Sostenibilità d'alta quota

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POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura

SOSTENIBILITA’ D’ALTA QUOTA: La progettazione dei rifugi alpini oggi Docente Relatore Prof.ssa OBERTI Ilaria Tesi di Laurea di GIORGETTI Silvia Maria Mat. 821651

Anno Accademico 2015/2016



A Carlo e Michela, miei genitori a cui devo tutto, e che mi hanno sempre sostenuto in questo percorso.



INDICE INTRODUZIONE.........................................................................................11 PRIMA PARTE CAPITOLO PRIMO...................................................................................15 1.LA STORIA DEI RIFUGI

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1.1 Il concetto di “rifugio” 1.2 Cenni storici ed evoluzione costruttiva 1.2.1 Dalla fine del Settecento alla metà dell’Ottocento 1.2.2 La seconda metà dell’Ottocento 1.2.3 L’inizio XX secolo 1.2.4 I rifugi alpini: dalle due guerre fino ai nostri giorni 1.3 La classificazione dei rifugi 1.4 Le caratteristiche tradizionali del rifugio di montagna 1.4.1 Ubicazione 1.4.2 Tipologia e organizzazione dello spazio 1.4.3 Tecniche costruttive tradizionali 1.4.4 Materiali da costruzione

CAPITOLO SECONDO..............................................................................41 2.IL TURISMO MONTANO 2.1. La nascita del turismo montano 2.2 L’evoluzione 2.2.1 Lo splendore degli anni Sessanta in Italia 2.2.2 La fase di specializzazione 2.2.3 Gli anni della crisi 2.3 Il turismo montano oggi 2.3.1 La situazione del turismo sulle Alpi 2.3.2 Una tipizzazione di base: i principali tipi di turismo alpino

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2.4 Indagini statistiche 2.4.1 La montagna nella vacanza degli italiani e degli stranieri 2.4.2 La ricettività nelle località montane 2.4.3 I rifugi di montagna nelle località alpine 2.4.4 Le motivazioni della vacanza 2.5 I cambiamenti della domanda 2.6 Le caratteristiche dell’offerta 2.7 Turismo sostenibile, ecoturismo e turismo verde

CAPITOLO TERZO..........................................................................................73 3.LA SOSTENIBILITA’ D’ALTA QUOTA 3.1 Architettura sostenibile 3.1.1 Le origini 3.1.2 L’idea di sostenibilità dagli anni Ottanta ad oggi 3.2 I temi del progetto sostenibile 3.2.1 Costruire il progetto sostenibile 3.2.2 I requisiti del progetto sostenibile 3.2.3 Innovazione e materiali 3.2.4 Recupero edilizio e sostenibilità 3.3 L’esperienza della progettazione dei rifugi di montagna sostenibili 3.4 Il progetto “Rifugi Sostenibili” 3.5 Un’esperienza didattica all’Università di Trento: il Laboratorio RifugioPLUS

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SECONDA PARTE CAPITOLO QUARTO.................................................................................99 4.CASI STUDIO 4.1 Introduzione 4.2 Rifugio Monte Rosa Hutte, Svizzera, 2010 4.3 Bivacco Gervasutti, Italia, 2011 4.4 Rifugio Gouter, Francia, 2013 4.5 La Cabane de Tracuit 2013 4.6 LEAPrus 3912, 2013 4.7 Rifugio Carlo Mollino, Italia, 2014 4.8 Bivacco Giannantonj 2014 4.9 Rifugio Ponte di Ghiaccio, Italia, 2016 4.10 Capanna Monte Bar Lugano 2016 4.11 Rifugio Skuta Note al capitolo quarto CONCLUSIONE......................................................................................143 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA................................................................147 RINGRAZIAMENTI

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introduzione


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INTRODUZIONE “Rifugio è una parola del vocabolario degli alpinisti ed escursionisti; quando si usufruisce di queste strutture raramente ci si sofferma a pensare quale possa essere il significato originario di queste costruzioni è più normale considerarne il significato attuale. Le radici più profonde della parola rifugio affondano in un contesto culturale diverso da quello attuale, a partire da quello economico per gli scambi commerciali, oppure quello religioso con i pellegrinaggi ai grandi santuari ed ospizi sui passi più importanti delle alpi. Oggi la rete dei rifugi è ben sviluppata in tutte le regioni alpine, si privilegia la loro ristrutturazione ed adeguamento alle normative di normali esercizi commerciali. Anche se oggi i rifornimenti ma anche il trasporto del necessario per le ristrutturazioni non sono più da considerarsi avventure eroiche di uomini romantici, affiora ancora l’originaria filosofia del rifugio, vicino a persone sconosciute ma già amiche.” Così ci racconta la montagna e il rifugio alpino Egidio Bonapace, Presidente dell’Accademia della Montagna del Trentino. L’obiettivo della ricerca di questa tesi è quello di illustrare, in modo generale prima, la storia e l’evoluzione del rifugio alpino, attraverso uno studio ed indagini specifici relativi al turismo montano, per arrivare a toccare un tema ormai molto importante in architettura, ma ormai in tutti i campi di studio: la sostenibilità. Quali sono, quindi, i temi che si seguono per progettare a quote molto alte e , talvolta, estreme? Come ci si approccia oggi all’ambiente della montagna? Si studieranno e si metteranno a confronto, nella seconda parte di questa tesi, alcuni casi studio per illustrare una parte delle innumerevoli sfumature presenti oggi nell’architettura di montagna, e come essa si approccia e risponde alle esigenze e ai criteri della sostenibilità ambientale negli ultimi dieci anni.

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Prima parte: capitolo primo


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Figura 1.1 Rifugio Gonella. Foto d’epoca ( Archivio Museo Nazionaledella Montagna - CAI Torino)

1. LA STORIA DEI RIFUGI DI MONTAGNA 1.1 Il concetto di “rifugio” “Un rifugio alpino, o rifugio di montagna1 può essere semplicemente definito come un edificio in legno e muratura costruito. in alta montagna in posizione riparata dalla caduta di valanghe e sassi, e anche dal vento, attrezzato per offrire temporaneamente riparo e ospitalità ad alpinisti e a escursionisti.”2 Ma che cosa sono, però, in realtà i rifugi di montagna? Sono state e sono tutt’oggi principalmente delle strutture idonee per poter offrire ospitalità e ristoro ad escursionisti ed alpinisti nelle zone di montagna. Senza ombra di dubbio, negli ultimi anni soprattutto, sia la parte gestionale che costruttiva hanno subito un certo cambiamento, determinando quindi una differente richiesta di servizi, e di conseguenza anche un adeguamento dal punto di vista tecnologico e ambientale. Il rifugio è stato per secoli il punto di partenza per i frequentatori della montagna. Oggi si è trasformato in un punto di arrivo per la grande maggioranza degli escursionisti e non solo, ma anche dei turisti del luogo di montagna.

1. Comunemente si parla di rifugio alpino anche se il rifugio non è collocato effettivamente sulle Alpi. E’ rimasta tale denomiazione perchè i prmi rifugi sono sorti sulle montagne alpine. 2. Definizione tratta da “Vocabolario Treccani”

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Figura 1.2 Rifugio Mezzalama, Alpi Pennine. Fonte: www.wikipedia.it

Figura 1.3 Bivacco Leoni, 1900,Alpi Lepontine. Fonte: www. rifugi-bivacchi.it

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Per quanto riguarda la denominazione specifica, esistono diversi termini per indicare il rifugio di montagna in tutte le sue sfumature strutturali. Ad esempio, nella Svizzera Italiana e nella zona delle Alpi Pennine settentrionali, il tipo di struttura oggetto di questa tesi è indicato con il termine capanna mentre, con il termine rifugio, si intendono strutture più spartane, normalmente molto più piccole, che comunque offrono all’escursionista un tetto per ripararsi dalle intemperie e un tavolo, una cucina, e un giaciglio al coperto. In alcune regioni italiane si intende con capanna speleologica un rifugio dedicato esclusivamente all’attività speleologica. Un’ulteriore specificazione per quanto riguarda i rifugi di montagna è rappresentata dal bivacco: esso, anche denominato “baito”, è un accampamento notturno all’aperto. Tipica delle società basate sul nomadismo e sulla pastorizia, la pratica del bivacco è stata utilizzata storicamente nelle campagne militari e nell’alpinismo, e in quest’ultimo il bivacco può avvenire lungo una parete che richiede più giorni di arrampicata per essere superata. Il bivacco era una pratica comune nelle fasi iniziali della storia dell’alpinismo in quanto non erano disponibili infrastrutture, mezzi di trasporto e rifugi adatti da agevolare gli alpinisti nelle ascensioni. Uno o più pernottamenti in parete sono anche frequenti nel corso di prime ascensioni di estrema difficoltà. Solitamente si intende per “bivacco alpino” una sosta, anche con tenda, che però deve essere montata dopo il tramonto e smontata prima dell’alba. Ma un altro significato in uso della parola “bivacco”, almeno nella parte italiana delle Alpi, identifica una struttura in legno, metallo o calcestruzzo, di piccole dimensioni (fino ad una decina di posti letto) ed incustodita, posta in luoghi particolarmente isolati per offrire un ricovero di fortuna. Il bivacco si differenzia dal rifugio alpino per le dimensioni molto più piccole, perché non offre servizi organizzati (pernottamento, pasto, riscaldamento) e per il fatto di essere sempre aperto. Solitamente i bivacchi sono forniti solo di brandine, a volte di stufa e di un tavolo. È buon uso fra gli alpinisti che usufruiscono di questi servizi di fortuna lasciare legna e generi alimentari di lunga durata per chi ne usufruirà dopo di loro. Per quanto riguarda la Svizzera italiana questo tipo di infrastrutture viene indicato con il nome di rifugio.


Si riporta qui di seguito l’Articolo 1 del Titolo I del Regolamento Generale Rifugi, che si occupa principalmente delle definizioni specifiche dei rifugi di montagna: “TITOLO I Art. 1 - Finalità - Definizione - Identificazione Tali opere, indipendentemente dalla Sezione di appartenenza, costituiscono PATRIMONIO IDEALMENTE COMUNE di tutti i Soci del C.A.I. i quali contribuiscono al loro mantenimento attraverso il pagamento della quota sociale. In relazione alle specifiche caratteristiche costruttive e funzionali connesse alla funzionalità alpinistica, escursionistica, naturalistica e di presidio del territorio come preventivamente individuate e riconosciute dalla Commissione centrale rifugi e opere alpine, le strutture di proprietà del Sodalizio o delle singole Sezioni o dalle stesse gestite, sono definite ed identificate come: a) RIFUGI: strutture ricettive sorte per rispondere alle esigenze di carattere alpinistico ed escursionistico gestite o custodite ed aperte al pubblico con le modalità stabilite dalla sezione, convenientemente predisposte ed organizzate per dare ospitalità e possibilità di sosta, ristoro, pernottamento e servizi connessi ed attrezzate per il primo intervento di soccorso. Dotate di locali separati ad uso Gestore/Custode e di un locale invernale con accesso indipendente per il pernottamento durante i periodi di chiusura. In questa categoria sono compresi i rifugi incustoditi a cui tutti possono accedere ritirando le chiavi a valle con le modalità stabilite dalla sezione. b) PUNTI DI APPOGGIO: strutture fisse generalmente ricavate con corretti ma modesti interventi di restauro e recupero di esistenti edifici tipici dell’ambiente montano quali casere, baite, malghe non più utilizzate, purché agibili, al fine di salvaguardare un aspetto del paesaggio tradizionale della montagna. Ubicate, in luoghi dove non esistono rifugi alpini devono consentire il ricovero ad alpinisti ed escursionisti, con una attrezzatura semplice, ma indispensabile al pernottamento. Raggiungibili esclusivamente a piedi con sentieri o mulattiere, hanno la funzione di punti di appoggio e di transito lungo itinerari in media quota, alte vie, traversate. Sono escluse funzioni di gestione per servizi di fornitura cibi e bevande.

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Per la relativa manutenzione si procederà come per i bivacchi. c) BIVACCHI FISSI: costruzioni di modeste dimensioni con capienza normalmente non superiore ai 12 posti, generalmente ubicati nelle zone più elevate delle catene montuose, frequentate per alpinismo classico, quali basi prossime agli attacchi delle vie di salita o lungo percorsi alpinistici di quota. Sono strutture incustodite e aperte in permanenza, attrezzate con quanto essenziale per il pernottamento o il riparo di fortuna degli alpinisti. Le Sezioni si devono interessare direttamente per la loro permanente apertura e per la perfetta manutenzione, nonché delle condizioni igieniche, di pulizia estesa agli spazi adiacenti al bivacco. d) CAPANNA SOCIALE: ricavata da immobile esistente, purché agibile, con interventi di ristrutturazione. Disponibilità in via esclusiva da parte di una Sezione in qualità di proprietaria oppure a titolo di possesso o comunque con diritto d’uso. È dotata di attrezzatura semplice, conforme ai requisiti igienico-sanitari di base ed è tutelata l’esigenza della prevenzione incendi. È generalmente chiusa con le chiavi reperibili presso la Sezione. Viene considerata quale Sede sociale in quota di una Sezione e può essere utilizzata per soggiorni di soci o incontri intersezionali. Per la sua realizzazione non è previsto l’iter per i nuovi rifugi, con richiesta di deroga di cui al successivo art. 3, bensì è prevista la procedura semplificata di cui all’allegato 3 punto D del Regolamento Commissione centrale rifugi e opere alpine. Non è soggetta all’applicazione del Tariffario, poiché la gestione è limitata rigorosamente all’ambito associativo. Ha l’obbligo di esporre lo stemma del Club alpino italiano all’esterno. E’ inserita in uno specifico elenco. Alle predette strutture, qualora di proprietà del Sodalizio o delle Sezioni, oppure da queste utilizzate a vario titolo (concessione, affittanza, affidamento, uso, ecc.) si applicano le norme del presente Regolamento.” 1.2 Cenni storici Le radici più profonde della parola “rifugio” affondano, infatti, in un contesto culturale ben diverso da quello attuale: quello economico, degli scambi commerciali e

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delle spedizioni militari, e pure quello religioso, di pellegrinaggio ai grandi Santuari, che già in epoca medievale fece sorgere sui più importanti Passi i primi “hospitia” ad opera dei monaci, come quelli del Sempione, del Gottardo e del Gran San Bernardo3. All’epoca si trattava quindi di creare dei punti d’appoggio nei luoghi di più difficile transito per alleviare le fatiche del viandante e solo verso la fine del XVIII secolo la montagna comincia ad essere vista sotto un’altra prospettiva: non più come luogo ostile, popolato da creature mostruose da attraversare per necessità il più velocemente possibile, bensì come il terreno di gioco di una nuova disciplina sportiva chiamata alpinismo, consistente essenzialmente nello scalare le montagne fine a se stesso e senza dunque fini commerciali, religiosi, militari o altro. Solo in tempi relativamente recenti, verso la metà del XIX secolo, nasce quindi la moderna idea di rifugio quale punto d’appoggio per rendere più agevoli le ascensioni in montagna agli alpinisti. L’ architettura in alta quota è nata quindi, come fenomeno spontaneo, per creare un riparo ai frequentatori della montagna.

Figura 1.4 Rifugio ai Grands Mulets del Monnte Bianco nel 1853 e nel 1900. Fonte: Gibello L., 2014

1.2.1 Dalla fine del Settecento alla metà dell’Ottocento La nascita dei primi rifugi può riportare alla mente gli archetipi dell’architettura: infatti, la struttura che viene presa in considerazione è quella a capanna, sostantivo che in seguito verrà utilizzato anche affiancato ai nomi proprio dei rifugi stessi4. I primi riscontri di costruzione di rifugi alpini si fanno risalire alla fine del Settecento. Infatti, è proprio in questo periodo che muta la percezione del paesaggio alpino: inizia la curiosità nei confronti delle Alpi, che non vengono più percepite come un luogo inaccessibile e ostile all’uomo, bensì come luogo in cui poter contemplare la natura e studiare i fenomeni naturalistici. L’origine del rifugio in montagna è fatta generalmente risalire al 1785 con la Capanna Vincent costruita sul versante meridionale del Monte Rosa quale punto di appoggio per lo sfruttamento delle adiacenti miniere d’oro. A partire dai primi anni dell’Ottocento, quindi, il rifugio di montagna si sviluppa come una sorta di punto di osservazione privilegiato sulle Alpi. Ma si può parlare di 3. Gibello L., 2014 4. Gibello L., 2014

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Figura 1.5 Le metamorfosi del rifugio. Fonte: Gibello L., 2014

veri proprio rifugi, solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, in quanto si sviluppa rapidamente l’attività alpinistica, vista come conquista della montagna, non necessariamente accompagnato dallo scopo scientifico, e cresce sensibilmente la presenza nel territorio alpino di nuovi esploratori, grazie ai quali si assiste alla nascita vera e propria dell’alpinismo. Naturalmente la meta più ambita è il Monte Bianco e Chamonix diventa il centro più frequentato dagli alpinisti europei. I primi cantieri del periodo fanno uso della cosiddetta “quarta parete”: “L’uomo razionalmente affronta la montagna e osa impiantarvi un cantiere, ma lo fa cercando di ingraziarsi la Natura”5.

Figura 1.6 Grunhornhutte in Glarona nel 1863 e oggi. Fonte: Gibello L., 2014

In questi primi cantieri si cerca di ottimizzare nel modo migliore lo spazio, i materiali, il tempo, la manodopera e soprattutto il denaro: si giunge così alla costruzione anche di modeste cengie, sporgenza pianeggiante di una parete rocciosa, realizzate con pietrame reperito in loco e solo durante il periodo estivo da parte di volontari, spesso abitanti della zona. La necessità di risparmio su tutti i fronti ha come conseguenza il fatto che spesso le strutture presentavano difetti costruttivi rilevanti, che spesso non lo facevano sopravvivere alle prime nevicate. Il concetto di rifugio, pertanto, è già ben delineato a partire dall’Ottocento; sono carenti invece le tecniche edilizie per la realizzazione dei rifugi stessi, nonché i progetti architettonici alla base delle costruzioni. 5. Gibello L., 2014

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1.2.2 La seconda metà dell’Ottocento La situazione inizia a mutare proprio verso la seconda metà del XIX secolo, con la nascita dei sodalizi internazionali tra alpinisti, il cui obiettivo è quello di provvedere alla costruzione ed alla manutenzione dei rifugi nei rispettivi territori nazionali: nasce così il Club Alpino Italiano. L’idea di fondare una società alpinistica nazionale nacque sul Monviso, nell’agosto del 1863 in occasione dell’ascensione alla vetta compiuta dallo statista biellese Quintino Sella con Paolo e Giacinto di Saint-Robert e Giovanni Barracco. Il primo rifugio costruito dal CAI in Italia si trova lungo le pendici del Monviso: si tratta di una struttura modesta, in grado di ospitare una decina di persone6. La scelta dei siti nei quali costruire i rifugi si basa, in questo periodo, su valutazioni provvisorie e per nulla certe. Il procedimento di valutazione veniva effettuato attraverso la predisposizione di segnali (spesso costituiti da un ammasso di pietre raccolte in loco) durante l’estate: se il segnale veniva ritrovato l’estate successiva, il sito veniva considerato sicuro. Tuttavia, questo sistema non consentiva nessuna indagine circa la conformazione del terreno. Pertanto, in questa fase, i rifugi sono interessati da un lato da una grande diffusione, ma dall’altro da un altrettanto rapido processo di abbandono, dovuto principalmente agli eventi atmosferici e climatici7. Verso la fine del XIX secolo, fattori come il timore degli agenti atmosferici, uniti all’aumento del numero degli alpinisti, ed alla loro ricerca di nuove vie da percorrere, portano ad un grande passo in avanti nelle tecniche edilizie della costruzione dei rifugi. In particolare, si assiste ad un gran numero di interventi di ampliamento o ricostruzione delle strutture già esistenti, attraverso nuove tecniche costruttive. Innanzitutto si inizia a discostarsi dalla cosiddetta “quarta parete”, anche se solo di pochi centimetri: questo porta purtroppo ad ulteriori danneggiamenti, derivanti dalla formazione di intercapedini tra la struttura e la roccia, nella quali si accumulava ghiaccio che, con la sua forza, provocava profonde crepe e rotture. In seguito si arriverà a costruire molto più distaccati dalla roccia, in luoghi liberi da tutti i lati. Ciò ha facilitato interventi di ampliamento dei rifugi, anche di

Figura 1.7 Logo del Club Alpino Italiano. Fonte: www.cai.it

6. Gibello L.,2014 7. Gibello L., 2014

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Figura 1.8 Rifugio Quintino Sella al Monte Rosa nel 1885. Fonte: Gibello L., 2014

quelli in pietra. Un’altra evoluzione, questa volta più efficacie, è rappresentata dalla scelta di rivestire i muri internamente con tavolati di legno: in questo modo il calore interno prodotto dai fornelli durava più a lungo e l’ambiente risultava anche meno umido, poiché il freddo veniva filtrato dai muri a secco. Questo suggerì in seguito la costruzione dei rifugi interamente in legno. Il distacco dalla roccia e l’utilizzo del legno costituiscono una grande rivoluzione. Si tratterà di una sorta di razionalizzazione del cantiere: infatti, il legno utilizzato per la costruzione dovrà essere trasportato a spalle. Si crea pertanto un preconcetto di quella che poi sarà la prefabbricazione vera e propria, e i materiali verranno trasportati e assemblati in loco. L’ultimo passaggio relativo all’evoluzione delle tecniche costruttive di fine Ottocento consiste nella costruzione di rifugi molto più solidi, in grado di resistere agli sbalzi climatici e agli agenti atmosferici, attraverso l’utilizzo di materiali di prima scelta. Le strutture regolari sono realizzate con buone malte di calce o cementi; i rifugi sono intonacati all’interno e spesso rivestiti in legno, lasciando comunque uno strato di aria coibentata tra l’esterno e l’interno. Questa fase è quindi caratterizzata da un miglioramento qualitativo della struttura esterna, che porta con sé anche una maggiore attenzione per il comfort e per i dettagli interni. Negli ultimi anni dell’Ottocento nasce anche un’altra tipologia di rifugio: si tratta del rifugio-osservatorio. Queste strutture vengono costruite per provvedere alle esigenze degli scienziati, che individuano nelle vette dei punti privilegiati di osservazione. Il Monte Bianco diventa un sito molto ambito, in quanto consente un’osservazione più esatta, poiché non viene compromessa dai fenomeni atmosferici del fondovalle. 1.2.3 L’inizio XX secolo

Figura 1.9 Gaulihutte in Oberland Bernese nel 1895. Fonte: Gibello L., 2014

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Con l’inizio del Novecento l’alpinismo conosce una fioritura quasi continua, che si protrarrà senza accenni di crisi fino alla metà del secolo; con esso si alimenta l’esigenza di ritrovare punti di appoggio per gli alpinisti e per le guide alpine, professione in forte ascesa, grazie anche a sodalizi internazionali. Nelle esposizioni mondiali iniziano ad essere presentati anche alcuni rifugi, percepiti come “case di rappresentanza” da parte delle istituzioni, nonché come esempi di costruzione ad alta quota. In que-


ste esposizioni si propongono sia soluzioni innovative e sperimentali, che modelli ideali in scala. Proprio per la diffusione della conoscenza del mondo alpino e dell’alpinismo, si inizia a sentire la necessità di ampliare l’offerta di ospitalità anche ad alta quota: nei periodi estivi emerge in particolare la figura di un custode fisso che, oltre a gestire il rifugio, ne assicura la sorveglianza per evitare danni e vandalismi da parte di bracconieri, contrabbandieri o viandanti poco scrupolosi. È da qui che si pensa ai primi prototipi di rifugio-albergo, con il miglioramento dei servizi offerti agli escursionisti. Questa esigenza nuova, ha delle conseguenze anche per quanto riguarda la tecnica edilizia: si costruiscono rifugi in muratura più stabili, le dimensioni aumentano, ma soprattutto, si inizia a costruire su più livelli. Importante, all’inizio del Novecento, è il ruolo del Club Alpino Italiano8 e la sua promozione nella costruzione di nuovi rifugi. La sezione del CAI di Torino realizza tra il 1899 e 1900 il rifugio Torino al Colle del Gigante, a 3300 metri di altitudine, progettato da Alberto Girola, costituito da due piani e in grado di ospitare fino a sessanta persone. Tra i vari rifugi realizzati dal CAI, l’opera di maggior impegno è probabilmente quella del rifugio-albergo Quintino Sella al Monviso. L’edificio è stato eretto tra il 1904 e 1905, a 2650 metri, ed è stato progettato da Ubaldo Valbusa, costituito da tre piani, oltre al sottotetto nel quale è stato creato un punto di osservazione9. Qui i posti letto sono circa sessanta, e quarantaquattro quelli nella sala da pranzo. Soprattutto dopo la Prima Guerra Mondiale questa tipologia di rifugio si espanderà anche a quote più basse, trasformandosi quindi in semplici alberghetti, anche di proprietà di privati, al fine di dare ospitalità agli escursionisti o ai passeggiatori. Già all’inizio del XX secolo, quindi, l’attenzione per la cultura architettonica del territorio assume un ruolo centrale. Nel 1905, per la prima volta, in Svizzera, nasce l’Heimatschutz10, una delle maggiori organizzazioni che 8. Il Club Alpino Italiano (CAI) è la più antica e vasta associazione di alpinisti ed appassoniati di montagna in Italia. Costituito il 23 ottobre 1863 a Torino, Il Club Alpino Italiano è una libera associazione nazionale che ha per scopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale. 9. Gibello L., 2014 10. L’Heimatschutz Svizzera è la maggiore organizzazione elvetica operante a fini ideali nel campo della cultura architettonica. Nata nel 1905, l’Heimatschutz persegue i suoi obiettivi curando anzitutto le attività rivolte al pubblico, come la consulenza tecnica, la collaborazione in materia di pianificazione e l’assegnazione di contributi finanziari a progetti esemplari.

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Figura 1.10 Fasi di montaggio di un Bivacco. Fonte: Gibello L., 2014

opera per individuare e valorizzare i caratteri di identità nazionale da concretizzare nella tipologia degli edifici e nei materiali costruttivi: principi, fondamentalmente, di stampo conservatore. La struttura doveva riprendere le forme tipiche delle costruzioni presenti degli alpeggi, proprio in quanto autoctone, l’utilizzo di tetti a due falde ricoperti di lamiera, e l’uso della pietra della costruzione. Da qui, probabilmente nasce l’idea di rifugio come baita, nonostante i rifugi fossero costruiti più in quota, in territori fino ad allora mai utilizzati. Si tratta di una mescolanza tra tradizione e novità, con una connotazione folkloristica e nazionalistica, che verrà ripresa da altri stati, nell’arco alpino. Gli ideali dell’Heimatschutz condizioneranno poi tutta l’architettura alpina svizzera e non solo, ponendo un freno alla ricerca a all’innovazione progettuale, proprio perché legata alla tradizione e alla conservazione11. Il legame alla tradizione, pur limitando la ricerca progettuale, non elimina del tutto la varietà di tipologie costruttive, legate alla tematica del rifugio alpino. Nel contesto del Club Alpino Accademico Italiano (CAAI)12, emerge la proposta per la costruzione di bivacchi fissi, con collocazione prevalente, laddove la frequentazione è meno assidua e dove quindi c’è meno richiesta di strutture ricettive. Il progetto riguarda la costruzione di strutture a “cassa stagna” in lamiera, per accogliere quattro o cinque persone. A livello 11. Gibello L., 2014 12. Il Club Accademico Italiano (CAAI), nasce nel 1904 con lo scopo di riunire i Soci del CAI che avessero acquisito meriti speciali nell’alpinismo senza guide. Esso è una sezione del CAI, ed ha come scopo quello di promuovere l’alpinismo ad elevato livello di difficoltà su tutte le catene montuose del mondo.

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costruttivo, la struttura è efficiente ed innovativa: la forma a semibotte riduce la pressione del vento e della neve, quindi le costrizioni hanno buona resistenza agli agenti atmosferici. La struttura è interamente prefabbricata e facilmente trasportabile, con una discreta riduzione dei costi e dei tempi di manutenzione. Oltre a questa parentesi di innovazione, si può dire che è a partire dalla fine della prima Guerra Mondiale che il tema dell’ambiente e del territorio entra nel dibattito architettonico. Il cambiamento maggiore riguarda la committenza e le esigenze prese in considerazione nel progetto: ci si allontana sempre di più da una committenza nobile e ci si concentra su pianificazioni delle zone di espansione e sull’edilizia popolare delle città, razionalizzando le tecniche costruttive e l’organizzazione del cantiere. 1.2.4 I rifugi alpini: dalle due guerre fino ai nostri giorni La prima guerra mondiale coinvolge molti settori delle Alpi Orientali: qui si combatte fino a quote elevate, anche superiori a 3000 metri, vengono realizzati accampamenti, trincee, opere infrastrutturali importanti come strade di accesso, gallerie, postazioni per cannoni, vengono costruite caserme che poi al termine della guerra verranno riutilizzate come rifugi passando di proprietà al CAI. Del resto, il contributo degli alpini, sia durante il conflitto che nei periodi di pace, è stato fondamentale, soprattutto per quanto riguarda il trasporto dei materiali o l’apporto di manodopera13. Durante il periodo fascista l’attività edilizia del CAI, che viene affiliato al CONI14 e cade sotto il controllo del regime, viene rallentata. Ma la società alpina nel 1933 partecipa all’Esposizione internazionale di architettura della V Triennale di Milano, presentando i progetti del concorso per individuare il modello di rifugio alpino. Cominciano, così, a partecipare alla progettazione e realizzazione di rifugi anche architetti specializzati che, anche in quanto membri di organizzazioni alpine, impegneranno la loro esperienza per questa causa. 13. Gibello L., 2014 14. Il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) è un’organizzazione, nata nel 1914 come parte del Comitato Olimpico Internazionale (COI), con lo scopo di curare l’organizzazione e il potenziamento dello sport italiano attraverso le federazioni nazionali sportive; altro obiettivo importante è la promozione dello sport nazionale.

