INDICE
1
2
Introduzione
8
CAPITOLO I
10
Le origini dello sviluppo sostenibile
10 11 11
1.1 L’uomo e l’ambiente 1.1.1 Da naturale ad artificiale
12
1.1.2 La situazione in Italiana
13
1.2 Il concetto sviluppo sostenibile
15 15
1.2.1 Cronistoria
15
1.2.2 Definizione di sviluppo sostenibile
20 23 23
1.3 Interscalarità della sostenibilità
CAPITOLO II
24
La sostenibilità urbana
24 25 25
2.1 La città e l’uso della terra
26
2.1.1 La città
27
2.1.1.1 La morfologia
29
2.1.2 La terra 2.1.2.1 Il consumo di suolo in Italia 2.1.2.2 Il caso della Lombardia 2.1.2.3 Nuovo disegno di legge per contrastare il consumo di suolo
35 35
2.2 Strategie per la sostenibilità urbana 2.2.1 La smart growth
35
2.2.1.1 I principi 2.2.1.2 Critiche
38 39
2.2.2 New urbanism
40
2.2.2.1 Rapporto tra smart growth e new urbanism
42
43
2.2.3 T.O.D.: Transit Oriented Devolopment
30 31 33
3
45
2.2.4 Densificazione
2.2.4.1 Le istanze della popolazione e l’interscalarità della densità 2.2.4.2 FAR: Densità territoriale e densità fondiaria
45 46
47
2.2.5 Casa bassa ad alta densità 2.2.5.1 L’opera di Louis Sauer a Society Hill
49
50
2.2.6 Woonerf 2.2.6 Esempi applicati alle strategie esaminate 3.2.4.1 Esempi di Quartieri Sostenibili 3.2.4.2 Esempi di case basse ad alta densità
52 52 59
CAPITOLO III
65
La sostenibilità architettonica
65
3.1 La situazione attuale
66 66
3.2 Lo sviluppo delle tecniche costruttive
68 68
3.2.1 Le origini delle tecniche costruttive
68
3.2.2 Declino e trasformazioni della cultura tecnologica
70
3.2.3 Tecniche normative ed esecutive
71
3.2.4 Tematiche degli anni ‘90
73
3.3 Strategie per la sostenibilità architettonica
74
3.3.1 Copiare la natura
75 76
3.3.1.1 La Biomimetica 3.3.1.2 la bio-architettura
78
3.3.2 Criteri progettuali sostenibili
80 82 83
3.3.2.1 Orientamento dell’edificio 3.3.2.2 Forma dell’edificio 3.3.2.3 L’isolamento
83
3.3.3 La circular economy
3.3.3.1 Le origini della circular economy 3.3.3.2 I Principi della circular economy 3.3.3.3 Il funzionamento della circular economy
74 74
4
84 84 86
3.3.4 Valutazione dei materiali e indicatori ambientali
88 89 89 90 93 94
3.3.4.1 Embodied Energy 3.3.4.2 Il metodo della LCA 3.3.4.3 L’Inventario nella LCA 3.3.4.4 Analisi degli impatti 3.3.4.5 LCA in architettura
4.3.5 Architettura a km zero
94
3.3.6 L’autocostruzione
95
CAPITOLO IV
98
Progettazione
98 99 99
4.1 Introduzione alla progettazione 4.2 Analisi di contesto: inquadramento Generale 4.2.1 Storia ed Origini del territorio
101
4.2.2 Aspetti Socio-‐ Economici
102
4.2.3 Relazioni tra Mantova e Curtatone
103
4.1.4 La Grande Mantova
104
4.1.5 La viabilità
105
4.2 Analisi dei Materiali
106 106
4.2.1 Ricerca dei materiali
106
4.2.2 I materiali nella tradizione locale
108
4.2.2.1 La storia delle tecniche costruttive 4.2.2.2 Le corti rurali
127
4.3.1 Il Legno
109 115
125 125
4.3 Identificazione dei materiali 4.3.1.1 Presenza di legno a km zero 4.3.1.2 Il pioppo 4.3.1.3 Gli usi nella storia e nel presente 4.3.1.4 Caratteristiche tecnologiche e tecniche 4.3.1.5 Legno di pioppo a km zero 4.3.1.6 Valutazione sintetica, modo d’uso e scenario di fine vita
128 129 129 130 131 132
134
4.3.2 L’argilla e il laterizio
100 100
5
4.3.2.1 Processo produttivo 4.3.2.2 Laterizio a km zero 4.3.2.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita
137
4.3.3 L’acciaio
4.3.3.1 Il processo produttivo 4.3.3.2 L’acciaio a km zero 4.3.3.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita
4.3.4.1 Il processo produttivo 4.3.4.2 Il vetro a km zero 4.3.4.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita
4.3.5.1 La miscela 4.3.5.2 Le regole principali 4.3.5.3 Il canapulo 4.3.5.4 La calce idraulica 4.3.5.5 Il biobeton a km zero 4.3.5.6 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita
142 143 143 144 145 146
148
4.3.6 Il calcestre 4.3.6.1 Il calcestre a km zero 4.3.6.2 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita
149 149
150
4.3.7 Il cemento armato 4.3.7.1 il Cemento 4.3.7.2 Il cemento armato a km zero 4.3.7.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita
150 154 154
156 156
4.4 Lettura dell’area di progetto 4.4.1 Gli interventi previsti dal Piano dei Servizi
156
4.4.2 Ambiti di progetto
157
160 161
4.4.2.1 Mitigazione e disegno comunale 4.4.2.1 Parametri urbanistici
4.4.3 Dati generali sulla popolazione e sulle residenze
164
4.5.1 Constatazioni d’insieme
163 164 164
4.5 Studio d’insieme: strategie e contesto
4.5.1.1 Lettura della carta programmatica smart nel contesto di Levata di Curtatone 164
168
4.5.2 Osservazione nel dettaglio
140 140 141
142
4.3.5 Il biobeton
137 137 138
139
4.3.4 Il vetro
134 135 135
6
4.5.3 Progettazione urbana
171
4.5.3.1 Il masterplan
172
176
4.5.4 Progettazione architettonica
177 178 178 179 180 181 182
4.5.4.1 L’edificio 4.5.4.2 La struttura portante 4.5.4.3 Le strutture divisorie 4.5.4.4 I solai e le pavimentazioni 4.5.4.5 Il tetto e le coperture verdi 4.5.4.6 L’involucro e l’isolamento 4.5.4.7 L’involucro opaco e i serramenti
Conclusioni
184
Bibliofgrafia
186
Webgrafia
187
7
Introduzione L’obiettivo della tesi di laurea è la progettazione di un quartiere sostenibile nella realtà di Levata di Curtatone, in provincia di Mantova. l’ambito di progetto copre una superficie di 2,5 ettari e ricade nelle prescrizioni di piano come area di trasformazione residenziale, descritta nel documento di piano del Comune come ATR 601. Per disegnare le prime linee guida atte alla progettazione, sono state intraprese ricerche d’analisi su quelle che permettono di dare una risposta all’argomento centrale della tesi: la sostenibilità. L’area di progetto individuata è come la “tela bianca” di un pittore, e noi come lui vogliamo sperimentare tale ricerca. Le strategie individuate nella tesi coprono numerosi campi del sapere come: l’urbanistica, l’economia di scala, la produzione industriale e naturalmente l’architettura. tuttavia la metodologia condotta prevede di non ricercare e condurre un approfondimento lineare dell’argomento, ma acquisire solo quei dati necessari al progetto.
Per elencare alcune delle strategie principali analizzate, e che hanno
maggiormente caratterizzato l’analisi, sono: la smart growth, la densificazione urbana, la circular economy e il km zero. L’ultima strategia elencata, è quella che più di tutte ha contribuito a dare un nome alla tesi stessa, infatti, una delle maggiori difficoltà della tesi è stata quella di progettare un edificio con materiali che sono originari, e quindi prodotti, localmente. Se questo è l’ostacolo maggiore che si è incontrato lungo il cammino, gli altri sono stati comunque insidiosi e di difficile soluzione, come per esempio: 1- l’ambito di progetto si colloca in un’area prettamente residenziale, senza servizi annessi, il nostro quartiere dovrà essere invece a uso misto, compatto, ma che sappia garantire le stesse qualità di benessere e privacy delle case tipiche del luogo. 2- Garantire all’area un carattere “significativo”, e di alta qualità, utilizzando solamente i pochi materiali individuati nella ricerca, che nel nostro caso sono sette. 3- Prevedere uno scenario di fine vita del progetto che sia sostenibile dal punto di vista ambientale; saper quindi integrare i materiali individuati in uno scenario di circular economy, dove elimina il concetto di rifiuto. Se queste sono le prime indicazioni possibili sulla prima parte della tesi, dedicata alla
8
ricerca della sostenibilità in generale, allora la seconda parte è dedicata a contestualizzare le strategie individuate, che condurranno al disegno del progetto.
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9 Â
CAPITOLO I Le origini dello sviluppo sostenibile
“In mezzo alla città di cemento e asfalto, Marcovaldo va in cerca della Natura. Ma esiste ancora la natura? Quella che egli trova è una natura dispettosa, contraffatta, compromessa con la vita artificiale […]” Italo Calvino, 1963, (Marcovaldo, prefazione)
10
1.1 L’uomo e l’ambiente
Il concetto di sostenibilità (cosi come quello di sviluppo sostenibile) ha le proprie origini nella storia, poiché è da essa che ci evolviamo e ci rinnoviamo, in forme sempre nuove e più complesse. Dalla nostra storia è possibile capire e comprendere gli errori, rapportarli al presente e infine progettare il futuro. L’ambiente che ci sta attorno (dal latino ambiens, circondare, andare attorno) può essere sommariamente etichettato in artificiale o antropomorfizzato e naturale, o incontaminato. E’ però sempre più difficile poter distinguere quale sia l’ambiente naturale e quale quello artificiale. Il mondo che conosciamo e nel quale viviamo la nostra quotidianità, dalla città alla campagna è tutto ambiente manipolato dall’uomo nel corso della sua storia. Dalla comparsa della nostra specie ai giorni nostri, il rapporto tra ambiente naturale e artificiale si è fatto sempre più labile (si veda la figura 1), in ragion del
fatto
che
il
processo
di
antropomorfizzazione non si è mai arrestato fin dalle nostre origini. La causa
di
questa
evoluzione
è
da
ricercare nella necessità, da parte dell’uomo,
di
espellere
l’ambiente
naturale da quello artificiale, questo per assicurarsi la sopravvivenza sulla Figura 1- Ambiente naturale antropomorfizzato, foto aerea natura ostile.1
della contea di Finney, Kansas, fonte Google maps
Nonostante il privilegio sulla natura che l’uomo si è costruito, esso dipende fortemente dalla natura e dalle sue leggi, poiché l’uomo avrà sempre necessità di sostenersi e di costruire il suo ambiente, immettendo nella natura tutti gli scarti non più utili.
1 Monica Lavagna, Life Cycle Assessment in edilizia, HOEPLI Milano, 2008
11
1.1.1 Da naturale ad artificiale Fintanto che nella storia della nostra specie la crescita demografica era stabile e bassa, l’ambiente naturale era in grado di smaltire tutti i rifiuti che l’uomo produceva, e senza subire gli effetti negativi delle sue attività. Con il boom demografico che ebbe inizio nel XVIII secolo, e ancora in atto, il pianeta non è stato più in grado di sostenere i nostri ritmi e i rifiuti si sono iniziati ad accumulare nelle acque, nel terreno e nell’aria. Se oggi gli abitanti che vivono in aree urbanizzate sono del 52,1%, agli inizi dell’ottocento la popolazione cittadina era del 5%. Tutto ebbe inizio dalla rivoluzione industriale, dove da un sistema agricolo- artigianale- commerciale si è passati a uno industriale, basato sull’utilizzo di combustibili fossili. Tale processo storico è da suddivisibile in due fasi; la prima nasce in Inghilterra, e trae le sue origini dalle innovazioni tecnologiche apportate nel comparto tessile, e dalla maggior ricchezza della popolazione. La seconda invece vede un’innovazione tecnologica in tutti i campi, ed è cronologicamente racchiusa tra il Congresso di Parigi del 1858 e il Congresso di Berlino del 1878, la seconda rivoluzione industriale si caratterizza in modo incisivo rispetto alla prima perché «più rapidi furono i suoi effetti, più prodigiosi i risultati che determinarono una trasformazione rivoluzionaria nella vita e nelle prospettive dell'uomo.» 2 Tra il 1850 e il 1914, si assistette in quasi tutta l’Europa (alcuni paesi meno che altri) a una “accelerazione storica”, infatti, le innovazioni tecnologiche, che prima erano vincolate a precisi momenti spazio-temporali, ora si accavallano in un periodo di tempo ristretto, che di fatto velocizza la vita delle persone.3 L’urbanistica con la rivoluzione industriale deve adeguarsi alle necessità che incombono. Per fronteggiare alla crescente necessità di alloggi nella città, sono costruiti quartieri in spazi vuoti all’interno del centro, oppure in nuove aree periferiche. I nuovi quartieri nascono spesso già degradati (in inglese prendono il nome di slum), per la mancanza di sistemi infrastrutturali e per l’aspetto igienicosanitario completamente assente. Cambia anche il concetto di città, che passa da “finita”, compatta e racchiusa da mura,
2 Geoffrey Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Ed. Laterza, 2004 3 Tom Kemp, L’industrialiazzaizone in europa nell’ 800, il Mulino, Bologna 1984
12
a città infinita, in continua espansione, grazie anche all’innovazione tecnologica apportata
dall’invenzione
dell’automobile,
che
accorcia
le
distanze
prima
improponibili.4
1.1.2 La situazione in Italiana In Italia la rivoluzione industriale ebbe inizio tra la fine del 1800 e i primi del 1900 ma solo in alcune regioni settentrionali (è il caso del triangolo industriale composto dalle città di Milano, Torino e Genova), mentre
il
resto
dell’Italia
deve
aspettare l’età giolittiana (19031913) per vedere i primi grandi passi avanti dell’industria su larga Figura 2- Foto aerea d'epoca dello stabilimento della Fiat scala.
Mirafiori a Torino.
La veloce industrializzazione della nazione subì un rallentamento a causa della Prima e Seconda guerra mondiale riuscendo però a svilupparsi e ad affermarsi nel mondo, solo dopo il 1950, con il famoso boom economico. L’Italia uscì dalla seconda guerra mondiale nel 1945 profondamente sconvolta; a livello economico eravamo sconfitti, la società era dilaniata dalla guerra civile tra partigiani e fascisti e le campagne e le foreste erano devastate. La necessità di ricostruire tutto: città, fabbriche, vie di comunicazione; portò il governo, agli inizi degli anni ’50, a concentrare nei principali poli industriali (già consolidati con le riforme di Giolitti dei primi del novecento) le principali costruzioni per far ripartire la crescita economica, che portò poi al “miracolo italiano”. La forma urbana che conseguì alle politiche di espansione fu non pianificata e non controllata e determinò una crescita disomogenea tra le aree più centrali e quelle periferiche. La crescita urbana nei poli industriali rallentò negli anni ’60 e le espansioni più impetuose si concentrano soprattutto nelle fasce suburbane. Negli anni ’70, stesso periodo alla Crisi Mondiale energetica, si vede un’inversione di tendenza nei processi di urbanizzazione, i poli del Nord- Ovest, dove cominciano a
4 Sidney Pollard, La conquista pacifica: l’ industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, il Mulino, Bologna 1975
13
perdere popolazione e vedono anche ridimensionarsi la base produttiva. Le cinture più esterne proseguono la loro espansione, ma a ritmi più lenti e soprattutto in aree lontane dal centro metropolitano.5
5 Angelo Detragiache, Dalla città diffusa alla città dirmanata, FrancoAngeli, Milano, 2003
14
1.2 Il concetto sviluppo sostenibile
Il tema dello sviluppo, e più in generale quello della modernizzazione, ha occupato il posto centrale delle scienze sociali e della politica nel secondo dopoguerra. Questa centralità era dovuta al fatto che nei processi reali delle società industriali il reddito si stava sviluppando a ritmi sostenuti. Si indagavano i fattori di tale sviluppo economico e su come si sarebbe tradotto in sviluppo sociale.6 Nel 1972 esce il rapporto sui limiti dello sviluppo, ed è proprio questo passo a portare alla nascita del concetto di sviluppo sostenibile.
1.2.1 Cronistoria Qui di seguito sarà fornita una breve e sintetica cronologia degli eventi che hanno portato all’espansione del concetto di Sviluppo Sostenibile. 1972: È redatto il “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, dal libro “The Limit to Growth”, commissionato al MIT (Massachusetts Institute of Technology) dal Club di Roma. In sintesi le conclusioni del rapporto sono: 1-
se le condizioni dello sviluppo umano rimarranno inalterate, tenendo conto della
crescita
della
popolazione,
dell’industrializzazione,
dell’inquinamento,
della
produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse, i limiti dello sviluppo verranno raggiunti entro i prossimi 100 anni. 2-
Uno sviluppo sostenibile è perseguibile se, e solo se le condizioni di stabilità
ecologica ed economica raggiungeranno un equilibrio globale, in modo che tutte le persone sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale. - Nello stesso anno è anche da segnalare la prima conferenza UNCHE (United Nations Conference on Human Environment), nella capitale Stoccolma e organizzata dall’ONU, che riunendo centotredici nazioni s’impegna nella propaganda dello sviluppo della nuova idea “human environment” e quindi dei principi di libertà, equità e benessere. Questa conferenza ha portato alla scrittura di un nuovo piano d’azione e della Dichiarazione sull’ambiente umano; questa riporta anche i ventisei principi fondamentali sui diritti e le responsabilità dell’uomo sull’ambiente.
6 Angelo Detragiache, Analisi e prospettive di una crisi, FrancoAngeli, Milano, 1985
15
1979: Si svolge la prima conferenza mondiale sul clima, in cui si comincia a capire che il problema dei cambiamenti climatici in atto sono su scala globale e non è possibile agire solo sulle scale nazionali, ma bisogna che sia internazionale. Le Nazioni Unite invitano così a limitare le emissioni dei gas serra. 1987: È rilasciato il Rapporto Brundtland, conosciuto come “Our common future”, redatto
dalla
Commissione
mondiale
sull’ambiente
e
sullo
sviluppo
(World
Commission on Enviroment and development in sigla WCED). Il rapporto parla per la prima volta di sviluppo sostenibile, e lo definisce come “equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie”. 1991: È rilasciato il “Caring for the Earth. A strategy for a Soustainable Living”, che detta le basi da seguire per una nuova strategia che si basa sul principio per il quale è possibile modificare il proprio comportamento prendendo coscienza che esso renderà le cose in meglio, soprattutto se il lavoro sul quale si pone l’obbiettivo, ha uno scopo comune e condiviso per un vivere sostenibile. 1992: La UNCED (United Nations Conference on Enviroment and Development) rappresenta la prima conferenza mondiale sull’ambiente, e il luogo scelto è Rio de Janeiro; questa riunione con cent’ottantatré paesi e quindicimila rappresentanti di organizzazioni non governative, esperti, industriali, religiosi e giornalisti, insieme ad anche cent’otto capi di stato, ha assunto un grande ruolo anche dal punto di vista mediatico e di dialogo. La conferenza di Rio ha permesso di evidenziare un altro punto di vista, quello che divide in due il mondo, nord e sud, il primo ricco e industrializzato, il secondo in via di sviluppo. In questo dibattito si parla anche dei problemi di differenti origini, come quello delle risorse energetiche alternative, dell’uso eccessivo dei combustibili fossili, il problema della scarsità delle risorse idriche e del cambiamento climatico. I risultati della conferenza furono: 1- Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo, detta anche Carta della Terra; sono stilati in questo documento ventisette punti guida in materia di sviluppo sostenibile (i temi ribaditi sono quelli di sovranità, di valutazione dell’impatto, di costi e benefici, l’accessibilità e il trasferimento di tecnologie e strumenti, ma anche temi ambientali, come per esempio lo sfruttamento da parte del nord del mondo del patrimonio forestale del sud); questo, tuttavia, è un codice di comportamento,
16
un’etichetta, che però non è vincolante per le nazioni firmatarie. 2- Convenzione
sulla
biodiversità;
firmatari
di
questo
documento
ci
sono
centosessant’otto paesi; tra questi tuttavia non appaiono gli USA, poiché in opposizione in merito alla ripartizione dei costi-benefici tra paesi detentori ed utilizzatori. I temi trattati in “questo” atto rappresentano un passo avanti nella conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle risorse biologiche e non. 3- Convenzione sui cambiamenti climatici; firmata da centocinquantatré paesi, rappresenta un accordo generico, o convenzione quadra; ossia un impegno generale da parte dei firmatari per una riduzione delle emissioni di gas dannosi all’atmosfera, che causano i cambiamenti climatici. In questo documento tuttavia non appaiono obiettivi prefissati in tempo e quantità, mancano quindi gli obiettivi e le linee guida per uno sviluppo sostenibile. Ancora una volta il distacco tra nord e sud del mondo è palesato dal fatto che una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dei paesi in via di sviluppo, sarebbe dannoso per lo sviluppo e il raggiungimento di equità. 4- Agenda 21; i paesi che firmano questo programma sono cent’ ottantatré, e tutti si impegnano per perseguire i principi entro il 1996 la redazione di una “Agenda 21 Locale”. Tuttavia soltanto centosettant’otto dei paesi che hanno firmato l’agenda ha stilano il documento. I temi dell’Agenda assecondano diverse sfere d’interesse, che si possono suddividere in 4 parti principali, queste sono: -
Dimensione economica e sociale: povertà, sanità, ambiente, aspetti demografici,
produzione; -
Incremento del ruolo dei gruppi più rilevanti: donne, giovani, anziani, OnG,
agricoltori, sindacati, settori produttivi, comunità scientifica -
Conservazione e gestione delle risorse: acqua, terra, aria
-
Mezzi
per
eseguire
il
programma:
strumenti
scientifici,
informazione,
cooperazione internazionale, strumenti finanziari, strumenti giuridici. Sempre nello stesso anno esce, con il titolo “Beyond the limits” ( in italiano “Oltre i
limiti”), un aggiornamento del rapporto del ‘72; in questo secondo rilascio si sostiene che i limiti, e la capacità di carico del nostro pianeta è già stata raggiunta. 1995: Gli stati membri che firmarono la convenzione del ’92 si ritrovano per la prima volta a Berlino per il primo COP-1 (conferenza delle parti). 1996: Il tema centrale che si è discusso a Istanbul, al City Summit, nella Conferenza Habitat II, è il problema legato alla crescita senza controllo delle aree urbane, e quindi la pressione legata al rapido sviluppo, da parte dell’uomo, sull’ambiente. Sempre legato a questo tema ve ne sono altri minori, come: povertà, emigrazioni, emarginazione, salute ecc.
17
1997: In quest’anno si svolge il summit più famoso, l’11 dicembre fu firmato il “Protocollo di Kyoto”. I firmatari di questa convenzione si vincolavano a ridurre le emissioni di anidride carbonica, riportando la produzione di questo gas ai livelli del 1990. Prima tappa è quella della riduzione del 5% delle emissioni di origine antropica, entro il 2010. In questo meeting si stabiliscono anche gli strumenti che permettano di soddisfare gli obiettivi prefissati, alcuni e i più famosi di questi sono: -
Articolo n° 17: Emission Trading; ossia il commercio delle emissioni, noto anche
come “The carbon market”. Questo mezzo permette a ogni paese di avere una quota di produzione di emissione, superata tale quota, vi è una mora da pagare per ogni “extra” aggiunto. Le nazioni più virtuose che invece sono avere un difetto di emissioni, possono venderle ai paesi non virtuosi. -
Articolo n° 12: Clean dévelopment mechanism (CDM), chiamati anche
Meccanismi di sviluppo pulito. Permettono, ai paesi industrializzati, di realizzare progetti mirati alla riduzione dei principi inquinanti emessi in atmosfera, nelle nazioni del sud del mondo, senza vincoli di emissione. Questo principio mira ad avviare un’”industrializzazione pulita” nei paesi in via di sviluppo e anche di promuovere una cooperazione internazionale e instaurare un trasferimento di tecnologie e di “know how” tra paesi del sud e nord del mondo. -
Articolo n° 6: Joint Implementation o JI, prende anche il nome di attuazione
congiunta. Il meccanismo alla base di questo articolo del Protocollo è l’individuazione e l’attuazione congiunta degli obblighi individuati dal protocollo, questo permette, in parole povere, ad un paese di trasferire parte delle emissioni in progetti finalizzati alla riduzione di emissioni di CO2; per esempio se una nazione decidesse di piantare un bosco, questo produrrà O2 e assorbirà anidride carbonica, questo permette di avere un segno meno nella tabella, e di conseguenza la possibilità di emettere più CO2.
Sempre nel 1997 vi è da ricordare il Trattato di Amsterdam; il documento stesso, all’art. 6 dichiara “le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie, in particolare in previsione di promuovere lo sviluppo sostenibile”, in parole povere tale documento modifica il trattato sull’Unione Europea, integrando nella sua costituzione il concetto di sviluppo sostenibile. Nel 1997 c’è da ricordare anche l’aggiornamento del summit di rio dell’ UNCED, chiamato RIO +5. In questo meeting vi è la necessità di propagandare la voce dell’Agenda 21 a livello mondiale, infatti, vi è l’intenzione mirata di attirare
18
l’attenzione dei Capi di stato, a integrare l’Agenda 21 nei propri impegni.
2001: In quest’anno si riunisce il COP-7 a Marrakech, tema centrale i cambiamenti climatici. Si ripete la necessità dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, (non ancora vigente). A questa data 40 paesi avevano firmato il Protocollo, eccezion fatta per gli USA.
2002: Nel 2002 si tiene il World Summit on Sustainable Devolopment, a Johannesburg, dove le Nazioni riunite per la conferenza internazionale parlano di temi di carattere ambientale; obiettivo era di verificare i progressi realizzati in questo campo e di elaborare delle norme per migliorare la qualità della vita rispettando la natura. Questo summit ha voluto anche implementare l’Agenda 21 con l’introduzione di nuovi obiettivi, per velocizzare una visione del mondo sostenibile. Anche in quest’occasione, come già avvenuto in passato, non vi sono obiettivi di tempo e di quantità da raggiungere.
2004: Il protocollo entra finalmente in vigore nel 2004, con l’aggiunta della Russia ai rettificatori del Protocollo, infatti, il protocollo non si poteva avviare affinché non si fosse raggiunta la quota del 55% delle emissioni mondiali, l’unica altra nazione che poteva avviare al lancio il Protocollo di Kyoto erano gli USA, che poi nell’ottobre del 2009 hanno firmato ma poi rifiutato di ratificare il trattato.
2006: esce un rapporto che con il titolo “Limits to Growth: the 30-Year Update” utilizza i dati raccolti in 30 anni, e attraverso metodi di calcolo moderno spiega come la “capacità di carico” della terra è già stata superata negli anni ’80, mentre allo stato attuale siamo a più 20%, inteso che ci vorrebbero 1 terra e 1/5 per soddisfare le esigenze mondiali. Quest’ ultimo rapporto conclude dicendo che le previsioni del 1972 erano giuste e insistono sul fatto che avverrà un collasso economico nel XXI secolo.
2009: In quest’anno si riunisce a Copenaghen il COP- 15, che con la XV Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite dedicata al clima, si rende evidente l’obiettivo di raggiungere
un
accordo
condiviso
al
19
fine
di
contrastare
l’aumento
del
surriscaldamento globale del pianeta (o Global warming). Anche qui il risultato del summit non è vincolante, ma ancora una volta un accordo, senza tempistiche e quantitativi prefissati. Tuttavia va ricordato che questo meeting si è dimostrato cruciale nello specificare, chiarire i notevoli progressi raggiunti grazie ai meccanismi del Clean Development, individuato dal Protocollo di Kyoto.
2012: Dopo vent’anni dalla conferenza di Rio del 1992, si è tenuto un nuovo incontro, organizzato dell’ONU, chiamato RIO +20. La conferenza ha affrontato due temi centrali, questi sono: 1-
L’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e riduzione della povertà
(in inglese “a green economy in the context of sustainable development and poverty
eradication”); questo tema può apparire come una risposta possibile alle difficoltà a cui ogni paese ha dovuto dar fronte a seguito della crisi economica mondiale, infatti, questa transizione comporta l’attuazione di riforme e di incentivi per la tutela delle risorse naturali e il potenziamento delle infrastrutture per l’ambiente. E’ da ricordare anche l’introduzione di nuovi meccanismi di mercato (o anche detti new market-
based mechanism) per l’introduzione e la diffusione delle Eco-tecnologie. 2-
Quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile, in inglese “an institutuional
framework for sustainable development”, il tema affrontato in questo caso nasce dalla necessità di attuare, attraverso misure e approci unitari e condivisi, le politiche e gli impegni assunti nelle precedenti Convenzioni Internazionali. Il documento finale è un elenco di buoni propositi, privo però, come sempre, di quegli obiettivi e strumenti operativi, poiché non ci sono fondi. Il documento finale di RIO +20 non lascerà segno per le decisioni prese, o per la sostanziale scelta di non prendere impegni definitivi e scanditi nel tempo.
1.2.2 Definizione di sviluppo sostenibile
Lo sviluppo sostenibile è l’insieme di relazioni tra la dinamica delle attività umane e la biosfera. Queste relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i propri bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo che le modifiche apportate al sistema terra siano tali da non distruggere il contesto biologico globale.
7
Una definizione univoca, che mette
7 Italia, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, Libro bianco “energia- ambiente- edificio”, Milano 2004
20
d’accordo la maggior parte degli esperti, si esprime nel concetto che lo sviluppo sostenibile è perseguibile attraverso la regola dell’equilibrio delle tre “E” (come in figura 3), queste sono: Ecology (sostenibilità ambientale), Equity (sostenibilità Sociale) e Economy (sostenbilità Economica). Sostenibilità Ambientale: è la capacità di mantenere la qualità ambientale e naturale delle risorse naturali, in modo da garantire le stesse possibilità alle generazioni future. Sostenibilità Sociale: è perseguita mediante politiche sociali con il fine di garantire equità, benessere, accessibilità, partecipazione e incrementare l’identità culturale Sostenibilità Economica: è rappresentata dalle politiche economiche che hanno l’obbiettivo di creare reddito e lavoro mediante modelli sostenibili di produzione di consumo. Il concetto di sostenibilità (e quindi di sviluppo sostenibile) è spesso troppo generico, in quanto nessuna definizione è in grado
di
definire
dei
Figura 3- grafo delle 3 “E”; schematizzazione della sostenibilità
risvolti
operativi. Le interazioni tra solo due sfere d’interesse generano altri fattori da tenere in considerazione, come: Realizzabilità: quando soddisfa i requisiti ambientali ed economici. Vivibilità: quando soddisfa i requisiti sociali e ambientali. Equità: quando soddisfa i requisiti sociali ed economici.
Anche la legge italiana dà una definizione di sviluppo sostenibile, infatti, nel Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, all’articolo 3-quater: Principio dello sviluppo sostenibile, dice:8
1-
Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve
conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire all'uomo che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future. 2-
Anche l'attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a
consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell'ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione. 3-
Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane,
8 Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 con le modifiche apportate dal Decreto Legislativo16 gennaio 2008, n. 4
21
il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell'ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nell'ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell'ambiente anche futuro. 4-
La risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali deve essere
cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane.
22
1.3 Interscalarità della sostenibilità
Se nei paragrafi precedenti abbiamo parlato di come l’uomo si sia sviluppato, architettonicamente e urbanisticamente parlando, all’interno dell’ambiente, allora è necessario apportare alcune considerazioni, che ci permettono di definire al meglio la situazione attuale. La città, inteso come il risultato della continua espansione dell’edificato attorno ad un nucleo d’origine, è l’insieme di moltissime opere che collaborano assieme per formare la città stessa, esattamente allo stesso modo in cui le cellule formano un corpo. Se quindi l’edificio fosse inteso come cellula funzionale, e la città come il corpo del tutto finito, dobbiamo individuare anche un altro carattere che si interpone tra i due, il quartiere, che all’interno della metafora si connoterebbe come un organo del tutto funzionale per se stesso, ma tuttavia completamente indipendente alla città stessa. Questo discorso permette di capire l’interscalarità della sostenibilità, infatti, se a una scala piccola, come quella della cellule, le strategie sostenibili da analizzare e adoperare saranno di un tipo, le stesse non potranno funzionare per la scala di quartiere e lo stesso per la scala di città. Si rende quindi necessario, per sviluppare al meglio l’argomento, dividere in due le analisi sulle strategie sostenibili, la prima su scala urbana, la seconda sulla scala dell’edificio.
Figura 4: in figuara la rappresentazione dell’interscalarità della sostenibilità dal punto di vista dell’edificio
23
CAPITOLO II La sostenibilità urbana “Architetti e urbanisti non immaginano neppure con quanta leggerezza essi si giocano la nostra felicità, quanto fasta può riuscire la loro opera, oppure nefasta alla mente, ai costumi, ai destini di un popolo.” Alberto Savino
24
2.1 La città e l’uso della terra
Con la nota introduttiva di Alberto Savinio ci si rende conto di come l’architettura, massima
forma
fondamentale
di
nello
antropomorfizzazione sviluppo
della
conosciuta,
società
futura,
può ed
è
giocare proprio
un
ruolo
partendo
dall’architettura che si può iniziare un’inversione di tendenza. Se si riprendesse il concetto d’interscalarità, ossia che “infiniti” edifici (quindi architettura) formano la città, ci si rende conto che esiste un altro fattore della stessa interscalarità che non era stato tenuto in considerazione, ovvero la natura (o l’ambiente) e quindi la terra. Come disse Margueritte Yourcenar: “E’ infatti cambiato il senso del costruire, che non
è più collaborare con la terra ma contro la terra e le sue leggi 9”. La terra, quando è mantenuta in uno stato naturale svolge importantissime funzioni: drena l’acqua e ne regola il ciclo, favorisce l’alimentazione dei fiumi e diminuisce il rischio di alluvioni, produce alimenti e biomasse, regola il ciclo del carbonio e favorisce la biodiversità, accoglie coltivazioni e allevamenti, ospita spazi aperti dove le persone passano il tempo libero e costruiscono relazioni sociali, rende il paesaggio gradevole alimentando la qualità della vita e il turismo. Quando invece la terra viene trasformata, coperta e quindi impermeabilizzata – attraverso le opere apportate sull’ambiente da parte dell’uomo- diviene una semplice superficie di appoggio e perde ogni altra funzione, per sempre. Il suolo dunque è un bene comune primario e limitato, una risorsa finita e non rinnovabile. E’ compito primario dell’architetto, attraverso tutti i mezzi che dispone riuscire a inquadrare il come deve essere utilizzata la terra. Oggigiorno l’espansione incontrollata delle città, dovuto alle esigenze politiche istituzionali e sociali, ha creato una situazione che non è più sostenibile, si consideri per esempio che il 40% dell’energia prodotta viene utilizzata nell’edilizia, il 50% delle risorse sottratte alla natura è destinato all’industria edilizia e che il 50% dei rifiuti prodotti ogni anno proviene dal settore edile10. E’ necessario analizzare il perché, o più semplicemente le origini di questa situazione, che ormai è satura e incontrollata.
9 Marguerite Yourcenar, “Memorie di Adriano”, 1951 10 Regione Emilia- Romagna, Laboratorio Territoriale del Comune di Cervia, progetto INFEA CEA, 2007
25
2.1.1 La città Le sfere che entrano in gioco quando si parla di città sono quasi infinite, infatti, come disse Sigfried Gledion; « Essa [l'architettura] è il prodotto di fattori di ogni genere, sociali, economici, scientifici, tecnici, etnologici. Per quanto un'epoca cerchi di mascherarsi, la sua vera natura trasparirà sempre attraverso la sua architettura. ». La città, rappresentata come ambiente urbano, è oggi l’habitat naturale dell’uomo, ed è proprio dalla gestione dello spazio che ci circonda che si possono gettare le basi di uno sviluppo sostenibile. La città, nel corso della storia, ha preso forme sempre nuove e sempre più complesse, per adeguarsi agli avanzamenti tecnologici portati avanti dalle scienze. Si consideri per esempio l’espansione della città di Torino, progettata per il progresso automobilistico, o New York che senza l’invenzione dell’ascensore non sarebbe mai potuta divenire la grande mela, o ancora Londra, che solo grazie alla realizzazione della metropolitana è potuta divenire la metropoli che oggi conosciamo. La città si prospetta quindi come un collage di frammenti del nostro passato ed è da queste basi, che si può gettare la costruzione della città del futuro. Se si guardasse la situazione da un punto di vista sociale, o della collettività, si potrebbe affermare che oggi, più che mai, l’abitare nelle città avviene sempre più spesso all’interno di quattro mura, infatti, oggi un cittadino europeo medio trascorre circa il 90% della vita in casa o comunque in un edificio (residenza, lavoro, ecc.), più del doppio di un europeo dell’800. In effetti, proprio come gli abiti sono considerati la nostra “seconda pelle”, così la casa funge da “terza pelle” offrendo sicurezza, comodità e riparo. L’edificio e la città, come il vivere e l’abitare, sono fattori duali, ovvero che non possono essere guardati separatamente, per questo motivo, per analizzare al meglio la situazione
morfologica
che
caratterizza
l’Italia,
si
è
voluto
approfondire
quest’argomento, anche perché, come abbiamo detto poco fa, è osservando la storia che si possono gettare le basi per un futuro migliore.
26
2.1.1.1 La morfologia
Dal momento della nascita delle prime città, avvenuto attorno al 3000 a.C., fino all’epoca industriale, la storia delle città può essere considerata come un percorso omogeneo e per certi versi, pure statico. 11 L’Italia ha accresciuto le proprie città e i propri centri in maniera esponenziale dagli anni ’50. L’espansione delle città nelle campagne circostanti, ha portato a inglobare altre amministrazioni generando un unicum urbano, che prende il nome di sub urbanizzazione. La sub urbanizzazione è un fenomeno
che
presentare
in
si
modalità
differenti,
come
conurbazione,
termine
quale
si
indica
può la col
quell’area
urbana che si crea a seguito Figura 5: in immagine la rappresentazione schematica dei fenomeni della continua espansione dei della conurbazione e dell’agglomerazione. centri limitrofi che prima erano separati; oppure l’agglomerazione, dove l’espansione di un centro a “macchia d’olio” ingloba progressivamente i centri rurali limitrofi, come spiegato in figura 5. Il termine “città diffusa” è stato usato per la prima volta nel 1990 da Francesco Indovina, e non indica genericamente il fenomeno dell’urbanizzazione al di fuori della città moderna ma indica una specifica forma tra le nuove morfologie di uso dello spazio12.
“La città diffusa non ha confini, non tanto perché è difficile stabilirne un inizio e una fine, ma perché manca di centri” (F. La Cecla, 1998) Per città diffusa s’intende quel fenomeno di urbanizzazione, emerso a partire dagli anni settanta con il fenomeno della de-urbanizzazione, in cui si manifestano condizioni d’uso tipiche della città, pur in assenza di prossimità fisica. Nella città diffusa sono presenti,
11 Bairoch P., la storia dela città, Jaca Book, Milano 1996 12 F. Indovina, la diffusione urbana: tendenze attuali, scenari futuri.
27
infatti, gli elementi della costituzione “fisica” della città, ma senza i caratteri di densità , intensità, e soluzioni di continuità tipici della città. Nel 1962 Giancarlo De Carlo parlava di città-regione, come processo che si stava diffondendo anche in Italia, sulla scia di quello che, già da tempo, succedeva in Europa. Secondo Angelo Detragiache13, le dinamiche di trasformazione urbana in Occidente nel secondo dopoguerra si possono distinguere in 3 fasi: 1-
Iperurbanizzazione: è una trasformazione
dovuta
al
prodursi
del
cosiddetto
“modello
industrial-urbano”; l’industria trova nella città un quadro elettivo di fattori di localizzazione per cui s’insedia in città e la popolazione, per lavorare nell’industria s’inurba. I costi sociali di questo modello sono i colossali processi di massificazione Figura 6: schema sintetico del (la città della folla) che si concludono a cavallo funzionamento del fenomeno della Iperurbanizzazione.
degli anni ’60 e ’70 con le contestazioni operaie e studentesche. 2-
Deurbanizzazione: questo processo è
suddivisibile in due fasi distinte, la prima è dovuta alla disfatta del modello dell’ iperurbanizzazione,
che
portava
ad
elevatissimi costi sociali ed economici, e che ha portato la popolazione residente nelle città a “emigrare” in periferia. Mentre nella seconda fase hanno agito largamente i nuovi fattori dovuti all’avanzamento Figura 7: schema sintetico del funzionamento del scientifico-tecnico, come i nuovi sistemi
fenomeno della deurbanizzazione.
di telecomunicazione e l’avanzamento dell’uso massiccio dell’automobile. Questi traguardi sono stati possibili solo grazie all’innalzamento del reddito medio pro capite. 3-
Riconcentrazione urbana: è un processo che ha preso piede agli inizi degli anni ’90
negli Stati Uniti e poi in Europa. La trasformazione di riconcentrazione è un processo di rinnovamento urbano, ed è legato all’alta società che orienta e spinge a riscoprire i valori architettonici e urbanistici di parti della citta e a riportarli a luoghi dell’abitare
13 Angelo Detragiache, Dalla città diffusa alla città dirmanata, FrancoAngeli, Milano, 2003
28
e anche di lavoro. La città non diventa più “della folla” e dell’industria, ma la città di ieri che viene rivalorizzata e rivitalizzata.
