Fuori da un incubo il sogno

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Per Essere Domani - Giovani nella Shoah

Fuori da un incubo: il sogno IIIA plesso di Arcinazzo Romano Istituto Comprensivo Giovanni Paolo II di Affile a.s. 2013/14


Oggi è una bella giornata, il sole è caldo e tira un leggero venticello, incontreremo i nazisti che ci esporranno le loro preoccupazioni e noi diremo le nostre. Il nostro generale ci rassicura che ci sarà un bellissimo scontro di pace. I nazisti si presenteranno con tante provviste, così ci hanno detto. Sono le 12 e sento arrivare gli elicotteri, come sono contento non vedo l’ora di poterli conoscere. Sarà un esperienza che non dimenticherò ! Stanno tutti in fila e stanno venendo verso di noi con il loro comandante, portano una bellissima bandiera tutta colorata come un arcobaleno. Ci guardiamo e ci scambiamo dei piacevoli sorrisi. Hanno portato tanti doni, per i nostri bambini cioccolatini e la birra per noi, perché loro ne producono tanta. Sono qui da un bel pezzo, non riesco a togliere lo sguardo da loro, e li sto ammirando con le loro divise e le loro scartoffie, stanno parlando tra loro, sicuramente di affari, dopo un po’ si uniscono a noi e cominciamo a conoscerci scherzando e bevendo. Si sta facendo tardi, ed ad un certo punto arriva un camion, pieno di abiti e di cibo tutto per noi , non potevamo essere più contenti, quel giorno non lo scorderemo mai, tutto il tempo a ridere e raccontare delle vecchie guerre. Il giorno successivo, appena svegli guardammo dalle finestre e vedemmo intorno a noi moltissime bandiere, tutto questo significava che i nostri generali con i loro generali si erano accordati pacificamente in modo che sia loro che noi, potevamo vivere le nostre vite con i sogni e le speranze che avevamo sempre desiderato. Finalmente due grandi popoli si salutavano, con la speranza di rivedersi al più presto per vivere insieme un’altra grande avventura! Nico Gabrieli



Il profumo delle piccole margherite che crescevano piano piano nell’immenso prato verde; sugli enormi alberi si vedevano già spuntare i fiorellini e i piccoli frutti che stavano maturando; il maestoso silenzio avvolgeva tutto uno splendido panorama: la primavera era arrivata. E poi quell’infinito silenzio venne interrotto dalle mie tenere risate; lì c’eravamo io e il mio dolce nonnino Luigi che mi raccontava le pazze avventure che faceva da piccolo; come quando si intrufolò nell’alimentari della Signora Maria e rubò i suoi biscotti preferiti (che d’altronde adesso piacciono anche a me), li riportò a casa e per non farsi accorgere dalla sua mamma li mangiò tutti in un batti baleno. I grandi pasticci che combinava a scuola erano tantissimi, talmente tanti che non sapeva quale raccontarmi; le troppe bugie che diceva perché lui era fatto così: bugiardo ma troppo simpatico ed era il nonno ideale,era il mio eroe ed io infatti a scuola me ne vantavo. Dopo tante risate con il nonno cominciammo a rincorrerci su quel prato immenso che sembrava non finire più, la vincitrice ero sempre io, arrivavo sempre per prima al traguardo visto che al nonno le gambe non reggevano per niente e questo mi rattristava perché vedere il nonno in quel modo mi faceva cominciare a pensare che ormai era troppo vecchio per giocare con me e che da un giorno all’altro avremmo dovuto smettere di giocare. Però per non rovinare quella bellissima prima mattina di primavera io e il nonno ci sedemmo e cominciammo a pensare io al mio amato e nonno alla nonna e nel frattempo staccavamo tutti i bianchi petali delle margherite giocando al gioco “ M’ama non m’ama”. Il rapporto mio e del nonno era un rapporto grandioso e fantastico era il mio migliore amico, mi difendeva da tutto e tutti; come nelle fiabe dove c’è un bellissimo principe che combatte, difende e protegge la sua dolce amata. Ed ecco il nonno mi protegge e mi fa vivere in un mondo decisamente perfetto, bello,felice e in cui non esiste cattiveria e regna solo il bene. Dopo già dieci minuti il prato era pieno di petali di margherite e un leggero soffio di vento li fece volare nel cielo; era tutto bellissimo da vedere quei piccoli petali che volavano come se avessero aperto le ali, andavano incontro al cielo proprio a braccia aperte, sicure di non incontrare nessun ostacolo nel loro intraprendente viaggio senza meta. Il nonno ed io ci sentivamo proprio come quei petali che delicatamente avevamo staccato da quel povero fiore che ora era rimasto da solo senza protezione. Ma ad un tratto si sentì un urlo ALZATEVI! Girai la testa e mi ritrovai su quel letto senza materasso, accanto a molte ragazzine come me:EBREE. E capìi che era stato solo tutto uno stupido sogno, ma ancor più stupida ero io convinta che fosse la realtà e invece sto ancora dentro quest’incubo che sembra non finir mai come quell’immenso prato verde, sto in mezzo ad un rumore indescrivibile e rivorrei quel maestoso silenzio che mi rasserenava.


