Architecture/Building engineering Thesis-Silvia Pusceddu

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EMERGENZA E TEMPORANEITÀ

UNʼALTERNATIVA AI MODELLI ABITATIVI PER LʼACCOGLIENZA


Tesi di laurea in Architettura Tecnica Silvia Pusceddu Alma Mater Studiorum UniversitĂ degli studi di Bologna Scuola di Ingegneria e Architettura Corso di laurea in ingegneria Edile/Architettura Relatore Prof.essa Arch. Annarita Ferrante Correlatore Arch. Luca Trabattoni Anno Accademico 2015-2016


A tutte le persone della mia vita



“ Balance calm, but madness is much more interesting� ( Bernard Russell)


INDICE

INTRODUZIONE

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PRIMA PARTE

LE CONDIZIONI ABITATIVE DEI BRACCIANTI TAGIONALI NEL UD D’ITALI METODO D’INDAGINE

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L’EMERGENZA

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2.1 Il quadro generale delle condizioni abitative dei braccianti migranti in Italia 2.2 I flussi stagionale e i cicli produttivi

OCU ULLE REGIONI DEL MERIDIONE D’ITALIA

14 22

24

3.1 Campania 3.2 Calabria 3.3 Basilicata 3.4 Puglia 3.5 Buone pratiche: Task Force Basilicata e Puglia

24 30 36 42 50

IL CA O PARTICOLARE IL G ETTO DI NARDO’

54

G ETTI NUOVI LUM D’ITALIA

62

SECONDA PARTE L’ACCOGLIENZA

PROGRAMMARE L’ACCOGLIENZA

6.1 Campi d’accoglienza e campi profughi 6.2 Attuali modelli abitativi d’emergenza 6.3 Le tendopoli 6.4 Ripensare l’accoglienza: una nuova risposta al disagio abitativo

68

68 70 76 78


TERZA PARTE

PROPOSTA PROGETTUALE 7. PROCESSO GENERATIVO

82

7.1 La tassellazione 7.2 Il modulo ibrido

84 88

8. LO STUDIO DEL MODULO

91

8.1 Analisi architettonica 8.2 Soluzioni tecniche strutturali 8.3 I materiali 8.4 Il manuale di montaggio 8.5 Abaco delle aggregazioni 8.6 Aspetti bioclimatici 8.7 La simulazione energetica 8.8 Analisi qualitativa dei costi

91 96 104 110 126 128 130 136

QUARTA PARTE PROGETTO URBANO

OLUZIONI URBANI TIC E PER IL CA O DI NARDO’

9.1 Il contesto salentino 9.2 Il programma 9.3 Proposta progettuale

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140 141 142

CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Cos’è l’emergenza? In che modo l’architettura può intervenire nella gestione dell’emergenza? L’emergenza è l’alterazione di un equilibrio, un evento inconsueto che irrompe nel quotidiano alterando la stabilità. Il problema è: come tornare a uno stato di equilibrio? Riporre ciò che è stato alterato o affrontare il problema con nuove proposte? L’architettura è lo strumento che ci porta a definire un nuovo stato di equilibrio, nuove proposte per trovare una nuova stabilità. E’ partendo da questa riflessione che questo progetto di tesi intende svilupparsi. Tra catastrofi naturali, guerre, insediamenti informali, migranti, le emergenze sono all’ordine del giorno. Questa tesi ne analizza una, ovvero la condizione abitativa dei lavoratori stagionali migranti nel sud Italia. Questi vivono e lavorano in condizioni precarie al limite degli standard minimi della dignità umana. Pochi ne parlano, nessuno li vede. Vengono chiamati gli “invisibili” proprio perché in pochi conoscono le condizioni di degrado in cui vivono. Le risposte a questa emergenza abitativa sono state poche: tendopoli, campi container, qualcuno ha avanzato la proposta di un “albergo diffuso”, soluzioni temporanee non adeguate al contesto. In questo progetto di tesi si propone una risposta alternativa alle soluzioni fin ora avanzate. Una risposta che considera l’emergenza proprio come punto di partenza per avviare un processo che ha come fine trovare una nuova stabilità. Partendo dallo studio dell’unità minima, individuata come elemento base del progetto, verrà studiata l’aggregazione di questa e gli spazi che essa genera. E’ una proposta riproducibile in tutti i contesti analizzati, per via della sua modularità e capacità di suddividere il lotto infinite volte generando allo stesso tempo spazi sempre differenti.

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Questa tesi si suddivide in quattro parti: nella prima parte viene analizzata la situazione abitativa e lavorativa dei migranti braccianti stagionali in Italia, con un focus più preciso sulle regioni del meridione, ovvero Campania, Calabria, Puglia, Basilicata. Nella seconda parte si analizzano le forme di accoglienze presenti attualmente non solo in Italia ma in generale nel mondo. Nello specifico si parlerà della forma campo: campo d’accoglienza, campo profughi, tendopoli ecc.. e verranno valutate le loro criticità. La terza parte è dedicata totalmente alla proposta sotto un profilo tecnico compositivo. Mentre nell’ultima parte viene applicata la proposta progettuale al caso specifico di Nardò. Il “ghetto” di Nardò è una realtà che ho avuto modo di conoscere di persona grazie all’aiuto dell’associazione “Diritti a Sud” e dei tecnici del comune di Nardò. Entrare dentro il ghetto e parlare con i ragazzi che lo abitano è stato fondamentale per poter capire e “agire”. In sintesi il progetto propone un’alternativa ai campi d’accoglienza tradizionali, attraverso un’architettura che sia flessibile e in grado di generare nuove relazioni pubblico-private e favorire la socializzazione.

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PRIMA PARTE

LE CONDIZIONI ABITATIVE DEI BRACCIANTI STAGIONALI NEL UD D’ITALIA


1.

METODO D’INDAGINE

Questo progetto di tesi è stato sviluppato in tre fasi: una prima fase di analisi e conoscenza del fenomeno studiato, una seconda fase di recupero di materiali grafici e teorici per un quadro più completo delle problematiche e una migliore individuazione degli obbiettivi, e una terza fase di progettazione. Avvalendomi delle tecnologie d’informazione quali, per esempio i GIS, e della documentazione reperibile presso catasti, biblioteche, università e achivi statali, studi e ricerche, tra cui l’interessante rapporto “Terra ingiusta”, curato da MEDU (Medici per i diritti umani), ho acquisito e gestito le informazioni tenendo conto del contesto legislativo e urbanistico in cui si opera, definito un quadro chiaro e completo dello stato di fatto, prodotto un’adeguata documentazione grafica sulla quale poter pensare e disegnare i possibili interventi, determinato le priorità di intervento e formulato in maniera chiara e non troppo complessa il piano d’intervento e le fasi della sua realizzazione in modo da favorire l’accesso alla progettazione partecipata. Ha avuto fondamentale importanza il sopralluogo in uno dei ghetti analizzati ovvero il ghetto di Nardò. Parlare con la popolazione che vive questi insediamenti mi ha permesso di conoscere meglio le loro condizioni di vita, la provenienza, le cause che li hanno portati a vivere in questa realtà e il loro inserimento nella società autoctona. Di fondamentale importanza è stato l’aiuto dell’associazione “Diritti a sud”, volontari che da sempre lavorano per garantire condizioni di vita e lavorative dignitose ai ragazzi del ghetto. E’ grazie a loro che ho avuto modo di entrare nel ghetto e raccogliere importanti informazioni che mi hanno permesso di definire un quadro più completo della situazione. Sempre a Nardò ho avuto modo di parlare con i funzionari del comune ottenendo documenti e informazioni tecniche importanti per inquadrare da un punto di vista tecnico normativo il fenomeno.

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Questa esperienza in Puglia avvenuta nella fase iniziale di formazione del ghetto è stata fondamentale per definire il progetto e importantissima a livello umano per comprendere fino in fondo una situazione d’emergenza tragica di cui spesso si sa troppo poco.

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2. 2.1

L’EMERGENZA IL QUADRO GENERALE DELLE CONDIZIONI ABITATIVE DEI BRACCIANTI MIGRANTI IN ITALIA E’ ormai da diversi anni che in Italia è presente una grave emergenza che riguarda la situazione dei lavoratori migranti stagionali impiegati nel settore dell’agricoltura. Il settore agricolo in Italia è uno dei settori con il più alto livello di produzione, che necessita di un’elevata percentuale di manodopera soprattutto durante il periodo di raccolta, quando il lavoro risulta particolarmente duro e dinamico. I flussi dei lavoratori stranieri sulle diverse aree del territorio italiano sono attratti dalle zone agro-alimentari con più alta capacità produttiva secondo diversi fattori geografici e di mobilità territoriale in termini di: distanza che il lavoratore deve percorrere per raggiungere le aree di produzione; conoscenza e consapevolezza delle regole per l’assunzione; capacità di far fronte ai diversi attori coinvolti nel processo di produzione dal datore di lavoro, al caporale, alla polizia. Questi flussi di lavoratori stranieri si incrociano nel periodo di maggior richiesta con altri flussi: disoccupati residenti nelle aree limitrofe alle zone di maggior produzione; lavoratori stranieri spesso residenti nei paesi limitrofi; lavoratori provenienti, esclusivamente per il periodo della raccolta, da altre regioni o stati. I lavoratori immigrati impegnati nel settore agricolo sono stati, nel 2013, 114.000 ovvero il 14% del totale dei lavoratori; in particolare 64.000 cittadini di Paesi terzi e 40.000 cittadini comunitari. In generale si nota come la presenza di migranti non comunitari sia maggiore nel Nord d’Italia, 42.000 in confronto ai 22.000 nel Sud. Tuttavia questo dato va interpretato poiché molti dei lavoratori migranti, specialmente in agricoltura, seguono i cicli delle coltivazioni. (AGREE, 2015) Secondo la ricerca “Sottoterra-indagine sul lavoro sommerso in agricoltura -”UILA- Eurispes, il lavoro sommerso in agricoltura riguarda il 32% del totale dei dipendenti del settore agricolo. Questi isolati ed invisibili vivono spesso in baraccopoli che costituiscono veri e propri ghetti.

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Si tratta principalmente di uomini di età compresa tra i 19 e i 35 anni, in genere provenienti dell’Europa dell’Est, Romania e Bulgaria, e dell’Africa, principalmente Marocco, Mali, Tunisia, Ghana, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Senegal, Guinea e Nigeria. Quasi tutti hanno un permesso regolare di soggiorno, per motivi umanitari, protezione internazionale, per lavoro, e in minor numero per ricongiungimento familiare e studio. I lavoratori che si trovano solo temporaneamente nei distretti agricoli, conosciuti per la produzione di grandi quantità di frutta e ortaggi di qualità, hanno molta difficoltà a trovare una sistemazione in quanto ciò che guadagnano non gli permette di sostenere la spesa del viaggio e dell’affitto di una casa, che spesso gli viene negato perché privi di un garante che faccia da intermediario con i proprietari delle case. E’ all’interno di questo quadro che il lavoratore è costretto a vivere in “ripari di fortuna” ossia dei veri e propri “ghetti”, forme spontanee di abitazioni, costruiti con materiali di scarto come legno, plastica, cartone e lamiera in genere localizzate quanto più vicino possibile al posto di lavoro. Molti di questi insediamenti nascono anche da situazioni preesistenti. Un primo esempio a fine anni ottanta lo troviamo in Campania nella Piana del Sele, dove si collocò un insediamento definito sin da subito “ghetto”, abitato da lavoratori marocchini insediatisi nelle strutture di un grande mercato ortofrutticolo costruito ma mai utilizzato. Sia nelle strutture abbandonate che nei “ripari di fortuna” gli abitanti vivono in condizione di sovraffollamento, senza servizi igienici, senza accesso all’acqua corrente, alla corrente elettrica e senza un servizio di smaltimento dei rifiuti. Qualcuno condivide un materasso ma la maggior parte dorme per terra sopra un cartone. Per cucinare usano fornelli da campo ma il più delle volte sono costretti a usare legna da ardere. Nonostante queste sistemazioni siano precarie e decisamente al di

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sotto degli standard minimi della dignità umana, gli abitanti di questi “ghetti” si sforzano di rendere più vivibile l’insediamento. In quest’ottica nascono i bar come luoghi di socializzazione dopo il lavoro, i ristoranti, i negozi dove si vendono abiti e generi di prima necessità. Tutto ciò crea un’incredibile rete di mutuo-aiuto e dinamiche sociali che aiutano a rendere più “umano” il “ghetto” e mantenere la dignità. (Dedalus, 2012) “Pur contribuendo in maniera fondamentale al settore agricolo del Sud Italia, i lavoratori stranieri stagionali sono costretti a condizioni di vita disumane che li relegano a uno stato di povertà estrema e di esclusione sociale, vittime di sfruttamento, soprusi e atti di intolleranza.” (Medici Senza Frontiere, 2007) Per quanto riguarda la situazione lavorativa di questi lavoratori, sia regolari che irregolari, il 90% non ha nessun tipo di contratto di lavoro e quindi non gode di nessun tipo di tutela in termini di retribuzione, di infortuni sui luoghi di lavoro e di prevenzione sociale. Ogni bracciante lavora in media 3-4 giorni a settimana per 8-10 ore e riceve un salario compreso tra 25-40 euro per una giornata lavorativa a fronte dei 42,96 euro lordi previsti dalla legge. Il compenso può essere a giornata o a cottimo, ovvero per un numero di cassette di frutta o verdura raccolte. In una condizione ottimale l’operaio riesce a riempire al giorno circa 20 cassoni da 300 kg ciascuno, mentre nella situazione peggiore ne riempie circa 15. A questi stipendi vanno sottratti circa 3-5 euro destinati ai caporali, sotto la falsa copertura del servizio di trasporto, per il quale un caporale percepisce tra i 50-80 euro a seconda dell’entità della squadra. (MEDU, 2015) Gli stranieri stagionali contribuiscono con il loro lavoro a sostenere un settore economico importante per il Sud d’Italia, quale appunto l’agricoltura.

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1. Lavoratori nei campi (http://www.rivistailmulino.it/ item/2984) 2, 3, 4. “Ghetto di Nardò” (Reportage fotografico di Silvia Pusceddu)


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Tuttavia, le condizioni di lavoro rilevate relegano queste persone a condizioni di povertà estrema. Sebbene il fine della migrazione sia spesso quello del sostentamento economico delle famiglie nei paesi di origine, in molti non riescono a inviare rimesse nel paese di provenienza perché possono a stento sopravvivere. Le difficili condizioni di lavoro e abitative dei braccianti incidono ovviamente sulla loro salute. Si riscontrano diverse patologie in particolare all’apparato osseomuscolare, digerente e respiratorio. Sono sempre più diffuse le malattie infettivo parassitarie e gravi disturbi agli apparati sensitivi. Non mancano comunque casi riferiti a malattie piuttosto gravi come TBC e scabbia e a disturbi mentali e psichici riscontrati da una sintomatologia ansiosa e dall’abuso di alcool. Secondo la legge italiana tutti gli stranieri, regolari e non, hanno diritto all’accesso alle cure. Per coloro che presentano un regolare permesso di soggiorno è prevista l’iscrizione al Servizio sanitario Nazionale con rilascio della tessera sanitaria. Agli irregolari, invece, viene assegnato un codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) con il quale può accedere alle cure ambulatoriali. Molti immigrati non sono però a conoscenza della possibilità di accesso alle cure, o non sanno come raggiungere gli ospedali. Per tal motivo è già da qualche tempo che nelle regioni del Sud d’Italia sono presenti, nella prossimità dei ghetti, degli ambulatori mobili di Emergency o di MEDU (Medici per i Diritti Umani) che prestano immediato soccorso.

5. “Ghetto di Nardò” (Reportage fotografico di Silvia Pusceddu)

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MILANO

VERONA

BRESCIA

VENEZIA

TORINO

GENOVA

RIMINI

FIRENZE

ANCONA

FOGGIA ROMA

POTENZA NAPOLI NARDO’

ROSARNO

impiego in campo edile CASSIBILE

venditori ambulanti nelle spiagge lavoro agricolo flussi interni


AFRICA SUBSAHARIANA

FOGGIA CAPITANATA

3

EST EUROPA

VULTURE ALTO BRADANO

PIANA DEL SELE

BARI

NAPOLI

NARDÒ

POTENZA

2

EST EUROPA

AFRICA SUBSAHARIANA

AFRICA AUBSAHARIANA

EST EUROPA

PIANA DI GIOIA TAURO

CATANZARO

1

EST EUROPA

AFRICA SUBSAHARIANA

1

ROSARNO gennaio 2010 gli immignati prevalentemente dell’Africa Subsahariana in seguito al decesso di due lavoratori manifestano contro le condizioni di vita e di lavoro durante la raccolta delle arance.

