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L’OLIO AL CENTRO

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LETTERA APERTA

LETTERA APERTA

Luigi Caricato oleologo

Far pagare l’olio al cliente. Perché e come

Far pagare l’olio extra vergine di oliva al cliente. È sempre stato un mio pensiero fisso. Può sembrare una eresia, ma non è così. Ho sempre pensato che l’olio, avendo un suo intrinseco valore (per qualità sensoriale, qualità nutrizionale e salutistica, e per l’alto rendimento in termini di efficacia condente) debba essere proposto a pagamento. Mi spiego. So benissimo che può apparire inconcepibile una proposta simile, ma è una proposta da prendere in considerazione e da valutare se introdurla o meno. All’ultima edizione del Forum Olio & Ristorazione organizzato da Olio Officina, in uno degli incontri cui era presente anche il direttore di sala&cucina Luigi Franchi, insieme con la patron del Luogo di Aimo e Nadia Stefania Moroni e la presidente del gruppo olio di oliva di Assitol Anna Cane, proprio quest’ultima ha lanciato la sfida. Sì, perché di una vera sfida si tratta. Crederci significa avere coraggio, perché non è detto che possa riscuotere successo. Ed ecco, testuali parole, la provocazione di Anna Cane: “Se faccio pagare la bottiglia d’olio, di dimensioni rapportate al numero di commensali, il consumatore è meno invogliato a lasciarla sul tavolo. L’olio è un prodotto nobile, più dell’acqua, quindi perché quest’ultima deve essere fatta pagare e l’olio no? Come si fa pagare il vino, occorre anche far pagare l’olio”. Io già immagino le reazioni, le conosco. So bene quanti non condivideranno questa opzione, ma, si sa, occorre coraggio, ed è proprio quel che manca. Tutti i ristoratori da me conosciuti sono restii a una simile ipotesi, e ovviamente hanno piena ragione per esserlo: il cliente non gradirebbe certo pagare. E poi c’è da osservare che far pagare l’olio richiede, oltre a una materia prima di alta qualità (che ha costi più elevati), anche un servizio specifico, un impegno mirato, un’attenzione e la capacità di saper presentare e raccontare l’olio. Essendo una novità, è necessario lanciarla, farla percepire come qualcosa che abbia senso proporla, affinché non si riveli un infelice fallimento con drastica marcia indietro. In più, c’è da osservare che molti operatori del settore sono contrari perché per uno chef il piatto quando è servito è pronto per essere apprezzato nella sua armonia di sapori: non avrebbe senso aggiungerne altro. Eppure l’errore sta proprio qui, nel pensare l’olio solo come ingrediente tra i tanti. E lo è, certamente, quando entra a far parte di un piatto, ma l’idea di far pagare l’olio al cliente va ben oltre questa logica. È evidente che il costo per realizzare una pietanza comprenda anche l’olio, e quindi il costo dell’olio rientra di fatto, in quanto ingrediente, nel costo complessivo della portata, ma dobbiamo riuscire a pensare l’olio da un altro punto di vista. L’olio come saluto di benvenuto, per esempio. Inventando soluzioni ogni volta originali: il pane e l’olio è la carta vincente, ma vi possono essere molte altre proposte, con altri cibi, in abbinamento. In Spagna, un’apertura con l’olio è una soluzione molto adottata. Il pane da utilizzare con l’olio non va però concepito per saziare, ma quale tramite per far conoscere le peculiarità degli oli. Oggi le soluzioni tecniche ci sono, ricorrendo alle classiche formulazioni da finger food. Forse si potrà obiettare: che interesse può esserci nel valorizzare l’olio extra vergine di oliva? È solo perdita di tempo e di risorse. Sarà anche vero, certo, ma è tutta una questione di sensibilità e di visione. D’altra parte, per intraprendere tale scelta, senza dubbio coraggiosa e pionieristica, si può sempre richiedere la collaborazione, anche economica, delle aziende olearie, non vi pare?

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