I
processi
deurbanizzazione
morfologici e
della
Figura 8: schema sintetico del funzionamento del
della fenomeno della riconcentrazione.
riconcentrazione sono a tutt’oggi in atto, tuttavia se il secondo asseconda uno sviluppo sostenibile, poiché le aree riprese, erano già
state
compromesse,
nel
primo
invece
non
è
sostenibile,
siccome
la
deurbanizzazione è un processo non compatibile con l’ambiente perché, nell’assurdo mondo in cui viviamo la terra, risorsa finita vale meno del cielo, risorsa “infinita; infatti, è intenzione del paragrafo successivo esporre il problema del consumo di suolo.
2.1.2 La terra I modelli di espansione delle città sono visti come un processo che si protrae all’infinito. Questa crescita illimitata era funzionante in un periodo di espansione industriale, dove le masse si spostavano dai campi alle città; ora la crescita infinita non è più sostenibile ed è un quadro sulla de-evoluzione del consumo delle risorse. Il discorso fatto nel paragrafo precedente era sì volto a osservare il processo morfologico col quale le nostre città si sono evolute, ma anche per introdurre il concetto di quanto ci siamo “espansi”, consumando di conseguenza terreno. Negli ultimi 15 anni il consumo di suolo a livello mondiale è proceduto ad un ritmo di 240.000 ha l’anno, il che equivale complessivamente a 3.600.000 ha, ovvero una superficie pari a quella di Lazio ed Abruzzo messi assieme. La situazione si aggrava se si considerasse che l’Italia sia il paese dell’Europa con il più basso tasso di crescita della popolazione ma a più alto tasso di consumo del suolo. In lingua anglosassone il consumo del suolo, inteso come conversione da naturale a costruito prende il nome di Urban Sprawl.
29
2.1.2.1 Il consumo di suolo in Italia La
nostra
nazione
si
caratterizza
da
una
conformazione
morfologica
meno adatta all’edificazione, infatti,
se
l’edificazione soprattutto
d’altro si
canto
concentra in
aree
pianeggianti e, in consistenza minore,
su
zone
collinari,
Figura 9: l’immagine rappresenta la percentuale stimata di suolo utile
l’Italia, a differenza degli altri consumato per ogni regione d’Italia, e in rosso la media nazionale. stati
europei
che
possono
disporre di territori quasi esclusivamente pianeggianti, si caratterizza per una conformazione classificata per il quasi 80% montano e collinare, e solo il restante 20% e classificato come pianeggiante La Pianura padana è esposta maggiormente al problema del consumo del suolo, infatti, se si considerassero le superfici artificiali per regione, non ci si meraviglia se ai primi posti troviamo regioni come la Lombardia, il Veneto e la Campania (come in immagine 9). Secondo i dati Istat il suolo consumato in Italia raggiungeva nel 2008 il 7% del territorio nazionale . Questa misura potrebbe essere tuttavia una sottostima poiché non considera le superfici a vario titolo “antropizzate”, bensì quelle “edificate” per nuclei di rilevanti estensioni (almeno 15 edifici accomunati da una relazione di prossimità). Sfuggono dunque a questa misura l’intera categoria della “case sparse” (dove vive il 6% della popolazione nazionale, sempre secondo l’Istat). La trasformazione del paesaggio italiano, dal dopoguerra a oggi, ha subito diverse accelerazioni
per
il
sovrapporsi
di
innumerevoli
movimenti
interni:
dalla
ricostruzione post-bellica, al boom demografico, alla grande infrastrutturazione del Paese, alle ondate immigratorie, alla crescita delle famiglie mono-nucleari. La sovrapposizione di questi fenomeni ha avuto un ruolo rilevante nell'aumentare la domanda di superfici atte a realizzarvi abitazioni, fabbriche, autostrade, parcheggi, fabbricati a uso produttivo, terziario e commerciale. La mancanza di soluzioni concrete in Italia è evidente se pensiamo che per il momento non solo manchino regole e strumenti efficaci di contrasto, ma non sono ancora
30
nemmeno disponibili dati aggiornati sul fenomeno. E così, mentre nel mondo le grandi nazioni si stanno preoccupando di acquistare e conservare spazi per la coltivazione di alimenti che saranno sempre più necessari e preziosi in futuro, nel nostro Paese però è ancora più conveniente vendere la terra piuttosto che coltivarla. A oggi la Lombardia è la regione italiana dove è stata consumata la maggior percentuale di suolo rispetto alla superficie regionale complessiva, la buona notizia è che finalmente si è iniziato a raccogliere dati, per osservare e gestire al meglio questo problema. Recentemente questo tema è giunto anche nel Consiglio regionale lombardo, presso il quale è stato depositato un progetto di legge d’iniziativa popolare che mira a contenere il consumo di suolo.
2.1.2.2 Il caso della Lombardia La Lombardia è una delle regioni italiane che dispone dei dati più aggiornati e affidabili sull’uso del suolo. Il Dusaf (Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali) è una banca dati nata nel 2001 nell’ambito di un progetto promosso e finanziato da Regione Lombardia (Direzioni Generali Territorio-Urbanistica e Agricoltura) e realizzata
dall’Ente
Regionale
per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste
(ERSAF)
collaborazione Regionale
con
la
dell’Agenzia
per
la
Protezione
dell’Ambiente della Lombardia (ARPA). La banca dati è ottenuta dall’interpretazione di foto aeree eseguite negli anni 1998-1999 e in seguito aggiornata nel periodo 2005-2007.
I
dati
sono
aggiornati dunque ogni otto anni e i più recenti risalgono al 2007. Attraverso queste informazioni Figura 10: qui di seguito è riportata un’immagine presa dal documento di Legambiente, e rappresenta la situazione regionale
sappiamo che, su una superficie per quanto riguarda l’utilizzo del suolo, come è possibile notare tra aree agricole a sud e la fascia prealpina a nord, esiste un’intera regionale totale di circa 2,4 le area costruita, che in maniera lineare taglia l’area agricola da milioni di ettari, circa un milione quella naturale.
è territorio agricolo e un altro milione è costituito da territori naturali e seminaturali (vedi figura 10).
31
La Lombardia pertanto presenta ancora forti caratteristiche di ruralità, pur essendo sottoposta a notevoli pressioni antropiche. E’, infatti, la regione dove, fra il 1995 ed il 2006, si è concentrato il 20% delle superfici italiane sulle quali è stato permesso di costruire (percentuale di gran lunga superiore a quella di tutte le altre regioni) e, quattro anni dopo, risulta la regione con il maggiore tasso di urbanizzazione. Tra il 1999 e il 2007, mentre la popolazione residente in Lombardia aumentava del 7,5%, il suolo urbanizzato è cresciuto dell’11% ed è arrivato a coprire il 14% del territorio regionale (rispetto ad una media nazionale del 7%). In Lombardia il suolo è consumato con una velocità di 4,4 mq per abitante l’anno, che complessivamente corrisponde a 42.704.000 mq, ovvero 117.000 mq al giorno, come circa 16 campi da calcio. Le
aree
più
fortemente
antropizzate sono le provincie di Monza
e
Brianza,
Milano
e
Varese. Le provincie di pianura hanno una superficie agricola molto estesa che a Cremona, Lodi e Mantova è superiore all’80%. Naturalmente le zone alpine e prealpine si distinguono Figura 11: in immagine la rappresentazione in percentuale
invece per la presenza di boschi dell’utilizzo del suolo all’interno delle provincie lombarde. che a Sondrio coprono quasi il 90% del territorio(come in figura 11).
Nel periodo 1999-2007 nella provincia di Mantova la superficie antropizzata cresce di oltre il 20%, ponendosi prima nella classifica del consumo di suolo, seguono le province di Lodi con poco più del 15%, Brescia con il 14%, Cremona con il 13%, Bergamo e Sondrio ambedue con poco più del 12%. Il territorio della provincia di Varese registra il più basso aumento della superficie antropizzata pari al 5,6%. Su tutto il territorio c’è stata una contrazione delle superfici agricole, soprattutto nelle province di Lecco e Monza e Brianza. Le variazioni più alte di territorio boscato in Lombardia si verificano nelle province di pianura come Mantova, Lodi e Cremona, con Mantova che arriva a più del 17%, tuttavia è da ricordare come i boschi qui citati sono prevalentemente filari monoculturali di pioppo. 14
14 Fonte: da un file breve di Legambiente Lombardia, tema il consumo del suolo
32
I dati fin qui esposti si riferiscono a misure di uso del suolo esteso all’intero territorio provinciale. Tuttavia, per avere un quadro più vicino alla realtà, si dovrebbe tener conto anche del fatto che non tutto il territorio è effettivamente utilizzabile dall’uomo e che, quindi, il consumo di suolo andrebbe rapportato alla superficie utile per comprendere quanto suolo è già stato effettivamente sottratto alle funzioni alimentari, ambientali, ecologiche, sociali, ecc. già ricordate. In Lombardia abbiamo già consumato (urbanizzato) quasi il 25% delle superfici utili dell’intera regione, rispetto ad un dato nazionale del 16%. Nelle regioni pianeggianti e di bassa collina le superfici utili sono più estese e questo contribuisce a spiegare contemporaneamente due fenomeni: le province di pianura come Pavia e Cremona presentano valori molto bassi del consumo di suolo su superfici utili nelle province meno urbanizzate la disponibilità di suolo favorisce il suo maggiore consumo.
2.1.2.3 Nuovo disegno di legge per contrastare il consumo di suolo Il 16 novembre 2012, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il disegno di legge per la valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo (cfr. comunicato stampa n. 45 del 14 settembre 2012). Il DDL, proposto dai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per i beni culturali e dello sviluppo economico-infrastrutture, dispone il divieto di mutamento di destinazione per almeno 5 anni per le superfici agricole che hanno ricevuto aiuti di Stato o comunitari. articolo 8 del decreto: 1. Per 3 anni dalla data di entrata in vigore della presente legge al fine di consentire l’attuazione di quanto previsto all’art 3 non è consentito il consumo di superficie agricola.! 2. Sono fatte salve le opere pubbliche e di pubblica utilità e le previsioni degli strumenti urbanistici con contenuti conformativi della proprietà vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché gli interventi strumentali !all’esercizio dell’attività di cui all’art. 2135 del Codice civile.! 3. Sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome che provvedono alla finalità della presente legge ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione.
In un articolo del 15 giugno 2013 del “Il Sole 24 ore” si afferma che il consiglio dei
33
ministri ha dato via libera al disegno di legge in materia del suolo edificato. «abbiamo previsto – ha sottolineato il ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo - un meccanismo per fissare l’estensione massima di superficie consumabile, attraverso il forte coinvolgimento anche delle Regioni e degli enti locali, in una battaglia che è di tutti per un bene fondamentale come la terra». La difesa dei nostri suoli, ha sottolineato il ministro, «non è poi la lotta all’edilizia, al contrario con questo disegno di legge introduciamo un principio fondamentale nella materia di governo del territorio che è la priorità del riuso e della rigenerazione, che consentirà il recupero di zone già edificate ma degradate». L’intero governo, ha detto il ministro per i Beni culturali , Massimo Bray, «ha voluto sottolineare che la tutela del suolo è soprattutto tutela del paesaggio, fondamentale per rilanciare il nostro turismo»; così come previsto dall’ Art. 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
34
2.2 Strategie per la sostenibilità urbana Negli ultimi decenni grandi passi si sono compiuti nel campo della sostenibilità, tuttavia va ricordato come la situazione generatasi sia sì un passo evolutivo, ma però non del tutto inscindibile dalle vicende socio-polito-istituzionali. In questi paragrafi si andranno ad analizzare quelle strategie sviluppatesi negli anni nel campo della sostenibilità dal punto di vista della città e del quartiere, iniziando dalla smart growth, o in lingua italiana città intelligente, che già dal nome dice molto.
2.2.1 La smart growth “In senso lato, smart growth tenta di soddisfare l’esigenza di prevedere una crescita intelligente, e allo
stesso
tempo
tenta
di
limitare
gli
indesiderabili impatti che la crescita e lo sviluppo umano hanno su questo pianeta”15. Come il New Urbanism (si tratterà in seguito), la
smart growth è nata per contrastare lo Sprawl urbano, ma anche l’inquinamento su strada e la
gentrification. 16 La critica al consumo di suolo, portata avanti a partire degli anni ‘70 da politici, ambientalisti, architetti, pianificatori e soprattutto da una Figura
12:
lo
schema
illustra
la
sempre più crescente parte della popolazione, ha proposta di un insediamento proposto da Calthrpe Peter, nel suo libro “The contribuito allo sviluppo dei primi progetti di città pedestrian poket” a crescita intelligente; ma è all’inizio degli
anni ’90 che nasce l’idea e il concetto di smart growth così come lo conosciamo noi oggi. Tra le figure che hanno contribuito allo sviluppo dei principi della “crescita
15 The limitless city, a primer on the urban sprawl debate, Oliver Gillham, 2002 16 Con Gentrification, gentrificazione in italiano, è inteso quel processo socio-culturale che avviene dopo la restaurazione di un quartiere degradato o di periferia. Questi cambiamenti fanno subentrare una popolazione più benestante su una più povera, con un conseguente aumento del costo della vita e degli immobili.
35
intelligente” troviamo l’architetto Calthorpe Peter, che nel suo libro intitolato “The
Pedestrian pocket” 17 , si sostenevano e si promuovevano città compatte. Promotore della smart growth e presente anche al primo congresso del CNU (congresso del new urbanism, lo si tratterà in seguito) troviamo Andrés Duany; nei suoi progetti troviamo un cambiamento del design urbano per favorire un migliore senso della comunità e scoraggiare l’uso di automobili attraverso una migliore progettazione di piste ciclabili e pedonali. Per chi pianifica e progetta seguendo i principi della smart growth è fondamentale l’assenza di copy-right nelle pubblicazioni, in questo modo il movimento divulga la conoscenza e l’esperienza effettuata nell’ambito delle città intelligenti, a differenza del CNU che protegge le proprie divulgazioni. Seguendo questo principio è nato lo smart
growth Network, che s’incarica di raccogliere i dati e pubblicazioni inerenti alla smart growth, il tutto alla portata delle persone poiché è visualizzabile da chiunque su internet. Il concetto si smart growth è legato a più idee e manifesti; il network raccoglie dati provenienti da progettisti e pianificatori che seguono idee per una visone sostenibile, tra questi:
17 Calthorpe, Peter: The Pedestrian pocket, in Doug, Kelbaugh (ed.) Pedestrian Pocket Book, 1989
36
•
New Urbanism
•
New Community Design
•
Sustainable Development
•
Traditional Neighborhood Development
•
Resource Stewardship
•
Land Preservation
•
Preventing urban sprawl
•
Creating Sense of Place
•
Development Best Practices
•
Preservation Development
•
Triple Bottom Line (TBL) Accounting - People, Planet, Profit
•
The Three Pillars - Human, Natural, and Created Capital
37
2.2.1.1 I principi L'approccio nello sviluppo di città intelligenti è multiforme, e può includere molte tecniche e approcci differenti, proprio per questo la smart growth deve essere vista come un raccoglitore d’idee e principi, dove la propaganda e la divulgazione sono l’obiettivo primario per poter meglio interpretare le evoluzioni della società e dell’ambiente. Per le ovvie ragioni sopraelencate è difficile definire in modo inequivocabile quali siano i principi della smart growth.
“Alcuni gruppi indicano come prioritaria la tutela
dell’ambiente e promuovono quindi una politica molto aggressiva verso lo sprawl, altri cercano un compromesso tra tutela dell’ambiente e crescita economica, altri individuano nella pianificazione a scala regionale una possibile via per attenuare le contraddizioni sociali della metropoli, altri ancora sottolineano l’urgenza di un uso migliore delle risorse e una migliore equità nella distribuzione dei servizi, quali scuole, polizia, vigili del fuoco.”18 Tutti i gruppi che aderiscono a smart growth, presentano un elenco d’indicazioni generali da seguire e delle politiche da predisporre per la prevenzione dello Sprawl urbano. !I principi coinvolgono diverse scale d’intervento e vanno dalla progettazione urbana alla gestione delle risorse finanziarie alla pianificazione regionale. Anthony Downs nel suo libro “What does smart growth really mean” raccoglie sotto il nome di Carta Programmatica Smart 19 i dodici punti fondamentali che vengono ricordati con più frequenza e raccolgono un maggior consenso da parte della popolazione.
Principi della Carta Programmatica Smart 1-
Salvaguardia dello spazio aperto, dell’ambiente naturale e del territorio agricolo
2-
Limitazione all’area urbanizzabile
3-
Insediamenti compatti
4-
Mescolanza di funzioni
5-
Costruzione di reti di trasporto pubblico
6-
Offerta di tipi di edilizia diversificati
7-
Insediamenti adatti ai pedoni
8-
Ristrutturazione e rivitalizzazione delle aree centrali
18 The limitless city, a primer on the urban sprawl debate, Oliver Gillham, 2002 19 Anthony Downs nel suo libro “What does smart growth really mean
38
9-
Intervento sull’esistente e densificazione
10- Insediamenti con un forte senso della comunità 11- Redistribuzione del prelievo fiscale 12- Pianificazione a scala regionale.
2.2.1.2 Critiche
Robert Brugmann, professore di storia dell'arte, architettura e urbanistica presso la University of Illinois di Chicago e autore di Sprawl: A Compact History , ha dichiarato che i tentativi storici per combattere l'espansione urbana sono falliti, e che l'alta densità di popolazione di Los Angeles (attualmente l'area urbana più densa negli Stati Uniti) "è alla radice di molti dei mali vissuti dalla città stessa”. 20 Wendell Cox è un avversario delle politiche di crescita intelligente, e davanti alla Commissione del Senato degli Stati Uniti per l’Ambiente e Lavori Pubblici ha dichiarato, “le strategie della smart growth tendono a intensificare i problemi che proponevano di risolvere.” 21 Cox insieme a Joshua Utt dopo aver analizzati dati sullo sviluppo della smart growth hanno sostenuto che: “La nostra analisi indica che, le attuali ipotesi di pianificazione urbana sono prive di valore, e non diminuiscono la spesa (per abitante) delle pubbliche amministrazioni. Le spese più basse sono nelle aree a maggiore densità e a più lenta crescita, come anche nei comuni più grandi. Al contrario, i dati attuali indicano che la spesa pro capite più bassa tende ad essere nei comuni a media e bassa densità (ma non nella bassissima densità), e si dimostra che i comuni a più rapida crescita sono quelli più recenti. […] Sembra improbabile che l’aumento delle spese, che non sono aumentate negli ultimi 50 anni, a causa dell’Urban Sprawl, possano evolversi nei prossimi 20 anni, nonostante le previsioni contrarie della ricerca del 2000 sul consumo del suolo. Sembra molto più probabile che l’aumento delle spese per abitante nei comuni abbia le sue colpe in fattori politici”. 22
20 Robert Brugmann autore di "Brawl Over Sprawl", LA Times, Aprile 9, 2012 21 Wendell Cox and Joshua Utt, The Costs of Sprawl Reconsidered: What the Data Really Show, Heritage Foundation Backgrounder #1770, The Heritage Foundation, June 25, 2004. 22 Ibidem nota 20
39
La smart growth viene anche accusata di gentrification, e gli ambientalisti ed ecologisti affermano che la civiltà industriale è già andata oltre l’impronta biologica sopportabile dalla terra, e che la smart growth è in gran parte un’illusione. Auspicano, infatti, un’economia di stato stazionario, unica strategia possibile per compensare gli squilibri generati dall’uomo nel corso della sua storia. 23 In Maryland, stato in cui le teorie della smart growth hanno trovato radici, si possono contare innumerevoli progetti di crescita intelligente; eppure uno studio pubblicato nel 2009 ha decretato il fallimento del progetto smart growth, terminando che “dopo dieci anni di progetti smart growth, si può dimostrare che i principi di base non hanno avuto nessun effetto voluto rispetto a un’urbanizzazione convenzionale”. I fattori che hanno influito sul fallimento sono da ricercare nella mancanza d’incentivi nella riqualificazione dei quartieri più vecchi ed anche nei limiti dei pianificatori statali, che per costringere le giurisdizioni locali ad approvare insediamenti ad alta densità in quartieri a bassa densità, oltretutto la popolazione stessa è contro progetti ad alta densità nel loro quartiere. 24
2.2.2 New urbanism In italiano prende il nome di Neourbanesimo è un movimento nato negli Stati Uniti tra la fine degli anni ’80 e gli inizi di quelli ’90 e si fa promotore di riformare tutti gli aspetti del
Real Estate (termine anglofono per definire il settore immobiliare) e dell’Urban Planning. Comprende vari tipi di progetti, dal Retrofits (ovvero aggiungere nuove tecnologie su un sistema vecchio) al Suburban Infill (descrive l’utilizzo di aree urbane lasciate vuote). Nel 1961, Jane Jacobs, attivista e scrittrice canadese, pubblica “Death and Life of Great
American City”, libro che getta le fondamenta del new urbanism, criticando la pianificazione tradizionale, in cambio di un’urbanistica più sostenibile, attraverso l’uso di strategie quali: -
Stop allo Zooning, progettazione di quartieri ad uso misto
-
No a stecche o grossi fabbricati, migliorare la pedonabilità e permeabilità del suolo
-
Edifici
Vecchi
e
Nuovi
insieme
(intendibile
anche
come
differenziazione
architettonica urbana)
23 http://www.hks.harvard.edu/var/ezp_site/storage/fckeditor/file/pdfs/centersprograms/centers/taubman/skilledcities.p df 24 Lisa Rein, Study calls Md. smart growth a flop, The Washington Post, November 2, 2009
40
-
Controllo della densità abitativa
Come disse J. Jacobs nel suo stesso libro, queste strategie sono “quattro generatori di diversità” (“four generators of diversity”) che se sviluppate coerentemente “creano un bacino economico pronto all’uso (“economic pools of use”)”. 25 Complementare allo sviluppo delle basi del new urnanism c’è il lavoro di Lewis Mumford, scrittore e filosofo sociale, che ha condannato, nell’America del dopoguerra, lo sviluppo anti-urbano che dilagava per la nazione. Nel 1993 ad Alexandria, Virginia, sotto il coordinamento di Peter Katz, si tenne un congresso per affrontare e trovare soluzioni ai principali problemi delle città americane. Al primo incontro partecipavano architetti, pianificatori e urbanisti, tra cui Peter Calthorpe, Andres Duany, Elizabeth Plater-Zyberk e Daniel Solomon, e l’obiettivo primario comune era quello di sottoscrivere i dettami del Manifesto del Congress of the
New Urbanism (CNU), che dal ’94 si riunisce annualmente, e dove il numero di iscritti è in costante ascesa. Andres Dunay ed Elizabeth Plater-Zyberk, sono stati i primi ad individuare i 13 punti fondamentali che governano le scelte della new urbanism, questi sono: 1-
LANDMARK; la progettazione deve risaltare sul contesto urbano e deve essere ben
identificabile. Lo snodo per la mobilità pubblica deve essere collocato al centro del progetto stesso. 2-
DISTANZE; le abitazioni devono essere collocate a una distanza massima di 600
metri dal centro. 3-
VARIETA’; (differenziazione abitativa) la progettazione deve indirizzarsi per coprire
tutte le esigenze della futura popolazione. Devono essere studiati alloggi per anziani, famiglie, giovani coppie, poveri e benestanti. 4-
NO ZOONING; negozi, uffici e residenze devono essere progettati come un unicuum,
essi dovranno collocarsi ai bordi del centro. 5-
EDIFICII INDIPENDENTI, o garage; sono consentiti, utilizzabili come luoghi per
lavorare e/o affittabili. 6-
SCUOLA elementare; deve essere collocata nelle vicinanze.
7-
PERCORSI; pedonali e carraie devono essere su tracciati distinti.
8-
PARCHI; devono essere di piccole dimensioni e attrezzati, devono tra l’altro essere
25 Jane Jacobs, Death and Life of Great American City, 1961
41
collocati nelle vicinanze di ogni dimora. 9-
STRADE; devono essere strette e costeggiate da filari di alberi.
10- CENTRO; gli edifici che occupano lo spazio principale del quartiere, avranno l’accesso diretto sulla strada/piazza, creando spazi ben definiti. 11- PARCHEGGI; devono essere collocati nella parte posteriore dell’edificio, e l’accesso avviene attraverso piccoli vicoli. 12- EDIFICI CIVIC; saranno collocati nel centro, dovranno essere ben visibili e distinguibili. 13- GESTIONE; gli abitanti del quartiere si riuniranno in un’associazione che avrà lo scopo di gestire il quartiere stesso, studiando assieme sistemi di manutenzione e gestione economica dell’area.
2.2.2.1 Rapporto tra smart growth e new urbanism Il new urbanism sostiene la smart growth, e la smart growth sostiene il new urbanism. Volendo cercare di stabilire un rapporto fra le due parti, il smart growth può essere visto come un grande contenitore, al cui interno vi è anche il new urbanism e il CNU, che però potrebbe essere considerato come un braccio operativo del concetto di crescita intelligente. Secondo il Congress for New Urbanism la locuzione new urbanism è stata coniata dall’architetto Peter Katz, prima dell’invenzione della locuzione smart growth, anche se quest’ultima può vantare una storia che risale agli anni 70, ancor prima della nascita nel movimento del new urbanism; oltretutto il CNU è iniziato nel ’93, mentre
smart growth smart growth network, in altre parole lo sforzo di propaganda della smart growth, è nato solo nel ’96. Se però si mettessero a confronto i principi dei due movimenti, si noterebbe come le idee di base siano omogenee. Lo scenario urbano, proposto dai due fronti, come scelta alla realtà metropolitana, è in gran parte lo stesso, ed è la riproposizione degli stessi valori di base. Il new urbanism coniuga due aspetti, le politiche d’intervento per predisporre gli oggetti architettonici e metterli in relazione(infatti la Charter of New Urbanism comprende la scala regionale, di quartiere e quella dell’isolato). Lo sforzo ottenuto da queste sinergie prende nome di Transet Diagram (in figura 13), che in sostanza mette in sequenza le zone della metropoli, ordinandole in modo continuo per densità linearmente decrescente. The Lexlcon of the New Urbanism e i vari Urban Codes redatti per i singoli casi, stabiliscono la grammatica degli spazi urbani e i dettagli delle strade e dei percorsi, della edificazione dei lotti e delle distanze, definendo anche l’architettura delle strutture che
42
andranno a costituire il nuovo urbanesimo precisando anche: stile, ritmo delle aperture, colori, materiali.
Figura 13: il Transet Diagram
Il movimento del new urbanism propone dunque disposizione, densità e distanze, ma anche linguaggio architettonico, e da qui la sostanziale differenza con la smart growth, che si limita ad indicare che i nuovi insediamenti siano esteticamente belli, funzionali e che siano sviluppatori della comunità sociale.
2.2.3 T.O.D.: Transit Oriented Devolopment Il TOD si basa su un principio fondamentale che, attraverso le linee
guida
massimizza
T.O.D. transit oriented devolopment
prefissate, l'utilizzo
Schema riassuntivo del principio su cui si basa TOD; ovvero massimizzare le potenzialità di sviluppo di un nodo ferroviario per ridurre i trasporti con le auto e minimizzare lo Sprawl.
dei
trasporti pubblici per la mobilità individuale, ed è un principio di base che accomuna la maggior parte dei progetti di sviluppo
smart growth, e anche la CNU è convinta dell’efficacia di questo sistema.
LEGENDA stazione raggio d’azione TOD
Il TOD, sfrutta le potenzialità di
viabilità ferroviaria
un nodo pubblico, infatti, dal centro
dello
l’espansione
stesso
avviene Figura 14: schema rappresentativo del funzionamento e dello
e/o sviluppo della strategia TOD. commerciale, e solitamente a
residenziale
43
densità alte dove più vicine al centro, e decrescenti poi. Il raggio d’azione del nodo è compreso tra i 400 e gli 800 metri , distanza che è considerata appropriata per essere percorsa a piedi. Gli obiettivi primari di questo principio sono: -
Riduzione di CO2.
-
Migliorare la qualità dell’aria.
-
Massimizzare le risorse destinate alla mobilità pubblica.
-
Migliorare l’equilibrio tra attività residenziali e commerciali.
-
Il progetto in sé catalizza lo sviluppo economico. Il sistema TOD negli Stati Uniti è stato molto utilizzato e, dopo anni di sviluppo, nel 2004 è uscito il libro “The New Transit Town: best practices : Transid Oriented Devolopment”, dove viene citato un discorso del Presidente degli Stati Uniti d’America Obama sul progetto stesso: “Oltre a riconnettere l’America e creare posti di lavoro, modernizzando le nostre infrastrutture, fornendo scelte di trasporto migliore perché persone di ogni ceto sociale possano avere facile accesso ai posti di lavoro, abitazioni di qualità, opportunità di shopping, scuole, sanità e divertimento” continuando il discorso dicendo che “entro vent’anni, il nostro obiettivo è di dare l’ottanta percento di accesso agli americani ai treni ad alta velocità, tutto questo grazie al Transit Oriented Devolopment.” Altri propositi che sono intrinsechi allo sviluppo TOD, sono quelli di creare strade che abbiano un linguaggio estetico attraente e soprattutto che siano pedonali, per questo gli edifici devono enfatizzare la mobilità a piedi e i quartieri sorgeranno su spazi compatti ad alta densità. Come la smart growth e il new urbanism, il Transit Oriented
Development è nato come mezzo di contrasto all’Urban Sprawl, per esempio la città di Ottawa ha stilato delle linee guida (City of Ottawa, 2007) per fornire orientamenti per valutare, promuovere, realizzare insediamenti di Transit Oriented Development. Le linee guida si applicano a tutto il territorio cittadino nelle aree entro 600 metri da una fermata o da una stazione dei mezzi di trasporto pubblici veloci, e in modo coordinato con le scelte del Piano Regolatore.
44
2.2.4 Densificazione
“Se l’architettura intende ritrovare un ruolo nella società del futuro deve riconquistare il territorio. E lo deve fare con gli stessi strumenti che ha messo a punto nella storia, quella moderna partitamente, ossia quella costruita per controllare ed esprimere i contenuti dell’urbanesimo connesso alla rivoluzione industriale, che ha interessato il nostro continente negli ultimi due secoli. Ma deve fare anche un passo avanti nella direzione della mutazione che sta coinvolgendo la citta e il territorio.” Raffaele Panella Come si è visto nei capitoli precedenti, smart growth, new urbanism e TOD, sono d’accordo nell’affermare che lo sviluppo di un progetto di quartiere sostenibile parte da due criteri di base: una città compatta e una mobilità pubblica ed efficiente. Congestione, città compatta, rarefazione urbana, dispersione, urban sprawl, città diffusa,
gentrification, affollamento, sono tutti termini che rimandano alla densità urbana al rapporto tra consistenza architettonica e superfici antropomorfizzate. 26 Nel corso dell’ultimo secolo il carattere della densità ha funzionato da catalizzante dello sviluppo urbano, o nel tentativo di fondazioni di nuove città, questo perché la densità rappresenta un termine di raffronto quantitativo, poiché espresso con un’unità di misura (in Italia solitamente è Abitanti/ ettaro (ab/km2)).
2.2.4.1 Le istanze della popolazione e l’interscalarità della densità Lo studio della densità porta ad affrontare un nuovo soggetto, in altre parole la volontà delle persone di vivere “La casa di proprietà”; questa dovrà essere possibilmente con giardino e un forte senso di privacy e sicurezza poiché queste sono le aspirazioni (e a ragion veduta) della maggior parte della gente. La presa di consapevolezza, da parte delle nazioni che “la casa di proprietà” per ogni abitante, al mondo, è impossibile da garantire, per motivi ambientali e logistici, ha generato l’idea che la bassa densità, voluta dalla popolazione non è sostenibile. Come disse J. Jacobs, nel libro The Death of American Cities” (già citato nel paragrafo del new urbanism), “[…] una delle ragioni per cui comunemente le basse densità sono considerate come un fattore positivo, è che spesso si fa confusione tra elevata densità di
26 Luca Reale, densità/ città/ residenza, Gangemi Editore spa, Roma, 2004
45
abitazione e sovraffollamento. Elevata densità di abitazione, significa un alto numero di alloggi per ettaro; sovraffollamento vuol dire invece che troppe persone abitano in un alloggio in relazione al numero dei vani che lo compongono”. Studiare la densità urbana vuol dire tornare a “misurare” lo spazio che utilizziamo. La misurazione della densità può assumere scale differenti, poiché secondo quello che prendiamo in considerazione, otteniamo risultati differenti; la densità può essere considerata a scala regionale, come anche su quella cittadina o su scale minori, come quella dell’edificio.
2.2.4.2 FAR: Densità territoriale e densità fondiaria Per spiegare in maniera esaustiva ed esemplificativa le potenzialità dell’utilizzo del rapporto di densità, bisogna in primo luogo distinguere Superfice Territoriale e Superficie Fondiaria; la prima comprende le aree edificabili e quelle destinate alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; la seconda invece corrisponde invece all’estensione dei singoli lotti. Secondo le superfici utilizzate si può parlare di densità territoriale e densità fondiaria, che a loro volta portano alla definizione di densità di superficie, in altre parole la superficie utile lorda denominata FAR (dall’acronimo inglese; floor air ration, unità di misura m2/ m2) che a sua volta può essere suddivisa in FAR territoriale e FAR fondiaria. Il valore espresso dal FAR può essere uguale per aree uguali (come in figura 15), ma con diverse disposizioni e uso del suolo, come per esempio in due lotti di egual misura, in cui nel Figura 15: FAR uguale, per aree uguali.
primo caso sia occupato il 100%
del
suolo e con un piano, mentre nel
secondo caso è occupato al 50%, ma su due piani; nel primo caso avremo il 100% di superficie impermeabile, nel secondo avremo il 50%.
46
Il FAR è un valore strettamente legato con il numero di alloggi, infatti, a FAR più alto corrisponde un numero più alto di alloggi. Il discorso fatto finora in questo paragrafo porta alla presa di visione di alcuni esempi di densità e di rapporto FAR, considerando tutti gli esempi su un ettaro, come in immagine 16. 27
Figura 16: esempi di FAR in rapporto a degli edifici, con la rappresentazione per ogni caso della situazione
2.2.5 Casa bassa ad alta densità Per creare un connubio di privacy, senso d’identità e conferire al tutto carattere urbano, mantenendo pur sempre un’alta densità, si è voluto analizzare l’idea e lo sviluppo delle
Case Basse ad Alta Densità, una metà via tra progetto architettonico e pianificazione urbana. L’importanza di orientare l’urbanizzazione verso un edificio compatto non si limita soltanto a un criterio quantitativo, ma è parte del processo di rivalorizzazione del modo di vita urbano e di creazione di un ambiente denso e sostenibile, che offra una buona soluzione alla casa monofamiliare. La casa bassa ad alta densità può essere re-interpretata come un laboratorio di sperimentazione e di possibilità d’intervento particolarmente prolifiche, perché in termini
operativi
rappresenta
uno
spaccato
di
realtà
urbana
di
dimensione
sufficientemente ampia per fare appello a criteri di sostenibilità non ristretti a un singolo
27 ibidem nota 26
47
edificio; le dimensioni raggiungono quelle di un quartiere, s’innescano nuove dinamiche sia sul piano sociale sia su quello economico, per la forte attrattiva intrinseca del manufatto stesso. La casa bassa ad alta densità riveste quindi una particolare importanza nella gestione degli spazi pubblici, nella realizzazione di edifici ecologici e autosufficienti sul piano energetico, negli interventi per promuovere l’integrazione sociale e intergenerazionale, o nelle azioni per sostenere il traffico lento, presentandosi così quale spazio privilegiato per l’attuazione dello sviluppo sostenibile. Tutta l’opera di Louis Sauer, definita da alcuni storici come “enigmatica”, è la base del concetto di casa bassa ad alta densità, ma negli anni ’60/’70 (periodo in cui si concentra il suo lavoro) che nasce come soluzione all’urbanistica tradizionale ed ha come obiettivo primario il contenimento dell’Urban Sprawl. Dalla metà degli anni Sessanta, in particolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, si è cominciato a pensare a una riduzione delle altezze e a un tessuto edilizio continuo e densamente costruito, i criteri di base si fondano su quattro principi fondamentali: 1) Raggiungere densità fondiarie “bilanciate” nell'ambito urbano (350-550 ab/ha) attraverso l'uso di corpi di fabbrica non eccedenti i quattro piani sopra terra. 2) Dotare ogni alloggio di un più elevato senso d’individualità attraverso le chiare identificazioni di singolari elementi di accesso, il più possibile direttamente dal suolo. 3) Eliminare gli spazi di cui non sia prevista una precisa territorialità; in particolare privatizzare grande parte delle aree esterne del complesso con ambiti di pertinenza diretta degli alloggi. 4) Sostituire alla separazione tra le case, le strade e gli spazi, la continuità della fabbrica attraverso un sistema a "tappeto" di edificazione. L'architetto americano Louis Sauer è uno dei pionieri dell'applicazione concreta di questi principi. Sauer ha realizzato molteplici interventi di questo tipo anche all'interno della città storica.
48
2.2.5.1 L’opera di Louis Sauer a Society Hill
Louis Souer è l’architetto che ha operato a Society
Hill
(Philadelphia,
USA)
con
maggiore continuità nel quartiere, egli ha realizzato
un
centro
commerciale
e
numerose residenze, adottando per la prima volta la strategia Low rise- high
density (che in italiano prende il nome di case basse ad alta densità). Society Hill è un quartiere che sorge al margine orientale della citta, lungo il fiume Delaware, a Philadelphia. Sul finire del XVII secolo le attività all’interno del quartiere
sono
caratterizzate
dalla
presenza dell’attracco delle imbarcazioni e dal relativo rifornimento alimentare a Figura 17: quartiere di Society Hill a Philadelphia. tutta la città. Per tutto il XVIII e per parte del XIX, le originarie costruzioni lignee georgiane sono progressivamente sostituite da quelle federali in mattoni. Agli inizi del ‘900 inizia il processo di abbandono del quartiere e inizia il deterioramento del patrimonio edilizio e dagli anni ’50 il quartiere si riempie di magazzini e depositi. L’occasione per la realizzazione d’interventi concreti nelle aree urbane, e quindi il recupero di Society Hill, viene fornita
dal programma federale urban renewal, che
sostanzialmente distribuiva fondi alle casse delle amministrazioni locali per favorire un rinnovamento urbano. 28 Scelte
espressive-
Interno
ed
esterno:
Nell’opera di Sauer l’elemento fondamentale della sua opera sta nella dicotomia tra interno ed esterno. Per l’architetto il principio che sta alle origini del suo operato si concettualizza nella
differenza
tra
quello
che
l’edificio
racchiude (il dentro) e quello che esso rivela all’esterno (il fuori). L’edificio ha due ragioni Figura 18
28 Saggio Antonio, Un architetto americano, Louis Sauer, Roma, Officina Edizioni, 1988
49
di essere, risponde a due mondi; da una parte c’è l’individuo (e la sua famiglia), dall’altra c’è la società. Sauer si oppone sia alla spersonalizzazione, sia all’atomizzazione dell’individuo; il primo concetto si riferisce alla prevalenza della sfera pubblica su quella privata, il secondo è l’esatto opposto, e si racchiude nel detto “a ogni uomo il suo castello”. Sempre secondo Sauer, un complesso residenziale deve avere un interno, che rappresenti l’individuo e l’istituzione domestica, e un esterno che risponda alla situazione e alla relazione con la città, in altre parole quella parte d’insieme che rappresenta la società. Pubblico e Privato: La dicotomia tra interno ed esterno sono cosi vicini a quella di
pubblico
e
privato
da
potersi
sovrapporre quasi completamente. Tale rapporto contribuisce a determinare dei progetti di Sauer l’organizzazione degli ambiti
spaziali,
soprattutto
infatti,
l’architetto
sviluppa
in
pianta; Figura 19: foto di un patio interna di una casa a
particolari
Society Hill.
soluzioni planimetriche distributive, come il patio, che assumono però un ruolo organizzatore della casa, un metaforico fulcro simbolico.