2

NARDO’ luglio 2011 primo sciopero dei braccianti impiegati in Puglia nella raccolta delle angurie e dei pomodori.

3

BORGO MEZZANONE, uno dei più grandi centri d’accoglienza (Cara) della Puglia, ospita nelle strutture prefabbricate nell’ex pista dell’aeroporto militare diversi braccianti e un insediamento informale rom.


2.2

I FLUSSI STAGIONALI E I CICLI PRODUTTIVI I flussi dei lavoratori migranti in Italia nel settore agricolo dipendono da vari aspetti: la differenza dei tempi di raccolta delle colture in Italia, i cicli di raccolta determinati da queste differenze e il ritorno dei lavoratori alle loro residenze abituali. In Italia i cicli dell’agricoltura, come in diverse aree del Mediterraneo, si distribuiscono durante tutte le quattro stagioni. Ciò fa si che il numero di lavoratori impegnati nel settore vari anche in termini di differenziazione interna. Chi risiede permanentemente in Italia lavora in forma continua, ovvero durante tutto l’anno, dove esiste una domanda. A questi si aggiungono quelli provenienti da zone limitrofe, altre regioni o proprio altri paesi, per soddisfare la domanda stagionale. Questi ultimi sono quelli che seguono la specifica stagione dell’anno in cui il lavoro risulta più dinamico. I tre mesi estivi, ovvero metà Giugno, Luglio, Agosto e metà Settembre, sono i periodi in cui è maggiore la richiesta di manodopera, e quindi maggiore la mobilità geografica, da Nord a Sud, da Est a Ovest, dal centro alle isole ecc. Nella stagione invernale e primaverile per la coltura di mele, agrumi, frutti da serra e cocomeri di qualità, i flussi di migranti dalle zone del Trentino e Friuli si spostano verso la Puglia (Nardò), Calabria (Piana di Gioia Tauro) e Sicilia(Victoria, Cassibile), e da qui poi per ritornare al centro nord tra Emilia Romagna e Piemonte per raccogliere le mele, i kiwi e l’uva nera per i vini. Nella stagione estiva da Luglio a Settembre è famosa la raccolta del pomodoro che si concentra in Puglia (zona della “Capitanata”, provincia di Foggia) e Basilicata (Vulture-Alto Bradano). La mobilità interregionale è dunque un fattore chiave per i gruppi di lavoratori che per spostarsi da un quartiere all’altro usano gli autobus, tra i capoluoghi di provincia i treni regionali, o pullman interregionali perché più economici e flessibili. Spesso però si organizzano in piccoli gruppi composti da familiari o amici, con i quali si spostano con mezzi privati.

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In genere i lavoratori non si spostano mai senza avere una precisa destinazione. I gruppi provenienti dalla Romania, Polonia, Bulgaria, Marocco e Tunisia, finita la stagione in genere tornano a casa poichÊ il lavoro stagionale in Italia serve per integrare il guadagno ordinario della famiglia. Questo è il motivo per cui questi gruppi spesso tentano di contenere i costi rendendo precaria la loro sistemazione abitativa.

21 DICEMBRE 21 GIUGNO

23 SETTEMBRE 21 DICEMBRE

CICLO STAGIONALE

21 GIUGNO 23 SETTEMBRE

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3. 3.1

FOCUS SULLE REGIONI DEL MERIDIONE D’ITALIA CAMPANIA La Piana del Sele in Campania è un territorio di circa 500 chilometri che si estende a sud di Salerno. L’agricoltura di questo territorio è un’agricoltura d’eccellenza poiché con le oltre 4000 imprese agricole e 5000 ettari di serre copre diversi comparti agricoli: dall’olivicolo al vitivinicolo, dal lattiero-caseario all’allevamento, dall’orticultura alla fragolicoltura e soprattutto la produzione dell’insalate pronte per il consumo. Per la grande varietà di colture, l’attività agricola, a differenza delle altre regioni del Mezzogiorno, si distribuisce nell’arco di tutto l’anno, con picchi in primavera ed estate. I lavoratori sono circa 14.000 (dato relativo al 2014) di cui il 50% sono stranieri. Dagli anni Novanta, periodo in cui hanno iniziato ad affluire i lavoratori, la manodopera straniera è aumentata di pari passo con la crescita della produzione. Nel 2009 fu sgomberato il ghetto di San Nicola Varco, ex mercato ortofrutticolo in cui alloggiavano i braccianti migranti, la maggior parte irregolari. I lavoratori pian piano hanno trovato alloggio nelle case affittate, migliorando notevolmente la loro condizione abitativa e riuscendo ad ottenere un permesso di soggiorno. Ciò perché vi è stata la possibilità di accedere a case in affitto nelle zone di Capaccio, Bivio santa Cecilia-Eboli, litoranea Salerno-Paestum e dalle regolarizzazioni in seguito alle sanatorie del 2010. Sul litorale dell’area di Castel Volturno è presente un vasto patrimonio edilizio inutilizzato e quindi disponibile, che ha richiamato l’insediamento di considerevoli flussi di popolazione straniera. Qui ci sono interi edifici e quartieri abbandonati in buono stato, che potrebbero essere affittati ai lavoratori. Ma gli attuali ambienti dove abitano sono comunque fatiscenti. Sul Litorale Domitio gli immigrati definiscono le abitazioni come un “accampamento perenne” i cui insediamenti però sono costituiti dalle carcasse di fatiscenti edifici semi-vuoti ed inabitabili.

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A Villa Literno esistono alcuni ghetti, la cui popolazione aumenta nella stagione estiva. Sempre in questa zona si registrano piccoli insediamenti sotto i viadotti e nei casolari abbandonati, lungo le strade che costeggiano i campi coltivati. Caso emblematico è il Ghetto di Parete. Qui troviamo una popolazione giovane nordafricana che trova sistemazione in piccoli insediamenti nelle campagne. Poiché qui la popolazione risiede da diversi anni buona parte di questa ha una buona conoscenza della lingua italiana, ciò nonostante esiste una minoranza, che risiede in Italia da più di 2 anni, che possiede una scarsa conoscenza dell’italiano, indice questo d’isolamento e esclusione. (MEDU, 2015)

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1

2

3

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“Si tratta di baracche appoggiate agli alberi oppure di scheletri di case in costruzione, sempre a ridosso dei campi, generalmente utilizzate da lavoratori migranti che si spostano stagionalmente nella zona per determinate coltivazioni.” (Dadalus, 2012)

1, 2, 3. Condizioni di vita dei lavoratori di Castel Volturno (archivio foto de L’Unità http://archiviofoto.unita.it/index. php?f2=recordid&cod=360&codset =PER&pagina=25#foto_2)

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DATI GENERALI 4%

96%

popolazione italiana residente

popolazione straniera residente

5.644.026

217.503

POPOLAZIONE TOTALE RESIDENTE

5.861.529

ucraina 22% romania 18% marocco 9%

ANALISI BRACCIANTI AGRICOLI STRANIERI E LORO SITUAZIONE LAVORATIVA

7%

marocco

17.000

lavoratori regolari

9.380

tunisia romania

33%

rilascio permesso di soggiorno

ato ordin sub ro o v

protezione in 18% nto familiareterna zio ime oggiorno ng s iu ta di r

1%ri co 2% ng ca

da 18 a 25 anni

3

60%

la

da 35 a 55 anni

4.620

67%

da 0 a 18 anni

da 25 a 35 anni

lavoratori irregolari

ro alt

algeria

le na

lavoratori agricoli

7%

93%

n.p. 7% SI 68% NO 25%

impiego attraverso caporale

altro altro contratto tempox X contratto tempo NOcontratto contratto NO contratto 1 anno contratto <1< anno contratto <1< mese contratto 1 mese

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CONDIZIONI ABITATIVE 88%

alloggi precari informali

case in affitto

n.p. 3%

3%

8%

materasso a terra 7%

letto con rete 90%

casa datore

su cosa dormono?

disturbi all’occhio disturbi mentali

7%

n° lavoratori

3%

malattie infettivo parassitarie

14%

traumatismi

2%

malattie osteomuscolari

22%

affluenza media nei “ghetti”

malattie apparato gastroenterico

principali malattie

16%

>1000

malattie apparato respiratorio malattie cute e sottocute

16%

21 dicembre 21 giugno

10%

21 giugno 23 settembre

23 settembre 21 dicembre

periodi

MAGGIORI IN EDIAMENTI IN ORMALI E RELATIVA A LUENZA MINIMA E MA IMA DI PER ONE DURENTE TUTTO L’ANNO Villa Literno

Caserta

Ghetto di Parete

Napoli

CASTEL VOLTURNO E PIANA DEL SELE

Salerno

Eboli e Capaccio

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3.2

CALABRIA Nel 1950 la Piana di Gioia Tauro era caratterizzata da zone boscose. In seguito a grandi lotte queste terre, ricadenti nella zona di pertinenza di Rosarno, furono conquistate dai braccianti e contadini che con il tempo riuscirono a trasformare questi boschi in bellissimi giardini. Negli anni Ottanta in questi giardini la manodopera stagionale era quasi esclusivamente italiana, ma a partire dagli anni Novanta arrivarono i primi braccianti “stranieri” principalmente magrebini e migranti dall’Est Europa. Vent’anni dopo il fenomeno si trasformò. I migranti lavoratori, provenienti principalmente dall’Africa Sub-Sahariana, arrivano tra Novembre e Marzo nella Piana per la raccolta degli agrumi per un totale nel 2014 di 8000 lavoratori in tutta la Calabria di cui 3000 solo nei territori della Piana. Nel Gennaio 2010 c’è stata una prima rivolta dei braccianti di Rosarno impegnati nella raccolta degli agrumi. Questa nasce in seguito a degli spari da parte di due giovani in auto contro ragazzi extracomunitari di ritorno dai campi. Prima della grande rivolta di Rosarno del 2010, i braccianti senza dimora alloggiavano nei casolari abbandonati nelle campagne della Piana (Rizziconi e Taurianova). Qualcuno riusciva ad affittare una casa nei piccoli centri urbani ma la maggior parte occupava grandi strutture fatiscenti come ex stabilimenti industriali in disuso. Nel comune di Rizziconi si trovava, nei terreni confiscati alla criminalità organizzata, l’insediamento la “Collina” costituito da due grandi casolari disabitati in cui trovavano alloggio circa 600 lavoratori. A Rosarno, invece, vi era la “Rognetta” un ex stabilimento scoperchiato di trasformazione del succo d’arancia, all’interno del quale erano sistemate decine di baracche con il tetto in lamiera e circa 400 abitanti. A San Ferdinando, si trovava la “Cartiera” ossia la “Modul System”, successivamente abbandonata, costruita con i finanziamenti della legge 488 per l’agevolazione delle attività produttive nel Mezzogiorno.

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Nel 2009 questa viene murata e gli abitanti si trasferiranno all’Opera Sila, ex oleificio nel comune di Gioia Tauro, in cui trovano alloggio, nei periodi di massimo afflusso, più di 1000 braccianti, sistemati anche all’interno dei silos per l’olio. Una prima soluzione d’accoglienza da parte delle istituzioni arriva nel 2011 con un campo container nella contrada Testa dell’Acqua, nel comune di Rosarno, che riesce ad ospitare 120 braccianti e gestito dall’associazione “Il mio amico Jonathan”. Coloro che non trovano posto nel campo iniziano a occupare il rudere della Pomona di Rosarno occupando le vecchie case del borgo, un casolare del comune di Taurianova e diverse strutture abbandonate nei campi della Piana. Qualcun altro si sistemerà nell’ex cooperativa “La Fabiana”. Nel 2012 arriva una seconda soluzione al problema dell’accoglienza dei lavoratori stagionali ovvero la tendopoli di San Ferdinando, allestita dal Ministero dell’Interno nella zona industriale, in cui trovano posto 300 persone, e gestita come il campo container dall’associazione “Il mio amico Jonathan”. Questa però col tempo si trasformò in una baraccopoli con più di 1000 migranti. Per la gestione la Regione Calabria stanziò 55.000 euro, ma in ben poco tempo la tendopoli rimase senza gestore. Successivamente, il 17 Dicembre 2013 la tendopoli viene chiusa a causa di un rapporto da parte dell’Azienda sanitaria locale sulle condizioni igienico-sanitarie. Gli abitanti verranno sistemati in un nuovo campo che, causa l’assenza di un gestore, ripresenterà le stesse problematiche della tendopoli precedente. Nel 2014 furono abbattute le nuove baracche senza prevedere un piano d’accoglienza alternativo. In Ottobre il Comune di Rosarno stanziò 19.000 euro per la gestione del campo container affidata ancora una volta all’associazione “Il mio amico Jonathan”.

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Questo portò ad occupare un nuovo edificio nella zona industriale “La Fabbrichetta” sprovvisto di servizi igienici e impianto elettrico. La tendopoli, nonostante l’abbattimento delle baracche, continua a vivere in uno stato di sovraffollamento. Alla fine del 2014 furono stanziati 100.000 euro dalla Regione Calabria per la gestione della tendopoli, di cui una parte (15.000 euro) servirà per la gestione affidata alla Caritas, mentre il rimanente per pagare i consumi e le spese per l’impianto elettrico. Nel 2012 fu avviato il “ Villaggio della Solidarietà” nell’ex Beton Medma, un bene confiscato alle ‘ndrine, costituito da due moduli prefabbricati. E’ costato quasi 2.000.000 di euro al Ministero dell’Interno, ma ciò nonostante ancora non è stato ultimato. L’unico percorso d’accoglienza valido si registra nel borgo di Drosi, vicino a Rizziconi, dove un gruppo di cittadini ha messo a disposizione stagionalmente delle case disabitate con un canone d‘affitto piuttosto ridotto. Di 600 migranti quasi 200 trovano alloggio in queste case. Questo è stato possibile grazie all’aiuto della Caritas che si è proposta come garante dei lavoratori. (MEDU, 2015)

“A queste condizioni si riesce in alcuni casi a fare fronte grazie a forme di solidarietà diffusa (offerte di vario genere come cibo, vestiti e altri generi di prima necessità, a volte anche alloggio) da parte della popolazione locale, a volte organizzate da associazioni di volontariato o d’impegno sociale, in altri casi promosse da persone e famiglie in modo spontaneo. Solidarietà e dinamiche di aiuto che in qualche modo sembrano stridere con i conflitti scoppiati nel 2010 tra migranti e popolazione locale”. (Dedalus, 2012).

