondando le proprie origini dalla chiusura simbolica, operata per protesta da Antonio Presti, undici anni prima, del Monumento per un poeta morto, La Finestra sul mare, di Tano Festa. Allora Cappellani compose un testo, adesso affisso alla parete della stanza, al quale ne ha aggiunto un altro, più articolato, riportato sul letto, rigorosamente blu. allo stesso tempo presentato il libro di Maria Attanasio Blu Della Cancellazione, raccolta di poesie in cui il colore viene elogiato a purezza, e allo stesso disprezzato, capovolgendosi in blu della disperazione, quel blu del mare che ha portato la morte a migliaia di persone che emigrano verso la nostra terra, un colore che ha anche negato la vita. Nell’occasione è stata allestita la mostra Ecolab sull’arte del riciclo di Linda Schipani. 3.8 VIII° edizione Rito della Luce Denominazione/Tema: L’Innesto Luogo: Piramide-38° Parallelo, Motta d’Affermo (ME), AlbergoMuseo Atelier sul Mare, Castel di Tusa (ME), Fiumara d’Arte (Pettineo, Castel di Lucio, Reitano, Santo Stefano di Camastra, Mistretta, Castel di Tusa, Motta d’Affermo) Data: 21-25/06/2017 Artisti coinvolti: Musicisti: - Antonio Aiello, Karim Alishahi, Francesca Amato, Francesco Bonacci, Gabriele Cammarata, Diego Cannizzaro, Suraj Carlino, Enrico Coppola, Gianni Cosentino, Giuseppe Di 93


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Bella, Antonella Furian, Carmelo Geraci, Enrico Grassi Bertazzi, Raffaele Messina, Elisa Moschella, Emanuela Pistone e Isola Quassùd, Alessandro Puglia, Luca Recupero, Francesca Sassioti, Andrea Sciacca, Sebastian Torres, Debora Troia, Francesco Vaccaro, Simona Vizzinisi, Lucia Zahara. Poeti: - Martina Costantino, Emilia La Golia, Orazio Labbate, Cinzia Pitingaro, Bice Previtera, Mariangela Pupillo, Georgeta Quagliano, Francesco Rigano, Anna Studiale, Attori: - Giuseppe Carrozza, Patrizia D’Antona, Sandro Dieli, Fabio La Rosa, Mimmo Minà, Carmen Panarello, Stefania Sperandeo, Agostino Zumbo. Performance e installazioni: - Teresa Arrabito, Atman Yoga Association Enna (insegnante Anna Mahadevi Lo Grasso), Compagnia del matto giullaresca, Manuela Caruso, Laura Cassarà, Maurizio Caudullo, Antonello Bonanno Conti, Stefania Cordone, Daniela Costa, Massimo Estero, Giana Guaiana e Pippo Barrile, Gianna Parisi, Giulia D’Urso, Lino D’Urso, Giuseppe Livio, Mario De Rose, Michele La Paglia, Umberto Naso, Grazia Nicolosi, Marzia Nigito, Stello Quartarone, Giuseppe Raffaele, Gaetano Rallo, Manlio Scaramucci, Demetrio Scopelliti, Anna Maria Viscuso, Salvatore Trovato; Accademia delle Belle Arti di Catanzaro: progetto performativo coordinato da Lara Caccia con i docenti Pietro de Scisciolo (artista e docente di tecniche del marmo), Gina Nicolosi (artista e docente di Decorazione), Elvira Todaro (artista, performer e docente design) e gli studenti Gianluigi Ferrari; Daniele Giglio, Francesco Esposito, Salvatore Puzzo, Francesco Trunfio, Roberto Sorrentino, Gianluca De Scisciolo, Claudio Scolieri. Consulenza musicale: - Mirco Bertolucci. 94