2.2.6 Woonerf
Un woonerf (in lingua olandese: area condivisa) è una strada dove pedoni e ciclisti hanno la precedenza e dove, grazie a una serie di accorgimenti, gli automobilisti sono costretti ad adottare comportamenti di guida più prudenti. Concepiti originariamente in Olanda (furono approvati ufficialmente dal governo nel 1976) dove sono abbastanza diffusi, sono presenti anche in altre nazioni europee (Danimarca, Svezia, Austria, Svizzera , Germania, Francia, Gran Bretagna Italia), ma anche nel
Nord America. I woonerf
prevedono l‘uso di misure di traffic calming cioè misure fisiche tali da ridurre l’impatto negativo degli autoveicoli, come dossi, attraversamenti rialzati, chicane, rotatoie, isole centrali rialzate.
Questo nuovo paradigma permette ai pedoni, alle auto e alle biciclette di collaborare senza problemi. Il disegno fisico delle strade richiede tuttavia velocità più basse per le
50
auto che però ne aumenta la sicurezza, il comfort e la pedonabilità. Con il woonerf si tiene anche in considerazione la necessità di minimizzare l'impatto del parcheggio, infatti, la larghezza delle strade e opportunamente ridimensionato. Questa scala rafforza l'urbanistica e il comfort pedonale delle strade, piazze parchi e piazze. Anche se le auto sono consentite, devono però da considerarsi come "ospiti" all’interno del disegno urbano, infatti, la progettazione del design del paesaggio è ciò che elimina la gerarchia tradizionale, e naturalmente, si traduce in una velocità di viaggio dei veicoli a motore di circa 10 km orari. Così un woonerf Figura 20: foto di un woonerf in Danimarca scoraggia, ma non impedisce, alle auto dei residenti di utilizzare la strada. Tipicamente l'intero spazio dalla costruzione anteriore a quella frontale è progettato con marciapiedi separati o anche cordoli e cunette (in figura 20). I woonerf sono integrati con la progettazione tradizionale e possono anche prendere il nome di Home Zones,
Shared Spaces, or Shared Streets. La progettazione di woonerfs si rifà ad alcuni punti principi che sono: 1- Includere lo stesso numero di posti auto su strada come esistente (ogni 20 metri lineari di marciapiede è possibile situare un parcheggio); 2- Mantenere la corsia di fuoco di 6 metri di larghezza netta, tra le funzioni verticali, entro quali, i materiali utilizzati possono variare. 3- Le pavimentazioni dovrebbero indicare che l'intera area è per basse velocità, asfalto nero e calcestruzzo normale sono scoraggiati. L'intera superficie pavimentata a woonerf deve essere "stabile, ferma e antiscivolo". 4- Utilizzare elementi di design urbano, come per esempio: alberi, fioriere, parcheggi perpendicolari o paralleli. Questo serve per aggiungere interesse visivo e per abbassare le velocità del traffico. 5- Fornire posti in cui i bambini possano giocare e ai residenti di incontrarsi e chiacchierare. 6- Il design dovrebbe essere auto-forzato e l’area a
woonerf deve essere segnalata con cartelli, come nell’immagine 21, cosi ché chi entra nell’area sappia a quali regole deve attenersi.
51
Figura 21: cartello segnaletico che indica l’inizio di un quartiere progettato a woonerf
2.2.6 Esempi applicati alle strategie esaminate L’interscalabilità della sostenibilità può essere presa come una filosofia, ossia, se presupponiamo che a ogni scala di un processo abbiamo una specifica azione-reazione, allora, allo steso modo bisogna osservare le dinamiche che intercorrono tra corpo-organi e poi anche organi-cellule, per questo gli esempi che esporrò qui di seguito, saranno suddivisi in due parti, la prima dedicata alla scala di quartiere (corpo-organi) -quindi si parlerà della connessione con la città, ma anche della strategie intrinseche del progetto urbano stesso-, la seconda parte, invece, tratterà esempi più intimi (organi-cellula), infatti si cercherà di esporre la dinamica che il connubio della casa bassa ad alta densità riesce a proporre tra quartiere e privacy.
3.2.4.1 Esempi di Quartieri Sostenibili In questo paragrafo si vogliono approfondire con esempi e immagini le strategie sopra esaminate. I quartieri presi in considerazione sono quattro, ognuno dei quali ha caratteristiche peculiari che ne fanno risaltare le loro caratteristiche all’interno dello scenario dell’urbanistica sostenibile, ed è proprio delle loro peculiarità che si vuole approfondire l’argomento.
Quartieri Vauban Basato sul risanamento delle storiche caserme dell’esercito francese a sud del centro della città di Friburgo, il nuovo quartiere che ne ha occupato il posto è stato suddiviso nella progettazione urbana in tre parti con tempistiche di costruzione differenti: il primo dal ’97 al ’01, il secondo dal ’99 al ’05 e l’ultimo dal ’03 al ’08. Un sistema di trasporti pubblici ben pianificato, la precedenza ai pedoni e ai ciclisti
52
nell’organizzazione delle strade urbane, un buon sistema di differenziazione e riciclaggio dei rifiuti domestici e uno sfruttamento dell’energia solare diffuso e integrato nel costruito sono i fondamenti di questo quartiere sostenibile. Più della metà degli spostamenti che avvengono nella città, si compiono in bicicletta, infatti, sono circa 160 Km le piste ciclabili collegate alla città, a tram o con la rete ferroviaria regionale. Alcuni
degli
effetti
positivi
“indiretti”
della
progettazione del quartiere Vauban sono la creazione di 10.000 posti di lavoro in campo ambientale, oltre a un parco tecnologico incentrato sull’industria biotech, nato grazie all’azione congiunta di aziende, università e autorità locali. Principi di pianificazione -
Creazione di abitazioni in prossimità del centro città
-
Commistione delle funzioni abitative e lavorative
-
Creazione di alloggi per differenti categorie sociali
-
Lotti piccoli e medi per consentire la creazione di differenti stili abitativi.
-
Conservazione/sviluppo delle aree verdi esistenti e creazione di nuove
-
Smaltimento naturale e uso delle acque piovane
-
Priorità dei trasporti pubblici, creazione di vie pedonali e ciclabili
-
Allaccio di tutti gli edifici alla centrale termica comunale.
-
Tutti gli edifici a basso consumo energetico
-
Creazione di un centro di quartiere con negozi e servizi di necessità quotidiana
-
Creazione di un ambiente accogliente per famiglie e bambini
-
Costruzione di una scuola elementare e altri servizi per bambini
-
Attiva partecipazione della cittadinanza al progetto
53
Quartieri BED ZED
Questo quartiere in particolare, è per dimensione in pratica uguale a quello che andrò ad analizzare nel progetto, per queste ragioni sarà posto un occhio di riguardo a questo quartiere. Il quartiere BedZED (sigla di Beddington Zero Energy), edificato su un antico sito carbonifero a sud di Londra (Inghilterra): osserva i principi della casa ecologica, cercando
soluzioni
alternative
all’automobile,
per
diminuire le polveri e le emissioni di CO2, con un occhio di riguardo alla questione sociale. Realizzato tra il 2000 e il 2002, si tratta di un progetto pilota costituito da ottantadue residenti e diciotto abitazioni e 1560 metri quadrati di superficie a uso terziariocommerciale e servizi per la comunità come ad esempio un asilo nido, una scuola materna, uno studio medico, un bar, aree sportive. Per la realizzazione di questo quartiere si è costruito un insediamento che non consumi in alcun modo energia fossile, attraverso il 100% di energie rinnovabili. Questo è stato possibile grazie al Zero energy devolopment, che attraverso l’uso di queste strategie sono riusciti nel nolo intento, queste sono: -
Riscaldamento solare passivo
-
Fotovoltaico per la produzione di energia per 40 veicoli elettrici
-
Risparmio del 50% dell’acqua potabile
-
Trattamento ecologico dell’acqua in loco
-
Sistemi naturali di ventilazione eolica Abitazioni: Tutte le abitazioni hanno un affaccio principale a sud e sono dotate di un
54
piccolo giardino, che può trovarsi o terra o sul tetto; al piano terra vi sono appartamenti appositamente pensati per famiglie più numerose, sviluppati su due livelli e dotati di tre camere da letto;
al
terzo
piano
sono
collocati
gli
appartamenti per coppie o per single, con una sola camera da letto. Uffici:
Gli
potenzialmente
spazi alti
di livelli
lavoro di
presentano
occupazione
e
un’attrezzatura che funzionando rilascia calore Figura
22: nell’immagine una sezione climatica, con rappresentato: sopra la all’ambiente, per questo motivo sono spazi che condizione invernale, sotto la condizione stiva.
vengono orientati verso nord; esposizione che
ottimizza la luce naturale del giorno, riducendo l’illuminazione artificiale. Organizzazione del verde: l’appartamento ha a disposizione uno spazio verde a uso privato; in alcuni casi il giardino è sospeso, e si trova nell’edificio prospicente ed è raggiungibile attraverso un piccolo ponte. Inoltre l’architettura del verde è stata realizzata utilizzando prevalentemente piante locali, al fine di incoraggiare e promuovere la bio-diversità. Produzione combinata di calore ed energia: In un edificio a margine del campo di calcio si trova l’impianto di cogenerazione e quello di riciclo dell’acqua. La centrale produce calore ed energie elettrica bruciando legno in trucioli proveniente dalla raccolta locale del verde. Il calore recuperato permette di riscaldare l’acqua, che è trasportata tramite un piccolo impianto di teleriscaldamento alle varie unità del quartiere. Riciclo delle acque: il ciclo dell’acqua invece comincia dai tetti, ricoperti da uno strato di piccole piante. La pioggia è raccolta in cisterne realizzate sotto il livello stradale durante la costruzione delle fondamenta, una per ciascuna casa. Le acque nere e grigie prodotte dagli abitanti di BedZed sono recuperate e riciclate in un piccolo impianto di depurazione. L’acqua così prodotta rientra in circolo tramite una rete secondaria. Camini a vento: La ventilazione è integrata in modo passivo dai camini a vento. I quali generano abbastanza pressione affinché l’aria venga incanalata all’interno dell’edificio, e tramite dei condotti, fornisca aria pulita pre-riscaldata a ogni stanza da letto e al soggiorno, ed estrae aria viziata da cucina e bagno.
55
L’involucro edilizio e i materiali: E’ stato progettato un super-isolamento; finestre a vetro triplo, serre (facciata a sud), pavimenti e pareti ad accumulo termico, buona illuminazione e ventilazione passiva con recupero di calore. Un’ appartamento tipo si sviluppa su almeno due piani e riceve luce ed energia dalla grande serra posta a sud. Le celle fotovoltaiche producono un gioco d’ombre. All’interno di questo spazio trasparente, all’interno del quale, tutte le partizioni, verticali e orizzontali, sono in struttura lignea, solo nelle cellule dedicate al lavoro, esiste una struttura a vista di acciaio. Spazi esterni: La disposizione esterna del quartiere si articola tramite un viale pedonale alberato che disegna l’asse principale, il quale attraverso la “village square”, ossia il principale spazio pubblico di BedZed, si collega con il parco ecologico situato a nord.
Solar City
Il quartiere situato a sud della città di Linz (Austria) propone un importante complesso di abitazioni ispirato a diversi
aspetti
dell’efficienza
energetica,
dalla
costruzione ecologica alla mobilità sostenibile, in grado di accogliere circa 25.000 abitanti. Si tratta del più vasto esperimento insediativo in Europa per quanto riguarda la costruzione sostenibile. A Linz principi di una progettazione sostenibile sono stati tradotti in una complessa strategia progettuale, non limitata
al
progetto
architettonico,
ma
allargata
all’intero impianto urbano basata su criteri di compattezza, densità edificatoria, esposizione al sole, ombreggiamento e tutela delle risorse. L’integrazione con la natura è stata coerentemente raggiunta sia attraverso il progetto del parco pubblico, che concorre a mitigare il passaggio tra natura e antropizzazione, sia attraverso il sistema
56
fluido e continuo degli spazi aperti. L’integrazione sociale, molto forte, è stata raggiunta grazie a: un’attenzione particolare al rapporto tra residenza e luoghi per la vita pubblica vicini, sicuri, e accoglienti; l’impegno dell’amministrazione durante la fase d’insediamento della comunità; la veloce connessione, tramite trasporto pubblico, con il centro città; l’offerta di edilizia di qualità per diverse fasce di utenti. Società: Il masterplan fu strutturato su un modello di città policentrica e inspirato ai principi di “città mista” della Wohnbund 29, per garantire accoglienza, tolleranza ed equilibrio sociale. L’idea di città di riferimento trae forza dalla complessità funzionale all’interno di una dimensione urbana ridotta, articolata in piccole parti autonome, miste e con connessioni multiple, per un utilizzo flessibile di lungo periodo e con l’integrazione di
diversi
gruppi
demografici
e
sociali.
La
composizione
sociale,
composta
principalmente da giovani nuclei familiari, ha permesso la formazione di una comunità basata sulla consapevole condivisione di un ideale di vita comune, incentrato sulla sostenibilità ambientale e sociale. Passeggiando nel quartiere accompagnati dalla presenza diffusa del logo del sole, icona del progetto e motto di un nuovo modo di vivere, si percepisce un senso di auto-riconoscimento ed appartenenza. Economia: Di particolare interesse è la struttura economico-finanziaria che ha permesso la realizzazione di questo quartiere, infatti, i terreni di proprietà comunale sono stati dati in concessione, a prezzi contenuti, a 12 società di sviluppo non-profit che hanno realizzato i comparti edilizi, con un margine di guadagno massimo pari al 3%, e hanno goduto di finanziamenti a tassi di interesse agevolato. La struttura non-profit ha consentito alle società di accedere a prestiti regionali a tassi di interesse agevolato, dell’1-1,5 % dovendo rispettare il tetto massimo di costo di costruzione pari a circa 1.200 – 1.300 euro/mq a fronte di canoni di affitto controllati pari a circa 5,5 – 5,7 euro/mq /mese.
29 Wohnbund è un progetto di ricerca, fondato in Austria nel 1986, basato sulla la pianificazione interdisciplinare per la gestione sostenibile dell’habitat urbano. La competenza sociale, l'indipendenza, la creatività e l'impegno sono la base del filosofia "Wohnbund"
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Bo01
Malmö, cittadina del sud della Svezia, ha deciso di recuperare la zona portuale e realizzarvi un quartiere residenziale. L’attenzione che la Svezia presta all’ambiente è risaputa, ma la conferma continuamente con azioni volte al risparmio energetico e di risorse e il quartiere Bo01 ne è una prova. Coprendo circa nove ettari, l’insediamento è costituito da circa 800 abitazioni di medio bassa altezza, fatta eccezione per la Turning Torso, una torre di 140 metri di progettata dall’ing. Santiago Calatrava. La zona ha, allo stesso tempo, molti aspetti positivi nella sua posizione in riva al mare e vicino alla spiaggia e al centro città. Il porto su cui sin insedia il quartiere, si estende su una superficie di 140 ha e ospiterà circa 30 000 abitanti in circa 20 anni. Due sono gli obiettivi principali del progetto: 1-
sviluppare delle unità abitative autosufficienti in termini energetici
2-
ridurre notevolmente le emissioni di gas serra
La creazione di un dibattito intorno a come viviamo oggi e come vivremo nel futuro, è stato l’input alla base di Bo01, che, infatti, mostra visioni fantasiose di vita futura, dove elevate esigenze di estetica, ecologia e alta tecnologia sono combinati assieme. Bo01 è pensato per essere un progetto pilota, dove vengono testare le tecnologie e le soluzioni che saranno poi applicate su scala più ampia. Le caratteristiche del progetto a Malmö sono le seguenti: Bonifica del suolo: L’utilizzo di brownfield per lo sviluppo urbano del progetto, ha richiesto l’analisi per la contaminazione del suolo, che è stato bonificato e ripulito prima
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dell’inizio dei lavori. 100%, al netto di energia rinnovabile a livello locale: L'uso delle sole energie rinnovabili, ha rivestito un grande ruolo chiave, infatti, la gran parte delle esigenze di riscaldamento, è coperto grazie a una falda acquifera sotterranea che viene utilizzata come accumulatore di calore per i mesi invernali, così come anche l'utilizzo di acqua marina integrato con i collettori solari. L'energia elettrica è generata da un impianto eolico di potenza e, in qualche misura minore, celle fotovoltaiche, produzione di biogas da rifiuti. Trasporti: Il quartiere è progettato per ridurre al minimo le future esigenze di trasporto e la dipendenza dell'automobile, infatti, la creazione di un percorso pedonale e una rete di pista ciclabile, insieme a un sistema di trasporto pubblico ben sviluppato rende Bo01 un quartiere con un limitato uso dell’auto privata. Edilizia Ecologica: L’assenza di sostanze elencate nella lista del Swedish Chemicals
Inspectorate, di materiali pericolosi utilizzati nel processo di costruzione e l’utilizzo di materiali da costruzione riutilizzabili quando gli edifici vengono demoliti, afferma l’ecoquartiere di Malmö un punto di riferimento per i progetti futuri.
3.2.4.2 Esempi di case basse ad alta densità In questo paragrafo si vuole ripercorrere l’evoluzione di casa bassa ad alta densità, infatti, se l’opera che maggiormente ha influenzato l’evoluzione di questa idea è di Louis Sauer, bisogna tuttavia affermare che sperimentazione in questo tema s’incontra anche prima, e naturalmente anche dopo l’opera stessa dell’architetto. Le immagini che sotto saranno mostrate vogliono rappresentare solo delle suggestioni, infatti, se a differenza dei quartieri analizzati nel paragrafo precedente, in questo si vogliono mostrare le soluzioni adottate da architetti e progettisti nel corso del tempo, e in particolar modo l’opera di Sauer, nel progetto di case basse ad alta densità. 1931: Ludwig Hilberseimer, studi sulle aggregazioni di case a patio e variazioni del modulo base, Casa - L “tipo 3” e “tipo E”(in figura 23).
Figura 23
59
1934: Mies van der Rohe, case a patio (in figura 24).
Figura 24
1956: Jørn Utzon, Kingo housing, Elsinore, Danimarca
Figura 25
Louis Sauer 1964 – 1978: Penn’s Landing Square, Society Hill, Philadelphia Tra i progetti sviluppati per Society Hill a Philadelphia, tra il 1964
ed
il
1978,
un
caso
esemplare è quello di Penn’s
Landing Square (1968-1970). Qui
la
combinazione Figura 26: al numero uno la prima proposta del quartiere Penn’s Landing Square, nell’immagine 2 invece la seconda, progetto
planimetrica degli alloggi è il portato a termine. frutto di una complessa ricerca
60
sui metodi di aggregazione e sulle relazioni tra spazio costruito e spazio vuoto; in questo modo, rimanendo all’interno del limite dei quattro piani d’altezza, capaci di offrire una metratura di 35mq utili per ogni abitante, si riesce a raggiungere uno standard che in questa zona è normalmente riferito ad abitazioni di lusso. Nell’immagine 26, al numero uno si osserva la planimetria generale della prima proposta di progetto (1967) che prevedeva la realizzazione di 59 alloggi ed una densità di circa 225ab/ha; mentre al numero 2 si osserva la Planimetria generale del progetto realizzato (1968-70), la densità residenziale è di 460ab/ha grazie alla realizzazione di 118 alloggi.
Figura 27
1969: Governor’s Grove housing, Middletown
Figura 28
61
1968-1969: Locust Street Townhouses, Philadelphia
Figura 29
Edificio Complesso 1991: OMA - Rem Koolhaas Nexus World Housing Fukuoka - Giappone
Figura 30
62
Figura 31
1993-1997: Mansilla + West 8 Borneo-Sporenburg Amsterdam - Olanda
Figura 32
1994-1996: Gigon-Guyer Housing Broelberg I, Kirchberg, Germania
Figura 33
63
2002-2006: Peter Barber, Donnybrook housing, Londra, Gran Bretagna
Figura 34
2006 –progetto non realizzato: BIG - Bjarke Ingels Group Holbæk Kasba Holbæk Danimarca
Figura 35
2007 –progetto non realizzato: Wild Rabbits Architects Habitat Intermediaire, HD*zen Clamart - Francia
Figura 36
64
CAPITOLO III La sostenibilità architettonica
“Il concetto di fine vita va eliminato” Giorgio Busnelli
65
3.1 La situazione attuale
Nel 2008 fallisce la Lehman Brothers, che dà “origine” allo scoppio della bolla speculativa (prima in America e poi con conseguenze peggiori anche in Europa) dal quale ne conseguirà la crisi economica mondiale ancora in atto, prevista anche dalla
Limits to Growth: the 30-Year Update rilasciata nel 2006. Dagli anni ’60 la produzione non è stata più una semplice esigenza o necessità, ma si è installata come l’unico mezzo possibile dello sviluppo. L’evoluzione tecnologica che si è protratta in questi ultimi anni in maniera sempre crescente (senza mai arrestarsi) si è unita in modo del tutto simbiotico con l’economia e la società. Come nel domino la società, è impostata su un concatenamento di molteplici pedine, che sono poste in una situazione ciclica-circolare, in altre parole la prima e l’ultima pedina hanno la sono la stessa, la situazione di queste tessere è stabile, ma se solo una dovesse cadere o essere ricollocata, allora tutte le altre, di conseguenza o cadranno o andranno anch’esse a essere riposte in un altro ordine. I temi sostenibili nati negli anni ’70 hanno creato però un paradosso, poiché se da un lato la sostenibilità era l’unica via possibile per garantire anche ai nostri figli un futuro prospero, dall’altro, l’inserimento di una nuova pedina (del domino) avrebbe sconvolto la dinamica ciclica infinita del processo rompendo l’equilibrio e facendo cadere le pedine. Essendo la situazione circolare qualsiasi pedina che crolla si trascina con se le altre, allo stesso modo l’inserimento di una nuova pedina non è facile, perché riformulare il cerchio, muovendo quindi le pedine, è altamente rischioso. Con la presa di consapevolezza dei temi sostenibili, sono nati numerosi movimenti e strategie che permettono di diminuire la pressione sempre crescente che l’uomo esercita sulla natura; questo è stato possibile solo grazie alla ricerca condotta in quest’ambito, che nel nord dell’Europa ha dato origine anche a movimenti politici che avvantaggiano e gettano le fondamenta nell’impiego amministrativo e normativo di uno sviluppo sostenibile. L’architettura, che come abbiamo già visto è la massima forma di antropomorfizzazione, è all’apice nel campo dei temi sostenibili; mentre altri settori, come quello industriale e produttivo risentono ancora della pressione dei costi energetici e delle politiche che ancora non si sono del tutto formate nel campo dell’ecocompatibilità. Non si può tuttavia
66
affermare che la sostenibilità legata al mondo delle costruzioni costituisca un corpus teorico del tutto formato; al contrario essa contiene ancora al suo interno molte contraddizioni e squilibri. L’integrazione completa tra architettura (intesa come arte del costruire) e sostenibilità dovrebbe essere intesa come aspetto integrante dell’arte del progettare e non come cultura a se stante.
67
3.2 Lo sviluppo delle tecniche costruttive
Se nel capitolo legato all’urbanistica si è voluto introdurre le strategie attraverso un excursus sulla città e sulla morfologia, per poter meglio interpretare i segni “tracciati” dalla storia, in questi paragrafi si vorrà invece indagare sulle origini (e sui sentieri e bivi) delle tecniche costruttive, poiché se dobbiamo studiare l’edificio nell’intero, in altre parole solo il progetto, è necessario studiare in precedenza quali sono stati i temi e le evoluzioni avvenute in questo campo. All’interno del dibattito teorico, tre sono le direttrici per collocare la questione della tecnica delle costruzioni: 1-
l’ambito cosiddetto della normativa, con la relativa discussione sulle modalità
dell’industrializzazione edilizia in Italia 2-
la problematica più propriamente collegata alle tecniche costruttive;
3-
la questione della forma, che ha fatto da scenario al dibattito specificamente
tecnologico, conferendogli, a seconda del periodo, più o meno importanza.
3.2.1 Le origini delle tecniche costruttive Si può considerare che nel decennio 1955- ’65 si possano rintracciare atteggiamenti opposti nei riguardi della tecnica, sintetizzabili in posizioni o di estrema fiducia o di disinteresse radicale, negli ultimi anni i tre ambiti delineati sopra tende a rendersi sempre più autonomi, preoccupati soprattutto di cercare regole valide al proprio interno, piuttosto che aprirsi al confronto con gli altri settori interessati alla realizzazione del prodotto architettonico. 30 Negli anni che seguono l’immediato dopoguerra, il processo di ricostruzione è lasciato a un libero corso: accanto alla speculazione edilizia che portò il nostro paese a un certo degrado ambientale, si nota una situazione di arretratezza tecnologica nel settore edilizio, di cui una delle cause è la dequalificazione professionale della manodopera impiegata. Tutti gli elementi accennati sopra conducono allo scadimento della qualità del prodotto edilizio, ed è proprio per ovviare a questa situazione di arretratezza che si avvia il
30 Guido Nardi, le nuove radici antiche, Franco Angeli, Milano, 1987
68
dibattito sull’industrializzazione, al centro del quale è posta la questione fra architettura e tecnica. Dallo sviluppo tecnologico, e dalle sue applicazioni all’edilizia, gli intellettuali e gli operatori del settore si aspettano la risoluzione dei gravi problemi che riguardano la questione della casa in Italia. Molteplici e in campi diversi sono gli avvenimenti che testimoniano in questo periodo gli interessi per le tecniche e la tecnologia applicata all’edilizia. Nascono nuovi centri e associazioni (come quelle nate dalla Bio-Architettura): nel 1957 il Craper (Centro per la ricerca edilizia applicata ai problemi per l’edilizia), l’Aip (Associazione Italiana Prefabbricazione) e nel 1962 l’Icite (Istituto italiano del Certificato d’idoneità tecnica nell’edilizia). Di estremo interesse è il dibattito che si apre fra i teorici del settore, i progettisti e gli ambienti più avanzati delle forze produttive. L’idea d’industrializzazione edilizia fa un avanzamento: inizia anche in Italia un’attività teorica che si pone l’obiettivo di portare il settore non solo verso una maggiore produttività, ma anche verso condizioni complessivamente evolute, avviando un conforto con le altre nazioni europee. Nasceranno, su due diversi filoni di pensiero, nuove strategie per i modelli, per programmi e per componenti.31 Il concetto di serialità, di ripetizione di un elemento sempre uguale, ritenuti propri di un processo d’industrializzazione, induce a formulare l’equazione: prefabbricazione-uguale-monotonia. Nascono però con questa tecnica a “grandi pannelli” realizzati con calcestruzzo e laterizio nuovi quartieri d grandi dimensioni. I risultati sono però del tutto insoddisfacenti sia dal punto di vista qualitativo che economico. Si consolida la certezza degli effettivi svantaggi di un modello basato sulla prefabbricazione definita chiusa: ma tale consapevolezza è raggiunta solo a livello teorico, perché nella prassi si continuerà a costruire seguendo il modello della prefabbricazione chiusa. S’instaura pertanto già una diversificazione a forbice tra teoria e pratica. La realtà della produzione edilizia rimane arretrata. Lo stesso ambito teorico, nato dalla volontà di fornire un contributo per risolvere l’arretratezza della situazione edilizia italiana, comincia a essere viziato da un eccesso di formalismo meticoloso e meccanico, esprimibile in un processo lineare. Questa cultura tecnologia che pretendeva di utilizzare metodi universalmente validi perché “oggettivi”, ma che, di fatto, poco ha inciso sulla pratica quotidiana del costruire, che entra così ben presto in una fase di declino.
31 ibidem nota 30
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3.2.2 Declino e trasformazioni della cultura tecnologica Il divario nel settore dell’edilizia fra l’evoluzione della teoria e la regressione della prassi, già in luce sul finire degli anni ’60, tende ad accentuarsi nel decennio successivo, infatti, in questo periodo, la produzione edilizia industrializzata subisce un’inversione di tendenza; la dimensione degli interventi cala notevolmente, soprattutto se rapportata alle iniziative precedenti. La dimensione degli investimenti diminuisce nelle grandi aree urbane e nell’ambito dell’intervento pubblico. Contemporaneamente però una quantità enorme di abitazioni è costruita nei centri minori, nelle zone turistiche e nelle regioni meridionali. La discussione in sede teorica sull’industrializzazione edilizia allarga il proprio campo d’intervento e, contemporaneamente, approfondisce l’analisi dei problemi già studiati nel decennio precedente, connettendosi così con i temi più generali di politica edilizia e di gestione del territorio. Esemplificativamente sono in questo i temi delle mostre speciali del Saie di Bologna già negli anni che vanno dal ’70 al ’73 : “politiche, habitat, nuova tecnologia” – “un pianeta da abitare. Requisiti e prestazioni per l‘ambiente costruito e nel 1971, “Per una nuova politica edilizia” con riferimenti all’ambiente e alla salubrità del nostro pianeta senza l’apporto della imminente nascita della Bio-Architettura. Se quest'ampliamento di orizzonti può essere positivo perché allarga i problemi a una scala superiore, inserendosi nel nuovo clima culturale che riscopre la dimensione sociale e politica, esso tuttavia è anche il segnale di un disinteresse per problemi propriamente tecnici, che via via diventerà sempre più evidente, e che riflette allo stesso tempo, una stasi della produzione. E’ alla fine degli anni ’60 che l’orientamento verso un sistema costruttivo ottenuto dall’integrazione di componenti già in produzione è interpretato come un avanzamento tecnologico, che reca in se una maggiore razionalizzazione del ciclo produttivo e nuove possibilità progettuali per l’architetto. Questa strategia è definita come libero mercato di elementi compatibili, vale a dire correlabili tra loro, sebbene prodotti da industrie diverse. La
strategia
per
componenti
quindi
è
interpretata
come
superamento
della
progettazione per modelli e programmi, e come un possibile sblocco per entrambi verso una condizione più progredita sia dal punto di vista tecnologico che progettuale. In quest’orizzonte di problemi si colloca lo studio di una normativa che sia capace di garantire le connessioni fra le componenti e fungere da strumento di guida e controllo. E’ di questi anni l’approfondimento del concetto di norma che, in relazione al processo
70
produttivo, ai suoi compiti e al suo campi di azione, è distinta in normativa esterna e normativa interna. (CNR 32 1973). La normativa esterna si configura come normativa di qualità, la sua funzione consiste nel determinare i requisiti e i metodi di controllo delle presentazioni in un quadro generale rappresentato dal soddisfacimento delle esigenze umane, la normativa interna è la messa a punto di ogni intervento particolare; è formulata mediante disposizioni che informano, controllano e guidano le operazione del processo edilizio.
3.2.3 Tecniche normative ed esecutive Agli inizi degli anni ’80 il dibattito che riguarda il problema dell’abitare si presenta fortemente fossilizzato. Gli ambiti principali rispetto ai quali le discussioni si articolano dal 1955 in poi – quello cioè della normativa e dell’industrializzazione, legato soprattutto alle questioni tecnico-funzionali e a quello accademico, più sensibile alle esigenze estetico-formali- si fanno autonome e ognuna, all’interno del proprio campo, sempre a inseguire regole e modelli auto- fondanti, seguendo sempre un processo lineare nel loro settore. Parallelamente, si assiste da parte delle imprese edili a una nuova tendenza all’isolamento: il settore ricerca modelli e obiettivi esclusivamente al proprio interno, piuttosto che dimostrarsi disposto a lavorarli dopo un confronto col dibattito teorico. Già alla fine degli anni ’70 è riscontrabile la ripresa dell’interesse per il tema dell’industrializzazione, di cui si favoriscono l’aspetto della normativa tecnica e l’incidenza che essa ha nella progettazione. Ma se negli anni precedenti, lo studio della normativa riguardava il tentativo di realizzare un modello scientifico e rigoroso per guidare la progettazione e controllare i risultati, ora la prospettiva cambia, quanto piuttosto l’applicare il quadro normativo a della situazione concrete. Le Istituzioni interessate alla formazione di norme considerate in grado di orientare e promuovere diverse soluzioni progettuali nell’ambito dell’edilizia pubblica, infatti, l’affermarsi di un’industrializzazione aperta capace di coinvolgere la piccola impresa avrebbero bisogno di una “politica tecnica” sostenuta da una normativa adeguata, ma anche di progettisti che conoscano le diverse tecniche, i quadri normativi e la realtà produttiva in cui si trovano ad operare senza peraltro rinunciare all’elemento formale.
32 Consiglio nazionale delle ricerche
71
Mancando questi due presupposti, l’industrializzazione edilizia nel Paese sul finire degli anni
’70 avanza sotto il monopolio delle imprese che badano soprattutto alla
razionalizzazione del loro settore, alla semplificazione del processo produttivo degli interventi. Mentre sono definitivamente accantonati, i paradigmi del movimento moderno ,infatti, si cerca di far recuperare alle costruzioni e ai loro elementi di collegamento con la grande tradizione dell’architettura, avvantaggiando, almeno nelle intenzioni, le azione dell’uomo e l’influenza delle forme archetipe sul suo spirito. “L’architettura post-moderna di matrice europea, legata alla cultura della città tradizionale, ha tuttavia scarso riscontro nell’ampliamento della città contemporanea, mentre l’abbondanza di disegni e di esercitazioni grafiche sul tema dell’ambiente urbano assume una dimensione tale da entrare nel campo della produzione artistica.” 33 In base Alla premessa ”politica tecnica” di cui si accennava, già dagli anni ’70 si sentì comunque la necessità di rilanciare l’attività di normazione nel settore edilizio per passare dalla cultura del costruire a “regola d’arte” a quella della “regola di Qualità”: qualità intesa come risposta appropriata a richieste necessarie conseguenti a determinate esigenze. Il tema centrale della qualità in edilizia è partito da un’impostazione ben precisa poi sviluppata nell’arco degli ultimi vent’anni e cioè: quella “esigenziale” che identifica e “richiede” dall’utenza rappresentate dall’insieme della necessità della quotidianità come il nodo fondamentale del progetto. Cambia così anche il metodo di valutazione della qualità di un oggetto edilizio che deve guardare alla corrispondenza che l’oggetto stesso deve offrire a proposito del motivo per il quale si costruisce, indipendentemente dalla tecnica e dai materiali impiegati. Questo principio fu perseguito dagli organismi che si occupano di normativa tecnica, come l’ISO e l’UNI 34 ,sancendo il presupposto “ogni azione di normazione in campo edilizio deve tenere conto che un edificio viene costruito per rispondere innanzi tutto alle esigenze dell’utenza, in particolar per quanto concerne la salute, il comfort e la sicurezza del fruitore”.
33 Guido Nardi, Op cit. pag. 65-70 (secondo guido nardi, infatti, il post-moderno ha almeno risollevato, ma senza risolverlo, il problema della riqualificazione formale dell’architettura.) 34 ISO, Intenational Standard Organization, fondata a Ginevra nel 1947, ha come attività e obiettivi il raggiungimenti del massimo grado di similarità tra le normative dei vari paesi, stabilire norme basate sul massimo consenso, organizzare lo scambio di informazioni tecniche
72
3.2.4 Tematiche degli anni ‘90 Negli anni ’90 vi è il ritorno della riscoperta delle ”nuove radici antiche”, che indica l’ambiguità del costruire avvallata dal recupero di ciò che risale ai tempi dei primi barlumi dell’architettura, e che è da ricollegare anche alle mutate condizioni dei rapporti sociali e delle nuove innovazioni tecnologiche. Per la prima volta in questi anni il lato sostenibile calca l’onda del periodo e vi è la necessita e il bisogno di rifarsi alla storia, come a prenderne forza. Per la prima volta si scorge la possibilità di migliorare il futuro partendo proprio dal presente, e quindi anche passando per l’architettura, che, infatti, diventa bio e getta le basi di quella che oggi è intesa come Architettura sostenibile. Le previsioni riguardanti lo scenario tecnologico-produttivo del mondo capitalistico avanzato indicano che gli anni ’90 sono da considerarsi essenzialmente anni di transizione. Una prima serie di macro-tendenze, verificabili in tutti i paesi industrializzati, porta a ipotizzare che a livello socio-economico si affermano le infosocietà dove gli addetti al lavoro, invece che maneggiare strumenti e attrezzi, si scambiano informazioni. Il settore terziario prende quindi il sopravento sul settore produttivo industriale e quindi anche su quello della piccola e medio impresa. In Italia si assiste in questi anni ad un incremento in certi ambiti industriali, come quello della moda e del design, l’industria del tempo libero (moda sportiva e attrezzature), la meccanica, la chimica del prodotto e l’ingegneria impiantistica. Gli anni ’90 vedono quindi un ridimensionamento e una ristrutturazione del settore edile-architettonico. Temi come la bio-architettura e lo sviluppo sostenibile (applicate alle costruzioni) stanno muovendo i primi passi nel mondo e negli anni seguenti si assisterà a una irrigidimento del metodo nato in quest’anni per quanto riguarda l’edilizia tradizionale (fatto salva per un indurirsi delle normative tecniche) e nello stesso tempo le considerazioni precedenti sull’architettura sostenibile prendono sempre più piede, fino arrivando ai giorni nostri.
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3.3 Strategie per la sostenibilità architettonica Una costante universale da tenere in considerazione nel concetto di sostenibilità è il fattore tempo. Ogni essere vivente passa tre fasi: nascita, vita e morte; d’altro canto anche ogni manufatto umano passerà per le tre stesse fasi, e l’architettura in egual modo. Un qualsiasi edificio durante la sua “nascita” consumerà suolo e risorse materiali, durante il decorso della sua vita utilizzerà energie finite; come acqua, elettricità e gas e infine quando l’opera muore, la sua demolizione porterà ad aver rifiuti che saranno poi rimessi in natura, generando entropia. Nel corso della storia umana il lato ambientale è stato lasciato in disparte, mentre si compivano passi da gigante su altri due fronti, quello sociale e quello economico, ma uno sviluppo sostenibile è possibile solo grazie alle sinergie che nascono tra la sfera sociale, quella economica e quella ambientale. Se da un punto di vista l’Uomo può essere visto come lo specialista della specializzazione è evidente che una disciplina la cui teoria non si lascia contaminare da altre ipotesi e che si misura soltanto con se stessa non può evolversi in modo uniforme e regolare. Proprio per questo motivo in questo capitolo si vogliono raccogliere le strategie possibili per uno sviluppo sostenibile in ambito architettonico; molte di esse nascono in campi differenti, come l’industria o l’economia, ma gli stessi principi possono essere utilizzati anche in altri campi. Come visto la sostenibilità è un insieme di più fattori ed è quindi impossibile definire la specificità di una strategia etichettandola semplicemente come: ambientale e/o economica e/o sociale; questo perché ogni singola strategia avrà sempre sviluppi nelle altre.
3.3.1 Copiare la natura La sostenibilità può anche essere descritta attraverso le leggi della fisica, partendo dal concetto di entropia, che è la tendenza spontanea al caos e della degradazione continua dell’energia. In altre parole l’entropia rappresenta che, nessuna trasformazione nella realtà può essere considerato ideale. In seguito a ogni trasformazione si genera entropia,
74
quindi l'energia si degrada; per esempio questo vuol dire che non è possibile trasformare integralmente il calore in energia elettrica. Secondo la II legge della termodinamica, ogni trasformazione spontanea di un sistema isolato (per esempio, in termini di energia, il fluire del calore da un corpo più caldo a uno più freddo) è irreversibile e porta a un aumento dell'entropia. Da un altro punto di vista, il fatto che l'entropia aumenti significa che diminuisce l'energia del sistema disponibile per compiere lavoro. L’equilibrio su questo pianeta è dovuto al fatto che le forme di energia che supportano la vita provengono dalla riconversione di energie esterne (neghentropia). L’uomo però intacca gli equilibri di questo pianeta, poiché utilizza energie finite interne, e come visto dal II principio della termodinamica, quando si usano energie di un sistema chiuso, questo tenderà sempre di più verso una situazione di non equilibrio. Una soluzione possibile ai problemi è di copiare la natura, poiché essa è capace di mantenere costante l’equilibrio termodinamico utilizzando solo energie esterne riconvertite, attraverso un processo di “sistema dissipativo”. Una branca dell’ingegneria ha preso il concetto di “copiare la natura” e lo utilizza per i propri scopi, tuttavia, più che d’ingegneria bisognerebbe chiamarlo metodo di approccio e prende il nome è bio-mimetica.