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Figura 1.11 Cabane de l’A Neuve nel Monte Bianco 1927. Fonte: Gibello L., 2014

In questo periodo sono diverse le tipologie di materiali utilizzati: si possono ritrovare membrane bituminose o sottili lastre di alluminio, oltre che pannelli Isorel (predecessore della lana di vetro e di roccia) per le intercapedini. Si approfondisce, inoltre, l’organizzazione del lavoro e la prefabbricazione, adottando anche nuovi mezzi di trasporto come l’aereo, da cui vengono paracadutati gli elementi prefabbricati per le nuove costruzione o le ricostruzioni. Una delle protagoniste di questi anni è la francese Charlotte Perriand, collaboratrice di Le Corbusier, che insieme all’ingegner André Tournon progetta un sistema costruttivo a telaio in tubi finissimi di alluminio, direttamente conficcati nel terreno, e pannelli di compensato. La struttura creata è facilmente smontabile e trasportabile, oltre che adatta ad ospitare circa sei persone con brande e tavoli ribaltabili. In Italia, durante gli Anni ’30, emerge sempre di più la figura dell’ingegner Giulio Apollonio, presidente della SAT15 , e Consigliere del CAI, al quale nel 1936 il CAI stesso commissiona uno studio sull’architettura dei rifugi e la predisposizione del “Piano quadriennale dei lavori nelle Alpi occidentali”, iniziativa finalizzata ad ampliare l’offerta ricettiva dei rifugi di montagna, approvato poi dai ministeri. Apollonio partecipa in prima persona alla commissione tecnica che detta i criteri su cui si devono basare i progetti: i principi generali di progetto si impostano sulla concezione che il rifugio non sia soltanto un ricovero, ma debba invece diventare una struttura in grado di offrire maggiori servizi agli escursionisti, in continua espansione. Si sceglie quindi di erigere strutture anche a quote più modeste, per trarre maggiore profitto, in modo tale da poter finanziare i rifugi collocati in zone meno frequentate. Per quanto riguarda la struttura, si sceglie di diversificare i progetti, abbandonando quindi l’idea di un modello unico di riferimento. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, permette solo in parte la realizzazione del piano, che verrà poi ripreso alla fine delle ostilità e in parzialmente completato. Il periodo bellico risulta, comunque, drammatico per i rifugi occidentali, utilizzati spesso come basi della lotta partigiana e pertanto talvolta distrutti o danneggiati. L’opera di ricostruzione parte subito con gran15. La Società degli Alpinisti Tridentini (SAT) venne fondata nel 1872 con il nome di Società Alpina del Trentino. I soci fondatori intendevano promuovere la conoscenza delle montagne trentine, lo sviluppo turistico delle vallate e “l’italianità” del Trentino. I mezzi per perseguire tali scpopi erano: la costruzione di rifugi, la realizzazione di sentieri, finanziamenti agli albergatori, organizzazione delle guide alpine.

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de volontà alla fine della guerra: il CAI tende ad affidare i rifugi alle sezioni più vicine, per facilitarne la manutenzione e la custodia, ed oltre alla ricostruzione si registrano numerosi ampliamenti dei rifugi. Negli anni ’50 compare l’elicottero, il cui utilizzo semplifica i trasporti e consente di accorciare i tempi di realizzazione. In Francia gli architetti Lederlin e Kaminsky, realizzano con tale mezzo di trasporto i rifugi Grand Mulets e Goûter al Monte Bianco, con struttura portante metallica e tamponamento con pannelli di alluminio prefabbricati. I nuovi metodi costruttivi permettono di pensare strutture anche dove il terreno estremamente scosceso non consente di realizzare piani di appoggio naturali. Gli architetti, quindi, che ormai fanno parte del mondo cultura architettonica dei rifugi, iniziano a studiare nel dettaglio questo mondo e scrivere volumi molto precisi, riguardanti i rifugi di montagna e le sfumature dell’alpinismo. Uno di questi, è Jacob Eschenmoser, architetto svizzero, che pubblica nel 1973 un volume sull’alpinismo e la costruzione dei rifugi, una summa delle sue teorie applicate durante una lunga produzione architettonica in tal senso, dal 1957 al 1986, nella realizzazione o ricostruzione o ampliamento di numerose strutture elvetiche16. Il suo principio è quello di realizzare ambienti basati su piante centrali a matrice poligonale, dove le pareti e le falde della copertura vengono realizzati con continuità senza interposizione di gronde: la pianta centrale risponde ad un’idea di ottimizzazione dello spazio: non angoli retti ma figure geometriche tendenti al cerchio. Per quanto riguarda i materiali, alla pietra affianca il legno, che consente maggior libertà per le finestrature. La seconda metà del XX secolo è interessata dalla nascita, anche in alta quota, di grandi volumi che cementificano la montagna, senza particolare attenzione all’ambiente, come la nuova capanna Gnifetti al Monte Rosa o il rifugio Chabod al Gran Paradiso. Per questo motivo, alla fine dello stesso secolo, cresce la preoccupazione per l’ambiente: nel 1991 viene firmata da sei stati la “Convenzione delle Alpi”17 per la protezione e lo sviluppo sostenibile del territorio alpino. Viene messa in

Figura 1.12 L’ elicottero degli anni ‘50. Fonte: www.delcampe.net

16. Gibello L., 2014 17. La Convenzione delle Alpi è un trattato internazionale sottoscritto dagli otto Paesi alpini: Austria, Francia, Germania, Liechtenstein, Principato di Monaco, Slovenia e Svizzera nonchè dalla Comunità Europea con l’obiettivo di garantire una politica comune per l’arco alpino. La Convenzione delle Alpi, sottoscritta nel 1991, per la prima volta riconosce l’unità territoriale alpina e la necessità di garantire sviluppo e politiche di tutela comuni.

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discussione l’opportunità di proseguire nella politica di costruzione di nuovi rifugi, e le parole d’ordine diventano recupero, trasformazione, riqualificazione, eventualmente ricostruzione e/o ampliamento. Ci si ispira ai criteri di contenimento dei consumi energetici, certificazione dei materiali, sicurezza e smaltimento dei rifiuti. Nelle ricostruzioni o nuove realizzazioni, la “forma” degli edifici diviene l’elemento più significativo: esso, infatti, deve imprimersi nella memoria di chi la vede, trasformandosi talvolta anche in un nuovo strumento di marketing. I progetti nuovi si ispirano, in gran parte, a concetti di autosufficienza energetica, le coperture e spesso anche le pareti diventano sede di pannelli per lo sfruttamento dell’energia solare. L’aspetto che maggiormente caratterizza le più recenti costruzioni è sicuramente quello dell’astrazione figurativa: forme prismatiche, aperture che scandiscono la facciata, coperture talvolta piane, pur con le problematiche legate al peso della neve. Notevolissimo è oggi il numero dei rifugi alpini; e se all’inizio erano spesso costruiti con carattere panoramico, sulla vetta di facili montagne, essi hanno in seguito sempre più generalmente accentuato il loro carattere di punto di partenza per le scalate. Il Club alpino italiano possiede oggi circa 350 rifugi18, sparsi ovunque, specialmente, s’intende, sulle Alpi ma anche sull’Appennino; e ogni anno se ne aggiungono di nuovi. 1.3 Classificazione Il regolamento del Club Alpino Italiano prevede la suddivisione dei rifugi in differenti categorie, secondo quanto afferma l’Articolo 2 del Titolo I del Regolamento Generale Rifugi19: “In relazione alla posizione topografica, finalità alpinistiche-escursionistiche, particolari condizioni d’ambiente - anche stagionali - quota, difficoltà di accesso e conseguenti fattori economici di gestione, la Commissione centrale rifugi ed opere alpine conferisce alle strutture ricettive di cui all’art. 1/a distinte categorie. Tale classificazione viene determinata ad uso esclusivo interno del Sodalizio. Il criterio di assegnazione delle categorie è 18. Fonte: www.cai.it 19. Il Regolamento Generale Rifugi è un insieme di norme definite dal CAI e non sostituisce o integra le norme legislative vigenti emanate dagli Organi Statali e locali. Il presente Regolamento Generale Rifugi è stato approvato dal Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo del CAI nella sua riunione del 26 novembre 2011.

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compito della Commissione Centrale Rifugi.” Il regolamento stabilisce, inoltre che la seguente classificazione, ha valore solo ed esclusivamente all’interno del CAI. Esso prevede la suddivisione dei rifugi in tre gruppi e cinque categorie: 1° GRUPPO: RIFUGI ESCURSIONISTICI Categoria A: quelli raggiungibili con strada rotabile aperta al traffico ordinario o comunque ubicati in prossimità di questa. Per i rifugi di categoria A è ammessa, ai soli fini del tariffario, una differente classificazione per il periodo invernale qualora la situazione ambientale risulti condizionare le possibilità di rifornimento Categoria B: quelli raggiungibili con mezzo meccanico di risalita in servizio pubblico (escluse le sciovie), o comunque ubicati in prossimità dello stesso. Per i rifugi di categoria B è ammessa, ai soli fini del tariffario, una differente classificazione qualora i mezzi meccanici di risalita risultino chiusi per lunghi periodi dell’anno. 2° GRUPPO: RIFUGI ALPINISTICI Categoria C – D - E: rispettivamente, in relazione alla situazione locale con particolare riferimento alla quota, alla durata e difficoltà di accesso, nonché all’incidenza del sistema normalmente adottato per i rifornimenti. 3° GRUPPO: PUNTI Dl APPOGGIO - BIVACCHI FISSI - CA PANNE SOCIALI. Per le loro specifiche caratteristiche non comportano alcuna classificazione. Alcune legislazioni regionali (ad es. Piemonte ed Emilia-Romagna) prevedono una suddivisione ulteriore in: • rifugio escursionistico: struttura atta ad offrire ospitalità ad alpinisti ed escursionisti, situata in luoghi favorevoli alle escursioni, anche in prossimità di centri abitati, e di facile raggiungibilità con normali mezzi meccanici (corrisponde al rifugio CAI categoria A) • rifugio alpino: struttura atta ad offrire ospitalità ad alpinisti ed escursionisti, situata in zona isolata di montagna, raggiungibile mediante sentieri, mulattiere, ecc. (corrisponde ai rifugi CAI categorie B, C, D, E).

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La regione Piemonte, comunque, mantiene anche una suddivisione più dettagliata, analoga alla suddivisione dei rifugi, maggiormente definita nelle caratteristiche di appartenenza:

Tabella 1.1 Descrizione delle categorie di rifugio. Elaborazione dell’autore.

Anche la provincia autonoma di Trento introduce una distinzione tra rifugio alpino e rifugio escursionistico. Secondo questa distinzione, un rifugio si può classificare come escursionistico se si verifica almeno una delle seguenti condizioni: 1. accesso tramite strada aperta al traffico ordinario, anche solo in limitati periodi dell’anno 2. dimensione dei locali adibiti a camera con adeguata densità di posti letto uguale o superiore a 10 m³ di aria per posto letto 3. percentuale di posti in camere fino a 4 posti letto uguale o superiore al 50% della capienza complessiva 4. presenza di camere con servizi igienici interni (bagno in camera) 5. prevalenza di servizi dedicati agli escursionisti nei rifugi prossimi agli impianti a fune o alle piste di sci, confermata da una valutazione espressa dalla Conferenza provinciale per il patrimonio alpinistico.

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1.4 Caratteristiche tradizionali del rifugio Questo particolare tipo di edificio ha origini e sviluppo che è cresciuto con la nascita e l’espansione dell’alpinismo e con la fondazione delle grandi società alpine. Dopo un primo periodo di costruzioni rudimentali, fino dagli ultimi anni dell’800 si sviluppò una particolare tecnica della costruzione del rifugio: essa riguarda in primo luogo la sua costituzione organica, planimetrica e altimetrica, per poter rispondere alle esigenze richieste, come ad esempio in base alla differenziazione dell’alpinismo, alla capienza desiderata o ai diversi modi di gestione; in secondo luogo la scelta dell’ubicazione specifica, in base ad esempio a determinati obiettivi alpinistici; in terzo luogo la conformazione delle loro singole parti, tale da prestarsi al buon funzionamento in un particolare ambiente.

Figura 1.13 Piante e sezioni di un tradizionale rifugio-albergo. Fonte: Gibello L., 2014

1.4.1 Ubicazione La costruzione di un rifugio implica sempre la possibilità di una buona via di accesso. Si sceglie l’ubicazione, in confronto agli itinerari delle prossime arrampicate, in modo tale che da essi sia possibile compiere le ascensioni e ritornare al rifugio nella stessa giornata. Una volta determinata l’ubicazione approssimativa del rifugio, in rapporto al suo particolare tipo e in rapporto agli itinerari, è necessario fissare l’ubicazione precisa del rifugio stesso, in modo da salvaguardare al massimo la costruzione dal pericolo degli agenti atmosferici. Anzitutto, in

Figura 1.14 Rifugio dei Loff, Prealpi Bellunesi. Il rifugio si trova addossato per tutto un lato al versante della montagna. Fonte: www.wikipedia.it

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base a lunghe e accurate osservazioni ed esperienze, si evitano le zone battute da valanghe, ed è importante che il rifugio sia isolato dalla roccia. La scelta migliore è costruire l’edificio su una prominenza erbosa, dove l’acqua non stagni in primavera. Per l’orientamento dell’edificio, esso si progetta in modo che la facciata in cui si trova la porta d’ingresso sia situata a sud o ad est, poiché la neve si scioglie più rapidamente in questi due lati. Tuttavia, questa direzione non dovrebbe coincidere con quella dei venti dominanti, che si infiltrerebbero all’interno della costruzione. È molto importante che il fronte nord abbia poco aperture o nessuna, a causa del vento di tramontana, e generalmente la posizione prescelta per il progetto è molto soleggiata e la meno ventosa possibile. Inoltre, la futura costruzione, deve trovarsi in vicinanza di acqua potabile, poiché se il rifugio è molto grande, l’acqua deve essere facilmente condotta all’interno. I rifugi-alberghi si costruiscono in prossimità dei gruppi montuosi frequentati da un gran numero di turisti, oltre che di alpinisti. Alcuni sono ubicati addirittura ai margini delle grandi strade rotabili di comunicazione tra le valli, specialmente in prossimità dei passi (ad es., il rifugio del Passo di Sella, o quello del Passo di Gardena); altri sono serviti da mulattiere, collegate ad importanti centri di villeggiatura, in prossimità di celebri gruppi montuosi (ad esempio, la capanna Payer, sotto l’Ortles in Valle di Solda). I normali rifugi hanno obiettivi più strettamente alpinistici; essi sono più lontani dai centri di villeggiatura e dai nodi stradali, sono serviti da sentieri, talvolta discretamente difficili, e sono disposti nei gruppi montuosi ricchi di interessanti itinerari, in posizioni favorevoli per l’attacco delle arrampicate. 1.4.2 Tipologia e organizzazione dello spazio Recentemente il grande estendersi dell’alpinismo in ogni classe sociale e la sua maggiore differenziazione hanno originato vari tipi di rifugi. In ognuna delle tipologie, comunque, ha molta importanza la determinazione della grandezza del rifugio, che va commisurata giustamente al numero dei frequentatori. L’eccessivo ammassamento di ospiti offre molti inconvenienti, di cui il peggiore è il disturbo del riposo, mentre un rifugio inutilmente grande

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è un grave errore economico. Il classico rifugio di montagna prevede un’organizzazione dello spazio abbastanza semplice e funzionale: al piano terreno, non manca mai un piccolo locale autonomo ad uso ingresso, dotato solitamente di armadi a muro, nonché di un locale di disimpegno, sul quale si aprono gli altri ambienti, fra cui la stanza da pranzo, e spesso qualche saletta, la cucina, la stanza per il pranzo delle guide e del conduttore, quasi sempre con ingresso di servizio indipendente verso l’esterno, una piccola dispensa e deposito e la scala che conduce ai piani superiori, sempre di legno. Spesso anche una parte del pianterreno è adibita a locali di riposo, a stanze separate a uno o due letti, o a dormitorio comune: questi sono i locali con i quali generalmente è costituito il primo piano. Nei semplici rifugi esistono generalmente solo poche stanze isolate a uno o due letti. I dormitori comuni si distinguono in due tipi: a cuccette sovrapposte, fatte con reti metalliche o brande di stoffa, disposte in colonne verticali di due o tre, come nelle navi, in modo da utilizzare al massimo la superficie coperta; o addirittura, il che è molto più raro nei rifugi moderni, a semplice tavolato di legno con pagliericci individuali per gli utenti. Nel sottotetto, generalmente abbastanza alto e ampio, data la forte pendenza delle falde, sono anche ubicati talvolta dei dormitori comuni per gli alpinisti; quelli più rudimentali, destinati sempre alle guide e al personale di servizio. Siccome la maggior parte dei rifugi attualmente esistenti non è attrezzata per l’uso invernale, e specialmente i più grandi sono molto scomodi per il pernottamento di piccole comitive, in mancanza del custode, si sta cercando di far sì che tutti questi rifugi di tipo normale siano muniti di un locale d’inverno, con porta separata, fornito di cuccette, di una cucina e con particolari accorgimenti costruttivi. Ed esempio, le porte d’ingresso, solitamente, sono sempre doppie. Per di più è buona precauzione che abbiano davanti un piccolo avancorpo, il quale, mentre da un lato impedisce alla neve di accumularsi eccessivamente, così da sbarrarla, serve anche ai visitatori per scuotere la eventuale neve addosso a loro. Si predilige per di più che la porta esterna sia divisa in due sezioni, una superiore ed una inferiore, da aprirsi indipendentemente, così da poter entrare anche se la neve impedisce ai battenti bassi di aprirsi. Anche le finestre hanno doppio infisso: un telaio con battenti a vetri e delle

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Figura 1.15 Dettagli costruttivo, in disegno e in foto, del sistema Blockbau. Fonte: www.walser.it

Figura 1.16 Particolare del Blockbau e del pilastrino a forma di fungo. Fonte: www.walser.it

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persiane esterne, e talvolta si ha un terzo infisso a vetri. Spesso, si lascia all’esterno una scala in modo da poter entrare nel rifugio tramite un apposito apertura nel tetto. Il sottotetto, talvolta abbastanza alto e ampio, data la forte pendenza delle falde, può essere utilizzato per l’ubicazione di dormitori, destinati sempre alle guide e al personale di servizio, e inoltre nel sottotetto si sistemano serbatoi di riserva idrica, dispense per riserva di viveri, e in casi particolari ambienti di uso speciale. 1.4.3 Tecniche costruttive tradizionali Il passaggio, nei secoli scorsi, da capanne addossate alla roccia con solo tre pareti, a quello di organismi indipendenti è fondamentale da punto di vista delle caratteristiche costruttive che distinguono questa tipologia di edifici. La costruzione, in genere in legno, si caratterizzava come un primo esempio di industrializzazione edilizia e di prefabbricazione: infatti gli edifici erano realizzati con elementi modulari che venivano assemblati a valle, numerati e poi smontati e trasportati per essere riassemblati in loco, con necessità pertanto di ottimizzarne le dimensioni ed il peso, in rapporto alle possibilità di trasporto. Si trattava di edifici molto semplici, in genere l’ambiente interno unico comprende zona giorno e zona notte. Il progetto veniva messo a punto nei laboratori artigiani, dove si realizzavano e si assemblavano i semilavorati, si studiavano le problematiche e si individuavano le tecniche costruttive più convenienti. La ricca esperienza nella lavorazione del legno, tramandata attraverso le diverse epoche, è testimoniata


da una vastissima gamma di soluzioni che mostrano le numerose possibilità di questo materiale nell’architettura in generale montana. Si pensi all’edificio costruito con travi incastrate negli angoli conosciuta con il nome di “Blockbau” o “tecnica stav”20. Com’è solito nell’architettura montana, anche nei rifugi ad alta quota, nel pianterreno, il solaio controterra deve essere sollevato dal terreno almeno di qualche decina di centimetri, sia che la costruzione sia in legno che in muratura, come ad esempio tramite l’utilizzo di pietre collocate nella parte superiore dei pilastri, su cui venivano posate le travi di fondazione. Le pietre cosi utilizzate in funzione di fondazione sono conosciute con il nome di “funghi”. Oltre alle pareti in legno, nel corso degli anni, si inizia poi ad utilizzare altri sistemi di costruzione delle pareti, come la muratura. Le più diffuse ed antiche sono sicuramente le murature composte da pietre naturali, irregolari, recuperate in depositi glaciali, alluvionali o fluviali, che venivano grossolanamente sbozzate e sovrapposte a secco. La tecnica del murare si perfeziona poi con l’aggiunta di malta, che aumenta la forza di coesione fra le singole pietre e garantisce maggior stabilità alla muratura. La costruzione sia delle parti in legno, sia di quelle in muratura successivamente, esige ancora oggi cure ed accorgimenti particolari, dato l’ambiente specifico. Recentemente sono stati usati per la costruzione di rifugi sistemi costruttivi più evoluti: un esempio è quello ad ingabbiatura di calcestruzzo armato con struttura antisismica. In alcuni rifugi la buona coibenza delle pareti esterne è stata raggiunta disponendo, all’interno della muratura di pietrame, un muro di mattoni in foglio ad una certa distanza da essa, così da formare un’intercapedine. La copertura costituisce un elemento strutturale di particolare importanza nella definizione dell’architettura di montagna. La copertura, nella quasi totalità dei casi, fino al XX secolo, risulta essere a falda. Normalmente molto semplici come impostazione planimetrica, in genere basata sul rettangolo, i rifugi hanno una normalmente una 20. La tecnica del blockbau, o legno strutturale, è molto antica e consiste nel costruire travi in legno incastrate negli angoli. Il blockbau è una tecnica antichissima, utilizzata fin dal neolitico in tutte le regioni ricche di boschi. Sopra la parete costruita secondo questa tecnica si innesta una trabeazione orizzontale che può essere rinforzata da uno spuntone fissato al trave maestro e che attraversatutti i tronchi del timpano.

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copertura a due falde con pendenza costante o a capanna, con una pendenza dal 35 al 38%.21 1.4.4. Materiali da costruzione

Figura 1.17 Dettaglio di un tetto in scandole di legno. Fonte: www.wikipedia.it

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Per quanto riguarda i materiali da costruzione, oggi si è del tutto abbandonato il sistema dei muri a secco. La maggior parte dei rifugi tradizionali sono costituiti da pareti verticali in muratura di pietrame e una buona malta di cemento o di calce, con intonaco interno ed esterno, o almeno, se la pietra è a faccia vista, con una buona rinzaffatura e stuccatura degl’interstizi. Gli ambienti interni, o almeno quelli di maggior capienza e di uso collettivo, come le stanze da pranzo e i dormitori, si foderano di legname, in modo che l’intercapedine d’aria contribuisca alla coibenza delle strutture al freddo e all’umido. È anche diffusa, specialmente in Svizzera, la costruzione in tutto legname. Mentre però una costruzione in tutto legno può essere ritenuta la migliore per piccole dimensioni, quando invece queste sono più grandi si preferisce una struttura parzialmente o totalmente muraria. Per quanto concerne la pavimentazione, si utilizzava sempre un buon tavolato di abete inchiodato su travicelli; in vicinanza dei focolari, normalmente il pavimento era di lastre di pietra, oppure era inchiodata sul legno una lamiera metallica. Per la copertura dei rifugi, abbandonato del tutto il sistema dei lastroni di pietra e di ardesia o di gneiss, che era utilizzato anche per creare un rapporto di continuità con le pareti in pietra sottostanti, è ancora in uso


quello dei rivestimenti di lamiera di ferro zincato saldata; ovvero di lastre ondulate, non saldate, a libera dilatazione, assicurate ad un tavolato. Si mantiene talvolta ancora, perfino nei rifugi più moderni e meglio attrezzati, il manto di copertura realizzato con materiale ligneo. In questo caso le tavole di copertura, vengono denominate “scandole” e la tipologia di legno più utilizzata è quella di larice.

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Prima parte: capitolo secondo


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2.IL TURISMO MONTANO

Figura 2.1 Paesaggio del Trentino Alto Adige. Comune di Funes, provincia autonoma di Bolzano. Fonte : www.altabadia.it

2.1 La nascita del turismo montano Il territorio montano ha attraversato numerosi mutamenti nel corso della storia per poter conquistare l’importanza e il valore che oggi occupa per lo svolgimento dell’attività turistica. E’ stato fondamentale modificare gradualmente la comunicazione della montagna e la sua funzione simbolica che, nell’immaginario collettivo, ha avuto bisogno di interi secoli per passare da uno valore di negatività, inteso come luogo inaccessibile e ostile all’uomo ad uno, opposto, di grande popolarità. Il turismo montano si sviluppa come riflesso della Rivoluzione industriale e trova forse nell’ambiente alpino, nella sua prima fase di sviluppo, il principale ambito di interesse, per la presenza di una popolazione ritenuta ancora in parte allo stato naturale, attaccata a singolari costumi e tradizioni, e soprattutto di paesaggi suggestivi e fenomeni inconsueti. Forse anzi è proprio l’insolito spettacolo della discesa nei verdi fondovalle di alcuni grandi ghiacciai, ad impressionare oltre ogni altra aspettativa i primi turisti nelle Alpi, e ad invogliare altri nobili e ricchi borghesi ed emularli nella scelta di trascorrere alcune settimane in un territorio allora poco conosciuto. Veicolato nella fase pioneristica – tra il 1815 e il 1860 – dalle prime, significative imprese alpinistiche e alimentato dal termalismo, il turismo alpino privilegia in questa prima fase di sviluppo località di fondovalle circondate da montagne pittoresche, teatro di imprese alpinistiche, o comunque situate in posizioni strategiche, per poter

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raggiungere belvedere spettacolari. Il turismo montano nacque principalmente nel territorio montano svizzero nel XIX secolo come turismo estivo del belvedere, delle cure termali e del climatismo medico; il viaggio e il soggiorno sulle Alpi divennero in quel periodo una tappa obbligata e addirittura un fatto di moda e prestigio sociale. Esse costituivano una destinazione a vocazione prevalentemente estiva, con la sua forma più evidente rappresentata dalla villeggiatura, periodo di vacanza molto prolungato (pari ad un mese o più) che gli abitanti delle città si concedevano per respirare l’aria buona della montagna ed essere lontani dall’afa opprimente della pianura; questo turismo riguardava solitamente gruppi familiari che non avevano grandi pretese da un punto di vista qualitativo.

2.2 L’evoluzione

Figura 2.2 Alpinisti dell’Ottocento. Fonte: www.falc.net

Nel corso di un secolo l’alpinismo cambiò l’immagine della montagna, rendendola una meta attraente e affascinante, ma non riuscì a modificare la struttura insediativa del paesaggio: rimase una pratica troppo elitaria per poter garantire lo sviluppo di questi territori; inoltre conquistata una vetta, il flusso turistico si interrompeva, fatta eccezione per cime particolari come il Monte Bianco, la più alta d’Europa, o il Cervino, la più difficile. D’estate la montagna venne a svolgere una funzione simile, anche se inversa, a quelle delle coste meridionali in inverno: offrire un clima fresco per superare le estati calde. Le stazioni climatiche montane, ripercorsero le tappe del turismo termale e balneare, riproponendosi come ritrovi mondani dove far sfoggio del proprio status. Si è passati, dunque, da un messaggio di avventura, di rischio e di mistero, ad un messaggio di calma, di riposo e di tranquillità per il corpo e per lo spirito. Il nuovo modo di vedere e di visitare la montagna, a metà Ottocento in Svizzera, portò le prime abitazioni ad aprirsi ai turisti e portò anche piccole locande a gestione familiare che vennero ben presto seguite dalla costruzione di grandi alberghi, adatti ad accogliere una clientela internazionale di prestigio e capaci di attirare subito l’attenzione dei nascenti tour operator. Dopo la depressione internazionale che colpì l’Europa nel 1873, ci fu la prima grande riorganizzazione dell’of-

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ferta ospitale nella storia del turismo svizzero montano, dove accanto alla riduzione dei prezzi si cercò di migliorare la qualità dei soggiorni attrezzando i villaggi con “divertimenti artificiali”, ad esempio biblioteche di soggetto alpino, gallerie al coperto per passeggiare, giardini, musica che accompagnasse le serate e sport. Quest’ultimo aspetto, in particolare, divenne l’imperativo dei soggiorni in quota solo dopo la scoperta della montagna in inverno. Gli sport sulla neve (il pattinaggio prima ancora degli sci, che si diffusero solamente nel Novecento) crebbero di pari passo con il piacere e la salubrità del clima asciutto e dell’aria pulita. 2.2.1 Lo splendore degli anni Sessanta in Italia Il turismo montano invernale si sviluppò in Italia solo a partire dal XX secolo, manifestando una crescita esponenziale nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali, quando con la creazione degli impianti di risalita ed il consolidamento della pratica sciistica, mutò il concetto della vacanza in montagna a cui corrispondeva la nascita di una seconda stagione da sfruttare, quella invernale. Gli anni Sessanta segnarono forse il periodo d’oro del turismo alpino italiano, sia perché un crescente numero di famiglie con figli prese l’abitudine di trascorrere durante l’estate, soprattutto il mese di agosto, lunghi periodi di vacanza in montagna, anche in appartamenti affittati per un mese intero, anche perché lo sci di discesa divenne uno sport relativamente popolare, che contribuì in maniera cospicua a consolidare la riuscita turistica delle stazioni.