Nel sogno m’immaginavo di essere quei petali liberi che non avevano incontrato nessun ostacolo, adesso nella realtà ho intrapreso lo stesso identico viaggio solamente io ho incontrato troppi ostacoli e sono finita in questo incubo nel quale adesso non riesco a trovare la via da dove sono entrata. Elena Di Martino



Dove sono? Chi è questa gente? E perché mi trovo qui? Ero in una baracca sopra un letto comodissimo con un cuscino pieno di piume, c'era da mangiare ovunque, si rideva si scherzava si giocava, era tutto bello, o meglio, perfetto. Volevo sapere dove mi trovavo così decisi di uscire dalla baracca per fare un giro e quando uscii vidi un cane che portava a spasso un uomo in divisa con un collare, scimmie che cavalcavano su altri uomini in divisa, giraffe che mangiavano i capelli a uomini in divisa appesi sopra gli alberi. Io rimanevo lì a bocca aperta a guardare chiedendomi cosa avessero fatto questi uomini. Poco dopo arrivò una scimmia che mi bussò alle spalle e mi disse: - Sai, l'uomo può essere davvero cattivo a volte ora deve pagarne le conseguenze-. Continuavo a non capire, e nel frattempo sopra di me volò uno stormo di uccelli. Mi venne il desiderio di volare insieme a loro e... in un battito di ciglia mi ritrovai in alto, sopra tutti e un uccello cominciò a gridare: -Siamo liberi! LIBERII!Decisi di tornare a terra e rientrai nella baracca a pensare e a pensare e a ripensare...Pensavo a quanto fosse bello stare in quel posto dove non esisteva il male, almeno per una volta! Mi sentivo nuova come un fiore che sbocciava , ed era bellissimo! Volevo continuare ad esplorare questo luogo, volevo vedere cosa c'era ancora di bello. Mi avviai verso una strada un po' stretta e buia che terminava con un prato pieno di fiori, la tentazione di buttarmi a terra per rotolarmi non si fermò. Ero stesa su quel prato pieno di fiori, alzai lo sguardo al cielo, il sole splendeva e mi accarezzava con i suoi raggi, mi sorrideva e mi diceva: -Sei nel paradiso Terrestre!Il vento accarezzava i miei capelli lunghi e li riempiva di petali trasportati da un lieto venticello. Era tutto così bello, talmente tanto che incontrai la mia famiglia che urlava il mio nome e veniva da me a braccia aperte...Sbam! Mi svegliai. Era un sogno, ma non ci credevo o meglio non volevo crederci. Mi trovavo in una baracca, puzzava e quei letti non erano più comodi, i cuscini non c'erano. Per la puzza dovetti uscire di corsa! Gli uomini in divisa non erano al guinzaglio, lo erano gli animali non c'erano scimmie,giraffe,uccelli che parlavano. C'erano solo cani rabbiosi che mi abbaiavano, mi buttai in ginocchio davanti a un cane gridandogli: - Parlaa!Un signore in divisa mi tirò un calcio potente sul cranio e mi sbatté addosso al muro.. Andai in quel prato, non c'erano fiori ma solo gente morta ammucchiata da una parte, il sole era coperto dalle nuvole, pioveva a dirotto, niente famiglia, nessun vento lieto, solo un vento che portava con sé la puzza di bruciato...Non volevo più esplorare. Tornai in quella baracca puzzolente,chiusi gli occhi e tornai nel mio mondo, dove esistevano solo cose belle dove non moriva nessuno e gli animali parlavano! Dove ero felice, dove c'è la libertà di vivere. Chiara Biferi