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Fotografi: - Gaetano Rallo, Roberta Mazzone, Claudio Floresta. Descrizione: Arriviamo all’ultima ed ottava edizione del Rito della Luce, soggetto principale che innizializza il rito: La Piramide di Mario Staccioli, al suo fianco un triangolo di sale delimitato da un’infiorata di gerbere bianche. Ad accogliere il popolo della Bellezza, un labirinto di tulle bianco lungo due chilometri, un percorso sospeso in cui ritrovare, tra avanzate e rallentamenti, il senso stesso di un’ascesi spirituale. Tra i mandala e le installazioni, in un cammino libero dalle pressanti definizioni di origine e fine, hanno preso vita le articolate esibizioni di più duecento protagonisti tra attori, musicisti, poeti e performer provenienti da tutta Europa: allievi e maestri uniti nel comune obiettivo di una pura condivisione del sapere. Tema di questa edizione l’Innesto, punto di convergenza tra le diversità, accordo tra pari per una rigenerazione futura. Spiega così Antonio Presti: Coltivare la propria luce interiore è la risposta ad una società che ha perso ogni prospettiva d’utopia Da otto anni il Rito della Luce si propone di coinvolgere il pubblico in un momento di pura contemplazione; il nostro saluto al solstizio d’estate è divenuto con il susseguirsi delle edizioni un crocevia per artisti, intellettuali, viaggiatori e semplici turisti incuriositi dai mille possibili percorsi da intraprendere all’interno della Fiumara d’Arte, una luce etica che si irradia verso l’intero territorio. Sono particolarmente soddisfatto per la presenza al Rito di tantissimi giovani: il mio lavoro è dedicato tutto a loro, vittime di un potere responsabile di una crisi di valori prima ancora che economica. Invito i ragazzi a resistere di fronte allo squallore di una società sempre più massificata: solo chi coltiva il sogno del cambiamento può essere pioniere di una nuova età dello spirito.5

5 Guzzone, Serena, Messina, grande successo di pubblico per il Rito della Luce: oltre 7.000 i partecipanti, in StrettoWeb.com, 26 giugno 2017. 95


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ILLUSTRAZIONI


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APPENDICE


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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI Fig. 1, Andy Warhol, Brillo Box (Soap Pads), 1964, pittura polimerica sintetica e inchiostro serigrafico su legno, Museum of Modern Art (MoMa), New York. Fig. 2, Marcel Duchamp, L.H.O.O.H, 1919, ready-made, Centro Georges Pompidou, Parigi. Fig. 3, Alexander Calder, Le Mobiles, 1941, alluminio verniciato, barre in acciaio e filo, Metropolitan Museum of Art (THE MET), New York. Fig. 4, Cindy Shermane, Film Still #21, 1978, stampa in alogenuri d’argento, Museum of Modern Art (MoMa), New York. Fig. 5, Stuart Franklin, Carri armati in piazza Tien Anmen Pechino, 2003, fotografia, in “Rivista Life”. Fig. 6, Kazimir Severinovič Malevič , Quadrato Nero, 1915, olio su tela, Galleria Tretyakov, Mosca. Fig. 7, Idem, Composizione Suprematista: Bianco su Bianco, 1918, olio su tela, Museum of Modern Art (Moma), New York. Fig. 8, Ben Nicholson, 1934, 1934, pittura ad olio su mogano, Tate Gallery, London. Fig. 9, Piero Manzoni, Achrome, 1959, coalino su tela plissettata, Centre Pompidoue, Parigi. Fig. 10, Enrico Castellani, Superficie Bianca n°18, 1964, acrilico su tela estroflessa, Daimler Art Collection (DAM), Berlino. Fig. 11, Alberto Burri, Cretto bianco 3, 1975, Acrovinilico su cellotex, Fondazione Palazzo Albizzini, Perugia. Fig. 12, Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1965, guazzo su tela, Museo Novecento, Milano. Fig. 13, Jasper John, Flag, 1954, encausto, olio e collage su tessuto,compensato e pannelli, Museum of Modern Art (MoMa), New York. 136