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7,8,9,10. La tendopoli di Rosarno trasformatasi in un nuovo ghetto (dal sito Meltingpot.org http://www.meltingpot.org/ Orange-juice-Reportage-daRosarno-20142.html)


8

7

9

10

33


DATI GENERALI 5%

95%

popolazione italiana residente

popolazione straniera residente

1.885.277

91.354

POPOLAZIONE TOTALE RESIDENTE

romania 34,5%

1.976.631

ucraina 6,8% marocco 15,4%

ANALISI BRACCIANTI AGRICOLI STRANIERI E LORO SITUAZIONE LAVORATIVA 10%

marocco 90%

lavoratori agricoli

algeria

16.000

lavoratori regolari

tunisia 77%

lavoratori irregolari

12.320

3.680

23%

romania

ri ta

vi moti umanu

da 35 a 55 anni

%

da 25 a 35 anni

rilascio permesso di soggiorno

e nal zio na

da 18 a 25 anni

28% vo alt 12% la ro subo 18% proteziordina ro t familiare ne in o ento te r gim ggiorno un di so a 38

2%ri co 2% ngi ca rt

da 0 a 18 anni

n.p. 5% SI 64% NO 31%

impiego attraverso caporale

altro altro contratto tempo tempo Xx contratto NO contratto NO contratto <1 < 1 anno contratto contratto contratto <1 < 1 mese mese

34


CONDIZIONI ABITATIVE n.p. 9% 1%

case in affitto

17%

79%

alloggi precari informali

disturbi all’occhio

3%

disturbi mentali

10%

2%

malattie infettivo parassitarie

malattie apparato gastroenterico

3%

traumatismi

7%

malattie osteomuscolari

16%

casa datore

disturbi cardiocircolatorio

principali malattie

malattie apparato digerente

23%

materasso a terra 17%

letto con rete 74%

su cosa dormono?

n° lavoratori

affluenza media nei “ghetti”

16%

> 1000

malattie apparato respiratorio malattie cute e sottocute

21%

21 dicembre 21 giugno

4%

21 giugno 23 settembre

23 settembre 21 dicembre

periodi

MAGGIORI IN EDIAMENTI ORMALIAFFLUENZA E RELATIVAMINIMA A LUENZA MINIMA E MA IMA DI PERTUTTO ONELʼANNO DURENTE TUTTO L’ANNO MAGGIORI ALLOGGI INFORMALI EINRELATIVA E MASSIMA DI PERSONE DURENTE Rosarno >400 persone

San Ferdinando 600 persone

PIANA DI GIOIA TAURO

Catanzaro

Rizziconi max 600 persone

Reggio Calabria

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3.3

BASILICATA Nella zona del Vulture-Alto Bradano sono presenti una decina di casolari abbandonati in cui ogni anno, tra Luglio e Settembre, vivono un migliaio di braccianti stranieri impegnati nella raccolta del pomodoro. I flussi nella zona di Vulture-Alto Bradano sono iniziati nella seconda metà degli anni Ottanta quando sbarcarono tanti braccianti provenienti dal Maghreb (tunisini, marocchini, algerini). Gradualmente questi sostituirono la manodopera locale, affollando sempre più insediamenti informali nell’area di Palazzo San Gervasio. Nel 1998 viene aperto il primo centro d’accoglienza, che avrebbe dovuto ospitare 200 braccianti, ma che nella realtà ne ospiterà più di 800. Nel 2009 il centro fu chiuso e i lavoratori stranieri si stanziarono nei casolari abbandonati della contrada Boreano e Mulini Matinelle (Venosa). Nel 2011 apre il CAI, Centro di Accoglienza e Identificazione, per accogliere i migranti della Emergenza Nord Africa, che successivamente verrà trasformato in CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) chiuso lo stesso anno. Il governo Monti stanziò 3.000.000 di euro per la ristrutturazione, ancora in opera, dello stabile. I principali comuni interessati alla raccolta del pomodoro sono Lavello, Palazzo san Gervasio, Montemilone e Venosa. Secondo i dati della Task Force istituita nel Giugno 2014 dalla Regione, le aziende dedite alla produzione sono 300, e gli ettari adibiti circa 1500, anche se stimare gli ettari risulta molto difficile poiché trattandosi di una coltivazione di “transizione” spesso i terreni vengono affittati. Secondo i dati di Medici per i Diritti Umani (MEDU) nel 2014 gli insediamenti più popolati son due: il primo in zona Boreano a circa 20 chilometri da Venosa, il secondo lungo la strada Mulini Matinelle a pochi chilometri di distanza da Palazzo San Gervasio. Entrambi erano composti da una decina di casolari della riforma fondiaria, in cui nella stagione di raccolta trovavano alloggio circa 800 persone in totale.

36


La raccolta del pomodoro si distingue dalle altre coltivazioni perchè i salari sono più alti, tra i 57 e i 76 euro, il periodo di raccolta è più breve, dai 30 ai 60 giorni, ma le condizioni di lavoro sono decisamente estenuanti. “Lavorare il più possibile, in un breve lasso di tempo, per guadagnare il più possibile”. L’art. 15 del “Contratto Provinciale di Lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Potenza” stabilisce che “ai lavoratori migranti venga fornito una adeguata sistemazione abitativa per tutto il periodo della fase lavorativa”. Ovviamente ciò non avviane, per questo la maggior parte dei braccianti vive nei casolari abbandonati. Solo a fine stagione del 2014 sono state installate delle cisterne di proprietà della Caritas in contrada Boreano. Queste sono state rifornite grazie ad un accordo tra Regione Basilicata e Acquedotto Lucano che ha concesso gratuitamente il prelievo dell’acqua. L’accordo però è arrivato a stagione conclusa in occasione dell’apertura del centro di accoglienza di Venosa. Il 3 Agosto del 2014 a causa di un cortocircuito di un generatore sono state distrutte tre baracche in contrada Boreano. Il responsabile dell’area urbanistica del comune di Venosa ha attribuito la responsabilità penale ai proprietari dei casolari. La regione Basilicata per far fronte al problema dell’accoglienza e della tutela dei lavoratori stagionali, nel Luglio 2014 ha avviato una Task Force. (MEDU, 2015)

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11

12

36


Dall’articolo “Basilicata, raccolta del pomodoro. Una storia che si ripete” di Franco Brizio(10/12/2014) su La Stampa Tutto Green: Palazzo San Gervasio, Basilicata. Anni ’80. Un folto gruppo di nord africani si affolla intorno alla fontana del fico. Fa caldo, c’è bisogno d’acqua e quella è una delle poche fontane della zona. Il lavoro nei campi inizia presto, è stancante e paga poco, tutto a nero. Senza una casa, si è costretti a selezionare bene le priorità. L’acqua è una di queste. Palazzo San Gervasio, Basilicata. Anni 2000. Più di 800 lavoratori stranieri affollano un centro di accoglienza pensato per ospitarne 200. Quando nel 2009 il centro viene chiuso per violazione delle norme igieniche e di sicurezza, i lavoratori decidono di occupare alcuni casolari abbandonati della riforma fondiaria degli anni ’50. Palazzo San Gervasio, Basilicata. 2014. Un folto gruppo di africani, soprattutto Burkinanè, si affolla tra le case abbandonate della riforma fondiaria degli anni ’50. Il lavoro nei campi inizia presto, è stancante e paga poco. Lavoro grigio e lavoro nero. Senza una casa normale, si è costretti a selezionare bene le priorità. L’acqua si prende alle fontane con le taniche, i tetti si aggiustano con nylon bianchi. Palazzo San Gervasio, Basilicata. Settembre 2014. Un centinaio di lavoratori trova ospitalità in un centro aperto a stagione quasi conclusa dalla Task Force della Regione Basilicata in un Ex-Tabacchificio. Un altro centinaio ha deciso invece di spostarsi nelle tende blu allestite a Venosa, ad una ventina di chilometri.

11. baracche nella zona di Boreano (http://www.osservatorio migrantibasilicata.it /2016/06/09/lettera-rosarnoverita-giustizia-sekine-traore/) 12. baracche nella zona di Boreano (http://www.trmtv.it/home/ attualita/2016_01_30/104035. html)

39


DATI GENERALI 3%

97%

popolazione italiana residente

popolazione straniera residente

559.651

16.968

POPOLAZIONE TOTALE RESIDENTE

romania 42%

576.619

albania 10% marocco 9%

ANALISI BRACCIANTI AGRICOLI STRANIERI E LORO SITUAZIONE LAVORATIVA

ANALISI BRACCIANTI AGRICOLI STRANIERI E LORO SITUAZIONE LAVORATIVA 2% 98%

Burkina Faso

lavoratori agricoli

Costa d’Avorio

4.500

Ghana

8%

92%

lavoratori regolari

lavoratori irregolari

4.110

360

Romania

da 0 a 18 anni

%

ri

30%

tivi uman ut mo a

ato rdin bo su

da 35 a 55 anni

altro 17%

da 25 a 35 anni

rilascio permesso di soggiorno

ione intern lavo azi ro rotez on ento fam %p 12 iungim gior iliare ale no g ng a di so rt 32

da 18 a 25 anni

5% 4% rico ca

n.p. 19% SI 70% NO 11%

impiego attraverso caporale

altro altro contrattotempo tempo xX contratto NO NOcontratto contratto contratto contratto<1 < 1anno anno contratto contratto<1 < 1mese mese

40


CONDIZIONI ABITATIVE 1%

98%

1%

98%

n.p. 9% 1%

alloggi precari alloggi informali precari informali

case in affitto case in affitto

disturbi all’occhio

5%

disturbi mentali

3%

malattie infettivo parassitarie

traumatismi

2%

principali malattie

32%

disturbi sistema cardiocircolatorio

affluenza media nei affluenza “ghetti” media nei “ghetti”

>1000

2%

>1000

malattie apparato respiratorio

15%

malattie osteomuscolari

n° lavoratori n° lavoratori

malattie apparato genito urinario

malattie cute e sottocute

materasso a terra 77%

su cosa dormono? su cosa dormono?

2%

15%

malattie apparato gastroenterico

letto con rete 14%

casa datore casa datore

21 dicembre 21 giugno 21 dicembre 21 giugno

14%

21 giugno 23 settembre 21 giugno 23 settembre

23 settembre 21 dicembre 23 settembre 21 dicembre

periodi periodi

3%

MAGGIORI IN EDIAMENTI IN ORMALI E RELATIVA A LUENZA MINIMA E MA IMA DI PER ONE DURENTE TUTTO L’ANNO Contrada Boreana Contrada Boreana 50-400 persone 50-400 persone

VULTUREALTO VULTUREBRADANO ALTO BRADANO

Venosa Venosa 50-400 persone 50-400 persone Potenza Potenza

Matera Matera

Palazzo San Gervasio Palazzo San Gervasio 50-1000 persone 50-1000 persone

41


3.4

PUGLIA Nella provincia di Foggia, nel territorio storicamente conosciuto come “La Capitanata”, sono 20.000 (dato riferito al 2014) i migranti provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Africa impegnati nel settore agricolo, durante tutto l’anno per la raccolta di ortaggi e frutta, nel periodo estivo, ossia da Luglio a Settembre, nella raccolta del pomodoro. I mesi estivi sono quelli in cui si registrano i picchi più alti di presenze di lavoratori. Il settore agricolo pugliese, nonostante la crisi economica, è rimasto sempre piuttosto competitivo con 1940 imprese con marchio registrato. Le esportazioni nel 2013 sono aumentate del 4,9% e nel 2014 del 2,4%. Inoltre dal 2007 al 2013 la Sau, Superficie Agricola Utilizzata, è aumentata vertiginosamente. Visto, dunque, l’aumento di produzione, la manodopera straniera risulta fondamentale. In totale i lavoratori impiegati sono circa 40.000 la maggior parte impiegati in nero. Durante la stagione di raccolta del pomodoro i lavoratori stranieri nella provincia di Foggia saranno circa 6.000. Questi vivono in insediamenti precari tra casali fatiscenti e baracche le cui condizioni di vita e igienicosanitarie sono estremamente critiche. Il principale insediamento informale della zona della Capitanata, sorto più di 16 anni fa è il “Gran Ghetto di Rignano”, localizzato tra i comuni di Foggia, San Severo e Rignano Garganico, all’estremità nord Orientale del Tavoliere delle Puglie. Ospita mediamente tra 300-400 immigrati durante tutto l’anno e oltre 1.500 nella stagione estiva. Il ghetto è costituito da fabbricati risalenti alla riforma agraria, abitazioni costruite alla metà degli anni 50, e da baracche e costruzioni di fortuna che sorgono nei pressi delle abitazioni in muratura. Le abitazioni rurali sono 8 ognuna abitata da una comunità etnica omogenea. Le baracche sono realizzate con materiali di scarto come legno, plastica e lamiera, e distribuite in fila ordinata, lungo strade molto strette che creano un reticolo.

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I bagni chimici e l’acqua potabile vengono forniti dalla Regione attraverso il comune di San Severo, ma manca un sistema di smaltimento dei rifiuti, l’elettricità, i riscaldamenti e un sistema di reti fognarie. “Le condizioni abitative nel Ghetto di Rignano rappresentano una forma di violazione non solo del diritto del lavoro, perché la legislazione in materia di lavoro stagionale prevede che sia il datore di lavoro a fornire l’alloggio, ma anche una forma di violazione del diritto ad un alloggio dignitoso”. (Dedalus, 2012) “Le comunità migranti ricreano spazi di convivenza comunitaria in condizioni di vita estreme, dove resistono spazi di solidarietà umana e di mutuo aiuto”. (Dedalus, 2012) E’ importante sottolineare che per molti lavoratori il Ghetto rappresenta un luogo di grande sicurezza e socialità seppur nelle difficoltà e nelle ristrettezze. Esistono altri ghetti nella zona oltre a quello di Rignano: Il “Ghetto Ghana House” in zona Borgo Tre Titoli a 10 chilometri da Cerignola; il “Ghetto dei Bulgari”, nei pressi di Borgo Mezzanone a circa 20 chilometri da Foggia con accampamenti che ospitano circa 600 persone. Si tratta principalmente di Rom impiegati nel periodo da Marzo a Ottobre. A Borgo Mezzanone 500 migranti vivono inoltre nelle strutture prefabbricate nella pista dell’ex aeroporto militare vicino al Cara (Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo) e circa 150 rumeni in una baraccopoli lì vicino.

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I nomi dei vari ghetti dimostrano come gli aggregati informali spesso sono abitati da persone di stessa nazionalità, in quanto in questa situazione prevale il senso di appartenenza a uno stesso gruppo e risulta fondamentale l’aiuto di una persona che parli la tua stessa lingua. Fino al 2014, l’unico intervento di accoglienza attivato era stato quello dell’“Albergo Diffuso” introdotto tra il 2006 e 2007 in seguito alla legge regionale n° 28/2006. Attualmente ne esistono tre, a Foggia, Cerignola e San Severo, in grado di accogliere complessivamente 230 persone. Uno di questi, Casa Sankara, nato dall’idea di due senegalesi Mbaye Ndaye e Papa Latyr Faye (alias Hervé), insieme a Tonino D’Angelo, responsabile di Art Village di San Severo, e il supporto di Libera, della CGIL-FLAI di Foggia e delle cooperative “Pietra di scarto” e “L’Albero di pane”. Nel 2013 la Regione Puglia ha avviato una Task Force con l’intento di superare il Ghetto e lo sfruttamento lavorativo. (MEDU, 2015)

“Eccolo, il Ghetto, la città informale. C’è autorganizzazione e solidarietà. C’è illegalità, anche. C’è sfruttamento…” (https://cittaecitta.wordpress.com/tag/braccianti/)

44

17-22. “Dentro il ghetto di Rignano” (reportage di Lello Saracino. http://cgilpuglia.it/files/news/ GALLERIA-FOTOGRAFICA-labaraccopoli-nel-ghetto-diRignano-1952)


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18

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20

22

45


15

16

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“Già, la pista. Tremila metri di lunghezza per 30, un deposito carburanti, due bunker e qualche hangar, è stato usata da americani e britannici durante la guerra come aeroporto per i bombardieri militari. Un lungo abbandono e poi, accanto alla pista, ecco l’arrivo di un Cie (centro identificazione e espulsione) che poi è diventato un Cara, centro accoglienza richiedenti asilo. Chi abita lì dentro non è segregato legalmente, ma lo è nei fatti. Cancelli e guardia armata all’ingresso e poi, se si gira attorno alla struttura, non buchi ma voragini nella recinzione. Durante un’emergenza, l’affollamento del Cara è stato affrontato allestendo container lungo la pista, una surreale fila di container da un lato e, più radi, gli edifici per i bagni dall’altro. Finita l’emergenza, i container sono stati occupati da senza casa, per lo più braccianti africani, che dormono nei vecchi letti a castello. Non è una città, non ci sono spazi comuni, niente che sia una piazza se non lo spazio davanti “casa”, anche se c’è qualche bar e una chiesa pentecostale. Di giorno i container sono roventi, ci si va solo per dormire e per il pasto della sera. Quest’anno, nel pomeriggio, ci sono anche la scuola di italiano e la ciclofficina, gestiti da volontari italiani.” (https://cittaecitta.wordpress.com/tag/braccianti/)

15. pista Borgo Mezzanone (dal blog di Luigi Piano http://www.luigipaiano.it / pillole-di-iocisto2015/) 16. pista Borgo Mezzanone (http://www.barinedita.it/ inchieste/n2174-foggiasu-una-pista-di-atterraggiovivono-mille-migranti-sono-gli-%E2%80%9Cinvisibili %E2%80%9D)

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DATI GENERALI 3%

97%

popolazione italiana residente

popolazione straniera residente

3.979.767

110.338

POPOLAZIONE TOTALE RESIDENTE

romania 27,3%

4.090.105

albania 20% marocco 7,7%

ANALISI BRACCIANTI AGRICOLI STRANIERI E LORO SITUAZIONE LAVORATIVA

ANALISI BRACCIANTI AGRICOLI STRANIERI E LORO SITUAZIONE LAVORATIVA marocco

17% 83%

lavoratori agricoli

senegal

40.707

albania romania

lavoratori regolari

lavoratori irregolari

21.570

19.137

47%

53%

n.p. 32%

SI 68%

impiego attraverso caporale

tari nu

ale o to azion a ern nt motivi um a 6%

da 35 a 55 anni

a

3

da 25 a 35 anni

rilascio permesso di soggiorno

rta

da 18 a 25 anni

10% lavoro 32% 17% protesubo altr zi rd mento familiaone in ngi re i io giu di sogg rno

3%r i 2% con c

da 0 a 18 anni

altroaltro contratto tempo X contratto tempo x NO contratto NO contratto contratto < 1 anno contratto <1 anno contratto < 1 mese contratto <1 mese