Ed anche questa lunga e tormentata giornata è finita, finalmente. Mamma, papà, dove siete, mi mancate tanto. Oggi vi stavo cercando mentre lavoravo, ma niente. Come sono belle queste montagne, verdi come quelle che vedevo dalla finestra della mia casa, questo cielo azzurro che si perde nel fiume lì in cima a quella montagna. Che meraviglia queste case, gialle, rosse, arancioni: ora stanno dormendo, oggi hanno lavorato tanto ed ora sono stanche. Ma cosa c’è lì? Perché quei topi piangono? Perché sono così magri, così esili, così tristi? Perché vivono in quel buco di terra? Guarda quei gattacci: non fanno altro che urlargli contro, li picchiano, gli fanno trasportare residui di carne più grandi di loro. Ma non vedono che sono stanchi? Perché continuano a farli lavorare senza mai concedergli un riposo? Perché non gli danno da mangiare: non vedono come sono snelli? Ma perché si stanno comportando così? Cos’hanno fatto quei poveri topi per meritarsi tutto questo? Perché non si svegliano quelle case? Non sentono questi lamenti? Impossibile, come si può non sentirli! Stanno soffrendo, hanno bisogno d’aiuto, così finiranno per morire. Svegliatevi case, aiutateli! Non ce la fanno più! Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh! Scappiamoooo! Via, via! Ma cosa sta succedendo? Perché urlano, perché stanno scappando tutti i gatti? Cosa sta accadendo? Cani, ecco i cani. Sono arrivati. Li stanno mandando via, gli ringhiano contro, gli dicono di fuggire da qui immediatamente. Improvvisamente ne arrivano molti. Sono tantissimi, talmente tanti che sono riusciti a far scappare quegli orribili gattacci che stavano morendo dal terrore! Una cosa del genere non se la sarebbero mai aspettata in quel momento! Ecco anche le mogli dei cani, si stanno dirigendo verso il buco in cui sono rinchiusi i topi. Sono impauriti, piangono, urlano, si disperano, vogliono scappare, ma non ce la fanno. Gridano aiuto, ma la loro voce è troppo esile. Si riparano la testolina tra le braccia mingherline, si tappano le orecchie, gli occhi. Non riescono a capire chi siano quelle bestie così grandi. -Non urlate. State calmi, non vi facciamo del male, ora siete al sicuro. Oramai nessuno potrà farvi più del male, ci siamo noi qui a proteggervi. Non abbiate paura, abbiamo cacciato quei gattacci. È finito, è tutto finito-. Alcune di loro gli stanno dando da mangiare, altre li stanno medicando perché hanno troppe ferite e troppo sangue che gli cola ovunque dalle gambe e dalle braccia. Nel frattempo le case, dopo tanto tempo, si sono svegliate e, sorprese da tutto ciò, hanno deciso di ospitare tutti questi topini feriti, prendendosi l’impegno di farli stare al caldo e di dargli da mangiare.