Figura 2.3 Il boom ecomonica italiano negli anni Sessanta. Fonte: www.wikipedia.it

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È importante ricordare che, proprio tra gli anni ’50 e ‘70, l’Italia è interessata dal fenomeno del Miracolo Economico, che riguardò per lo più il settore industriale, ma che portò anche ad importanti rivendicazioni sociali. Il sistema economico marciava a pieno regime e la popolazione era rassicurata dall’incremento dell’occupazione e dei consumi. Si assisteva perciò ad un aumento dei salari, alla conquista del diritto del tempo libero e alle ferie retribuite; queste conquiste, assieme al fenomeno della motorizzazione di massa, furono la base di partenza per la nascita del fenomeno turistico in senso moderno. La nuova suddivisione temporale in orario di lavoro e tempo libero fece sì che le persone potessero godere di momenti da dedicare a sé stessi e così anche il territorio assunse un nuovo significato, quello di spazio dello svago. La popolazione si spostava in massa nel fine settimana e nei giorni di vacanza per raggiungere le località balneari o sciistiche divenute territorio d’evasione e intrattenimento in antitesi alle città, luoghi del lavoro. 2.2.2 La fase di specializzazione Dopo anni di crescita diffusa e spontanea del turismo su ampie aree montane, emerse con evidenza la tendenza alla specializzazione. La doppia stagione, estate ed inverno, assegnò un vantaggio consistente ai centri in grado di effettuarla, attirando investimenti, consentendo di rinnovare attrezzature e impianti e quindi di aumentarne i vantaggi. In alcuni centri la stagione invernale, benché modesta, rappresentò l’ancora di salvezza che consentì d’integrare quella estiva. Per contro sempre più spesso l’intensità della frequentazione, specie se avveniva senza il controllo di un pagamento, che forniva anche risorse per la gestione, sollevava problemi di degrado ambientale e di necessità d’intervento da parte delle amministrazioni locali per la manutenzione, il ripristino o l’adeguamento delle attrezzature e reti infrastrutturali per flussi turistici elevati. Il risultato fu quello della specializzazione in poli turistici attrattivi. Altra conseguenza della specializzazione fu la formazione di un mercato immobiliare orientato esclusivamente al turismo, ponendo in condizioni di estrema difficoltà i residenti che volevano accedere sia alla proprietà del-

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la casa che all’affitto. La dimensione e le caratteristiche degli alloggi oltre naturalmente al prezzo richiesto mettevano fuori mercato tali richiedenti. Negli anni Novanta lo snodo del turismo montano fu rappresentato dallo sci: l’inverno prese il sopravvento rispetto all’estate da un punto di vista economico ma anche di flusso turistico ed oggi rappresenta ancora per molte destinazioni la stagione più importante. Senza stagione invernale poche imprese turistiche montane furono remunerative, ma per sostenere l’attività invernale furono necessarie condizioni particolari di tipo ambientale, infrastrutturale, di impianti, di complessità e varietà del centro. Quello che fece la differenza fu la possibilità di ospitare settimane bianche, vero meccanismo alla base dell’economia invernale. 2.2.3 Gli anni della crisi Negli ultimi venti anni il turismo montano ha iniziato a dare progressivi segni di sofferenza che si manifestano anche ai giorni nostri. Un ruolo di rilievo, a partire dai primi anni Ottanta, è attribuibile agli inverni caldi con poche precipitazioni che si ripercuotono negativamente sull’intera annata turistica; l’estate infatti, nelle stazioni medio - grandi è largamente subordinata alla stagione invernale, mentre nelle piccole località contribuisce marginalmente a rivitalizzare l’economia locale. Si alternano periodi di crisi nell’ambito del turismo montano dovuti a situazioni di difficoltà economiche generali, forte concorrenza sui prezzi da parte di destinazioni estere, a cui seguono periodi di slancio dovuti all’introduzione di processi gestionali innovativi che portano in primo piano il ruolo della cultura, dell’organizzazione delle risorse naturali ed economiche al fine di attrarre il maggior numero di turisti. Un ulteriore radicale cambiamento nella concezione di spazio e tempo è sopraggiunto con il fenomeno della globalizzazione, con ripercussioni profonde anche sul turismo. Grazie all’abbattimento delle frontiere comunitarie, lo sviluppo dei trasporti aerei, la diffusione delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, i confini spaziali e temporali sembrano essere svaniti; è possibile raggiungere ogni angolo del mondo in tempi brevissimi rispetto al passato e avere rapido accesso a una moltitudine di persone, merci e conoscenze. Soprattutto nasce una nuova dimensione, quella virtuale, situata al di fuori dello spazio e del tempo, in cui è possibile

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interagire con persone che si trovano dall’altra parte del pianeta in pochi secondi e senza doversi muovere realmente. 2.3 Il turismo montano oggi “Il turismo montano, dopo il boom degli anni 60, è entrato in crisi per cause sia esogene, riferibili alle modificazioni socioculturali e climatiche, sia endogene, riassumibili nel ritardo con cui le destinazioni interpretano i cambiamenti della domanda e implementano le necessarie strategie per rimanere competitivi e visibili sul mercato. È necessario dunque che tutti gli attori locali modifichino i loro comportamenti in coerenza con i mutamenti del mercato e concorrano nella definizione di rinnovate misure strategiche e di management affinché il turismo possa continuare a rappresentare per le comunità alpine, come per il passato, una valida alternativa in grado di assicurare una base economica sostenibile e la valorizzazione delle peculiarità socioculturali e naturali.1 “ La montagna è una risorsa, sia ambientale che turistica, e rappresenta uno dei più importanti fattori di attrattività per la domanda turistica nazionale ed internazionale degli ultimi anni. 2.3.1 La situazione del turismo sulle Alpi Le Alpi rappresentano oggi uno dei principali poli turistici europei a breve distanza dai grossi centri industriali. Il turismo ha rappresentato per alcune aree una fondamentale attività economica in grado di evitare il completo spopolamento e di garantire alla popolazione possibilità di lavoro e di reddito. Questa catena montuosa rappresenta una delle prime zone turistiche sviluppatesi al mondo e la più grande area ricreativa dell’Europa centrale. I visitatori hanno iniziato a recarsi nei luoghi Alpi alla fine del XIX secolo, soprattutto in estate. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, fattori sociali ed economici già citati hanno contribuito a fare delle Alpi una meta turistica molto popolare. Le valli alpine isolate e le loro cittadine hanno ottenuto accesso al mercato e molti agricoltori hanno deciso di 1. Manuale del Turismo Italiano

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offrire vitto e alloggio per migliorare il loro reddito ancora basso e superare la povertà. Numerosi nuovi centri di cura hanno fatto il loro ingresso sul mercato grazie all’introduzione delle cure sovvenzionate dal settore pubblico, altri hanno dovuto adeguare i loro prodotti a causa dei progressi della medicina e del miglioramento degli standard igienici nelle metropoli. Le montagne sono sempre state considerate diverse a causa della loro posizione geografica e del loro relativo “isolamento” rispetto alle regioni di pianura. Questo aspetto, che inizialmente costituiva un deficit per aree che sperimentavano un interesse da parte di visitatori provenienti dalle pianure, con lo sviluppo dei trasporti, la crescente globalizzazione e il boom del turismo è diventato progressivamente un vantaggio. I paesaggi, la “naturalità”, il valore spirituale dell’ambiente e le piste da sci sono state le prime attrazioni che hanno indotto le persone a spostarsi dalle pianure urbanizzate per venire sulle Alpi a contemplare panorami spettacolari, a godere di un ambiente diverso e a praticare attività che non potevano svolgere a casa. L’aver acquisito precocemente questo ruolo come meta turistica ha contribuito a fare delle Alpi un modello di turismo montano che ha influenzato lo sviluppo di altre catene montuose. Oggi il turismo alpino si trova di fronte ad un paradosso: le Alpi sono viste come custodi di un ambiente incontaminato, ma devono offrire le necessarie infrastrutture di alta qualità che i turisti si aspettano. Questa tensione tra conservazione e sviluppo continua ad influire sul posizionamento delle Alpi nel mercato internazionale del turismo, con il desiderio di salvaguardare le speci-

Figura 2.4 Alpi innevate viste dal satellite. Fonte: www.wikipedia.it

Figura 2.5 Monte Rosa. Fonte: www.wikipedia.it

Figura 2.6 Monte Bianco. Fonte: www. wikipedia.it

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ficità che attirano i turisti, cioè principalmente i paesaggi e l’ambiente, e la tentazione di sviluppare il territorio e seguire le tendenze in termini di standard economici e sociali. Il successo delle Alpi come una delle destinazioni leader nel mercato mondiale del turismo è in larga parte determinato dalla loro elevata diversità. La varietà di offerte soddisfa la domanda di numerosi gruppi di consumatori e le loro aspettative specifiche per tutto l’anno. La ragione essenziale di questo successo è l’enorme diversità delle risorse regionali e quindi anche del patrimonio culturale delle Alpi.

2.3.2 Una tipizzazione di base: i principali tipi di turismo alpino Esistono alcuni aspetti tipici che distinguono le diverse forme di turismo alpino ed essi sono: • Montagne (M): l’altitudine, e quindi la situazione climatica specifica. • Risorse (R): le particolari risorse caratteristiche del luogo sono utilizzate come elementi di promozione. • Accessibilità (A): la facilità con cui si raggiunge una località rappresenta un vantaggio competitivo. • Stagionalità (S): una stagionalità molto marcata provoca ulteriori difficoltà. • Intensità turistica (I): il contributo relativo del turismo al valore aggiunto totale prodotto dall’economia regionale è un indicatore dell’intensità del comparto turistico. Sulla scorta di queste cinque caratteristiche principali è possibile distinguere diverse combinazioni tipiche e rilevanti ai fini della politica per il turismo nelle Alpi. Le sette combinazioni più significative per il turismo alpino sono illustrate di seguito:

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Tabello 2.1 Tipizzazione di massima del turismo alpino. Fonte: “Relazione sullo stato delle Alpi” di Convenzione delle Alpi

Le diverse tipologie possono essere descritte come segue:2 Tipo 1 − Destinazioni pedemontane estive: la montagna di alta quota è circondata da vaste zone prealpine che ospitano fiumi e laghi di indubbia bellezza. Nei caldi mesi estivi, questi laghi richiamano i villeggianti e la popolazione dai grandi centri urbani dei dintorni. Siccome l’alta montagna e le altre attrazioni alpine non sono distanti, i villeggianti approfittano della permanenza per compiere qualche breve escursione o visitare le vicine città alpine, incrementando così i picchi di traffico in alta stagione. In aggiunta all’offerta ricettiva alberghiera, il campeggio, l’agriturismo o le case vacanza rappresentano altre soluzioni di soggiorno indicate specialmente per le famiglie. Tipo 2 − Destinazioni per la salute: la possibilità di abbinare terapie e trattamenti medici altamente efficaci a un ambiente montano che mette a disposizione una vasta gamma di attività all’aperto ha reso le Alpi famose in tutto il mondo fin dagli albori del turismo. Le località che offrono un ricco programma di attività culturali richiamano in genere molti ospiti che effettuano soggiorni prolungati. Oggi, i prodotti base relativi alle cure per la salute comprendono anche un’offerta benessere, generalmente per soggiorni brevi. Tipo 3 − Destinazioni naturalistiche: le vaste aree protette come i parchi naturali o della biosfera, nazionali o regionali, i loro dintorni e i paesaggi culturali tradizionali, come gli alpeggi o le praterie alpine ricche di specie, permettono di conoscere da vicino le meraviglie naturali delle Alpi, soprattutto durante i mesi estivi. I trekking e le 2. Tutte le tipologie sono tratte dal documento “Turismo sostenibile nelle Alpi”

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escursioni che prevedono un pernottamento presso rifugi o fattorie bed & breakfast rappresentano un mercato in espansione. Le altre attività all’aperto che si svolgono nella natura, come per esempio la mountain bike, la canoa, il rafting, il parapendio e l’arrampicata sportiva possono talvolta entrare in conflitto con la conservazione dei preziosi ecosistemi alpini. Inoltre i servizi informativi ai punti di accesso richiamano i visitatori per soggiorni brevi dalle mete di tipo 1 e 2 e contribuiscono a creare forti picchi di presenze nell’alta stagione estiva. Tipo 4 − Città e paesi alpini: ai confini e all’interno degli ampi bacini idrografici, le Alpi sono circondate da innumerevoli cittadine e paesi di grande bellezza. Questi centri offrono ai turisti un ampio ventaglio di scelte diversificate e competitive, come per esempio musei, edifici storici, teatri o sale da concerto. Inoltre ai visitatori vengono offerte tante opportunità per gli acquisti e lo svago. La proposta turistica è arricchita da escursioni giornaliere alle attrazioni naturali più vicine quali laghi, fiumi o monti. La possibilità di usufruire di un’ampia rosa di alternative rende le città alpine idonee per il comparto MICE (Meeting, Incentive, Conference, Event) e i viaggi d’affari. Tipo 5 − Destinazioni di alta quota per tutto l’anno: a causa dell’ubicazione periferica, i turisti che visitano queste zone tendono a pernottare in loco. La topografia, il clima e le infrastrutture della montagna richiamano i turisti per lo sci in inverno, mentre in estate vengono proposte una vasta gamma di attività che spaziano dallo sport alla natura, al wellness e alla cultura. Gli impianti di risalita utilizzati per lo sci invernale consentono di raggiungere con facilità le montagne anche nei mesi estivi. Inoltre diversi alberghi di livello superiore dispongono di centri wellness da utilizzare come ripiego in caso di maltempo e questo può rappresentare un vantaggio importante in molte regioni. Tipo 6 − Stazioni sciistiche: la posizione in alta quota che garantisce l’innevamento da dicembre ad aprile, sia con neve naturale che ricorrendo soprattutto all’innevamento programmato, favorisce una concentrazione del turismo soprattutto in inverno, talvolta esclusivamente in inverno. Infrastrutture di qualità con seggiovie e funivie moderne, sistemi d’innevamento artificiale e piste battute, un servizio di noleggio sci e scuole di sci o guide è

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fondamentale per vincere sulla concorrenza di altri Paesi. L’offerta è integrata da una ricettività diversificata per fascia di prezzo, nonché da servizi dopo-sci di ristorazione e intrattenimento. Tipo 7 − Turismo su tutto l’arco dell’anno sulle montagne ai limiti delle Alpi: le permanenze brevi e le gite in giornata dalle metropoli e dalle città alpine si sovrappongono agli arrivi per soggiorni più prolungati. Questo tipo di turismo ha caratteristiche simili al tipo 5, salvo il fatto che le sistemazioni sono di qualità leggermente inferiore rispetto alla ricettività disponibile nelle Alpi interne, quindi le strutture per il benessere rivestono un’importanza minore. Nel fine settimana e in alta stagione, la presenza sommata di villeggianti e di visitatori giornalieri provoca un traffico intenso con effetti negativi in termini di rumore e inquinamento atmosferico. Questi sette tipi riassumono le caratteristiche di base delle località turistiche alpine. La maggior parte di queste tenta di diventare più competitiva coprendo più categorie tra quelle menzionate. Ecco che si osserva la presenza di un’offerta naturalistica o dedicata alla salute in molte località pedemontane per il turismo estivo, mentre le località tipicamente sciistiche tentano di conquistare una fetta del turismo estivo in un’ottica più ampia di destagionalizzazione. La lunga tradizione del turismo alpino e le particolari specificità regionali o locali hanno messo a disposizione un substrato fertile per uno sviluppo diversificato del turismo. 2.4 Indagine statistiche 2.4.1 La montagna nella vacanza degli italiani e degli stranieri La montagna come destinazione di vacanza ha interessato nel 2000 quasi un italiano su sei, raccogliendo, secondo la tradizionale indagine dell’ISTAT sui viaggi e le vacanze degli italiani, il 18,8 % delle preferenze, una incidenza ben lontana dal 45,6% del mare3 (ISTAT 2000). Durante i primi anni del XXI secolo, il turismo montano, e più nello specifico, la scelta della montagna come luogo di vacanza e svago, subisce dei delle piccole variazioni negli alti e bassi, ma rimane sempre con un’incidenza della metà rispetto alla meta del mare. 3. Dati ISTAT 2000

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Tabella 2.2 Preferenze delle vacanze degli iatliani in percentuale. Rielaborazione dell’autore.

Più precisamente queste sono le percentuali registrate dalla banca dati dell’ISTAT riferite a questi anni: - 2005 : 20.1 % - 2006 : 19.4 % - 2007 : 19.6 % - 2008 : 16.8 % - 2009 : 20.7 % - 2010 : 17.1 % Da notare che la percentuale più bassa, in entrambi i casi, si è registrata nell’anno 2008, anno coinvolto nella crisi finanziaria in Italia, in cui si è assistito ad un rallentamento deciso delle principali economie del pianeta. Negli ultimi tre anni, d’altronde, la montagna e il suo paesaggio di valli, colline e altopiani, ha riscontrato un successo in accrescimento nelle vacanze degli italiani: Tabella 2.3 La montagna nella vacanza degli italiani in percentuale. Rielaborazione dell’autore.

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Le percentuali secondo i dati ISTAT sono: - 2011 : 17,3 % - 2012 : 14,2 % - 2013 : 23,2 % - 2014 : 22,9 % - 2015 : 26,1 % È certamente vero, e lo si è frequentemente rilevato, che nel corso dell’ultimo ventennio le destinazioni turistiche montane sono state oggetto, più di altre località, di una forte pressione da parte di fattori esogeni ed endogeni, che hanno indotto prospettive di cambiamento nella struttura dell’offerta, non sempre accolte, per mancanza di visione strategica o talvolta per insufficiente capacità di investimento. Ma è anche vero che alcuni di questi fattori sono ormai entrati nell’orizzonte dell’operatività quotidiana e, se pur lentamente inducono orientamenti e forme di business nuove, che, cominciano a dare segnali di interesse in una domanda che è sempre più sensibile alle novità. È quindi più realistico considerare la montagna come una destinazione turistica matura, sostanzialmente stabile nelle preferenze del mercato4, per la quale è difficile prevedere sia una ripresa vigorosa, che un declino improvviso. Secondo i dati al dicembre 2011 dell’ISTAT il turismo montano in Italia accoglie il 17.9 % delle presenze nel Paese e sono la meta di vacanza del 14.3% di quelli stranieri. Gli stranieri che soggiornano nelle montagne italiane provengono in maggior numero dall’Austria (circa 37%), poi Svizzera (29%) e Germania (22%).

2.4.2. La ricettività delle località montane (dati disponibili solo fino al 2012) Nel 2010 le presenze nelle strutture ricettive che interessano le località di montagna italiane rappresentano il 12,8% del totale nazionale, che permette alla montagna di posizionarsi al terzo posto tra i prodotti turistici italiani (dopo il mare e le città di interesse culturale). Nel dettaglio della provenienza dei flussi turistici, la maggior parte delle presenze sono generate da turisti italiani (60,2% delle presenze in montagna). 4. ONT 2009

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Come di consueto, la domanda di turismo verso le destinazioni di montagna segue la ciclicità stagionale: buona l’occupazione nei primi mesi dell’anno (42,8% di camere vendute a gennaio, 43% a febbraio e 39,8% a marzo) e nei mesi di punta della stagione estiva (50% a luglio e 62,6% ad agosto). Tuttavia, rispetto allo scorso anno le strutture ricettive registrano un calo generalizzato dell’occupazione delle camere, soprattutto anche in quelli che sono i periodi di maggiore affluenza di clientela. Tabella 2.4 Occupazione camere turismo montano confronto 2008-2010 in percentuale. Fonte: osservatorio nazionale del Turismo – dati Unioncamere. www. isnart.it

Le località in montagna nel 2011 contano oltre 30,6 mila esercizi ricettivi a cui corrispondono più di 653,5 mila posti letto vale a dire, rispettivamente, il 20,4 % ed il 13,5 % della capacità ricettiva italiana. Nonostante l’’andamento della capacità ricettiva montana risulti in lievi calo sul fronte della numerosità delle imprese ( -2,9 % tra il 2005 e il 2010), tale flessione è compensata dalla crescita dei posti letto disponibili (+ 1,9 % tra il 2005 e il 2010). Nel dettaglio dei comparti, le strutture extralberghiere sono le imprese più diffuse sul territorio (23,5 mila strutture) rispetto a quelle alberghiere (7,2 mila alberghi), ma in termini di posti letto si riscontra una sostanziale omogeneità della loro distribuzione. Le strutture ricettive, invece, che registrano un andamento positivo sono i B&B; il numero delle imprese cresce quasi del +90%. In contro corrente, gli alloggi in affitto, in flessione del -13%.5 5. Dati ISNART

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Tabella 2.5 Esercizi ricettivi e capacità per tipologia di impresa montane. Fonte: Impresa Turismo. www.ISTAT.it

Nei primi mesi del 2011, nelle località montane le camere registrano tassi di occupazione del 46,2% a gennaio, 45 % a febbraio e 43,1 % a marzo, in lieve ripresa rispetto al 2010, fenomeno che si verifica anche nei mesi estivi ( 53,8 % a luglio e 68,1% ad agosto). Il resto dell’anno mostra le criticità derivanti dalla contrazione delle vacanze dei turisti a causa della crisi economica globale e le imprese registrano tassi di occupazione camere in lieve calo rispetto al 2010. Tabella 2.6 Occupazione camere turismo montano confronto 2008-2011 in percentuale. Fonte: osservatorio nazionale del Turismo – dati Unioncamere. www. isnart.it

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Nel 2012 l’andamento dell’occupazione nelle strutture ricettive in montagna mostra le difficoltà dello scenario economico e, pertanto, una contrazione complessiva delle vendite. Nel I° trimestre si segnalano le criticità maggiori nel confronto con il 2011 che aveva, invece, avviato una ripresa dell’occupazione nella stagione invernale: il 2012 si apre con il 37% di camere vendute a gennaio, il 38% a febbraio ed il 35% a marzo seguiti da risultati al di sotto del 30% in primavera. La performance dei mesi di luglio ed agosto si distingue dal resto dell’anno con un’occupazione, rispettivamente, pari al 58% e al 72%, segnando una crescita rispetto agli ultimi due anni.6 2.4.3. I rifugi di montagna nelle località alpine È stato analizzato nello specifico il ruolo del rifugio alpino all’interno della rete delle attività ricettive di montagna e, nello specifico, quanta percentuale occupano a livello di numero di attività e quanti posti letto sono stati messi a disposizione ai frequentatori della montagna. Tabella 2.7 Esercizi ricettivi per tipologia nelle località montane. Fonte: Documento “Impresa Turismo” da www.ISTAT.it

Nelle tipologie di imprese della capacità ricettive, i rifugi di montagna occupano circa il 2,4 % del totale degli esercizi ricettivi, un dato assai più ridotto delle categorie più sviluppate. Ma nonostante ciò, i rifugi di montagna nel corso degli ultimi anni hanno iniziato ad aumentare i posti letto disponibili, e soprattutto, attraverso nuove costruzioni ma anche ristrutturazioni di vecchi edifici non più in uso, hanno aumentano il loro numeri di esercizi. 6. Dati ISNART

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Tabella 2.8 Distribuzione della capacità ricettiva per tipologia di imprese nelle località montane. Fonte: Documento “Impresa Turismo” da www.ISTAT.it

In soli sei anni, dal 2005 al 2011, la variazione del numero di esercizi è stata del +17,1 % , con fino a 100 esercizi in più, e la variazione dei posti letto è stata del +5,6 %, vale a dire quasi 1200 posti letto in più. Tabella 2.9Esercizi ricettivi e capacità per tipologia di imprese nelle località montane. Fonte: Documento “Impresa Turismo” da www.ISTAT.it

Secondo i dati ISTAT si può notare un crescente sviluppo nel numero degli esercizi riferiti alla categoria dei rifugi alpini. È evidente solo un picco negativo nell’anno 2013, ma nel 2014 l’attività continua a crescere e si riprende, ed aumenta. Dal 2011 al 2015 il numero di esercizi aumenta solo di 50 unità, in calo rispetto alla variazione nella fascia di tempo dal 2005 al 2011, ma comunque è da considerarsi come segno di crescita. Lo stesso discorso si può riproporre per il numero dei posti letto disponibili nei rifugi alpini. Si ha una crescita costante, affiancata da quella del numero degli esercizi, fino al

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2013 in cui si ha una ricaduta, ma dall’anno successivo riprende a crescere. Parlando in numeri, dal 2011 al 2015, vale a dire in 4 anni, i posti letto sono aumentati di 1222 unità, al pari della fascia temporale di 6 anni dal 2005 al 2011.

Tabella 2.10 Numero di esercizi dei rifugi alpini. Elaborrazione dell’autore. Fonte dei dati: ISTAT

Tabella 2.11 Numero di posti letto disponibili. Elaborrazione dell’autore. Fonte dei dati: ISTAT

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2.4.4. Le motivazioni della vacanza7 La montagna mostra una duplice stagionalità tanto che la maggior parte delle strutture resta aperta la maggior parte dell’anno, con picchi soprattutto in estate. I turisti italiani, nel 2011, hanno scelto le località montane soprattutto per il riposo (47%) e vivere un’esperienze a contatto con la natura (43%) o in alternativa praticare sport (30%). Si affermano le nuove tendenze con passeggiate con racchettoni, poi il tradizionale sci e ciclismo al terzo posto. Anche la motivazione relazionale è decisiva nelle scelte dei turisti, che possono usufruire dell’ospitalità di amici e parenti (22,6%) o di un’abitazione privata (24,1%). I turisti stranieri, invece, hanno scelto la montagna italiana all’insegna del contatto con la natura (51.6 %) e del relax (49.9%), rigenerandosi nei centri benessere (12.4%) o facendo sport (32.4%): sempre in primis vengono le passeggiate con racchettoni, poi trekking, lo sci e il ciclismo. Inoltre desiderano scoprire nuovi luoghi (26,3%) che spesso ritengono anche esclusivi (11,8%). Per quanto riguarda i canali di comunicazione, il turista italiano decide di trascorrere le vacanze in montagna affidandosi sia alla precedente esperienza personale (49,4%) che al passaparola (33,5%). Internet influisce sulla scelta del turista nel 17,3 % dei casi ed, in particolare, è interessante la quota di turisti che utilizza nello specifico lo smart phone come vetrina del territorio (9,5%). Per gli stranieri il passaparola è il primo canale di divulgazione delle informazioni sulla montagna ad influenzare il turista nella scelta della destinazione (39,2%). Internet si rivela un importante vetrina per il territorio e le imprese (30%; più della media dei turisti italiani), soprattutto come contenitore di informazioni utili (21,8%). Nel caso dei turisti stranieri anche il circuito dei viaggi organizzati è un supporto importante: il consiglio degli operatori influenza i turisti nel 21,2 % dei casi ed i cataloghi nel 10,9%. In alcuni casi gli stranieri si recano in montagna anche per motivi di lavoro (11,8%) Ma i dati delle attività svolte una volta arrivati nella destinazione rivelano che la montagna si conferma la destinazione per eccellenza votata alle attività sportive, per il turista italiana nel 81,8% dei casi, e per il turista straniero addirittura il 90,5%. L’assoluta centralità dello sport nella vacanza in mon7. Tutti i dati sono stati ricavati dal sito www.ISTAT.it

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tagna emerge anche dal differenziale con la seconda attività che risulta più diffusa, le escursioni, per altro normalmente attività molto frequente in elementi significativi come le famiglie e gli anziani. La vacanza in montagna, però, non è solo sport e relax ma anche un momento per il turista italiano di assistere ad eventi musicali e approfondisce la conoscenza del territorio e della sua identità. In particolare, degusta (20%) ed acquista (9%) i prodotti tipici locali, visita i centri storici (24%), senza rinunciare allo shopping (15%) e al benessere (11%). Anche i turisti stranieri degustano i prodotti locali e li acquistano (14,5%) e si mostrano interessati alla scoperta dell’offerta culturale: visitano i centri storici (28,5%), i monumenti, i musei e le mostre (5%). Non rinunciano al relax e al benessere (20,5%) e fanno shopping (15,6%): in linea con la motivazione di vacanza, i turisti stranieri si dedicano anche al lavoro (11,9%). Si riportano qui di seguito due tabelle riferite alla motivazione principale del soggiorno in località montane rispettivamente nel 2012 e nel 20118.