3.3.1.1 La Biomimetica
La biomimetica, dal greco bios, vita, e
mimesis, imitazione, è una disciplina che studia le migliori idee della natura e in seguito imita questi processi per risolvere dei
problemi
umani;
significa
dunque
imitare, ispirarsi al mondo naturale, inteso Figura 37: a sinistra il fiore della bardana, a destra come non antropico, il quale ha selezionato
ingrandimento al microscopio di un tessuto velcro
nel corso del tempo e dell’evoluzione, efficienti sistemi di strutture, sostanze e forme, che possono essere studiate e riprodotte artificialmente.35
La biomimetica non consente solo di ottenere alte efficienze, ma permette anche di ottenere un’alta integrazione con l’ambiente, facendo della natura il trampolino di partenza dell’innovazione tecnologica.
35 Giacomo Chiesa, Biomimetica, tecnologia e innovazione per l’architettura, CELID, Torino, 2010
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Un’invenzione biomimetica, per esempio è il velcro, infatti, questo materiale inventato da Georges de Mestral, copia la natura, e più in particolare il funzionamento del fiore della Bardana, i cui fiori terminano con dei "ganci", che gli conferiscono la capacità di attaccarsi ai vestiti o al pelo degli animali, come in immagine 37. La biomimetica è una scienza particolarmente adatta a fornire valide soluzioni e strumenti per modificare la classica relazione artificiale-naturale, ed è anche essere una fonte di strategie per la trasformazione urbana in chiave sostenibile che sarà la base del futuro delle città. 36
3.3.1.2 la bio-architettura
In questo paragrafo è mia intenzione parlare della bio-architettura (non tanto poiché strategia
per
la
sostenibilità)
come
disciplina
“filosofica”
del
costruire.
La
bioarchitettura, secondo la definizione dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura (INBAR),
è
l'insieme
delle
discipline
che
presuppongono
un
atteggiamento
ecologicamente corretto nei confronti dell'ecosistema. In una visione caratterizzata dalla più ampia interdisciplinarità e da un utilizzo parsimonioso delle risorse, la bioarchitettura tende a integrare le attività dell'uomo alle preesistenze ambientali ed ai fenomeni naturali, al fine di realizzare un miglioramento della qualità della vita attuale e futura.
Storia Le teorie della Bioarchitettura 37 si diffondono nella metà degli anni 1970, grazie all’impegno di alcuni studiosi contro l’impiego di materiali e sostanze nocive artificiali nelle costruzioni. Dalla fine degli anni 80 la bioarchitettura ha tentato di riunificare diverse discipline: studi su impostazioni filosofiche e approcci progettuali preesistenti come quelli dell’architettura organica. La bioarchitettura analizza le condizioni del benessere delle persone in rapporto alle abitazioni e ai luoghi su cui queste sono edificate. La Bioarchitettura prevedere una cooperazione tra varie discipline, cerca di: 1-
dare una risposta sull’origine di alcuni mali che insidiano l’uomo e l’ambiente;
2-
trait de union tra edilizia moderna ed edilizia della tradizione;
3-
una corretta pratica costruttiva in cui tutti i materiali componenti abbiano requisiti
di eco-compatibilità.
36 City futures: architettura design tecnologia per il futuro della città, Milano, Hoepli, 2010. 37 Garofolo Ilaria, Per una progettazione consapevole: contributi alla formazione di una nuova sensibilità progettuale per un’ edilizia bio eco compatibile, Monfalcone: Edicom, 2004
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Approccio Bioecologico Sviluppando i principi fondamentali cui si riferisce una progettazione eco-compatibile, si può parlare di: -
Salute del corpo: che presuppone scelte rivolte a evitare localizzazioni erronee del
fabbricato, escludendo l’impiego di materiali tossici ed inquinanti e cercando di creare le condizioni ottimali di illuminazione, ventilazione e riscaldamento dei locali; -
equilibrio e salute dello spirito, che presuppone una ricerca rivolta ai ritmi vitali
dell’uomo (respirazione, metabolismo, sonno) come spunto per una progettazione di interni ed esterni proporzionati secondo regole armoniche; -
armonia con gli ecosistemi naturali, che comporta l’eliminazione degli sprechi
nell’uso delle risorse materiali ed energetiche e il controllo delle possibili forme d’inquinamento. I principi fondamentali per operare nel rispetto dell’ambiente e mediante l’impiego di materiali, tecniche, forme e tecnologie non alteranti sono: -
lo studio della geo-biologia (disciplina che studia le interazioni a livello psicofisico
tra le caratteristiche geofisiche di un particolare luogo e gli organismi viventi ivi residenti, in maniera permanente o a cicli regolari) o dei fenomeni legati all’influenza del sottosuolo e dell’ambiente in genere. Si tratta di analisi mirate alle nuove tecnologie e alla loro diffusione, tra queste si possono citare i campi elettromagnetici (dovuti a impianti telefonici o a cavi d’alta tensione), il radon (e quindi la radioattività) e delle cariche elettrostatiche (riferito alla ionizzazione dell’aria in negativo, materie plastiche e in positivo, materiali naturali) ecc.; -
e ricerche sui materiali e sui prodotti edilizi impiegati sia a livello di idoneità
biologica (materiali che non emettano VOC) sia a livello produttivo (che non emettono sostanze nocive durante la loro produzione) -
l’aspetto produttivo dei materiali inteso anche in rapporto alle risorse disponibili,
alla loro rinnovabilità, al consumo energetico richiesto in fase produttiva, alle ripercussioni sull’ambiente per la loro produzione -
gli aspetti caratteristicamente progettuali d’impostazione dell’edifici nell’intorno
bioclimatico (collocazione in rapporto al microclima del luogo, alle condizioni d’insolazione, ai venti dominanti, alle fonti di rumore) -
gli aspetti energetici che subentrano a livello di gestione (come nel caso dell’uso
dell’energia solare per la produzione di energia elettrica o acqua sanitaria calda) -
gli aspetti relativi al comfort ambientale (benessere igrotermico, acustico, olfattivo
illuminotecnico).
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3.3.2 Criteri progettuali sostenibili
“Verso settentrione gli edifici debbono essere a volta, ben chiusi e senza aperture, ma rivolti verso le parti calde. Al contrario, sotto l’impeto del sole nelle regioni meridionali, ove il calore opprime, le costruzioni devono essere aperte e rivolte a settentrione e all’aquilone. Cosi , il difetto di natura, si deve emendare con l’arte” Vitruvio, De Architettura Libro VI-1,2, 27- 15 a.C. La riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2, sono due degli obiettivi primari e chiave delle politiche internazionali ed europee, infatti, l’Europa ha ratificato il Protocollo di Kyoto. Come abbiamo già visto, il settore edilizio è uno dei campi strategici da orientare verso questi obiettivi, infatti, bisogna considerare che il settore delle costruzioni, da solo sia responsabile del 40% dei consumi energetici e anche del 25% delle emissioni di anidride carbonica. Una riduzione dei consumi e delle emissioni passa in primo luogo da una buona progettazione; in questo paragrafo, infatti, si vogliono ripercorrere quali siano le strategie applicabili al singolo edificio. Vi è tuttavia una premessa da fare, infatti, le strategie applicabili ad un singolo edificio sono da considerarsi di due tipi; le prime prendono il nome di “strategie passive”, ossia il loro funzionamento non è vincolato a nessun tipo di energia “interna”, ma utilizza quelle “esterne”. La seconda, invece, utilizza fonti di alimentazione solamente esterne. Negli ultimi anni si è riusciti, attraverso l’utilizzo simultaneo delle due strategie citate, a ottenere case passive, in altre parole edifici che riescono a provvedere al 100% del loro fabbisogno energetico, per ottenere questo obiettivo bisogna analizzare tre aspetti della progettazione, questi sono: -
edificio ed involucro, ossia il risparmio energetico
-
efficienza energetica, in termini di impianti
-
produzione di energia, attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili
La bioclimatica è la disciplina che meglio ha tracciato le strategie riguardanti la capacità di contenere il fabbisogno di energia e di garantire, oltre al risparmio, anche alti livelli di
comfort. Per raggiungere questi obiettivi la bioclimatica teorizza una progettazione attenta alle condizioni climatiche e geografiche tipiche del luogo in cui la progettazione si andrà a insediare, questo per sfruttare al meglio le risorse energetiche del clima e del
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macroclima, come venti dominanti e irraggiamento. Nel suo libro intitolato Design with climate, scritto nel 1958, Victor Olgyay fonda le argomentazioni sulla bioclimatica partendo dalla disciplina fondata da Kopen, all’inizio del novecento (lo studio di Kopen si fonda sulle interazioni tra clima e vegetazione nelle varie regioni della terra, la bioclimatica in parole povere rappresenta il “disegnare con il clima” in maniera razionale. Una progettazione che segue i principi della bioclimatica, è un progetto che riesce a raggiungere un contenimento dei consumi energetici, grazie all’utilizzo di strategie prettamente passive, riducendo al minimo il ruolo dei sistemi attivi, ossia degli impianti (solitamente tecnologici e costosi). Questo tipo di edificio prende il nome di “passivo” per disegnare quella tipologia nella quale si abbina la capacità di usare fattori climatici favorevoli, con la capacità di conservarle, come anche quella di ostacolare quelli sfavorevoli. La casa passiva si caratterizza quindi nella sua progettazione in fattori chiave, che possono essere suddivisi in, strategie passive e attive, le prime sono nell’ordine della buona progettazione, le seconde sono innovazioni tecnologiche applicate. Prendendo in visione solo le strategie cosiddette passive esse sono: 38 Strategie passive: -
orientamento, attraverso l’osservazione del sole e dei venti predominanti
-
rapporto Superficie/volume ottimizzata (compattezza)
-
isolamento dell’involucro opaco e trasparente ad altissima prestazione (prestazione)
-
dimensionamento involucro trasparente (apporti solari)
-
tenuta all’aria dell’involucro
-
assenza di ponti termici
Come detto per quanto invece riguarda le strategie attive, esse sono caratterizzate da una grande tecnologia alle spalle, infatti, sono strumenti o mezzi che permettono di migliorare sia l’efficienza energetica dell’edificio (come per esempio l’applicazione in progettazione di un sistema di ventilazione meccanica controllata con recupero di calore) sia il suo sostentamento, grazie, per esempio, l’utilizzo di cellule fotovoltaiche e di collettori solari. Tuttavia questi strumenti “attivi”, sono sì molto performanti, ma al contempo stesso sono spesso da considerare come lusso, poiché i costi economici per potersi permettere queste strategie sono alti, proprio per questo in questi paragrafi non
38 Ponzini Carlo, L’edificio energeticamente sostenibile : materiali contemporanei per il risparmio energetico, Santarcangelo di Romagna (RN) : Maggioli, 2012
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saranno trattate.
3.3.2.1 Orientamento dell’edificio L’orientamento
corretto
di
un
edificio
è
fondamentale
per
ottimizzare lo sfruttamento delle radiazioni solari sia nel periodo invernale sia in quello estivo, in modo da garantire condizioni di
comfort adeguate all’interno degli ambienti minimizzando il ricorso agli impianti di riscaldamento e raffrescamento. In questo modo è possibile sfruttare l’irraggiamento solare nel periodo invernale, quando la posizione del sole Figura 38: eliotermico
l’asse
è bassa sull’orizzonte e quasi perpendicolare, mentre in
estate, quando la posizione del sole è alta e la facciata
riceve
meno
apporti,
è
possibile
utilizzare schermature orizzontali (come per esempio
frangisole,
pergolati
o
gronde),
rampicanti e alberi caducifoglie per ombreggiare le pareti trasparenti, invece, per le zone poste a nord è pensabile disporre alberi sempreverdi o siepi come protezione dai venti freddi invernali. Nei primi anni del novecento nasceva la teoria, ancor oggi presente in molti manuali per la progettazione, che proponeva la disposizione delle costruzioni lungo l’asse eliotermico (in figura
38)
uniformare
come i
valori
miglior
soluzione
termici
e
per
luminosi,
disponendo gli edifici lungo l’asse nord-sud inclinato di 19°, e avendo quindi le facciate principali rivolte all’incirca verso est e ovest. Le odierne problematiche energetiche e gli studi legati ad esse hanno confutato questa teoria, in quanto
nell’orientamento
eliotermico
la
radiazione solare, pur risultando equamente Figura 39: possibili orientamenti in un edificio distribuita nelle due facciate principali, viene captata solo nei periodi in cui essa è meno utile per il comfort termico. Nella stagione
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invernale, infatti, tale radiazione raggiunge soltanto di striscio i fronti est e ovest, regalando un modesto contributo al guadagno termico proprio quando ce n’è più bisogno, mentre d’estate, sia al mattino che nel pomeriggio, il sole colpisce in maniera molto più diretta le stesse facciate, entrando nel fabbricato attraverso le aperture e surriscaldando eccessivamente l’edificio nella maggior parte della giornata, causando eccessivo scomfort per gli occupanti. 39 L’orientamento migliore di un edificio è quello con il fronte lungo esposto a sud, infatti, orientare l’asse principale secondo la direttrice Nord-Sud, pone maggiori problemi poiché in questo modo le finestre poste a Est e a Ovest ricevono luce solamente quando la posizione del sole è bassa, rendendo difficile la schermatura della radiazione solare. In questo caso è necessario utilizzare schermature mobili, ossia adattabili alla variazione della posizione del sole. Le finestre esposte a nord ricevono radiazione diretta solo in alcune giornate d’estate e, di solito, non hanno bisogno di schermature. In figura 39 sono esposte le tipologie di orientamento più diffuse e spiega anche i vantaggi o gli svantaggi per ogni tipo. Ovviamente il modo in cui si sfrutta passivamente la radiazione solare dipende fortemente dalla località in cui ci troviamo, infatti, nei paesi nordici, si utilizzano ampie vetrate o serre solari che sfruttano il calore gratuito del sole, mentre nei paesi caldi, come per esempio il sud dell’Italia, le aperture sono di più piccole dimensioni e ben schermate, per proteggersi dal caldo estivo. Per quanto invece riguarda l’orientamento interno delle stanze è possibile raggiungere l’ottimizzazione del risparmio energetico e del comfort grazie anche ad un corretto posizionamento dei locali, seguendo l’orientamento troveremo : a Nord: spazi di servizio e ambienti che non richiedono molta luce, come scale, ripostigli,
-
corridoi, servizi igienici; questa organizzazione permette di creare uno scudo tra gli spazi caldi della zona giorno e la parete fredda rivolta a Nord; a Est: l’orientamento ideale per il posizionamento delle stanze da letto, in questa
-
posizione la stanza rimane fresca la sera e i primi raggi di sole permettono un risveglio ideale; a sud: zone prevalentemente dedicate alle attività del giorno, locali di ingresso,
-
soggiorno, pranzo e cucina, dove è necessario avere la massima illuminazione naturale possibile; a ovest: ideale per l’area dedicata al lavoro, come uno studio, in questa posizione il locale
-
39 http://www.architetturaecosostenibile.it/architettura/criteri-progettuali/orientamento-edifici-asse-eliotermico048.html
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rimane fresco la mattina e il primo pomeriggio.
3.3.2.2 Forma dell’edificio Il
rapporto
S/V
come
specificato
nel
Dlg.
311/06 rappresenta il rapporto tra la superficie disperdente e il volume lordo costituente l’edificio. Per ogni rapporto S/V e per ogni località in base ai suoi Gradi Giorno a partire dall’Allegato C del Dlg 311 vengono fissati per interpolazione i valori limite di legge
da non superare espressi in
Kwh/m3 anno (oppure Kwh/mc·anno se tratti di edifici non residenziali). Per ottenere questo valore bisogna considerare che costituiscono superficie disperdente tutte le strutture misurate al
lordo
tra
la
zona
termica
esaminata
e
l’ambiente esterno, il terreno, oppure verso i Figura 40: qui alcuni esempi per capire come
locali non riscaldati. Il volume lordo è definito funziona il rapporto S/V, applicato a dei dalle parti di edificio riscaldate e delimitato dalle volumi semplici e di forme di edificio possibile.
superfici disperdenti. Per rendere minime le dispersioni termiche di un edificio bisogna agire sulla sua forma, infatti, più l’edificio è compatto minore sarà la sua dispersione termica. Il rapporto tra la superficie esterna e il volume prende il nome di “indice di compattezza” detto anche rapporto S/V, dove S indica la superficie e V il volume; minore è tale indice, minore sarà la dispersione termica (come in immagine 40). La forma dell’edificio, inoltre, deve essere determinata in base alle caratteristiche climatiche del luogo in cui sarà edificato. Nei climi estremi la forma tende a divenire compatto per una maggiore difesa alle condizioni ambientali non favorevoli; si prenda per esempio il caso degli igloo che sono emisferici, la massima forma di compattezza. Alle nostre latitudini la forma più indicata è quella del parallelepipedo che consente di controllare la dispersione termica invernale e gli apporti di calore d’estate, permettendo un adeguato sfruttamento della radiazione solare nei mesi freddi.
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3.3.2.3 L’isolamento Altro fattore da tenere in considerazione per minimizzare i consumi di energia è quello dell’isolamento. L’obiettivo è diminuire il fabbisogno termico dell’edificio agendo sui tamponamenti in modo da favorire una buona diffusione del calore all’interno ed evitare la dispersione all’eterno. Il parametro che caratterizza i materiali isolanti, fornendo una misura della loro capacità isolante, è la “conducibilità termica” espressa dal segno λ simbolo greco chiamato lambda), più questo valore è basso, maggiore sarà la capacità di isolamento. Solitamente i materiali da costruzione con i valori λ minori sono di origine sintetica, tuttavia esistono molti materiali di origine organica con una ottima capacità di isolamento, come per esempio il sughero e la lana, ma questi hanno bisogno di spessori maggiori per raggiungere valori di isolamento idonei, aumentando infine il costo dell’opera. La scelta di materiali naturali, a discapito di quelli di origine sintetica si traduce come migliore salubrità degli edifici, infatti, i materiali di naturali sono più traspiranti e fanno si che l’umidità non si condensi nelle pareti.
3.3.3 La circular economy Il concetto di base della circular economy è di passare nel settore della produzione industriale, da un sistema lineare a un sistema circolare. Questo permette di risparmiare denaro, e oltretutto permette di proteggere l’ambiente, siccome il concetto di “fine vita” di un prodotto viene a meno. La circular economy nasce in ambito industriale produttivo, e prevede il passaggio da un sistema di produzione lineare a uno circolare. Questo è il concetto di base della
circular economy, che può essere etichettata come strategia biomimetica, poiché i suoi principi base prevedono l’eliminazione del concetto rifiuto, esattamente come la natura prevede, e prende anche il nome di ciclo rigenerativo o ciclo chiuso. Nel sistema della circular economy si tengono in conto due componenti; la prima di tipo biologico, ovvero che può essere tranquillamente rilasciata in natura, e la seconda di tipo tecnico, ovvero quelle parti che non possono essere smaltite nell’ambiente, ma devono essere riciclate per poi poter tornare nel ciclo produttivo iniziale.
83
3.3.3.1 Le origini della circular economy Nel 1990 David W. Pearce, un economista britannico, ha introdotto per la prima volta il concetto di circular economy, partendo dall’idea già sviluppata in ecologia industriale, che favorisce la riduzione al minimo delle risorse e la diffusione di tecnologie pulite. Nell’economia circolare non solo l’uso dell’ambiente è rispettato, ma anche i rifiuti e i residui della produzione industriale sono ridotti al minimo, come anche i materiali di base sono provenienti da fonti riciclate. Nel 2010, vent’anni dopo la ricerca di David Pearce, nasce la “Ellen McArthur Fundation”; un ente di beneficenza indipendente, con l’obiettivo di ispirare la generazione attuale e velocizzare il processo di integrazione della circular economy nel settore produttivo. Nel 2011 giunge a termine il lavoro commissionato dalla fondazione a McKinsey; questo consiste in un report dettagliato sul possibile sviluppo della circular economy in Europa. I risultati sono stati racchiusi in una ricerca che si chiama “Towards the Circular Economy” , il quale dimostra che se la circular economy fosse applicata a pieno regime nell’industria europea i margini di miglioramento sarebbero significativi e stimabili in 630 miliardi di dollari all’anno di risparmi, cifra pari al 23% dell’attuale spesa in materie prime e a circa il 3,5% del PIL europeo. Nella ricerca si sostiene anche di come l’esaurimento delle risorse naturali nel mondo, è indissolubilmente legata con la generazione di una quantità crescente di sottoprodotti indesiderati, come i rifiuti domestici e industriali e le loro emissioni nocive , che sono da considerarsi tra le più problematiche. I processi industriali e gli stili di vita della popolazione, consumano energie e materie prime, ossia riserve limitate, di cui il prodotto finale ha come destino ultimo, nella stragrande maggioranza dei casi, la discarica.
3.3.3.2 I Principi della circular economy
“Nel nostro lavoro con i nostri clienti, saranno inquadrati i problemi che ci proponiamo di risolvere in una prospettiva d’integrazione di sistemi, e sempre nel contesto, in quanto in natura non cresce niente fuori contesto”. Allen, CEO di Biomimicry 3.8
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Il modello di ciclo chiuso è un approccio biomimetico (vita imita), una scuola di pensiero che prende la natura come esempio e ritiene che i nostri sistemi debbano funzionare come organismi, sostanze nutritive che possono essere reimmessa nel ciclo di lavorazione; da qui il "ciclo chiuso "o" termini rigenerativa "di solito associati con esso. La fondazione Ellen McArthur, sul lavoro di McKinsey, ha stilato un elenco di principi base da utilizzare nella produzione industriale in correlazione alla circular economy, questi sono: 1- I rifiuti sono un “alimento” Il concetto di rifiuto non esiste. Quando le componenti tecniche e biologiche di un qualsiasi prodotto, sono progettate con l’intenzione d’inserirsi all’interno di un ciclo di materiali biologici o tecnici, essi devono essere progettati apposta per lo smontaggio e la ristrutturazione. Le parti biologiche non devono essere tossiche e posso essere semplicemente compostate. I materiali come polimeri, leghe e altri materiali artificiali devono potere essere riconvertiti a materia prima con energia minima. Nelle componenti tecniche il miglioramento della qualità è possibile, e prende il nome di upcycling. La necessità di spostare la composizione dei materiali nel prodotto, da tecnico a biologico, permette di evitare l’estrazione e l’introduzione di materie prime. 2- La diversità come Forza Più uno schema si fa diverso e variegato minori sono gli shock esterni che può subire, questo principio si rifà alle leggi della selezione naturale, quindi è uno di quei processi biomimetici di cui prima si è discusso. Bisogna ragionare non tanto su schemi che portano alla massima efficienza, ma bisogna investire nel processo di diversificazione. “I sistemi naturali si adattano di continuo all’ambiente circostante, con un infinito mix di diversità, uniformità e complessità. La rivoluzione industriale e la globalizzazione, con il loro sviluppo in uniformità e ottimizzazione del profitto, ha portato i nostri sistemi a essere instabili, e per risolvere il problema insorge la necessità di imitare i sistemi naturali per raggiungere la massima diversificazione.” Michael Braungart 3- Utilizzo di Energie Rinnovabili come nella vita, qualsiasi sistema deve produrre energia, e per farlo utilizza fonti rinnovabili. Il non farlo non solo danneggia la possibilità delle future generazioni di raggiungere materie prime, ma soprattutto danneggia in maniera inequivocabile il nostro pianeta. Per questo le fonti di energie prime dovranno provenire da soluzioni rinnovabili.
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4- I prezzi devono dire la verità il prezzo di ogni prodotto dovrebbe rifletterne il costo reale. Seguendo quest’ottica s’innescano delle “regole di gioco” positive che inviano messaggi alla popolazione sull’uso razionale delle risorse. 5- pensare in termini di sistemi capire come funzionano le cose e come s’influenzano a vicenda all’interno del tutto. Se nella linear economy la visione del sistema produttivo industriale era lineare, così era anche il processo logico che ne stava dietro; insorge cosi la necessità di pensare anche al processo logico che sta dietro a quello circolare.
3.3.3.3 Il funzionamento della circular economy L'utilità di spostare la composizione del materiale da componente tecnico nei confronti di componenti biologici è di avere quelle “cascata” che attraverso l’uso in diverse applicazioni prima di estrarre nuove preziose materie prime ed infine re-introdurre le loro sostanze nutritive nella biosfera, completa i principi fondamentali di una economia circolare ristoratore. La Figura x illustra come i prodotti nutrienti a base tecnologica e biologica e del ciclo dei materiali attraverso il sistema economico, ognuno con il proprio set di caratteristiche, che saranno dettagliate nel seguito di questo capitolo.
Figura 41: qui lo schema del funzionamento della circular economy, in questo caso è generica per un processo produttivo industriale.
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beni di largo consumo(o “beni di consumo confezionati”) i beni di largo consumo sono caratterizzati da elevati volumi di throughput, sono quindi beni che vengono acquistati frequentemente e rappresentano un grande volume fisico e sono disponibili a prezzi relativamente bassi. La maggior parte di questi beni hanno una vita molto breve e alcune categorie di prodotti sono letteralmente consumate, altre sono impiegate solo per tempi relativamente brevi o usati solo un paio di volte. Alcuni esempi di questi beni includono bevande, cibo, abbigliamento ecc. La caratteristica principale di questi beni è il loro rapido cambiamento ed evoluzione nel tempo. Riutilizzo dei beni, questo concetto significa ridare vita allo stesso bene riusandolo o rinnovandolo al fine di avere un prodotto per lo stesso scopo nella sua forma originale (o con poco miglioramento o cambiamento). Questo può valere anche per quello che Walter Stahel chiama «beni catalitico», per esempio, l'acqua, utilizzata come mezzo di raffreddamento. Utilizzo in cascata dei componenti e materiali; I materiali e le componenti dopo la fine della loro vita attraverso diversi flussi di valore e di estrarre la loro energia immagazzinata. Lungo la cascata, il loro ordine Materiale flessioni (in altre parole, l'entropia aumenta). Riciclaggio dei materiali; il riciclo al fine di recuperare il materiale nella sua forma più possibile originale si divide in: - riciclaggio funzionale, che è il processo di recupero di materiali per l'originale scopo (o per altri scopi), escluso il recupero di energia. - Downcycling; è il processo di trasformare le materie in nuovi materiali di qualità inferiore, valore economico (e/o di funzionalità ridotta). - Upcycling; è il processo di trasformare le materie in nuovi materiali di alta qualità, valore economico (e/o una maggiore funzionalità). Estrazione Biochimici; questo processo di conversione delle biomasse in prodotti chimici a basso volume, ma di alto valore, avviene all’interno delle “bio-raffinerie”. Questi processi sono combinati per produrre più di un prodotto, alla fine di questa lavorazione si possono ottenere combustibili o prodotti chimici.
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La digestione anaerobica; Un processo che si svolge in assenza di ossigeno in cui i microrganismi abbattono materiali organico, come gli scarti alimentari, i concimi, e i fanghi di depurazione. La digestione anaerobica produce biogas e un residuo solido chiamato digestato. Il primo è composto principalmente da metano e biossido di carbonio che possono essere utilizzati come fonte di energia simile al gas naturale. Il secondo, invece, o può essere applicato su terreni come fertilizzante o compost e utilizzati come ammendante. Compostaggio Un processo biologico in presenza di ossigeno durante il quale i microrganismi (ad esempio, batteri e funghi), insetti, lumache e lombrichi abbattono il materiale organico (come foglie, erba tagliata, giardino detriti e alcuni rifiuti alimentari) in un materiale simile al concime, chiamato compost. Il compostaggio è una forma di riciclaggio, un modo naturale di ritorno dei nutrienti biologici alla suolo. Recupero di energia; La conversione di rifiuti non riciclabili in calore utilizzabile, elettricità o carburante attraverso una varietà di processi di waste-to-energy, compresa la combustione, gassificazione, pirolisi, la digestione anaerobica e recupero gas di discarica. La messa in discarica Lo smaltimento dei rifiuti in un sito utilizzato per i depositi controllati.
3.3.4 Valutazione dei materiali e indicatori ambientali Gli indicatori che andremo ad analizzare permettono un’indagine molto mirata e specifica su alcuni aspetti dell’edilizia, tuttavia, per non dover prendere in osservazione i molti indicatori ambientale presenti in commercio, noi andremo ad analizzare: -
Embodied Energy
-
Metodo LCA
Questi due dati assieme ci permettono di acquisire quel minimo di informazione che ci permetterà di valutare un materiale sul profilo ambientale.
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3.3.4.1 Embodied Energy Con Embodied Energy, detta anche energia incorporata o energia grigia, s’intende la quantificazione dell’energia dissipata per l’ottenimento di un determinato prodotto. Riferendosi alle leggi della termodinamica spiegate, si può interpretare l’embodied energy come l’energia accumulata durante il processo di trasformazione e lavorazione; con la conseguente degradazione dell’energia, che è rappresentata dal prodotto finale. Anche nel caso dell’edilizia e quindi anche dell’architettura, questo metodo può essere applicato all’edificio intero, e il risultato totale viene espresso in Joule (J); l’edificio non viene più visto come “materiale” ma come “energia”. Nel caso particolare dei materiali di origine organica, l’energia incorporata è nulla, poiché non sono state utilizzate le “energie interne” del pianeta, infatti le piante sono processi neghentropici (o strutture dissipative, ovvero che riducono entropia).
3.3.4.2 Il metodo della LCA
LCA sta per Life Cycle Assessment, che tradotto in lingua italiana prende il nome di valutazione ambientale del “ciclo di vita”, che è un metodo di analisi sistematica che valuta gli impatti ambientali di un prodotto (compreso un edificio) sull’intero arco del suo ciclo di vita. La LCA nasce nello stesso periodo del concetto di sviluppo sostenibile, infatti, alla fine degli anni ’70 alcuni ricercatori iniziarono a occuparsi, con criteri scientifici del problema del consumo delle risorse e iniziarono a gettare le prima fondamenta per valutare gli impatti ambientali causati dalla generazione dei reflui nei processi industriali. Allo stesso modo dello sviluppo sostenibile la LCA è definita nel tempo, infatti, è nel 1990 che la società SETAC (acronimo di Society of Environmental Toxicology and
Chemestry) introduce la LCA al mondo. 40 Il metodo LCA è un approccio completo che prende in considerazione tutti i tipi d’impatti ambientali (che prendono il nome di Indicatori) considerando poi gli effetti su tutto il ciclo di vita di un prodotto. Vengono prese in analisi le risorse di ingresso (energie, materiali, acqua) e le emissioni in uscita (in aria, in acqua e nel suolo), vengono oltretutto considerati , come dati d’analisi, le emissioni in aria causate dai trasporti dei materiali.
40 Monica Lavagna, Life Cycle Assessment in edilizia, HOEPLI Milano, 2008
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Uno schema analitico del procedimento permette di comprendere meglio l’approccio della LCA, infatti l’importanza di analizzare gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto, deriva dal fatto che le analisi realizzate su singole fasi o su singoli indicatori d’impatto possono non evidenziare altre fasi o altri impatti altrettanto dannosi. Proprio per questo la LCA è si un procedimento ben definito, ma viste le dinamiche che intercorrono tra un prodotto e l’altro, l’approccio deve essere flessibile e dinamico, e per questo motivo, lo schema seguente sarà solo indicativo e definitivo del metodo LCA stesso.
3.3.4.3 L’Inventario nella LCA
Nel metodo LCA la valutazione degli impatti ambientale passa in primo luogo dalla formulazione dell’inventario. Questa fase procedurale prende il nome di Life Cycle
Inventory ed è ripartito in questo modo41: L’inventario consiste nella descrizione quantitativa di tutti i flussi di materiali ed energia che attraversano i confini del sistema sia in ingresso sia in uscita. Il risultato dell’inventario è la stesura di una TABELLA D’INVENTARIO che mostra tutti gli usi delle risorse, le emissioni associate all’unità funzionale, comprese, ad esempio, tutte le sostanze e i composti chimici utilizzati. Per descrivere tali flussi, il LCA, utilizza i due principi fondamentali della fisica: •
Principio di conservazione della massa.
•
Principio di conservazione dell’energia.
L’inventario è costituito da cinque parti: 1-
Confini del sistema (SYSTEM BOUNDARIES).
2-
Diagramma di flusso (PROCESS FLOWCHART).
3-
Raccolta dei dati (COLLECTION OF DATA).
4-
Regole/problemi di allocazione degli impatti (ALLOCATION PROCEDURES).
5-
Elaborazione dei dati (PROCESSING DATA).
1) Confini Del Sistema; È in questa fase che si definisce più nel dettaglio il sistema:
41 Paolo Neri, Verso la valutazione ambientale degli edifici: life cycle assessment a supporto della progettazione ecosostenibile, Firenze, Alinea, 2007
90
- descrizione qualitativa e quantitativa delle unità di processo - categorie di dati ad esse associate; - ipotesi e assunzioni (trascurare alcuni ingressi ed uscite). Inizialmente ci si concentra sul processo di manifattura, cercando di individuare i passi rilevanti e i flussi di materiali ed energia, nonché le emissioni nell’ambiente. In seguito si estende l’analisi “a monte” ed “a valle” del processo manifatturiero, considerando l’estrazione della materia prima, i trasporti prima e dopo il ciclo produttivo, l’uso dei prodotti, il riciclaggio e lo smaltimento. Prima di costruire nel dettaglio il diagramma di flusso e di procedere con la raccolta dati è bene specificare alcune informazioni riguardanti le unità di misura utilizzate, la loro definizione e i procedimenti per la raccolta dei dati. Al fine di assistere il personale addetto a questa fase, occorre descrivere le tecniche di raccolta dati, che possono variare a seconda delle unità di processo e a seconda della composizione e qualificazione di coloro che partecipano allo studio. 2) Diagramma Di Flusso; Nel PROCESS FLOWCHART si rappresentano le componenti di un sistema che è composto da sequenze di processi (boxes) collegati da flussi di materiali (frecce). Lo schema più rappresentativo, valido per la maggior parte dei sistemi industriali, ha come scopo l’individuazione dei maggiori processi e interventi ambientali e può essere diviso in sette sequenze: -
Produzione principale.
-
Produzione secondaria o co-prodotto.
-
Produzione dei materiali ausiliari.
-
Produzione d’energia.
-
Consumo d’energia.
-
Trasporti.
-
Trattamento rifiuti.
3) Raccolta dei dati; una volta che si è schematizzato il processo si passa alla fase di raccolta dei dati. Questi saranno di due tipi: quelli concernenti i flussi d’ingresso (input) e quelli corrispondenti alle uscite (output). I primi si riferiscono a materiali, trasporti ed energia, gli altri ai prodotti e ai gas rilasciati in aria, acqua e suolo. Lo scopo sarà di comporre un vero e proprio bilancio ambientale per la redazione della quale dovrà essere controllata la qualità dei dati.
91
Questa deve essere valutata sulla base dei seguenti parametri: -
Età dei dati.
-
Tecnologia di riferimento. Processo al quale è riferito il dato.
-
Metodi di calcolo impiegati per ottenere valori medi.
-
Varianza e irregolarità riscontrate nella misurazione.
4) Regole/problemi di allocazione degli impatti; La maggior parte dei processi industriali ha più di un prodotto e ricicla i prodotti intermedi o di scarto come fossero materie prime. I flussi di materia ed energia devono essere allocati ai differenti prodotti secondo procedure chiaramente definite, dove per allocazione si intende la ripartizione nel sistema di prodotto allo studio dei flussi in entrata e in uscita di unità di processo. Lo studio di LCA deve identificare processi condivisi e trattarli con procedure specifiche. La somma dei flussi allocati in ingresso e in uscita da un’unità di processo deve essere uguale ai flussi in ingresso e in uscita non allocati dell’unità di processo. Elaborazione Dei Dati; in questa parte dell’inventario i dati raccolti relativi al ciclo produttivo sono trasformati in una tabella d’impatti ambientali causati dall’unità funzionale in studio (TABELLA DELL’INVENTARIO) Per far ciò si deve disporre di due tipi di dati: 1-
Dati relativi ad ogni processo necessario alla produzione del prodotto (esempio:
quantità d’energia elettrica utilizzata nella produzione, quantità di materie prime necessaria....), disponibili presso l’azienda. 2-
Dati riguardanti l’impatto ambientale del prodotto ottenuto con il processo
considerato. Questi dati devono dopo essere riferiti all’unità funzionale scelta.
Energie e consumo di risorse -
Energia primaria (MJ) rinnovabile e non rinnovabile
-
Feedstock rinnovabile e non rinnovabile
-
Energia elettrica
Consumo di materie prime -
Risorse combustibili non rinnovabili (gas, carbone, petrolio)
92
-
Risorse combustibili rinnovabili (biomassa)
-
Risorse (materie prime) rinnovabili
-
Risorse (materie prime) non rinnovabili
-
Risorse (materie prime seconde) riciclate
-
Consumo di acqua
-
Consumo di suolo
Emissioni in Aria -
CO2 (anidride carbonica)
-
CO (monossido di carbonio)
-
CH4 (metano)
-
SOx (ossidi di zolfo)
-
NOx (ossidi di azoto)
-
HCl (acido cloridrico)
-
HF (acido fluoridrico)
-
NH3 (ammoniaca)
-
SOx (ossidi di zolfo)
-
HCFC (idrofluoroclorocarburi o idrocarcuri alogenati)
-
Ecc.
Emissioni in Acqua -
Elementi solidi sospesi
-
BOD (domanda biologica di ossigeno)
-
COD (domanda chimica di ossigeno)
-
N (nitrogeno)
Rifiuti solidi
-
pericolosi
-
non pericolosi
3.3.4.4 Analisi degli impatti Tale valutazione è un processo tecnico-quantitativo e/o qualitativo per valutare gli effetti degli impatti ambientali delle sostanze identificate nell’inventario. Per impatto ambientale s’intende l’intervento di una sostanza sull’ambiente e/o sull’uomo.
93
Le fasi principali di questo modulo sono: -
Classificazione.
-
Caratterizzazione.
-
Normalizzazione.
-
Pesatura.
Le uniche fasi obbligatorie ai sensi della norma ISO 14040 sono quelle di Classificazione e Caratterizzazione. le informazioni ottenute dall’analisi di inventario costituiscono la base di partenza per le valutazioni di tipo ambientali. Per valutare in maniera appropriata l’inquinamento ambientale causate da un processo produttivo, devono essere tenuti in conto tre diversi fattori: l’emissione, la diffusione e l’eventuale trasformazione delle sostanze inquinanti. Bisogna però precisare come gli effetti dovuti alle sostanze rilasciate nell’ambiente, possano avere effetti sia nelle vicinanze del punto di emissione, oppure possono anche avere effetti su scala globale. Sarà quindi possibile avere tre scale diverse di impatto, una locale, una regionale e una globale.
3.3.4.5 LCA in architettura Il metodo della LCA in architettura può fornire informazioni ambientali di supporto alle scelte progettuali, poiché caratteristica peculiare di un prodotto edilizio è che il prodotto edile che esce dalla fabbrica non è il prodotto finale, ma solo un elemento. La complessità di un edificio deve prendere in considerazione due scale differenti, la prima è costituita dal prodotto “elementare” edilizio (in poche parole le materie prime, già lavorate, che si necessitano nella costruzione) e la seconda è l’opera finita, ovvero il manufatto edilizio completato. Per questo motivo lo schema della LCA precedente deve essere integrato con le due scale, per arrivare a una valutazione completa. Lo schema che segue rappresenta il metodo LCA in edilizia.42
4.3.5 Architettura a km zero L’origine del concetto di Km0 nasce in campo agroalimentare e s'intende la distanza
42 Baldo Gian Luca, Analisi del ciclo di vita LCA: gli strumenti per la progettazione sostenibile di materiali, prodotti e processi, Edizione Ambiente, Milano, 2008
94
percorsa da un alimento dal luogo di produzione a quello di consumo, valutando l'impatto ambientale che esso comporta, in particolare l’emissione di anidride carbonica, molecola capace di incrementare l’effetto serra su scala globale. Secondo la filosofia del chilometro zero, è vantaggioso consumare prodotti locali siccome accorciare le distanze, significa aiutare l’ambiente, promuovere il patrimonio agroalimentare regionale e abbattere i prezzi, oltre a garantire un prodotto fresco, sano e stagionale. S’interrompe così quella catena che è nata con la grande distribuzione, che lavora con i grandi numeri, a scapito della riscoperta del rapporto consumatore-produttore. Il “chilometro zero”, essendo sensibile alla riduzione delle energie impiegate nella produzione, oltre a diminuire il tasso di anidride carbonica nell’aria, porta ad un consumo consapevole del territorio, facendo riscoprire al consumatore la propria identità territoriale attraverso i piatti della tradizione. È un modo di opporsi alla standardizzazione del prodotto, che provoca l’aumento della produttività facendo però perdere la diversità. Il sistema del chilometro zero si esprime attraverso diversi canali, la modalità di vendita più diffusa è quella che si effettua tramite i distributori automatizzati, tipicamente situati nelle piazze o in altri luoghi pubblici. Molteplici sono gli spazi che vengono adibiti alla vendita diretta per gli agricoltori locali all’interno dei mercati comunali e rionali. Come abbiamo visto per la circular economy una strategia che nasce in un settore può essere anche applicata in altri; come anche l’architettura. Utilizzare materiali a km 0, ossia provenienti dal territorio locale (con un raggio max di 60 km), significa ridurre le emissioni di CO2 causate dai mezzi di trasporto. Si tratta di un criterio progettuale nato per ridurre ulteriormente l’impatto ambientale degli edifici. La progettazione con criteri di Km 0, valorizzano i materiali e le tecniche costruttive locali e può avere anche un importante valore sociale e culturale. Con positive conseguenze sull’aspetto paesaggistico. Altra strategia adottata per costruire a km o è il riuso; spazzatura, componenti industriali non utilizzate, materiali abbandonati ecc., possono diventare materiali da costruzione.