I cani, invece, si stanno accertando che tutti i gatti siano andati via, ma comunque hanno troppa paura per tornare e d’altronde sono talmente pochi che in confronto ai cani non riuscirebbero a far niente di niente. È passata una settimana e finalmente tutti i topi si sono ripresi dall’incubo e si sono riunite tutte le famiglie. Ogni sera si organizzano feste in piazza a cui partecipano tutti e lo scopo è solo uno: divertirsi. Si ride, si scherza, si gioca, si balla, ma soprattutto si è felici. Nessuno riesce ad essere triste, anche se alcuni dei topi hanno ancora paura che ritornino i gatti, ma appena il loro pensiero va ai cani tutt’un tratto si rallegrano e non ci pensano più. Le montagne che in quel tempo dove regnavano i gatti avevano perso il colore, ora lo hanno ripreso ed è più bello di prima. Loro si sono messe d’accordo con i cani e hanno deciso di fare da scudo, di avvertirli in caso di allarme. Anche il cielo ha ripreso colore, finalmente! Qui passano i giorni, i mesi, gli anni, ma regna sempre la pace, la serenità. Tutti stanno bene, tutti gridano al cielo “ VIVA LA PACE”, ma adesso è l’ora che i cani vadano via. Devono andare da altre parti, ormai tutti i topi hanno imparato ad essere forti, a dire di no, a ribellarsi contro il nemico senza fargli del male, ma solamente parlandogli. Tutti i topi hanno imparato che loro valgono, che hanno dei valori dentro che devono insegnare all’altro, che non devono arrendersi mai qualunque cosa accada. I topi ora stanno vivendo una vita dignitosa che è all’altezza di chiamarsi tale. Tutti ormai hanno riacquistato quella dignità che prima era stata presa a calci, che era stata dimenticata. I cani sono andati via, ma in quel paese la felicità è rimasta sempre la stessa. Peccato però che sia ancora solo un bellissimo sogno. Elisa Pizzelli


Mi ero appena svegliato, quando degli uomini vestiti in divisa, entrarono in casa prendendo me e i miei genitori dicendoci di andare con loro. Nessun altra informazione, solo che dovevamo prepararci per partire, senza sapere la destinazione, senza sapere dove ci avrebbero portato. Ci caricarono dentro quelli che sembravano dei carri, quelli che di solito usano per il bestiame, ma a un certo punto mi venne sonno, avevo freddo ma le gambe di mia madre erano calde, io mi appoggiai sulle sue gambe tremanti e mi addormentai. Mi ritrovai in una foresta, ero una scimmia, mi divertivo a saltare da una parte all' altra, senza nessuno che mi impediva di farlo, poi mi trovai davanti altre scimmie che mi volevano bene, corremmo e saltammo insieme per ore senza fermarci mai, era bello da solo ma con qualcuno accanto era ancora meglio. Però al calar del sole, un camion di cacciatori si poggiò sotto il nostro rifugio sopra un albero; io ero lì impaurito, non sapevo che cosa fare, avevo paura ma la voce della scimmia madre mi sussurrò “ andrà tutto bene, non ti succederà niente te lo prometto, andremo in un luogo in cui la tua fantasia potrà espandersi all' infinito!” le sue parole mi rassicurarono, mi calmai, però tremavo ancora. I due cacciatori salirono fin su e presero me e mia madre senza parlare, ci misero in un camion da caccia e partimmo verso chissà dove, in quel momento avevo freddo. Ritornato nel mondo reale capii che era solo un sogno, però non riuscivo a dimenticare le parole della madre scimmia. Finalmente arrivati a destinazione ci fecero uscire e arrivammo in un campo, una specie di giardino con delle mezze case, sembravano più delle capanne per animali, erano davvero orrende. Ci separarono, avevo di nuovo paura, mi portarono in un luogo pieno di peli per terra, lì mi rasarono i capelli, mi donava molto quel taglio, ma quando sarebbe piovuto mi sarei bagnato di più; buttarono tutti i miei vestiti, non erano un granché ma era tutto quello che avevo, ero molto affezionato a quei vestiti, in più mi regalarono un pantalone molto lungo e un pigiama a righe. Non erano molto pesanti, perciò sentivo molto freddo. Ero stanco. Mi riaddormentai. Questa volta ero in un canile, io ero uno dei tanti cani rinchiusi in delle grandi gabbie, volevo uscire, volevo andarmene, volevo scappare e rincorrere i gatti, volevo essere libero di fare quello che desideravo ma non potevo farlo, ero rinchiuso, a un certo punto sentii la porta che si aprì, era il proprietario che sembrava molto severo, però ci liberò tutti quanti, noi scappammo tutti, ma la vita da cane non è per niente facile: la fame, la pioggia, il freddo... cosi tutti noi ricordammo la bella vita dentro quella grande gabbia che non era neanche tanto male e tutti noi tornammo indietro, ma lui non ci aprì la porta. Mi risvegliai, ero felice, non so perché ma vedevo tutti i cattivi buoni e non desideravo andarmene, magari non mi trattavano molto bene però immaginano come sarebbe stata la vita lì fuori, da solo. Usciti da delle stanze, una ragazza mi venne incontro dicendomi che mia madre e la mia famiglia erano stati uccisi, io ci rimasi molto male, tutto ad un tratto sembrava che tutte le mie paure fossero tornate all' improvviso... ho di nuovo paura. “ andremo in un luogo in cui la tua fantasia potrà espandersi all' infinito!” non riesco a pensare ad altro, queste parole mi sono rimaste impresse nella mente, non so più che fare, adesso vorrei soltanto raggiungerla. Questa volta non so precisamente dove mi trovo, non c' è un posto esatto, ma solo una luce bianca che mi acceca, ad un tratto sento la sua voce, la sua bellissima voce. È mia madre che mi parla, ma non riesco a capire che cosa dica, però mi sorride, in quel momento voglio soltanto riabbracciarla ma non posso muovermi, lei mi si avvicina e mi dice: “ Raggiungimi” che cosa voleva dire con questo? Così la luce si fece più luminosa fino a che lei scomparve e anche io. Mi risvegliai, ci portarono in una stanza chiusa dicendoci che era solo una doccia, ma io sapevo che non era cosi, era la fine, però finalmente sono riuscito ad uscire dall' incubo che mi tormentava, ormai è finito adesso per me è