Tabella 2.12 Motivazione principale del soggiorno. Fonte: osservatorio nazionale del Turismo – dati Unioncamere. www. isnart.it

8. Dati disponibili sono fino al 2012.

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In generale, si può affermare che i turisti nelle destinazioni di montagna sono soddisfatti dell’offerta turistica nel complesso alla quale danno un voto medio di 7,8 su 10. Nei soggiorni in montagna si premia la qualità del mangiare e del bere (8,1), la pulizia dell’alloggio (8) e la cortesia della gente del luogo (8). Più critici verso il traffico (7,1), i costi dei trasporti locali (7,4) e l’offerta di intrattenimento (7,4). 2.5 I cambiamenti della domanda Per definire i nuovi spazi e le nuove prospettive per il turismo montano si deve tener conto dell’evoluzione che ha interessato e sta attualmente interessando la domanda turistica. Quella invernale ha subito dei forti cambiamenti negli ultimi anni, a cominciare da una forte stagnazione nel numero dei praticanti dello sci. La domanda turistica, fino agli anni Settanta, si rivolgeva ancora prevalentemente all’interno dei confini nazionali, vista l’eccessiva onerosità e difficoltà dei viaggi sulle lunghe distanze, e si caratterizzava per la richiesta di prodotti standardizzati e di bassa qualità. Ciò dipendeva, da un lato, dallo scarso grado di istruzione e di esperienza, competenza del viaggio da parte della popolazione e dall’altro da un eccesso della domanda sull’offerta, che non era incentivata al miglioramento e all’innovazione di prodotto. Dopo gli anni Settanta il turismo come l’economia non è più rinchiuso all’interno dei confini nazionali, ma sempre di più tende a coprire tutto il mondo ed a aprirsi di conseguenza ad una concorrenza sempre maggiore e più agguerrita: si assiste al fenomeno della globalizzazione e dalla deregolamentazione di alcuni settori economici, e in particolare quello aereo, che hanno reso relativamente più conveniente e semplice il trasporto sulle lunghe distanze. L’apertura dei mercati ha avuto come conseguenza non solo l’aumento della domanda ma anche dell’offerta e di conseguenza della concorrenza che non è più solo fra prodotti omogenei ma anche completamente diversi tra loro. Il turismo dagli anni Settanta in poi, grazie alla crescita di reddito e tempo libero della popolazione è diventato un fenomeno di costume e di massa che ha riguardato un numero sempre crescente di persone. Per far fronte alla massa di turisti l’offerta ha puntato a forme di standardizzazione che hanno nella maggior parte dei casi garantito forme di turismo sul ter-

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ritorio e non forme di turismo del territorio. Questa scelta organizzativa dell’offerta ha causato uno sradicamento del turismo dal territorio, il cui unico elemento di contatto con la realtà locale era lasciato all’elemento paesaggistico. Nel contesto alpino l’esistenza ancora di realtà paese, e non di destinazioni artificiali, i cosiddetti “non luoghi” turistici, e la dimensione familiare dell’offerta ricettiva, hanno in parte limitato questo fenomeno. Le abitudini del turista cambiano rapidamente e l’offerta fatica ad adeguarsi in tempi brevi. La clientela invernale è ormai esperta, sempre più esigente e meno fedele alla località. La classica settimana bianca continua ad essere proposta dai tour operator come principale pacchetto turistico invernale, ma la richiesta generale è di vacanze più brevi, prenotate a ridosso della data di partenza, sia per la diffusione di internet che per l’incertezza generale dovuta alle crisi internazionali, al terrorismo, alle catastrofi ambientali e alla diffusione di pandemie. Anche l’invecchiamento della popolazione costituisce un fattore di cambiamento della domanda, soprattutto in inverno quando le motivazioni tradizionali della vacanza in montagna erano esclusivamente legate alla pratica dello sci alpino. Se ciò non determina automaticamente una contrazione della domanda, implica però modalità diverse di comportamento da parte dei frequentatori, che esigono attrezzature e condizioni diverse di offerta; basti pensare a quanto sono diventati importanti in questi anni nelle località alpine i centri benessere, oppure quanto sono cresciute le attività escursionistiche con le “ciaspole”, un modo “dolce” di fruire della neve. Ma la causa principale della contrazione della domanda nelle località alpine sta nella concorrenza delle altre destinazioni. Se un tempo la montagna in estate rappresentava l’unica alternativa (o spesso la complementarietà) alla vacanza balneare e in inverno ha rappresentato, con la settimana bianca, la prima forma di seconda vacanza, oggi le alternative di vacanza breve e lunga sono pressoché infinite, sia nelle aree di prossimità delle grandi aree urbane, sia nelle destinazioni più lontane e in questo caso la forte diminuzione dei costi del trasporto aereo ne costituisce il fattore di spinta maggiore. La domanda, quindi, si intensifica verso le destinazioni più rinomate, che garantiscono alti standard di qualità e nella bassa stagione possono attuare aggressive politiche di prezzo, minando ulteriormente il successo delle località minori che altro non possono fare che rispondere con ulteriori abbassi dei prezzi. I gestori rivelano come i turisti oggi si fermino mediamente nelle strutture per perio-

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di più brevi. Nella stagione estiva, specie chi ha appartamenti, riesce ancora a dare in locazione le strutture per periodi di almeno una settimana, mentre nel resto dell’anno prevalgono forme di affitto solitamente per il week end. Questo fenomeno è coerente con il trend registrato oggi a livello generale sul mercato turistico che vede soggiorni più frequenti nell’arco dell’anno ma con durata sempre più breve. 2.6 Le caratteristiche dell’offerta turistica italiana Uno dei pochi studi prodotti recentemente sul turismo montano, per iniziativa dell’Osservatorio Nazionale del Turismo (ONT), presenta un quadro che attribuisce al turismo montano un ammontare complessivo di presenze di oltre 47 milioni, pari a circa il 13% del turismo ufficialmente registrato in Italia (ONT 2009). Si tratta di un turismo in larga prevalenza interno, essendo composto per il 63% da Italiani, un’incidenza che sarebbe ben più elevata se non fosse per l’alta percentuale di stranieri in Alto Adige. L’ammontare complessivo di presenze va in ogni caso considerato per difetto. Lo studio infatti analizza le presenze turistiche effettivamente registrate in località montane in quanto posizionate ad una certa quota, ma è anche vero che esistono molte località, che pur trovandosi a fondo valle rispondono ad una domanda di turismo comunque “montano”, in quanto sono collocate in un contesto alpino e comunque facilmente collegate a piste da sci o a percorsi escursionistici alpini. Di seguito viene riportata la distribuzione delle presenze turistiche nelle regioni italiane:

Tabella 2.13 Distribuzione del movimento turistico in Italia. Elaborazione dell’autore. Fonte dei dati: ISTAT

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Analizzando il grafico si può notare che: • oltre il 60% del movimento interessa un Trentino Alto Adige, con un’incidenza del 40% nella sola provincia di Bolzano; se si aggiunge l’11% del Veneto e il Friuli, si può constatare che tre quarti del turismo montano italiano si concentra dell’area dolomitica. Il turismo montano si concentra quindi principalmente del nord-ovest del Paese e in due province l’offerta turistica ha oggi raggiunto livelli di sviluppo di gran lunga superiori a quello delle altre. Si tratta in entrambi i casi di Province Autonome e a questo molti operatori delle altre aree attribuiscono gran parte del successo. • È importante ricordare che tutte le località che offrono turismo montano in Italia, sono caratterizzate da un modello gestionale basato sulla comunità residente ( Community Model), così come del resto in Austria e in Svizzera. Ciò significa che lo sviluppo turistico è solidamente legato alla gestione locale. La gestione della destinazione turistica nel suo insieme è sensibilmente condizionata dall’esistenza di una comunità che sul turismo vive e che di fatto solo dal turismo dipende. • In molte regioni, in particolare in quelle in cui le località turistiche sono più vicine alle grandi aree urbane, il modello di offerta è fortemente caratterizzato dalla presenza di abitazioni turistiche, per lo più di proprietà di non residenti, ed è ormai appurato che la presenza e le modalità di gestione degli appartamenti turistici condizionano anche la dinamicità dell’offerta. Come si vede, le differenze sono notevoli ed in buona parte sono legate alla vicinanza alle grandi aree urbane. Fa certamente eccezione l’Alto Adige nelle cui decisioni di pianificazione del suolo concorrono molti altri fattori, alla cui base sta la specificità etnica della comunità locale. Per quanto riguarda l’offerta alberghiera nello specifico, In primo luogo si può constatare la differenza quantitativa dell’offerta, che vede nelle due province del Trentino Alto Adige, un ammontare di quasi 250 mila posti letto, pari a 4 volte la somma delle altre 3 province. A queste vanno poi aggiunte l’offerta piemontese, che consta di circa 30 mila posti letto alberghieri nelle sole aree montane e quella molto modesta del Friuli. Più interessante è analizzare il modello di offerta e le dinamiche dell’ultimo decennio, relativamente alle quali

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possiamo fare le seguenti considerazioni: • la dimensione media è ovunque molto bassa, decisamente più bassa della media nazionale, che oggi si colloca sui 67 posti letto, corrispondente ad una tipologia alberghiera a forte frammentazione, caratterizzata senza dubbio da oggettive difficoltà nel perseguire condizioni di produttività accettabili, ma anche da condizioni di forte flessibilità gestionale; condizione che peraltro non è dissimile da quella della montagna svizzera o austriaca. Fanno parziale eccezione alla media proprio le province di Trento e di Bolzano, se pure con tendenze opposte; la prima che, con 60,8 posti letto, tende a inseguire livelli più simili alla media nazionale, la seconda che, con soli 35,2 posti letto per albergo, al contrario, presenta un modello gestionale unico, caratterizzato da grande flessibilità, da forti integrazioni con altre attività complementari (inclusa l’agricoltura) e certamente da un ruolo di sostegno insostituibile dell’Amministrazione Pubblica; • rispetto al 2001 non si notano variazioni molto significative in alcuna provincia, il che rappresenta la più evidente conferma di un panorama di offerta sostanzialmente definito e privo di cambiamenti in corso; • conseguentemente la tendenza all’aumento della dimensione media alberghiera è riscontrabile solo nell’area dolomitica, dove è quindi possibile scorgere come, pur nell’ambito di caratteristiche ben definite dell’offerta, sia in atto un processo di razionalizzazione verso condizioni di maggiore efficienza aziendale. Nel caso del Bellunese sembra che la rincorsa sia maggiore, nel tentativo di recuperare condizioni di partenza più arretrate. 2.7 Turismo sostenibile, ecoturismo e turismo verde La prima definizione di Turismo sostenibile è dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) nel 1988: “Le attività turistiche sono sostenibili quando si sviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un’area turistica per un tempo illimitato, non alterano l’ambiente (naturale, sociale ed artistico) e non ostacolano o inibiscono lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche”. Il Turismo sostenibile ha perciò a che fare con il nostro benessere, insieme a quello del pianeta Terra e delle ge-

Figura 2.7 Logo dell’OMT. Fonte: www.wikipedia.it

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nerazioni future. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo lo sviluppo del turismo sostenibile risponde ai bisogni dei turisti e delle regioni che li accolgono, tutelando e migliorando le opportunità per il futuro. Deve tradursi in una gestione integrata di tutte le risorse che permetta di soddisfare i bisogni economici, estetici e sociali, e contemporaneamente preservi l’integrità culturale, gli ecosistemi, la biodiversità e le condizioni di base per la vita. Il turismo sostenibile deve fare riferimento a tre prerogative irrinunciabili: • l’uso ottimale delle risorse naturali, che devono essere preservate; • il rispetto dell’identità socio-culturale delle comunità ospitanti e il contributo alla comprensione e tolleranza inter-culturale; • l’equa distribuzione dei benefici socio-economici sia in termini di occupazione che di servizi sociali. Inoltre il turismo sostenibile deve essere un processo partecipato e costantemente monitorato ed infine deve garantire un alto livello di soddisfazione per i turisti. Esiste un delicato equilibrio tra turismo, ambiente naturale, identità e tradizioni culturali. In termini generali si può parlare dell’esistenza di una capacità di carico sia ecologica che socio-culturale, caratteristica di ogni località, oltrepassata la quale si determinano forti rischi ambientali, sociali ed economici. La capacità di carico turistica è definita dal OMT come “il numero massimo di persone che visitano, nello stesso periodo, una località turistica senza comprometterne l’ambiente fisico, economico e socio-culturale, e senza ridurre la soddisfazione dei turisti”. Il turismo, quindi, deve tutelare le risorse ambientali, i beni culturali e le tradizioni locali ai fini di perseguire uno sviluppo sostenibile. La sostenibilità turistica è quindi diventata un’emergenza per preservare l’esistenza stessa del turismo futuro. Esistono altri termini affini al tema della sostenibilità e che riguardano il turismo, e nello specifico lo sviluppo di un turismo sostenibile: turismo verde ed ecoturismo. Fra questi termini specifici esistono delle differenze: • Il turismo sostenibile analizza i principi di gestione che utilizzano gli enti, le imprese turistiche e i tour opera-

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tor per produrre i beni e i servizi atti a soddisfare i bisogni dei turisti, che dovrebbero essere quelli della salvaguardia delle risorse, dell’equa ripartizione dei ritorni economici e del mantenimento dell’integrità culturale e delle tradizioni locali; • L’ecoturismo analizza il comportamento del turista quando gode di una vacanza. Il turista è consapevole che il suo comportamento può avere effetti negativi sull’ambiente nel quale la vacanza è goduta e proprio in virtù di questa sua consapevolezza si impegna ad avere un comportamento consono. Con l’ecoturismo analizziamo il comportamento del turista, quando invece parliamo di turismo sostenibile vogliamo analizzare l’offerta turistica del territorio; • Nel turismo verde si analizza la domanda, la motivazione principale che spinge il turista a godere la vacanza. Il turismo verde, una tipologia in continuo aumento, può rappresentare lo strumento in grado di riportare sulla strada della crescita il turismo come fenomeno generale, dalla fase di stagnazione. Il turismo verde può costituire quella tipologia capace di rispondere appieno alla nuova domanda turistica; Il sistema turistico ha un potenziale di crescita straordinario, soprattutto nel campo dell’ecoturismo e soprattutto in Italia. Allo stesso tempo, il turismo può portare benessere e ricchezza solo se è sostenibile. A questo proposito, la recente risoluzione delle Nazioni Unite, “Promozione dell’ecoturismo per lo sradicamento della povertà e la protezione dell’ambiente”, adottata il 21 dicembre 2012, ha sottolineato come il turismo green può contribuire a risolvere alcuni dei principali problemi che affliggono il mondo di oggi, dalla povertà al cambiamento climatico, e ha un impatto positivo sulla generazione di reddito, sulla creazione di posti di lavoro e sull’istruzione. Il turismo sostenibile rappresenta una vera opportunità di crescita per le economie locali, dall’agricoltura all’artigianato, di miglioramento dei territori e dei paesaggi, di recupero di antichi luoghi che altrimenti rischierebbero l’abbandono, dagli antichi borghi ai piccoli paesi di montagna, di valorizzazione di tradizioni antiche e preziose, che racchiudono millenni di storia e cultura. Una nuova opportunità è data dalla nascita del turismo alternativo rappresentato da forme non impattanti di uso delle risorse, di valorizzazione di aree minori, ma che

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presenta la problematica, o meglio, la difficoltà dell’incentivare il turismo in aree di scarso interesse o in stagioni poco favorevoli. Tra le nuove tendenze del turismo alternativo possono essere individuate quattro categorie: • turismo ricreativo; la motivazione della vacanza si basa esclusivamente sul riposo e sul relax, con brevi passeggiate non impegnative e brevi visite a siti culturali e naturali; • turismo attivo; la vacanza prevede la pratica, anche occasionale, di ogni sorta di sport, servendosi quindi di itinerari ciclistici, di trekking o di ippoturismo; • turismo rurale; la motivazione di base della vacanza è la ricerca della cultura rurale attraverso soggiorni in agriturismo, partecipazione ad attività rurali, soggiorno in piccoli borghi e partecipazione ad eventi enogastronomici; • turismo educativo/ambientale; la componente fondamentale della vacanza è l’apprendimento attraverso la partecipazione a corsi sul campo di vario tipo. Ma non è solo con la leva del prezzo che, anche se con performance diverse a macchia di leopardo sul territorio italiano, le destinazioni turistiche hanno affrontato il 2010. È grazie alla continua specializzazione delle proposte e dei servizi verso le specifiche motivazioni dei turisti, proprio e specialmente verso le nicchie dei turismi, da quello enogastronomico a quello sportivo, che i territori e le imprese hanno retto all’urto della crisi. E oggi nicchie non lo sono più ormai, tanto che il turismo enogastronomico in Italia è raddoppiato, che le specializzazioni sportive che permettono di godere dei nostri paesaggi, come ad esempio il cicloturismo, assumono dimensioni di progetti regionali, e che l’opinione internazionale trova in queste eccellenti peculiarità il cuore dell’immagine turistica italiana.

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Prima parte: capitolo terzo


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Figuta 3.1 I Paesaggio alpino. www.festivaldelpaesaggio.it

3.LA SOSTENIBILITA’ D’ALTA QUOTA 3.1 Architettura sostenibile Attraverso i criteri che connotano l’architettura sostenibile, detta anche green building, bioarchitettura o architettura bioecologica, si progetta e si costruisce edifici in grado di limitare gli impatti nell’ambiente. Piuttosto che un ambito disciplinare, l’architettura sostenibile è un approccio culturale al progetto che fa riferimento alla bioedilizia, nata negli anni Settanta in Germania, e che si è poi sviluppata includendo i principi ecologici e il concetto di sviluppo sostenibile1. L’architettura sostenibile e le tematiche ambientali sono entrate a pieno diritto nell’agenda delle imprese, delle comunità locali ed internazionali. E le persone non possono più farne a meno. La parola “sostenibilità” e l’etichetta “architettura sostenibile” dilagano tra architetti e designer fondamentalmente per due ragioni: funzionali e formali. Ogni oggetto che sia sostenibile deve far trapelare consapevolezza ecologica, quindi attraverso la propria immagine; la sua funzionalità si relaziona al suo rapporto nei confronti dell’ambiente. Oggi, l’architettura sostenibile, si sforza di avere una visione sistemica, il più ampia possibile, che tratti il problema del costruito nel suo insieme di rapporto “funzione-uomo-natura”, considerando gli edifici, non solo come ripari, ma come sostentamento della vita.

1. Saggio sull’architettura sostenibile, 2006

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3.1.1 Le origini In tutte le epoche, l’uomo ha cercato di migliorare le prestazioni delle proprie abitazioni, sia nel senso della confortevolezza che dell’igiene. Per ottenere questi risultati, ha innanzitutto cercato di sfruttare al meglio quello che la natura gli aveva reso immediatamente disponibile: dei siti adatti all’edificazione, dei ripari naturali, la protezione del suolo, la luce e il calore del sole, nonché dei materiali da costruzione (legno, pietre, terra, argilla, ecc.). Questo ha portato , dapprima a livello intuitivo, poi a livello artigianale, un’attenzione che ha costituito l’”architettura” ante-litteram: la scelta del sito per l’edificazione, la scelta del migliore orientamento nei confronti dell’esposizione solare e dei venti, la scelta dei materiali da costruzione, il “progetto” della tipologia abitativa e della sua struttura. Con il tempo, il progetto architettonico perse il carattere artigianale, per assumere sempre più un carattere tecnologico. Con il crescere delle conoscenze e delle capacità tecnologiche, l’uomo sfruttò in modo sempre più complesso le possibilità offerte dalla natura, creando manufatti che potessero migliorare la qualità delle sue abitazioni. Vennero così modificati i siti, realizzati i mattoni, i vetri, i sistemi fognari, gli isolamenti, ecc. Fino al XIX secolo però, l’attenzione verso la sostenibilità di un progetto architettonico era ancora basilare, soprattutto per i limiti derivanti dalla scarsità delle risorse energetiche disponibili. I fatti cambiano radicalmente con le possibilità offerte grazie allo sfruttamento dei combustibili fossili. L’enorme quantità di energia disponibile, unita al progresso tecnologico, aveva reso possibile la grande ristrutturazione dei siti edificabili, la realizzazione di materiali e apparecchiature innovative, e l’affrancamento dalle risorse energetiche tradizionali. L’architettura raccoglie i frutti del progresso, perdendo progressivamente di vista il problema del rapporto con l’ambiente, concentrandosi verso le massime possibilità realizzative che le tecnologie permettevano. A partire dagli anni Settanta, si è sentita l’esigenza di verificare se questa condizione non nascondesse dei problemi. In quel periodo si verificano infatti: lo sviluppo delle idee ecologiste; la nascita di preoccupazioni sanitarie dovute all’inquinamento; l’evidenza del problema del rifornimento energetico legato alla disponibilità dei combustibili fossili.

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Ciò che ha avuto subito un grande impulso, è la ricerca sugli inquinanti nell’ambiente costruito, proprio perché è quello che ha immediati aspetti sanitari. Poi, con il costo dei carburanti fossili in crescita, l’aspetto che ha cominciato a generare più interesse è stato quello relativo al risparmio energetico. Uno degli effetti di questi nuovi impulsi, è un ritorno dell’attenzione del progetto architettonico verso la natura e le risorse che questa ci offre. 3.1.2 L’idea di sostenibilità dagli anni Ottanta ad oggi Gli anni Ottanta furono caratterizzati da pochi segni importanti: il movimento nato negli anni precedenti stava diventando organizzato ma non aveva molta strada da fare. Passata l’emergenza dettata dalla crisi petrolifera, l’energia era di nuovo economica e le persone vedevano un bisogno minore di conservare, determinando un decennio di decadenza e consumo, politicamente regressivo in termini di ambiente. In questo decennio quelli che sarebbero poi diventati i principali protagonisti delle idee dell’architettura sostenibile, continuarono a praticare, ma affrontando moltissimi ostacoli. Infatti, la buona informazione era scarsa, così come era scarso il sostegno da parte della mentalità industriale più diffusa; i cosiddetti “materiali verdi” erano pochi e sempre più costosi e la frequente mancanza di conoscenza portava a sbagli di progettazione che fecero sì che molti degli edifici progettati per conservare energia durante gli anni Settanta finirono anche per essere pieni di problemi. Tuttavia, furono per i progettisti l’ennesimo sintomo della necessità di considerare nel processo progettuale una serie di questioni più ampia. Alla fine degli anni Ottanta, quindi, pochi obiettivi erano stati raggiunti in termini di impatto ambientale e le costruzioni usavano più energia che mai. Ciò nonostante, le personalità e idee chiave si stavano raccogliendo e, in appena pochi anni, avrebbero portato a cambiamenti significativi. Negli anni Novanta, infatti, iniziò la svolta: più sostenitori si unirono al movimento, forse come reazione alla decadenza del decennio precedente, ma anche come reazione rispetto al visibile declino della salute dell’ambiente. Un declino la cui percezione venne accelerata drasticamente da due eventi inquietanti: l’accertamento della presenza del buco nell’ozono nel 1985 e la catastrofe della centrale di Chernobyl nel 1986, che, in

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pochi anni, insieme alla minaccia sempre più presente del riscaldamento globale, stravolsero completamente l’atteggiamento nei confronti dell’ecologia, portando la questione ecologica al centro del dibattito in molti campi e trasformandola in uno dei temi principali della politica locale e internazionale. In particolare, fra il 1987, anno della pubblicazione della relazione delle Nazioni Unite Our common future, e il 1992, anno del Summit di Rio, la nozione di sostenibilità venne formalizzata e ufficialmente adottata dalla comunità internazionale determinando un cambiamento piuttosto radicale. Almeno per certi aspetti, infatti, il tema cominciò ad emergere in modo più complesso. Poco per volta, l’idea della sostenibilità come modello complessivo di sviluppo iniziò a consolidarsi a discapito dell’idea di “verde” che la identificava col solo miglioramento ambientale e professionisti e teorici di questo movimento iniziarono ad ampliare le questioni che consideravano come proprie. Le riflessioni sugli aspetti energetici vennero affiancate da riflessioni più ampie non solo sui materiali e sul loro rapporto con il benessere ambientale e umano, ma anche sugli aspetti economici e sulla qualità della vita e vi fu un enorme cambiamento anche nei soggetti coinvolti. Già a partire dalla metà degli anni Ottanta iniziò quindi a diffondersi l’idea che un approccio più decentralizzato e collaborativo nella definizione delle politiche, delle regole e degli obiettivi fosse il modo migliore per rispondere alle agende nazionali. E In questo senso, associazioni professionali, imprenditori industriali, gruppi no-profit e singoli individui iniziarono ad applicare approcci diversi, dando vita ad una vera e propria fase di transizione caratterizzata appunto dagli sforzi per rendere più flessibile ed efficiente l’apparato normativo. Negli Stati Uniti, per esempio, David Gotterfried e Mike Italiano proposero una nuova visione dell’AIA’s Committee on the Environment, una visione che vedeva il comitato come un’associazione volontaria composta da componenti rappresentativi di tutti gli aspetti della professione – architetti e architetti del paesaggio, ingegneri, costruttori, industriali e accademici - proponendo così un approccio inclusivo che si rivelò essere uno dei più significativi passi in avanti nel campo verso la sostenibilità. Contemporaneamente, in tutto il mondo, si arrivò all’organizzazione di molte conferenze interdisciplinari, a livel-

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lo regionale, nazionale e internazionale, che servirono a raccogliere persone, idee e materiali, portando anche ad un netto miglioramento dell’architettura costruita: gli edifici erano disegnati meglio, sia tecnicamente che esteticamente e nuove costruzioni furono largamente pubblicate e ammirare sia in termini puramente compositivi, sia dal punto di vista ambientale. Inoltre, organizzazioni come l’AIA Committed of the Environment iniziarono ad istituire dei premi annuali con lo scopo di riconoscere i progetti migliori, sia in termini di performance ambientali, sia, diciamo, di performance artistiche e anche architetti di fama come Rogers e Piano iniziarono ad avvicinarsi e a sostenere il movimento. Ma, ancora agli inizi degli anni ’90, il progetto sostenibile era un tema marginale. All’inizio del nuovo millennio, invece, il tema è diventato centrale e il primo decennio sarà probabilmente conosciuto come il decennio in cui la questione ecologica è diventata comunemente accettata e riconosciuta. Oggi persone con background e stili di vita diversi hanno iniziato ad adottare i principi del progetto sostenibile e “il verde” è diventato, almeno in modo retorico, una vera e propria “politica”. In questo senso, nell’ultima fase del movimento le barriere percepite rispetto il progetto sostenibile sembrano essere cadute: le persone stanno iniziando a credere che esso generi edifici migliori, certamente più sani e meno costosi a lungo termine, ma, in alcuni casi, anche a breve termine. Questo anche grazie ad una lista crescente di studi e ricerche, che stanno iniziando a dimostrare anche alla parte più scettica del mondo industriale che “il verde” può avere dei ritorni sostanziali e immediati. Tuttavia, al di là della crescente importanza dell’idea, la caratteristica distintiva dei primi anni del XXI secolo sembra soprattutto essere la realizzazione da parte di un numero crescente di persone del fatto che sia necessaria una fondamentale trasformazione, non di alcuni aspetti tecnici della nostra vita, ma del modo in cui gli uomini si relazionano all’ambiente e, più in generale, di quello con cui conducono le loro vite. In questa fase, cioè, obbiettivi come la riduzione dell’inquinamento e la ricreazione degli habitat, appaiono assolutamente sbiaditi e limitati rispetto a quello della sostenibilità, finalmente inteso considerando la completa complessità del termine. Ma sembra particolarmente significativa anche la critica che inizia ad essere rivolta a molti approcci di tipo burocratico al progetto sostenibile. L’obiettivo politico,

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Figura 3.2 Simbolo della LEED. Fonte: www.usgbc.org

che fossero tenuti in considerazione gli aspetti ecologici in modo da arrivare ad un design e uno sviluppo più efficienti - ulteriormente incentivato dal Protocollo di Kyoto firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005 – ha infatti spesso determinato la definizione di concrete liste di controllo che hanno lo scopo di quantificare la costruzione e le prestazioni degli edifici: lo studio HOK, per esempio, uno dei più grandi studi al mondo tra l’altro scelto da numerose agenzie impegnate nell’ecologia, usa un metodo che comporta una serie infinita di liste di controllo, mentre nell’ultimo decennio il sistema di valutazione LEED, elaborato dal Green Building Council statunitense, è stato applicato a più di 14.000 progetti. Ma oggi i pareri rispetto a questo tipo di approccio stanno cambiando: le critiche rispetto ad edifici, che hanno ricevuto valutazioni molo alte da questi sistemi, sono sempre più frequenti ed in molti oggi provano a rivelare le loro contraddizioni incentivando fortemente il riferimento ad altri tipi di approcci. Le teorie sviluppate negli ultimi anni dalla prima generazione di architetti ecologisti, per esempio, non sembrano prestarsi facilmente alla quantificazione richiesta dalla diplomazia internazionale dopo Kyoto, ma sembrano avvicinarsi molto di più al reale significato del progetto sostenibile. L’obiettivo, oggi, è quello di risolvere il problema alla radice e non più con soluzioni formali o tecniche di superficie. In questo senso, modelli pratici come il BedZED di Bill Dunster rappresentano dei progetti sperimentali importanti, ma i riferimenti occidentali oggi non sono di certo i soli possibili. Seppur inizialmente sollevata come problema di natura etica solo nei paesi industrializzati dell’Occidente, la sostenibilità è infatti ormai diventata l’argomento tecnico, politico e legale al centro del dibattito internazionale.

3.2 I temi del progetto sostenibile Attraverso i criteri dell’architettura sostenibile si progettano e si costruiscono edifici per limitare l’impatto ambientale, ponendosi come finalità progettuali l’efficienza energetica, il miglioramento della salute, del comfort e della qualità della fruizione degli abitanti, raggiungibili mediante l’integrazione nell’edificio di strutture e tecnologie appropriate.