48


CONDIZIONI ABITATIVE n.p. 2%

3% 13%

84%

case in affitto

alloggi precari informali

materasso a terra 8%

letto con rete 90%

casa datore

su cosa dormono?

disturbi mentali

disturbi all’occhio

3%

n° lavoratori

2%

malattie infettivo parassitarie

affluenza media nei “ghetti”

10%

traumatismi

7%

malattie osteomuscolari

24%

principali malattie

>1000

malattie apparato respiratorio malattie cute e sottocute

16%

21 dicembre 21 giugno

4%

21 giugno 23 settembre

23 settembre 21 dicembre

periodi

MAGGIORI IN EDIAMENTI IN ORMALI E RELATIVA A LUENZA MINIMA E MA IMA DI PER ONE DURENTE TUTTO L’ANNO Rignano San Severo 400-2000 persone

CAPITANATA Foggia

Borgo Mezzanone

Bari

500 persone Lecce

Nardò >300 persone

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3.5

BUONE PRATICHE: TASK FORCE BASILICATA E PUGLIA CENTRO ACCOGLIENZA PALAZZO SAN GERVASIO E VENOSA (BASILICATA): Come visto precedentemente la zona del Vulture-Alto Bradano è quella più interessata al fenomeno della ghettizzazione dei lavoratori stagionali stranieri impegnati nella raccolta del pomodoro. Qui il bracciante in genere lavora per l’intera durata delle due fasi in cui si articola la raccolta del pomodoro, in media 4,5 giorni alla settimana per 7,5 ore al giorno, guadagnando circa 36 euro. Alloggiano in baracche e strutture fatiscenti in cui sono assenti gli allacci alla corrente elettrica, all’acqua, i servizi igienici, i servizi di smaltimento rifiuti e qualsiasi forma di igiene. La regione Basilicata per far fronte al problema dell’accoglienza e della tutela dei lavoratori stagionali, nel Luglio 2014 ha avviato una Task Force. Sono due gli interventi prioritari: il primo relativo al lavoro il secondo relativo all’accoglienza. A stagione quasi conclusa sono state aperte due strutture: la prima il 4 Settembre 2014 nell’ex tabacchificio di Palazzo San Gervasio di proprietà della Regione (300 posti), la seconda a Venosa il 19 Settembre 2014 in un terreno di proprietà privata in cui sono state montate 21 tende per accogliere 230-250 persone. All’interno sono stati allestiti fornelli e cucine per fornire la possibilità di preparare in maniera autonoma i propri pasti. Inoltre all’interno esistono mezzi di trasporto, come biciclette, e linee autobus che aiutano i lavoratori negli spostamenti da e per il luogo di lavoro. Queste strutture sono gestite dalla Croce Rossa che insieme alla Regione, ai comuni interessati e alla provincia hanno firmato una delibera datata 21 Ottobre 2014. Per quanto concerne il lavoro la Task Force prevede l’introduzione di un Bollino Etico, una certificazione a cura del Dipartimento Agricoltura della Regione Basilicata, rilasciato alle aziende che dimostrano di non aver ricorso al lavoro nero e di aver partecipato alle iniziative della

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regione. Inoltre la Task Force prevede l’introduzione delle liste di protezione istituite presso i Centri per l’Impiego o grazie a sportelli mobili delle associazioni e enti di categoria. Solo coloro che risultano iscritti alle liste hanno accesso ai “centri d’accoglienza”. La Task Force è ancora in fase di sperimentazione ma possiamo già rilevare alcuni importanti risultati. Nella raccolta del pomodoro del 2014, sarebbero stati 914 i lavoratori extracomunitari occupati e 212 le aziende che avrebbero effettuato assunzioni regolari e ottenuto il bollino etico. Nel 2015, invece, i lavoratori impiegati regolarmente sono stati 800 circa, dato ancora in via di verifica. Ovviamente il progetto presenta diversi ostacoli e tra questi troviamo secondo Pietro Simonetti, coordinatore della Task Force per l’immigrazione, le attività dei caporali, “impediscono l’accesso ai campi per ‘spremere’ meglio i migranti attraverso il pagamento dei posti in baracca e l’accesso ai trasporti”. Gli “sfruttatori” della manodopera straniera “trattengono i documenti dei migranti per evitare la libera circolazione e quindi la registrazione nei centri”.

“CAPO FREE GHETTO OFF” CASA SANKARA (PUGLIA) Per rispondere concretamente al problema dei lavoratori immigrati agricoli, nel 2013 la Regione Puglia ha avviato una Task Force con l’intento, nello specifico, di superare il “Gran Ghetto” e lo sfruttamento lavorativo. Il primo passo fu l’approvazione della delibera “Capo Free, Ghetto Off “e la conseguente istituzione di una Task Force coordinata dal Servizio Politiche giovanili e Cittadinanza sociale – Ufficio Immigrazione, in collaborazione con la Prefettura di Foggia e con il coinvolgimento di cinque Assessorati (Welfare, Lavoro, Risorse Agroalimentari, Bilancio e Sviluppo economico). Il tentativo è quello di risolvere il problema secondo diversi punti di vista: lavoro, accoglienza, assistenza sanitaria, trasporti, tutela legale, contrasto caporalato, e sostegno imprese etiche.

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Per quanto riguarda il problema abitativo, la Task Force prevedeva lo smantellamento del ghetto entro l’estate 2014 sostituendolo con “un piano d’accoglienza diffusa dei lavoratori migranti stanziali e una rete distribuita di aree attrezzate per l’accoglienza dei migranti stagionali”. Le soluzioni sono dunque due: una consta nel potenziamento degli alberghi diffusi l’altra nell’allestimento da parte della Protezione Civile di cinque Tendopoli, ognuna in grado di ospitare minimo 250 massimo 500 persone. Alle associazioni di volontariato spetta l’organizzazione dell’attività di tutela legale, sanitaria e della socializzazione. Per gli abitanti stabilmente presenti, si prevede un eco-villaggio, “Casa Sankara”, nelle campagne di San Severo. Si tratta di un eco-villaggio che sorge su un terreno di 20 ettari di cui, in una piccola parte troveranno spazio due case prefabbricate in legno e paglia, realizzate in autocostruzione, mentre i restanti ettari verranno usati per la coltivazione del pomodoro che in un secondo momento entrerà nella rete commerciale di “AltroMercato”. Nel 2015 il centro apre le porte anche ai richiedenti asilo, rientrando così nel circuito degli Sprar (Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati). Per quanto riguarda il lavoro vengono istituite le liste di prenotazione presso i Centri per l’Impiego ed introdotto un sistema di incentivi per le aziende che assumono i lavoratori presenti nelle liste. Viene inoltre creato un marchio etico “EquaPulia” al fine di “favorire i prodotti provenienti da imprese che garantiscano rapporti di lavoro regolari e l’accoglienza dei lavoratori migranti”. Questo piano tuttavia presenta le sue problematicità. Come primo problema il ghetto non è stato smantellato. Gli stessi braccianti si rifiutano di trasferirsi poiché temono di non riuscire a trovare più un lavoro e perché le attività economiche all’interno del ghetto rappresentano un’importante fonte di sussistenza economica. Né il ghetto né gli altri insediamenti nel 2014 sono stati smantellati. Delle cinque tendopoli ne è stata allestita solo una in cui trovano alloggio appena 30 persone. Il ghetto a fine estate continuerà ad ospitare 400 persone ma nel

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2015 un incendio distrugge numerose baracche. Impressionante la velocità con cui questo è stato ricostruito. Stesso evento si ripresenterà nel Febbraio del 2016. “L’incendio del ghetto della provincia di Foggia afferma Emiliano è arrivato pochi giorni prima delle operazioni di sgombero dello stesso che la Regione Puglia e la prefettura di Foggia stanno attuando al fine di porre termine a una situazione inaccettabile dal punto di vista umanitario, igienico e di ordine pubblico. Già da mesi la Regione Puglia aveva predisposto il piano che prenderà emergenza per ricollocare i 300 lavoratori presenti nel campo, dapprima in strutture di accoglienza temporanea e dopo in strutture realizzate ad hoc.” (Foggia, incendio distrugge il ghetto degli immigrati. Emiliano: “Forse è un atto doloso” di Maria Grazia Frisaldi su Repubblica Bari (15/2/2016)) Sul piano lavorativo, delle 700 persone iscritte alle liste, solo 50 sono state assunte in piccole aziende sensibili di cui una afferente all’associazione “Libera”. Secondo l’associazione “Io ci sto”, che opera da anni con campi di volontariato in aiuto agli abitanti del “Gran ghetto”, il fallimento su più fronti del piano è da attribuirsi alla mancanza di controlli efficaci e a ragioni di convenienza. Inoltre, sostiene sempre “Io ci sto”, “il progetto della Task Force prevedeva tempi di esecuzione molto brevi e il percorso aveva coinvolto prima le istituzioni, poi le organizzazioni della società civile e, solo in ultimo, i lavoratori. Tutto al contrario, dunque”. La Regione Puglia ha comunque manifestato la volontà di continuare a impegnarsi nel percorso di legalità che ha coinvolto attori istituzionali, imprese, lavoratori, enti di tutela e organizzazioni della società civile e proseguire dunque con la sperimentazione.

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4.

IL CASO PARTICOLARE: IL GHETTO DI NARDÒ “C’è la puzza e la desolazione dei più miserabili campi profughi. C’è il ricordo delle baraccopoli, delle favelas, delle bidonville di mezzo mondo. Ma soprattutto c’è la terra, la gravida terra afflitta dalla xylella e dal caporalato. Accanto, una vecchia falegnameria distrutta.” (Tratto da “Ghetto Italia”, pag.23) La situazione dei braccianti stagionali impegnati nella raccolta di angurie e pomodori nelle campagne di Nardò non è diversa rispetto alle realtà descritte nei capitoli precedenti. Prima Masseria Boncuri poi l’ex Falegnameria di contrada Arene Serrazze, sono stati i ricoveri per tanti lavoratori stranieri obbligati a condizioni lavorative e abitative disumane. Dopo la rivolta da parte dei braccianti nell’Agosto del 2011 si sono ottenuti vari risultati. Nel campo adiacente a masseria Boncuri era stata allestito il primo campo d’accoglienza con le tende blu della Protezione Civile. Questo ha ospitato circa 200 lavoratori ma poco dopo è stato chiuso. I lavoratori si sono dunque trovati senza un luogo dove dormire. Il ghetto si spostò allora in contrada Arene Serrazze nell’ex falegnameria pericolante che per diversi anni ha dato alloggio a un gran numero di braccianti i quali hanno gestito gli spazi del fabbricato non solo con letti e materassi per dormire ma anche con piccoli ristorantini. Nel 2015 il fabbricato viene ceduto al comune che lo dichiara pericolante. Segue poco dopo la demolizione dell’immobile lasciando un’altra volta senza un riparo i braccianti. Gli anni successivi fino ad oggi il ghetto ha cambiato aspetto, gli alloggi sono delle baracche costruite con materiali di fortuna e i resti della demolizione. Il comune ha più volte riorganizzato i campi d’accoglienza, tendopoli, nel terreno preso in affitto vicino alla ex falegnameria. Ma gli interventi sono stati tardivi e il ghetto ogni anno continua a rigenerarsi.

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DENTRO IL GHETTO L’esperienza dentro il ghetto è stata piuttosto importante per capire le dinamiche sociali e le relazioni che vigono tra gli abitanti. La mia visita è avvenuta in un momento particolare, quando il ghetto era ancora in fase di allestimento e i braccianti lì giunti erano meno della metà dei 900 (circa) che poi sarebbero giunti in estate per la raccolta. Il ghetto sorge in un terreno in cui intorno ci sono solo campi coltivati con angurie, pomodori, carciofi e olive, distese infinite di colture di vario tipo. Ciò nonostante il terreno non risulta troppo distante dal centro di Nardò, 3 Km circa dal centro. Il ghetto, fatta eccezione per una baracca, sorge all’interno di un muro con tanto di cancello che gestisce l’accesso. Appena all’ingresso si possono notare subito le prime baracche dietro i pochi alberi presenti nel terreno. Tutte le baracche sono disposte in fila. La maggior parte è realizzata con materiali di fortuna ovvero teloni di plastica, legno, pallets, corde, tubi, tappi di bottiglia come chiodi ecc… Molte altre invece, caso strano in queste circostanze, sono costruite con i mattoni di risulta a seguito della demolizione. All’interno di ogni casa vivono minimo in 4 ma si arriva anche a gruppi di 7/8 spersone sotto lo stresso “tetto”. I servizi igienici sono inesistenti, sostituiti da una fossa scavata nel terreno e chiusa con dei teloni. Non c’è un servizio idrico, la Caritas provvede a lasciare nel campo dei bidoni d’acqua potabile. Tutto il campo è sommerso di rifiuti poiché non esiste un servizio di raccolta e smaltimento. I ragazzi della stessa nazionalità tendono a stare tutti insieme e poche volte si integrano con gli altri gruppi. Ciò nonostante all’interno si respira comunque un aria di solidarietà e di mutuo aiuto, caratteristica importante per delle persone che vivono la stessa drammatica situazione.

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“Getto di Nardò” Reportage fotografico di Silvia Pusceddu. Qui di fianco si riportano le varie tipologie di abitazione e il “bagno”

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“Ghetto di Nardò” Reportage fotografico di Silvia Pusceddu. Alcuni scatti in cui vengono rappresentati gli spazi comuni e i dettagli costruttivi delle baracche.

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5.

G ETTI NUOVI LUM D’ITALIA

Un insediamento informale si definisce come un’area densamente popolata, caratterizzata da abitazioni fatiscenti al limite degli standard minimi della dignità umana. Un insediamento informale spesso viene definito con il termine inglese “slum”, il quale però si riferisce a varie aggregazioni urbane non tenendo conto delle diverse caratteristiche che ogni insediamento presenta. Per tal motivo in ogni zona il termine slum cambia: in Brasile le chiamano favelas, in Francia bidonvilles, in Spagna barracas, in Africa mabanda, nei Paesi arabi medun safi, in India chawls/chalis ecc. Questo ci mostra come il fenomeno varia in base al luogo in cui si diffonde. Le caratteristiche, diciamo più comuni, per una baraccopoli, secondo UN-Habitat, sono: assenza di servizi base; abitazioni al di sotto degli standard minimi, decisamente inadeguati; sovraffollamento; condizioni di vita insalubri in ambienti pericolosi; occupazioni di terre spesso non destinate a fini residenziali o non appartenenti al tessuto urbano; grande povertà e esclusione sociale. Durante la riunione di un gruppo di esperti delle Nazioni Unite (EGM) tenutasi a Nairobi dal 28 al 30 ottobre 2002, è stata riformulata la definizione di baraccopoli con il quale termine ci si riferisce a una zona che combina, in varia misura, le seguenti caratteristiche: accesso inadeguato all’acqua potabile; inadeguato accesso ai servizi igienici e alle altre infrastrutture; abitazioni al di sotto degli standard minimi di qualità strutturale; sovraffollamento; incerto status residenziale. (UN-Habitat, 2003) Alla luce di quanto emerge dalla definizione di una baraccopoli è possibile definire i ghetti italiani come slums? Gli insediamenti dei lavoratori stranieri nelle campagne italiane presentano diverse caratteristiche che li accomunano a una qualsiasi baraccopoli del resto d’Europa (si parla d’Europa poiché in paesi come America Latina, India, Africa ecc. il fenomeno ha delle dimensioni molto più ampie sia in termini di popolazione che di estensione di terre occupate, che politico-sociali).

