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SO MM AR IO
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LETTERA APERTA AI LETTORI di Mario Mattia Giorgetti
DOSSIER DANZA 6
LA DANZA FRA FUS E VOGLIA DI CERTEZZE: Colloquio con Francesca
Bernabini, presidente di Federdanza/agis
di Nicola Arrigoni
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VITTORIA OTTOLENGHI: UNA VITA PER LA DANZA -
l’insegnamento di una grande maestra recentemente scomparsa
di Roberta Bignardi
27 FOTOCRONACA DI NOTRE-DAME DE PARIS
Foto di Rudy Amisano, Teatro alla Scala.
36 IL COREOGRAFO ALEX ATZEWI, SI CONFRONTA CON CARMEN di D.G.
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GENOVA. AL CARLO FELICE, DEOS, NUOVO ORGANICO DI DANZA di Francesca Camponero
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FOUDRE (CRÉATION 2012): L’AMORE TIRANNO DI DAVE ST-PIERRE di Bruna Monaco
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«ATERDANZA», DIECI ANNI AL SERVIZIO DEL BALLETTO E DEL TERRITORIO
di Nicola Arrigoni
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TEATRO PALLADIUM, SCOMMESSA VINTA. DA DIECI ANNI UNO SGUARDO SUL MONDO.
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GISELLE E ALBRECHT: INTRAMONTABILE SCÈNE D’AMOUR di Vito Lentini
Quando il contemporaneo è quotidiano: intervista al direttore della fondazione Romaeuropa Fabrizio Grifasi di Roberta Bignardi
18 IL CONTEMPORANEO FRA RICERCA E POP: LA DANZA DI CREMONA, UNA TRADIZIONE CHE SI RINNOVA
di Nicola Arrigoni
SPECIALE NOTRE-DAME DE PARIS DI ROLAND PETIT
21 NOTRE-DAME DE PARIS: CON ÉTOILES E SOLISTI, IL CORPO DI BALLO DEGNO COPROTAGONISTA
di Myriam Mantegazza
23 IMPETUOSE VISIONI PARIGINE ALLA SCALA
In Copertina: Roberto Bolle: nel ruolo di Albrecht in Giselle, coreografia Jean Coralli e Jules Perrot. Foto Marco Brescia, Teatro alla Scala. E poi nel ruolo di Quasimodo in Notre Dame de Paris, coreografia Roland Petit. Foto Rudy Amisano, Teatro alla Scala. Hanno collaborato: Rudy Amisano, Nicola Arrigoni, Roberta Bignardi, Francesca Camponero, Riccardo Di Salvo, Mario Mattia Giorgetti, Vito Lentini, Myriam Mantegazza, Claudio Marchese, Bruna Monaco, Marino Palleschi, Alberto Pesce 758/759 - 2013
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di Roberta Bignardi
DOCUMENTI 47 D’ANNUNZIO CONTROCORRENTE, 150° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA: Fu il primo autore dell’ottocento a svelare il corpo e a sdoganarlo dai tabù cattolico – borghesi
di Vito Lentini
24 IVAN VASILIEV E LA SUA LEZIONE SUL ROMANTICISMO di Marino Palleschi
UN RACCONTO DALLA LUNA: KAGUYAHIME DI JIRÍ KYLIÁN PER IL BALLET DE L’OPÉRA DE PARIS
di Claudio Marchese e Riccardo Di Salvo
Rubriche 50
CINELIBRI a cura di Alberto Pesce
TestI 51
ESERCIZI DI DISTRUZIONE L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI EROSTRATO di Tommaso Urselli
25 INTERPRETARE QUASIMODO di Mario Mattia Giorgetti
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di Mario Mattia Giorgetti Caro Lettore, questa lettera l’abbiamo scritta circa un anno fa. Siamo di nuovo a riproporla. Niente è cambiato da allora. Dicevamo: Cari Lettori, in questi ultimi tempi “Sipario” è uscito con notevoli ritardi, rispetto a quanto dovrebbe garantire: cioè la mensilità. Molti ci hanno telefonato chiedendoci del perché; altri hanno rinunciato a rinnovare l’abbonamento, nonostante la nostra preghiera di non abbandonarci. Stiamo vivendo un momento di grande crisi dovuta a tanti fattori: ritardi sui pagamenti da parte di enti pubblici ai i quali abbiamo offerto servizi editoriali e pubblicitari ed eventi culturali, in seguito al cosidetto “patto di stabilità”; le presenze pubblicitarie “commerciali” sono scomparse del tutto; gli organismi di produzione stabili e privati, esercenti teatrali, compagnie di prosa, non dispongono di margini economici per una minima presenza promozionale sulla rivista; ricercare eventuali sponsor è come cercare un ago in un pagliaio: inesistenti. In mezzo a questo panorama, disperato per tutti, certo, abbiamo chiesto soccorso ai politici preposti alla cultura, allo spettacolo, a chi siede sulle poltrone di Enti da dove dovrebbero arrivare segni di condivisione e sostegno per coloro che producono cultura, eventi; ma l’elemento che ci ha demoralizzato è tutto in questa parola: indifferenza, assenza di