3.3.6 L’autocostruzione
95
Con il termine autocostruzione nel campo architettonico s’indicano le strategie per sostituire con operatori dilettanti le imprese che, in una struttura produttiva evoluta, si occupano normalmente della realizzazione dell’edificio per conto dei suoi futuri utenti. L’autocostruzione è un processo fondato su logiche di self-help, per cui, attraverso il coinvolgimento diretto della popolazione beneficiaria e non. Questo tipo di processo si pone come solida soluzione alle problematiche di accesso alla casa e per comprendere quanto realmente sia realizzabile basta osservare gli esempi del nord Europa o le soluzioni dei paesi in via di sviluppo, in cui il concetto di sostenibilità si fonda su basi più profonde che le nostre. L’autocostruzione è un intervento che per portare risultati positivi richiede procedure più snelle e rapide, infatti, è richiesta una maggiore velocità e facilità di costruzione, ma anche necessita di facilitazioni economiche-finanziarie. In Italia si è dichiarato nel 2007 di come il programma di autocostruzione debba uscire dalla fase sperimentale e diventare parte importante del servizio pubblico di edilizia residenziale per i cittadini esclusi dall’edilizia residenziale pubblica e dall’acquisto di edilizia residenziale agevolata, ma anche come possibile forma di social housing. Le seguenti norme costituiscono l’insieme delle Leggi Nazionale e della regione Lombardia in materia di autocostruzione, tuttavia va ricordato come ai fini pratici il quadro normativo risulta essere ancora insufficiente. -
Proposta di legge nazionale n. 3.112, 3 ottobre 2007, “istituzione del Fondo per
l’erogazione di contributi in favore dei soggetti che intendono provvedere, attraverso la partecipazione a società cooperative, alla costruzione della prima casa”. -
Regione Lombardia, dgr n. 8/1.558, 22 dicembre 2005, “Autocostruzuone associata
in affitto: nuove sperimentazione” -
Regione Lombardia, dgr n. 7/20.912, 16 febbraio 2005, “Programma sperimentale di
autocostruzione in affitto.
Assistenza nell’autocostruzione: L’autocostruzione associata in cooperativa è la forma che da più parti è stata individuata come la più idonea a fornire al gruppo di autocostruttore quei supporti organizzativo burocratici che si sono a più riprese rivelati indispensabili per condurre a termine esperienze di questo tipo, queste sono specificate cinque punti43, che sono:
43 Fausto Novi, Criteri e principi per la costruzione facilitata e l’autocostruzione, BE-MA editrice, Milano, 1994
96
-
assistenza procedurale alla scelta del patto associativo e relativa formalizzazione,
alla definizione del programma d’intervento, alla scelta delle combinazione auto/delega, alla assunzione di compito e responsabilità fra i componenti il gruppo, ai rapporti interni fra gli stessi, al corretto avanzamento delle procedure di attuazione del programma con particolare riferimento all’osservanza della normativa esterna (urbanistica ed edilizia) -
assistenza economico-finanziaria alle tecniche di investimento delle risorse interne
(risparmio e valutazione economica delle risorse produttive) nonché al reperimento delle risorse esterne (credito, contributi ecc.) -
assistenza progettuale alle scelte progettuali sia per ciò che riguarda l’assetto
tecnologico, alla formalizzazione degli atti progettuali e relative approvazioni, alla predisposizione degli schemi contrattuali e dei capitolati per l’acquisto di materiali e componenti, nonché all’eventuale appalto di opere edilizie ed impiantistiche. -
Assistenza tecnico-operativa alla concreta esecuzione delle opere, siano esse auto
costruite o delegate, all’osservanza delle norme sulla sicure del lavoro -
Assistenza amministrativa alla corretta tenuta delle scritture associative, delle
convenzioni interne ed esterne, dei rapporti contrattuali, degli atti costitutivi della proprietà compresi gli eventuali gravami (ipoteche), della contabilità, nonché all’osservanza della normativa tributaria ed alla cura delle operazioni di mutuo e contributo.
97
CAPITOLO IV Progettazione
“L’architettura è in qualche modo un ordinare l’amviente che ci sta intorno, un offrire migliori possibilità all’insediamento umano.” Alberto Savino
98
4.1 Introduzione alla progettazione
Il lavoro svolto fino ad ora è stato quello di raccogliere il più grande numero possibile di strategie con tema comune “uno sviluppo sostenibile”. Dovendole elencare tutte per avere un migliore quadro d’insieme queste sono: -
smart growth
-
New Urbanism
-
TOD
-
Densificazione
-
Woonerf
-
Biomimetica
-
Bio-architettura
-
Circular Economy
-
Valutazione dei Materiali: energia incorporata, impronta biologica e LCA
-
km zero
-
Autocostruzione
Le strategie qui esposte, sono messe volontariamente insieme, senza distinguerle quindi tra “urbana” o “dell’edificio”, questo si è reso necessario per l’effetto dell’interscalarità della sostenibilità, infatti, anche qui avremo strategie che si rifanno a una scala che può essere: ambiente, città, quartiere ed edificio. Per lavorare su queste strategie è necessario avere, in primo luogo, un ambito di lavoro per mettere insieme e formulare una proposta di progetto sostenibile, quest’ area (come già detto in introduzione) è denominata ATR 601 dal Documento di Piano del Comune di Curtatone, e si colloca nella provincia di Mantova. I motivi della scelta dell’area sono preclusi da una mancanza di informazione sull’area stessa, in altre parole non è possibile spiegare i motivi “a priori” senza avere un quadro d’insieme generale e del contesto. Iniziando quindi con la scala dell’ambiente, prima ancora di analizzare l’ambito di progetto, si andrà in primis a vedere il contesto di Curtatone, e di conseguenza quello di Mantova, questo perché, per esempio, una delle strategie, km zero, necessita di un grande raggio d’azione per poter funzionare, infatti l’estensione da cui si può “prelevare” materiale è di 60 km dal progetto.
99
4.2 Analisi di contesto: inquadramento Generale
L’area di progetto si colloca nella frazione di Levata, nel comune di Curtatone, facente parte della provincia di Mantova (Lombardia). Il Comune con una superficie di 67,47 Kmq e una popolazione di 14.482 abitanti
(1.1),
è
uno dei più vasti e popolosi Comuni della provincia, ricco di storia, di tradizioni e di testimonianze.! II territorio comunale è composto da 10 frazioni, e viene definito Comune Sparso, poiché la sede comunale non è la stessa della frazione dal cui nome prende origine. Il territorio ha una fisionomia scarsamente omogenea: accanto agli antichi centri storici di Buscoldo e Grazie, edificati su zone alte del territorio a cortina di una vecchia strada, sono andati assumendo una notevole consistenza le frazioni di Levata, San Silvestro e di Montanara che originariamente erano costituite da alcune case sorte agli incroci delle principali vie di comunicazione dove erano state edificate anche le chiese e i conventi. Eremo
e
Levata
hanno
prevalentemente concentrato le espansioni residenziali a servizio
della
Mantova
città
ampliando
dimensioni
dei
di le
nuclei
originari e nel caso di Eremo e San Silvestro si è arrivati a una
vera
fusione
delle
frazioni. L’urbanizzazione è quasi totalmente residenziale senza
caratteristiche
particolare
pregio
di
storico,
eccezion fatta per qualche abitazione rurale
antica
o
precedente
formazione
degli
corte
Figura 42: rappresentazione a cipolla della Lombardia (confine più
alla esterno), della provincia di Mantova e nel centro, e in rosso, il Comune attuali
di Curtatone.
centri abitati.
100
4.2.1 Storia ed Origini del territorio Secondo la tradizione l'origine del nome di Curtatone è attribuita alla presenza in questa località, estesa nella pianura a destra del Mincio di un accampamento installato dal Console "Curtius Odonis". Gli studi archeologici, tuttavia, hanno evidenziato la presenza d’insediamenti umani già in epoca preistorica. !I segni più evidenti lasciati dalla dominazione Romana sono ancora oggi ben evidenti nel territorio comunale, infatti, sono rintracciabili elementi interessanti di centuriazione. Le tracce rimaste delle centuriazioni sembrano la prova che farebbe risalire gli insediamenti all'epoca della distribuzione delle terre ai veterani. La cartografia evidenzia due strade parallele e dirette che potrebbero essere gli antichi decumani: sono la via che partendo da Mantova giunge a Sabbioneta attraversando le frazioni di Eremo, Montanara e San Lorenzo e la parallela che da Cerese, costeggiando Levata conduce a Ponteventuno. Tali strade sono poi parallele alla Postumia, che corre da Goito fino a Mosio, strada di notevole traffico e d’interesse pubblico fondamentale, su cui poggiava la centuriazione dell'intera Gallia Cisalpina. Documenti di periodo tardo- medievale riferiscono di un luogo costituito da un castello detto "Curtatono" avamposto di un ingegnoso e complesso sistema di fortificazioni costituito da muraglie, alti argini, chiaviche e fossati che, attraversando tutto il territorio comunale, giungevano a Po. 44 La città - fortezza di Mantova, protetta su tre lati dal fiume Mincio, completava la propria difesa sul quarto lato verso il comune di Curtatone con un ingegnoso e complesso sistema fortificato costituito da castelli e fortilizi collegati tra loro e alla città tramite vie di comunicazione molto ben evidenziate che da Curtatone portavano a Montanara, Buscoldo, Governolo e quindi al fiume Po. Una possente cortina difensiva a protezione della città di Mantova e del territorio circostante: in caso di assedio la città poteva perciò contare su una vasta fetta di campagna denominata "Serraglio" e corrispondente quindi a quel luogo fortificato a sud di Mantova compreso tra la linea del Po a meridione, la linea del Mincio a oriente, la città di Mantova a settentrione e la cosiddetta Fossa di Curtatone a occidente ricca di castelli e rocchette. La rinascita dell'anno Mille, caratterizzata da importanti bonifiche, ebbe notevoli effetti anche su Curtatone: il territorio acquistò la sua attuale fisionomia nel XII secolo quando i laghi di Mantova vennero definitivamente sistemati da Alberto Pitentino. L'odierno territorio di Curtatone è sempre stato di proprietà ed uso dei Signori di Mantova, tanto più che la nobiltà urbana ha sempre avuto le radici del suo potere e non solo quello
44 http://www.comune.curtatone.mn.it/index.php/il-territorio/storia-e-cultura
101
economico, nelle campagne che circondavano le mura cittadine, come testimoniato dalle rocchette ancora esistenti. L'ascesa dei Bonacolsi trovò, per esempio, un valido appoggio nei signori feudali di Montanara e gli stessi Gonzaga nacquero come aristocrazia fondiaria. Conseguentemente si hanno notizie frammentarie provenienti da rogiti o legate ai nomi delle singole località. I primi documenti relativi a Curtatone risalgono al 1000 e al 1300 nei quali già i luoghi sono indicati con i nomi attuali. Ogni anno nella frazione delle Grazie del Comune di Curtatone si festeggia il 15 agosto la Santa Beata Maria delle Grazie. Questo evento riscuote molto successo come fiera di paese per via delle bancarelle, giochi e i madonnari. “La tradizione dei madonnari nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale si stava perdendo. Lo scarno numero di questi artisti era diminuito fino a quando alcuni di loro cercarono un posto dove riunirsi per dare luogo ad un evento annuale. Uno dei primi incontri avvenne nel 1972, grazie al contributo del comune di Curtatone, il 15 agosto sul sagrato del Santuario della Beata Vergine delle Grazie a Grazie, nei pressi di Mantova; erano in 10. Da più di vent'anni nella località dove si tiene l'Incontro nazionale dei Madonnari, è sorta l'"Associazione Madonnari d'Italia".
Figura 43: immagini illustrative delle tradizioni storiche del comune di Curtatone, in didascalia i commenti delle foto
4.2.2 Aspetti Socio- Economici Basato originariamente su un'economia prevalentemente agricola, il Comune di Curtatone, a metà degli anni sessanta, vede l'inizio di quello sviluppo che modificherà sostanzialmente la sua struttura socio- economica. L'economia attuale è basata principalmente sui settori Commerciali e terziari e
102
rappresenta un capitolo notevolmente attivo e vivace. Nel settore operano in luogo piccole industrie e laboratori artigianali, caseifici e varie attività commerciali. Se a Curtatone nel 1991 il settore agricolo occupava l’11% della forza lavoro, mentre quello dell’industria il 37% e 32% il settore del commercio, con il 20% in altre attività, la situazione nel 2001 è cambiata con il 5% per l’agricoltura, 33% per l’industria, 36% per il commercio e 26% in altro. Il comune oggigiorno è spaccato in due parti, infatti, le frazioni di Buscoldo, Grazie, Ponte 21, San Lorenzo hanno tenuto una vocazione prettamente agricola (con poche espansioni), dove i settori principali risultano essere quelli dell’allevamento suino per la produzione di insaccati e carne suina e bovino per la produzione di derivati del latte; mentre le altre frazioni (Levata, San Silvestro, Mezzalana, Montanara ed Eremo) hanno visto un accrescimento del loro edificato arrivando a fondersi l’un con l’altra, o per lo meno il processo avrà seguito se si continua di questo passo.
4.2.3 Relazioni tra Mantova e Curtatone Come Curtatone, anche i comuni limitrofi di Virgilio, San Giorgio e Porto Mantovano (comuni della prima periferia) sono a tutti gli effetti quartieri dormitorio di Mantova, poiché a in maniera inscindibile al capoluogo stesso. Per tale motivo, il comune di Curtatone ha spostato le sue espansioni verso la più vicina Mantova, senza invece di espandersi in quelle frazioni considerate storiche. Con l’accrescimento delle infrastrutture di connessione con la città, il Comune ha creato un quartiere dormitorio, che nel corso degli anni ha sopperito al fabbisogno di case del centro città (come in immagine 44). Allo stesso tempo, le scelte della pubblica amministrazione andavano incontro alle esigenze della popolazione, che prediligeva la soluzione più salubre delle campagne rispetto alla vita di città.
Figura 44: Levata: immagine di sinistra, estratto planimetrico catastale; 1890 – in centro, estratto planimetrico catastale; 1960 – a destra, foto di Google maps del 2013.
103
Il disegno urbano che si è disegnato fino ad oggi vede tre cerchi concentrici, il primo, più interno, è il centro di Mantova, il secondo, che si divide in due parti, a nord si compone con i tre laghi, e a sud con le campagne, fino ad arrivare a quello più esterno, che si compone principalmente di edilizia residenziale. L’anello più esterno, e i comuni che sono lambiti, sono gli stessi che un piano provinciale chiama “La Grande Mantova”.
4.1.4 La Grande Mantova La città di Mantova ha una popolazione di 48.325 abitanti e per i tre laghi che la circondano, divide in maniera inequivocabile il territorio, infatti, contrapposto a quello che è il nucleo centrale della città, vi sono i comuni che la cingono, creando così una vera cerchia urbana, quasi continua. Attorno alla città si sono andati fortemente espandendo Porto Mantovano con 15.947 abitanti, San Giorgio che ne registra 9.383, Virgilio salito a 11.300 e Curtatone con 14.248. Questi 4 Comuni sono a pochi chilometri, dalla città, gli abitanti, per la gran parte, sono pendolari giornalieri per lavoro, per servizi e per la forte area ricreativa del centro. Questo progetto di fusione tra Comuni non ha mai visto un inizio, infatti vi è un forte campanilismo ben difficilmente superabile e, fattore di certo rilievo, le Amministrazioni sono di colore politico diverso con la conseguenza che si resta nella fase condivisa di dichiarazione di intenti non attuata, degli utopistici piani strategici. Il territorio di Curtatone dal dopoguerra a oggi ha spostato radicalmente il suo baricentro verso Nord, al confine della prima fascia a Sud della città di Mantova, divenendo uno dei 4 comuni della prima Fascia della Grande Mantova Come il Comune di Curtatone, anche i comuni limitrofi hanno dato risposta efficace alle richieste evidentemente inevase o non soddisfatte di una porzione di cittadini mantovani che, a partire dal 1960, hanno preso cittadinanza in questi comuni congiuntamente con altri cittadini proveniente dia dalle provincie che dall’esterno ma con lavoro nella città di Mantova. Essi hanno probabilmente trovato una risposta economicamente e tipologicamente più adeguata al fabbisogno abitativo nei comuni dell’hinterland rispetto alla città, attivando in tal modo il fenomeno del pendolarismo. Questa variazione demografica ha ridistribuito in meno di 40 anni i pesi e le funzioni insediative di Curtatone, spostandole dai centri abitati di Buscoldo e delle Grazie, verso
104
nord, ai bordi del confine Capoluogo Provinciale. L’istituzione della Grande Mantova avvierebbe una gestione della viabilità più efficiente, poiché all’Area metropolitana sarà attribuita la competenza urbanistica di operare la pianificazione territoriale. Altre funzioni delle città metropolitane sono quelle attinenti la materia della viabilità, del traffico, del trasporto superando quei nodi che hanno visto la costante contrapposizione dei Comuni che hanno approvato piani del traffico non coordinati.! E proprio l’urbanizzazione continua (che prende il nome di Urban Sprawl, o città Diffusa) che negli ultimi decenni ha permesso di creare i presupposti della creazione della Grande Mantova. Il piano infatti è previsto soprattutto per creare una città metropolitana, che sappia così gestire il territorio in maniera più efficiente, e che sappia anche competere con le Provincie vicine.
4.1.5 La viabilità La rete viaria della “Grande Mantova” è molto sviluppata per le connessioni al centro, mentre mancano infrastrutture di collegamento tra i comuni che compongono la periferia. Solo negli ultimi anni si è sviluppato un sistema di Autostrada tangenziale, che si compone di due parti non interconnesse tra loro; la prima a nord dei laghi, la seconda a sud, che unisce il polo commerciale di Curtatone al vicino comune di Virgilio. È in trattativa un collegamento dei due tratti passando sul Mincio, ma essendo l’area protetta questo progetto non sarà mai portato a fine. Mantova ha due uscite dell’autostrada, una a nord e si allaccia con il tratto di autostrada tangenziale, e una a sud; anche qui è in progetto un collegamento diretto autostrada Mantova sud fino al polo commerciale di Curtatone, ma la mancanza di fondi hanno interrotto definitivamente il progetto. La rete ferroviaria in direzione Mantova si allaccia alle città di Verona, Milano e Modena; quest’ultima in particolare passa per il Comune di Curtatone con fermate in andata e in uscita ogni mezz’ora. Il tragitto Mantova- Curtatone (Levata) dura 4 minuti e ha lo stesso costo del biglietto del bus.
105
4.2 Analisi dei Materiali “[…] la terra è nostra madre, ogni cosa vivente ha vita dalla madre e ritorna a lei. […]”
4.2.1 Ricerca dei materiali L’inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra, come anche i danni ambientali e la crisi delle risorse materiali ed energetiche, hanno una delle cause in comune nell’architettura (intesa qui come ogni opera costruita dall’uomo, dal capannone industriale, alla casa di campagna). Il costruire implica un elevato consumo di risorse, creando peraltro un forte squilibrio nel mondo a proposito del loro uso e consumo. Come visto l’architettura è un processo che utilizza prodotti provenienti da più industrie produttive che poi sono montate e assemblate assieme in loco. E’ quindi a partire dai materiali costruttivi che si può iniziare a ridurre il carico di inquinanti immessi in natura, proprio a causa dell’architettura stessa. La Bio-Architettura fornisce precise indicazioni dell’uso dei materiali, che dovranno essere: -
il più possibile traspiranti, antistatici e igroscopici, esenti da emissioni nocive, tossiche o radioattive;
-
non dovranno essere comportati gravi oneri ambientali (basso impatto ambientale) o sociale per costi energetici elevati, nocività, produzione inquinante, difficoltà di trasporto;
-
essere riciclabile Per una migliore organizzazione dell’argomento i materiali da costruzione possono essere suddivisi in gruppi omogenei in base a considerazioni diverse e si possono quindi avere varie possibilità di classificazione. Uno dei più comuni criteri è quello che tiene conto dell’origine dei materiali e per il quale si possono distinguere in : Materiali naturali; che sono materiali che vengono utilizzati senza alterare, ed anzi sfruttando, le caratteristiche chimico-fisiche e tecnologiche che hanno in origine, modificandone eventualmente soltanto dimensioni e forme con opportune lavorazioni
106
per renderli adatti alla messa in opera. Fra questi si ricordano: - I materiali lapidei: (rocce, ghiaie, sabbie, pozzolane, argille); - I legnami; - Gli asfalti, i bitumi, ecc.
Materiali artificiali; Materiali derivati da uno o più prodotti naturali dei quali si sono profondamente modificate le caratteristiche chimico-fisiche e tecnologiche originarie attraverso lavorazioni e trattamenti più o meno complessi quali possono essere: -
I Prodotti ceramici;
-
Gli Agglomeranti o Leganti: (calci, gessi, cementi);
-
Gli Agglomerati: (malte, calcestruzzi, pietre artificiali);
-
Le Materie plastiche;
-
I Materiali vetrosi;
-
Le Leghe metalliche ;
-
Le Vernici, Pitture e Smalti;
-
Le Colle,
-
ecc.
Fin dai tempi più remoti l’uomo ha utilizzato, in forma diretta o indiretta, i materiali disponibili in natura per costruire manufatti ed attrezzature indispensabili per la conduzione delle proprie attività. Osservando le opere e gli oggetti realizzati nel corso della storia si può rilevare come, in qualunque parte della terra, l’evoluzione dell’arte di costruire sia sempre stata preceduta dall’acquisizione delle conoscenze sulle caratteristiche dei materiali disponibili, per utilizzare gli stessi nella maniera più appropriata e per sfruttarne al meglio le doti intrinseche. Anche nel presente si continuano a condurre studi e sperimentazioni per approfondire sempre più le conoscenze sulle caratteristiche tecniche dei materiali già in uso e per definire nuovi materiali in grado di rispondere in modo sempre più adeguato alle diverse esigenze che man mano si presentano. Proprio per le ragioni menzionate s’inizierà la ricerca proprio da una investigazione storica e quindi a partire della tradizione locale.
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4.2.2 I materiali nella tradizione locale L’evoluzione della società è costellata da scoperte e impieghi di nuovi materiali e dall’evoluzione rapida e espressiva dell’ambiente costruito. Il ritmo delle acquisizioni ha subito una notevole accelerazione dall’inizio del XX secolo con l’immissione sul mercato di nuovi prodotti, che si sono affermati in alternativa a quelli tradizionali (si pensi all’introduzione del CLS armato nell’architettura). Infatti, nell’immaginario collettivo il concetto di “tradizionale viene facilmente abbinato al concetto di “naturale” e quello di “nuovo” ad “artificiale (o sintetico)”. La distinzione tra materiali naturali e materiali “creati” dall’uomo porta a ritenere che i primi vengano impiegati così come si trovano in natura (come per esempio la pietra, il legno o il sughero, ecc; ovvero i materiali non “trattati”). La stragrande maggioranza dei materiali tradizionali è tuttavia ottenura mediante procedimenti e trattamenti particolari, come per esempio il laterizio o il ferro, che di per sé sono meno inquinanti di altre lavorazioni che sono più complesse ma più economiche, come quella per esempio dei polimeri. In edilizia realisticamente quasi nessun prodotto può definirsi ecocompatibile sotto tutti gli aspetti, infatti, la miglior strategia eco-compatibile sarebbe quella del non costruire, poiché l’entropia interna del pianeta aumenta durante qualsiasi processo. César Daly sosteneva che “[…] l’edificio non è una inerte massa di pietra, mattoni e ferro;
è quasi come un corpo vivente, con la sua circolazione sanguigna e con il suo sistema nervoso. In queste pareti che sembrano così immobili circolano gas, vapori, fluidi e liquidi […]” Continuando poi, settant’anni, con Le Corbusier che sostiene invece, “[…] una lastra di vetro e tre muri di divisione interna costituiscono l’ufficio ideale […]” che poi si “corregge” ammettendo che il problema del “[…] entrata catastrofica del sole (in francese entré catastrophique du soleil) […]” deve essere combattuta, e così iniziarono gli studi e le sperimentazioni a livello progettuale di schermi solari, ovvero una forma “più organica” di guardare l’architettura. Questo breve exscursus di citazioni si è reso necessario per poter meglio esprimere il concetto di evoluzione tecnologica “circolare”, infatti “acquisire nuove conoscenze” non significa scoprire cose nuove e condurre questa scoperta ai limiti del suo sviluppo, quindi in modo “lineare”, quanto piuttosto integrare la nuova idea con le idee del passato.
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Il punto di vista di Daly era di un’architettura “umana”, viva; mentre quella di un primo Le Corbusier vedeva proporzioni, funzione e numeri. La verità sta nel mezzo, e un secondo Le Corbusier se né è reso conto e i suoi successivi studi erano per un’intersecazioni dei due punti di vista. La storia è circolare, a volte si dimentica il passato e di conseguenza, si torna indietro per
osservare.
Nella
ricerca
dei
materiali
condotta
qui
di
seguito,
l’inizio
dell’osservazione partirà dalla storia e dalla tradizione locale, giusto per “ non dimenticare la vecchia “arte del saper fare”.
4.2.2.1 La storia delle tecniche costruttive Per valutare al meglio i materiali utilizzati nel corso dei secoli all’interno del territorio, si è voluto analizzare i vari periodi storici. Un’analisi di questo tipo però potrebbe apparire del tutto fuorviante nell’insieme generale, poiché l’utilizzo di alcuni materiali dipendeva dalla classe sociale e dalla diponibilità economica del committente, infatti, materiali di alto pregio, come quelli lapidei provenivano da luoghi lontani. Per questo motivo le analisi e le ricerche condotte sui materiali usati nella storia saranno riconducibili a quelle architetture considerate povere. Il lontano passato della provincia mantovana è un tema affascinante. Virgilio indica una popolazione divisa in tre ceppi, in cui forse predominano gli etruschi. Le ricerche archeologiche svolte sul territorio hanno portato alla luce reperti di diverso tipo e di diverse aree culturali, confermando implicitamente l'intuizione del poeta. Tutta l'area intorno alla città, prima dell'insediamento romano era un luogo di passaggio di uomini e di merci. Probabilmente non esisteva un vero centro urbano; piuttosto, una galassia di villaggi si estendeva intorno alla zona lacustre e all'isola emersa, probabilmente destinata a cerimonie sacre. Il clima e l'ambiente hanno qui, più che altrove, una importanza fondamentale. Dal settimo secolo avanti Cristo in poi la presenza di manufatti diviene consistente, per giungere all'apice nel quinto secolo, quando gli Etruschi impostano e regolano un sistema di scambi commerciali tra l'Oriente, le coste adriatiche e le regioni interne. Riconosciamo quasi venti siti con tracce di una civiltà etrusco-padana. Fondamentale è il Forcello, vicino a Bagnolo San Vito, da cui proviene un ricco materiale: molte ceramiche, a kylix e a skyphos, terracotte, oggetti in osso, pietra, ambra (una delle materie pregiate nel rapporto di compravendita tra il nord e il sud), vasi in bronzo, pendagli, fibule. Citiamo
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De Marinis: Con lo sviluppo dell'organismo politico etrusco nella pianura padana (Bologna, Spina, Adria...) e la penetrazione commerciale greca, in particolare attica, nell'Adriatico, Mantova venne ad acquistare un ruolo strategico fondamentale... come punto di partenza della via che lungo il Mincio... conduceva a Como, il principale centro della cultura di Golasecca, attraverso cui passavano le relazioni... con il mondo transalpino. Mantova Etrusca; Il primo villaggio risale a circa il 2000 a.C.; in seguito l'area venne abitata dal popolo degli Umbri; ma il primo popolo che riuscì a lasciare un solco maggiore nella storia, e maggiori testimonianze sul territorio sono gli Etruschi. Nel VI secolo a.C. si sviluppò la città etrusca all'interno di un territorio dove numerosi sono i siti archeologici con tracce della civiltà etrusco-padana, il più importante dei quali è il Forcello, nel vicino comune di Bagnolo San Vito. Il Forcello di Bagnolo S. Vito è il principale abitato etrusco-padano di VI-V secolo a.C. finora conosciuto in Lombardia, nonché il più settentrionale dell’area di espansione etrusca a nord del Po in età arcaica. Le indagini finora condotte fanno risalire la sua fondazione a poco dopo la metà del VI secolo a.C., mentre il definitivo abbandono si colloca agli inizi del IV secolo a.C., in probabile concomitanza con le invasioni galliche dell’Italia settentrionale (388 a.C.). Il Forcello sorgeva su un’isola, o più probabilmente una penisola, circondata dalle acque del Mincio: situazione ideale per sfruttare questa importante risorsa come elemento di difesa e come via di comunicazione e di traffici.! L’abitato, che doveva estendersi su una superficie di circa 12 ettari, si sviluppava su un’area di forma triangolare, con il vertice a sud-est in corrispondenza di un dosso di modesta entità (16,6 m slm) e di forma allungata di origine prevalentemente artificiale, formatosi dall’accumulo degli strati antropici prodotti dall’alternarsi delle fasi di vita e di degrado dell’abitato. La stratificazione del Forcello è molto complessa, in quanto la frequentazione del sito è durata circa 160 anni, producendo un potente deposito archeologico costituito dal susseguirsi di livelli di costruzione, distruzione e bonifica. L’orientamento ricorrente delle abitazioni portate alla luce e la loro disposizione parallela al terrapieno e all’asse viario, ha fatto ipotizzare che l’abitato avesse un impianto urbanistico a schema ortogonale, del tutto simile a quello di altri centri dell’Etruria padana, come ad esempio Marzabotto: un perimetro, un reticolato stradale che suddivide lo spazio in regioni (o insulae), abitazioni e officine ed altre infrastrutture. Il problema principale nella lettura della stratigrafia del Forcello consiste nel materiale utilizzato per la costruzione degli edifici. Questi, infatti, in mancanza di materiale lapideo nei dintorni, sono stati edificati con materiale deperibile, che, in seguito al collasso naturale o ad episodi catastrofici, ha
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subito forte degrado, lasciando nella stratificazione evidenze di difficile lettura. Una delle tecniche costruttive principali era il metodo dell’incannucciato, le case così costruite avevano un telaio in legno e su questo si “appoggiavano” le pareti realizzate con il materiale che lì cresceva in abbondanza come il legno, ovvero le piccole canne lacustri, sapientemente intrecciate tra loro, rivestite poi da uno strato di argilla e paglia al fine di ottenere una struttura ottima per l’isolamento da pioggia, sole e intemperie.45
Figura 45: spaccato del sistema costruttivo chiamato incannucciato
Mantova Romana; La conquista da parte dei Romani è avvenuta nel 214 AC. Nel 47 AC, e Mantova diventa “municipium”, ma rimane sempre ai margini, secondaria rispetto a città come Verona e Cremona. Testimonianza della presenza romana all’interno di quello che sarà il centro storico di Mantova è la presenza di una domus Romana; scoperta nel dicembre 2006 nell’angolo sud- est di Piazza Sordello. Durante lo scavo per il re-interro di tubi idraulici vengono alla luce i resti di pavimenti decorati a mosaici fatto di tessere bianche
Figura 46: pavimentazione
perimetrato da una classica cornice a treccia. La sorpresa mosaica ritrovata in centro successiva: un altro ambiente dove la decorazione musiva è invece
a Mantova.
a tessere colorate e ritmate da ottagoni con figure di divinità e altri disegni geometrici con animali e piante acquatiche. Il pavimentale di gran lusso, che richiama stilisticamente quelli di Santa Giulia di Brescia e di Sirmione. Questa casuale scoperta archeologica potrebbe indurre una revisione della storia di Mantova, della quale l'epoca romana è sempre stata Figura
47: archeologici
45 http://www.parcoarcheologicoforcello.it/
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foto
scattata
durante
gli
scavi
considerata marginale, ma in ogni caso confermando come il luogo ora occupato dalla piazza, è sempre stato il centro della comunità mantovana. Le domus di epoca Romana era una tipologia di abitazione di domicilio privato urbano, ed era l’abitazione delle ricche famiglie. I materiali da costruzione principali erano il laterizio e il legno, le finiture erano d’intonaci e potevano essere affrescati con decorazioni, differenti secondo il periodo storico di edificazione. All’interno le stanze potevano essere pavimentate con tecniche di diverso pregio, come il cocciopesto (composto da frammenti di laterizi minutamente frantumati e malta fine a base di calce aerea), piastrelle di terracotta, mosaici e preziosi pavimenti in marmo di “sectilia”. Le persone con minor disponibilità economica nell’antica Roma vivevano nelle insule; purtroppo per mancanza di dati effettivi sulla città antica di Mantova, sia per motivi di deperibilità dei materiali, sia per le costruzioni che si sono succedute nel corso dei secoli non è possibile ricondurre a un preciso metodo costuttivo, poiché le testimonianze sono completamente assenti. 46 Mantova Medioevale (Gonzaga); Caduto l’impero Romano per mano di Odoacre nel 476 d.C., Mantova fu invasa dai Goti di Teodorico e in seguito occupata dai Bizantini. Bisogna attendere Il 16 agosto 1328, quando Rainaldo, detto il Passerino, l'ultimo dei Bonacolsi fu ucciso durante una rivolta popolare appoggiata militarmente da Cangrande della Scala, signore di Verona. I Corradi da Gonzaga, nobili di campagna inurbatisi nel 1186, acquisirono il potere sottraendolo alle ambizioni degli Scaligeri. Essendo originari di Gonzaga, furono ben presto identificati con l'appellativo del solo toponimo di provenienza, divenendo una delle più celebri e longeve famiglie del Rinascimento italiano. Prima di allora solo i Bonacolsi erano riusciti a lasciare traccia del loro passaggio. Come in ogni epoca storica bisogna subito distinguere le costruzioni per “fascia di reddito”. Le opere portate avanti dai Gonzaga hanno segnato così fortemente che la città di Mantova (conosciuta così come è oggi) deve la sua gloria a questa famiglia. Purtroppo queste opere sono di così alto pregio che gli unici materiali “locali” elencabili sono, il legno e il laterizio. Altri elementi, come quelli lapidei rivestono la città ma anche il mattone a vista o l’intonacato predominano comunque sulla vista generale. I marmi che rivestono le numerose chiese all’interno della città storica provenivano dalla vicina
46 http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2009/01/07/news/una-piramide-in-piazza-sordello-1.71032
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Brescia o da Verona. Contributi di Architetti e Artisti del calibro di Rubens, Mantegna, Alberti, Juvarra e Giulio
Romano
hanno
“formato”
la
Mantova che oggi si presenta al mondo. Giulio Romano tra tutti è quello che maggiormente
ha
contribuito
a
tale
sviluppo, il suo primo incarico a Mantova Figura 48: foto dell’interno del teatro Bibiena, fu su commissione dei Gonzaga per la costruito durante il periodo di Maria Teresa d’Austria. realizzazione di una villa in campagna chiamata poi palazzo Te. Nel 1526 venne nominato prefetto delle fabbriche dei Gonzaga e "superiore delle vie urbane", che gli davano la qualifica di sovrintendere a tutte le architetture e le produzioni artistiche della corte portando avanti un'ampia opera come pittore e architetto, improntata a un fasto decorativo e gusto della meraviglia e dell'artificio ingegnoso e bizzarro che ebbero larga diffusione nella cultura manierista delle corti europee. Dopo l’elevazione a ducato della casata Gonzaga, Giulio Romano si occupò della sistemazione di palazzo ducale. Nel decennio 1530-1540, si occupò di molteplici progetti tesi a trasformare Mantova secondo le ambizioni della casata. Durante quest’ultimo periodo vi è anche la bonifica e la riqualificazione del lungo lago, ricco un tempo di baracche, case, piccoli artigiani e pescatori. Queste, prima della loro demolizione erano costruite in assenza di norme igieniche e a rischio di esondazioni. I materiali impiegati nella loro realizzazione erano di scarsa qualità, come legno, canne palustri, terra e paglia. Dalla trasformazione del lungo lago è nato un parco, che poteva calmierare in maniera migliore e senza danni le piene cui era soggetto il lago. Mantova tra medio evo e Regno d’Italia: L'ultimo dei Gonzaga, Ferdinando Carlo, si dimostrò politicamente inetto e inadeguato al ruolo. Il 3 giugno 1708 la Dieta di Ratisbona pronunciò una sentenza contro il duca Ferdinando Carlo di Gonzaga-Nevers, che morì poco dopo a Padova, il 5 luglio, dichiarandolo traditore dell'impero e decaduto per fellonia. Dal giorno della disfatta della casata Gonzaga, fino all’unificazione da parte del Regno d’Italia, vi furono un susseguirsi di successioni, prima gli austrici, che si insediarono nel 1707, e per novant’anni rimasero a guardia del territorio di Mantova. In quest’anni di occupazione da parte austriaca va ricordato il lavoro eseguito, su iniziativa di Maria Teresa d'Austria, del catasto teresiano, prima cartografia ufficiale che ci costruisce un insieme di quello che era la suddivisione del territorio e della sua composizione
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antropomorfica. In seguito giunse a occupare Mantova e i suoi territori, l’esercito Napoleonico. La città virgiliana entrò a far parte della Repubblica Italiana, sotto il dominio francese. Bisogna attendere il risorgimento per vedere un nuovo cambio di fazioni; nel 1815 gli austriaci riprese possesso di Mantova, con il Congresso di Vienna. In quest’occasione la città diventa uno dei capisaldi del quadrilatero difensivo, insieme alle città di Peschiera, Verona e Legnago; per tale motivo le cronache parlano di una città caserma, dove ben 10.000 soldati, provenienti dalle diverse nazioni inglobate nell’impero d’Austria. In quest’atmosfera, che permeava l’Italia e l’Europa ci fu un susseguirsi di guerre, e le opere architettoniche all’interno di Mantova e nel suo territorio erano veramente poche. I materiali maggiormente impiegati per le opere di maggior prestigio (come per esempio il Teatro Scientifico di Mantova, chiamato anche Teatro Bibiena) erano i laterizi e legno; materiali di più prestigio come marmi o essenze lignee pregiate erano utilizzate come rivestimento (sia interno che esterno). Questi materiali provengono da luoghi lontani alla realtà di Mantova e quindi di Curtatone. Informazioni o documentazioni sui materiali impiegati dalla popolazione più povera, per disegnare quei materiali così detti “locali”, non è stata possibile. Per deduzioni si può immaginare che questi siano stati gli stessi già citati nelle epoche precedenti, ossia quei materiali “tradizionali” che largamente abbondavano sul territorio. Nelle campagne, invece, si andava delineando la conformazione che caratterizza quello che è il tessuto rurale, con cascine, corti, delimitate da fossi e canali che oggi si riscontra. Molte delle case a corte presenti sul territorio sono, infatti, di questo periodo, o costruite sulle preesistenze ormai non più rintracciabili. Qui i materiali principi sono il legno e il laterizio, e più difficilmente s’incontrano materiali lapidei, taluni per indicare l’effige di famiglia altri per ornamento del fronte della casa. Mantova nel Regno d’Italia: Nel 1866, successivamente alla Terza Guerra di Indipendenza e al Plebiscito del 21 e 22 ottobre, Mantova, assieme al Veneto e al Friuli, entra a far parte del Regno d'Italia. Nel corso degli anni, con l’instaurarsi della monarchia Mantova non è più strategica dal punto di vista militare e nel centro vi è un susseguirsi di demolizioni nelle quali anche il centro storico fu interessato da trasformazioni urbanistiche importanti. L’estensione territoriale del Capoluogo crebbe in questi anni e prese possesso di territori dei comunali attigui, compreso quello del Comune di Curtatone.