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Sorgono in terreni non edificabili, illegalmente, in cui non hanno accesso all’acqua potabile, alla rete elettrica, ai servizi igienici e non vi è un servizio di rimozione dei rifiuti. Le case, se così si possono definire, sono costruite con materiali di fortuna magari trovati sul luogo di lavoro come teli di plastica, legno, cartone, lamiera e spesso eternit. Sorgono lontane dalle infrastrutture, dai servizi pubblici, e lontano dagli ambulatori del servizio sanitario. Ciò che li differenzia è i loro carattere transitorio. I flussi di lavoratori che viaggiano sul territorio italiano, e non solo, conferiscono a questi “ghetti” un carattere assolutamente precario. Sono “pochi”, infatti, gli stanziali che vivono tutto l’anno nello stesso ghetto; gli altri si spostano da un ghetto all’altro seguendo il ciclo della raccolta e cambiando in termini di dimensione e forma l’aspetto dell’insediamento. La scelta del luogo dove creare il proprio insediamento non è del tutto casuale, ma quasi sempre in zone quanto più vicine al luogo di lavoro, nonostante queste si trovino piuttosto distanti dai centri abitati. Situazioni simili si registrano anche in altre zone d’Europa come nel sud della Spagna a “El Viso”, Almeria, in cui si registra che i lavoratori, principalmente di origine africana, impegnati nel settore agricolo, vivano in baracche ubicate nei pressi dei centri di maggiore produzione. Anche la “jungle” di Calais nel nord della Francia, insediamento formatosi nella frontiera tra Francia e Inghilterra da parte di migranti che vorrebbero oltrepassare la Manica per cercare “condizioni di vita migliori” nel Regno Unito, può essere definita come una baraccopoli nonostante le dinamiche che hanno portato alla genesi di questo insediamento informale siano diverse rispetto a quelle che generano i “ghetti” italiani. Ciò nonostante, a Calais le condizioni abitative non sono migliori né diverse da quelle riscontrate nel sud d’Italia. Si vive in mezzo al fango in condizioni igieniche precarie, senza acqua potabile, rete elettrica e un servizio di smaltimento dei rifiuti.

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E’ dunque possibile definire questi insediamenti come una nuova forma di slum: le dinamiche della loro genesi sono sicuramente differenti rispetto alle ormai consolidate favelas del Brasile o alle bidonvilles nella periferia di Parigi, ma senza un intervento che ne impedisca la crescita, presto potremo farli ricadere all’interno del termine slum tenendo ovviamente conto delle loro differenti caratteristiche.

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SECONDA PARTE L’ACCOGLIENZA


6. 6.1

PROGRAMMARE L’ACCOGLIENZA CAMPI D’ACCOGLIENZA E CAMPI PRO UG I Nel mondo vivono circa 20 milioni di persone in campi, ghetti o baraccopoli. I campi profughi, la maggior parte localizzati nei paesi del Sud del mondo, per definizione, sono i luoghi in cui vengono accolti i rifugiati, ovvero coloro che hanno subito guerre, discriminazioni e disastri ambientali; sono il prodotto dei conflitti mondiali e della difficoltà a far fronte ai disastri politici, ecologici e economici. I campi di accoglienza per sfollati (IDPs) differiscono dai campi profughi per il fatto che rimangono all’interno della giurisdizione nazionale e dei confini territoriali del Paese di origine, a prescindere dalle cause che spingono le popolazioni all’esodo di massa. (look out news, Pranzetti, 2015). Gli abitanti di questi campi per sfollati sono circa 6 milioni anche se è difficile quantificare questo gruppo di persone e ancora più difficile risulta quantificare coloro che vivono in campi auto-organizzati, anche detti ghetti o “jungle”, che si trovano lungo le frontiere e negli interstizi urbani. A questi si aggiungono altri due tipi di luoghi: i centri di detenzione e i campi di lavoro (Agier). I centri di detenzione sono luoghi in cui i migranti vengono trattenuti in attesa di un ritorno al loro paese d’origine. Questi si trovano principalmente in Europa e, secondo Agier, sono la forma di reclusione più grave poiché spesso i tempi di detenzioni risultano decisamente troppo lunghi. I campi dei lavoratori, nati prima nei paesi emergenti come il Brasile, il Sud Africa e la Cina, e successivamente sviluppatosi anche in Europa e Stati Uniti, seguono una logica puramente economica, di sviluppo agro-alimentare. Le persone che alloggiano in questa tipologia di campo sono spesso dei lavoratori “utili dal punto di vista economico” e poco desiderati a livello sociale. Nelle sue più varie forme, il fenomeno dell’“accampamento” ai margini dello Stato-nazione, a detta di Agier, rappresenta oggi un elemento fondamentale sul piano demografico e sociologico, poiché altera la percezione della frontiera costituendo al contempo una delle “emergenti forme di governance mondiale e di gestione dell’indesiderabile”.

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“Having a secure place to live is one of the fundamental elements for human dignity, physical and mental health and overall quality of life, which enable one’s development.” (The right to adeguate housing, Unhcr)

La realizzazione di un campo è sicuramente la soluzione più comune e immediata per dare una risposta al problema dei flussi migratori. Questo si riferisce a degli insediamenti creati ad hoc per un determinato numero di profughi. E’ impossibile fare una stima sulla durata del campo, ed è proprio per questo che il concetto di spazio, tempo e cittadinanza all’interno differisce notevolmente rispetto alla realtà esterna. Il campo generalmente viene costruito molto rapidamente come risposta a una emergenza, ma la sua struttura riserva diversi problemi: identità, abitudini, abitazioni, sicurezza e conflitti. Si genera dunque un grande divario tra dentro e fuori il campo. Il risultato è quello di una forma urbana priva di funzioni politiche ed economiche. La forma campo la si può definire dunque come un non-luogo ( Augé,1992). Si definiscono non-luoghi gli spazi architettonici e urbani di utilizzo transitorio, pubblico e impersonale, destinati a essere utilizzati in assenza di ogni forma di ‘appropriazione’ psicologica e in cui il movimento e orientamento dei fruitori è prevalentemente affidato alla segnaletica; si tratta di spazi altamente omologati e asettici, nei quali l’uomo contemporaneo vive per tempi significativamente lunghi. I campi sono dunque uno strumento per gestire masse in eccesso (Bauman, Vita di Scarti, 2004). Il campo così concepito risulta uno spazio in cui la dignità umana è limitata alle strategie di sopravvivenza. (Look out News, Marta Pranzetti, 2015) La durata influisce notevolmente sulle sue caratteristiche. Tempi lunghi, che superano la durata “d’emergenza”, fa si che la natura di “eccezionalità” e “temporaneità” di un campo venga rapidamente abbandonata lasciando il posto a soluzioni stanziali sia a livello urbanistico che “affettivo”. Questi diventano uno spazio di vita e socializzazione in cui i residenti modificando il luogo trovando il loro habitat. In tal modo il campo diventa un paesaggio ibrido tra villaggio e slum.

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6.2

ATTUALI MODELLI ABITATIVI D’EMERGENZA

ELTER

Costruire in situazioni d’emergenza significa progettare in condizioni particolarmente difficili ed estreme. In questi contesti risulta decisamente importante una adeguata programmazione dell’intervento e l’adozione di strategie progettuali che mirino a una costruzione autosufficiente che tenga presente le condizioni climaticoambientali e sociali del luogo in cui si interviene. In caso di emergenza è necessaria una soluzione veloce per aiutare e risistemare le persone colpite. Sono diverse le possibilità di insediamenti abitativi che possono generarsi come: gli insediamenti dispersi in famiglie ospitanti in contesti rurali o urbani e/o gli insediamenti raggruppati in centri collettivi o nei campi. A causa della grande quantità di persone bisognose, è spesso difficile fornire immediatamente soluzioni abitative permanenti nella prima fase postdisastro. (Corsellis & Vitale, 2005). Il periodo di soccorso si articola (con opportune semplificazioni) in tre fasi: una prima fase di pronto soccorso, una seconda fase di accoglienza temporanea e una terza fase che corrisponde poi all’individuazione di una soluzione definitiva. Naturalmente la scelta delle svariate soluzioni tecniche abitative varia a seconda della fase in cui ci si trova. Durante la prima fase si predilige una soluzioni tipo tenda o simili, per la sua rapidità di montaggio e i costi ridotti. La loro durata dipende dalla qualità dei materiali con cui sono realizzate, come sono conservate dopo l’uso, dal clima e da come sono trattata durante l’utilizzo. La seconda fase ha una durata variabile poiché rappresenta il periodo di attesa per una soluzione futura definitiva; per tal motivo in questa fase si preferisce sostituire le tende con case temporanee, container o simili ovvero con i “Transitional shelter”, soluzioni costruite con materiali più resistenti rispetto alla tenda. La terza fase consta nel ritorno agli edifici esistenti o di nuova costruzione. (Masotti, 2010)

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“The key to an adequate shelter is the provision of roofing material in line with climatic conditions and living habits of the refugees”. (UNCHR, 2007)

Con il termine shelter si intende, dunque, descrivere una condizione temporanea non convenzionale. Questo si differenzia dalla parola “abitazione” poiché quest’ultima sottintende un’idea di permanenza e normalità. Uno shelter (rifugio) è una “soluzione abitativa” usata per completare l’allestimento di un campo d’accoglienza. E’ uno spazio coperto, che fornisce ai gruppi, famiglie e chi risiede in esso un ambiente in cui vivere sano e sicuro. Shelter: Habitable covered living space, providing a secure, healthy living environment with privacy and dignity for the groups, families and individuals residing within it. (Shelter Center, 2012). I materiali e i metodi di costruzione dipendono dal luogo e dalle specifiche competenze e tecnologie usate nei paesi d’origine. La costruzione dello shelter e il suo successivo miglioramento, può essere gestito dal singolo individuo o gruppo che ne usufruirà. Questo porta a una riduzione dei costi, una reale corrispondenza con le necessità, promozione di un’identità culturale e un senso di appartenenza a una comunità. Nonostante il tipo di materiale usato esistono degli standard di costruzione minimi che dipendono dal clima: 3.5mq a persona in zone tropicali o calde fatta eccezione per le cucine, e un minimo di 4.5mq per le zone fredde incluse la cucina e i servizi. (UNHCR, 2007, p.221) Secondo le linee guida del Shelter Center di Ginevra gli alloggi temporanei devono soddisfare diverse caratteristiche quali: flessibilità, adattabilità, facilità di trasporto e montaggio. In base a quali caratteristiche risponde un alloggio viene classificato in quattro tipologie: upgradable (migliorabile); reusable (riutilizzabile); relocatable (trasferibile); resaleable (rivendibile); recyclable (riciclabile).

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“Human rights are interdependent, indivisible and interrelated. In other words, the violation of the right to adequate housing may affect the enjoyment of a wide range of other human rights and vice versa”. (“The Right to adequate housing”, UN-Habitat, pag.14)

Upgradable: while being inhabited, transitional shelter may be improved over time to become a permanent shelter solution. This is achieved through maintenance, extension or by replacing original materials for more durable alternatives. Migliorabile: la struttura, pur nascendo come ricovero transitorio, può essere migliorata e trasformata in una soluzione permanente. Questo è possibile attraverso la manutenzione, l’estensione o il riciclo dei materiali locali che conferiscono alla struttura un carattere permanente o semipermanente. Reusable: Transitional shelter is inhabited while parallel reconstruction activities are taking place. Once reconstruction is complete, the transitional shelter may be used for an alternative function, for example as an external kitchen, barn or shop. Riutilizzabile: Finita la fase di ricostruzione, l’alloggio temporaneo di emergenza può essere destinato ad altri usi ad esempio, come fabbricato per il ricovero di animali e attrezzi, come negozio, ecc. Relocatable: Relocation distinguishes transitional shelter from other shelter approaches. A relocatable shelter can be built on land where tenure is insecure or temporary. If land tenure issues are resolved on another site, the transitional shelter, or valuable parts of it, may be relocated to the permanent location. Trasferibile: L’alloggio temporaneo d’emergenza può essere costruito in varie terre la cui proprietà può essere incerta o temporanea. Quando i problemi relativi alla proprietà del terreno in cui verrà costruita l’abitazione saranno risolti, l’alloggio o gran parte di esso può essere trasferito in una location permanente. Resaleable: Transitional shelter is inhabited while parallel reconstruction activities are taking place. Once reconstruction is complete, the transitional shelter may be dismantled and its materials used as a resource to sell. Therefore, the materials and their fixings need to be selected so that they will be suitable for dismantling and resale.

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Rivendibile: Se in fase di progetto vengono usati dei materiali di buona qualità, gli elementi che costituiscono l’alloggio temporaneo possono essere venduti. Recyclable: Transitional shelter is inhabited while parallel reconstruction activities are taking place. The transitional shelter may be gradually dismantled during the reconstruction process and its materials used in the construction of a durable solution. Riciclabile: Molti materiali che costituiscono l’alloggio temporaneo, anziché essere venduti, posso essere riusati per convertire l’abitazione da temporanea a permanente. (Shelter Center 2012) L’alloggio temporaneo per l’emergenza viene comunemente chiamato dallo “Shelter Center” “Transitional Shelter” con il quale termine si intende un riparo costruito sia con materiali locali che importati, capace di offrire uno spazio abitabile sicuro nel periodo che intercorre fra il conflitto o la calamità naturale e la costruzione di una soluzione abitativa durevole. I requisiti dei diversi shelter vengono raggruppati in tre categorie: standard logistici, standard tecnici, standard socio-culturali. Ogni categoria si articola in sotto-categorie facenti riferimento a degli obiettivi specifici.

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Adequate housing must provide more than four walls and a roof. A number of conditions must be met before particular forms of shelter can be considered to constitute “adequate housing.� These elements are just as fundamental as the basic supply and availability of housing. For housing to be adequate, it must, at a minimum, meet the following criteria: Security of tenure: housing is not adequate if its occupants do not have a degree of tenure security which guarantees legal protection against forced evictions, harassment and other threats. Availability of services, materials, facilities and infrastructure: housing is not adequate if its occupants do not have safe drinking water, adequate sanitation, energy for cooking, heating, lighting, food storage or refuse disposal. Affordability: housing is not adequate if its cost threatens or compromises the occupants’ enjoyment of other human rights. Habitability: housing is not adequate if it does not guarantee physical safety or provide adequate space, as well as protection against the cold, damp, heat, rain, wind, other threats to health and structural hazards. Accessibility: housing is not adequate if the specific needs of disadvantaged and marginalized groups are not taken into account. Location: housing is not adequate if it is cut off from employment opportunities, healthcare services, schools, childcare centres and other social facilities, or if located in polluted or dangerous areas. Cultural adequacy: housing is not adequate if it does not respect and take into account the expression of cultural identity. (UN-Habitat, n.21, 2009)

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Costruire dei piccoli rifugi, “case temporanee”, consiste fondamentalmente nel realizzare nuovi insediamenti abitativi. E’ importante, che questi insediamenti, quando possibile, non si trovino estremamente distanti dal luogo vissuto precedentemente, quindi non distante dai centri abitati, a patto che non si tratti di gruppi di lavoratori come agricoltori e allevatori per i quali la vicinanza al luogo di lavoro, quindi le zone rurali, risulta fondamentale per poter continuare agevolmente la loro attività. Le dimensioni del nuovo insediamento abitativo devono essere proporzionate al numero di persone accolte per garantire loro una buona qualità di vita. (Masotti, 2010)

1. campo container di Rosarno (http://www.terrelibere.org / tutte-le-case-degli-africani-dirosarno/) 2. alloggi temporanei in cartone di Shigeru Ban 3. rifugio temporaneo IKEA per UNHCR

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6.3

LE TENDOPOLI La realizzazione di una tendopoli è il metodo più immediato per far fronte a una situazione d’emergenza abitativa. Questa viene costruita in aree idonee ossia salubri e servite almeno parzialmente dai servizi primari quali: l’allaccio alla rete elettrica, fognaria e idrica. Le tende e i servizi vengono posizionati in modo tale da lasciare liberi i percorsi carrabili. Una tendopoli, allestita seguendo lo schema degli accampamenti militari, è composta in genere da 50 tende capaci di ospitare fino a 8 persone ciascuna per un totale di 400 persone. Si formano i moduli tenda (in genere 16) ognuno dei quali disposto su due file da tre. In ogni modulo si possono ospitare fino a 36 persone che si riducono a 24-30 in caso di nuclei famigliari di 4/5 persone. Ogni tenda occupa uno spazio di 7x6 metri e le piazzole mantengono una distanza reciproca di minimo un metro tra di loro e di 4 metri dalla strada carrabile. Ogni tendopoli di circa 400 persone occupa una superficie di 6200 mq e necessita per lo meno di 10 strutture modulari per i servizi igienici (tipo container). La distanza tra modulo tenda e modulo servizi non deve superare i 50 metri e i percorsi di collegamento devono consentire un facile accesso sia ai mezzi che ai pedoni. Per il servizio mensa vengono predisposti dei moduli tenda in genere due da 12x15 metri affiancati a delle cucine da campo. (Masotti, 2010) “Ancora oggi il riferimento sia metodologico che operativo è il campo militare, con le sue semplici ed efficienti organizzazioni di campo e le attrezzature ed equipaggiamenti che sopperiscono in modo sicuro all’assenza o alla temporanea insufficienza delle strutture primarie. La logica progettuale è proiettata verso l’efficienza tecnologica degli insediamenti, “una logica strategica autonoma, scevra di qualsiasi mitologia di funzionalità e ideologia nomadistica” che risponde, seppur attraverso studi e modelli organizzativi a scala urbana, la serialità e l’asetticità d’insieme che caratterizzano negativamente le esperienze precedenti.” (Anzalone, 2008)

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4,5,6. tendopoli di Nardò (foto di “Diritti a Sud”) 7. tendopoli di Rosarno (http://www.terrelibere.org / rosarno-il-clima-d-odiouccide/)


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6.4

RIPEN ARE L’ACCOGLIENZA UNA NUOVA RISPOSTA AL DISAGIO ABITATIVO La forma campo risulta essere la soluzione più immediata e di facile realizzazione per rispondere a una situazione di emergenza. Ma per come questa è concepita genera, il più delle volte, un luogo asettico in cui non trovano posto gli spazi per la socializzazione e aggregazione. Viene meno, dunque, quella rete di relazioni, articolata tra pubblico e privato, presente non solo nei centri urbani ma anche negli insediamenti informali. La vita nei ghetti è fatta di relazioni, di mutuo aiuto tra le persone che lo vivono. Esiste un senso di appartenenza a un gruppo, una comunità che vive una stessa situazione. Le tendopoli, campi container, di accoglienza, per rifugiati, seguono tutti uno stesso schema ripetitivo. File di tende disposte in linea, dove instaurare una relazione pubblico-privato risulta particolarmente difficile oltre a non permettere alcun contatto comunitario. Il progetto propone un’alternativa allo schema militare. Una pianificazione urbana in grado di alternare spazi pubblici a spazi privati, generare un “senso di vicinato” in modo da permettere a chi vi abita di instaurare dei legami in un ambiente a loro non ostile che favorisca l’aggregazione e il senso di comunità. La durata di un campo non è mai prevedibile, può durare qualche mese oppure diversi anni. I più grandi campi profughi palestinesi e del saharawi, ad esempio, per estensione e numero di abitanti sono ormai diventati delle città. Nel caso dei campi d’accoglienza per i lavoratori stagionali nel sud Italia la situazione è diversa in quanto la durata è dettata dai cicli delle colture che influenzano la durata della permanenza in un luogo. Proprio per questo carattere transitorio, il progetto è stato concepito come uno spazio architettonico flessibile, in grado di trasformarsi in uno spazio sempre nuovo per accogliere attività differenti. Il concetto di transitorietà assume qui una sfumatura diversa: la durata “stabilita” dello spazio architettonico è riferita non alle sue componenti materiali ma alle funzioni ad esso assegnate. La durata degli elementi che formano tali spazi è dunque indipendente dall’effettiva durata della funzione assegnata.