diventato un sogno, un grande sogno. Nicolò Cricchi


Era un’altra mattina come tutte, spenta, triste e mi aspettava un’altra faticosa giornata di lavoro. In quel momento non avrei voluto essere lì, in quel maledetto campo, desideravo andarmene, evadere e scappare una volta per tutte, ma non potevo, c’erano troppe guardie pronte a spararmi appena avessi tentato la fuga. Era ormai da giorni che mi ero rassegnato al fatto che da lì non si poteva scappare, ma non era vero, perché io da quell’orribile posto me ne sono andato, sono scappato e non ci tornerò mai più. Se adesso sono libero lo devo solo a lui, al mi amico Kiss, lui è un unicorno e mi è venuto a prendere dal suo pianeta, un pianeta a noi sconosciuto, dove regna la pace, la bontà, l’allegria e l’amore, qui ci sono tutti bambini e ragazzi come me, ognuno è sorvegliato e custodito da un unicorno, che ama il suo bambino più di se stesso. Quando Kiss mi è venuto a prendere, dei soldati hanno provato a sparargli ma lui non si è fatto niente, ha spiccato il volo e mi ha portato via con lui. Poi non ricordo molto, perché mi sono addormentato e quando mi sono svegliato ero su un prato, un prato fiorito, insieme a Kiss, ricordo che avevo molta fame e Kiss l’aveva capito, così mi portò in una casa fatta di cibo, dove c’erano tutti ragazzi come me. Cominciai a mangiare di tutto, era da tanto tempo che non mangiavo così, perché i soldati non me lo permettevano, ero davvero felice e per una volta non stavo sognando, stavo vivendo veramente quel momento e questa era la cosa che mi sollevava di più. Dopo essermi saziato, Kiss mi portò in un posto molto strano, era buio e faceva freddo, avevo paura e non vedevo nessuno, poi cominciai a sentire degli urli, dei lamenti, così mi avvicinai e vidi i soldati, le persone che mi facevano del male, che mi odiavano e che non avevano nessuno scrupolo, Kiss mi disse che stavano pagando per i loro peccati e che non sarei mai dovuto diventare come loro. Solo in quel momento capii che mi trovavo su un pianeta dove i buoni vincevano e i cattivi venivano sconfitti, solo in quel momento capii che finalmente ero salvo. Gabriele Stazi



