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Salcheto, un progetto esemplare e contagioso

Autrice: Giulia

Zampieri

Nella moltitudine di storie che il mondo moderno ci propone rintracciare un modello vero, da emulare, è abbastanza difficile. Spesso il modello ideale risulta dall’aggregazione di più esperienze: c’è chi fa bene quello, chi fa meglio l’altro, chi eccelle in quell’altro ancora. E si prova così, da narratori o da attori principali, a delineare il mosaico perfetto, vincente in ogni ambito. Perché dico questo introducendovi alla storia di Salcheto, azienda sorta trent’anni fa ai piedi in una delle località del vino più famose d’Italia? Perché questa attività rappresenta l’eccezione. Salcheto, che si raggiunge lasciandosi alle spalle Montepulciano per poi ritrovarsela davanti, è un bellissimo modello per chiunque voglia approcciare al mondo del vino, dell’agricoltura, e pure dell’accoglienza, in modo sostenibile e virtuoso.

La prima Salcheto

Oggi la vediamo come un’azienda vitivinicola biologica e biodinamica di riferimento nel distretto del vino Nobile di Montepulciano, ma sino ai primi anni Novanta era una semplice fattoria multicolturale. Il nome Salcheto venne preso in prestito da un ruscello che ancora oggi traccia, a sud, una vallata di salici, delineando il confine dell’azienda.

Salcheto a sua volta deriva da salco, in toscano antico salice, un albero storicamente importante nei territori vitivinicoli perché i suoi rami si impiegavano per legare le viti.

Ancora oggi questa pianta ha un posto d’onore nel cuore dell’azienda: oltre ad esserne diventata il logo e il simbolo, viene continuamente reimpiantata per creare biomasse da cui trarre energia. E sarà proprio l’ottimizzazione energetica uno dei temi focali di questo racconto.

Una rivoluzione pensata per un miglioramento globale

La rivoluzione vera e propria dell’attività inizia a partire dal 1997 con l’arrivo di Michele Manelli, emiliano di nascita e parlata, ma di pensiero assolutamente globale, che prima in modo silente, poi con scelte dichiarate ed eclatanti, ha introdotto delle idee rivoluzionarie.

Sin dal primo momento, con la nuova guida di Michele, i temi sociali e ambientali hanno infatti influenzato il metodo di lavoro di Salcheto, stimolando a un certo punto la nascita di un nuovo corso.

“Ho sentito il bisogno di approfondire i modelli di impresa etica che cominciavano a maturare alla fine degli anni 90” - racconta Michele. “Allora i temi della responsabilità sociale d’impresa stavano fiorendo. Abbiamo iniziato a proiettarci su una nuova visione di Salcheto. Doveva essere un’impresa in grado di assumere un ruolo di leva nella società, oltre che ha produrre ottimo vino, rispettoso del territorio, senza solfiti, e improntato alla grande bevibilità. Dovevamo riprogettarci sotto molti aspetti, analizzando il nostro ruolo e quello degli attori della filiera”.

Dai primi anni 2000 gli investimenti interessarono nuovi obiettivi. Si attuarono mosse e progetti molto ambiziosi, toccando macro e micro aspetti dell’attività vitivinicola e delle attività connesse, come l’ospitalità e la ristorazione.

“Rifacemmo interamente la cantina sfidando l’autonomia energetica, introducendo il concetto “off-grid”, dove il risparmio di energia è la prima fonte di approvvigionamento. Abbiamo iniziato a chiederci come poter misurare la nostra prestazione ambientale nei nostri processi e nei nostri prodotti. La risposta è arrivata come esito di un progetto importantissimo, su cui ha lavorato per più di un anno un gruppo di lavoro. È il Carbon Footprint, un indice che ci permette di controllare l’energia e la materia direttamente e indirettamente consumate lungo il processo e quindi ridurre le emissioni di gas clima-alteranti connesse” spiega Michele aggiungendo preziosi dettagli sulla complessità del progetto.

Salcheto è dunque la prima azienda al mondo ad ottenere il certificato la Carbon Footprint di una Bottiglia di Vino (secondo lo standard ISO 14064, nel 2010). Un traguardo che ha segnato il passo per molte altre attività con la stessa ambizione, ma ha anche dato il là ad una serie di interventi sul metodo di lavoro interno e sull’analisi di filiere esterne, dimostrando come la misurazione non debba essere il punto di arrivo, ma la casella di partenza per un proficuo percorso migliorativo.