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Il progetto, quindi, “rivoluziona” il concetto stesso di campo poiché si propone di creare un vero ambiente urbano, i cui connotati risultano lontani, per forma e gestione, dagli insediamenti informali e dalle tradizionali forme d’accoglienza.

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TERZA PARTE

PROPOSTA PROGETTUALE


7.

PROCESSO GENERATIVO

Come anticipato nei capitoli precedenti, il progetto intende promuovere una risposta all’emergenza “ghetti” alternativa a quelle fino ad ora proposte ovvero, tendopoli e campi container. Partendo da un’analisi delle condizioni dei lavoratori non solo nelle baraccopoli ma anche nei centri d’accoglienza si nota come le forme di accoglienza proposte fino ad ora non siano conformi alle esigenze di questi lavoratori e le strutture, sia da un punto di vista tecnologico che puramente architettonico, non rispondano in toto alle caratteristiche definite dallo Shelter Center. Il progetto prende piede dall’idea che forse un’architettura “usa e getta” possa non essere più una risposta funzionale alle esigenze dei braccianti e delle stesse istituzioni. “The problem with a tent is that when you use it you throw it away, so it’s money that melts,” dice Alejandro Aravena. Si è pensato dunque di valutare l’idea di un’architettura più flessibile, in grado di accogliere diverse funzioni e di generare spazi differenti in base al luogo in cui viene edificata. L’obiettivo è dunque quello di andare oltre l’emergenza e pensare questi campi, non come luoghi riferiti a un determinato gruppo di persone con particolari problemi abitativi e sociali, ma come luoghi che all’occorrenza possono accogliere un “fare” alternativo in base alle esigenze del momento. Con l’obiettivo dunque di generare uno spazio urbano dinamico e più duraturo, il progetto si sviluppa su due scale differenti: quella micro, riferita all’elemento architettonico, ovvero l’unità minima in grado di soddisfare l’esigenza più immediata di un rifugio nel quale vivere, e quella macro riferita alla scala urbana del progetto. La strategia usata è stata quella di mettere al centro un modulo di dimensioni minime, in grado di accogliere una o un gruppo definito di funzioni, e di generare attraverso l’aggregazione delle sue componenti, spazi differenti sia comuni che privati.

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La soluzione cerca di rispondere all’esigenza della massima densità abitativa con le migliori condizioni ambientali. Con un unico oggetto architettonico dunque, che segue i principi dell’architettura bioclimatica e che risponde alle esigenze sociali ed economiche richieste dagli attori di questo progetto, si definisce una soluzione alternativa ai problemi esposti, che diventa risorsa importante anche per future ulteriori azioni non solo di tipo emergenziale ma anche culturale, ludico e ricettivo.

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7.1

LA TASSELLAZIONE I flussi di persone che ogni anno arrivano nelle regioni del sud d’Italia per lavorare le terre sono sempre più numerosi. I ghetti più grandi arrivano a contare ogni anno più di mille abitanti nella stagione di maggior raccolta ovvero d’estate. Per rispondere a questa richiesta, si è partiti dal concetto geometrico matematico della tassellazione. Per definizione la tassellazione è una configurazione costituita da poligoni che ricoprano l’intero piano, senza sovrapposizioni o lacune. (Treccani) Con questo concetto geometrico si ha la possibilità di saturare il piano, cioè ricoprirlo senza lasciare spazi vuoti o sovrapposizioni, usando dei poligoni tutti dello stesso tipo. La figura che compone una tassellazione prende il nome di modulo o tassello. Un poligono regolare ha 3, 4, 5 o più lati e angoli, tutti uguali. Una tassellazione regolare è una tassellazione costituita da poligoni congruenti regolari (regolare significa che i lati del poligono sono tutti della stessa lunghezza. Congruenti significa che i poligoni messi insieme sono tutti della stessa misura e forma.). Poiché i poligoni regolari in una tassellazione devono riempire il piano in ogni vertice, l’angolo interno deve essere una divisione esatta dell’angolo di 360 gradi. Sono solo tre, dunque, i poligoni regolari che si possono tassellare nel piano di Euclide: triangoli, quadrati o esagoni. Le tassellazioni realizzate con queste tre figure si definiscono periodiche poiché si realizzano moltiplicando in modo ricorrente uno stesso modulo o tassello. Per contro una tassellatura è non periodica (o aperiodica) quando è impossibile combinare un certo numero di poligoni uguali in modo che formino una struttura che poi possa ricoprire il piano accostando fra loro molte di tali strutture. Di particolare interesse risulta la figura del pentagono come tassello. Il pentagono regolare non è una figura che può tassellare il piano poiché l’angolo non è un sottomultiplo intero di 360°.

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Ciò che risulta interessante è che la ricerca sulle capacità dei pentagoni di tassellare il piano ha portato ad identificare 14 tipi di tassellazioni realizzate con pentagoni irregolari. (vedi figura) Tra questi 14 si è scelta la tipologia 7. Questa avviene per traslazione e simmetria di due moduli della stessa figura. La figura generata dalla somma di due moduli rappresenta il modulo base del progetto. Questa è stata scelta poiché presenta tutti angoli ottusi, caratteristica che ci permette di definire degli ambienti più ampi e meglio arredabili, e tutti i lati della stessa lunghezza agevolandoci nella produzione seriale dei singoli elementi. La maglia urbana e strutturale del progetto è definita dalla tassellazione che si genera dall’aggregazione del modulo scelto.In particolare la figura scelta, grazie alle sue proprietà, conferisce a tale maglia un aspetto dinamico che può sembrare casuale, superando in tal modo lo schema rigido e sterile dell’impianto urbano di un comune campo d’accoglienza o campo militare. L’uso di questo concetto matematico e la forma scelta, permette dunque di dare risposta a due punti principali del progetto: accogliere il maggior numero di attori possibile e definire uno schema urbano dinamico.

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TASSELLAZIONE PENTAGONI IRREGOLARI 1

2

3

4

5

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7

8

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11

12

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14

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7 PENTAGONO IRREGOLARE tassellazione descritta dalle seguenti formule: 2B+C=360° 2D+A=360° a=b=c=d D

a

e

E

C b

A

d

B c

SOMMA DI DUE PENTAGONI IRREGOLARI E

b A

a

c B

D

a

e

E b

A

c

B

d C C d

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7.2

IL MODULO IBRIDO Il progetto sviluppa il concetto di modularità. Il modulo che verrà descritto rappresenta l’unità minima che andrà a definire l’intero progetto. Ogni unità accoglie una funzione. Per il tema trattato in questa tesi si farà principalmente riferimento alla funzione abitativa. Considerando il modulo appunto come minima unità abitativa, nonostante questo possa svolgere funzioni differenti, ci si è posti il vincolo di rispettare le caratteristiche architettoniche e tecniche definite dallo Shelter Center. Per far si che l’oggetto rispettasse tali caratteristiche e allo stesso tempo i caratteri di un’architettura più duratura rispetto a un comune shelter, si è optato per definire un modulo ibrido, ovvero una architettura che conciliasse gli aspetti più tecnologici del prefabbricato industrializzato, con tecniche costruttive tradizionali. Il modulo è dunque così composto: una struttura in acciaio prefabbricata, in grado di essere facilmente montata e conservata e dei tamponamenti realizzati con dei materiali trovati nel luogo ovvero a “Km0”. Poiché il progetto non ha una precisa localizzazione ma comunque è riferito alle zone agricole, come materiale per i tamponamenti si è scelto di studiare la paglia, materiale facilmente reperibile, economico, e dalle elevate prestazioni termiche. L’uso di materiali locali, come appunto la paglia, presenta notevoli vantaggi non solo da un punto di vista economico e di comfort, ma anche da un punto di vista sociale. La tecnica di costruzione con la paglia risulta molto semplice e perciò ben si presta a un processo di autocostruzione. Gli attori stessi del progetto prendono parte a un processo creativo in cui possono non solo apprendere una nuova tecnica costruttiva ma soprattutto possono personalizzare il loro lavoro sviluppando un senso di appartenenza e appropriazione che spesso manca nelle costruzione prefabbricate seriali. Le costruzioni in paglia rientrano all’interno del gruppo delle costruzioni a secco e ciò riduce notevolmente i tempi di realizzazione. L’elemento architettonico così concepito si propone come un’alternativa ai modelli abitativi attuali garantendo delle prestazioni energetiche elevate e una qualità architettonica tale da poter migliorare in forma esponenziale i livello di comfort abitativo.

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PREFABBRICATO

MATERIALE NATURALE

CO TRUITO A REGOLAD’ARTE

REPERIBILE IN LOCO 0 Km

ASSEMBLABILE

AUTOCOSTRUZIONE

89



8. 8.1

STUDIO DEL MODULO ANALISI ARCHITETTONICA Il singolo modulo, come anticipato, è costituito da una struttura in acciaio leggera all’interno della quale si innesta un nucleo di 10 mq realizzato in paglia. All’interno si distinguono due aree principali con diverse funzioni: una veranda identificata come la zona “pubblica”, lasciata libera in modo che l’abitante possa gestirla e personalizzarla come preferisce; un nucleo in paglia identificato come la zona “privata”. Questo è un ambiente flessibile e personalizzabile. Al suo interno sono state individuate due aree, una più intima dove svolgere le tipiche funzioni di una camera da letto, e una più spirituale, un angolo in cui pregare. Nel ghetto di Nardò, l’unico metro quadrato mantenuto sempre pulito e in ordine è appunto lo spazio dedicato alla preghiera. Per tal motivo ho ritenuto fondamentale definire uno spazio flessibile che potesse accogliere varie attività oltre al dormire. A livello tecnico strutturale, la struttura in acciaio (25mq) è realizzata da diversi elementi assembrati in loco con collegamenti meccanici. Gli otto pilastri sono realizzati con profili cavi in acciaio a sezione circolare Ø 12 interasse di 2,5 m. Per le travi principali sono stati usati dei profili IPE 180 per il solaio e IPE 140 per la coperture, mentre l’orditura secondaria è stata realizzata con profili cavi a sezione quadrata 50x50mm. Per quanto riguarda il nucleo centrale è stato realizzato totalmente in paglia con l’ausilio di elementi lignei per la realizzazione dei cordoli, degli ancoraggi alla struttura metallica e per la copertura orizzontale (nel paragrafo 8.2 è possibile trovare i dettagli costruttivi).

91


PIANTA ARREDATA

A

A

0

92

0.5

1

1.5

2m


PIANTA quotata

PIANTA QUOTATA

25 0

12

5

250

178 5

12

425

325

20

8

90 0 10

325

A

220

80

250

178

A

90

332 249

176 425

0

0.5

1

1.5

2m

93


SEZIONE

+4.50

+4.00 +3.68 +3.40

+0.70 +0.50

+0.00

0

94

0.5

1

1.5

2m


PROSPETTO

0

0.5

1

1.5

2m

95


8.2

SOLUZIONI TECNOLOGICHE E STRUTTURALI In questo capitolo vengono analizzati i principali dettagli costruttivi dell’edificio. Nello specifico si studierà i nodi principali della struttura metallica e gli aspetti più importanti della struttura in paglia. Si trova inoltre il dettaglio che rappresenta l’ancoraggio della struttura in paglia a quella metallica e il dettaglio dell’agregazione dei vari moduli prefabbricati.

Spaccato assonometrico. i numeri riportati sullo spaccato si riferiscono ai dettagli costruttivi riportati nelle pagine successive.

96


6

7

4

2

5

3

1

97


DETTAGLIO 1: FONDAZIONE

1 profilo cavo sezione circolare in acciaio Ø 12cm

2 tirafondi con dado e controdado 3 plinto prefabbricato in c.a.

DETTAGLIO 2: NODO TRAVE PILASTRO

1 profilo cavo sezione circolare in acciaio Ø 12cm 2 trave principale IPE 180 3 piastra di collegamento

98


DETTAGLIO 3: SOLAIO

1

balla di paglia 100 x 45 x 35 cm

2

pannello OSB 2 cm

3 cordolo inferiore: travetti in legno 5 x 5 cm 4 riempimento in argilla espansa 5 pannello OSB 2 cm 6 isolamento in paglia compressa 18 cm 7 pannelo OSB maschiato sp. 2 cm 8 profilo cavo in acciaio sez. quadrata 5 x 5 cm 9 trave principale IPE 180

99


DETTAGLIO 4: ANCORAGGIO PARETE IN PAGLIA PILASTRO

1 travetti in legno sez.5 x 5 cmm 2 argilla espansa 4 ancoraggio con anello metallico 3 profilo cavo in acciaio sez. circolare Ă˜ 12 cm 5 montante in legno 10 x 5 cm 6 cinghia da trazione in polietilene a perdere

100


DETTAGLIO 5: COMPRESSIONE MURO IN PAGLIA

1 cordolo superiore: travetti in legno 5 x 5 cm 2 argilla espansa 3 intonaco in calce spessore 5 cm 4

rete di sostegno per intonaco in juta

5 cinghia da trazione in polietilene a perdere 6

balla di paglia 100 x 45 x 35 cm

7

intonaco in argilla spessore 10 cm

101


DETTAGLIO 6: COPERTURA METALLICA

2

lamiera grecata sp. 1 mm

4

canalina di smaltimento acque

4

trave di colmo IPE 140

4

travetti cavi sez. quadrata 5 x 5 cm

DETTAGLIO 7: COPERTURA ORIZZONTALE

1 membrana impermeabile 2 pannello OSB 2 cm 3 isolante in paglia compressa sp. 24 cm 4 trave in legno 24 x 5 cm

5 pannello OSB 2 cm

102


DETTAGLIO

I TEMA D’AGGREGAZIONE

dettaglio 8: sistema di aggregazione

1

profilo cavo in acciaio sez. circolare Ø 12 cm

2

pannello OSB maschiato sp. 2 cm

3

trave IPE 180

4

piastra di collegamento per il secondo modulo

103


8.3

I MATERIALI In questo capitolo vengono analizzati i tre materiali usati per il progetto: acciaio, paglia e terra. ACCIAIO L’ acciaio è un materiale dove il ferro è l’elemento predominante, con tenore di carbonio, di regola, non maggiore di ~2 % e può contenere anche altri elementi. E’ un materiale che dura nel tempo e conferisce alle strutture leggerezza permettendo di concepire spazi interni molto ampi con profili snelli. La costruzione in acciaio consente la trasformazione architettonica degli edifici in modo semplice e rapido. E’ possibile infatti prevedere dei cambi di destinazioni d’uso o addirittura strutturali. Questa eccezionale flessibilità permette di affrontare qualsiasi tipo d’intervento, grazie anche alla precisione meccanica dei collegamenti. La precisione meccanica delle strutture in acciaio ben si presta alle strutture temporanee che possono essere facilmente montate e smontate più volte senza avere nessuna perdita di qualità del materiale. Inoltre facilita l’assemblaggio dei diversi componenti riducendo così i tempi di realizzazione. Ha un alto livello di prefabbricabilità infatti la standardizzazione degli elementi è un importante elemento da tenere in considerazione nella valutazione del costo finale anche in relazione a una richiesta inferiore di manodopera. Grazie alle sue proprietà meccaniche (plastiche) ha un’ottima resistenza alle azioni sismiche e al fuoco. Uno degli aspetti negativi dell’acciaio è che, in presenza di sbalzi termici, rischi la formazione di condensa, problema a cui si può ovviare verniciando i componenti con delle tinte plastiche o con del caucciù. Nel progetto è stato tenuto in considerazione questo aspetto in quanto la condensa è un nemico per la paglia. La struttura metallica, infatti, si trova in posizione esterna rispetto alla pareti in balle di paglia. L’acciaio inoltre può essere riciclato. Gli elementi possono essere riutilizzati per adempiere ad altre funzioni oppure fusi e riusati per una nuova realizzazione.