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Alcuni architetti, come Andreani, costruirono alcuni palazzi in pieno centro storico in stile liberty; i materiali impiegati erano ancora in predominanza il legno e il mattone, molte erano le finiture in materiali lapidei. Di questo periodo è da menzionare anche l’utilizzo del vetro e dell’acciaio, come per esempio nel giardino d’inverno dell’attuale “Istituto della Casa del Sole”, costruito in stile art nouveau nella frazione di San Silvestro. Con il regno d’Italia, Mantova è rimasta fuori, essendo posta al Nord-est, dalle trasformazioni industriali del primo ‘900 indi per cui non vi sono presenze di fabbricati che possano essere trattate in una ricerca sui materiali utilizzati. Di questo periodo vanno andrebbero citate le opere di questo periodo, ma cronache riportano la costruzione di almeno 250 fabbricati sull’intero territorio; cemento armato, mattoni e rivestimento lapideo erano i materiali primari di questi manufatti. Mantova, provincia della Repubblica d’Italia: Dopo a questo periodo storico l’industrializzazione e il boom economico descritto nel capitolo precedente portano all’utilizzazione di materiali ”prefabbricati”, e poi rimontati in loco per formare l’edificio finito. Per questo motivo non tratterò gli elementi costituenti l’edificio da questo periodo in poi, poiché con l’instaurazione della Repubblica d’Italia i materiali utilizzati erano non più tradizionali, e non più sostenibili, ma solo altamente tecnologici. Dalla seconda guerra mondiale in poi, i materiale in assoluto più utilizzato, dal dopoguerra in poi, è il cemento armato. In questo periodo vi è anche un utilizzo sempre più massiccio di materiali “plastiche”; basti pensare ai grandi consumi che si sono fatti negli ultimi anni, nel campo dell’isolamento, di pannelli isolanti, che quasi sempre sono di origine polimerica.
4.2.2.2 Le corti rurali L’architettura che meglio evidenzia e tipicizza i materiali e le tecniche costruttive più in uso in un determinato luogo è sicuramente quella rurale. I materiali impiegati sono il legame più stretto con l’ambiente e il paesaggio circostante siccome sono prodotti per lo più locali e quindi rispondenti alle gamme cromatiche presenti nell’ambiente naturale di cornice. Tale legame, tra materiali e luogo, è facilmente riconoscibile anche nel territorio di Curtatone, dove le strutture murarie (storicamente parlando) sono caratterizzate nell’utilizzo del laterizio. Il ciclo di lavorazione dei laterizi durava circa un anno durante il quale il materiale
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argilloso, estratto durante l’estate veniva dapprima esposto all’aria tutto l’inverno per favorire l’azione del gelo che ne aumentava notevolmente il volume, secondariamente veniva modellato in piccole “casseforme” di legno, rettangolari e senza fondo, poi, i mattoni così modellati venivano essiccati prima di essere collocati nei forni per evitare deformazioni causate da una rapida cottura, infine venivano accatastati su dei piani in legno entro stanze, riparati dal sole per un periodo variabile di 5-10 giorni. Nelle costruzioni rurali riveste notevole importanza anche il legno, il quale, grazie alle sue caratteristiche di elasticità, robustezza e leggerezza era utilizzato sia per le strutture orizzontali che come sostegno delle coperture, formato da una fitta rete di travi in essenze locali come la quercia. Il sistema di copertura più diffuso, almeno sino alle soglie del XX° secolo, era quello a due spioventi poiché distribuiva i carichi in modo diretto ed aveva il vantaggio di non sottrarre spazio utile. Gli infissi lignei presenti nelle finestre delle costruzioni rurali non sempre sono coevi all’edificio, ma si può comunque dire che in origine erano per lo più realizzati con essenze resinose. Le malte impiegate erano prevalentemente realizzate in calce magra, contenente grosse percentuali di sabbie grossolanamente vagliate, facilmente sfaldabile ed erodibile tanto che oggi in certe murature, il laterizio è in risalto rispetto al legante. L’analisi degli elementi costituenti questa tipologia costruttiva in particolare garantisce una migliore conoscenza dell’uso dei materiali tradizionali, e di com’erano impiegati in opera. Per questo motivo sono stati suddivisi per le funzioni costituenti l’edificio in sé. Le fondazioni; Negli edifici rurali, le fondazioni, intese nel senso moderno, spesso non esiste e le murature portanti poggiano direttamente sul terreno, da cui possono essere separate da uno strato di coccio pesto. Quando sono presenti, le fondazioni sono per lo più di tipo continuo o, nel migliore dei casi, sono realizzate mediante l’uso di piloni ed archi in muratura. Qualora il terreno dimostri buona consistenza, vengono impiegate fondazioni di tipo continuo che, usualmente, sono profonde almeno la sesta parte dell’altezza dell’edificio: se il fabbricato non supera i 6 ml di altezza in gronda, le fondazioni sono comprese tra 1 e 1,5 m di altezza in profondità. Come scrive il Cervi:
“Il profilo delle fondazioni è spesso a sacco, con base allargata, in modo da poter meglio distribuire i carichi. Più raramente all’interno della trincea di fondazione veniva stesa una soletta a spessore variabile di muratura eterogenea che dava maggiori garanzie statiche”.
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Nei fabbricati ove si è potuto per ragioni economiche favorire un discorso di qualità e di durata, si può trovare fondazioni murate a mano con mattoni ordinatamente disposti e con leganti che, posati in opera a regola d’arte, ha saturato ogni possibile cavità presente. Qualora si sia dovuto intervenire contenendo i costi, le fondazioni, se presenti, sono murate a mano con sassi o rottami di mattoni e malta di calce e sabbia. Nel caso in cui il terreno non presenti una buona portanza, si possono trovare fondazioni a piloni, generalmente a base quadrata, che sono stati spinti fino a trovare un terreno di adeguata resistenza. Tali piloni di larghezza maggiore dello spessore
del muro
soprastante di almeno 4 cm circa per ogni lato, fungono da base per gli archi di scarico a pieno sesto aventi la larghezza del muro soprastante che dovranno reggere. L’estradosso dell’arco di scarico raggiunge la quota di un piede, pari a cm 38, di sotto il piano di campagna.
Le strutture murarie; Le strutture murarie sono realizzate prevalentemente in mattoni di laterizio cotti. Gli spessori murari piĂš usati nelle costruzioni rurali sono: mezza testa per partizioni interne non portanti; una testa per chiusure perimetrali o per partizioni interne portanti; una costa o due teste per chiusure perimetrali o setti interni entrambi portanti, soprattutto al piano terra. Difficilmente si trovano spessori murari maggiori, sia nei fabbricati a destinazione residenziale che negli annessi. I pilastri, realizzati in mattoni e prevalentemente sezione quadrata, sono usualmente dei seguenti tipi: di due teste di lato per realizzare sostegni intermedi nelle stalle; di tre teste di lato per realizzare sostegni perimetrali o intermedi di stalle o fienili; di quattro teste di lato per realizzare sostegni perimetrali di maggiore altezza od a sezione rettangolare; di una testa per due teste, oppure di due teste per tre teste, per realizzare sostegni intermedi nelle stalle; di due teste per tre teste per realizzare sostegni perimetrali di portici; oppure a sezione circolare soprattutto per realizzare sostegni intermedi nelle stalle. I pilastri o colonne tonde sono realizzati con laterizi fatti appositamente a settore circolare o a settore di corona circolare e possono essere sagramati, piĂš difficilmente intonacati.
Â
117 Â
Figura 49: Da sinistra: 1. prospetto e veduta assonometrica di una muratura a due teste e di una muratura mista pietra e mattoni; 2. prospetto e veduta assonometrica nel nodo di congiunzione con la muratura portante di pareti di divisione interna e di tamponamento del portico; 3. soluzione con mattoni posati di costa secondo una disposizione orizzontale e soluzione con mattoni posati di costa secondo una disposizione diagonale o a lisca di pesce; 4. pilastro in laterizio a sezione quadrata a due teste; 5. pilastro in laterizio a sezione quadrata a tre teste; 6. colonna in laterizio a sezione circolare.
I mattoni in laterizio sono impiegati anche negli archi caratterizzanti talora i portici antistanti alle stalle, le porte morte o le aperture d’accesso alle abitazioni. I tratti di muro su cui gli archi poggiano sono spesso arricchiti da paraste esterne, semplici o binate, e a volte da cornici orizzontali in cotto che nobilitano l’aspetto architettonico del fabbricato. Per realizzare gli archi nelle murature a una testa è sufficiente una centinatura lignea semplice, mentre in quelle a due o tre teste si deve realizzare una centinatura doppia; per spessori murari maggiori è necessario approntare una centinatura tripla. Il legante utilizzato nella realizzazione di questi elementi decorativi era usualmente malta di calce e gesso affinché il ritiro della calce fosse compensato dalla dilatazione del gesso durante la presa e l’indurimento. Sopra l’arco si realizzava la “spianatura”, ossia si disponeva la muratura sull’estradosso in modo da ricollegarla ai corsi orizzontali della muratura adiacente e realizzare nuovi orizzontamenti. Similmente agli archi, anche "le volte venivano realizzate, mediante l’impiego di centinature lignee, in mattoni di laterizio ed avevano usualmente lo spessore di un mattone in foglio o di una testa ed il riempimento in frammenti di mattone . La malta generalmente utilizzata era nuovamente composta se non totalmente, almeno in parte, da gesso, in modo tale, vista la rapida presa del materiale, da avere una rapida esecuzione. Il gesso inoltre, indurendosi tende a gonfiarsi, pertanto aumenta il contrasto fra mattone e mattone migliorando la solidità della struttura. Nei locali stretti e lunghi, come la corsia centrale e le sequenze delle poste nelle stalle, la volta che più frequentemente si trova, è quella a botte per la facilità d’esecuzione (come in immagine 50). Essa, spesso ad arco ribassato, è opportunamente dotata di catene di ferro in corrispondenza dei pilastrini centrali e presenta i mattoni disposti in filari paralleli alle imposte, a spina di pesce o perpendicolari alle linee d’imposta.
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Figura 50: Sopra: volta a botte con mattoni disposti in filari paralleli alle imposte e voltina a botte con mattoni disposti in filari paralleli alle imposte. A destra: volta a crociera senza archi di scarico e con mattoni disposti parallelamente alla generatrice.
I frangisole, o muri diaframma, caratterizzano spesso le chiusure aeranti dei fienili e costituiscono il riempimento talvolta di medie e grandi aperture, talaltra di intere campiture parietali comprese tra i pochi pilastri che reggono la copertura. I mattoni sono disposti nei modi più vari: “per piano” o “per coltello”, orizzontali, verticali o inclinati; creando composizioni semplici come a scacchiera, oppure più elaborate quali a triangoli, a losanghe ed a disegni vari. Le coperture; La quasi totalità dei complessi rurali considerati beni di interesse storico, culturale, ambientale e paesaggistico oggi ancora presenti sul territorio presentano usualmente copertura in coppi, tegole curve, di laterizio sorretta da strutture in legno. Le forme adottate sono le più svariate, sebbene fondamentalmente riconducibili ai tipi di base del “padiglione” (tetto a quattro falde), della “capanna” (tetto a due falde), che per la sua semplicità è quello maggiormente usato, e misto fra i due precedenti (tetto a tre falde). Le varianti ai tipi più usuali sono generate dall’articolazione volumetrica dell’edificio quale risulta dalla sua impostazione iniziale o dal suo sviluppo nel tempo, come più spesso avviene.
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Figura 51: lo schema rappresenta le varie tipologie di coperture riscontrabili sul territorio della Provincia di Mantova
La scelta di una tipologia di copertura anziché un’altra dipende, anche se non esclusivamente, dalla forma dell’edificio e dalla sua configurazione planimetrica: se questa è compatta e tende al quadrato la copertura sarà tendenzialmente a padiglione, se è allungata sarà più probabilmente a due falde. La struttura originaria della copertura era lignea sia per la grossa orditura (capriate, travi di colmo, catene, puntoni, cantonali, colonnelli, arcarecci, terzere, corone) che per l’orditura secondaria (correnti, travetti o biscantieri) ed il tavolato (lambrecchie) sul quale appoggiavano i coppi in laterizio. La sezione della grossa orditura variava da quadrata a rettangolare a seconda dell’essenza usata e della dimensione, e quindi del peso, della copertura. Nelle coperture a padiglione gli arcarecci e le corone erano disposto orizzontalmente rispetto alla pendenza del coperto, portavano i correnti o travetti, detti biscantieri, disposti con andamento parallelo alla pendenza del tetto ed aventi in genere la sezione irregolare di un giovane tronco appena sbozzato. Questi ultimi poggiavano, all’esterno, sulla muratura da cui fuoriuscivano di circa 50 cm per reggere lo sporto con un terminale grezzamente intagliato a creare una mensola. Sui correnti o travetti venivano a loro volta inchiodate le lambrecchie, cortecce di pioppo o altra essenza facilmente reperibile, sotto forma di tavole dai contorni irregolari di circa 230 cm di lunghezza e 25 cm di larghezza. Su queste ultime venivano posati i coppi in laterizio. Nelle costruzioni un po’ più recenti è possibile trovare, nelle camere al primo piano, la presenza di “controsoffittature” realizzate fissando ai travetti dell’arellato, poi
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intonacato, disposto parallelamente ai correnti e compreso tra l’orditura del tetto che rimaneva di conseguenza a vista. Si veniva così a creare una sottile intercapedine sotto le lambrecchie che contribuiva, anche se in misura alquanto contenuta, a limitare gli scambi termici tra interno ed esterno. La copertura a capanna presenta un manto sempre in coppi e una struttura lignea simile a quella del tetto a padiglione, ma molto più semplice: i muri portanti sono in genere quelli trasversali e la struttura può essere costituita da sole terzere; se invece i muri portanti sono quelli longitudinali, si ricorre a capriate poste tra loro a una distanza non superiore ai 4-5 m, sulle quali poggiano le terzere.
Figura 52 Immagine Sopra, a sinistra: tipica soluzione strutturale di una copertura a due falde con colmo longitudinale in un edificio ad elementi giustapposti: a. per la parte abitativa dell’edificio; b. per la stallafienile. Sopra, a destra: 1. tavolato privo di struttura secondaria: ordito in modo perpendicolare alle terzere; 2. tavolato dotato di struttura secondaria: ordito in modo parallelo alle terzere.
I solai; Come le coperture, anche i solai erano in origine in legno e presentavano una struttura principale costituita da travi a sezione rettangolare della dimensione di circa 28,5 x 31 cm oppure di 31 x 38 cm; una struttura secondaria caratterizzata da travetti aventi sezione quadrata di circa 12,5 cm di lato e posti ad un interasse di circa 60-65 cm; e, infine, un tavolato in pioppo dello spessore di circa 3 cm che veniva inchiodato sui travetti.
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Figura 53 Immagine Particolari di solai: a. struttura e tavolato in legno tipico delle case rurali; b. struttura in legno e comuni mattoni al posto del tavolato tipico delle stalle più antiche; c. controsoffitto in arellato, celato sotto un solaio in legno; d. particolare di voltine in laterizio su putrelle in ferro, tipica delle stalle di inizio secolo.
Nelle case rurali e nei loro accessori i solai erano in genere inferiormente lasciati a vista, anche se grezzi e privi di qualsiasi opera di rifinitura. Non è comunque insolito, in certi ambienti del piano terra, trovarli nascosti dietro un arellato intonacato simile a quello usato sotto le coperture. Disposto orizzontalmente, l’arellato era direttamente fissato ai travetti lasciando in vista l’orditura principale oppure ricopriva anche le travi principali denunciandone la presenza con un semplice rivestimento delle facce esposte. Le pavimentazione: La pavimentazione tradizionale è in cotto, con l’uso prevalente di mattoni comuni, sebbene si logorino facilmente, generando polvere ed abbiano un aspetto non molto decoroso. Altri tipi di pavimentazioni, come la terra battuta, venivano utilizzate soprattutto per logge, portici, fienili o cantine, queste ultime in genere poste ad una quota più bassa del pavimento interno della casa ed anche del piano di campagna di almeno un gradino. La posa degli elementi in laterizio avveniva differentemente a piano terra ed al piano superiore: nel primo caso il cotto veniva posato sopra uno strato di ghiaia di circa 15-20 cm legata con calce oppure su uno strato di pezzi di laterizi mescolati a sabbia dello spessore di circa 10 cm; nel secondo la pavimentazione veniva posta su di un sottofondo di almeno 4 cm di calce idraulica e sabbia posto sopra il tavolato. Nelle abitazioni più modeste comunque il tavolato del solaio fungeva esso stesso da pavimento. Differenti
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disposizioni dei mattoni in cotto potevano creare disegni diversi: quelli più frequenti comunque erano basati sulla disposizione alternata, in diagonale, a spina di pesce. Le scale: La scala è tendenzialmente interna, ad una o due rampe. Quelle di più antico impianto sono in legno e spesso molto ripide al fine di non rubare spazio utile agli altri vani. Indipendentemente dal materiale con cui sono state realizzate esse, presentano comunque una larghezza abbastanza limitata di circa 70 cm ed occupano per lo più una posizione centrale.
I serramenti e le finestre: Nelle costruzioni più antiche o più povere le porte d’ingresso sono usualmente ad architrave orizzontale in legno oa piattabanda, mentre nei fabbricati un po’ più recenti si possono trovare soluzioni esteticamente più ricercate come l’arco a pieno sesto con una lunetta in ferro battuto in corrispondenza della parte superiore semicircolare oppure con arco a sesto ribassato. Le
finestre,
di
dimensioni
alquanto
modeste rispetto agli standard abitativi odierni, erano di rettangolari con una larghezza di circa 70 cm ed un’altezza pari a circa 100 cm, ed in genere al piano terra munite
di
economiche
inferriate. erano
inoltre
Per
ragioni
usualmente
assenti i bancali posti a coronamento del parapetto e gli sguinci all’interno, al fine di consentire una migliore diffusione della luce naturale erano assenti nelle murature ad una testa, ma presenti in quelle a due o Figura 54 repertorio schematico di soluzioni di più teste.
aperture ad uso porta di ingresso: a. con architrave, b. piattabanda, c. arco a tutto sesto, d. arco ribassato.
Altre tipologie di aperture presenti nei complessi rurali sono: aperture rettangolari o delimitate superiormente da archi ribassati per i magazzini degli attrezzi o per le cantine; aperture rettangolari o delimitate superiormente da archi a pieno sesto o ribassati per le stalle, soprattutto se coperte a volte; lunette o finestre quadrate o rettangolari per l’illuminazione e la ventilazione delle poste nelle stalle.
123
I
serramenti
sono
usualmente
in
legno
accompagnati
dall’uso
del
ferro in particolari casi come per le cancellate. Le porte d’ingresso e le finestre della parte abitativa sono sempre in
legno,
magari
differenziando l’essenza tra infissi di protezione esterni e telai dei vetri interni ai fini di una migliore resistenza agli agenti atmosferici. Gli scuri esterni, costruzioni
assenti più
nelle Figura 55 repertorio schematico di soluzioni di aperture ad uso
finestra: (a) con architravi in legno, (b) piattabande in mattoni, (c)
antiche, archi ribassati in mattoni, (d) archi a tutto sesto in mattoni, (e)
possono essere montati o in
aperture circolari in mattoni.
luce ed a filo esterno del muro presentando così una migliore tenuta all’acqua, oppure parzialmente in luce con battuta esterna, soluzione quest’ultima di più facile realizzazione soprattutto se la muratura esterna non è intonacata.
Gli intonaci: Numerosi sono gli studiosi che sostengono che gli edifici rurali non fossero in origine, per ragioni economiche, intonacati all’esterno, ma il dubbio permane in quanto analisi dirette condotte sui fabbricati hanno portato a supporne l’esistenza. Le tracce trovate nelle zone più protette degli edifici ora in muratura a faccia a vista, come nelle parti superiori delle murature perimetrali subito sotto lo sporto di gronda, fanno supporre che l’intonaco esterno potrebbe essersi distaccato per effetto congiunto dell’azione degli agenti atmosferici e della mancata manutenzione. Frequenti erano i fabbricati intonacati esternamente con intonaco di malta di calce (comune od idraulica) tinteggiato a calce, o per lo meno tinti direttamente, nei colori del bianco, del rosa sporco, del giallo o nelle gamme cromatiche del rosso mattone. All’interno gli intonaci usati erano: intonaci di malta e gesso (per le pareti) ed intonaci di malta bastarda di calce e gesso (specialmente per soffitti arellati).
124
4.3 Identificazione dei materiali
L’identificazione dei materiali all’interno di questa tesi, copre un ruolo fondamentale, infatti, se da un lato abbiamo le strategie urbanistiche ed edificatorie, legate più ai criteri di progettazione, dall’altro ve ne sono altre che sono più legate alla materia stessa di cui è fatto l’edificio, queste sono: -
circular economy
-
km zero
-
autocostruzione
-
LCA e energia grigia (intesi come sistemi di valutazione)
In ordine d’importanza, e per il principio dell’interscalarità della sostenibilità, la strategia che più interviene nell’identificazione dei materiali è quella del km zero, infatti la ricerca storiografica condotta precedentemente era incentrata su questo tema. È da tenere in considerazione che un materiale che era utilizzato un tempo, oggi potrebbe non essere più disponibile, per questo è importante accertarsi della presenza del materiale nel territorio di Mantova. I materiali cosi ricercati sono: -
legno
-
laterizio
-
materiali lapidei
-
vetro
-
paglia
-
argilla e terra cruda
-
canne palustre
-
acciaio
-
cls e cls armato
Va ricordato come l’evoluzione dei materiali è sempre in costante mutamento, infatti, all’interno di questo elenco si vogliono aggiungere altri due elementi che si vorranno analizzare, il primo è il biobeton (materiale apparso sulla scena dell’edilizia a partire degli anni ‘90) il secondo è il calcestre.
125
La ricerca dei materiali su base storica, come detto, è stata fatta per osservare i principi del km zero, eppure va ricordato come questa è solo una delle strategie esaminate, infatti, ora che si è individuato i materiali, è possibile soppesarli e valutarli con i criteri della LCA e dell’energia incorporata, e soprattutto integrarlo con i principi della circular economy. Come si è detto nel paragrafo dedicato a quest’ultima strategia citata, questa è nata in ambito industriale produttivo, tuttavia un esperimento tedesco bandito dal Ministero dell’Edilizia, utilizza i principi della circular economy, questo progetto si chiama F87. Inaugurato un anno fa nel cuore di Berlino al n. 87 della Fasanenstraße, non lontano dal famoso viale del Kurfürstendamm, centro commerciale e finanziario di Berlino prima e dopo la caduta del muro. La casa efficiente F87 è il frutto di anni di ricerca di un team interdisciplinare di architetti, di ingegneri e di universitari capeggiato dal Professor Werner Sobek, direttore dell’Ilek –
Institut
für
Leichtbau
Entwerfen und Konstruieren. Del loro progetto si vogliono prendere
in
osservazione
le
domande che si sono posti nella scelta dei materiali, e quindi l’integrazione tra architettura e circular economy, queste sono espresse nell’immagine 55 47. Allo stesso modo con la quale è stata portata avanti la scelta dei Figura 56: schema rappresentativo le priorità di scelta dei la soluzione adottata in questo caso prevede una serie di materiali nel progetto F87, materiali, domande a cascata. anche nel nostro caso si è voluto procedere allo stesso modo. Per queste ragioni si è voluto integrare a queste domande prettamente di ambito ambientale, anche quelle che hanno un profilo sociale ed economico sostenibile. Nell’immagine 56 è rappresentata la legenda con la quale si è portata avanti la scelta dei materiali nell’ambito della circular economy, e nello stesso tempo si è voluto indicare quali elementi del progetto andranno a costituire i materiali scelti. Nell’immagine 57 si vede lo schema funzionale con il quale, tramite una sequenza di domanda a cascata, si va a osservare i punti esposti, per formulare il giudizio ultimo che influirà sull’utilizzo o meno del materiale stesso.
47 V. Bremer, Universitat Stuttgart, 2010
126
Figura 57: legenda di lettura dello schema in figura 57
Figura 58: schema del funzionamento delle domande a cascata che ci aiutano nella valutazione di un materiale.
4.3.1 Il Legno
ALBERO l’esplosione lentissima di un seme Bruno Munari, Fenomeni Bifronti, 1993
Il legno è il materiale ricavato dai fusti delle piante, in particolare dagli alberi ma anche dagli arbusti. Il legno è considerato una risorsa sostenibile perché rinnovabile, tuttavia è meglio dire che nello stesso tempo bisogna salvaguardare le foreste come polmone verde e luoghi di
127
biodiversità, per cui è un materiale sostenibile si, ma solo fintanto se il prelievo delle essenze è sostenibile. Per questo è importante che le specie prelevate siano provenienti da foreste certificate, in cui il prelievo avvenga in maniera controllata e garantendo la riproduzione della foresta. Inoltre è opportuno scegliere specie che abbiano una riproduzione rapida, infatti, i tempi di rinnovo sono importanti per definire “rinnovabile” una risorsa. Alcuni definiscono rinnovabili le specie vegetali che si riproducono in 10 anni, però si tratta di archi di tempi definiti in modo arbitrario, e soprattutto, una “produzione di massa” di piante indicherebbe una coltivazione a monocultura, che non salvaguardano la biodiversità, e oltretutto, come nell’agricoltura, si incontrano temi non sostenibili, come il consumo di acqua, l’uso di sostanze nocive per l’ambiente, come fertilizzanti e pesticidi; così ché anche il legno, in generale, deve essere considerato un materiale non del tutto sostenibile, o per così dire, non del tutto “naturale”.
4.3.1.1 Presenza di legno a km zero Il legno è da sempre stato presente sul territorio, eppure, è necessario una foresta o un bosco per avere questo materiale. L’unica foresta, che racchiude ancora molta biodiversità di flora e di fauna sul territorio di Mantova è bosco Fontana, un tempo residenza di caccia della famiglia Gonzaga, ora riserva naturale protetta che copre una superficie di 233 ettari. Il complesso del bosco è composto da una mescolanza di latifoglie, che dalla notte dei tempi hanno sempre occupato queste zone. Pur essendo stato sfruttato nei secoli per la produzione di legno, la presenza di querco-carpineti è ancora massiccia. Com’è giusto e doveroso, non si può tenere in considerazione lo sfruttamento di questo bosco, e naturalmente nemmeno non è possibile dal punto di vista legale. Una soluzione per l’approvvigionamento di essenze lignee potrebbe venire dalla selvicoltura del pioppo. Questa varietà, infatti, è ben radicata e sfruttata sul territorio; infatti, è possibile viaggiando o precorrendo le aree rurali osservare filari di grandi superficie in aperta campagna, e in maniera ancora maggiore lungo gli argini dei fiumi, come il Po, l’Osone o l’Oglio.
128
4.3.1.2 Il pioppo
Il pioppo è il nome generico per definire il Populus; genere
arboreo
della
famiglia
Salicaceae,
che
comprende al suo interno numerose specie. Il pioppo ha una forte importanza nell’arboricoltura da legno; con questa essenza si fabbricano pannelli di compensato,
cassette
da
imballaggio,
carta
e
fiammiferi. Una volta il legno di questa pianta era usato nella fabbricazione delle intelaiature di sedie e divani e anche per le doghe dei letti. In questo momento il legno di pioppo è un’essenza che ha subito nel corso dei secoli una massiccia clonazione, che ne ha peggiorate le caratteristiche tecniche, vi è tuttavia una ricerca di selezione e miglioramento della specie, poiché a conti fatti questa
Figura 59: pianta di pioppo
essenza cresce rapida e veloce, infatti, l’età produttiva inizia attorno ai 10- 15 anni, e l'altezza va dai 15 ai 20 metri, con fusti che possono superare i 2,5 metri di diametro. 48 In natura il pioppo può arrivare a vivere fino a 200-400 anni.
4.3.1.3 Gli usi nella storia e nel presente Questo materiale, pur essendo di scarsa qualità, in confronto ad essenze come querce e abeti, presenta buone caratteristiche che ne han fatto un materiale molto duttile e utilizzato. In retrospettiva, tuttavia, parecchi esempi d’impiego strutturale del pioppo stanno dimostrando che il suo utilizzo è stato considerato, oltre che possibile, anche vantaggioso rispetto ad altre specie legnose. Indubbiamente il legno di pioppo è stato scelto in tali realizzazioni in virtù delle sue caratteristiche di leggerezza, di buona resistenza, di rigidezza e di elevata stabilità dimensionale; i problemi legati alla sua scarsa durabilità naturale sono stati facilmente superati grazie all’innovazione tecnologica dietro all’utilizzo di questo materiale.
48 Dipartimento di agronomia, selvicultura e gestione del territorio della provincia di Cremona, documento pdf, marzo 2011
129
Nella storia si possono ritrovare utilizzi di legno di pioppo in strutture anche di notevoli dimensioni, come per esempio: -
Le strutture delle volte di copertura della Sala delle Feste del Castello del Valentino di Torino, XVII sec. Bertolini C, 1995;
-
- Centine della volta di copertura della sala del Teatro Verdi di Pisa, XIX sec., Carmassi M, 1994;
-
Centine del ponte di servizio del Viadotto di Paderno d’Adda, Como, XIX sec., Bertolini C., 1991;
-
Costruzioni di aerei, fino al 1939 circa (parti di fusoliera, longheroni delle ali, ecc.) riferibili a marchi come Caproni, Savoia-Marchetti, ecc. Giordano G., 1964;
4.3.1.4 Caratteristiche tecnologiche e tecniche La possibilità di segare l’essenza del pioppo non è sempre agevole, siccome in presenza di legno di tensione la lama subisce un notevole attrito e le superfici assumono il cosiddetto aspetto “cotonoso”. La sfogliatura è facile in assenza di legno di tensione, mentre la tranciatura è raramente praticata. L’elevatissimo contenuto d’acqua nell’albero appena abbattuto (che può raggiungere valori superiori al 200% del peso del legno anidro), e l’elevata presenza delle cosiddette “tasche di umidità”, può rendere lunga e difficile l’operazione di essicazione. Varie esperienze hanno mostrato l’opportunità di condurre a una pre- stagionatura del materiale prima di procedere all’essicazione artificiale. L’incollaggio avviene facilmente e con ottimi risultati. L’unione con chiodi e viti provoca spesso fessurazione e una volta eseguita ha una tenuta mediocre. La piallatura, la levigatura e la tornitura non sempre portano a risultati molto brillanti, soprattutto alla presenza di legno di tensione o di deviazione della fibratura. La tinteggiatura e la verniciatura sono discretamente agevoli, ma con risultati non sempre eccellenti, l’impregnabilità è buona. I dati medi attribuiti alle caratteristiche fisico-meccaniche, vanno riferite all’intero genere populus, sono i seguenti: 49 -
massa volumica a umidità normale fra 0,26 e 0,52 g/cm3 (valore medio 0,34 g/cm3)
-
densità basale compresa tra 0,28 e 0,42 g/cm3 (valore medio 0,29 g/cm3)
49 http://www.populus.it/pdf/SHERWOOD_1997_GC_PIOPPO_IMPIEGHI_STRUTTURALI_SH_24.PDF
130
-
ritiro da basso a medio, con i seguenti valori medi: ritiro assiale 0,1%, ritiro radiale 2,8%, ritiro tangenziale 6,3 %, ritiro volumetrico 9,8%. I valori medi di resistenza meccanica, al 12% di umidità del legno, sono i seguenti:
-
resistenza a compressione assiale, 31,5 MPa;
-
resistenza a flessione statica, 55 Mpa
-
modulo di elasticità a flessione, 7850 Mpa
-
resistenza a taglio, 3,4 MPa
-
resistenza a flessione dinamica e all’usura superficiale bassa, fissilità media. I valori delle caratteristiche tecniche sono riferiti al legno massello:
-
densità, (ρ), 400 kg/m3
-
condubilicità termica (λ), 0,16 W/mK
-
calore specifico (c) 1,46 kJ/kgK
-
C 700-810 kJ/m3K
-
Permeabilità al vapore (µ), 40
4.3.1.5 Legno di pioppo a km zero
km 2
La coltivazione dei pioppi richiede molta luce; inoltre, vogliono un terreno fertile, umido
a
sufficienza,
non
amano il ristagno dell'acqua e i terreni troppo duri; con buoni accorgimenti la pianta avrà invece una rapidissima crescita.
La
loro
moltiplicazione avviene per Figura 60: A- Levata di Curtatone, B- strada circonvallazione sud, a km seme e per polloni, mentre
2 dall’ambito di progetto.
nei vivai si preferisce la moltiplicazione per talea. Nelle piantagioni (immagine 61), i pioppi vanno messi a dimora a una distanza gli uni dagli altri di 4 x 4 m oppure 4 x 5 o ancora 5 x 5, secondo le specie usate, del terreno o
131
della vicinanza o meno di fonti d'acqua. I pioppi prediligono svilupparsi con i loro simili; tuttavia crescono bene anche con altre specie, come ad esempio i salici. La pioppicoltura praticata in Italia, finalizzata principalmente alla produzione di pannelli di legno compensato, prevede turni di coltivazione compresi fra i 9 e i 12 anni; dopo l'abbattimento il terreno potrà essere usato per piantare altri pioppi oppure usato per altre colture. Nel caso nostro specifico, in un raggio massimo di 60 km è possibile riscontrare tal essenza in molteplici casi. Nel comune, infatti, sono attivi delle centrali a biogas, e vista la grossa
produzione
organica
di
queste specie, si riesce a sfruttare il pioppo per la produzione di energia elettrica. I cicli di riproduzione sono abbreviati, infatti, le giovani piante Figura
61:
nell’immagine
vengono tenute in terra per 3 anni, intensivamente
filari
di
pioppeti
coltivati
e poi tagliate per la creazione della biomassa. Lungo gli argini fluviali del fiume Po, e dell’Oglio, sono presenti numerose silvicolture a pioppi, infatti, hanno un ruolo importante nella protezione degli argini fluviali. I pioppi presenti lungo gli alvei fluviali sono utilizzati principalmente per la produzione di carta, legno lamellare o compensato. Anche nell’area che prima era il quarto lago di Mantova si pratica la silvicoltura del pioppo, ed è proprio da questo luogo che si intende prelevare il materiale, infatti, per quanto riguarda la strategia del km zero siamo a due chilometri dall’ambito di progetto, come in immagine 60.
4.3.1.6 Valutazione sintetica, modo d’uso e scenario di fine vita
I risultati adesso disponibili confermano l’idoneità del legno di pioppo per generici impieghi di tipo strutturale, se mantenuto massello; invece, impieghi di ben più successo sono ottenuti tramite l’uso di legno lamellare e legno compensato; va tuttavia ricordato come queste ultime lavorazioni sono dannose per l’ambiente, poiché la lavorazione del legno con resine e prodotti chimici, trasforma il legno in un materiale non più biodegradabile, e quindi non più sostenibile, e per di più dannoso alla salute.
132
Il legno, in generale, è una materiale rinnovabile, poiché per la crescita non sono impiegate “energie interne”, per il
principio
neghentropico
della
termodinamica.
Il
contenuto di embodied energy, in altre parole l’energia incorporata, è virtualmente nullo. Tuttavia va ricordato che per essere utilizzato come materiale da costruzione, ha bisogno di lavorazioni successive al solo prelievo da campo, portando inevitabilmente al dispendio di energia. In una LCA questo comporta un’analisi di processo inverso, dove il primo step è l’abbattimento dell’albero stesso, il successivo apporto energetico deriva, invece, il trasporto. Nel nostro caso specifico, la distanza da luogo di produzione a luogo di costruzione è di 2 km; se le successive
fasi
di
lavorazione
dei
materiali,
quali
scorticatura e essicazione, fossero possibili in filiera corta, l’energia incorporata di questo materiale risulterebbe ancora vicino allo zero teorico. Le successive fasi, che sono la segatura e prima lavorazione, per un dispendio ancora minore di energia, dovrebbero essere svolte in cantiere stesso, con un principio di autocostruzione. Queste strategie, dette di filiera corta, portano alle condizioni migliori dell’uso di un materiale. Una valutazione LCA, secondo queste metodiche sarebbe Figura 62: materiale legno, domande a riduttiva, ma poiché dati specifici per questa situazione
cascata.
non esistono, verranno presi dati generali del profilo ambientale del legno locale massello, questi sono: -
PEInr : 1,35 MJ;
-
PEIrin: 21,14 MJ
-
GWP: -1,76 CO2 eq
-
EE: nulla Lo scenario di fine vita del legno massello non trattato è l’avvio al riciclaggio organico (produzione di compost), oppure riciclato per la produzione di nuovi pannelli truciolari, oppure ancora avviato alla termovalorizzazione. L’impiego che andrà ad occupare questo materiale all’interno dell’edificio sarà quello di sostegno. In altre parole si intende usare quest’essenza come intelaiatura di supporto
133
per il biocemento, infatti, si intende creare un’anima in legno che sappia garantire stabilità alla struttura così creata. nella progettazione della griglia lignea tuttavia si prevede l’utilizzo di colle per tenere insieme il tutto, infatti, questo materiale non è lavorabile per la creazione di incastri, o più semplicemente chiodatura o similari, l’unica via possibile per unire i componenti è quello dell’uso di colle.
4.3.2 L’argilla e il laterizio La materia prima del laterizio è l’argilla, che, in presenza di acqua, ha proprietà plastiche.
Le
argille
sono
rocce
sedimentarie
clastiche
incoerenti
costituite
principalmente da silice. A esse sono aggiunti minerali di tipo non plastico (feldspati, quarzo, calcite, ossidi di ferro) e smagranti, come sabbia, farina di quarzo, farina di laterizio, scarti (scorie, ceneri, trucioli di segheria), per garantire la stabilità dopo essicamento e cottura. Il colore del materiale dipende dagli ossidi di metallo presenti nell’argilla e dalle temperature di cottura; l’ossido di ferro conferisce colore rosso e ad alte temperature colore marrone, la grafite il grigio e il calcio giallo. Solitamente gli stabilimenti e le fornaci sono in prossimità delle cave di estrazione.
4.3.2.1 Processo produttivo I composti vengono macinati, mescolati e bagnati, per formare l’impasto. Si procede quindi alla formatura: l’impasto è fatto passare attraverso una matrice di estrusione, che ne determina la forma della sezione e in seguito tagliato a pezzi tramite cavi. Piastrelle e forme complesse, come per esempio le tegole, sono invece formate per stampaggio. L’impasto è quindi essiccato a 120° C e poi cotto nei forni a tunnel che segue tre step: 1-
a 600° C, dove l’argilla espelle l’acqua e comincia a cristallizzarsi;
2-
a 800° C il materiale si consolida
3-
a 1000° C avviene la compattazione della massa.
Per materiali come gres, clinker e ceramiche, le temperature di cottura oltrepassano i 1200° C, con la conseguente vetrificazione dello strato superficiale dovuto al processo di sinterizzazione.
134
4.3.2.2 Laterizio a km zero km 22,8 Il mattone è il materiale che più caratterizza il territorio, infatti, come abbiamo visto nella
ricerca
presente
storica,
fin
insediamenti
dai
è
primi
romani.
A
differenza del materiale legno, le
argille
abbondano
sull’intero
territorio
provinciale, sul campo, infatti, sono attive numerose aziende che trattano questo materiale. Figura 63: A- Levata di Curtatone, B- Gonzaga Una
ricerca
sul
web
ha
permesso di riscontrare numerose industrie che producono laterizi a partire da argille prelevate da cave a cielo aperto, infatti, il sottosuolo in provincia di Mantova è ricco di questo materiale. La ditta che si considera al fine del progetto è la fornace BRIONI 50 , che con sede a Gonzaga si colloca a 22,8 km di distanza dall’ambito (come in immagine 63); oltretutto il forno produce materiali che vanno dalle pavimentazioni in cotto a rivestimenti di esterni e interni.
4.3.2.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita Il mattone non è riciclabile, tuttavia è riutilizzabile, infatti, il riciclaggio post- consumo dei mattoni può avvenire, ma è un procedimento costoso, poiché è necessario rimuovere malte e intonaci. In generale le murature in laterizio sono demolite e utilizzate in seguito come sottofondo per la costruzione di strade. Più attuato è il riciclaggio post-produzione: gli scarti delle fabbriche sono macinati e utilizzati come smagranti nei successivi cicli di produzione.