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Fare architettura sostenibile significa saper costruire e gestire un’edilizia in grado di soddisfare al meglio i bisogni e le richieste dei committenti, tenendo conto già dalla fase embrionale del progetto i ritmi e le risorse naturali, senza arrecare danno o disagio agli altri e all’ambiente, cercando di inserirsi armoniosamente nel contesto, pensando quindi anche ad un riuso totale dello spazio e dei materiali. 3.2.1 Costruire il progetto sostenibile L’architettura ha bisogno “del supporto della materia”, scrive Raphael Moneo, sostenitore di un “fare architettura” in cui “ciò che vien prima sia inseparabile da ciò che vien dopo”, attraverso un processo che accetta fin dall’inizio difficoltà e compromessi che proprio la materia offre a chi intende impiegarla per dare compiutezza e concretezza ad un’idea2. Un progetto costruibile è un progetto in cui il sapere tecnico trova espressione, offrendo soluzioni progettuali alle intenzioni compositive del suo artefice. Questo legame recupera nell’architettura sostenibile un’ulteriore necessità di azione, dato che il rapporto esistente tra l’architettura e le tecnologie costruttive che la rendono possibile, si esprime attraverso un approccio consapevole alla costruzione e alle ripercussioni di questa sul mondo circostante, secondo una linea temporale che considera lo sviluppo del presente e del futuro reciprocamente dipendenti. Le conoscenze delle prestazioni dei diversi materiali e dei componenti tecnici, indispensabili per pensare un edificio fin dalle prime fasi di progetto come un oggetto dotato di forma, colore, consistenza, peso, ecc. si completano con le cognizioni relative all’impatto degli stessi materiali e componenti tecnici sull’ambiente naturale e sull’uomo, nelle loro fasi di produzione, impiego e dismissione a conclusione del ciclo di vita. La consapevolezza della complessità e dell’articolazione delle opzioni costruttive oggi disponibili, unita alle relazioni funzionali e formali che in un progetto si instaurano tra spazi e componenti, confrontandosi con l’aggiornamento e l’innovazione delle tecniche, con le esigenze di comfort, fruibilità e sicurezza, si esprime compiutamente attraverso i temi della sostenibilità ambientale. 2. Saggio sull’archietettura sostenibile, 2006

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Un edificio sostenibile è il risultato di un progetto architettonico consapevole, in cui si incontrino aspetti formali e costruttivi, orientati in modo unitario. Per questo l’apporto che le discipline tecnologiche sono in grado di offrire riguarda la possibilità di scegliere come declinare i principi della sostenibilità e come articolare l’ampio spettro di opzioni costruttive disponibili. In questo contesto, dal punto di vista della tecnologia dell’architettura, sostenibilità, significa porre grande attenzione alle risorse fisiche, ambientali, energetiche e tecnologiche del nostro pianeta e alle questioni relative alla salute e all’efficienza dei processi costruttivi in modo che questi provochino il minor impatto possibile sull’ambiente e sui singoli individui. Di conseguenza sostenibile è un prodotto (materiale o immateriale): • che si prefigge di raggiungere le sue prestazioni caratteristiche impiegando sempre minori quantità di materia; • che si basa su materiali rinnovabili e su processi produttivi non inquinanti; • che impiega lavorazioni e materiali non tossici; • che, nel caso si tratti di un manufatto, è costituito da materiali omogenei, facilmente separabili in fase di manutenzione, trasformazione, smontaggio, demolizione, smaltimento e riciclaggio “Costruire sostenibile” e “tecnologia sostenibile” allora significa: • curare le scelte di progetto in relazione alla forma e all’orientamento, al rapporto coperto/scoperto, al soleggiamento, l’irraggiamento, la produzione di ombre, la geometria delle pareti esterne e delle coperture; • porre attenzione alle scelte relative agli impianti • curare le scelte relative allo “stile” costruttivo, all’uso dei materiali e componenti in ordine alla costruzione, alla manutenzione, alle emissioni nocive, alla flessibilità nel tempo, alla dismissione finale, • porre attenzione alla progettazione del verde, del paesaggio, del quartiere. Dal punto di vista delle scelte costruttive progettare con uno sguardo alla sostenibilità significa mettere in discussione uno “stile” ormai più che millenario che concepiva l’edificio come oggetto monolitico, basato su materiali naturali primari, realizzato attraverso assemblaggi irreversibili ottenuti con connessioni realizzate a umido. Le nuove tecniche, gli impianti e i nuovi materiali intro-

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dotti, soprattutto in quest’ultimo mezzo secolo, in particolare quelli provenienti dalla chimica (vernici, additivi, isolanti, impermeabilizzanti, guarnizioni, rivestimenti) si sono integrati a questo modo di costruire rendendo i nostri edifici molto meno inerti, talvolta insalubri (si fa riferimento ai problemi relativi alla cosiddetta indoor air quality), molto meno separabili nelle loro parti costituenti e hanno anche reso i cantieri di costruzione molto più sporchi, rumorosi e inquinanti. 3.2.2 I requisiti chiave del progetto sostenibile Progettare “sostenibile” significa quindi tenere conto, accanto ai tradizionali requisiti di sicurezza, fruibilità, comfort e gestione, di una serie di requisiti, in gran parte nuovi, relativi alla concezione generale del fabbricato (forma, planimetria, dotazioni e distribuzione) e degli impianti e dell’edificio in se stesso, relativi alla scelta dello “stile” costruttivo in ordine alle possibili manipolazioni durante il ciclo di vita (flessibilità e “reversibilità” della concezione tecnologica). Per quanto riguarda i requisiti relativi alla concezione generale del fabbricato e degli impianti, importanti sono quelli relativi alla flessibilità, all’articolazione, alla distribuzione e alla dotazione di ciascun edificio. Ogni edificio, infatti, si modifica nel corso degli anni per il mutamento dei suoi utenti o delle pratiche d’uso. Alcune di queste modifiche possono essere controllate con il progetto architettonico e possono essere guidate e/o facilitate attraverso un progetto capace di prevedere i probabili comportamenti successivi dei fruitori ai quali rispondere con articolazioni, spazi e dispositivi adeguati. Ciò vale per la concezione distributiva e, quasi ancor più, per quella impiantistica. Per quanto riguarda i requisiti relativi alla scelta dello “stile” costruttivo in ordine alle possibili manipolazioni dell’edificio durante il ciclo di vita, la prima esigenza da rispettare riguarda la necessità di garantire il massimo della “reversibilità” della concezione tecnologica. Ciò significa modificare nel profondo l’essenza “monolitica” della costruzione per favorire le operazioni di trasformazione, manipolazione, manutenzione e demolizione. Ciò non comporta, però, di puntare per ogni edificio e per ogni sua parte verso i sistemi costruttivi a secco che appaiono come quelli che più facilmente soddisfano questi requisiti, significa semplicemente puntare verso

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l’obiettivo di rendere facilmente smontabili e separabili le parti dell’edificio che più probabilmente potranno subire alterazioni e/o modifiche nel corso del tempo. Si fa a questo proposito notare che la separazione delle parti dell’edificio è importante perché gli edifici, nessuno escluso (anche se gli edifici destinati ai servizi hanno questa caratteristica molto più che non quelli destinati ad abitazione) subiscono durante il loro ciclo di vita interventi di manipolazione più o meno importanti. Questi interventi derivano da esigenze di flessibilità (modifica della forma e dell’articolazione degli spazi dovuti a modifiche del modello d’uso), di dotazione di impianti e attrezzature, di manutenzione ordinaria e straordinaria in risposta al degrado fisico, al degrado indotto dagli utenti e alla tecnologia obsoleta legata all’innovazione e a quella funzionale legata alla fruizione (modifica nel tempo dei modelli d’uso). Tutto ciò comporta il ricorso a uno “stile” costruttivo in grado di soddisfare almeno i seguenti tre requisiti-chiave: • accessibilità: ogni elemento o strato funzionale dovrebbe essere concepito con una particolare attenzione alle operazioni alle quali questo elemento potrà essere sottoposto durante o alla fine del ciclo di vita. Ciò comporta l’esigenza di dedicare una particolare attenzione alla valutazione/previsione delle modalità di connessione/sconnessione di ciascun elemento tecnico rispetto a quelli vicini; • smontabilità: un elemento tecnico dovrebbe essere pensato e fabbricato in modo da facilitarne lo smontaggio ai fini del recupero e/o smaltimento e/o ricollocazione. Ciò comporta l’individuazione preventiva degli elementi tecnici che più probabilmente sono oggetto di manipolazione durante il ciclo di vita dell’edificio e la concezione di tali elementi in base a questo particolare requisito; • recuperabilità: ogni elemento tecnico dovrebbe essere concepito in modo tale che, al termine del suo ciclo di vita (o anche nel caso di una sua eventuale rimozione/ricollocazione dovuta ad interventi manutentivi, o di sostituzione dovuti ad obsolescenza tecnologica e/o funzionale) sia possibile prevederne il reimpiego, e cioè un nuovo impiego analogo a quello della sua prima utilizzazione, oppure una riutilizzazione totale o parziale per

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la realizzazione di un altro prodotto diverso, o ancora la reintroduzione diretta nel ciclo di produzione da cui è stato generato. Questi requisiti sottintendono un procedimento costruttivo basato, laddove possibile, su elementi tecnici concepiti e realizzati su strati sovrapposti assemblati con connettori meccanici reversibili, e quindi facilmente de-costruibili. 3.2.3 Innovazione e materiali Costruire sostenibile è forse la sfida più grande che si confronta con l’innovazione. Se innovazione, infatti, significa proporre il nuovo, modificare ciò che esiste in funzione di nuovi obiettivi e per ottenere nuovi risultati, trasferire saperi e soluzioni, allora innovare significa modificare il modello attuale che vede il settore delle costruzioni come massimo responsabile dei consumi di combustibili fossili, grande produttore di rifiuti non riutilizzabili e grande inquinatore. Il tema dell’innovazione tecnologica ha un suo aspetto teorico e una serie di riflessi operativi. Il primo riguarda il significato stesso del termine e le diverse tipologie dell’innovazione, i secondi riguardano le modalità con le quali l’innovazione si è espressa nel territorio dei diversi materiali e delle tecniche costruttive. Alle possibilità espressive e funzionali dei prodotti edilizi contemporanei si è aggiunto in tempi relativamente recenti l’interesse per la loro sostenibilità. Proprio questo interesse sta riconsegnando alla materia, e quindi al progetto, una responsabilità etica dimenticata, un ruolo reso oggi più impellente dall’urgenza della richiesta di intervento e dal riconoscimento del fatto che la progettazione, sia divenuta un importante strumento nei confronti del tema della sostenibilità, anche a fronte delle incredibili possibilità di cui dispone in un mondo in cui tutte le economie sono globali, relazionate e connesse. Progettare un piccolo oggetto o una casa, utilizzare un materiale plastico piuttosto che lapideo costituiscono azioni che si dovrebbero tradurre in scelte responsabili, mirate all’utilizzo di materiali, tecniche e sistemi in grado di offrire contributi positivi rispetto ai requisiti di sostenibilità e di salvaguardia dell’ambiente. Le nuove frontiere che si vanno aprendo in questa dire-

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zione garantiranno una possibilità di scelta che prenda come dato di partenza una riflessione più ampia e matura sui temi dello sfruttamento delle risorse naturali del pianeta. Su questo punto svolge un ruolo fondamentale la conoscenza dei materiali e delle tecniche costruttive, resa possibile attraverso l’informazione tecnica, cui è delegato il compito di diffondere tutti i dati necessari alla corretta identificazione del prodotto in esame. In tale direzione si collocano le attività di ricerca e per la didattica sviluppate, per esempio, da ArTec, l’Archivio delle tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale, struttura dell’Università IUAV di Venezia, che negli ultimi anni sta dedicando una parte della propria ricerca di materiali e tecniche a quelli orientati verso i principi di sostenibilità. Ad esempio, l’impiego di schermi in tessuti plastici rappresenta un’interessante applicazione di materiali dai forti caratteri innovativi apprezzati per le caratteristiche di flessibilità progettuale, leggerezza, economicità, ma sino ad ora poco valutati sotto l’aspetto sostenibile. 3.2.4 Recupero edilizio e sostenibilità Il progetto di recupero, che implica nella sua etimologia il senso della ripetizione di un’azione e del positivo rinnovo o riacquisto di una funzionalità perduta, appartiene a pieno titolo alla cultura del costruire sostenibile in quanto utilizza le risorse edilizie già presenti sul territorio, senza sprecarne ulteriori. Per poter procedere correttamente in un intervento di modificazione dell’esistente è necessario conoscere l’edificio su cui si vuole operare: ridare funzionalità ad un manufatto significa procedere con consapevolezza, trasformando le condizioni di vincolo dell’edificio in risorsa del progetto di riuso. La conoscenza del manufatto esistente permette di comprendere come le modalità costruttive degli edifici del passato applichino in sé i principi base della sostenibilità, soprattutto in relazione al reperimento delle materie prime, alla loro lavorazione, al loro utilizzo ed eventuale riuso e alle tecniche adoperate per un sapiente intervento dei vincoli ambientali. Intervenire sull’esistente significa apprendere dal passato, nel rispetto della tradizione costruttiva, utilizzando i materiali antichi con tecniche e tecnologie innovative ed i materiali innovativi con attenzione profonda al momento di incontro con quelli del passato. Fondamentale negli interventi di recupero è la valutazione della com-

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patibilità tra ciò che c’è e ciò che si inserisce o si accosta. All’interno dell’ambito culturale del recupero e dell’innovazione si vuole studiare come l’ampia produzione e l’altrettanto vasto impiego di tecnologie tradizionali, evolute nell’intervento sull’esistente, abbiano fatto assumere alle modificazioni un carattere del tutto speciale. Infatti, pur conservando per concezione e modalità di assemblaggio l’origine artigianale, alcune tecnologie si sono evolute per il tipo di impiego e il sistema di posa adottato, mentre altre si sono trasformate del tutto per materiali e/o sistemi di produzione impiegati. Realizzati con questi prodotti, singoli elementi o insiemi di superfici di minimo spessore sono stati introdotti, affiancati o sovrapposti all’esistente spostando e concentrando l’attenzione dell’osservatore da un piano di immagine tridimensionale ad uno prevalentemente bidimensionale. Gli esempi più significativi sono dati dai molteplici interventi sulla pelle dell’edificio: la massa muraria della tradizione costruttiva sempre più spesso vede l’accostamento di strati sottili, separati da camere ventilate e film protettivi, opachi, o più spesso trasparenti o traslucidi per permettere una lettura flessibile dell’edificio esistente secondo le ore del giorno e la riflessione della luce sulla superficie. Molti materiali o assemblaggi innovativi sono oggi applicati al progetto di recupero, sia in funzione di rinforzo strutturale che per scopi di integrazione al comfort ambientale (le pareti, o meglio gli involucri ventilati sono forse uno dei sistemi tecnologici più interessanti per risolvere, oltre all’isolamento invernale, il problema del dissipamento della radiazione solare estiva). 3.3 L’esperienza della progettazione dei rifugi di montagna sostenibili “ C’è qualcosa, nell’idea del rifugio d’alta montagna, che da sempre affascina i progettisti dello spazio fisico, architetti, ingegneri, o altro essi siano. È qualcosa – ma questo vale per tutti, non solo per loro – che innanzitutto tocca e mette in movimento le corde del primigenio: fuori la maestosità della natura ostile, dentro la (miniaturizzata) comunità degli uomini, in un’ancestrale opposizione di caldo e freddo, luce e oscurità. Tra loro, la membrana protettrice e materna del rifugio o del bivacco. Ma c’è anche dell’altro. Analogamente all’alpinista – che cele-

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bra nell’abbraccio con la roccia in verticale il confronto-scontro con la Natura-Verità –, il progettista ricerca nell’incontro con l’alta montagna il limite delle proprie possibilità costruttive e trasformative dell’ambiente, segnate da vento, valanghe, neve, morfologia e substrato del sito, esposizione. Vi è qualcosa di morale, di etico in tutto questo, ma anche al tempo stesso una sorta di nostalgia: ritrovare nella natura estrema – in un mondo contrassegnato dalla infinita “moltiplicazione dei possibili” resa oggi fattibile dalla tecnica – la legittimazione e la radice del proprio operare. Da un lato quindi il rifugio come materializzazione di sensazioni primordiali, dell’immaginario della cabanne rustique primitiva, dall’altro il desiderio – in uno dei pochi territori dove il dominio della tecnologia non è ancora assoluto – di un’idea semplice e lineare della funzionalità e della tecnica a partire dall’oggettività della Natura. Ma non ci sono solamente queste immagini. Molti appassionati e frequentatori della montagna chiedono infatti a oggetti come rifugi e strutture tecniche di assumere le forme di architetture tradizionali in pietra e legno, anche se in realtà a queste quote non è mai stato costruito niente di simile.3 “ Nell’ambito del contesto alpino è oggi possibile riconoscere una nuova stagione di esperienze progettuali che nel corso dell’ultimo decennio hanno acquisito un ruolo centrale nella promozione di una dimensione ecologica del costruire e nell’elaborazione di strategie progettuali per la sostenibilità energetica e ambientale in edilizia. I rifugi alpini, in particolare, come condizione estrema dell’abitare sono divenuti l’emblema di un nuovo modo di progettare e concepire l’architettura anche grazie ad alcune politiche comunitarie, come ad esempio la Convenzione delle Alpi o programmi regionali di sviluppo specifici, incentrate sullo sviluppo di una prospettiva di valorizzazione delle Alpi come spazio autonomo e responsabile. Nel corso degli ultimi anni una nuova condizione di turismo diffuso d’alta quota ha indotto i club alpini all’adeguamento delle strutture esistenti, con un ampliamento di quelle ritenute obsolete, e in alcuni casi la costruzione di nuovi rifugi sulle vie ritenute scarsamente attrezzate. Accanto ai consueti micro interventi stagionali, che si limitavano tradizionalmente a lavori di ammodernamento e di adeguamento normativo dei vecchi rifugi, sono stati realizzati interventi finalizzati ad un miglioramento del livello di prestazione ambientale. 3. Introduzione al Secondo numero della rivista Archalp, Novembre 2012

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L’ampliamento e il recupero energetico dei rifugi alpini hanno così assunto un ruolo chiave rispetto al tema dell’efficienza energetica e soprattutto in rapporto alle diverse interpretazioni e sfumature che il tema può assumere sotto il profilo culturale e sociale in un ambiente ecologicamente sensibile come quello alpino. Le condizioni climatiche estreme del contesto alpino, la difficoltà di accessibilità dei siti di progetto, la necessità di coordinare cantieri brevi nel corso del periodo estivo hanno determinato la realizzazione di architetture sperimentali attraverso un ripensamento dell’intero processo edilizio e degli aspetti logistici di organizzazione del cantiere. La rivalutazione in questo contesto delle tecnologie costruttive in legno oltre ad avere agevolato il lavoro di costruzione dei nuovi rifugi, o l’ampliamento delle strutture esistenti, ha contribuito notevolmente al cambiamento del modo di progettare e programmare la realizzazione degli edifici, spostando nello stabilimento di produzione (luogo di assemblaggio delle componenti prefabbricate) alcune delle attività di verifica che tradizionalmente venivano effettuate in cantiere, restituendo in questo modo una centralità al progetto di architettura. I nuovi interventi, sostenuti da politiche ambientali di riduzione dei consumi energetici, in molte delle regioni alpine hanno determinato la diffusione di un know-how per la diffusione di buone pratiche ambientali e il risparmio energetico. Fra i diversi progetti realizzati in alta quota e oggi assunti come modello di sostenibilità, si possono citare il rifugio Schiestlhaus, situato a Sankt Ilgen in Austria, prima casa passiva d’alta montagna, realizzata nel 2005 dall’Österreichische Touristenklub nell’ambito del programma “Haus der Zukunft”.

Figura 3.3 Rifugio Schiestlhaus, prima casa passiva d’alta montagna. Austria. Fonte: www.passivehouse. com

Figura 3.4 Rifugio Schiestlhaus, prima casa passiva d’alta montagna. Austria. Fonte: www.passivehouse. com

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Il progetto dei rifugi alpini, quindi, sta diventando un campo di sperimentazione sempre più interessante che, al di là delle questioni specialistiche, solleva questioni centrali sull’architettura contemporanea più in generale come il rapporto dell’edificio con il paesaggio in cui è inserito, la sostenibilità e la compatibilità ambientale, l’efficienza energetica, la prefabbricazione, l’organizzazione e la gestione del cantiere. Soprattutto negli ultimi decenni, la grande attenzione agli aspetti ambientali e alla sostenibilità ha contribuito a una sempre maggiore diffusione di tecnologie volte al risparmio energetico e alla gestione razionale delle risorse. Un sempre maggiore numero di rifugi sta raggiungendo i requisiti per ottenere la certificazione ambientale (standard internazionale ISO 14001) che regolamenta l’introduzione e la progettazione di sistemi di gestione ambientale. Già a partire dalle fasi preliminari della progettazione viene dunque preso in considerazione l’impiego di tecnologie ad “impatto zero” che garantiscono un’elevata prestazione energetica. “[…] è però doveroso, al di là delle considerazioni squisitamente tecnologiche o compositive, acquisire la consapevolezza che la progettazione e la realizzazione di un rifugio, così come per qualsiasi altra struttura in alta quota, sono inevitabilmente azioni che richiedono responsabilità e rispetto verso il territorio che si va a modificare.” ( Roberto Dini) 3.4 Il progetto “Rifugi Sostenibili” Allo stato attuale molte delle strutture ricettive di alta quota non risultano essere adeguatamente isolate; in molti casi si hanno fenomeni di discomfort (disagio) causato da temperature interne non uniformi, da fenomeni di condensa superficiali e da una cattiva qualità dell’aria indoor.

Figura 3.5 Logo progetto Rifugio Sostenibili. Fonte: www.ahoraarchitettura.it

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Il progetto “Rifugi Sostenibili” è stato elaborato dall’ architetto Stefano Bruno dello studio Ahora Architettura di Avigliana e dall’ ingegner Matteo Rosa Sentinella dello studio MRS di Giaveno. La collaborazione fra i due professionisti, entrambi Consulenti CasaClima, è iniziata nel 2010: l’obiettivo è fornire servizi specializzati con un elevato standard qualitativo nell’ambito di riqualificazioni e nuove costruzioni con particolare cura all’aspetto energetico e all’impatto ambientale delle opere. Il progetto, nello specifico, propone di riqualificare i rifugi alpini, ri-


durne i consumi migliorandone il comfort e l’ecosostenibilità e osservare, attraverso una diagnosi energetica mirata, gli interventi prioritari con il miglior rapporto costo/ benefici , ed agire nel rispetto dell’ambiente montano. Il progetto “Rifugi Sostenibili” unisce, quindi, alla passione per la sostenibilità architettonica la passione per la montagna; il progetto è sostenuto e finanziato da una Fondazione privata ed è stato sviluppato in collaborazione con il CAI Piemonte e con l’ Associazione Gestori Rifugi Alpini e posti tappa del Piemonte (AGRAP). L’obiettivo è quello di divulgare la cultura del risparmio energetico e della maggiore efficienza del patrimonio immobiliare partendo da esempi concreti di edifici ad uso pubblico in condizioni climatiche particolarmente rigide, diffondendo presso gli abitanti delle aree montane l’idea che riqualificare casa si può, ovunque, migliorando il comfort e riducendone i consumi. Nello specifico è rivolto essenzialmente al Club Alpino Italino e ai gestori dei rifugi di montagna.4 Il progetto si compone di alcune fasi specifiche: quella della diagnosi energetica in estate, quella del progetto vero e proprio in inverno, e quella dell’ultimazione dei lavori l’estate successiva. Come già accennato, la metodologia utilizzata per poter individuare una proposta di progetto è quella della diagnosi energetica, cioè una valutazione sistematica, documentata e periodica dell’efficienza dell’organizzazione del sistema di gestione del risparmio energetico. Anche in questo caso la procedura della diagnosi segue determinate fasi: - Analisi dell’edificio - Stima dei consumi reali - Stima dei cunsumi in base ai valori di comfort - Ipotesi di intervento - Valutazione degli interventi - Quadro comparativo rispetto allo stato di fatto e a quello di comfort - Scelta dell’intervento Fra gli interventi proposti vi sono soluzioni volte a migliorare la sostenibilità ambientale dell’immobile in merito alla gestione dei rifiuti, delle acque nere e all’adozione di sistemi di recupero e/o riutilizzo delle acque grigie e/o 4. www.ahoraarchitettura.it

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metereologiche. Visto il particolare contesto ambientale delle strutture, gli interventi proposti andranno a prediligere l’utilizzo di materiali isolanti sostenibili e soluzioni costruttive rispettose delle tipologie architettoniche dell’area geografica di riferimento. La prima campagna di diagnosi si è svolta nell’estate 2014, e i risultati sono stati presentati all’Assemblea Interregionale del CAI di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e sono stati esposti a Milano in occasione del Festival delle Alpi 2015. La seconda campagna di diagnosi si è svolta nell’estate 2015 ed ha interessato 3 rifugi ed una casa alpina ubicati sul territorio Piemontese. Nella maggior parte dei casi studiati, le valutazioni degli interventi sono rivolte principalmente all’involucro e agli impianti. Infatti, superati i 2000 mt di altitudine, le temperature sono molto rigide e c’è un’escursione termica più accentuata. Inoltre, l’autonomia del fabbricato è minacciata dalla mancanza dell’allaccio alla rete elettrica o del metano. Questi sono fattori che mostrano l’importanza di effettuare interventi di miglioramento dell’involucro atti a garantire risultati immediati.