partecipazione verso coloro che cercano di resistere alla situazione. L’indifferenza è un sentimento che uccide, è vero, ma anche la maleducazione di coloro che rivestendo ruoli pubblici non si degnano neanche di rispondere agli appelli di aiuto. Cari Signori, se non è possibile aiutare concretamente, almeno un segno di riscontro dovreste darlo! Niente. Molti, si comportano come se gestissero imprese private, anziché istituzioni pubbliche. E rispondere ai cittadini è un dovere. Allora, siamo assaliti da uno scoramento che ci attanaglia. Non passa ora della giornata che le nostre azioni non siano indirizzate a tenere in piedi questa rivista; ma cosa dovrebbe pensare un naufrago che sta per affogare, quando vede che il capitano di una nave che potrebbe salvarlo, gli volta le spalle, ignorandolo? Che è un indifferente. Abbiamo anticipato questa situazione, questo nostro disagio per far capire ai nostri lettori che i ritardi delle pubblicazioni si inquadrano in questo contesto. Cioè si inseriscono in un clima dove uno si mette contro l’altro: cade il rapporto di fiducia, cadono le motivazioni per continuare. Eppure… noi cerchiamo di andare avanti, accumulando anche ritardi, è vero, per i quali ci scusiamo; ma non vogliamo arrenderci. Sappiamo che se cade “Sipario”, più nessuno lo raccoglierà nel tempo e scomparirà nella nebbia dell’oblio, come è accaduto per altre riviste, da Scenario a Dramma, da Festival a Primafila… Ma noi confidiamo anche sul solido contributo di ogni lettore, di ogni abbonato. Grazie.
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Dossier Danza
LA DANZA FRA FUS E VOGLIA DI CERTEZZE COLLOQUIO CON FRANCESCA BERNABINI, PRESIDENTE DI FEDERDANZA/AGIS di Nicola Arrigoni
...«la paura è di dover ricominciare tutto da capo, in un momento difficile economicamente in cui sono a rischio molte, troppe realtà»...
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isorse, riforme e un futuro tutto da ridisegnare: queste le parole chiave che caratterizzano l’intero comparto dello spettacolo dal vivo, ulteriormente impoverito, massacrato dall’ultimo inatteso e feroce taglio del Fondo Unico per lo
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Spettacolo che ha visto la diminuzione di 20milioni di euro; lo Stato darà 389,8 milioni per il 2013. Nel 2012 erano 411, 414 nel 2010, addirittura 527 nel 2001. Il rischio è la paralisi del settore intero, se non la sua stessa sopravvivenza. In tutto ciò il comparto
della danza vive in una sua anomalia: i fondi statali non sono stati tagliati, il Fus prevede 10milioni e 200mila euro sul 2013… Ma al di là dei fondi – importanti e vitali – per la danza come per gli altri settori urgono riforme radicali, urge rivedere l’intero sistema e 758/759 - 2013
le modalità di finanziamento. Il taglio del Fus e le risorse per la danza - A denunciarlo è Francesca Bernabini, presidente di FederDanza-Agis, che non solo in merito all’ultimo taglio scandaloso del Fus afferma con risoluzione: «abbiamo assistito all’ennesimo, tremendo taglio del Fus – spiega -. Il motivo? E’ il solito. Il Fus fa parte della spesa corrente dello Stato, i soldi dati allo spettacolo vengono visti come spesa e non investimento. E’ da anni che chiediamo che i finanziamenti allo spettacolo non vengano posti nel bilancio dello Stato sotto la spesa corrente, ma possano essere considerati un investimento. Perché questo è la cultura in tutti i suoi aspetti, è il petrolio del nostro Paese, ma l’unico a non rendersene conto è proprio lo Stato». Nel caso della danza Bernabini non fatica ad osservare come il Ministero per i Beni e le Attività Culturali «abbia probabilmente tenuto conto dello sviluppo della danza e dell’incremento di pubblico che in questi anni. Per questo non ha apportato tagli – afferma -. Negli ultimi anni la danza ha registrato un costante aumento sia dal punto di vista produttivo che per quanto riguarda gli spettatori, un pubblico per lo più giovane. Negli ultimi dieci anni si sono moltiplicate le compagnie, sono attivi quattordici circuiti che si impegnano a distribuire e promuovere la cultura della danza, quasi in ogni regione. A fronte di questa realtà i diecimilioni di Fus devono servire a tutto produzione, distribuzione, Biennale Danza, Accademia della Danza. Un’assurdità. Ma dopotutto il settore della danza non ha alcuna realtà di stabilità. La quasi totalità delle compagnie sono soggetti puramente privati». A fronte di un Fus che appare come una coperta sempre troppo corta il collasso sembra destinato a compiersi a bre758/759 - 2013