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Fig. 14, Robert Ryman, Untiled, 1965, olio su lino, Museum of Modern Art (MoMa), New York. Fig. 15, Yves Klein, l’International Klein Blue, IK, 1956, blu oltremare, RGB (0; 47; 167), CMYK ( 98, 84, 0; 0). Fig. 16, idem, Monocromo blu senza titolo,1958, pigmento puro e resina sintetica su garza e pannelli, Monastero di Santa Rita di Cascia, Perugia. Fig. 17, idem, Antropometria dell’epoca blu, 1960, olio su tela, Centre Pompidou, Parigi. Fig. 18, Marcel Duchamp, Farmacia,1914, ready-made, Philadelphia Museum of Art, Filadelfia. Fig. 19, Andy Warhol, Do it yourself, 1962, acrilico, pastello e letraset su tela , Museum Ludwig, Colonia. Fig. 20, Marcel Duchamp, Essendo Dati, 1946-1966 , ready-made, Philadelphia Museum of Art, Filadelfia. Fig. 21, Pinot Gallizio, La Caverna dell’Antimateria, 1958-1959, installazione ambientale, Museo Pecci, Prato. Fig. 22, George Segel, Woman in a Restaurant Booth ,1961, gesso e oggetti di uso comune, Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig Wien (Mumok), Vienna. Fig. 23, Claes Odelburg, The Store, 1961, gesso, Museum of Modern Art (MoMa), New York. Fig. 24, Giulio Paolini, Ipotesi di una mostra, 1963, installazione ambientale, Fondazione Prada, Milano. Fig. 25, Michael Heize, Complex I, 1972, installazione ambientale, Nevada, USA. Fig. 26, Walter De Maria, The Lightning Field, 1977, installazione ambientale, Nuovo Messico. Fig. 27, idem, Earthrooms, 1977, installazione ambientale,The New York Earth Room, New York. Fig. 28, Robert Smithson, non sites, 1969, smalto su alluminio, pietre e inchiostro su carta, Whitney Museum of American Art, New York. Fig. 29, Matthew Barney, The Cremaster Cycle, 1994-2002, arte ambientale e video art. Fig. 30, Michelengelo Pistoletti, Il Terzo Paradiso, 2005 , installazione ambientale, tracciato su terra, Biennale di Venezia, Isola di San Servolo, Venezia. Fig. 31, Associazione Fiumara D’arte, Porta della Bellezza, 2009, cemento armato e terracotta, Librino, Catania. Fig. 32, Pietro Consagra, La materia poteva non esserci, 1986, cemento armato, Castel di Tusa, Messina. Fig. 33, Jean Dubuffet, Monument with Standing Beast, 1984, fibre di vetro, James R.Thompson Center, Chicago, USA. Fig. 34, Antoni Tápies, Cruz Y Tierra, 1975,olio su tela, Artur Ramon Art , Barcellona. Fig. 35, Alberto Burri, Sacco e Rosso,1954, sacco e olio su tela, Tate Gallery, Londra. 137


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Fig. 36, Tano Festa, Monumento per un poeta morto,1989, cemento armato e armatura ferrosa, Villa Margi, Reitano, Messina. Fig. 37, Antonio Palma, Energia Mediterranea, 1990, cemento armato, Motta D’Affermo, Messina. Fig. 38, Mauro Staccioli, 38° Parallelo-Piramide, 2010, acciaio corten, Motta D’affermo, Messina. Fig. 39, Italo Lanfredini, Labirinto di Arianna, 1990, cemento armato, Castel di Lucio, Messina. Fig. 40, Hidetoshi Nagasawa, Stanza di Barca d’oro,1989, lastre metalliche, foglie d’oro e marmo rosa, Mistretta, Messina. Fig. 41, Vari artisti, Il Muro della Vita, 1991, terracotta, Castel di Lucio - Mistretta, Messina. Fig. 42, Paolo Schiavocampo, Una Curva gettata alle spalle del tempo, 1990, cemento armato e ferro, Castel di Lucio, Messina. Fig. 43, Fiumara D’arte, Rito della Luce, 2016, 38° Parallelo-Piramide, Motta D’Affermo. Fig. 44, Fiumara D’arte, Rito della Luce, 2017, 38° Parallelo-Piramide, Motta D’Affermo. Fig. 45, Fiumara D’arte, Rito della Luce, 2014, Istituto Vespucci, Catania.

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