Figura 3.6 Campagna di diagnosi del Rifugio Gastaldi. Fonte: www.ahoraarchitettura.it

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“Abbiamo lavorato per due anni alle diagnosi energetiche di sei rifugi e una casa alpina - Rifugio Selleries di Roure, Scrafiotti di Bardonecchia, Tazzetti di Usseglio, la palazzina Sertorio di Coazze, Jervis di Bobbio Pellice, Gastaldi di Balme e la casa alpina di Sauze di Cesana -: la prima campagna si è svolta tra la primavera e l’autunno del 2014, la seconda nell’estate del 2015 e i report finali sono stati redatti nel mese di settem-


bre 2016 - spiega l’architetto Bruno - L’obiettivo è stato trasporre le competenze acquisite in ambienti complicati”. Per citarne un esempio piemontese, il rifugio Gastaldi, collocato nel Comune di Balma in provincia di Torino, è stato selezionato per la compagna di diagnosi 2015/2016. Dopo aver effettuato le simulazioni di diagnosi necessarie, e la diagnosi energetica vera e propria, sono stati proposti interventi di riqualificazione mirati riguardanti l’involucro dell’edificio, come per esempio sul cappotto interno, e riguardanti l’impianto del solare termico. Dai risultati emersi per il cappotto interno si è proposto di realizzarlo in fibra di legno con uno spessore di dieci centimetri e, al fine di raggiungere i livelli di comfort individuati nella simulazione, è risultato necessario dotare l’edificio di un sistema di generazione e distribuzione del calore anche per i piani superiori. Tutti gli interventi proposti si basano principalmente sulla diagnosi energetica, e specialmente sui valori di comfort ottenuti grazie alla simulazione energetica. La proposta dei progettisti, quindi, è volta ad incentivare gli enti gestori e/o proprietari di rifugi alpini, ricoveri e bivacchi a richiedere una diagnosi energetica dei loro immobili al fine di individuare dove si concentrano le dispersioni e procedere alla simulazione di interventi di riqualificazione energetica (sia attraverso opere di isolamento, sia agendo sui sistemi impiantistici). In tal modo è possibile scegliere l’opzione con il miglior rapporto costo/benefici, ottimizzando così il futuro investimento. “Ancor prima della messa in pratica conta il cambiamento culturale — chiarisce l’Arch.Bruno — L’obiettivo è prima di tutto divulgare la cultura del risparmio energetico”. 3.5 Un’esperienza didattica all’Università di Trento: il laboratorio RifugioPLUS L’idea di rifugioPLUS nasce dall’incontro fra Accademia della Montagna del Trentino e alcuni docenti del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Trento, con lo scopo di sviluppare proposte rispetto a un tema che sta suscitando interesse e discussioni tra differenti punti di vista di chi vive la montagna: la progettazione o ripro-

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gettazione dei rifugi alpini, tra esigenze di modernizzazione e desiderio di conservazione dello spirito originario dei padri. L’evoluzione e il mutamento in atto degli utenti della montagna esprimono esigenze diverse e talvolta nuove per il rinnovamento e la costruzione di nuovi rifugi alpini, non solo in termini di adeguamento dei servizi, che aprono un acceso dibattito culturale. Da qui la necessità di una ricerca per sperimentare, anche coinvolgendo gli studenti, tipologie, progetti culturali e soluzioni alternative sui quali aprire un confronto non ideologico. Su sollecitazione dell’Accademia della Montagna del Trentino, si è pensato di portare questo tema all’interno dell’Università coinvolgendo gli studenti proprio sul tema della progettazione o riprogettazione dei rifugi alpini. Ne è nata, di conseguenza, l’iniziativa di dedicare a questo tema una serie di lezioni incentrate sull’Architettura dei rifugi alpini e sulle possibili evoluzioni. All’interno del Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 tenuto dal professor Lamanna dell’Università di Trento è stata costruita un’offerta didattica in questo senso, arricchita da numerosi contributi esterni di specialisti, storici, progettisti, antropologi funzionari e guide alpine. Si è così dato corpo all’idea di dedicare un corso specifico alla progettazione e all’architettura dei rifugi, non tanto per formare degli architetti specializzati in questo settore di nicchia della progettazione, quanto con lo scopo di sperimentare e sviluppare proposte sulle quali aprire un confronto culturale ampio da posizioni non preconcette ma su concreti esempi confrontabili. Il corso ha interessato una sessantina di studenti del Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura dell’Università degli Studi di Trento nel primo semestre dell’anno accademico 2013-2014. Oltre allo specifico ciclo di lezioni, gli studenti hanno sperimentato nel Laboratorio di Architettura la progettazione di un preciso rifugio: in piccole equipe hanno prodotto una ventina di progetti su un caso concreto di rifugio escursionistico attualmente in disuso. All’inizio dell’anno accademico gli studenti sono stati ospiti dell’ Accademia della Montagna del Trentino presso il rifugio Gardeccia, ai piedi del gruppo del Catinaccio, per una due giorni di particolare attività didattica: dal rilevamento dello stato di fatto di uno specifico edificio (il glorioso ma fatiscente rifugio Catinaccio in

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val di Fassa), alle lezioni sul campo; al posto dei muri dell’aula, le pareti dolomitiche hanno fatto da limite a questa particolare esperienza di apprendimento che ha proiettato gli studenti al centro della questione; incontrare nel loro ambiente maestri arrampicatori, guide alpine, gestori di rifugi come Sergio Rosi ed Egidio Bonapace, Presidente dell’Accademia della Montagna del Trentino- è stata una esperienza formativa importante per avvicinare università e società. Al rientro in università, gli studenti hanno poi lavorato per tre mesi ai progetti, nel laboratorio di architettura; la concezione originale di ciascun gruppo ha prodotto schede, diagrammi e plastici concettuali che sono stati valutati a fine ottobre del 2013. Da questi lavori sono stati sviluppati i progetti definitivi: grandi plastici in scala 1:100 e tavole alle varie scale che mostrano una ricca varietà di proposte funzionali e architettoniche sono stati portati all’esame del corso del quarto anno di ingegneria-architettura e valutati da una commissione composta, oltre che dai professori e da specialisti e operatori del settore. “Trovandoci ad affrontare la riqualifica di questo rifugio – il Rifugio Catinaccio - emerge una questione centrale legata ai principi fondativi della progettazione ed al rapporto dialettico fra tradizione e contemporaneità. La continuità con la tradizione va ricreata attorno ai presupposti culturali e antropologici dell’architettura piuttosto che ricercata nell’esteriore aspetto formale o nella riproposizione stilistica dei materiali tradizionali; è necessario ripartire dalle due do-

Figura 3.7 Alcuni dei progetti degli studenti. Fonte: Università di Trento

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mande che hanno generato il rifugio stesso ovvero quali siano le aspettative, materiali e ambientali, degli utenti e quali siano, allo stato, le soluzioni tecnologicamente più adeguate a quelle aspettative”, racconta il Professor Lamanna. Un rifugio offre ai suoi ospiti il territorio di cui è presidio, trasmettendo la cultura della montagna e diventando strumento fisico per la definizione delle forme di turismo. Se oggi l’escursionismo ed il trekking costituiscono il maggior bacino di utenti delle Alpi, la costruzione di un nuovo rifugio non può prescindere dal cercare di anticipare il divenire delle risposte che la montagna può offrire e quindi è necessario progettare una flessibilità nell’uso, una adattabilità dell’architettura alle future necessità; nel campo distributivo e impiantistico si possono ad esempio prevedere delle risposte architettoniche alle mutate esigenze in evoluzione del frequentatore medio di queste strutture, soprattutto per quanto concerne il taglio delle stanze e la presenza di servizi igienici personali in camera. Si tratta di studiare in maniera non ridondante, le soluzioni adeguate al naturale sviluppo delle forme di accoglienza, per continuare a trasmettere quel senso di vivere essenziale dell’ambiente montano di cui i rifugi sono testimoni storici: un vivere fatto di spazi privati essenziali e da un grande spazio di relazione, dove da sempre le diverse generazioni di alpinisti ed escursionisti si incontrano. “Con la sperimentazione che abbiamo avviato con gli studenti non pensiamo certo di proporre una nuova forma di rifugio in alta quota, ma semmai di portare un contributo di proposte alla discussione sul possibile aggiornamento delle attuali categorie - rifugio alpino, rifugio escursionistico- che normano il settore in Italia. Si potranno confrontare forme e soluzioni specifiche per un rifugio che meglio si presti a rispondere a plurime aspettative, che possa favorire la conoscenza della montagna: un ambiente naturale da avvicinare con rispetto, preparazione e impegno. Questa tipologia di architettura nel paesaggio alpino l’abbiamo sinteticamente chiamata rifugioPLUS.”5

5. Professor Lamanna, Sito dell’Università di Trento

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Seconda parte: capitolo quarto


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4. CASI STUDIO1 4.1 Introduzione Nell’ultimo decennio, la grande attenzione agli aspetti ambientali e alla sostenibilità ha contribuito a una sempre maggiore diffusione di tecnologie rivolte al risparmio energetico e alla gestione razionale delle risorse. Oggi tali aspetti costituiscono elementi imprescindibili anche nella concezione architettonica dell’edificio stesso. Per la scelta dei casi studio proposti, la ricerca si è incentrata principalmente su progetti realizzati a partire dall’anno 2010 fino ad oggi. Questo per poter mostrare, specialmente, le ultime tendenze di progettazione in un luogo tanto estremo come l’alta montagna, e come oggi si affronta il tema della sostenibilità, in un luogo che sempre più va protetto e rispettato. I casi propongono differenti strategie di progetto, legate soprattutto alle nuove esigenze della clientela montana e alle attività principali che vengono svolte dai turisti stessi. Queste attività sono a loro volte connesse all’altitudine alle quale il rifugio viene collocato o ha necessità di essere collocato. Sono prese in considerazione quindi diverse tipologie di rifugi, da quello tradizionale per il pernottamento degli alpinisti, alla tipologia del rifugio-albergo, e ancora dal bivacco alpino alla semplice “capanna” a quote più basse per attività montane più leggere, come delle 1. Tutte le immagini dei casi studio sono state tratte dai siti delle riviste citate in bibliografia. Anche le informazioni, sono state tratte da esse e rielaborate.

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piccole escursioni. Ma si vedrà come queste tipologie tradizionali sono state “modernizzate”, inserite nella realtà del mondo di oggi, soprattutto a livello tecnologico e utilizzando materiali a volte sofisticati, pur mantenendo sempre il loro ruolo e significato più importante: essere un punto di riferimento per chi vive la montagna. 4.2 Rifugio Monte Rosa Hütte ALTUTUDINE: 2.883 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2010 LOCALIZZAZIONE: Monte Rosa, Svizzera COMMITTENTE: Club Alpino Svizzero PROGETTISTI: ETH Studio Monte Rosa; Bearth & Deplazes Architekten AG

Figura 4.1 Vista notturna del rifugio.

Figura 4.2 Vista del contesto.

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Situato sul ghiacciaio di Garnergrot, il rifugio Monte Rosa Hütte è una moderna struttura ecocompatibile e con vista mozzafiato che spazia dal Monte Rosa al Cervino e sulla parete nord dei Lyskamm. Precisamente è collocato nel territorio di Zermatt, nel Canton Vallese in Svizzera, nelle Alpi Pennine, a 2883 metri di altitudine. In occasione del 150° anniversario del Politecnico federale di Zurigo nasce il progetto di quello che diverrà il più grande esempio di architettura sostenibile ad alta quota. Un’equipe formata da ricercatori e tecnici dell’EMPA (l’Istituto nazionale svizzero per la ricerca nel campo dei materiali), insieme al professor Andrea Deplazes con i suoi studenti della facoltà di Architettura di Lucerna, in collaborazione con il Club Alpino Svizzero e sotto la supervisione del Politecnico di Zurigo, ridisegna completamente i canoni dell’architettura


montana, dando vita ad un piccolo gioiello ecosostenibile, un incredibile connubio di design, funzionalità e tecnologia. Il rifugio è stato definitivamente progettato dagli svizzeri Bearth & Deplazes Architekten di Coira e si è classificato tra i progetti finalisti agli Holcim Awards 2008, premio per l’architettura sostenibile di rilevanza internazionale. La configurazione dell’edificio, assimilabile ad un prisma, ricorda le forme di un cristallo di neve e, grazie al rivestimento traslucido, lo rende perfettamente integrato all’ambiente circostante: dal basso le sfaccettature prismatiche sono facilmente distinguibili dagli alpinisti che si apprestano a raggiungerlo, mentre dall’alto appare come una pietra piatta. Si caratterizza e distingue per la sua forma particolare, tale da essersi conquistato il soprannome di “Berg Kristall”, cristallo di montagna. La pianta è irregolare e di forma poligonale, caratterizzata da dieci setti di irrigidimento costituiti da travi reticolari posti in maniera radiale, conformazione geometrica che rimanda alla forma di un’arancia tagliata. Questa particolare scelta compositiva non è tuttavia casuale, ma studiata accuratamente per rendere il complesso il più possibile efficiente dal punto di vista funzionale/spaziale ed energetico. Gli angoli asimmetrici, infatti, riducono al minimo l’esposizione alla neve ed al vento e permettono di ricavare più spazio per le zone di ristoro. Il collegamento strutturale di base è stato realizzato tramite dieci fondazioni che ancorano la struttura alla roccia e forniscono il supporto ad una piastra stellare in acciaio di sostegno per i setti strutturali radiali. L’edificio si sviluppa su 5

Figura 4.3 Piante e prospetto.

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Figura 4.3 Fotografie degli spazi interni.

piani, di cui uno è seminterrato. L’involucro si presenta come un guscio metallico dalla forma irregolare, spigolosa, con il prospetto rivolto verso sud interamente rivestita da moduli fotovoltaici e le restanti parti da pannelli di alluminio, capaci di conferire alla struttura un aspetto cangiante grazie all’elevata lucentezza delle superfici che modulano la riflessione dei raggi solari durante l’arco della giornata. Le facciate, così fortemente sfaccettate, si inseriscono in maniera quasi “mimetica” nel contesto naturale, un luogo in cui la durezza della roccia e l’asperità dei ghiacciai diventano elementi di riferimento imprescindibili nella composizione dei volumi. La geometria complessa del Monte Rosa Hütte ha richiesto la progettazione di oltre 420 elementi costruttivi prefabbricati diversi, per i quali sono stati necessari più di 3000 viaggi in elicottero per il trasporto sul ghiacciaio e 35 addetti ai lavori per il montaggio, risultando la più complessa costruzione in legno mai realizzata in Svizzera. Ogni spazio è stato sviluppato in relazione al paesaggio circostante: dalla distribuzione degli ambienti interni alla disposizione delle finestre a nastro che accompagnano tutta la scala a chiocciola di collegamento ai vari piani, incorniciando il magnifico contesto alpino. Gli spazi interni presentano una notevole libertà distributiva e, una volta superata la soglia d’ingresso, ci si ritrova immersi in un luogo caldo ed accogliente, sensazione esaltata dall’impiego in larga misura del legno. Al piano interrato sono stati collocati i depositi per l’attrezzatura personale dei clienti (sci, scarponi, ramponi, etc.) ed i locali di servizio, mentre al piano principale si trovano la reception, la cucina e la sala da pranzo, un grande spazio con sviluppo radiocentrico dotato di una finestratura continua lungo tutto il perimetro che permette di godere dello spettacolare panorama alpino. Negli ultimi tre piani si trovano le camerate, tutte composte da sei posti letto ciascuna, interamente progettate ad hoc per sfruttare al meglio la particolare conformazione dell’edificio: i letti a castello sono stati progettati con forme trapezoidali per sfruttare in modo ottimale lo spazio interno e ridurre al minimo le cosiddette “zone morte”. In meno di un anno architetti, ingegneri e informatici hanno messo a punto il progetto del rifugio ecosostenibile, stando attenti all’impatto ambientale anche in fase di costruzione e trasporto dei materiali: la maggior parte della struttura infatti è stata prefabbricata a Zurigo, trasportata prima su binari e solo per l’ultima fase

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del percorso, mediante elicotteri. La scelta è stata quella di prefabbricare pezzi di piccoli dimensioni in modo da facilitare e velocizzare il trasporto e l’assemblaggio in loco. Sotto la pelle di alluminio, il cuore del rifugio è costituito da 50 cellule modulari in legno, completamente prefabbricate e realizzate con sistema a telaio, tecnologia che lascia la massima libertà in pianta, il tutto sotto l’insegna del risparmio energetico. I punti di forza del progetto sono stati la minimizzazione del fabbisogno energetico e lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali. L’utilizzo del legno, materiale locale particolarmente abbondante su tutto l’arco alpino, ha permesso di alleggerire i vari elementi prefabbricati di pareti e solai, facilitandone il trasporto e le varie fasi costruttive. I materiali utilizzati, per di più, sono ecosostenibili poiché riciclabili o comunque facilmente smaltibili: la struttura, come è già stato accennato, è interamente in legno, i pannelli per pareti e soffitti sono sandwich in legno con materiale isolante riciclabile in intercapedine. Il rivestimento in fibre minerali da 35 cm è provvisto di una copertura aggraffata in alluminio, interamente ventilata che aiuta a proteggere i pannelli dal vento e dagli agenti atmosferici. Con un’autonomia energetica quasi del 90%, il rifugio è definibile nel suo complesso come autosufficiente. L’energia elettrica viene prodotta da un impianto fotovoltaico “stand-alone” con pannelli disposti in gran parte in facciata, mentre il fabbisogno di acqua calda sanitaria viene soddisfatto da un impianto eliotermico posto a terra. Tutta l’energia elettrica in eccesso viene immagazzinata in speciali batterie di accumulo che

Figure 4.4 Fasi di cantiere.

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Figura 4.5 I metariali interni ed esterni: legno ed acciaio.

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alimentano l’edificio nelle ore notturne e meno soleggiate della giornata. L’approvvigionamento idrico è basato interamente sul recupero dell’acqua piovana e sullo scioglimento delle nevi, mentre per lo scarico dei bagni vengono impiegate le acque reflue trattate. Tutte le aperture vetrate, sia in facciata sia in copertura, sono caratterizzate da elevati valori di resistenza termica, costituite da telai in alluminio con tripli vetri e apertura basculante. L’altissimo rendimento energetico del rifugio viene raggiunto tramite una gestione domotica di tutta l’energia accumulata: un sistema centrale direttamente controllato dal Politecnico di Zurigo gestisce e distribuisce correttamente le risorse energetiche sulla base di un modello matematico che registra le previsioni atmosferiche, il numero di ospiti e l’energia prodotta. Nei periodi di maggior consumo inoltre, entra in funzione una centrale termica integrativa alimentata con olio di colza e si sfrutta l’energia termica dell’aria di scarico tramite il recupero di calore. Per la sua gestione ottimizzata dell’energia e l’elevata efficienza, il nuovo rifugio produce circa due terzi in meno di gas serra a pernottamento rispetto al vecchio, questo perché a quote così elevate il rendimento solare è molto più alto che in pianura. E’ proprio per l’acuta capacità dei progettisti di sopperire alle mancanze del luogo che il Monte Rosa Hütte ha acquisito un notevole successo internazionale: niente acqua, niente elettricità, niente strade né sentieri, fanno dell’edificio un organismo equilibrato e sinergico in cui ogni minima parte è in sintonia col resto, svolgendo un ruolo fondamentale e


insostituibile per il funzionamento generale dell’intero sistema.

4.3 Bivacco Gervasutti ALTUTUDINE: 2835 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2011 LOCALIZZAZIONE: Monte Bianco, Curmayeur, Aosta, Italia COMMITTENTE: CAI sezione di Torino, sottosezione SUCAI, scuola di scialpinismo PROGETTISTI: Luca Gentilcore (Gandolfi Gentilcore architetti), Stefano Testa (Cliostraat); LEAPFactory Il primo bivacco alpino di ultima generazione, estrema sintesi di comfort, sicurezza e rispetto dell’ambiente, è stato installato su uno sperone roccioso a quota 2835 metri sul ghiacciaio del Freboudze sotto la spettacolare parete Est delle Grandes Jorasses e precisamente è situato nel comune di Courmayeur, in val Ferret, nel massiccio del Monte Bianco. La nuova “Capanna Gervasutti”, è diventata realtà grazie alla collaborazione tra il CAI e il gruppo di lavoro coordinato dai progettisti Luca Gentilcore e Stefano Testa. E’ frutto, inoltre, della progettazione di Leap Factory, ed è sorto in sostituzione del vecchio rifugio in legno, poco più di una capanna, del 1948 intitolato all’alpinista torinese Giusto Gervasutti. Nel 2011, in occasione dei 60 anni della fondazione della Scuola Nazionale di Scialpinismo, CAI Torino e la Sottosezione SUCAI hanno deciso di far realizzare una nuova struttura, oggi vero orgoglio alpino. Il nuovo Bivacco Gervasutti è difatti una struttura estremamente contemporanea, frutto di un design innovativo attento all’ambiente e dotato di

Figure 4.6 Viste esterne del bivacco dopo il trasporto e prima.

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Figura 4.7 Moduli di configurazione di LEAP.

Figura 4.8 Pianta del Bivacco.

comfort, tecnologia e, naturalmente un di panorama a dir poco impressionante. Il progetto nasce sostanzialmente in pianta: uno spazio minimo per dodici posti letto che non richieda trasporti eccezionali. Tale vincolo dimensionale ha dato un ingombro massimo (8 x 2,40 metri) risolto su basi strettamente ergonomiche. Da subito si opta per una soluzione basata su moduli, dovendo ridurre al minimo le operazioni di trasporto: questi moduli sono progettati e costruiti sulle esigenze specifiche dei committenti e possono essere personalizzati in base al luogo in cui andranno posizionati, in sintonia con l’ambiente circostante, in piena coerenza con lo spirito di adattabilità e di sostenibilità di LEAP. L’aspetto forse più interessante di LEAP è che, fin da subito, si propone come modello replicabile al di là dell’occasione specifica. Di conseguenza, la sua modularità è stata affrontata in modo combinatorio: il modulo di base, lungo 2 metri, è un anello strutturale nudo; sottomoduli da 1 metro accolgono gli eventuali accessori (oblò, porte laterali); gli elementi terminali, la ‘palpebra’ vetrata in aggetto sul vuoto e il ‘tappo’ di chiusura contro la parete rocciosa, sono di fatto intercambiabili. Ma in realtà ogni componente è opzionale. L’involucro, dopo una prima ipotesi (non praticabile) di riutilizzo di un trancio di fusoliera di aeroplano, sorta di readymade la cui sezione avrebbe fornito tutto l’occorrente, ha preso corpo in un guscio strutturale, resistente per forma, in grado di risolvere tutte le prestazioni (meccaniche e coibenti, di peso) in un’unica soluzione. Ottenuto incrociando il mondo della nautica e le com-

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petenze della filiera legno-arredo brianzola, la sua sezione tubolare è il punto di equilibrio tra resistenza e abitabilità, risultante di un compromesso funzionale: una cuspide più pronunciata avrebbe lavorato meglio da un punto di vista strutturale, ma anche sacrificato spazio nelle corsie laterali. La vivace colorazione esterna dell’involucro, facilmente visibile dalla larga distanza, fornisce un riconoscibile punto di riferimento agli alpinisti in avvicinamento. Il resto è a sbalzo, una posizione scomoda e davvero estrema, dovuta anche a dettagliate analisi nivologiche, per sottrarsi alla spinta inesorabile di eventuali valanghe o frane, nonché offrire una superficie ridotta ad accumuli di neve sul tetto. Dal punto di vista estetico, appare come una sorta di grossa navicella tubolare, adagiata su uno spuntone di roccia da cui buona parte del modulo sporge, garantendo un impatto scenico notevole e soprattutto una vista mozzafiato dalla facciata frontale trasparente Il bivacco, al suo interno, è organizzato internamente in quattro ambienti: l’ingresso, il locale per il pranzo e due camerate con dodici posti letto, per un totale di trenta metri quadri e 1980 chili di peso. La zona giorno è illuminata da una grande finestra panoramica rivolta verso valle, e contiene una cucina, un tavolo e delle sedute. L’area notte è fornita di letti a castello e ripostigli. Il bivacco è stato concepito per essere costruito interamente a valle, elitrasportato e installato con minime operazioni in loco. Tale impostazione costruttiva, derivata dalle esperienze nautiche ed aeronautiche, consentirà in futuro al nuovo bivacco di resistere maggiormente nel tempo alle condizioni dell’alta quota. I moduli

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Figure 4.9 Sezioni e prospetto.


Figure 4.10 Viste dell’interno.

monofunzionali assemblabili di cui è composto, quindi, sono stati interamente prefabbricati e poi elitrasportati fino sulla parete, garantendo così un’ottimizzazione dei lavori. Progettato per resistere nel tempo alle condizioni difficili dell’alta quota, utilizza una struttura a guscio in sandwich composito, vetroresina e pvc ad alta densità, che garantisce livelli elevati di resistenza meccanica e di isolamento termico. La particolare morfologia, il sistema di costruzione, i materiali utilizzati, sono concepiti per ottenere una grande resistenza alle sollecitazioni impegnative determinate dal clima e dagli eventi eccezionali tipici dell’ambiente alpino. Completamente a tenuta stagna, fornito di sistema per il riciclo dell’aria ed eliminazione dell’anidride carbonica, è dotato di pannelli solari sul tetto che generano l’energia sufficiente all’illuminazione interna e alle piastre per cucinare. L’energia elettrica è prodotta da unità fotovoltaiche con accumulatori di ultima generazione che lo rendono autosufficiente tutto l’anno. L’impianto installato ha una potenza di 2,4 kWp e i 24 moduli che lo compongono sono formati da celle fotovoltaiche annegate in un polimero speciale che ne consente la massima flessibilità. L’energia prodotta sarà utilizzata per alimentare l’impianto di illuminazione e le prese elettriche. Il consumo fisso giornaliero (escluso l’autoconsumo batteria) è previsto in circa c.a. 800 Wh. Al contrario dei bivacchi tradizionali, per loro natura isolati, è collegato con il mondo esterno grazie ad un computer di bordo, connesso ad internet via satellite, che oltre a servire agli utenti rileva lo stato di funzionamento degli impianti ed invia i dati ai manutentori e fornisce, inoltre, informazioni in tempo reale sulle condizioni meteo, si può gestire l’organizzazione delle presenze, e attivare quindi una comunità di frequentatori in grado di scambiarsi notizie sul “libro del rifugio” virtuale. La flessibilità del progetto, in generale, promette un prototipo adattabile, potenzialmente, a qualsiasi contesto naturalisticamente sensibile, il cui approccio ecologico risiede anche in una notevole reversibilità, non certo in una mimesi naturalistica. Anzi, erede di una certa utopia tecnologica, LEAP irrompe nella natura in modo dichiarato e “in punta di piedi a un tempo, come una Walking City (volante) e, allo stesso modo, ‘discreta’ e impermanente”.

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4.4 Rifugio Gouter ALTUTUDINE: 3835 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2014 LOCALIZZAZIONE: Saint-Gervais-lesBains, Francia COMMITTENTE: Federation Francaise des Clubs Alpins et de Montagne FFCAM. PROGETTISTI: Thomas Buchi e Hervè Dessimoz dello studio Group-H

Il nuovo Rifugio Goûter si trova a 3835 metri di altezza sull’Aguille du Goûter, il picco più alto sul versante francese del Monte Bianco, nel comune di Saint-Gervais-les-Bains. La nuova struttura, sospesa in parte sopra un salto vertiginoso di 1.500 metri, è stata progettata secondo principi ecosostenibili e di basso impatto ambientale dall’architetto ginevrino Hervé Dessimoz dello studio Groupe–H che afferma: «La sfida era costruire un edificio che offrisse sicurezza e comfort in condizioni estreme e dare una risposta estetica a difficoltà tecniche eccezionali». La struttura, dunque, ha sostituito quella più datata, risalente al 1960, per volere del French Alpine Club. L’apertura è avvenuta lievemente in ritardo se si considera che se ne attendeva l’inaugurazione già per il 2012. Tuttavia, alcuni problemi tecnici e le condizioni meteorologiche non troppo favorevoli, ne hanno ritardato la costruzione e la riapertura. È stato ufficialmente inaugurato il 6 settembre 2014 ed è il rifugio alpino situato a più elevata altitudine in Francia. Il progetto mostra una pianificazione complessa sia dal punto di vista strutturale che da quello estetico che ha

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Figure 4.11 Viste esterne in momenti deversi della giornata.


Figure 4.12 Pianta piano terra, piano primo e sezione.

portato alla realizzazione di una struttura ovoidale con una superficie di 684 metri quadrati che si distribuisce su 4 livelli e che è capace di ospitare fino a 120 posti letto. Sulle scelte progettuali del rifugio, oltre alla sua occupazione discontinua nell’arco dell’anno, hanno influito in modo determinante le condizioni climatiche e la difficoltà di accesso, effettuabile solo a piedi o con elicottero, che hanno obbligato all’impiego di un sistema costruttivo a moduli prefabbricati, dimensionati per essere agevolmente trasportati e assemblati in loco. Il volume di forma ovoidale è concepito per resistere ai venti eccezionalmente forti – che possono raggiungere i 300 chilometri orari – presenti a questa altitudine, e per ridurre al minimo l’accumulo di neve sulla copertura. L’asse principale della pianta ellittica è disposto prevalentemente a ovest, contro vento, in modo da permettere l’accelerazione delle masse d’aria sui lati dell’edificio e creare un vortice nella parte posteriore, facilitando così il naturale scioglimento della neve. L’involucro è a pannelli rettangolari smussati, molto resistenti alle intemperie, fissati a una struttura portante in legno di abete. Sulla griglia modulare dei pannelli metallici di rivestimento si riconoscono i quattro livelli abitabili attraverso la presenza o meno delle aperture, partendo dalla quota inferiore con i locali tecnici e di servizio, salendo al primo livello con la sala da pranzo e la cucina, e a seguire le camere ai piani superiori. Comodità e comfort per chi soggiorna in questo rifugio sono al primo posto, più spazio fruibile e clima confortevole, con tanto di luci blu che di notte si accendono automaticamente se qualcuno si alza dalle cuc-

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cette. I progettisti hanno previsto l’impiego di un sistema costruttivo a moduli prefabbricati, dimensionati per essere agevolmente trasportati e assemblati in loco. I moduli prefabbricati della struttura in legno leggero che compongono l’involucro edilizio sono stati trasportati in elicottero. La capacità massima di carico dell’elicottero, di circa 500 kg, era quindi un importante fattore di progettazione e costruzione determinante. Per l’edificio è stato utilizzato un totale di circa 150 tonnellate di legno, 30% dei quali sono state ottenute da foreste vicine a Saint-Gervais, e il 60% dal Departement Haute-Savoie e solo il 10% dalla Borgogna. Per ridurre al minimo lo spessore della struttura di supporto, tutti gli alberi tagliati sono stati esaminati mediante ecografia e scanner e solo i più regolari sono stati selezionati per l’edilizia. Per poter montare i singoli elementi è stata costruita un’apposita gru. L’edificio, quindi, è interamente realizzato con una struttura in legno di abete rosso, bianco e larice ed è rivestita da pannelli di acciaio inox satinato, capaci di resistere a venti di 240 chilometri orari e alle forti escursioni termiche, sopra i quali sono montati pannelli fotovoltaici e solari. L’isolamento del rifugio, è costituito da pannelli in fibra di legno, anch’essi provenienti dal vicino comune francese di Saint Gervais. Anche tutti i mobili sono progettati in armonia con lo spirito del luogo e sono anch’essi di abete rosso. Tutto il progetto ruota intorno al concetto di ecosostenibilità. Le tecnologie avanzate sfruttate per realizzare quest’opera sono state applicate ai principi base dell’ecologia e allo sviluppo di un impatto ambientale ridotto ai minimi termini possibili. Una sfida contro le leggi della natura, per garantire alla struttura caratteristiche di comfort e sicurezza, nonostante i forti venti e la neve. Un’operazione assolutamente riuscita, e la prova è il risultato ottenuto: infatti il rifugio è aperto al pubblico e funziona a pieno regime in estate e inverno, nonostante le condizioni estreme di vivibilità del posto in cui è collocato. Il progetto del rifugio ha avuto come obiettivo, quindi, quello di realizzare un’architettura sostenibile ed efficiente ad alta quota, a basso impatto energetico ed ambientale. Citiamo alcuni degli aspetti che i progettisti pubblicizzano sul loro sito ufficiale: tutto il legname è francese, come già detto, e prevalentemente di Saint Gervais, per ridurre i costi di trasporto; i componenti sono stati montati a valle per ridurre il traffico di elicotteri ne-

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Figura 4.13 Sistema costruttivo.