In una notte fredda e buia con il vento che spostava le foglie cadute per terra non riuscivo a dormire. Sentivo nelle mie orecchie le urla di quelle persone che chiedevano aiuto e quella puzza insopportabile. Per cercare di dormire cercai di pensare a quei pochi ricordi felici che mi erano rimasti, quando giocavo a palla con i miei amici o il profumo delle torte al cioccolato della mamma, fino a che questi pensieri felici mi fecero addormentare. Sognai di trovarmi nella mia casa, calda e accogliente e mi sentivo bene come se nulla fosse accaduto. Uscito per strada mi accorsi che tutti erano tranquilli e sorridenti, tutti intendo tedeschi ed ebrei insieme, parlavano, ridevano felici e prendevano un caffè insieme al bar. Non ci potevo credere, mi sentivo molto felice. Tutto ad un tratto il mio sogno diventò un incubo, accade ciò che stavo vivendo. Hitler e i suoi collaboratori fidati, ci urlavano contro, ci picchiavano e sputavano, molti venivano deportati nell'inferno dei campi. Mi chiedevo perché stesse diventando un incubo. E soprattutto perché nessuno reagisse? eppure anche noi eravamo armati, ma non di fucili e pistole bensì di bacchette magiche più potenti di un'arma da fuoco perché queste bacchette non ti ferivano ma ti cambiavano completamente. Non potevo più assistere a questa violenza sulla gente del mio popolo così decisi di tirare fuori la mia baghetta e di difendere tutti come un’eroina. Cominciai a puntare la mia bacchetta su ogni tedesco che incontravo, civile o ufficiale e subito dalla mia bacchetta usciva un filamento dorato che beccava dritto al cuore del tedesco che subito diventava buono e smetteva di prendersela con l'ebreo che aveva davanti e lo abbracciava chiedendo perdono. Continuai a colpire i tedeschi e mi accorsi che anche gli altri ebrei si stavano ribellando tirando fuori le loro bacchette. Pian piano ogni nazista stava diventando una persona migliore grazie alle nostre bacchette. Con il passare delle ore riuscimmo a cambiare tutti i tedeschi nazisti della Germania, tutti tranne una decina: Hitler e i suoi collaboratori. Così tutti insieme, come una grande famiglia, organizzammo un grande esercito per trovarlo e per renderlo un uomo migliore e buono per sempre. Partimmo verso Berlino tutti muniti di bacchette magiche e senza problemi entrammo nel palazzo dove Hitler si era rifugiato dopo aver saputo del nostro potere, ma non aveva scampo. Lo trovammo circondato dai suoi collaboratori che avrebbero dato la vita pur di salvarlo, ma le nostre bacchette furono più potenti del suo male e quindi anche lui fu beccato dal filamento dorato e diventò buono e subito si inginocchiò davanti a noi chiedendo perdono e pietà. Finalmente il bene aveva trionfato sul male. Proprio mentre il mio sogno si stava realizzando una voce cattiva e rozza mi svegliò e li capii che era stato solo un sogno. Saveria Mariotti