Gli interventi di Salcheto in questi anni hanno riguardato tutte le sfere di produzione, anche quelle meno visibili agli occhi: dalla depurazione e riciclo della totalità delle acque reflue (incluso quelle derivanti dal lavaggio delle macchine irroratrici) alla differenziazione del 98% dei materiali di scarto nell’isola ecologica; dall’autoproduzione di concimi all’utilizzo di materiali legnosi derivanti da fonti controllate e foreste gestite in maniera responsabile. O, parlando di packaging, dalla scelta di impiegare bottiglie più leggere che riducono notevolmente l’impatto ambientale.

Inoltre Salcheto si è adeguata ad altri due importanti indici, che concorrono, insieme al Carbon Footprint, a definire la norma Equalitas-Vino Sostenibile: il Water Footprint: per razionalizzare l’uso dell’acqua ed abbatterne qualsiasi inquinamento, e l’Indice Biodiversità, che monitora la qualità biologica del suolo e dell’ecosistema aziendale.

Ce lo spiega Manelli: “Il meccanismo che si innesca quando si vuole essere davvero sostenibili è contagioso. Si inizia a lavorare con metodo, avendo chiaro dove si vuole arrivare. Salcheto ha immaginato una biodiversità misurata sia in qualità che in qualità e per questo stiliamo Bilancio di Sostenibilità ed abbiamo sviluppato un attento controllo di gestione della sostenibilità, conforme allo standard EQUALITAS, ente di certificazione che è emerso come pioniere nel movimento della sostenibilità. Sul nostro esempio nel 2011 è stata inaugurata la carta di Carbon di Montepulciano e molte aziende vinicole si sono ispirate al metodo per coltivare una sostenibilità ambientale reale, misurabile, oggettiva”.

Sostenibilità sociale e sicurezza sul lavoro

La pandemia, lo ripetiamo frequentemente su queste pagine, ha segnato un punto di svolta nei rapporti di lavoro e nelle modalità di gestione del personale, facendo emergere delle enormi arretratezze del sistema. Ma c’è chi, come Manelli e la sua azienda, ci lavora da tempo.

“Sin da quando sono arrivato avevo chiara l’esigenza di riformare le relazioni con chi lavora in Salcheto.

Nel 2015 abbiamo investito soprattutto in qualità della gestione, convinti che codificando ci si obblighi a rispettare meccanismi che diventano automatismi. Potrei farvi degli esempi concreti di azioni svolte a favore dei dipendenti. Per esempio diamo a tutti la possibilità di condividere la propria esperienza in azienda, di raccontarci al termine di ogni anno il loro bilancio annuale; effettuiamo delle rilevazioni anonime, dando l’opportunità a tutti di esprimere situazioni di disagio, qualora ce ne fossero. La formazione è un altro tema essenziale, dev’essere garantita per promuovere una crescita personale e aziendale. Siamo stati la prima cantina italiana ad aver adottato un piano Welfare per i propri dipendenti. Cerchiamo di creare partecipazione, di far sentire tutti parte essenziale di Salcheto, di fornire informazioni trasparenti sui termini dei contratti di lavoro - strumento utilizzato generalmente in modo promiscuo - e elargiamo premi legati alle performance sociali e ambientali”.

Chiediamo a questo punto a Michele come vivono i collaboratori questo approccio.

“La fase iniziale è stata segnata da alcune perplessità ma poi il legame si consolida. L’attaccamento è percepito in molte occasioni. Quando si investe sulla sostenibilità sociale la produttività mediamente si alza, proba- bilmente per la voglia di restituire all’azienda ciò che si riceve in termini di attenzione, ascolto, riconoscimento. Il lato, se vogliamo, più ostico, è che le aspettative del lavoratore o del potenziale lavoratore aumentano. Ma questo non è un problema, come deduciamo dalle candidature che ci arrivano dall’esterno”.

A chi crede che la sostenibilità non sia applicabile o sia una strada antieconomica rispondono i fatti. Affidandosi a questo modello esemplare e contagioso Salcheto riesce bene in tutto. Nel vino, con una produzione apprezzata in Italia e all’estero che si aggira sulle 400.000 bottiglie annue; e nell’accoglienza, offrendo un’esperienza memorabile di soggiorno, a tu per tu con Montepulciano, e una tavola speciale al ristorante Indigeno soprastante la cantina.

Autrice: Giulia Zampieri

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