104


PAGLIA La paglia è un materiale naturale rinnovabile annualmente. E’ formata da cellulosa, lignina e silice e possiede una pelle idrorepellente. Può essere considerata come un sottoprodotto dell’agricoltura, in quanto è ciò che rimane dei cereali dopo la trebbiatura, una volta che la granella è stata raccolta. Non è altro, dunque, che lo stelo della pianta morta di diversi cereali quali: grano tenero, grano duro, orzo, avena, riso, miglio, segale e farro. Bisogna stare attenti a non confonderla con il fieno in quanto quest’ultimo è erba verde essiccata mista a fiori, foglie e materia organica che tende a deperire facilmente. La paglia, nel settore edile si può usare sfusa, principalmente per le coperture, in pannelli prefabbricati (composti da un cuore di paglia sminuzzata e un rivestimento in pannelli di legno, carta riciclata o altro) e in balle di paglia ottenute grazie a una macchina imballatrice. Le balle di paglia devono essere il più dense e compatte possibile, cioè il loro peso deve essere compreso tra i 16 e i 30 kg. Le dimensioni delle balle dipendono dalle imballatrici che le producono. In generale la loro lunghezza deve corrispondere a due volte la larghezza. (Jones, 2014) Quelle usate nel progetto hanno una dimensione di 35x45x100cm. Per controllare che le balle siano di buona qualità, e dunque idonee alla costruzione, bisogna verificare che il contenuto di umidità all’interno non superi il 15%, cioè il peso dell’acqua nella balla non deve essere maggiore del 15% del peso della balla stessa se fosse totalmente asciutta.( Jones, 2014). La paglia è un materiale totalmente sostenibile su vari livelli: ambientale, economico e sociale. La sostenibilità ambientale di un prodotto si definisce in relazione al suo impatto sull’ambiente in riferimento all’intero ciclo di vita. La paglia non inquina e per produrla vengono emesse basse emissioni di CO2 (il 4% rispetto ad un edificio in mattoni). E’ un materiale riciclabile e facilmente smaltibile senza produzione di agenti inquinanti. Ha un’altissima capacità d’isolamento. Il valore di conducibilità termica (λ) di una balla di paglia generica si aggira intorno allo 0,06 W/mK. Considerando uno spessore di 45 cm per una parete in paglia si ottiene

105


un valore di trasmittanza termica (U) pari a 0,12W/mqK . Per normativa l’Italia è suddivisa in zone climatiche A,B,C,D,E,F,G (rispettivamente dalla zona più calda a quella più fredda). A seconda dei gradi giorno il valore di trasmittanza U varia da 0,85 W/mqK, per le zone A, a 0,44 W/mqK, per le zone F. Considerando il fatto che più è basso il valore di trasmittanza U più è alto l’isolamento del materiale, la paglia è un buon materiale sia per i luoghi caldi che per quelli freddi. La paglia ha inoltre un’elevata capacità di isolamento acustico. E’ di base un materiale fonoassorbente; pareti di paglia con spessori elevati d’intonaco per il rivestimento (3-4 cm) possono raggiungere significativi valori di isolamento acustico. I materiali da costruzione sono classificati in base alla loro resistenza al fuoco con le sigle: F30, F60, F90, F120 che indicano la capacità del materiale di mantenere integre le sue proprietà in un intervallo di tempo che varia dai 30 ai 120 minuti. La paglia in seguito a numerosi test di verifica rientra nella classe F90. Questo perché all’interno della balla per via dell’elevata compressione non vi è ossigeno. Le balle di paglia sono .per loro natura, flessibili e resistenti. Ciò le rende in grado di assorbire gran parte delle sollecitazioni trasmesse durante il sisma. Prestando attenzione ad alcuni accorgimenti quali: rete metallica nello strato d’intonaco che aumenta la resistenza della parete, la disposizione dei cordoli in legno per una migliore distribuzione dei carichi e l’aggiunta di rinforzi addizionali come le controventature, la resistenza ai carichi laterali aumenterà considerevolmente. La paglia è un materiale durevole se conservato all’asciutto e protetto da uno strato di intonaco. Una casa in paglia, infatti, può durare per secoli se ben progettata e costruita. Per quanto concerne la sostenibilità economica, la paglia è un materiale prodotto più o meno ovunque quindi può essere definito a “Km0”. Il costo di una balla di paglia comprata direttamente dal produttore parte da 1,5 euro. Le spese di realizzazione, data la facilità e rapidità di montaggio possono essere ridotte attraverso l’autocostruzione. Il vero risparmio nelle costruzioni in paglia risiede nella notevole riduzione dei costi di mantenimento ed energetici. L’isolamento della

106


paglia è tale che può portare ad un abbattimento dei costi energetici del 75% o più. Costruire una casa con questa tecnica significa avere un edificio energeticamente efficiente in classe A, classe A+ o Gold, quindi i costi di riscaldamento si riducono notevolmente e addirittura si azzerano. Le tecniche usate per le costruzioni in paglia rispettano i criteri di sostenibilità sociale. Grazie alla semplicità del sistema costruttivo e alla manovrabilità degli elementi questa tecnica ben si sposa con la pratica dell’autocostruzione. Infatti una volta realizzate le fondazioni e le la struttura portante i tamponamenti possono essere realizzati da chiunque. Questo sviluppa un forte senso di cooperazione stimolando la condivisione di conoscenze e capacità e generando un forte senso di appartenenza al luogo e alla società. ARGILLA Usata nel progetto come intonaco, l’argilla è un materiale totalmente riciclabile ed ecologico. L’uso dell’intonaco in argilla grazie alla sua traspirabilità e permeabilità al vapore permette di regolarizzare l’umidità all’interno degli spazi abitati, poiché la sua caratteristica è quella di assorbire l’acqua dall’aria quando è troppo umida e rilasciarla quando diventa troppo secca (resistenza alla diffusione del vapore acqueo μ<8). Questo permette di avere una percentuale di umidità relativa tra il 50% e il 70% che corrisponde alle condizioni ottimali per una persona. Ha un’ottima inerzia termica che permette di mantenere stabile la temperatura degli ambienti, migliorandone il benessere abitativo e la sua salubrità. Possiede eccellenti proprietà fonoassorbenti ed essendo un colloide ha anche una grande capacità di trattenere polveri gas e odori pesanti nell’aria, quindi di mantenere sempre salubre l’ambiente. Recentemente è stato scoperto come la terra cruda abbia la capacità

107


di proteggerci dai campi elettromagnetici: 2,5 cm di intonaco elimina il 75% delle radiazioni mentre 11 cm di spessore il 98%. L’argilla può essere modellata e scolpita in molti tipi di affreschi e rilievi. Ciò permette a chi l’utilizza di esprimere la propria creatività. Non è indicato per uso esterno in quanto resiste poco all’acqua. Per questo motivo nel progetto si è scelto di usare l’argilla per le finiture interne mentre per l’esterno si è preferito usare un intonaco in calce più consono per uso esterno.

108



8.4

MANUALE DI MONTAGGIO Per manuale di montaggio si intende un libretto di istruzioni semplice e intuitivo in cui si mostra in maniera semplificata le fasi principali della tecnica costruttiva in balle di paglia o meglio la realizzazione del modulo di progetto. Il manuale è stato stilato in modo che sia intuitivo anche per un un operaio inesperto.

110


FASE 0 DAY

1

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION La struttura metallica si presenta già montata


FASE 1 DAY

1

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Cordolo di base: collegare gli elementi di legno con staffe metalliche. Riempire gli spazi con argilla espansa. Chiudere il cordolo avvitando un pannello OSB. Tra la base e il cordolo posizionare le cinghie di tiraggio.


FASE 2 DAY

1

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Elementi verticali: collegare le assi di legno verticali al cordolo di base con staffe metalliche


FASE 3 DAY

1

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Balle di paglia: posizionare la prima fila di balle di paglia


FASE 4 DAY

2

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION posizionare le successive balle di paglia in filari sfalzati


FASE 5 DAY

2

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION ultimare il muro


FASE 6 DAY

3

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Cordolo superiore: collegare gli elementi in legno con staffe metalliche. Riempire gli spazi con argilla espansa. Richiudere avvitando il pannello OSB


FASE 7 DAY

3

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Legatura: stabilizzare la parete in paglia collegando i due cordoli con le apposite cinghie di compressione. Al termine le cinghie non devono essere rimosse.


FASE 8 DAY

3

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Ancoraggio: fissare la parete in paglia al telaio in acciaio (come da dettaglio). Imbullonare i controventi realizzati con tondini metallici.


FASE 9 DAY

3

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Copertura: collegare le travi in legno con staffe metalliche al cordolo superiore. Riempire gli spazi con l’isolante in paglia. Chiudere avvitando un pannello OSB. Stendere nella parte superiore la guaina impermeabile.


FASE 10 DAY

3/4

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION intonacare: posizionare la rete per migliorare la presa. Realizzare la prima stesura con le mani. Miscelare il primo strato con la paglia di scarto per completare al meglio i possibili fori.


FASE 11 DAY

5

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Pavimentazione: completare l’interno posando i pannelli isolanti in paglia. Completare il pavimento con i pannelli OSB maschiati.


FASE 12 DAY

6

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Porta e finestra: si completa il sistema installando la porta e la finestra.


FASE 13 DAY

6

PEOPLE

TOOLS

DESCRIPTION Fine


TOTAL DAYS

6

TOTAL PEOPLE

DESCRIPTION Il tempo stimato per la realizzazione del modulo è di 6 giorni compreso il tempo stimato per lasciar asciugare l’intonaco. Si può realizzare con l’aiuto di quattro persone ma è sempre meglio farsi accompagnare da un operaio esperto.


8.5

ABACO DELLE AGGREGAZIONE TIPOLOGIA SUPERFICIE UTILE 10 mq ALTEZZA UTILE 2,7 m DESTINAZIONI D’USO A. ABITAZIONE

zona giorno

zona notte

spazio aperto

B. UFFICI C. WC + LAVABI SUPERFICIE UTILE 20 mq ALTEZZA UTILE 2,7 m DESTINAZIONI D’USO A. ABITAZIONE

zona giorno

zona notte

spazio aperto

B. UFFICI C. WC + LAVABI + DOCCE

SUPERFICIE UTILE 34 mq ALTEZZA UTILE 2,7 m DESTINAZIONI D’USO A. ABITAZIONE

zona giorno

zona notte

spazio aperto

B. MENSA / AREA COMUNE C. AULE

SUPERFICIE UTILE 48 mq ALTEZZA UTILE 2,7 m DESTINAZIONI D’USO A. ABITAZIONE

zona giorno

zona notte

spazio aperto

B. MENSA/AREA COMUNE C. AULE

MODULO

VISTA ASSONOMETRICA


OPZIONE A

OPZIONE B

OPZIONE C


8.6

ASPETTI BIOCLIMATICI Le scelte progettuali sono state fatte seguendo i principi dell’architettura bioclimatica. In particolare sono stati usati degli accorgimenti progettuali che puntano ad ottenere la migliore prestazione energetica con il minor costo. 1 Poiché la paglia è un materiale che teme la condensa, l’acqua in generale, il modulo è rialzato rispetto al terreno di 50cm . Questo evita che l’umidità di risalita dal terreno possa raggiungere le balle di paglia e provocare il loro deterioramento. Inoltre evita in caso di pioggia che eventuali schizzi raggiungano le balle di base. Permette inoltre un ricircolo dell’aria in modo da raffrescare il solaio di calpestio. La copertura è stata realizzata in lamiera. Questo perché tale materiale ha la capacità di riflettere i raggi solari e di conseguenza lasciare sempre in ombra la copertura piana sottostante, migliorando notevolmente il comportamento energetico dell’edificio nel periodo estivo. 2 In termini di miglioramento delle prestazioni energetiche nel periodo estivo si è scelto di intonacare gli interni con un intonaco in argilla dello spessore di 10cm. Questo grazie alla sua traspirabilità e permeabilità al vapore regolarizza la percentuale di umidità e la temperatura all’interno dell’edificio aumentando la massa termica delle pareti. Le minime aperture, porta e finestra, sono state collocate in posizioni opposte in modo da favorire il raffrescamento naturale dell’edificio attraverso la ventilazione naturale. La particolarità delle pareti del modulo permette di personalizzare l’ambiente e quindi eventualmente di realizzare ulteriori aperture. 3 La forma data alla copertura in lamiera è stata pensata per poter più agevolmente raccogliere l’acqua piovana e indirizzarla verso una cisterna di recupero e riutilizzo delle acque. La progettazione di questo sistema di recupero delle acque piovane verrà gestito volta per volta in base alla pianificazione urbana, alle caratteristiche del terreno e ai servizi presenti nelle zone in cui verrà realizzato il progetto.