Figure 4.14 Fasi di cantiere.


cessario per il trasporto in quota; è stato fatto un largo utilizzo delle energie rinnovabili, impianto di trattamento acqua, impianto di raccolta e scioglimento della neve, e trattamento delle acque reflue. Le soluzioni tecnologiche implementate consentono di gestire tutte le risorse e l’energia nel rifugio, garantendo agli occupanti una permanenza sicura e confortevole e permettendo di trasformare, distribuire e gestire sia l’energia elettrica, sia l’energia termica. Grazie al sistema di controllo centralizzato, è possibile controllare lo stato degli impianti, monitorare la produzione e i consumi di energia in tempo reale, sia sul posto sia da remoto. È autosufficiente dal punto di vista energetico. Infatti il sistema di pannelli fotovoltaici e solari generano il 20% dell’energia elettrica e l’80% di quella termica necessarie al fabbisogno energetico dell’edificio, inoltre è stato integrato un impianto a biomassa per alimentare maggiormente l’impianto di riscaldamento. Le finestre della cucina hanno inoltre la specifica funzione di “guadagno solare” per quanto riguarda le fonti termiche, la cui maggiore fornitura avviene dal calore stesso emesso dagli occupanti del rifugio. In questo particolare contesto climatico sono state impiegate finestre con il telaio in legno naturale e tripli vetri a doppia camera, formati in successione da: una lastra di sicurezza esterna temperata da 8 millimetri, un’intercapedine d’aria, un’altra lastra temperata da 4 millimetri, un’intercapedine di gas argon e un vetro interno laminato rinforzato. Questa combinazione assicura un alto rendimento energetico e una bassa emissività, con una trasmittanza termica del serramento finito (Uw) inferiore a 1,0 W/m²K. Grazie all’uso di questi serramenti, si recupera circa il 75% di energia termica dispersa nell’aria. L’impianto idrico, invece, si avvale dell’inesauribile risorsa di neve circostante. Questa, infatti, se sciolta, viene utilizzata sia come acqua per la cottura dei cibi che per gli scarichi dei servizi igienici. Un sistema di elaborazione ultratecnologico che prevede il trattamento biologico, l’ossigenazione e la filtrazione delle acque reflue, consentendone il totale recupero. Il rifugio del Goûter, nel 2014, ha ottenuto la certificazione HQE (Haute Qualité Environnementale), una certificazione ambientale francese che viene intesa come “certificazione di processo”. Non si valuta, quindi la compatibilità ambientale dell’edificio, ma la qualità ambientale di tutto il processo edilizio, secondo temi specifici quali la bioedilizia, l’ecogestione (gestione dell’energia), il comfort e la salute. È un rifugio unico al mondo grazie

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alle tecnologie utilizzate dai progettisti. Luc Remont, il Presidente di Schneider Electric France, ha dichiarato: “ Per le condizioni estreme in cui il progetto è stato realizzato – venti violenti, temperature molto basse, isolamento – si è trattato di una vera sfida, tecnica e umana. Il nostro personale ha messo in campo il meglio della propria esperienza e professionalità per offrire soluzioni affidabili e adeguate. E’ un impegno assolutamente in linea con il programma per diffondere la consapevolezza sui temi dello sviluppo sostenibile che portiamo avanti con la nostra Fondazione Schneider Electric; questo rifugio per noi è un progetto di alto valore simbolico”.

Figura 4.14 Il rifugio appena concluso.

4.5 La Cabane de Tracuit ALTUTUDINE: 3256 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2013 LOCALIZZAZIONE: Zinal, Svizzera COMMITTENTE: Club Alpino Svizzero, sezione di Chaussy PROGETTISTI: Savioz Fabrizzi Architectes Figura 4.15 Il rifugio in una vista notturna.

La Cabane de Tracuit, a 3256 metri d’altezza, è posta nel cuore delle Alpi del Vallese. Al termine della valle di Anniviers, dispone di una localizzazione particolare in quanto punto di partenza per le ascese al Bishorn e al Weisshorn. Tra l’orizzontalità del Ghiacciaio di Turtmann e la verticalità della parete rocciosa, la nuova capanna si adatta alla topografia e si distende sulla cresta, fino al profilo

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della parete rocciosa. Il rifugio, che sostituisce quello più volte ampliato a partire dal 1929 e ristrutturato nel 1987, è l’esito di un concorso che prevedeva le due opzioni di ampliamento e rinnovamento o nuova costruzione, voluto dalla sezione di Chaussy del Club Alpino Svizzero. Vincitore del concorso è stato lo studio Savioz Fabrizzi Architectes. Dopo l’avvenuta costruzione della nuova capanna, quella vecchia costruita del 1929 è stata smantellata: la base delle pareti è stata conservata come ricordo della lnga storia dell’antico rifugio.

Figura 4.15 Ingresso, contensto e pianta della capanna.

L’edificio si presento sotto forma di un volume compatto di forma parallelepipeda: la facciata sud, quale prolungamento della parete rocciosa, ed essendo esposta al sole, funziona come grande elemento di captazione solare in quanto dotata di un’ampia vetrata, che garantisce agli ospiti una vista mozzafiato. Le altre facciate riflettono il paesaggio circostante per ridurre l’impatto visivo dell’edificio nel contesto naturale. In particolare, Le pareti rivolte ad est, ovest e nord, hanno solo poche aperture, al fine di ridurre le perdite di calore. La forma compatta e l’isolamento delle pareti, permettono di ridurre la dispersione termica. Gli spazi interni si limitano allo stretto necessario. Sono organizzati in modo compatto sia per ragioni economiche sia per motivi legati alla socialità: favorire il contatto tra gli utenti, mantenere lo «spirito della capanna», tipico di questo genere di rifugi in alta montagna. L’edificio si sviluppa su quattro piani, due dei quali sono seminterrati: il livello 0 è quello dedicato principalmente all’accoglienza dei visitatori; è composta da una grande sala da pranzo con

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un’ampia vetrata, la cucina, e vari locali per l’attrezzatura di montagna. Al livello +1 invece si trovano tutte le stanze del dormitorio, nella possibilità di soggiornare in stanze da quattro, dodici o ventiquattro posti. Nei livelli seminterrati si trovano principalmente locali tecnici per la manutenzione degli impianti e i servizi igienici per i visitatori. Il tutto è reso più caldo e accogliente, dall’uso prima di tutto del legno grezzo, ma anche dall’uso di colori vivaci sulle pareti degli ambienti di disimpegno e delle scale. Il sistema costruttivo scelto ha considerato le difficoltà legate al trasporto dei materiali sul sito e alle condizioni climatiche esterne locali. Per tale ragione le fondazioni, il serbatoio dell’acqua e del gas sono gli unici elementi realizzati in calcestruzzo (per questioni di resistenza al fuoco). Sulle fondazioni una struttura in legno forma lo scheletro della capanna. Sono stati necessari solo nove giorni di lavoro con l’aiuto di due elicotteri per costruire i quattro livelli della capanna, realizzati con moduli prefabbricati in legno. Pareti e pavimenti sono realizzati con una struttura intelaiata, isolamento e rivestimento. Le facciate e il tetto sono rivestite in acciaio inox, scelto per le qualità di resistenza alla corrosione, che permette inoltre di raccogliere e recuperare le acque piovane atte al consumo, grazie alla stabilità chimica. Le facciate rivestite con tegole riflettono il paesaggio che circonda la capanna, permettendole di «affondare» nell’ambiente circostante. Sulle facciate est, ovest e nord, le aperture sono ridotte e puntuali. Le loro dimensioni permettono di equilibrare correttamente l’illuminazione naturale dei locali, la ventilazione naturale e la limitazione delle dispersioni termiche. La facciata sud, maggiormente esposta al sole, è dotata di finestre più generose, che permettono di immagazzinare l’energia solare passiva. Sul prolungamento della parete rocciosa, questa facciata è perfettamente orientata per accogliere numerosi pannelli fotovoltaici e solari. L’edificio è stato concepito in modo di minimizzare il proprio impatto ambientale. Isolato da tutte le reti di alimentazione possibili, il progetto ambisce all’autonomia energetica. La forma compatta dell’edificio, l’involucro termico molto performante e i fabbisogni limitati permettono di ridurre i consumi energetici. Un sistema di ventilazione low-tech permette il recupero del calore emesso dagli occupanti e garantisce maggior comfort grazie al ricambio di aria, e ha l’obiettivo di prevenire la formazione delle muffe, quando il rifugio rimarrà chiuso

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Figure 4.16 Viste dell’interno delle camere e della sala da pranzo.


Figure 4.17 Fase di cantiere.

per diversi mesi all’anno. Il riscaldamento, limitato a qualche locale, è garantito da un sistema a pellet e a gas, come sistema complementare. La tettoia rivestita da 95 mq di pannelli fotovoltaici fornisce la maggior parte dell’energia elettrica e per i picchi di consumo è anche presente un generatore. Attraverso la sua vasta area di pannelli solari e la finestra esposta a sud, l’edificio sfrutta appieno della radiazione solare.

4.6 LEAPrus 3912

Figure 4.17 Il contensto del progetto.

ALTUTUDINE: 4000 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2013 LOCALIZZAZIONE: Monte Elbrus, Russia COMMITTENTE: North Caucasus Mountain Club PROGETTISTI: Edoardo Boero, Stefano Girodo, Tamara Panetta, Edoardo Riva Il monte Elbrus, un vulcano inattivo, è la vetta più alta dell’Europa geografica, compreso tra le Seven Summits, ovvero il circuito delle cime più alte di ciascun continente. Si trova al centro della catena settentrionale del Caucaso, in territorio russo, a metà strada tra il Mar Nero e il Mar Caspio. LEAPrus 3912 è stato il primo passo per la riorganizzazione dell’ospitalità sul monte Elbrus. L’insediamento è situato lungo la via normale di salita alla montagna, sull’immenso ghiacciaio del versante meridionale, a poche centinaia di metri dallo storico rifugio Priut 11, distrutto da un incendio negli anni ‘90 del secolo scorso e mai più ricostruito. La realizzazione di LEAPrus 3912 è

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stata promossa da North Caucasus Mountain Club, società russa che opera per lo sviluppo turistico della regione montuosa del Caucaso settentrionale; LEAPrus 3912 ed è il risultato di un ambizioso progetto ‘partorito’ dalla LEAPfactory, studio di architettura torinese specializzato nella realizzazione di soluzioni costruttive ‘ad alta quota’, sostenibili ed energeticamente autosufficienti. Già noto per aver realizzato un rifugio modulare ed ecosostenibile sul Monte Bianco, il team di progettisti piemontese ha avuto come obiettivo principale quello di reinterpretare la relazione tra uomo e natura sfruttando l’ambiente naturale come laboratorio di sperimentazione. La nuova struttura ricettiva è composta da quattro strutture modulari. Tali moduli proposti dalla LEAP sono componibili fra essi in base alle esigenze a cui bisogna rispondere. Per la progettazione della struttura ricettiva, la cui superficie è di 139 mq, sono stati realizzati 19 moduli con scocca in composito, dedicati alla zona notte e giorno e 13 moduli in cui trova spazio un sofisticato impianto per la produzione di energia oltre ai servizi igienici. Sono presenti inoltre un soggiorno-sala da pranzo, una cucina, una reception e un alloggio per gli addetti. La forma delle strutture è la stessa del Bivacco Gervasutti sul Monte Bianco, data l’altissima quota del progetto e per le stesse motivazioni climatiche. Ma in questo caso si riprende il concetto di rifugio-albergo, in quanto si utilizzano delle strutture piccole e di forma semplice, come quella che si utilizza per i bivacchi d’alta montagna, posizionate in modo individuale ma che, fra di loro, hanno una stretta connessione in senso di abitabili-

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Figure 4.18 Planimetria generale.

Figure 4.19 Viste dell’interno.


Figure 4.20 Una vista notturna e una fase di montaggio dei moduli tramite elicottero.

tà. Gli allestimenti interni e il disegno architettonico degli abitacoli rappresentano un unicum nel panorama delle costruzioni in alta quota: un intenso rapporto visivo con il panorama circostante, eleganza, funzionalità, durabilità – sono orchestrati accuratamente per offrire ai fruitori un comfort reale. Le strutture della nuova stazione alpina sono realizzate con materiali durevoli di altissima qualità, dotate di tecnologie all’avanguardia nel campo della sostenibilità ambientale. Le strutture del rifugio sono state realizzate con materiali di altissima qualità e durevoli nel tempo, caratterizzate da avanzatissime tecnologie nell’ambito della sostenibilità ambientale. La scocca esterna è coibentata e realizzata in legno e materiali di riciclo dotati di certificazione ecologica. La futuristica struttura tubolare del rifugio è funzionale a ridurre gli interventi di manutenzione, perchè impedisce alla neve di restare troppo tempo sulla struttura. L’aspettativa ‘di vita’ prevista per LEAPrus è di circa 50 anni. Le strutture modulari sono state progettate e costruite in Italia da LEAPfactory e in seguito trasportate in Russia. L’installazione sulle pendici dell’Elbrus è avvenuta in pochi giorni nel mese di luglio; i moduli sono stati elitrasportati e assemblati da un team di tecnici specializzati dell’azienda. Ottenere la migliore prestazione possibile in termini di efficienza energetica e comfort abitativo è stato l’obiettivo principale per raggiungere l’autosufficienza del nuovo insediamento sulla montagna più alta d’Europa. Gli involucri strutturali ad altissima efficienza contribuiscono alla ridu-

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zione drastica del fabbisogno energetico, che alimenta illuminazione, riscaldamento e trattamento dell’aria interna, acqua calda sanitaria e un sistema di monitoraggio e comando remoto di tutti gli apparati: un impianto ibrido autonomo per la produzione di energia, ad alta efficienza ed integrazione tra le fonti utilizzate, con un innovativo parco di accumulo ecologico al sodio; uno specifico sistema di ricircolo dell’aria interna con recupero termico; illuminazione a led; riscaldamento a pavimento adatto a rispondere alle bassissime temperature esterne; un sistema di fusione della neve per la fornitura di acqua per l’impianto idrico-sanitario; un depuratore delle acque reflue, specifico per l’alta quota, che consente di abbattere quasi totalmente la dispersione di inquinanti organici nell’ambiente; l’intero sistema è regolato e controllato, anche da remoto via satellite, agevolando una gestione efficace della struttura durante l’intero arco dell’anno. Grazie ai materiali e alla messa in campo di tecnologie all’avanguardia LEAPrus è infatti un insediamento energeticamente autosufficiente. Non mancano poi, gli accorgimenti che caratterizzano gli allestimenti interni. Per offrire agli ospiti del rifugio maggior comfort e benessere il design degli abitacoli è stato concepito nel segno dell’eleganza e della funzionalità, oltre che durabilità nel tempo. Il tutto completato da un rapporto visivo continuo con il panorama circostante. La filosofia di LEAPfactory si basa infatti su un nuovo approccio al territorio in cui la cultura dell’abitare e del vivere sono strettamente connesse all’ambiente e alla sostenibilità energetica.

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Figure 4.21 Schema di funzionamento generale del rifugio.


4.7 Rifugio Carlo Mollino

Figura 4.22 Facciata principale del rifugio.

Figure 4.23 Il contesto in cui si inserisce il progetto.

ALTUTUDINE: 2100 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2014 LOCALIZZAZIONE: Gressoney Saint Jean, Aosta COMMITTENTE: Comune di Gressoney Saint Jean PROGETTISTI: Comunità montana Walser: arch. Laura Montani con la consulenza scientifica del Politecnico di Torino - DIPRADI: arch. Guido Callegari, prof. Liliana Bazzanella, arch. Alessandro Mazzotta, prof. Elena Tamagno con la collaborazione dell’arch. Massimo Ronco Il Rifugio sorge lungo il Walserweg, il grande sentiero dei Walser, a quota 2100 metri di altitudine, all’arrivo della seggiovia del comprensorio sciistico di Weissmatten nel comune di Gressoney Saint Jean (AO), in prossimità del padiglione da tè della Regina Margherita di Savoia, una storica architettura in legno originariamente ubicata presso il Castello Savoia e trasferita in quota negli anni ‘50 come capanno di caccia prima e più recentemente come punto di ristoro per gli sciatori. L’architettura è stata realizzata per mezzo di una iniziativa fortemente voluta dal Comune di Gressoney Saint Jean, sviluppata in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, con l’intento di evidenziare il valore e l’attualità del progetto originario come manifesto sull’innovazione tecnologica e la prefabbricazione edilizia. Il progetto originario fu presentato dapprima nell’ambito del Concorso Vetroflex Domus (1951) e poi alla X°

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Triennale di Milano (1954) come manifesto sull’innovazione tecnologica e la prefabbricazione edilizia; l’idea era quella di realizzare un edificio a basso consumo energetico, eliminando per esempio il fabbisogno di combustibile fossile, sperimentando materiali e tecniche costruttive innovative. Nel 2006, un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino, dove Mollino si era laureato nel 1931, riprese il progetto consegnato alla storia da questo protagonista della cultura architettonica italiana con l’intento di evidenziarne il valore e l’attualità, analizzando diverse varianti della stessa idea progettuale e registrando la disponibilità di nuove soluzioni tecniche, alle quali la ricerca dell’architetto piemontese è sempre stata fortemente orientata. Il Rifugio Mollino, come si è deciso di ribattezzare la Casa Capriata in onore del suo creatore: questa architettura, immersa nella quiete del paesaggio alpino può essere ammirata secondo la visione ideale di Carlo Mollino che a proposito della sua produzione progettuale affermava: ”Tengo per fermo che la migliore spiegazione della propria opera sia la silenziosa ostensione dell’opera medesima”. Gli studi tramandati da Carlo Mollino rappresentano ancora oggi un progetto che sorprende, e che negli anni Cinquanta rappresentò un manifesto della sperimentazione di materiali e tecniche costruttive innovative. Riproporre un progetto consegnato alla storia da uno dei protagonisti della cultura architettonica ha comportato per i ricercatori del Politecnico l’analisi di diverse varianti all’idea progettuale e la necessità di pensare nuove soluzioni tecniche. L’architettura-manifesto si concretizza quindi in un edificio sperimentale nel quale gli aspetti architettonici, strutturali, tecnologici e impiantistici sono stati ripensati in coerenza con i criteri progettuali indicati da Carlo Mollino. Inaugurata nel dicembre 2014, il Rifugio Carlo Mollino è una struttura originalissima, disposta su vari piani e sopraelevata da terra, una reinterpretazione in chiave moderna delle architetture Walser dell’alta valle di Gressoney, nella quale la copertura a due spioventi diventa essa stessa la forma complessiva dell’edificio, nonché tutta la struttura portante. Il progetto ha previsto tre diversi livelli: il rifugio ospita al primo piano la sala da pranzo, la cucina, un servizio e un piccolo disimpegno per il deposito degli sci a fianco dell’ingresso; al secondo piano due camere e un bagno

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Figura 4.24 Carlo Mollino, Progetto Casa di Montagna concorso Vetroflex-Domus, 1951.


aggregato in modo da formare un quadrato; il terzo piano, di minuscole dimensioni, è occupato da due camere e da una serie di armadi. L’architettura utilizza un’ossatura costituita da tre capriate a catena portante gli elementi orizzontali: in tal modo, le pareti laterali sono costituite dalle falde stesse del tetto interamente esteso a tutto il lato inclinato della capriata. Questo sistema costruttivo è stato ripreso, e successivamente rielaborato, dagli studi di Casa Capriata di Carlo Mollino.

Figure 4.25 Viste degli spazi interni.

Figura 4.26 Schizzo di Carlo Mollino su Casa Capriata

“Il sistema costruttivo permette una sezione minima di strutture (tutte dello spessore in tavole di 6 cm). Lo schema generale è basato sulle catene delle capriate che, appese a travetti di 6x6 portano gli orizzontamenti. Le capriate 1 e 3 portano a mezzo delle saette di controvento, le capriate 2 e 4. Ne risulta un tetto triangolato con possibilità di fulcri a piacere, cioè ridotti a minimo. La casa isolata dal suolo permette lo sfruttamento di qualsiasi pendenza del terreno.” Carlo Mollino, 1954 Tutti i componenti, architettonici e tecnologici, contribuiscono al funzionamento di una macchina perfetta, completamente autosufficiente e realizzata in materiali riciclabili: strutture lignee, involucro in legno termotrattato e copertura metallica. Le ideali caratteristiche di comfort sono ottenute dal completo rivestimento in pannelli di lana di vetro, materiale isolante completamente riciclabile già previsto da Carlo Mollino durante la gestazione del progetto. Gli isolanti e i sistemi a secco in gesso fibrato sono stati utilizzati nella realizzazione del tetto a falda, delle pa-

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reti verticali e del solaio del piano terra. In particolare, per l’isolamento dell’intera struttura sono stati impiegati i pannelli in lana di vetro, che conferiscono all’edificio elevate performance di isolamento termico e acustico, unitamente ad una speciale membrana, con doppia funzione di freno al vapore e tenuta all’aria, che evita la formazione di condense all’interno delle strutture in legno. Per il solaio del piano terra, sono state utilizzate le lastre in gesso fibrato. Queste lastre sono caratterizzate da una elevata durezza superficiale e grande resistenza meccanica. La scelta di realizzare un edificio a basso consumo energetico, con tecniche innovative a livello impiantistico, in grado di eliminare il fabbisogno di combustibile fossile, è stata perseguita in coerenza con la variante del progetto Casa Capriata elaborata da Mollino Le condizioni climatiche estreme, la difficile accessibilità dei luoghi e in alcuni casi la mancanza di una adeguata rete di sostegno per gli edifici in alta quota hanno prodotto nel corso degli ultimi anni diversi esempi di architetture sperimentali che vedono nell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, l’uso razionale dell’energia e una ri-valutazione della prefabbricazione e l’assemblaggio a secco - con un’evidente prevalenza d’utilizzo delle tecnologie costruttive in legno - una stagione di esperienze ricca di aspettative per un futuro sostenibile. Il rifugio si caratterizza come progetto fortemente informato dall’utilizzo di tecnologie sperimentali, funzionali al perseguimento della sostenibilità ambientale, anche in relazione alla scelta dell’impianto per il trattamento delle acque reflue. A Weinsmatten è stato possibile abbattere la frazione inquinante dai flussi di scarico in uscita dal nuovo rifugio, in modo tale da consentirne la dispersione nel terreno. L’impianto in progetto costituisce parte integrante del progetto di sistemazione degli spazi aperti, nell’ambito della attenzione progettuale al rapporto tra costruito e contesto. Mediante una opportuna collocazione in relazione ai percorsi in progetto per la discesa al livello dell’anello lungo il bacino, l’area umida si qualifica, inoltre, anche come strumento didattico a riguardo del rapporto tra cicli ambientali e paesaggio costruito nell’habitat alpino, mediante apprendimento diretto sul campo. Gli infissi, a taglio termico con trattamento basso emissivo, sono gli stessi già utilizzati nel rifugio Schiestlhaus, in Austria, in assoluto la prima baita completamente passiva nell’arco Alpino. Il benessere termico è stato garantito mediante l’installazione di sistemi scaldanti a basso

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Figure 4.27 Struttura in legno del Rifugio in fase di cantiere.


consumo energetico in fibra di carbonio, coadiuvati da un impianto di ventilazione meccanica e da pannelli radianti inseriti negli elementi architettonici di arredo, come alcune porte lignee. È stato inoltre installato un sistema in domotica, per poter controllare al meglio i sistemi di riscaldamento e di gestione dell’energia di tutto il rifugio. Il progetto di ricerca si è quindi concretizzato con la realizzazione di un edificio sperimentale, ripensato in coerenza con i criteri progettuali indicati da Carlo Mollino, con un’architettura completamente sostenibile, che, attraverso le tecniche e i materiali più moderni, si fa portavoce di bassi consumi ed efficienza energetica. Il rifugio, è stato realizzato secondo gli standard previsti dal protocollo CasaClima classe A Gold (<10 kWh/ m²a) e ne ha ottenuto la certificazione. 4.8 Nuovo Bivacco Giannantonj ALTUTUDINE: 3168 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2014 (non ancora posizionato per motivi sismici) LOCALIZZAZIONE: Passo Salarno COMMITTENTE: Distretto culturale di Valle Camonica PROGETTISTI: LAMA+ di Roma

Figure 4.28 Il nuovo bivacco e l’esistente da sistituire.

Un nuovo bivacco dovrebbe sostituire, ai 3167 m del Passo Salarno in alta Valsaviore, l’attuale, intitolato ad Arrigo Giannantonj, alpinista bresciano del primo Novecento. La costruzione della nuova struttura conclude un percorso, e concretizza un’idea, avviati anni fa nell’ambito del progetto artistico aperto_”art on the border”, promosso dal Distretto

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culturale di Valle Camonica con il sostegno del Parco regionale dell’Adamello, del Politecnico di Milano e del CAI Regione Lombardia. Nel marzo 2012 veniva infatti lanciato un concorso internazionale di architettura, rivolto a giovani tecnici di età inferiore ai 40 anni, per raccogliere idee e progetti per un nuovo bivacco alpino, essenziale e sostenibile, d’avanguardia nelle forme e nelle soluzioni tecnologiche ma antico nello spirito. Infatti, per non tradire il proprio significato, il bivacco deve continuare a configurarsi come una struttura minima, temporaneo rifugio per escursionisti che cercano protezione in condizioni avverse o appoggio prima di proseguire l’impegnativo cammino. Tale concezione spiega il titolo del concorso, “Abitare minimo nelle Alpi”, e le richieste formulate ai partecipanti: riflettere sulla capacità della moderna architettura, supportata da materiali e tecnologie contemporanee, nel fornire una cellula abitativa funzionale ed economica tanto nella fase di costruzione che in quella di utilizzo e capace di garantire comfort minimo e condizioni di sicurezza. Tra le circa 200 proposte pervenute, valutate da una giuria presieduta dall’architetto finlandese Sami Rintala e composta da architetti, docenti universitari, specialisti di diversi settori e del CAI, è risultato vincitore il gruppo LAMA+ di Roma (A. Felici, A. Santamaria, R. Cammarota, D. Rossi, E. D’Amico). Lo studio ha presentato un progetto approfondito e qualificato: un volume semplice e geometrico che produce assonanze con versanti e cime e ottimizza la propria struttura costruttiva in una forma compatta, ergonomica e moderna. Dotato di otto spartani posti letto, la forma

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Figura 4.29 Modellino dello studio di architettura vincitore del concorso.

Figure 4.30 Pianta e sezione del nuovo bivacco.


Figura 4.31 Schemi dei sistemi costruttivi dello studio di architettura LAMA+.

triangolare semplice del bivacco, forma geometrica staticamente stabile, reinterpreta il tema della capanna alpina. E’ composto da una struttura portante in legno lamellare, chiusa da pannelli stratificati coibentati e rivestiti da un manto protettivo in zinco-titanio. La struttura è in lamellare di abete; il rivestimento esterno è in lamiera di zinco e titanio. E’ previsto un pre-assemblaggio in cantiere e la possibilità dell’elitrasporto in quota (3000 s.l.m). È provvisto d’impianti che garantiscono una dotazione minima di sicurezza: i pannelli fotovoltaici installati possono riscaldare una piccola piastra da cucina (ricavando l’acqua dal vicino ghiacciaio), garantire un microclima interno, asciugature e ricariche di batterie. Un mini impianto eolico integra la fornitura d’energia e alimenta una segnalazione luminosa. L’elevata qualità delle proposte pervenute ha suggerito di individuare, oltre ai tre premiati, una selezione di tredici progetti meritevoli, presentati in una mostra itinerante che sta viaggiando in molte sedi cittadine e dell’arco alpino. Il bivacco (40mc) consente la permanenza di max 8 persone, ed è completamente autosufficente dal punto di vista idrico ed energetico Ma a causa delle recenti normative antisismiche, e la recente variazione del livello di rischio sismico della Valle Camonica (da 2 a 3), che impone l’obbligo di una rivisitazione radicale del sistema di ancoraggio del manufatto già realizzato, la struttura creata per sostituire il bivacco Ginnantonj attuale non potrà essere installata al Passo Salarno. Verrà posizionata in territorio di Lozio lungo il

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Sentiero n.6, all’interno del costituendo PLIS delle Dolomiti Camune, a Mandrie Ege, 1906 metri di altitudine. Il sentiero numero 6 sarà dunque più raggiungibile. Ma il Presidente della Comunità Montana ha previsto per il Giannantonj attuale dei lavori di manutenzione e restauro, che sono gia statai effettuati e il vecchio bivacco e di nuovo utilizzabile. La nuova struttura quindi ora si trova ancora a Brescia, aspettando di essere collocata in una posizione consona allo scopo per il quale è stato costruito.

4.9 Rifugio Ponte di Ghiaccio, Italia, 2016 ALTUTUDINE: 2545 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2016 LOCALIZZAZIONE: Alpi Aurine, Lappago, Bolzano COMMITTENTE: Provincia Autonoma di Bolzano PROGETTISTI: Studio MoDus Architects L’edificio sorge a quota 2545 metri tra Fundres e Lappago nel mezzo delle Alpi Aurine, nella provincia di Bolzano. Il rifugio Ponte di Ghiaccio occupa il punto di partenza per la scalata della Punta Bianca, punto di passaggio dell’alta via di Neves. Il rifugio Ponte di Ghiaccio è posto proprio ai piedi della Punta Bianca, e il suo ghiacciaio un tempo arrivava poco dietro il rifugio. 2-3.Un contesto mozzafiato da riverire, condizioni climatiche logoranti, una natura irruenta da preservare e da cui attingere, un pubblico attento ed esperto: costruire in alta montagna rappresenta forse uno dei com-

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Figure 4.32 Il rifugio come appare oggi, e un modello di progetto del concorso.


Figure 4.33 Pianta del piano terra e del primo piano, e il prospetto nord.

piti più ardui e più affascinanti con cui un architetto può misurarsi. MoDus accetta la sfida, aggiudicandosi il concorso per la completa ristrutturazione del vecchio rifugio Ponte di Ghiaccio (Edelrahütte), voluto dalla provincia autonoma di Bolzano, e completato ne primi giorni di settembre 2016. Il progetto vincitore ritrae un’architettura essenziale, che punta da un lato all’autosufficienza energetica e dall’altro alla tradizione costruttiva montana, rimaneggiandone le forme all’insegna della sobrietà, declinando con forza e convinzione la più ancestrale delle funzioni, quella del riparo dal freddo, dalla neve e dal vento: il Rifugio per l’appunto. Il progetto ha previsto una costruzione compatta a forma di “L” che si inserisce molto bene nel paesaggio. Il rifugio presenta una facciata molto chiusa verso il lato del vento ad est, ma si apre verso ovest, offrendo così posto a un terrazzo riparato che garantisce una vista molto affascinante sui dintorni. Il nuovo rifugio si articola in 3 piani fuori terra ed un piano interrato, ricavato sfruttando il declivio naturale del terreno, eseguendo uno scavo di soli 120 centimetri. Il piano terra ospita tutti gli spazi comuni quali la cucina, i servizi, l’accesso agli spazi esterni, i collegamenti ai piani superiori e la Stube, la classica sala da pranzo ladina. L’atrio d’ingresso collega in modo diretto queste parti principali dell’edificio. La sala da pranzo è suddivisa in due zone con una sua parte che si sviluppa a doppia altezza permettendo un rapporto visivo diretto con il primo piano. Al piano terra sono stati collocati gli alloggi dei gestori, in modo che in alcuni periodi si possa limitare il riscaldamento solo a questo piano.