50 http://www.fornacebrioni.it/
135
Storicamente parlando il riuso del mattone è stato utilizzato, infatti, nel libro “Costruirsi una lauta dimora a Milano”51, si parla alla voce demolizione di come chi demoliva, stava attento a staccare malta e intonaco dal mattone,
quelli
in
miglior
stato,
infatti,
venivano riusati, quelli di seconda mano rivenduti. Questo materiale non è sostenibile, tuttavia, la forte componente sociale che rappresenta – dovuto al carattere “storico” che rappresentarende il mattone un materiale utilizzabile, ma più come “ornamento” che come materiale da costruzione. Per componente sociale si è voluto intendere il forte legame che c’è tra tradizione locale del costruire e popolazione; il mattone è visto Figura 64: materiale laterizio, domande a come elemento inscindibile dall’architettura
cascata.
nel contesto di Mantova. L’utilizzo del mattone è quindi possibile, non come materiale portante o di largo uso, ma invece come materiale decorativo, che sappia quindi apportare un linguaggio più similare a quello parlato nella tradizione, ma anche come materiale per la pavimentazione. Per quanto riguarda invece il profilo ambientale di questo materiale, si fa riferimento al mattone faccia vista, poiché, come già detto, sarà questo l’uso più consono di questo materiale, e quello dl cotto. -
PEInr : 2,98 MJ;
-
PEIrin: 0,02 MJ
-
GWP: 0,19 CO2 eq
-
EE: 2,50 MJ
51 Laura Giacomini, Costruire una lauta dimora. Milano nell'età dei Borromeo 1560-1631, Hevelius Editore, 2007
136
4.3.3 L’acciaio
È definito acciaio quella lega ottenuta dalla fusione di minerali di ferro ( l’ematite, la magnetite e la limonite sono quelli principali), carbonio e altri elementi come il fosforo, lo zolfo, l’azoto, ma anche manganese, silicio e cromo. Sotto il nome di acciaio prendono vita numerose leghe, secondo gli elementi chimici e delle percentuali che lo compongono.
4.3.3.1 Il processo produttivo Il minerale è triturato, distribuito su una griglia e scaldato nell’impianto di agglomerazione, a una temperatura superiore ai 1200° C con l’aggiunta di coke, ottenuto a partire dal carbone. L’agglomerato e il coke sono poi caricati in maniera alternata per la bocca dell’altoforno. Le gocce di metallo, più pesanti, cadono sul fondo, mentre la loppa (ossia le scorie del processo produttivo) resta in superficie. La ghisa liquida sul fondo è convogliata verso convertitori a ossigeno, dove sono stati introdotti rottami fusi provenienti dal riciclaggio (in percentuale variabile dal 25 al 35%). In seguito è insufflato ossigeno puro, il comburente brucia il carbonio contenuto nella ghisa e i rottami fondono nel processo. L’acciaio liquido così ottenuto acquisirà infine la sua composizione chimica nel processo di affinazione, per ottenere diversi tipi di acciaio, con caratteristiche fisico-meccanico diverse. E’ possibile anche ottenere acciaio riciclato al 100%, utilizzando soltanto rottami; in questo caso il procedimento risulta più veloce e più economico, infatti il riciclaggio dell’acciaio viene effettuato attraverso un forno elettrico ad altissima temperatura. L’acciaio fresco di fabbrica si presenta sotto forma di bramme, queste verranno in seguito riscaldate a 800 – 1200° C e passato a laminatoio a caldo, dove saranno fatte passare attraverso una macchina trafilatrice. Le lamiere cosi ottenute possono poi prendere la loro forma finale attraverso una trafilatura a freddo denominata CFS.
4.3.3.2 L’acciaio a km zero km 21,0
137
Il ferro, e di conseguenza l’acciaio che
sono
non
si
considerare
materiali possono della
tradizione di Mantova, e ancora di meno di quella di
Curtatone,
questo
materiale non è nemmeno locale dal punto di vista produttivo italiano, infatti, anche se l'estrazione di Figura 65: A- Levata di Curtatone, B- Gazzoldo degli Ippoliti minerali di ferro avviene in 48 paesi, il 70% della produzione complessiva è coperto dai primi cinque: Cina, Brasile, Australia, Russia e India. Se il minerale, e quindi la prima estrazione, non sono locali, l’acciaio può trovarsi anche nel territorio della provincia di Mantova, inteso qui però come processo di lavorazione, infatti, a Gazzoldo degli Ippoliti, è presente lo stabilimento principale di Marcegaglia; azienda italiana fondata nel 1959 da Steno Marcegaglia ed attiva nella lavorazione dell'acciaio. Lo stabilimento di Gazzoldo degli Ippoliti in particolare lavora i nastri coil, che arrivano da stabilimenti di produzione, come per esempio lo stabilimento ILVA, a Taranto. La sede della produzione si colloca a ventuno chilometri dall’area di progetto (come in immagine 65). La produzione dello stabilimento mantovano si concentra sulla produzione di: 52
1-
nastri decapitati e skinpassati
2-
nastri lavorati a freddo
3-
nastri zincati a caldo
4.3.3.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita La valutazione di questo materiale è molto tediosa, infatti, se da un lato il materiale non rientra nella categoria a km zero (poiché l’estrazione non avviene all’interno del raggio considerato), dall’altro lato lo vediamo come uno degli unici mezzi possibili per realizzare una struttura portante, infatti, come abbiamo visto, legno e laterizio non sono
52 http://www.marcegaglia.com/officialwebsite/
138
indicati. Il primo per le scarse qualità dovute al pioppo, la seconda per via della scarsa sostenibilità del materiale (dovuto alla non riciclabilità dello stesso), per questi motivi il mattone non è ideale per la costruzione di pilastri o architravi. Per questi l’acciaio può essere considerato un’ottima scelta, anche se non del tutto a km zero; inoltre vi è da considerare che questo materiale sia riciclabile al 100%. Il riciclaggio dell’acciaio è semplificato grazie alle sue caratteristiche magnetiche che consentono una rapida classificazione dei materiali di rifiuto, infatti, oltre il 40% della produzione mondiale di acciaio, deriva da materiale riciclato. -
PEInr : 22,9 MJ;
-
PEIrin: 0,48 MJ
-
GWP: 1,24 CO2 eq
-
EE: 31,3 MJ
Figura 66: materiale acciaio, domande a cascata.
4.3.4 Il vetro
Il vetro è un solido amorfo composto di elementi inorganici, invece, quello che viene utilizzato oggi come materiale per l’edilizia è un vetro sodico-calcico, e secondo la norma EN 572, la composizione del vetro è la seguente: -
SiO4: ossido di silice; percentuale dal 69 al 74%
-
CaO: ossido di Calcio; percentuale dal 5 al 12%
-
Na2O: ossido di sodio; percentuale dal 12 al 16%
-
MgO: ossido di magnesio; percentuale da zero al 6%
-
Al2O3: ossido di alluminio; percentuale da zero al 3%
139
4.3.4.1 Il processo produttivo Durante la produzione le sostanze che compongono il vetro, secondo normativa, sono scaldate fino a 1400° C, tanto da rendere il composto fluido-viscoso, per poi essere in seguito sottopste a raffreddamento. Il vetro che noi prendiamo in considerazione è il vetro float e il vetro basso emissivo. Il primo è realizzato attraverso un procedimento sviluppato da Alastair Pilkington, nel 1959; la lavorazione prevede che la miscela vetrificabile viscosa sia colata su un bagno di stagno fuso, dove galleggia, da qui il termine float. Il vetro fuso raffreddandosi assume la forma di una lastra dello spessore di 6 mm. Al giorno d’oggi con lo stesso procedimento è possibile ottenere lastre che variano dai 1,1 mm ai 19 mm. Il secondo è ottenuto tramite lo stesso procedimento, la differenza sta nella presenza di ossidi metallici sulla facciata della lastra, questo rende il materiale basso emissivo.
4.3.4.2 Il vetro a km zero km 41,2 Sul territorio provinciale di Mantova è all’attivo solamente un’industria che produce vetro che si colloca a una distanza di 41 km dall’area di progetto, questa si chiama Vetreria Industriale, situata nel comune di Asola, nella frazione di
Casalromano
(come
in
immagine 67). La vicinanza al Po
e
l’abbondanza
di
sabbie
permettono l’utilizzo di materiali locali per la produzione che è di grande stata
qualità. fondata
L’industria nel
1983
commercia anche serramenti.
è e Figura 67: A Levata di Curtatone, B- Casalromano di Asola
140
4.3.4.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita La valutazione di questo materiale è semplice, poiché avendo il materiale a km zero, ed essendo indispensabile nella
costruzione
dei
serramenti,
il
lato
della
sostenibilità “viene a meno”, aggiunto al fatto che il vetro è riciclabile completamente (possibile sia in post produzione, utilizzando quindi gli scarti, sia in postconsumo). Il vetro può essere reintrodotto sul mercato nella stessa forma della precedente, oppure può essere utilizzato per scopi differenti, come per esempio la lana di vetro.
-
PEInr : 12,4 MJ;
-
PEIrin: 0,25 MJ
-
GWP: 0,88 CO2 eq
-
EE: 9,25 MJ Serramenti: il vetro è indispensabile per la realizzazione di serramenti, che possono essere in legno, in PVC o in alluminio. Al fine del progetto ci si appoggia alla ditta Rizzioli di Levata, al fine di migliorare la lavorazione e il Figura trasporto di questo elemento, e si useranno profilati in
68: materiale domande a cascata.
vetro,
alluminio. Tuttavia questo materiale non sarà analizzato come gli altri per due motivi, il primo è che non esistono processi di lavorazione dell’alluminio in provincia (e nemmeno nel raggio di 60 km), infatti, i profili arrivano già lavorati all’interno del territorio, il secondo è che a differenza dell’acciaio, l’uso dell’alluminio sarà di ridotte dimensioni. Per di più è da non trascurare come l’alluminio sia riciclabile al 100%; i valori LCA dell’alluminio riciclato sono: -
PEInr : 7,35 MJ;
-
PEIrin: 1,12 MJ
-
GWP: 0,41 CO2 eq
-
EE: 17,8 MJ
141
4.3.5 Il biobeton Il biobeton è un composto ottenuto dalla
combinazione
legnosa
dello
della
stelo
di
parte canapa
(canapulo), ed un legante a base di calce
idraulica
con
l'aggiunta
d'acqua. La
canapa
funge
da
materiale
riempitivo, mentre la calce idraulica da
legante.
Il
"canapulo"
è
un
materiale che ha un alto contenuto Figura 69: mattone realizzato con la miscela canapulo e di silice, che aiuta l'indurimento
calce idraulica.
della calce; il mix così composto si consolida in poche ore. Con il passare del tempo per via del effetto della carbontazione (ovvero quel processo che porta ad una graduale perdita di ossigeno, azoto ed idrogeno con un conseguente aumento del tenore di carbonio dai tessuti) acquisisce una consistenza simile alla pietra (in immagine 69 un mattone fatto con questo materiale). L'uso della canapa miscelata con la calce idraulica ha iniziato a diffondersi nell'edilizia intorno hai primi anni '90, tuttavia questa tecnica era già stata utilizzata circa 1500 anni fa, nel sud della Francia, gli archeologi hanno, infatti, ritrovato un ponte costruito con un conglomerato di calce e canapa tra il 500 ed il 751 d.C.
4.3.5.1 La miscela La miscela viene preparata con un miscelatore orizzontale o betoniera da cantiere. La betoniera è solitamente usata quando lo spazio a disposizione è limitato. Il miscelatore orizzontale ha una capacità di carico maggiore e produce una miscela migliore. Il processo di miscelazione è molto importante per una corretta prestazione del composto una volta applicato. Il canapulo deve essere prima bagnato poi è aggiunto il legante così da formare uno strato uniforme di calce attorno ad ogni singolo pezzetto di canapa. Durante il processo tendono a formarsi palle e grumi nel composto. E’ quindi importante che siano seguite correttamente le istruzioni e che la miscela sia aggiustata con acqua così da ottenere un prodotto finale omogeneo. Il processo di miscelazione deve essere eseguito nel seguente modo: gettare il canapulo nel miscelatore e aggiungere acqua - mezzo sacco di canapa (10 kg) richiede circa 20 litri di acqua. Miscelare per 2-3 minuti, quando la canapa assorbirà l’acqua (avverrà
142
velocemente) e diventerà leggermente umida si aggiungerà il legante, lentamente per poi lasciarlo miscelare per 3-4 minuti.
4.3.5.2 Le regole principali -
Il prodotto finale deve essere umido ma non bagnato.
-
La quantità di acqua varia secondo la temperatura dell’aria – solitamente è utilizzata
più acqua nelle ore pomeridiane rispetto a quelle mattutine. -
Per testare il corretto contenuto d’acqua, prendere un po’ del prodotto finito,
comprimerlo leggermente e riaprire la mano, se la miscela rimane compatta come una palla, il contenuto d’acqua è troppo elevato, se la miscela si sgretola il suo contenuto, è troppo basso. Quando la miscela si espande leggermente il contenuto d’acqua, è corretto. -
Il bisogno d’acqua varia secondo le proporzioni di legante usato.
-
Quando è utilizzata una betoniera, è consigliato svuotare il legante in una carriola e
caricare il miscelatore con un badile. -
Il miscelatore orizzontale è caricato dall’alto.
-
Al termine della miscelazione i macchinari devono essere abbondantemente
risciacquati. Eventuali grumi di legante formatisi sulle braccia del miscelatore devono essere rimossi. -
Quando le condizioni metereologiche e il tempo a disposizione lo permettono, è
consigliabile svuotare l’impasto di canapa (anche diversi carichi) su un foglio di cellophane, spargerlo con un rastrello e lasciarlo evaporare per un’ora o due prima dell’applicazione.
4.3.5.3 Il canapulo
La canapa (Cannabis, L. 1753) è una pianta annuale
a
fiore
che
appartiene
all’ordine
“Urticales”, alla famiglia “Cannabaceae” cioè delle Cannabinacee. La popolazione è molto variabile e presenta soggetti con caratteri molto diversi tra di loro, ed approfittando della variabilità di questa essenza, l’uomo ha creato (con un’adeguata selezione) tante varietà: da Figura 70: stelo della pianta di canapa, distinzione tra canapulo e fibra fibra, da seme e da uso farmaceutico. La pianta di canapa presenta un fusto eretto la cui altezza può variare da 1 a 5 metri in
143
media, a seconda della varietà, delle condizioni pedologiche e climatiche e delle densità di semina. La sezione del fusto può variare da pochi millimetri ad alcuni centimetri ed è formata da una parte interna di tipo legnoso, il “canapulo” (in immagine 71), di colore bianco e molto leggero, avvolto dal tiglio, una corteccia esterna di colore verde, che costituisce la parte fibrosa tenuta insieme da pectine. Il canapulo rappresenta circa il 75% del totale ed è costituito per un 77% da cellulosa e per il 20% da lignina; mentre la fibra rappresenta circa il 25-30% del fusto ed è costituita per la maggior parte da cellulosa e per un 6% da lignina. In Italia la canapa è stata utilizzata per millenni. In pipe preistoriche ritrovate nel Canavese sono riscontrate sue tracce. La regione ai piedi delle alpi piemontesi prende il nome di “Canavese” proprio dalla canapa, e sulla bandiera c’è la sua foglia. Per millenni i nostri antenati si sono vestiti, nutriti, scaldati, hanno pregato, scritto, e si sono curati grazie a questa pianta. Negli anni ’50 l’Italia era il secondo Figura 71: come si presenta il prodotto pronto per
maggior produttore di canapa al mondo essere commercializzato. (dietro soltanto all’Unione Sovietica). La
varietà “Carmagnola” forniva la miglior fibra in assoluto, e le rese unitarie per ettaro erano (e potrebbero ancora essere) maggiori che in ogni altro paese. Per secoli (almeno fin dal 1300, l’acquirente era la Marina Inglese) l’Italia ha esportato canapa, e da sempre la varietà italiana è stata riconosciuta come produttrice della miglior qualità di fibra tessile per indumenti.
4.3.5.4 La calce idraulica La calce aerea o calce comune o, semplicemente, calce è un materiale da costruzione (ma che può essere utilizzato anche per altri scopi) era noto fin dall'antichità, ed è ottenuta per cottura a temperatura elevata del calcare, una roccia diffusissima in natura costituita fondamentalmente da carbonato di calcio. Come detto, la materia prima per la produzione della calce è il calcare, una roccia sedimentaria ricca di carbonato di calcio (CaCO3) che è estratta da apposite cave. Il materiale, grossolanamente frantumato (con diametro dei frammenti nell'ordine dei centimetri o anche di un paio di decimetri), è introdotto in appositi fornaci dove viene
144
riscaldato gradualmente a 800-1.000°C per poi uscire dal fondo della fornace nell'arco di una decina di ore. In questa fase avviene una reazione chimica (reazione di calcinazione) che porta alla liberazione di anidride carbonica e alla produzione dell'ossido di calcio o calce viva: Dopo la cottura, i frammenti di pietra riducono il loro peso di circa il 40% a causa degli atomi di carbonio e ossigeno perduti e assumono una consistenza porosa. Per ottenere la calce definitiva, o calce spenta, il materiale deve subire la reazione di spegnimento che può essere condotto in due maniere differenti, per aspersione o per immersione. La calce idraulica è preparata da roccia calcarea impura, che presenta un certo tenore, dal 6 al 22%, di argille o altri alluminosilicati idrati. Il nome deriva dal fatto che a differenza della calce normale, è in grado di indurirsi anche non a contatto con l'aria. Il processo di produzione della calce consiste nella cottura del carbonato di calcio o carbonato di calcio e magnesio a temperature di circa 900 °C, in modo da liberare anidride carbonica e ottenere l’ossido derivato secondo la seguente reazione: CaCO3 + MgCO3 à CaO + MgO + 2CO2 L’ossido di calcio in uscita dal forno è generalmente frantumato, macinato e/o separato prima di essere trasferito ai sili di stoccaggio oppure viene trasferita all’impianto di idratazione per ottenere la calce idrata.
4.3.5.5 Il biobeton a km zero Canapulo: < 60 km Calce: km 56,2 Essendo
un
materiale
composto
dall’unione del canupolo con la calce, è necessaria la ricerca separata dei due elementi. Canapulo:
questo
materiale
è
di
produzione locale, infatti, l’uso nel progetto
del
consigliato
biobéton
da
un
mi
è
stato
produttore
Figura 72: Materiale calce, A Levata di Curtatone, B-
di Casalromano di Castenedolo di Brescia
Mantova, che tra l’altro afferma che nel 2013 nella provincia è stata coltivata la superficie maggiore d’Italia. Il prodotto può essere comprato dalla ditta Equilibrium S.r.l., un’azienda olistica riconosciuta come start-up innovativo, nata con l'obiettivo di ripristinare la filiera della canapa in Italia, e
145
ridare opportunità di sviluppo al Belpaese. 53 Tuttavia non è possibile appoggiarsi a quest’ azienda, poiché ha sede a Como e quindi non rientra nei 60 km previsti dalla strategia km zero. Lo stesso produttore che mi consigliò di usare questo prodotto diceva che lui solitamente vende direttamente il prodotto alla ditta Equilibrium, tuttavia è possibile ottenere lo stesso direttamente dai coltivatori, per poi essere usato direttamente in cantiere. Questo materiale non si può localizzare con un punto preciso del territorio, infatti, essendo una coltivazione annua cambia di campo, e quindi di posto per ogni semina. Calce: nel comune di Castenedolo, nella provincia di Brescia, a 59 km dall’area di progetto, la ditta FOSCHETTI s.r.l. produce questo materiale ottenendolo da cave a cielo aperto, la ditta è stata fondata nel 1920. 54 Con questa distanza la calce è il materiale che più si colloca lontano all’interno della strategia km zero.
4.3.5.6 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita Per la valutazione di questo materiale bisogna
precisare
che
la
ditta
Equilibrum (citata sopra) produce oltre alla miscela anche mattoni. Questi ha le stesse caratteristiche che ha il prodotto miscelato
e
costruito
in
cantiere,
tuttavia non avendo a disposizione valori effettivi della LCA di questo materiale,
si
è
voluto
procede
prendendo i valori di una tesi di laurea di
Ingegneria
del
Politecnico
di
Milano55. Questa analizza due differenti stratificazioni,
la
prima
composta
interamente da biobeton, la seconda,
Figura 73: materiale biobeton, domande a cascata.
53 http://www.equilibrium-bioedilizia.it/it 54 http://www.foschetti.it/profilo.htm 55 Edilizia a basso impatto ambientale: analisi del ciclo di vita di materiali a base di calce-canapulo, relatore Giovanni Dotelli, Politecnico di Milano, Ingegneria civile, ambientale e territoriale, 2011-2012
146
invece,
è
realizzata
a
sandwich, dove i due strati esterni sono realizzati in biomattone, mentre l’interno è di canupolo sfuso. STRUTTURA d’analisi A1: Muratura di tamponamento isolata con biomattone da 21,5 cm con U=0,34 W/m2K: - Intonaco di calce e sabbia:
Figura 74: Stratigrafia A1, composta interamente da biobeton.
0,036 m *1m2* 1350 kg/m3 = 48,6 kg; - Biomattone da 21,5 cm: 0,215 m *1m2* 300 kg/m3 = 64.5 kg. Peso totale: 113,1 kg
Struttura d’analisi B1: Muratura di tamponamento isolata con biomattone da 25 cm con U=0,13 W/m2K - Intonaco di calce e sabbia: 0,036 m *1m2* 1350 kg/m3 = 48,6 kg; - Biomattone da 25 cm: 0,250 m *1m2* 300 kg/m3 = 75 kg;
Figura 75: Stratigrafia B1, composta a sandwich, dove gli strati esterni sono in biobeton, mentre la parte interna è in canupolo sfuso.
- Canapulo sfuso: 0,18 m *1m2* 100 kg/m3 = 18 kg. Peso totale: 141,6 kg.
I valori di GWP (global warming potential) sono nel primo caso di 12,82 kg di CO2 equivalente, nel secondo, invece è di -19 kg di CO2 eq.; in queste circostanze è possibile definire la seconda stratigrafia come la scelta migliore nella progettazione, tuttavia è da
147
ricordare che questo pacchetto è costruito con mattoni, e nel nostro caso non gli utilizzeremo. Per questo motivo è da ribadire come il biomattone e il composto eseguito sul cantiere hanno le stesse caratteristiche tecniche, e per questo motivo l’analisi è valida a fine di progetto. È da ricordare inoltre che questo materiale ha ottime proprietà termodinamiche e fonoassorbenti, per esempio il secondo pacchetto, con uno spessore di 46 cm raggiunge il valore: U=0,13 W/m2K. Questo materiale si presta quindi per essere adoperato come tamponamento esterno, per le coperture e per i solai.
4.3.6 Il calcestre Per far capire subito di cosa si tratta, il calcestre è quel materiale utilizzato in quei campi, solitamente da calcetto, cosiddetti “in terra battuta” e rappresentano una valida scelta per le pavimentazioni esterne ove l’utilizzo frequente e costante porterebbe al veloce avvilimento di un tappeto erboso. Il termine "calcestro" è molto usato in Ticino, per definire un tipo di roccia calcarea locale e il pietrisco da essa ricavato; dal dizionario dell'italiano ticinese: Calcestro - derivato dal latino "calx" (calce), quindi dolomia saccaroide o roccia di apparenza simile o pietrisco calcareo. Con il senso di "graniglia calcarea" o “calcare frantumato”, calcestro/e è quindi soprattutto il nome del materiale utilizzato per le pavimentazioni stradali in stabilizzato naturale drenante, mentre la pavimentazione in sé è più propriamente detta macadam. Il "calcestre" consiste in un massetto di 10-12 cm di vari strati di pietra calcarea frantumata posata a diverse pezzature su un normale sottofondo di tipo stradale. L'insieme degli strati riesce a formare per compattazione e per decomposizione del ghiaietto calcareo una crosta particolarmente adatta per pavimentazioni pedonali esterne, dove è necessaria una funzione drenante della superficie. I vantaggi sono l’inalterabilità della superficie in qualsiasi condizione metereologica. Inoltre la praticità dei materiali riduce notevolmente i costi di manutenzione limitata all’utilizzo di rete a strascico e una saltuaria rullatura per livellamento del campo. Il livellamento avviene per passaggio incrociato con rete snodata per riportare il livello del terreno alle condizioni ottimali.
148
4.3.6.1 Il calcestre a km zero km 18,2 La materia prima è quindi ghiaia calcarea che nel mantovano si può incontrare in molte delle cave aperte che ci sono sul territorio, una di queste appartiene S.P.A..
a VILLAGROSSI
Quest’azienda
ha
3
unità
produttive aperte56, e tutte e tre si trovano ad una distanza inferiore di quella preventivata dalla strategia km zero, infatti, la cava scelta per il materiale è in località, Marengo di Marmirolo, che dista ad una distanza
Figura 76: A Levata di Curtatone, B- Marengo di Marmirolo.
di 18,2 km. La ditta stessa in questione si occupa della preparazione della miscela, oltre a questo prodotto v’è n’è un altro che può essere considerato nella ricerca dei materiali, ossia il cemento. L’azienda, infatti, commercializza anche inerti cementizi, ma questo sarà ripreso in analisi nel prossimo paragrafo.
4.3.6.2 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita
L’utilizzo che si vuole fare di questo materiale è per le aree a forte calpestio, infatti, il materiale si presta per questi scopi, altre possibilità di materiali adoperabili per superfici esterne sono i laterizi o i blocchi in CLS, tuttavia questi ultimi sono poco sostenibili da un punto di vista ambientale. Un’altra ragione che ha spinto la scelta di questo materiale è la sua capacità drenante, infatti, l’acqua non rimane in superficie, ma penetra nel calcestre e fluisce verso il sottofondo, evitando cosi la formazione di ristagni d’acqua. Per quanto riguarda la valutazione LCA di questo materiale non sono disponibili dati.
56 - http://www.villagrossi.it/it/unita_produttive
149
4.3.7 Il cemento armato Il calcestruzzo armato o conglomerato cementizio armato (comunemente chiamato cemento armato) è un materiale usato per la costruzione di opere civili, costituito da calcestruzzo (una miscela di cemento, acqua, sabbia e aggregati, cioè elementi lapidei, come la ghiaia) e barre di acciaio (armatura) annegate al suo interno ed opportunamente sagomate ed interconnesse fra di loro. Anche per questo materiale composto si andranno ad analizzare i due elementi principali: l’acciaio e il cemento. Il primo è già stato analizzato, e come visto non è presente sul territorio. Del secondo invece non si è ancora presa visione, e per questo s’inizierà a parlare del cemento.
4.3.7.1 il Cemento È un legante idraulico che si presenta sotto forma di una polvere finemente macinata, che, se mescolata con acqua, forma una pasta che fa presa e indurisce. Questo indurimento idraulico si deve soprattutto alla formazione di silicati idrati di calcio in seguito alla reazione tra l'acqua aggiunta per la miscela e gli elementi del cemento. Il componente idraulicamente attivo di un cemento è il cosiddetto "Clinker Portland" Il cemento, prodotto in forma industriale dalla metà dell'800, rimane tuttora uno dei principali materiali da costruzione perché, grazie alle sue caratteristiche di flessibilità ed alta performance, trova applicazione in svariati settori dell'edilizia.57 Nell'industria del cemento, scienza e tecnologia hanno avuto un peso determinante nella scelta delle direttrici di sviluppo: la realizzazione del ciclo tecnologico avviene infatti attraverso l'utilizzo di impianti complessi, dotati di tutte le necessarie apparecchiature e degli edifici per contenerle. Gli schemi dei cicli di lavorazione sono stati più volte rielaborati, le apparecchiature riprogettate per introdurre modifiche radicali e sempre più avanzate tecnologicamente. L'industria del cemento è stata tra le prime a rendere automatico il controllo della produzione. Sono stati sviluppati modelli matematici relativi al proporzionamento e all’omogeneizzazione della miscela di materie prime, all’operatività del forno, e alla macinazione. Gli impianti sono completamente automatizzati, centralizzati e telecontrollati.
57 http://dicata.ing.unibs.it/plizzari/MADE/Giovedi/PolitecnicoMilano_CISE.pdf
150
La prima cementaria italiana a sala centralizzata è del 1962, mentre la prima completamente controllata con calcolatore elettronico è del 1968. Innovazione tecnologica, modellistica e automazione sono state dunque fondamentali per migliorare il processo di fabbricazione in termini di qualità e di uniformità del prodotto, di bilancio energetico e di contenimento dei costi. Tutto ciò ha permesso di dare risposte adeguate alle richieste di un mercato in continua espansione, di allineare la produzione alle esigenze dell'ingegneria strutturale e dell'ambiente e di garantire un'elevata qualità nella produzione del cemento. Il processo produttivo: Il cemento viene prodotto a partire da una miscela costituita fondamentalmente da calcari, marne ed argille dosati in opportuni rapporti, e sottoposta ad una cottura ad elevatissime temperature, che porta alla formazione del semilavorato chiamato "clinker da cemento", minerale artificiale, principale costituente del cemento. Le materie prime impiegate sono generalmente di due tipi: il primo è costituito prevalentemente da carbonato di calcio, materiale molto diffuso nelle zone montuose; il secondo tipo, anch'esso molto diffuso, è costituito da argille o calcari marnosi che contengono, oltre al carbonato di calcio, anche notevoli percentuali di silicato di alluminio e ferro. Frantumazione: I materiali ottenuti in cava non sono adatti ad essere adoperati nello stato in cui vengono estratti: devono essere infatti frantumati accuratamente per ottenere un prodotto omogeneo, di pezzatura a dimensioni massime generalmente non superiori a 100 - 150mm, costituito da una corretta miscela dei diversi costituenti, da avviare agli ulteriori trattamenti. La fase della frantumazione può essere realizzata presso la cava con l'ausilio di frantoi mobili, o presso la cementaria, in genere situata nei pressi della cava o ad essa collegata con mezzi di trasporto, in frantoi con diverse caratteristiche tecniche. Preparazione della miscela: Il materiale così frantumato, è sottoposto in cementeria ad una serie di operazioni necessarie per ottenere una "farina cruda" di composizione sufficientemente costante nel tempo per essere sottoposta al trattamento termico di cottura. Tali operazioni possono a loro volta essere precedute da una preomogeneizzazione in appositi impianti per garantire una perfetta mescolanza attraverso la miscelazione preliminare del materiale estratto in cava, e consistono in: -
Essiccamento e macinazione : le materie prime da cemento contengono molta umidità, tanto che, nel processo di fabbricazione a secco, si rende necessaria una
151
loro essiccazione precedentemente o congiuntamente alla macinazione. Ciò avviene in idonee apparecchiature quali molini a sfere, a pista, in cui le materie prime sono opportunamente dosate e controllate chimicamente. In fase di macinazione i materiali vengono dunque essiccati tramite aria calda prodotta da appositi fornelli o recuperata in altre fasi del processo; -
Omogeneizzazione del materiale in sili ove subisce un'agitazione pneumatica e/o meccanica
che,
rimescolando
grandi
quantitativi
di
miscela,
ne
assicura
l'omogeneità. Così si ottiene una farina con una composizione compatibile con quella prefissata e pronta per essere avviata agli impianti di cottura. Prima della cottura sono fatti i controlli delle caratteristiche della farina cruda. Cottura della miscela e produzione del clinker Portland La farina cruda, così macinata e preparata, depositata e omogeneizzata in sili, è avviata alla cottura nel forno, dove è sottoposta a trattamento termico ad alta temperatura. Essa è portata progressivamente fino a circa 1400° - 1500° C. Nella produzione del cemento la fase di cottura della farina cruda, che porta alla produzione di clinker Portland, è il "cuore" del ciclo tecnologico del cemento e la grande importanza che riveste è dovuta a tre aspetti fondamentali: -
le reazioni chimiche che si realizzano in questa fase portano alla formazione dei composti idraulici essenziali del cemento;
-
le caratteristiche qualitative e prestazionali del prodotto risultano in forte misura già fissate durante la cottura;
-
il costo globale di esercizio è fortemente influenzato dalla tecnologia e dai provvedimenti adottati nella fase di cottura, considerando che il consumo energetico complessivo è determinato in buona parte dalla cottura.
Nel procedimento di cottura è possibile distinguere le seguenti fasi: -
il materiale entra dapprima nel preriscaldatore dove raggiunge la temperatura di circa 850° C; in questa fase avviene la disidratazione, con l'eliminazione dell'acqua libera e combinata, la decomposizione dei prodotti argillosi ed inizia la fase di decarbonatazione del calcare;
-
si passa quindi nella parte rotante del forno, un lungo cilindro inclinato in cui il materiale in cottura avanza fino a trovarsi esposto direttamente all'irraggiamento della fiamma del bruciatore principale. In questa zona avviene la cottura: si
152
completa la decarbonatazione e, raggiunta la temperatura di 1450° C, la sinterizzazione, cui partecipano gli ossidi di calcio, silicio, alluminio e ferro presenti nei materiali costituenti la farina per formare le fasi caratteristiche del clinker da cemento; Dosaggio e macinazione costituenti: il clinker così prodotto, di forma granulare e colore scuro, entra nella zona di raffreddamento dove passa rapidamente da 1200° C a 100 – 150° C grazie all'immissione di aria fredda esterna che si riscalda a sua volta fino a 800900° C e viene riutilizzata come aria secondaria di combustione per il processo di cottura. E' necessario sottoporre il clinker a un raffreddamento così rapido per "fermare" la composizione per "fermare" la composizione ottenuta ad alta temperatura e la mantenga stabile anche a temperatura ordinaria. l clinker uscente dal raffreddatore viene inviato a uno o più depositi chiusi, mantenuti in leggera depressione rispetto all'ambiente esterno da impianti di abbattimento che prevengono la dispersione delle polveri. Lo stadio finale della produzione di cemento dal punto di vista tecnologico culmina con la macinazione in polvere fine del clinker Portland con altri componenti (quali pozzolana naturale, cenere volante, loppa basica d'altoforno, calcare) per l'ottenimento dei vari tipi di cemento tra quelli contemplati dalla normativa vigente. La macinazione finale del cemento è un'operazione molto importante perché contribuisce in modo determinante allo sviluppo delle sue prestazioni meccaniche (resistenza) e reologiche (lavorabilità). La miscela del clinker e degli altri costituenti è eseguita in proporzioni accuratamente prestabilite ed è resa omogenea durante il processo di macinazione che riduce il materiale allo stato di polvere finissima. Il controllo di qualità nel cementificio è volto ad assicurare la produzione, in condizioni economiche competitive, di leganti idraulici di qualità costante, conformi alle pertinenti normative tecniche e in grado di soddisfare le varie esigenze di impiego. Tale compito è affidato al laboratorio che provvede a: -
l'esame di tutte le materie prime e dei combustibili;
-
la scelta ottimale dei componenti della miscela cruda e il loro proporzionamento o alla composizione mineralogica potenziale prescelta per il clinker;
-
il monitoraggio della composizione della farina cruda per verificarne la correttezza e per minimizzare le variazioni di composizione del materiale di cottura;
-
il controllo del processo produttivo;
-
l'analisi chimica e le prove fisiche sul cemento per assicurarne la completa conformità alle specifiche;
-
vari altri controlli di laboratorio inerenti il processo tecnologico, quali il controllo
153
dell'inquinamento.
Materia prima: La materia prima è generalmente estratta da cave a cielo aperto. Le rocce generalmente utilizzate sono di due tipi: quelle costituite prevalentemente da carbonato di calcio, materiale molto diffuso nelle nostre zone montuose; e quelle costituite da argille o calcari marnosi che contengono, oltre al carbonato di calcio, anche notevoli percentuali di silicato di alluminio e ferro. Questi materiali, secondo la loro durezza, giacitura, vengono estratti dalla cava con sistemi diversi. La tecnica di coltivazione di una cava più in uso, è quella "a gradoni" con la quale il materiale è scavato a stadi sovrapposti l'uno all'altro, rispettando determinate altezze, larghezze, e pendenze dei fronti in funzione sia della natura, , sia della tecnica estrattiva.
4.3.7.2 Il cemento armato a km zero km 48,6 Come per il biobeton, anche per il cemento armato bisogna analizzare i materiali che compongono questo elemento separatamente, però
avendo
già
analizzato
l’acciaio
in
precedenza si sa già che non è rintracciabile direttamente
sul
territorio.
Per
quanto
riguarda invece il cemento, nella provincia di Mantova
non
si
trovano
industrie
che
lavorano questo materiale, tuttavia già nella vicina Verona, a 48,6 km di distanza dall’area di progetto è in attivo un cementificio, chiamato Betonrossi SPA.58
Figura 77: A Levata di Curtatone, B- Verona
I ferri necessari ad armare il cemento saranno procurati tramite la catena classica che si lega al mondo dell’edilizia nel territorio.
4.3.7.3 Valutazione sintetica, modo d’uso, e scenario di fine vita Senza calare in ambiti che non sono di mia competenza, come quelli politico ed economico, vorrei dire che nel corso di quest’ultimo decennio il numero delle aziende di
58 http://www.betonrossi.it/
154
costruzione e cresciuto del 30%, mentre quello delle immobiliari del 60%; il tutto in un paese dove un 1/5 delle abitazioni NON sono occupate. 59 Il cemento ricopre un ruolo fondamentale nelle problematiche legate al mondo delle costruzioni, il suo utilizzo è quindi vivamente sconsigliato, anche perché questo materiale non è del tutto riciclabile, ma può essere utilizzato frantumato per fini secondari, come: sottofondi stradali, materiale di riempimento, ecc. Tuttavia sarà lo stesso utilizzato all’interno del progetto poiché è un ottimo materiale per gettare le fondamenta di un’abitazione, infatti, altri materiali come il legno o i mattoni, non si prestano altrettanto bene come questo materiale, e porterebbero i costi di progetto a lievitare. Una valutazione vera di questo materiale non è realmente eseguibile, poiché come visto il processo produttivo è energeticamente dispendioso, e inquinante, per questo l’uso sarà limitato a solo quelle parti nelle quali una scelta non è possibile. I valori di LCA si rifanno al calcestruzzo gettato in opera (C35/45 non armato): -
PEInr : 0,75 MJ;
-
PEIrin: 0,01MJ
-
GWP: 0,13 CO2 eq
-
EE: 1,5 MJ
59 http://www.repubblica.it/economia/2013/04/04/news/prezzi_delle_case-55912265/
155
4.4 Lettura dell’area di progetto
4.4.1 Gli interventi previsti dal Piano dei Servizi Le azioni di Piano sono rivolte al miglioramento, all’integrazione, all’arricchimento delle strutture esistenti piuttosto che alla realizzazione di nuovi spazi o impianti. Tra gli obiettivi primari è prevista la realizzazione del complesso scolastico delle primarie di Levata, previsto dal P.I.I. 608 “Edera” e dai P.L. 609 e P.L. 610 previsti dal presente PGT, con i circostanti servizi a verde e di socializzazione. In tale area è prevista la riqualificazione della rete stradale finalizzata a migliorare i collegamenti con Virgilio e ridurre il traffico su via Levata stessa. Infine si prevede di valutare i successivi interventi sui servizi della frazione di Levata per completare la qualificazione del centro urbano centralizzato su via Levata e sugli spazi disponibili delle ex scuole e dei servizi limitrofi, interventi da rendere sinergici con la previsione di recupero dell’ex area Comac. E’ programmato un intervento di ampliamento e adeguamento del polo scolastico di Buscoldo, mentre è in fase di conclusione la realizzazione della stazione ferroviaria a Levata per la mini metropolitana di superficie insistente sulla linea ferroviaria MantovaModena. Il PGT conferma a Montanara la previsione di un parcheggio a servizio della scuola elementare e la riqualificazione dell’area prospiciente l’ex municipio a carico dell’operatore privato titolare del piano attuativo. In particolare è posta al centro delle azioni di piano la migliore qualificazione degli spazi pubblici urbani e la loro più efficace connessione con la grande risorsa costituita dal Parco del Mincio e dal sistema naturalistico costituito dal Mincio e dalle valli oltreché l’asta del paleoalveo del Mincio, antica connessione con il Po e dalla rete dei suoi itinerari. In sintesi le azioni di piano si possono raccogliere in quattro capitoli principali: 1-
scuola di Levata con la riqualificazione del sistema infrastrutturale ed il parco
156
urbano correalto; 2-
miglioramento della qualità e dell’ambiente urbano e della fruibilità degli spazi
pubblici; 3-
integrazione puntuale della dotazione di attrezzature pubbliche, operando sulle
strutture esistenti; 4-
realizzazione degli adeguamenti e ampliamenti delle reti tecnologiche e del sistema
infrastrutturale. Interventi sulla viabilità: Il Piano dei Servizi prevede interventi diversi di qualificazione e ricucitura della maglia viaria urbana, che si somma agli interventi di riorganizzazione di più grande scala previsti da organismi sovracomunali, descritti nella relazione del Documento di Piano. Gli interventi in attuazione del Piano dei Servizi riguardano ordinari interventi di manutenzione e qualificazione della rete comunale, finalizzati ad elevare la sicurezza e l’efficienza del sistema viario e ciclopedonale. Parcheggi: Il Piano dei Servizi prevede che venga realizzata un’adeguata dotazione di aree per la sosta dei veicoli nel contesto dell’attuazione dei maggiori interventi di trasformazione previsti dal Piano delle Regole, in modo da attrezzare in maniera diffusa tutto l’agglomerato urbano. Prevede inoltre due specifiche aree a parcheggio pubblico a servizio del complesso delle scuole di Levata e di Montanara. Levata di Curtatone è, all’interno del Comune, la frazione che maggiormente subito gli effetti della città diffusa, in concomitanza del fatto che è, tra i paesi che compongono Curtatone, quella più vicina a Mantova, e che quindi riceve maggiorente gli influssi del capoluogo. La pubblica Amministrazione ha colto l’opportunità di potersi ampliare senza dover accingere a nuovo suolo, attraverso l’utilizzo di aree dismesse o da dismettere in futuro; dando il nome di ATR 601 (ATR _ Ambito di Trasformazione prettamente Residenziale).