Mamma, mamma ho fatto un sogno fantastico, un sogno in cui i buoni hanno vinto sui cattivi e nessuno è morto, dove si sta bene e il mondo è bello e felice; un mondo in cui il male viene sconfitto e tutti possono essere felici senza nessun intralcio. Ero in un campo di concentramento. Non avevo amici. Intorno a me non c’era nessuno. Vagava solo il silenzio di un campo sperduto, dimenticato tra le montagne del paese. Dopo qualche secondo uno strano cane si avvicinò alla panchina sulla quale mi trovavo a mangiare un panino mezzo mangiucchiato. Quel cane mi guardava con la faccia da cucciolo. Così pensai: “Poverino, forse vuole un pezzo di pane”. Lanciai il pane a terra. Velocemente allungò la zampa per prendere quel pezzo di pane. Notai che aveva la zampa scorticata, forse perché era caduto o forse perché gli avevano sparato. Boh non so. Mi faceva molta pena. Fortunatamente avevo con me una benda, così pensai di fasciare la zampa dolorante. Lui la allungò, la presi. Era tutta insanguinata ed era circondata da piccole croste. Così misi la benda sopra la sua ferita e lui mi sorrise. Sì, proprio così. Un cane mi sorrise. Pensai di essere matta o di stare sognando ad occhi aperti, così mi pizzicai, ma le cose non cambiarono perché lui era ancora lì, davanti a me con il sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia. Quel sorriso che stava diventando sempre più inquietante, insopportabile, forse anche troppo. Scappai e andai in cucina. Era tutto sottosopra, sembrava come se stessi dentro un cartone animato perché ogni cosa, anche la più insignificante prese vita: forchette, cucchiai e coltelli cominciarono a camminare velocemente verso di me, scope che cominciarono a muoversi su e giù, a destra e a sinistra, sedie e tavolini cominciarono a tremare, lavastoviglie piene di acqua, piatti e bicchieri cominciarono a ballare, mentre tovaglie e tovaglioli formarono una faccetta, uno smile sorridente che si dirigeva alla rinfusa verso i tappeti poggiati a terra. Insomma tutto sembrava essere impazzito. Improvvisamente sentii un botto che proveniva dalla stanza accanto. Erano gli amici del cane. Quella stanza si era trasformata in una fattoria animata in cui regnava solo il divertimento e le risate, regnava solo lo stare insieme che avevo sempre immaginato nei miei sogni più impossibili. Non volevo crederci, perché per la prima volta in tutta la mia vita la felicità era vicina, era arrivata finalmente. Devo dire la verità: tutto quel caos che si era creato era piacevole. Tutto il dolore, tutta la diversità che prima regnava nel campo era svanita come per magia. Dei soldati neanche l’ombra era rimasta e devo dire che era una soddisfazione grandiosa, una soddisfazione sognata giorno dopo giorno. Ero felice, felicissima direi. Era fantastico vedere che tanta sofferenza e tanto orrore erano scomparso per sempre. Per la prima volta il bene aveva trionfato sul male, mamma! Quanto vorrei che quel sogno fosse vero, quanto vorrei poter arrivare ad una felicità estrema come quella di quel sogno surreale. Già, proprio così. Di quel sogno mi rimane solo un’ illusione! Lucia Mancini