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Le camere si collocano sui due piani superiori. I piani sovrastanti sono completamente dedicati alle camere da letto e alle cuccette, suddivisi in alloggi da due, quattro, sei, otto posti letto con i relativi servizi. L’immagine del corpo edilizio è definita anche dal gioco delle superfici di facciata aperte o chiuse. L’edificio reagisce con aperture collocate in modo accurato tenendo conto dell’organizzazione funzionale, delle sequenze spaziali e delle relazioni visive con il paesaggio naturale montano circostante. Il legame con la preesistenza è fortissimo. Il vecchio rifugio viene inglobato nel nuovo, proprio nel punto dove hanno origine le due ali aggiuntive dell’impianto, lasciandone volutamente visibili le fondazioni in pietra. Il nuovo riemerge dal vecchio ed il vecchio lascia, pian piano, spazio al nuovo, in un’eco continua di rimandi e citazioni. Durante le prime fasi di cantierizzazione, la vecchia struttura è stata completamente tenuta in vita, in modo da fungere da ricovero notturno per le maestranze impegnate nelle operazioni di costruzione e da mantenere il più possibile attiva la funzione di rifugio nei confronti di escursionisti ed alpinisti in cerca di un riparo. Una volta terminate le ali laterali, il vecchio rifugio è stato completamente demolito: le ceneri della baita originaria lasciano spazio al cuore pulsante della nuova costruzione, la Stube, che simultaneamente si affaccia con grandi aperture sulle due vallate a nord e a sud, tra le quali il rifugio stesso funge da punto di connessione, un ponte di ghiaccio tra due valli e due laghi. La possibilità di rotazione del cantiere, per tenere in vita il vecchio rifugio durante i lavori, è stata possibile grazie all’impiego di una struttura modulare, facilmente trasportabile e assemblabile in opera in tempi diversi. Il sistema costruttivo è quindi di due tipologie; sistema montanti traversi per le pareti esterne ed interne, sistema a pannelli in legno massiccio per i solai, la copertura e per le pareti verticali della scala al fine di dare rigidità alla struttura. La pianta inoltre è basata su una griglia modulare di 2,4 metri, che permette appunto la costruzione di questi elementi predefiniti e di dimensioni ridotte, facilmente trasportabili riducendo così, anche, i costi di costruzione. Un tetto di ardesia, ad unica falda verso sud, di grandi dimensioni, 245 mq, sporge leggermente dal volume dell’edificio, fino a proteggere parte della terrazza esterna sul lato sud, mentre lungo il lato nord scende verticalmente verso il suolo, celando alla vista gran parte del rivestimento ligneo, quasi a voler fortificare la chiusura

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Figure 4.34 Una vista delle camerate.

Figure 4.35 Vista del rivestimeno in legno e del tetto sporgente in ardesia.


Figura 4.36 Vista prospetto sud.

Figura 4.37 Fase di cantiere.

del rifugio dal lato del freddo e del vento. Per rispettare la tradizione costruttiva locale il legno è appositamente lasciato a vista sia all’interno che in facciata, e le pareti in legno dei pannelli di compensato ed il tavolato in abete bianco trasmetteranno agli ospiti un senso di protezione e calore. Tutti i materiali edili sono stati impiegati senza trattamenti, così che la loro semplice ed esplicita matericità agisca sugli utilizzatori creando un senso di pace. Le scelte architettoniche, in termini di proporzioni, orientamento e dimensioni, le tecniche costruttive, i materiali utilizzati e la dotazione impiantistica hanno dato vita ad un organismo architettonico completamente autosufficiente dal punto di vista energetico che, sfruttando e manovrando le risorse presenti in natura, riesce a sopravvivere e ad esistere semplicemente per lo scopo per cui è stato creato, senza violare il contesto straordinario in cui è inserito. Tutti gli elementi naturali vengono utilizzati per creare energia: il sole, l’acqua e il vento. Il tetto spiovente, offre una vasta superficie su cui sono stati installati pannelli solari e fotovoltaici per la produzione di acqua calda sanitaria e di energia elettrica. La stessa superficie del tetto riesce a convogliare in un unico punto la raccolta dell’acqua piovana che potrà essere riutilizzata per tutti gli scopi non sanitari, quali alimentazione dell’acqua di scarico dei wc; una volta raccolta l’acqua piovana, essa verrà conservata in una cisterna posizionata nel piano interrato. La conformazione stessa dell’edificio, con lo spigolo vivo orientato a nord, ad occlusione del freddo e del vento, consente la creazione di una vera e propria camera del vento in grado di captare l’aria e di convogliarla verso pale eoliche che ne sfruttano l’energia per la produzione di elettricità. Dall’altro lato invece, un angolo concavo si chiude completamente a sud in ampie vetrate: così la Stube, che su quell’angolo si affaccia, si trasforma in un vero e proprio recuperatore di calore. Una moderna concezione impiantistica inoltre, consente di riscaldare separatamente le diverse zone del rifugio, in modo da utilizzare solo l’energia necessaria agli ospiti presenti. Con questo progetto, MoDus Architects risolve brillantemente la dicotomia fortissima tra limite e risorsa propria del contesto d’alta quota, proponendo un modello architettonico che rielabora la tradizione costruttiva montana in termini di sostenibilità e di rispetto dell’ambiente.

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4.10 Capanna Monte Bar sopra Lugano ALTUTUDINE: 1600 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2016 LOCALIZZAZIONE: Monte Bar, Svizzera COMMITTENTE: Club Alpino Svizzero sezione Ticino PROGETTISTI: Atelier PeR, 6850 Mendrisio La nuova capanna è collocata su un poggio montano d’eccezionale bellezza: situata a 1600 metri di quota sui pendii che conducono alla vetta del Monte Bar (1816 m) la capanna è adagiata su dolci pascoli alpini rivolti a sud poco sopra il livello del bosco, non a torto definito uno dei più bei balconi sulla città di Lugano. Essa gode di una splendida vista a 180 gradi che spazia dal Gazzirola, ai Denti della Vecchia, al bacino di Lugano, alle montagne del Malcantone fino al Tamaro. Ad ovest lo sguardo s’imbatte sui magnifici 4000 delle Alpi vallesane, dal gruppo del Mischabel al Monte Rosa. Salendo in pochi minuti alla vetta del Monte Bar si apre poi lo scenario verso tutte le alpi Ticinesi ed il massiccio del Gottardo. Nel 2013 la sezione Ticino del Club alpino Svizzero ha deciso di realizzare una nuova capanna sulle pendici del Monte Bar. La vecchia capanna edificata nel 1936 e oggetto di migliorie nel 1993 presentava dei grossi problemi logistici, di sicurezza e di approvvigionamento; non poteva quindi più rispondere alle mutate esigenze dei frequentatori in costante aumento negli ultimi due decenni. Fin dall’inizio, la sezione del CAS si è resa conto della necessità di un ap-

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Figura 4.38 Vista del nuovo rifugio integrato al vecchio.

Figura 4.39 Modello del progetto realizzato.


Figura 4.40 Planimetria generale e piante.

proccio globale al progetto, che considerasse tutti gli elementi e punti d’interesse presenti sul territorio e che permettesse di aumentare ulteriormente non solo l’attrattività per la capanna, ma di tutta una regione. Una nuova struttura moderna, funzionale ed ecologica, che mantenesse però anche determinate caratteristiche di un rifugio alpino classico, è l’obiettivo che i promotori intendono perseguire per rispondere alle richieste del turista nei prossimi decenni e dei giovani alla riscoperta della natura La nuova capanna è stata progettata dai due giovani architetti, Oliviero Piffaretti e Carlo Romano, che hanno vinto il concorso per il rifacimento dell’opera nel 2014, con il progetto nominato “Barlume”. La nuova capanna non sarà più rifugio degli sciatori luganesi, ma piuttosto punto di riferimento per lo sviluppo dell’escursionismo, del turismo e della mountain-bike di tutto il comprensorio. Obiettivo generale del progetto Monte Bar 2020, che si esplica in una sorta di piano di sviluppo regionale, è quello dello sviluppo sostenibile secondo tre elementi base: ambiente, economia, socialità. Selezionato tra trenta progetti, il progetto vincitore, dei due giovani architetti, secondo la giuria, ha proposto un edificio semplice a volume cubico e con un’identità architettonica propria e adeguata al luogo. La costruzione ruota attorno al focolare quale simbolo di aggregazione, e la montagna rimane quindi l’elemento dominante e la capanna costituisce una presenza dove ritrovarsi e raccontarsi. Il nuovo edificio si presenta come una lanterna, segno e riferimento nel paesaggio e il volume semplice e razionale, situato poco sopra l’edificio esistente, non privi-

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legia un orientamento particolare e stabilisce una forte relazione visiva con le altre capanne adagiate sulle cime circostanti. La nuova e ampia terrazza, direttamente accessibile dal refettorio e dalla cucina, rispetta la geometria della vecchia capanna e gode di uno splendido panorama. La memoria dell’edificio attuale perdura con la conservazione parziale dello zoccolo, sopra il quale trova spazio una terrazza supplementare. L’edificio si sviluppa su quattro livelli: al piano seminterrato si trovano spazi di servizio quali magazzini e locali tecnici, e un locale per le biciclette; il pianterreno ruota attorno ad un grande camino, storico simbolo di aggregazione tra le persone, ed è presente un grande refettorio, che offre una vista a 360 gradi grazie alle ampie vetrate, ed è stata installata una grande cucina professionale, e inoltre da questo piano si può accedere direttamente alla terrazza. L’accesso alle stanze, poste ai piani superiori, si effettua salendo le scale scolpite nel blocco centrale che ospita il camino. Al piano inferiore sono situati gli spazi di servizio e la zona aperta agli escursionisti durante l’assenza del guardiano. Nello zoccolo trova posto anche il deposito delle biciclette, direttamente accessibile dall’esterno, attraverso un generoso spazio coperto ricavato nella facciata rivolta verso il golfo di Lugano. La luce naturale raggiunge tutti gli spazi arricchendo così ogni parte del programma, come ad esempio le scale illuminate grazie ad un’apertura nel tetto; gli altri due piani restanti sono dedicati alla zona notte e ai servizi igienici e comprendono anche una saletta per workshop e un mini appartamento per il guardiano. 6-7. La struttura principale è realizza-

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Figura 4.41 Sezione dell’intero edificio.

Figura 4.42 Vista del camino interno.


Figure 4.43 Sala da pranzo e camerate.

Figure 4.43 Fase di cantiere.

ta interamente in legno con l’assemblaggio di elementi prefabbricati. Il piano semi-interrato e il camino sono invece concepiti in calcestruzzo gettati in opera. Grazie alla volumetria molto compatta, voluta per sottolineare il carattere intimistico ed essenziale del rifugio, il fabbisogno energetico è ridotto al minimo. La struttura in legno prefabbricata avvolge il volume centrale in beton. Il volume compatto e la scelta strutturale razionale permettono la facile scomposizione della capanna in pannelli portanti prefabbricati. Con questa scelta si garantisce la rapidità di trasporto delle varie componenti e di assemblaggio, riducendo così la durata del cantiere. Il legno scelto per la realizzazione delle varie componenti della capanna è il larice. La capanna lignea è protetta dall’umidità del terreno e dalla neve che si accumula in inverno grazie ad un profilo in calcestruzzo che avvolge la struttura e si piega per riparare le entrate dalle intemperie. Sull’elemento minerale, che contiene gli spazi di servizio, poggia il camino realizzato con lo stesso materiale che si snoda per tre piani fino al tetto e nel quale è ricavata la scale che conduce alle camere. Gli Elementi modulari in legno interamente realizzati in officina vengono a poggiare sul basamento massiccio e costituiscono i tre piani fuori terra, e sono stati trasportati in elicottero. Un altro materiale presente è il vetro, il piano terreno che si apre sulle cime circostanti è infatti interamente vetrato. Grazie ad un volume compatto e ad una superficie di facciata ridotta, il dispendio energetico della nuova capanna è minimizzato. Basandosi su un sistema combinato legna/pompa di calore in fase di studio, viene prodotta energia termica ed acqua calda sanitaria a partire da risorse naturali rinnovabili. Le aperture in facciata e nel tetto garantiscono luce naturale in tutti gli spazi e riducono il fabbisogno di luce artificiale. Queste aperture favoriscono inoltre la penetrazione del sole in tutte le stanze nel periodo invernale con evidenti benefici per il bilancio termico. Il sole è inoltre sfruttato per la produzione di energia elettrica tramite i pannelli fotovoltaici posti sul tetto. La combinazione di una pompa di calore aria-acqua, alimentata dai pannelli, a una stufa a legna o pellet situata nel refettorio garantisce il riscaldamento e l’acqua calda sanitaria indipendentemente dalle condizioni atmosferiche e dalla presenza o meno del guardiano. È stato realizzato lo scavo dalla capanna Monte Bar fino alla località di Corticiasa, dove sono state posate la condotta dell’elettricità, quella di scarico delle acque luride

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e la nuova rete in fibra ottica cui è aggiunta la condotta di pompaggio dell’acqua potabile a partire dalla sorgente in zona Alpe Musgatina. Il quantitativo d’acqua potabile necessario è disponibile ma si trova a un livello inferiore rispetto a quello della capanna. È stato perciò realizzato un sistema idrico che comprende l’accumulo, le pompe di sollevamento, una condotta premente, un serbatoio di stoccaggio e una condotta collegata con il nuovo serbatoio per servire la capanna. Considerate le necessità di procedere a uno scavo per posare fino alla capanna i cavi per l’elettricità e la condotta per sollevare l’acqua potabile, si è ritenuto opportuno approfittare della nuova trincea per il trasporto delle acque luride fino alla rete esistente. È stato così risolto in modo ecologico e definitivo tutta la problematica del trattamento delle acque luride. La facile accessibilità durante tutto l’arco dell’anno e la posizione strategica su due percorsi regionali di escursionismo e mountain bike ha reso la capanna un importante punto di appoggio per gli amanti dell’outdoor. Le potenzialità della struttura sono notevoli e con ogni probabilità diventerà presto una delle più frequentate ed apprezzate a sud delle Alpi.

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Figure 4.44 Vista notturna sulla terrazza.

Figure 4.45 Tavole di progetto.


4.11 Rifugio alpino a Skuta ALTUTUDINE: 2532 m ANNO CONCLUSIONE LAVORI: 2015 LOCALIZZAZIONE: Monte Skuta, Slovenia COMMITTENTE: Harvard School of Design PROGETTISTI: OFIS Architects in collaborazione con gli studenti della Harvard School of Design Il rifugio è collocato sulla montagna più alta della Slovenia e la vetta più alta delle Alpi Giulie, il Monte Skuta, che rappresenta il simbolo della montagna per eccellenza della Nazione slovena.

Figure 4.46 Viste del contesto in cui è inserito il progetto.

Un rifugio immerso in una natura rocciosa e incontaminata, circondato dall’incredibile vista del paesaggio sloveno, e in grado di resistere alle estreme condizioni atmosferiche di quelle quote, minimizzando al minimo l’impatto ambientale ma offrendo al contempo un ottimo rifugio a escursionisti e scalatori. Il progetto nasce all’interno di un laboratorio di progettazione architettonica presso la Harvard Graduate School of Design, sotto la guida di Rok Oman e Spela Videcnik di OFIS Architects. Nell’autunno 2014, tredici studenti si sono sfidati nella progettazione di un rifugio di montagna, innovativo e pratico al tempo stesso, per soddisfare le esigenze dell’estremo clima alpino. Ispirato all’architettura vernacolare slovena, con il suo patrimonio architettonico ricco e diversificato, gli studenti hanno presentato dodici proposte che tenessero conto delle varie condizioni del sito, i materiali e gli aspetti programmatici. Il progetto è semplicemente costituito da tre moduli, in parte per consentire il trasporto, ma anche per di-

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videre lo spazio programmaticamente. Il primo modulo comprende un ingresso, un ripostiglio e un piccolo spazio per la preparazione del cibo. Il secondo offre spazio sia per dormire che per socializzare, mentre nel terzo vi è la zona per le cuccette. Le finestre su entrambi i lati offrono una splendida vista panoramica sulla valle e sulla Skuta Mountain. Tutti gli interni sono caratterizzati da un design sobrio in cui dominano le linee pulite e il legno che avvolge ogni spazio dal tetto al soffitto. Nonostante la piccola scala del bivacco, il progetto ha richiesto un grande sforzo di pianificazione da parte di oltre sessanta partecipanti, per lo più volontari e sponsor. Tutti sarebbero d’accordo che, nonostante le piccole dimensioni, non è stata un’impresa meno impegnativa di qualsiasi altro grande progetto di costruzione. Tuttavia, tutti gli sforzi impiegati sono necessari al fine di mantenere la memoria, lo spirito e la cultura della montagna, quale luogo speciale per gli sloveni. La speranza è che il bivacco servirà da rifugio per tutti gli alpinisti che ne avranno bisogno, e che, attraverso la loro cura e attenzione, continuerà ad esserlo per molti anni. Le dure condizioni date da vento, neve, frane, terreno instabile richiedono forme architettoniche e disegni concettuali specifici. Il luogo incontaminato in cui si colloca richiede il massimo rispetto delle risorse naturali. Di conseguenza la costruzione doveva essere ancorata fermamente al terreno, ma garantire un impatto ambientale minimo. A causa della natura del processo di installazione, il rifugio è stato progettato in moduli in modo da poter essere trasportato sulla montagna per parti. L’intero prototipo è stato costruito fuori sede in officina. I moduli sono stati progettati come una serie di robusti telai, da poter assemblare in loco. Al fine di non alterare il contesto ambientale, i moduli sono stati fissati su supporti posizionati strategicamente, che fungono anche da fondazioni. Il vetro è un sistema a tripla camera che è stato calcolato per resistere alle forti cariche di vento e neve. L’installazione del bivacco è stata effettuata da PD Lubiana Matica sotto la direzione di Matevz Jerman, trasportato in elicottero dalle forze armate slovene e una squadra di soccorso alpino - stazione di Lubiana. L’intero processo di trasporto e l’installazione è stata effettuata in un giorno. La forma del bivacco e i materiali sono stati scelti per rispondere alle condizioni estreme della montagna e

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Figure 4.47 Vista dall’interno del bivacco.

Figure 4.48 Schemi di studio dello studio di architettura.


per valorizzare la vista panoramica. L’involucro esterno doveva essere realizzato con un materiale molto resistente e, in collaborazione con l’azienda Rieder, sono stati adoperati elementi in sottile fibra di vetro öko e calcestruzzo, in grado di soddisfare tutte le esigenze di estetica, qualità del materiale e resistenza in condizioni estreme. Il design degli interni è stato guidato quasi unicamente dalla funzione di offrire un alloggio ad otto alpinisti al massimo.

Figure 4.49 Fasi di cantiere e trasporto.

Nati come piccole case in miniatura, talvolta sprovviste di tutto, ad oggi la proposta 2.0 del rifugio di montagna è frutto di un’accurata ricerca e sperimentazione che permette di combinare alla perfezione temi attuali e di rilevanza mondiale quali la necessità di rendere sempre più autosufficienti le nostre abitazioni al fine di ridurre l’inquinamento, la sfida di integrare l’architettura nel territorio nel rispetto delle sue peculiarità e parallelamente la problematica della progettazione di spazi sempre più ridotti e flessibili da adibire all’abitazione.

Figure 4.50 Pianta del rifugio.

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Conclusione


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CONCLUSIONE Da tutte le analisi e ricerche effettuate, emerge in modo molto evidente come l’architettura dei rifugi alpini di oggi sia un tema estremamente intrigante e allo stesso tempo molto complesso. Il rapporto tra l’edificio e il territorio circostante, la necessità di coniugare aspetti tecnologici e strutturali e di esprimerli architettonicamente, la qualità abitativa delle strutture, lo sguardo attento alle risorse naturali, sono aspetti che richiedono uno sforzo progettuale decisamente più marcato rispetto alle realizzazioni in contesti urbani. Ma qual è, quindi, l’idea di architettura che si cela dietro le più recenti realizzazioni in alta quota? Dal punto di vista architettonico si può riscontrare in moltissimi casi dei progetti contemporanei di rifugi alpini un superamento di quella che è la tradizionale immagine dell’edificio. Ci si trova di fronte ad una progressiva astrazione delle forme dell’architettura che introduce pratiche progettuali basate sulla messa in valore del dialogo e contrapposizione tra interno ed esterno, tra edificio e paesaggio circostante, in grado di generare nuove forme e nuove modalità compositive. L’immagine architettonica dei rifugi contemporanei tende dunque sempre più rimandare ad un’enfasi del contrasto: tra naturale ed artificiale, tra locale e globale, tra paesaggio e geometria. È infatti prima di tutto nelle modalità d’interazione con il paesaggio montano che i progetti recenti di rifugi trovano, dal punto d vista architettonico, la loro più importante caratterizzazione. Il rifugio diventa un vero e proprio landmark, un volume scultoreo che riconosce a partire dalla purezza della propria geometria e attraverso il rimando alle forme delle montagne. Numerose realizzazioni recenti, nel rifarsi alle forme delle rocce o delle vette si pongono, pur nella loro artificialità, in una sorta di continuità simbolica con il paesaggio alpino. Questa modalità di interazione con il paesaggio si sviluppa anche in un rimando tattile alla natura circostante attraverso i materiali dell’involucro esterno. L’uso di rive-

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stimenti dall’aspetto “freddo” come la lamiera, l’acciaio, il Cor-Ten, permette di creare una sorta di guscio che s’integra bene con gli elementi inerti dei territori d’alta quota, per non parlare delle caratteristiche di resistenza alle intemperie rigidissime in questi luoghi. L’aspetto esterno trova contrasto invece con il trattamento degli spazi interni che si presentano in genere come ambienti dal carattere “caldo” e accogliente attraverso l’utilizzo di rivestimenti e pavimentazioni prevalentemente in legno. Una delle più importanti mutazioni dell’architettura del rifugio contemporaneo sta però forse nel fatto che questo non è più concepito solo come un ricovero per alpinisti, non più solo un ambiente chiuso in sé stesso ma uno spazio luminoso e aperto alle montagne che lo circondano. Questa necessità di aprirsi verso l’esterno, segno di una diversa concezione estetica della montagna e soprattutto della diffusione di differenti modalità di fruizione dell’ambiente alpino, spinge a concepire le nuove architetture dei rifugi come una sorta di filtro attraverso cui relazionarsi con il paesaggio. Si ha quindi una sempre maggiore attenzione rivolta agli spazi interni così come alle viste e alle inquadrature verso l’esterno. Un altro aspetto centrale nella concezione architettonica di un rifugio alpino contemporaneo è quello dell’utilizzo di adeguate soluzioni costruttive, come ad esempio l’uso di componenti prefabbricate per le strutture, che permette di lavorare con elementi dalle piccole dimensioni. La prefabbricazione, insieme a un dettagliato studio logistico sulle fasi di cantiere, rimane un tema importante e sempre attuale, che permette di operare in una condizione generale di ristrettezza delle risorse, di condizioni territoriali e climatiche non favorevoli e di ultimare un’opera in tempi relativamente brevi. L’uso di elementi prefabbricati rimane la soluzione più utilizzata anche oggi, soprattutto per le difficolta di trasporto dei materiali da costruzione. Per quanto riguarda, invece, il punto di vista gestionale, i rifugi alpini odierni vengono concepiti come delle vere e proprie macchine al fine di garantire la completa auto-

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nomia dal punto di vista energetico e prestazionale. Già a partire dalle fasi preliminari della progettazione viene dunque preso in considerazione l’impiego di tecnologie a “impatto zero” che garantiscono un’elevata prestazione energetica: collettori solari, pannelli fotovoltaici, isolamento delle pareti verticali, speciali tamponature vetrate, sistemi di riutilizzo dell’acqua piovana, sono tutti elementi all’ordine del giorno nei progetti recenti dei rifugi alpini. Questi elementi, da sempre considerati solo dal punto di vista tecnico come parte della dotazione impiantistica, sono oggi elementi centrali anche dal punto di vista dell’architettura del rifugio: possono essere parte della copertura stessa, caratterizzare l’involucro esterno o costituire volumi o corpi annessi. Dopo queste considerazioni, è necessario notare, e anzi prenderne consapevolezza, che la progettazione e la realizzazione di un rifugio di montagna, cosi per qualsiasi altra struttura in alta quota, sono azioni che richiedono una certa responsabilità e rispetto verso il territorio che si va a modificare. In montagna anche la più piccola costruzione è di fatto un elemento in più che si aggiunge ad un territorio prevalentemente naturale, in un contesto fortemente connotato dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Il progetto di un rifugio va dunque inteso come più generale progetto di una parte del paesaggio in cui ogni minimo gesto architettonico ha un notevole impatto sul territorio circostante e ne modifica inevitabilmente la forma e la percezione. Infine c’è un altro significato che appartiene al rifugio moderno, un lato interessante. Il ruolo più innovativo del rifugio contemporaneo è probabilmente quello di posto di tappa, che accoglie e rifocilla l’escursionista alla fine della sua giornata di cammino e gli permette di attraversare montagne, colli, genti, paesi, riconoscendo le comunanze e le diversità dell’ambiente alpino senza mai scendere a valle. Si tratta di un turismo veramente “capace di futuro” perché non conquista la montagna ma la unisce: le persone s’incontrano in un rifugio non per sfidarsi ma per conoscersi. Una bella immagine per le Alpi che verranno.

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BIBLIOGRAFIA AA.VV. Rifugi delle Alpi, Istituto Geografico DeAgostini, Novara 2007. Gibello L., Cantieri d’alta quota: breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi, LINEADARIA, Biella 2011 Macchiavelli A., Il turismo montano fra continuità e cambiamento, FrancoAngeli, Milano 2006. Cioccarelli G., Turismo alpino e innovazione, Giuffrè editore, Milano 2003. Pechlaner H., Manente m. (a cura di), Manuale del turismo montano: prospettive, cambiamenti e strategie di management, Touring University Press,2002. Istituto Nazionale Ricerche Turistiche (a cura di), Il turismo montano,ottobre 2009. Union Camere - Camere di Commerciod’Italia, Impresa turismo, Febbraio 2011. G. Bologna, Manuale della sostenibilità, Edizioni Ambiente, 2008

RIVISTE ABITARE ARKETIPO TERRITORIO PAYSAGE DOMUS CANTIERI D’ALTA QUOTA TURRISBABEL

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DOCUMENTI E SAGGI Documento IMPRESA TURISMO 2011 Documento IMPRESA TURISMO 2012 Documento IMPRESA TURISMO 2013 ISNART-Unionecamere Report Turismo Regolamento Generale dei Rifugi Saggio sull’architettura sostenibile a cura di V. Manfron, G. Mucelli, P. Paganuzzi, N. Sinopoli, V. Tatano, Settembre 2006 Manuale Turismo SITOGRAFIA www.accademiamontagna.tn.it rifugiebivacchi.cailugo.it www.regione.piemonte.it www.cai.it www.treccani.it academy.formazioneturismo.com www.istat.it dati.istat.it www.ecoturismonline.net www.regione.piemonte.it/turismo www.infiera-ecotur.it www.isnart.it rifugioplus.weebly.com rivista archplan cantieri d’alta quota

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www.accademiamontagna.tn.it/rifugialpini www.cultura.trentino.it www.casaenergetica.it www.rinnovabili.it www.domus.it www.monterosahutte.com www.atelierper.ch

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RINGRIAZIAMENTI Sicuramente, per tutto questo, per la persona che sono oggi devo ringraziare la mia famiglia e in particolare mia madre e mio padre. Con il loro supporto, economico ma soprattutto emotivo, sono riuscita a raggiungere questo obiettivo importante e senza di loro non sarenne stato possibile. Ma ha contato tutta la mia famiglia, allargata ormai, ma che mi ha sempre sostenuta e spronata a fare sempre meglio e a credere in me stessa. Volevo poi ringraziare le prime persone che ho conosciuto in università e che mi hanno accompagnata in questi tre anni di percorso: grazie De, Ilaria, Giada, Kate, Simo, Sara, Fede e tante altre magnifiche persone. In loro ho trovato delle colleghe di lavoro eccellenti ma soprattutto delle amiche fantastiche. Per cui grazie per le nottate, per le discussioni, per gli esami, per le consegne, per i messaggi, e per tutti i momenti belli passati insieme in università. E infine ringrazia la persona più importante della mia vita, Paolo, che ormai mi è accanto da sei anni e che, in questi tre anni di università, è stato il primo a credere in me. Sei stato con me nei momenti più tosti, e abbiamo sempre superato tutto, e ti rigranzio di essere qui con me in questo giorno così importante, ed è soprattutto grazie a te che sono riuscita a realizzare tutto questo, a crescere e credere nelle mie capacità ogni gionro sempre di più. Grazie di cuore.

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