4.4.2 Ambiti di progetto L’ATR 601 si suddivide in 3 ambiti: 1-
Un Opificio dismesso, di 25.663 m2, da destinare a edificazione.
2-
Una scuola elementare, ancora in funzione fino al completamento della nuova, di
2.832 m2, da destinare a servizi urbani. 3-
Un palazzo civico dismesso, di 840 m2, da destinare a servizi urbani.
157
Figura 78: ATR 601; ambiti 1,2 e 3 colorati in rosso.
L’ambito I: coincide con l’attuale area produttiva/commerciale denominata “COMAC”, la quale era di proprietà del gruppo CONAD, in precedenza punto di riferimento del commercio al dettaglio provinciale. In un decennio, la struttura commerciale d’interesse provinciale, ha man mano perso d’importanza e di valore arrivando a cessare l’attività. L’area pertanto ha perso la vocazione iniziale. L’area si colloca sul lato inferiore su via della Costituzione, arteria principale della frazione e direttrice per Mantova. L’intervento è ricompreso in un’area pianeggiante, oggi ben delimitato dalla recinzione esistente, connotata da un grande opificio centrale al lotto e da un corpo di fabbrica, di ridotte dimensioni posizionato sul confine sud. L’ambito I è composto da ulteriori tettoie e fabbricati di servizio di ridotte dimensioni. Saranno escluse dall’ambito l’abitazione e la cabina elettrica posta su via Costituzione. La dismissione dell’attività ha indotto l’Amministrazione comunale a valutare e ricercare soluzioni in grado di evitare possibili impatti sul territorio. Da tali riscontri scaturisce la presente proposta di acconsentire a trasformazioni funzionali capaci di ridurre eventuali impatti o degradi, trasformando la destinazione da produttiva a mista residenziale/terziaria alle seguenti condizioni: -
mantenere una slp analoga o inferiore all’esistente
-
acconsentire a funzioni di ridotto e minimo impatto
158
-
acconsentire a progetti di elevato valore architettonico, urbanistico ed energetico, caratterizzati da una spiccata attenzione ad un inserimento paesisticamente qualificato
-
acconsentire, tramite un processo negoziato con il Comune di Curtatone, a “predefinire” con precisione gli interventi di mitigazione e compensazione da effettuare
-
intervento negoziato e perequato Il progetto di riconversione e riqualificazione urbanistica dell’area ha la finalità di allontanare un’attività ormai incompatibile con il centro abitato e, dal punto di vista edilizio impattante visivamente. L’intervento dovrà ridurre gli impatti tramite un progetto di riqualificazione urbana, mirato alla definizione di un’elevata qualità distributiva, architettonica, materica, energetica, anche attraverso l’introduzione di tecnologie innovative. Le funzioni insediabili dovranno essere caratterizzate da bassi impatti viabilistici e l’integrazione e la realizzazione di standard e opere connesse, individuazione del piano sul lato prospicente via Costituzione, di un'adeguata dotazione di infrastrutture per parcheggio ad uso pubblico e verde atti a soddisfare le esigenze della popolazione insediata.
Ambito II e III: dalla descrizione dell’area ATR 601, secondo PRG, “coniugare il presente intervento (ambito I) con la dismissione e la rifunzionalizzazione dei due edifici comunali (ambito II e III) posti in centro e la formazione di un qualificato centro urbano con forte identità”. L’intervento
dovrà
valutare
e
proporre
un
progetto
compiuto
e
definito
di
riqualificazione di una porzione del centro di Levata (via Levata e via Costituzione). Tale progetto dovrà scaturire da un processo concertato con il Comune e partecipando con la cittadinanza, finalizzato a integrare le funzioni e la vivibilità del centro paese. Gli ambiti 1 e 2 rientrano nel ATR 601 e sono lotti di proprietà comunale. L’amministrazione, previa negoziazione, concede l’intervento per i due nuovi edifici residenziali, in cui saranno restituiti in seguito la al comune per una SLP ≥ 1350 m2. Il comune pone in cessione le aree dei lotti 1 e 2 congiuntamente allo scomputo degli oneri di urbanizzazione e costruzione, per negoziare la migliore realizzazione di almeno 1350 m2 di edificio completo e ultimato nell’edificio 2 e la realizzazione dell’intervento di riqualificazione del centro di Levata per 350 metri lineari, con pavimentazione a livello unitario e miglior qualificazione dell’arredo urbano di elevata qualità, al fine di incentivare l’uso pedonale della piazza e la socializzazione nel contesto urbano. Questa riqualificazione, secondo le volontà comunali dovrà essere simile, in materiali e forme,
159
alla riqualificazione del centro storico di San Silvestro, frazione vicina a Levata e sempre facente parte del Comune di Curtatone. L’ambito II sarà caratterizzato da un edificio con Slp max uguale a 2700 m2 e un altezza massima di 4 piani, di cui il piano terra e il primo piano saranno riceduti gratuitamente al comune per una slp di 1350 m2, da destinare a funzioni pubbliche, mentre il terzo e il quarto piano potranno avere funzioni sia residenziali che terziarie. L’ambito III darà caratterizzato da un edificio con slp massima di 960 m2 e un’altezza massima di 3 piani, di cui il piano terra destinato a funzioni commercialii o di uso pubblico, al fine di favorire l’uso a piazza con funzione socializzante del nodo centrale di Levata. Il secondo e terzo piano potranno avere sia funzioni residenziali che terziarie, oppure per servizi generali.
4.4.2.1 Mitigazione e disegno comunale Alla voce Mitigazione del Documento di piano si precisa che: -
valorizzazione e recupero del rapporto paesistico con il sistema acque, più
precisamente in riferimento all’ambito I con il canale di Bonifica Sud-Ovest -
l’ambito di trasformazione dovrà prevedere la realizzazione di fasce di rispetto del
corso d’acqua, opportunamente arborate con essenze autoctone, tese a valorizzare lo stato dei luoghi e a sottolineare la valenza paesistico-ambientale -
l’insediamento dovrà essere ad attività a basso impatto ambientale, in recepimento
ai pareri ASL e ARPA -
l’area attualmente occupata dalla stazione di servizio dovrà essere bonificata in
conformità alla normativa vigente e dovrà essere mantenuta con l’attuale destinazione funzionale e viabilità comunale. Oltre alle mitigazioni il comune definisce anche uno schema esemplificativo degli ambiti e delle volontà qui esposto in figura 80.
160
Figura 79: schema esplicativo dell’ambito attuativo, preso dal documento di piano del PGT, in questa immagine è possibile vedere le intenzioni comunali sulla ATR 601.
4.4.2.1 Parametri urbanistici
D al documento di piano Superficie territoriale (St): 29.335 m2 Area dove è concentrata l’edificazione (Sed): 29.335 m2 Indice di utilizzazione territoriale (Ut): 0,85 Superficie lorda di pavimento (Slpmax): 24.935 m2 Abitanti teorici insediabili (Ab): 380 D al piano delle regole
161
Area per servizi minima richiesta (ASmin): 12.440 m2 Area per servizi individuata o da individuare (Asid): 6.000 m2
Area per servizi da monetizzare (Asmin): zero o variabile. Area per servizi da perequare (Aspeq): Concessione di almeno 1350 m2 di edificio completo e finito in Ambito II. Area per servizi complessiva (Astot): 13.790 m2 (variabile) Criteri di priorità per l’attuazione: A
Tempo massimo di convenzione (Tmax): 8 anni
Indice di utilizzazione fondiaria (Uf): 0,40÷1,50 Altezza massima degli edifici (Hmax):espressa in numero di piani; Ambito I 3 piani con la possibilità di aumentare di un 20% al 4° piano, Ambito II 4 piani, Ambito III 3 piano. Rapporto di copertura (Rc): 50%
Superficie permeabile (Sp): 50%
Carico Urbanistico (Cu): M
162
4.4.3 Dati generali sulla popolazione e sulle residenze Il comune di Curtatone, rispetto alla media italiana, è un comune giovane, l’età media è di 43 anni e gli abitanti sono così suddivisi: -
0-14 anni: 20%
-
15-64 anni: 65.5%
-
>65 anni: 14.5%
Il 65% delle famiglie ha figli sotto il tetto, e la disoccupazione al 2010 era del 3.1%, mentre gli stranieri sul territorio erano del il 4,7%. Ogni famiglia ha un’abitazione che in media copre una superficie di 127 m2, e sull’intero suolo comunale il numero delle abitazioni è di 4600, mentre il numero di edifici è di 3000 unità. Questi dati ci forniscono una chiara visione di come il comune ha utilizzato il proprio suolo, infatti, i numeri ci indicano che la maggior parte del costruito sia costituito da case singole o bifamiliari, con pochi condomini o edifici alti.
163
4.5 Studio d’insieme: strategie e contesto
Adesso che si è presa una vera forma d’insieme, sia del territorio, sia dal punto di vista strategico-costruttivo, si possono iniziare a tracciare quei primi percorsi che costruiranno il progetto stesso. In questo paragrafo si vuole approfondire il tema delle strategie prima individuate (sia a livello urbano sia del singolo edificio) e analizzarle nella frazione di Levata poiché, se da un lato le indicazioni esposte nelle strategie sono le “basi” per un costruire sostenibile, dall’altro lato non si può mai sapere se le stesse basi possono essere usate in ogni contesto. Per avere un punto d’inizio sul quale poter partire, si è preso uno per uno i punti esposti nella carta programmatica smart. Attraverso un’analisi incrociata si vogliono fare delle congetture e delle costatazioni che possono aiutare a creare un primo quadro d’insieme. Per leggere queste constatazioni d’insieme si vuole dare una “legenda” di lettura; infatti, ogni titolo in grassetto e sottolineato, rappresenta un punto della carta programmatica, allo stesso modo per una frase sottolineata all’interno dello sviluppo stesso del punto. Se invece all’interno dello sviluppo di un punto si trova una frase (o nomi) in grassetto-
corsivo, allora questa sarà un titolo di paragrafo già discusso durante le strategie sostenibili.
4.5.1 Constatazioni d’insieme In queste considerazioni d’insieme si è voluto “spuntare” ogni voce della carta programmatica qualora si fosse assolta la voce stessa, in caso contrario si è cercato di dare delle motivazioni per le quali non è stato possibile validare il punto della carta.
4.5.1.1 Lettura della carta programmatica smart nel contesto di Levata di Curtatone Salvaguardia dello spazio aperto, dell’ambiente naturale e del territorio agricolo: nel nostro caso specifico nell’area esiste già una preesistenza di notevoli dimensioni ed è inglobata in un contesto prettamente residenziale. La prospettiva di demolire e ricostruire l’opificio permette di reintegrare al meglio l’area al contesto, generando così la possibilità, ridisegnando l’area, di diminuire la superficie non permeabile a favore di
164
una contraria. Allo stesso modo utilizzando un’area già compromessa, possiamo salvaguardare lo spazio aperto e l’ambiente naturale. Per questo motivo la progettazione si avvierà su queste dinamiche che, nel contesto in cui ci collochiamo, possono essere chiamate “verdi” o smart. Anche il secondo punto della carta programmatica Limitazione all’area urbanizzabile è soddisfatto per gli stessi principi sopra esposti. Insediamenti compatti: l’argomento è perpetuato anche dal movimento del New
urbanism, ma è anche stato discusso approfonditamente nel paragrafo dedicato alla densificazione, per questo motivo non è necessario approfondire l’analisi, poiché sarà tema centrale dell’argomento stesso. Nel paragrafo dedicato a Louis Sauer si parla di compattezza e di privacy, infatti, era intrinseco nell’opera dell’architetto l’analisi di questi due temi. Allo stesso modo, contestualizzando l’argomento, notiamo che la compattezza raggiunta da Sauer è elevata, mentre quella ricercata dalla pubblica amministrazione è più bassa. Inoltre, se si dovesse tenere in considerazione anche il punto quattro della carta programmatica Smart, Mescolanza di funzioni, si potrebbe affermare che, inserire nell’opera dell’architetto anche funzioni diverse da quelle abitative sarebbe al più utopico. Allo stesso modo per raggiungere un altro grado di privacy, e integrarlo con una funzione mista, il tutto in un contesto compatto è un compito difficile da assolvere, per questo motivo si è indirizzata la scelta nelle case a schiera, edifici che opportunamente impostati in un contesto riescono a racchiudere in modo semplice i tre problemi prima esposti. Costruzione
di
reti
di
trasporto
pubblico:
questo
tema
non
può
essere
decontestualizzato dalla situazione socio-polito-istituzionale. E’ impossibile nell’ambito di progetto impostare una rete di trasporto pubblico. All’interno delle strategie è stato discusso il sistema TOD, che spiega in maniera mirata la creazione di una rete funzionante di trasporto pubblico, relazionato al vivere e all’abitare della popolazione. Per quanto riguarda la nostra situazione vediamo tre soluzione di un trasporto verde; la è prima la ciclovia, la seconda è il bus e infine c’è il treno. Le fermate del treno e del bus si collocano in un raggio incluso a quelli esposti dal TOD, tuttavia non è nostra competenza costruire questi tipi di trasporto, l’unico mezzo possibile è di disegnare l’urbanistica del progetto al fine di “indirizzare” la popolazione verso questi mezzi. Per gli stessi motivi per cui questa voce non può essere approfondita, (ci si riferisce alla situazione socio-polito-istituzionale) anche le voci della carta programmatica smart: Redistribuzione del prelievo fiscale e Pianificazione a scala regionale, non possono essere trattate approfonditamente.
165
Offerta di tipi di edilizia diversificati: pure il new urbanism conferma questo punto, che però è in contraddizione alle dinamiche del contesto nel quale ci si colloca, in riferimento alle villette a schiera come soluzione alla compattezza. La diversificazione tuttavia è fondamentale per un quadro d’insieme sostenibile, sia per motivi che potremmo chiamare “ordinatori” sia per motivi prettamente limitati alle mie capacità (progettare differenti tipologie è un lavoro immane in una tesi singola). Nel tentativo di creare comunque una diversificazione, le schiere saranno composte dall’insieme di differenti prospettive abitative, ossia, le case non saranno tutte uguali, ma saranno per, 2/3, 4 e 5 persone. Per le dimensioni del progetto non è possibile però creare case completamente differenti, una possibilità ci viene dall’esempio del Mansilla + West 8 Borneo-Sporenburg
Amsterdam - Olanda , nel quale la diversificazione delle singole unità abitative avviene attraverso la diversificazione di facciata, strategia tuttavia lontana dall’offerta edilizia diversificata. Per le ragioni menzionate sopra, non vi saranno all’interno del progetto tipi di edilizia diversificati, ma solo schiere, non saranno neppure inclusi tipologie di gestione economico/sociale poiché non analizzate all’interno della tesi. Insediamenti adatti ai pedoni: questo può essere visto anche sotto un altro punto di vista, in altre parole, riuscire ad adattare e far funzionare bene il lato automobilistico della viabilità (quindi le auto, le strade, i parcheggi, le aree di sosta ecc.) e farlo coincidere con quello pedonale, come spiegato nel woonerf. È pertanto difficile far conciliare l’aspetto pedone-macchina, soprattutto in un contesto dove l’automobile è l’UNICO mezzo possibile per muoversi, e il pedone, quasi non esiste. Il new urbanism conferma ancora anche questa voce, affermando “NO alle stecche” perché impediscono il movimento all’interno dell’abitato. In fin dei conti, però, le villette a schiera sono stecche e, in aggiunta al fatto che nell’insediamento va previsto anche un uso misto, è necessario gestire il tutto sotto un’altra ottica. Un esempio ci può essere fornito dal progetto di Peter Barber, Donnybrook housing a Londra dove, su una piattaforma a uso commerciale è stato costruito un complesso residenziale compatto, allo stesso modo, il progetto Nexus del gruppo OMA, in Giappone, mostra come è possibile unire insieme il senso della privacy, con l’esigenza dell’auto, il tutto in un edificio ad alta densità abitativa. Questi sono alcuni esempi di come ci si potrebbe comportare in raffronto alla nostra area. Ristrutturazione e rivitalizzazione delle aree centrali: l’area di progetto (ATR 601) prevede nella sua realizzazione l’opera di ristrutturazione e rivitalizzazione delle aree
166
centrali, infatti, se da un lato l’area principale (denominata ambito1) è la più estesa, dall’altro lato lo stesso documento di piano prevede la demolizione e la nuova costruzione di altre due aree, che sono però di dimensioni nettamente minori. Sempre nello stesso documento, alla voce compensazione, il comune richiede anche “l’intervento sull’esistente e densificazione”, infatti, è prevista la realizzazione e la ristrutturazione di un nuovo pezzo della pista ciclabile, e anche la riqualificazione della via principale (via Levata). Insediamenti con un forte senso della comunità: la vera forza di questo progetto risiede nell’uso misto, infatti, se all’interno della frazione di Levata sono poche (e di piccolissime dimensioni), l’inserimento di una grande area, che unisce residenza e lavoro, è a tutti gli effetti, una grande novità. L’uso misto accresce il senso della comunità, poiché rende più vivibile e movimentata l’area stessa. La creazione di piazze solo pedonali e rialzate, dove le auto non possono arrivare, aiuta a una percezione dello spazio più umana e meno caotica, in questo gli edifici stessi possono fungere da barriera tra la vita di basso (caotica) e quella sopraelevata (tranquilla). Un senso di comunità, secondo il new urbanism può essere trasmesso anche da un Landmark, creare un vero “faro” in questo è impossibile per via del Piano delle Regole del Comune, che prevede un’altezza massima in quattro piani. Tuttavia si è voluto unire il concetto di Landmark con quello di “senso di comunità”; s’inserirà per questo, all’interno del progetto e più specificatamente lungo il canale delle serre. Queste devono essere considerate come orti urbani, in altre parole la popolazione residente potrà affittarle a poco prezzo (solitamente gli orti urbani all’interno della provincia di Mantova sono del Comune e hanno costi variabili da zero a 60 euro annui), al fine di coltivare il necessario per un minimo sostentamento della famiglia. Le serre saranno accostate, come detto, al canale per due motivi: -
secondo la voce mitigazioni e compensazioni del Documento di Piano, è prevista la riqualificazione del canale che è gestito dal consorzio di bonifica. Il canale è artificiale ed è utilizzato per irrigare i campi, sarà quindi vuoto nei periodi invernali perché l’acqua non è necessaria, per questo l’inserimento delle serre creerà un punto di vista alternativo dell’utilizzo del canale.
-
Parlando di serre è necessaria avere una copertura idrica per affrontare le richieste idriche delle piante coltivate, proprio per questo si è scelto di porle in questo luogo, così poiché durante i periodi estivi vi è la possibilità di attingere acqua direttamente dal corso sottostante.
167
4.5.2 Osservazione nel dettaglio La lettura appena compiuta sulla carta programmatica ci ha permesso di individuare i punti di partenza, o in altre parole, le linee generatrici del progetto, prima però bisogna vedere se queste sono corrisposte dal disegno comunale, infatti, durante la lettura della carta smart, non si sono trattate quelle voci nelle quali non era possibile intervenire. Ci si chiede a questo punto se è possibile un uso misto all’interno del disegno comunale, e la risposta è sì, poiché l’area da monetizzare, secondo il Piano delle Regole è variabile. Nel commentare la carta si è già tracciato un primo disegno generico, però questo è ancora incompleto, perché prima di tutto è nostro obbligo analizzare: -
l’intorno dell’opificio
-
orientamento e dati climatici
-
varchi d’accesso al quartiere
L’intorno
dell’opificio:
Il
Comune
stesso, nelle indicazioni di piano dice che il futuro progetto dovrà integrarsi paesisticamente
con
il
tessuto
esistente. Il quartiere dove si colloca l’area di progetto, è accerchiato da residenze di vario tipo; come ville singole, bifamiliari, piccoli condomini o tipo a schiera, costruiti in periodi differenti e si sviluppa sulle vie della Conciliazione e Marzabotto. Per descrivere al meglio il tessuto esistente ci si rifà all’allegato 1 dove si descriverà, mediante l’uso di fotografie, una per una, le case presenti nel primo intorno dell’area di progetto. Nelle vicinanze dell’ambito I è situato un parco pubblico, di notevoli dimensioni, e soprattutto di grande qualità, infatti, nell’area oltre al verde attrezzato (sempre tenuta ad hoc dalla polisportiva comunale che la gestisce) si possono trovare un bocciodromo coperto, campi da calcio, un palazzetto coperto, un campo da tennis e un bar come servizio. Quest’area che si colloca in modo prospicente-traslato rispetto all’ambito può
168
essere visto come un richiamo per la progettazione del verde nella nostra area.
Orientamento e dati climatici: l’intera frazione di Levata è costruita su un’asse che, ha un’inclinazione
di
quasi
45°
ovest rispetto all’asse nord-sud. Costruire con questo tipo di orientamento “guida
è
(secondo
pratica
la alla
progettazione”) considerato “da evitare”,
poiché
sono
“molto
negative le condizioni del fronte esposto a N, specialmente nella stagione invernale”, la figura mostra, infatti, come la maggior parte degli edifici che stanno attorno all’opificio abbiano un orientamento scorretto. Si rende quindi necessario nel nuovo insediamento cambiare l’asse di orientamento, rispetto a quello del già costruito, che dovrà essere invece sull’asse N-S, poiché sempre dal libro menzionato prima è l’orientamento ottimale, poiché “garantisce buon soleggiamento per tutto l’anno, ha i fronti maggiori dell’edificio esposti a E e a O”. Altri dati che sono da acquisire per la progettazione sono i dati climatici necessari a una progettazione bioclimatica, questi sono nell’ambito del Comune di Curtatone:
-
latitudine: 45°8’9” 60 N;
-
Gradi Giorno: 2.388
-
Zona Climatica: E
-
Piovosità annua: 634
169
-
Vento: il vento è poco considerabile, da novembre a febbraio spira da W, con una velocità media di 3 Km/h, mentre da marzo a ottobre soffia da E, sempre con la stessa intensità.
-
Temperature: le T max e min medie sono esposte in figura.
Varchi d’accesso: esemplificando l’area di progetto, questa può essere considerata come un perimetro
costellato
tutt’attorno
da
edifici, gli stessi disegnano quattro lati, chiamati N, S, W e E. Detto questo ora si può andare ad analizzare e a ipotizzare i possibili accessi al quartiere: -
Nord: su questo lato incontriamo un accesso
predisposto,
infatti,
la
strada che ora è cieca, si aprirà con l’abbattimento dell’edificio. -
Est: allo stesso modo del lato nord anche qui troviamo un possibile accesso già disegnato, tuttavia il canale, che passa proprio lungo questo lato, chiude la via stessa, però è possibile interrarlo. L’apertura di quest’accesso e la possibilità di continuarlo fino alla strada aperta in precedenza sul lato nord, disegnano un isolato chiuso e continuo.
-
Sud: su questo lato la possibilità di creare vie d’accesso è su tutto il lato stesso, infatti, questo dà su via della Conciliazione, arteria primaria di Levata. Però non è auspicabile l’apertura di un accesso su questa fronte per due ragioni: la prima per il motivo che su questo lato deve passare, sempre seconde direttive comunali, la ciclabile e la strada per i pedoni. La seconda ragione, invece, è dovuta al fatto che si vuole cogliere l’opportunità di creare un parco “lineare”, unendolo, almeno nel disegno a quello situato a nord.
-
West: allo stesso modo del lato sud, anche questo presenta un affaccio stradale (via Marzabotto), che nasce come perpendicolare a via della conciliazione, ma a differenza di quest’ultima non è un’arteria primaria, ma secondaria. Per le stesse ragioni del lato sud, anche su questo è possibile aprire un varco su tutto il lato stesso, però se a differenza del caso precedente si è scelto infine di lasciare senza varchi, su questo si profila la posizione opposta. L’apertura di un accesso su questo fronte deve tenere in considerazione le strategie menzionate nel capitolo dedicato alla progettazione urbana, infatti, se all’interno del quartiere si dovrà progettare un uso misto, allora sarà
170
necessario limitare la velocità delle auto, e quindi adottare la strategia dei woonerf, la strada che si aprirà su questo lato sarà mono-direzionale, e si unirà con la strada a due sensi che unisce il lato nord con quello est.
4.5.3 Progettazione urbana Per semplificare al meglio la spiegazione di come si sono disegnate le linee guida generali sulle quali poi il progetto s’insedierà, si andrà a osservare in maniera sintetica ogni passo, poiché integrare le volontà comunali con le strategie analizzate, non è sempre di facile intuizione: Step 1- orientamento e percorsi stradali: ora che si sono individuati gli accessi sul lato N e W, è giunto il momento di individuare anche l’accesso posto sul lato E. Per aprire un varco su questo lato si vuole iniziare il ragionamento
sull’orientamento,
infatti,
quello del tessuto urbano esistente non è idoneo dal punto di vista del soleggiamento ed
è
necessario
ridisegnare
il
nuovo
quartiere sulle direttrici N- S. Il nuovo orientamento del quartiere deve essere
capibile
e
comprensibile
nell’immediato, per questo motivo si vuole enfatizzarlo,
disegnando
l’orientamento
“corretto” utilizzando gli assi viari. L’asse NS sarà disegnato dall’unione della strada che si crea con l’apertura degli accessi sul lato N e W, mentre la direttrice EW sarà “tracciata” sulla strada che si apre sul lato E. Step 2- Lavoro e residenza: creare un senso di comunità è uno dei processi che si vuole percorrere per migliorare il senso di società all’interno del progetto e poiché come detto, l’uso misto è il nostro “cavallo di battaglia”, si vuole rendere il quartiere il più vivibile possibile, progettando piazze, aree verdi e parchi sospesi. Per ingombrare il meno possibile (e nascondere allo stesso tempo) le automobili e i parcheggi residenziali, si vuole progettare una piattaforma, questa sarà fatta come gli strati di una cipolla, lo strato più esterno è quello commerciale, quello di mezzo saranno i
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garage, mentre quello più interno sarà dedicato al passaggio delle automobili. Gli edifici residenziali si collocheranno sopra la piattaforma così ideata, e creeranno una barriera tra l’area lavorativa e i giardini sospesi, dove tra l’altro avviene l’ingresso per le residenze stesse.
Step 3- La tipologia a schiera: l’immagine qui sotto è una sezione esplicativa di come si pensa di coniugare: lavoro, residenza e auto; infatti, questo tipo di disegno urbano permette di conciliare anche una forte permeabilità pedonale nell’area. La piattaforma è concepita per essere un’ambiente tranquillo e verde, e se possibile anche attrezzata.
Utilizzando lo schema sopra rappresentato è possibile tracciare tre possibili scenari nella progettazione delle case a schiera, questi sono:
A- il residenziale si appoggia sul commerciale B- l’abitazione è all’interno di due piattaforme C- la casa ha l’entrata collocata sulla strada/marciapiede (quota 0,00)
4.5.3.1 Il masterplan L’unione degli step esposti in precedenza porta al progetto urbano concluso, come esposto nell’immagine. Per la progettazione si è deciso di presentare sette tipi di abitazione differenti, raggruppati in tre tipologie denominate A, B e C. Queste saranno lineari, in altre parole, essendo una schiera, ogni linea ha una determinata tipologia, e queste non possono essere “mischiate” tra loro a piacimento.
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In immagine è rappresentata una casa tipo, denominata A1, e quindi collocabile in una delle stecche con la lettera A rappresentato nel masterplan. In allegato, saranno rappresentate tutte le tipologie, e lo schema di incastro dellâ&#x20AC;&#x2122;impianto residenziale.
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4.5.4 Progettazione architettonica
L’ipotesi di un progetto a km zero è abbastanza utopico dal punto di vista dell’approvvigionamento delle materie prime, sia per la mancanza diretta sul territorio, sia per la scomparsa di alcuni di essi. L’immagine qui sopra vuole mostrare l’origine dei materiali individuati, e come si vede tutti, rientrano all’interno del raggio di 60 km dettati dalla strategia.
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I materiali individuati ora sono possibili di applicazione tecnica, in altre parole è giunto il momento di unire i pezzi e dimostrare l’ipotesi di progetto a km zero; tuttavia è da dire come questa non è l’unica strategia, infatti, anche la circular economy influisce sul pacchetto stratigrafico che nasce. Ogni singolo elemento dell’edificio deve poter essere smontato e suddiviso per una futuro smaltimento, per questo ogni componente sarà “isolato”, o per meglio esprimere il concetto, sarà possibile decostruire la casa allo stesso modo del meccano (in versione più “complicata”. 4.5.4.1 L’edificio Le fondazioni: le fondamenta dell’edificio, nel caso specifico dell’edificio A1 analizzato, saranno realizzate secondo la stratigrafia esposta in immagine. Realizzare questo tipo di opera con i soli materiali a disposizione, era si possibile, ma non dal punto di vista economico. Per questo motivo si è optato per un tipo di fondamenta definibile “classico”, infatti, si prevede l’utilizzo degli igloo, che sono realizzati con materie sintetiche. .
Eccezione fatta per l’inserimento di un materiale non locale, il resto del pacchetto stratigrafico prevede l’utilizzo dei soli materiali a nostra disposizione. Sopra agli igloo si posizionerà una griglia lignea in pioppo, sul quale poi si pone sopra uno strato di biocemento, quest’ultimo funge da isolante e da livellante per la posa successiva della pavimentazione in cotto. Si può affermare che una fondamenta così progettata sia di ottima qualità, infatti la trasmittanza è di 0,113 W/m2 K.
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4.5.4.2 La struttura portante L’unico materiale utilizzabile per costruire la struttura portante è l’acciaio, infatti, anche qui come per le fondamenta è si possibile ottenere una struttura muraria portante in mattone, ma questa sarà troppo dispendiosa per l’ingente quantità di laterizio richiesto. Allo stesso modo una struttura di questo tipo è molto ingombrante, una struttura più leggera la si può ottenere utilizzando il legno, ma a nostra disposizione abbiamo il pioppo, che come qualità non è ottimo. Dovendo raggiungere un’altezza di 3 piani fuori terra, emerge che l’unica possibilità è l’acciaio, e come visto nel paragrafo a lui dedicato, è fornito dall’azienda Marcegaglia che in sede di Mantova, lavora nastri coil. Avendo questo unico strumento per ottenere una struttura portante, si è reso necessario ideare pilastri e travi a partire dai nastri in acciaio. In quest’ottica le alternative possibili sono due, o la piegatura, o il taglio laser e la successiva saldatura. In allegato yyy è rappresentata la struttura portante dell’appartamento A1, dove si vede come si è preferita la piegatura delle componenti architettoniche, anche perché in questa ottica è possibile integrare il principio della circular economy, che prevede che tutti i giunti di un progetto siano smontabili. L’acciaio è riciclabile al 100% e quando l’edificio sarà demolito, allora il recupero di questo materiale sarà più facile e permetterà di recuperare il più materiale possibile, senza quindi sfridi. I pilastri poggeranno su plinti realizzati in cemento armato, infatti, alternative possibili e sicure sono assai poche, e anche qui, quanto esistono, non sono economicamente realizzabili.
4.5.4.3 Le strutture divisorie le pareti divisorie tra le unità abitative è realizzato attraverso un muro composto interamente in biobeton dello spessore di trenta centimetri questo è sorretto da un’anima interna in legno di pioppo. Le qualità fonoassorbenti e termodinamiche, permette a questo materiale di raggiungere ottimi risultati senza l’aggiunta di strati che ne migliorano le qualità.. I muri così realizzati possono sia essere intonacati, sia lasciati al naturale così come sono. Le tramezze possono essere realizzate in due maniere differenti, la prima è attraverso
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l’utilizzo di mattoni, la seconda con l’utilizzo del bio composto. Il laterizio in questo caso viene utilizzato utilizzato a scopo ornamentale (come detto nel paragrafo dedicato a questo materiale), infatti, non si vuole lasciare questo materiale solamente nel rivestimento esterno, ma è intenzione dargli carattere collocandolo anche dentro la residenza stessa.
4.5.4.4 I solai e le pavimentazioni La struttura di sostegno di acciaio, composta di pilastri e travi, si conclude con i travetti che sopporteranno il solaio, anche questi dello stesso materiale. Questi saranno composti da due L piegate e unite a T rovesciata, nel quale interasse si posizionerà il pacchetto pre costruito, composto da un’intelaiatura in legno che serve a fungere da sopporto al biocemento. Sopra a quest’ultimo strato si collocherà un massetto alleggerito sul quale si collocherà la pavimentazione in cotto; un solaio così realizzato ha una trasmittanza dello ooo periodico medio e ha anche un forte potere fonoassorbente, dovuto al canapulo presente nel composto del biocemento.
Come si è detto si utilizzerà il laterizio per la pavimentazione, o più precisamente il cotto. Questo materiale l’unica scelta possibile per una pavimentazione a km zero,
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infatti, se una possibilità poteva venire dal legno, un parquet in pioppo non è una scelta sostenibile, perché la sua lavorazione prevede l’utilizzo di resine, e senza questa essenza non si conserverebbe perché non è adatta al calpestio.
4.5.4.5 Il tetto e le coperture verdi Le Corbusier li chiamava la Toit terrasse (in italiano prende il nome di tetto a terrazza) che restituisce all'uomo il verde, che non è solo sotto l'edificio ma anche e soprattutto sopra. La possibilità nel 2013 di avere tetti verdi, a prato intensivo e per di più inclinati fino a pendenze del 35%, cambia un po’ il concetto pratico dell’architetto elvetico. Il tetto avrà una struttura portante in acciaio, e un pacchetto simile a quello del solaio; la differenza è, invece, nell’utilizzo del pacchetto Daku 60 che permette di ottenere i risultati richiesti. Anche qui come per le fondazioni usiamo un materiale plastico, infatti, la griglia che tiene insieme il terreno è sintetica. La volontà di scegliere un tetto verde, trae la sua forza dalle idee dello stesso Le Corbusier prima menzionato. Infatti, se “rubiamo” della terra, alla Terra, è nostro compito ricostruirne, almeno una piccola parte, dove possibile nella nostra opera, questo lo dico tanto più come filosofia architettoniche, che come mera scelta estetica. Il pacchetto Daku ai fini di calcolo non va tenuto in considerazione, questo perché anche se ne migliora le qualità termiche e prestazionali, è pur sempre una stratigrafia di difficile calcolo. Questo poiché gli elementi che lo compongono “mutano” le proprie capacità nel corso dell’anno, basti pensare al caso della pioggia, che impregnando d’acqua il substrto ne altera le capacità, oppure la stessa vegetazione, che cambia aspetto e caratteristiche durante le stagioni.
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http://www.daku.it/
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4.5.4.6 L’involucro e l’isolamento la struttura in acciaio è da considerare come uno scheletro, e il rivestimento che si aggancia a esso come la pelle. Come nel caso biologico, la pelle è la nostra protezione, ci isola dal freddo, regola la temperatura e ci protegge dalle condizioni avverse esterne. Nel nostro caso sarà il pacchetto stratigrafico che compone l’involucro sarà come rappresentato in figura. Il muro così composto ha uno spessore di 50 cm, e sarà intonacato con una malta di calce e cemento leggera sulla superficie esterna, mentre quella interna può essere lasciata al naturale o intonacata anch’essa. La stratigrafia così composta avrà una trasmittanza dello 0,137 . Come si è visto, per la progettazione di questa componente, vi erano due scelte da possibili, la prima era quella di lasciare il materiale come composto unico al 100%, il secondo era quello di integrare il biobeton con il canupolo sfuso. Quest’ultimo elemento è quello che permette alla stratigrafia di raggiungere un valore della trasmittanza basso e soprattutto riesce anche a inglobare al suo interno una GWP negativo, a differenza della sua controparte che risultava positiva.
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Un altro motivo per la scelta di questo materiale a discapito di altri, è la sua capacità di poter essere compostato o termo valorizzato; un altro materiale simile che era possibile usare in tesi erano le balle in paglia, ma queste è visto dalla popolazione come non socialmente accettato, in altre parole, se si potesse scegliere tra una casa in paglia e uno in cemento, le persone sceglierebbero la seconda. Dico questo perché durante l’analisi e la scelta dei materiali, ho condotto una breve ricerca su questo argomento tra la popolazione di Curtatone, e il risultato è merso è proprio questo.
4.5.4.7 L’involucro opaco e i serramenti Il vetro è un materiale che si trova nella realtà di Mantova, tuttavia da solo non permette di realizzare un serramento. Per questo motivo, come anche nei casi del tetto verde e delle fondazioni, non è possibile ottenere una finestra che sia realizzata al 100% con materiali locali. Un tempo era possibile utilizzare essenze lignee come quelle della quercia, del pino o dell’abete per costruire il telaio, oggi non essendo più possibile questa scelta, soprattutto in un ottica a km zero, si userà come materiale l’alluminio. Si è optato per l’uso di questo metallo invece che quello del PVC, perché, nel contesto in cui ci si colloca questa è la prassi. La ditta cui ci si appoggia per il rifornimento e la lavorazione degli infissi è la Rizzioli serramenti. 61 L’azienda ha in catalogo una camera tripla con vetro normale (non è basso emissivo) ed è questo modello che si userà, questo perché se da un lato si utilizzeranno al minimo le strategie attive, dall’altro si cercherà di migliorare al massimo quelle passive, come per esempio il guadagno solare.
61 http://www.rizziolisnc.com/
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Conclusioni Il lavoro di tesi ha avuto come oggetto l’analisi della possibilità di applicare il concetto di km zero all’architettura. Prima però di definire con precisione l’obiettivo, durante l’evoluzione della tesi, si è voluto “radunare” assieme le strategie della sostenibilità possibili, e tra queste scegliere quella che maggiormente influenza il reale tema della tesi, la sostenibilità. Se l’ipotesi di progetto a km zero fosse quindi l’unico mezzo con il quale è possibile raggiungere una forma ecocompatibile nell’architettura, allora mentiremmo a noi stessi, questo perché come detto è sì un mezzo, ma uno dei tanti. La circular economy influisce notevolmente nell’abbattimento delle emissioni di gas serra generate nella costruzione di un opera, e la LCA è un ottimo mezzo per valutare un materiale o una componente, queste sono altri mezzi da non escludere nella progettazione, e come tale, pure noi ce ne siamo avvalsi. Se dovessimo suddividere il lavoro della tesi si potrebbe dire che si suddivide in due fasi. La prima è stato quella di capire bene che cos’è la sostenibilità, perché questa dovrebbe essere sì già definita in ogni sua forma, ma tuttavia non lo è, prima di tutto perché è una disciplina che si può considerare nuova e poi perché ogni sua applicazione possibile è pressoché infinita. Si è provato quindi a creare un vademecum sulla sostenibilità, e poi si è provato ad applicare quello che si è posizionato in un contesto, che nel nostro si colloca a Mantova. Se la prima fase cercava quindi di rispondere alla domanda “che cos’è la sostenibilità?”, allora la seconda fase cerca invece di rispondere a una seconda domanda, è possibile realizzare un edificio (perfettamente funzionante e confrontabile con il contesto) con solo materiali locali, e quindi a km zero? Questa seconda domanda è nata durante la genesi della raccolta delle strategie, e si è sviluppata piano piano integrandosi prima con il contesto, e poi con le altre strategie in gioco. Le conclusioni a cui sono giunto sono quindi che è si possibile realizzare un edificio a km zero, ma bisogna tuttavia arrivare a dei compromessi. Per esempio l’utilizzo dell’acciaio è uno di questi, nel nostro caso si è giunti a dover scegliere un compromesso tra ambiente ed economia. Infatti, se avessimo dovuto guardare solo il lato ambientale, allora la scelta sarebbe ricaduta sul laterizio, materiale che tra l’altro si conserva meglio nel tempo, ma tuttavia una scelta di questo tipo sarebbe stata economicamente alta, per questo l’acciaio può essere visto come un compromesso.
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Un altro caso in cui si è dovuto scegliere tra una delle tre sfere che compongono la sostenibilità, è stato l’utilizzo del PVC nei tetti verdi. In questo caso si è dovuto scegliere tra ambiente e ambiente, in altre parole, i materiali plastici utilizzati sono si nocivi e inquinanti, ma tuttavia nel progetto si va a “costruire per la natura”, e quindi per l’ambiente stesso. La sostenibiltà in fin dei conti può essere vista come un susseguirsi di compromessi, un gioco in cui l’architetto (nel nostro caso) si vede sempre a scegliere, attraverso la morale, la scelta più giusta, sia essa per l’ambiente, la società o l’economia.
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