128


1

A

A

2

3

129


8.7

LA SIMULAZIONE ENERGETICA Per valutare gli aspetti energetici del modulo, si è utilizzato un software, Design Builder, in grado di calcolare in output i fabbisogni degli edifici, sia in estate che in inverno simulando il comportamento termico in periodi di tempo definiti dall’operatore. Questo software effettua un’analisi di tipo dinamico ovvero, tiene conto delle variazioni orarie del clima, dei carichi interni e dell’incidenza della radiazione solare nei diversi momenti della giornata. Consente di modellare in modo efficace soprattutto durante la stagione estiva, quando la massa termica assume un ruolo fondamentale nel mantenimento del comfort termo-igrometrico. La simulazione inizia con la definizione della geometria, o meglio si procede con la realizzazione del modello virtuale del nostro edificio che verrà letto dal software come un volume di controllo dal quale otterremo come output l’andamento della temperatura indoor, l’umidità e gli apporti energetici. Dopo la realizzazione del modello è necessario fornire al sistema come input i dati relativi alle condizioni climatiche dell’area di progetto e le caratteristiche energetiche dei pacchetti di cui sono composte le superfici dell’edificio. In particolare si è scelto di effettuare la simulazione in Puglia, più precisamente usando i dati climatici di Lecce. Le variabili ambientali sono quattro: -temperatura dell’aria (°C); -umidità relativa (%), ovvero il rapporto tra la quantità di vapore contenuta in una massa d’aria e la quantità massima che quella stessa massa ne può contenere nelle stesse condizioni di temperatura e pressione; -pressione di vapore (Pa), ovvero la quantità di vapore contenuta della massa d’aria, non indispensabile in quanto abbiamo già come dati l’umidità relativa e la temperatura; -irradianza solare globale diretta e diffusa (W/mq), ovvero la potenza istantanea della radiazione luminosa del sole nella sua frazione che raggiunge il suolo;

130


-velocità dell’aria (m/s) e la direzione del vento. I dati riferiti all’involucro o meglio ai materiali di cui è composto sono quattro: - conducibilità termica λ (W/mK): è il rapporto tra il flusso di calore e il gradiente di temperatura che provoca il passaggio del calore; - densità o Massa volumica (kg/m3) -calore specifico (J/KgK): è definito come la quantità di calore necessaria per innalzare, o diminuire, la temperatura di una unità di massa di 1 K. -emissività ε: ovvero la capacità di un materiale di irraggiare energia. Attraverso l’inserimento di questi dati relativi ai materiali usati, si determinano i pacchetti con i relativi spessori che definiscono le pareti, il pavimento e il soffitto. Il terzo gruppo di input da inserire per effettuare una simulazione quanto più realistica possibile è costituito dagli apporti interni all’edificio. La presenza di impianti di illuminazione e delle persone all’interno dell’edificio, producono dei carichi termici che alterano la temperatura e il livello di comfort all’interno. Questi vengono considerati come internal gains che appunto rappresentano i guadagni energetici dovuti alla presenza delle persone, degli elettrodomestici e dell’illuminazione artificiale. Si inserisce dunque una giornata tipo scandita nelle diverse ore e secondo il periodo dell’anno a cui si fa riferimento. Viene inserito il valore di occupazione, definito come persone/mq e il tasso metabolico che riguardo lo stato di sforzo fisico a cui sono sottoposte le persone che occupano i locali, che viene calcolato in W/ persona. I valori sui tassi metabolici si possono reperire nel manuale ASHRAE, cap.8, tabella 5. Terminato l’inserimento dei dati necessari al fine di una corretta simulazione il programma elabora diversi output relativi all’ambiente, alla produzione di Co2, alla temperature interne e esterne alle

131


infiltrazioni e ventilazione ecc.. Uno degli output importanti ottenuti con la simulazione è la variazione della temperatura interna dell’edificio. In particolare dalla simulazione ci si è concentrati sull’andamento della temperatura dell’aria, della temperatura radiante e operante e la temperatura esterna a bulbo secco. La simulazione è stata effettuata considerando la settimana tipica estiva, ovvero dal 29 Luglio al 4 Agosto, controllando ora per ora il comportamento dell’edificio in funzione delle attività svolte. La simulazione mostra come la temperatura all’interno dell’edificio rimanga pressoché costante per tutta la giornata con una temperatura media operante pari a 26°C, valore assolutamente soddisfacente per il periodo estivo. Inoltre si può constatare che nelle giornate più calde in cui la temperatura esterna raggiunge picchi di quaranta gradi la temperatura operante arriva a 28-29°C. Ciò significa che tra interno ed esterno vi è una variazione di temperatura maggiore di 8 gradi, dato questo molto interessante in quanto garantisce anche nelle condizioni esterne “peggiori” un elevato grado di comfort. La stessa simulazione, nella stessa settimana e nello stesse condizioni ambientali, è stata effettuata per un container; il modulo abitativo più usato nelle situazioni d’emergenza. Dal grafico si evince come la temperatura all’interno del container segua la variazione di temperatura esterna. Ciò significa che tra il giorno e la notte la temperatura subisce una forte variazione che inevitabilmente provoca un abbassamento del grado di comfort. Questo dato mostra come le soluzioni tecniche adottate nel progetto conducano a definire degli ambienti il cui grado di comfort e le prestazione energetiche risultano nettamente superiori ai modelli emergenziali in uso. Nella fase di progetto sono state effetuate varie simulazioni che presentavano soluzioni architettoniche differenti. La simulazione ci ha permesso di definire la soluzione con la quale fosse possibile ottenere ottime prestazioni energetiche legate a una superiore qualità energetica.

132


ULTERIORI SIMULAZIONI

VARIAZIONE TEMPERATURA : PARETI E COPERTURA ORIZZONTALI ISOLATE IN PAGLIA E SOLAIO NON ISOLATO LECCE; 1-7 AGOSTO

VARIAZIONE TEMPERATURA : PROVA MATERIALE COPERTURA INCLINATA E ORIZZONTALE: LAMIERA LECCE; 1-7 AGOSTO

VARIAZIONE TEMPERATURA : PROVA MATERIALE COPERTURA INCLINATA E ORIZZONTALE: TESSUTO LECCE; 1-7 AGOSTO

VARIAZIONE TEMPERATURA : SIMULAZIONE MODULO TENDA LECCE; 1-7 AGOSTO

133


CONFRONTO

VARIAZIONE TEMPERATURA : MODULO ISOLATO IN PAGLIA

LECCE 29 LUGLIO- 4 AGOSTO

VARIAZIONE TEMPERATURA : CONTAINER

LECCE 29 LUGLIO- 4 AGOSTO

DIAGRAMMA DI GLASER

134


DATI ENERGETICI RIFERITI AL PACCHETTO MURARIO

DESCRIZIONE DELLO STRATO DALL’INTERNO ALL’ESTERNO

S (mm)

C (W/m2K)

M.V. (Kg/m3)

P (Kg/msPa)

R (m K/W)

intonaco in argilla

100.00

0.49

1200

15.38

0.204

paglia

350.00

0.045

340.00

10.00

7.778

intonaco in calce

50.00

0.7

1400.00

18.00

0.071

DATI ENERGETICI Trasmittanza (W/m2K): 0.122<0.4 Massa superficiale (Kg/m2): 309 Resistenza termica (m2K/W): 8.223 Spessore totale (mm): 500 All’interno della parete non si generano fenomeni di condensa

2


8.8

ANALISI QUALITATIVA DEI COSTI Per completezza il modulo è stato analizzato anche da un punto di vista economico. Trattandosi di un progetto preliminare l’analisi sui costi che si è effettuata è di tipo qualitativo, ricavata da un’attenta analisi dei prezzi presenti in commercio riferito alle macro categorie che definiscono l’oggetto architettonico in questione. E’ stato dunque stilato un possibile preventivo dal quale è emerso che il costo del materiale per un singolo modulo è di 5935,99 euro. Rispetto a un semplice container standard base, il cui costo è di circa 3000 euro, il prezzo del singolo modulo risulta superiore. Tale differenza è giustificata da diversi aspetti: il modulo ha una qualità architettonica e energetica nettamente superiore alle prestazioni e caratteristiche architettoniche offerte dal container. Il progetto in questi termini potrebbe essere paragonato quasi a una piccola casa. Trattandosi di un acquisto effettuato verosimilmente da un ente pubblico, al prezzo del modulo verrà applicato uno sconto relativo alla produzione seriale degli elementi. Altro aspetto da tenere in considerazione sono i trasporti. In un camion normale, essendo la struttura in acciaio totalmente smontabile, è possibile trasportare più di 8/9 moduli alla volta. Tutti i materiali usati per il nucleo centrale, ovvero paglia, legno e argilla sono materiali reperibili in loco, quindi a “Km0” facilmente manovrabile da un personale inesperto. Questi aspetti dimezzano notevolmente il costo ma aumentano la qualità del prodotto. Valutati quindi tutti gli aspetti più importanti è possibile affermare che l’acquisto del modulo singolo è sicuramente un investimento per il futuro e soprattutto un prodotto di qualità con lunga durata e risparmi sulla gestione complessiva in termini energetici.

136


PREVENTIVO

U.M.

UANTITA’

FONDAZIONE plinto di fondazione: plinto prefabbricato in calcestruzzo armato con piedino in acciaio per nodo pilastro. (0,6x0,6x0,3 metri)

n.

8

200

1600

STRUTTURA METALLICA LEGGERA compenso per la struttura metallica leggera di m2 25,7 come riportato negli elaborati grafici. La struttura è composta dai seguenti elementi: -colonne in profilati metallici tubolari a sezione circolare, Φ 12 cm, comprese di piastre. -travi profili IPE 180 comprese di piastre e profili di ancoraggio e raccordo -travi profili IPE 140 comprese di piastre e profili di ancoraggio e raccordo -arcarecci per orditura secondaria profili tubolari sezione quadrata 50x50 mm -tondino metallico Φ 10 per controventamento -lamiera grecata spessore 1 mm

Kg/m mq

1829,08 25,7

1,5 4,76

2743,62 122,33 2843,17

ISOLANTE IN PAGLIA compenso per le balle di paglia usate come tamponamento e isolamento (35x45x100) 30Kg Pannelli in paglia compressa spessore 6mm

n. mq

100 35

2,5 10

250 350 600

mq

55,7

4,89

272,37

mc

0,668

230

153,84 426,21

mq

52,8

3,3

174,24

N. ORDINE

DESCRIZIONE DEI LAVORI

1

2

3

4

5

6

ELEMENTI IN LEGNO compenso per gli elementi in legno riciclato: -pannelli OSB -travetti per cordolo 50x50mm -montanti sezione rettangolare 5x10cm -travi in legno sezione rettangolare 6x24 cm FINITURE compenso sterura intonaco: -esterno: intonaco in calce 5cm -interno: intonaco in argilla 15cm INFISSI finestra doppio vetro porta prefabbricata in PVC

PREZZO UNITARIO

IMPORTO EURO

180,82 249,8

TOT 5900

137



QUARTA PARTE IL PROGETTO URBANO


9. 9.1

SOLUZIONI URBANISTICHE PER IL CA O DI NARDO’ IL CONTESTO SALENTINO Avendo avuto modo di conoscere personalmente la realtà salentina più precisamente il ghetto di Nardò, la proposta urbana è stata localizzata in uno dei terreni messi a disposizione dal comune per accogliere tendopoli e campi container. La proposta che di seguito verrà sviluppata è solo una delle possibili soluzioni che possono essere adottate. Il ghetto di Nardò si trova nascosto in mezzo ai campi. Ciò nonostante non risulta lontano dal centro città che in poco tempo lo si può raggiungere anche in bicicletta. Uno dei terreni, messi a disposizione dal comune per la realizzazione della tendopoli, è collocato nella zona industriale di Nardò esattamente dove sorge la masseria Boncuri, antica masseria che in passato ospitava il precedente insediamento informale. Si tratta di un’area di circa 1,4 ettari lasciati liberi. La proposta studiata ha come obbiettivo saturare il terreno in modo da poter ospitare il maggior numero di persone possibili creando al contempo degli spazi di aggregazione e socializzazione che trasformino questo insediamento in un micro villaggio. I vantaggi formali della pianificazione urbana proposta si esplicano in spazi imprevedibili, mai noiosi, proponendo sia angoli intimi sia spazi di relazione, sia aree aperte al sole che aree protette in ombra. Nella pratica il masterplan è stato suddiviso in diverse aree che richiamano la tipologia a corte. Tale tipologia ha avuto la meglio poiché favorisce una relazione tra persone e luoghi, l’instaurarsi di una rete sociale favorita dall’alternarsi di ambienti privati e comuni e dall’assenza di una gerarchia degli spazi generati. All’interno del villaggio trovano posto 213 persone. Sono stati individuati vari percorsi tutti pedonali e o ciclabili. Non è consentito, infatti, l’uso di mezzi motorizzati fatta eccezione per la zona est in cui sono localizzati i servizi mensa e ambulatoriali.

140


9.2 IL PROGRAMMA

SERVIZI

SPAZI PRIVATI

SPAZI COMUNI

CORTE

141


9.3

PROPOSTA PROGETTUALE

NARDOʼ

ITALIA

142


GHETTO

NARDOʼ CENTRO

CAMPODI ACCOGLIENZA

lecce

NARDOʼ

PUGLIA

NARDO’

143


MASTERPLAN NARDOʼ 2,90 KM

ING R E SSO SECONDARIO

0

10

20

30

40

50 m


LECCE M 29,70 K

I N GRESSO SECONDARIO

INGRESSO PRINCIPALE


PLANIMETRIA

G

A D B

C

A x2

x3 x4 x2

B

x6

x1

x4

x2 x1

x3

x2 x2

x2

x6

D

C

x2 x2

x1

x2

x0

x2 x2

x4

x2

x2


LEGENDA spazio comune abitazioni bagno mensa/zona ristoro

H

ufficio legale ambulatorio scuola fermata bus area strada carrabile pista ciclabile spazi aperti

E

F

F

E x3 x1 x1

x5

x3 x4

x3

x4

x3 x1

G

x3

x2

x4

x3 x2

H x3

x4

x5

x8

x4 x2

x6

x1

x4


1

148


149


150


151


CONCLUSIONI

L’obiettivo di questo elaborato era analizzare sotto diversi aspetti, sociologico, formale, economico una situazione d’emergenza ormai non più eccezionale. Gli aspetti analizzati mostrano un quadro sociale complesso per il quale non basta proporre una soluzione temporanea ma al contrario è necessario valutare un’alternativa più duratura, che possa rispondere bene all’esigenze più immediate che il problema richiede e allo stesso tempo sia in grado di “cambiare aspetto” qualora, se mai un giorno, l’emergenza venisse superata a 360 gradi. Il progetto, in questo senso, è una soluzione per lo meno per quanto concerne l’aspetto architettonico del problema, con il fine primario di ridare dignità agli abitanti del ghetto. Con semplicità risponde a tre punti importanti: qualità abitativa, qualità architettonica ambientale, economicità. Gli spazi generati e l’aspetto formale dell’oggetto architettonico progettato consentono di coinvolgere un consistente numero di lavoratori agricoli immigrati, permettendo loro di vivere in un ambiente salubre, gradevole oltre che funzionale e con elevate prestazioni energetiche. Le scelte architettoniche sono mirate in modo da poter coinvolgere diversi attori: gli abitanti dei ghetti ai quali non viene consegnato un rifugio ma vengono inseriti in un processo che gli permette di vivere in modo attivo e partecipativo la costruzione di un luogo e sviluppare altresì un senso d’appartenenza; gli enti pubblici ai quali viene fornita un’opportunità per rendere l’accoglienza non solo un’azione assistenziale ma un investimento, una risorsa per il luogo. Ciò si concretizza anche nella valutazione qualitativa economica dell’architettura che con risorse limitate propone un abitare di qualità. Il progetto, dunque, si propone come una reale e possibile proposta alternativa per affrontare il disagio abitativo dei lavoratori stranieri impegnati in attività agricole stagionali nel sud d’Italia.

152


Questa esperienza progettuale è stata senza dubbio fondamentale per capire come l’architettura può “agire” in contesti sociologicamente e formalmente complessi, comunque reali e troppo spesso ignorati. Si tratta quindi di raccogliere una sfida dettata da situazioni d’emergenza in cui l’architettura può assicurare nuovi equilibri e stabilità.

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RINGRAZIAMENTI

E’ così sono giunta al termine di un lungo percorso, di cui sembra non vedersi mai la fine eppure quando questa arriva scende una lacrima non solo di gioia, ma anche e soprattutto di nostalgia per la fine di una bellissima e importante fase della vita. I primi ringraziamenti li rivolgo ai professori che mi hanno seguito nella stesura di questa tesi: la professoressa Ferrante che mi ha dato l’opportunità di sviluppare un tema particolare lasciandomi grande autonomia e Luca Trabattoni che mi ha insegnato tanto durante il periodo di tirocinio ed è stato fondamentale nei momenti di svolta della tesi. I ringraziamenti più grandi li rivolgo alla mia famiglia. Ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuta, incoraggiata, e senza i quali non avrei mai potuto realizzare ciò che ho fatto fino a questo momento. Alle mie sorelle, che pure vedendole poco è come se fossero sempre con me, e senza le quali probabilmente non sarei la persona che sono ora. E Pedro…insostituibile. Vorrei ringraziare Rebecca, Carolina, Elena e Silvia, per le risate, lo stress, le cene, le chiacchiere, per tutto ciò che abbiamo condiviso insieme in questi anni e che ci ha permesso di stringere un legame fortissimo…speciale. In particolare ringrazio la Kenz per essere stata sempre presente sin dall’inizio, e per essersi sempre comportata come una vera e buona amica su cui poter contare. Un ringraziamento va a Via Ugo Lenzi, “la casa scuffio”, con i coinquilini migliori che si potessero trovare. E a tutti quelli, chi più chi meno di passaggio, che la sentono come “casa”.

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Un grazie va a Giulia, la luzinha di Porto, che con i suoi programmi, le sue feste e la sua dolcezza ha reso indimenticabile il nostro erasmus. E non si può non ringraziare Porto e tutte le persone conosciute nell’anno probabilmente più bello della mia vita. Un ringraziamento speciale va a Renato perché “as nossas mocas são unicas e inimitaveis”. In ultimo vorrei ringraziare chi per un verso chi per l’altro mi ha aiutato nella stesura della tesi. Ma in particolare ringrazio Sig. Bruno e la spumeggiante Brighi, una consulenza e supporto così non l’ho mai ricevuto.

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Tesi di laurea in Architettura Tecnica Silvia Pusceddu Alma Mater Studiorum UniversitĂ degli studi di Bologna Scuola di Ingegneria e Architettura Corso di laurea in ingegneria Edile/Architettura Relatore Prof.essa Arch. Annarita Ferrante Correlatore Arch. Luca Trabattoni Anno Accademico 2015-2016



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