E li c’ero io, io … dentro quella stanza che rappresentava la mia vita, l’unica ragione per cui vivevo! Ero li e davvero non ci potevo credere, ero nella sala da danza. Il posto più importante, il solo posto dove potevo sentirmi davvero me stessa, dove potevo essere libera. E ballavo, ballavo … e c’erano loro vicino allo specchio, il mio desiderio più grande, mi stavano aspettando e così gli corsi in contro per indossarle. Me le misi ai piedi e per un attimo mi sentii una vera principessa. Ma non la principessa delle favole, ero la principessa che non aveva il dovere e il bisogno di indossare un vestito meraviglioso o una corona d’oro, no! Io ero una principessa perché stavo indossando la mia vita, stavo indossando quelle punte e quelle calze strappate che mi facevano sentire bene. Era da quando avevo quattro anni che desideravo danzare e c’ero riuscita. Il mio sogno finalmente si era realizzato, indossavo quelle punte, le punte di una vera ballerina quale ero diventata. Perché io non avevo mai smesso di fidarmi della danza, fin da bambina cercavo di capire se quegli sforzi un giorno sarebbero stati il motivo della mia felicità. Ebbene si! Posso dire che adesso ne ho la piena convinzione. Ero finalmente me stessa, libera da tutto e da tutti, libera da quelle persone che avevano sempre pensato che la danza non facesse per me e che non ce l’avrei mai fatta, ero fiera di me! Per una volta, potevo finalmente dire di essere fiera di me. Perché in fondo è stato doloroso sentirmi diversa, sentirmi quella che i sabati sera non poteva uscire con gli amici perché doveva prepararsi per un esame o per un concorso di danza, è stato doloroso sentire gli altri disprezzarmi e non credere in me, quello forse è stato il momento più brutto della mia vita. Ma in quel momento ero lì e tutto era perfetto … niente e nessuno avrebbe potuto farmi del male perché c’era lei a proteggermi, lei, la mia esistenza, la danza! Mi sentivo protetta ma allo stesso tempo libera, e quella era la sensazione più bella che io avessi mai provato. Mentre danzavo il mondo andava fuori da quella stanza e mi sentivo come un uccello, come se volassi, ero elettricità, già … elettricità! Poi c’era quella sbarra che era il mio punto di forza per rialzarmi e non smettere mai di riprovare … Non mi era mai importato con chi, o dove, volevo ballare sempre e comunque, nonostante tutto quello che la vita mi avrebbe riservato, era solo la danza l’unica ragione ed era lei che mi faceva alzare ogni mattina! Mi dava la forza! Lei era la mia forza, era la mia migliore amica e non l’avrei mai tradita per niente al mondo. Era il mio tutto, riusciva a rendermi felice quando ero triste, mi faceva compagnia quando non c’era nessuno al mio fianco. Buio e luce, tempesta o sole, rumore o armonia lei c’era, ci doveva essere sempre! E poi guardavo su e c’era tutto quello che volevo, le nuvole, il vento fra i capelli e mi sentivo nuova … Ero figlia del cielo e la danza mi stava accanto come una dea, mi proteggeva e io mi sentivo libera. Gli promisi che non me ne sarei mai andata e così feci. Restai


lì, ormai ero figlia del cielo e avevo con me la mia vita. Ma poi quel rumore assordante mi svegliò e solo lì capii che purtroppo era solo tutto un sogno, scoppiai a piangere … il mondo che prima era perfetto ora si era trasformato in un mondo dove era buio e c’erano tante persone come me: umiliate, senza più un’ identità, deboli e senza più niente in cui sperare! Mi sentivo delusa, le lacrime scendevano lente e forti sul mio viso e io non volevo riaprire gli occhi, volevo riaddormentarmi e sognare di nuovo quel mondo … Ma non potevo, già, ero nella realtà e la realtà non si può cambiare. Quello lì non era un sogno, la realtà era un bruttissimo incubo da cui volevo uscire al più presto. Mi guardavo intorno e vicino a me c’erano quei volti senza confini che guardavo fisso nel profondo dei miei occhi pieni di lacrime e dolore. Tutto quello di cui avevo bisogno era la danza, che purtroppo non era lì a proteggermi, perché io me ne ero andata da lei, ma non per colpa mia. Era un tormento e io non volevo più vivere, ma forse l’unica cosa che mi teneva ancora in vita era il bellissimo e lontano ricordo che stava rinascendo dentro di me, quello della mia unica ragione, quello della danza. E allora pensai che dovevo essere forte per lei e per tutti quegli sforzi che avevo fatto. Volevo scappare da quell’inferno e promisi alla danza che ci sarei riuscita, gli promisi che prima o poi sarei ritornata figlia del cielo e anima sua! Ce l’avrei fatta, anche se non era un sogno, era la realtà. Camilla De Santis


I testi sono stati scritti in occasione del Concorso Un sorriso per Federica indetto dall'ITIS Giovanni XXIII di Roma e li pubblico con il permesso della giuria.

Questo il link delle lezioni svolte in classe http://goccediarmonia.blogspot.it/2014/01/giornata-della-memoria-27-gennaio2014.html

Le foto usate sono state scaricate dal web e si tratta dei disegni realizzati dai ragazzi del campo di Terezin.

Prof .ssa Simona Martini


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