ve soprattutto per la fatica degli enti territoriali di avere risorse per lo spettacolo e soprattutto di onorare i pagamenti. «Buona parte della vivacità del panorama di danza nazionale vive con contribuzione e forze messe in atto dagli enti locali – continua Francesca Bernabini -. La difficoltà in cui versano Regioni, Province e Comuni ricade inevitabilmente su tutto il comparto. C’è poi un anomalia in più. Alla compagne di danza non è riconosciuto lo status di piccola e media impresa, quindi non possono costituirsi in srl con tutto ciò che ne deriva, ad esempio il fatto che la richiesta di prestiti alle banche è equiparabile a quella con garanzie personali. E ciò la dice lunga sulla sopravvivenza di molte compagnie che hanno finanziamenti risibili. Il settanta per cento delle compagnie ha finanziamenti annuali che non superano i cinquantamila euro e ciò per tutte le attività che caratterizzano l’attività di gruppi produttivi». Le riforme: decreti in attesa di firma- E se il problema dei fondi e delle risorse è necessariamente in primo piano, anche a seguito dell’ultimo drammatico taglio firmato dal ministro Lorenzo Ornaghi, all’orizzonte c’è l’urgenza che il prossimo governo che si insedierà tenga conto dei decreti ministeriali alla firma che rappresentano o potrebbero rappresentare un punto di svolta per il comparto danza. «C’è da augurarsi di non dover cominciare tutto da capo - spiega la presidente di FederDanza - Agis -. Nei decreti ministeriali siamo riusciti a inserire parole chiave che potrebbero, oggi il condizionale è più che mai d’obbligo, mutare in parte la condizione di ‘cenerentola’ in cui versa la danza. Mi riferisco alla possibilità di progettualità su lungo raggio ovvero su triennalità che permetterebbero
azioni più estese con risorse spalmate su periodi di tempo più lunghi. I nuovi decreti prevedono anche l’ospitalità della danza in ogni forma di teatro. Oggi infatti le stagioni di danza non sono considerate dal Ministero. Siamo al paradosso che per realtà consolidate come La Danza di Cremona il finanziamento sia possibile perché si fa risultare la rassegna sotto il capitolo dei festival. I teatri che programmano danza – penso ai teatri di tradizione – nelle giornate di spettacolo per il ministero risultano chiusi. Il fatto di riconoscere la presenza della danza in ogni tipologia di teatro permette di introdurre nella normativa quel concetto di ‘interdisciplinarietà’ che è una realtà nella ricerca e produzione di spettacoli, ma non è ancora recepita dalla norma». Nel disegno di riforma del comparto c’è anche la richiesta di agevolazioni e facilitazioni per tournée all’estero e un riconoscimento dell’attività svolta fuori Italia. «Si chiede maggiore apertura e disponibilità per i viaggi all’estero, regole che possano facilitare la circuitazione dei nostri artisti all’estero – continua la presidente dio FerderDanza Agis -. Venuto meno il ruolo dell’Eti non c’è più alcun organismo che si occupi della promozione della nostra cultura, del nostro teatro all’estero. Capita spesso che nostre compagnie vengano richieste all’estero, ma poi la trasferta sia impossibile perché interamente a carico degli artisti. Per questo si chiede una maggiore attenzione alle potenzialità che la danza e non solo la danza possono avere in un mercato europeo. La maggiore attenzione è anche nel mettere nelle condizioni gli artisti di essere presenti in Europa». Ma forse l’aspetto più importate inserito nei decreti che verranno presentati al nuovo governo è quello legato alle residenze.
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SIPARIO
Dossier Danza
La danza in cerca di residenza - «La danza ha più che mai bisogno di stabilità, e un modo per raggiungere questo obiettivo può essere quello legato alle residenze – afferma Bernabini – Esperienze di residenze sono un po’ in tutta Italia ma con formule assai diverse, con quadri normativi e reperimento di risorse che mutano da caso a caso. Insomma ogni realtà fa un po’ a sé. Ci sono regioni – come l’Abruzzo e la Calabria – la cui legislazione non tiene in considerazione la danza e quindi neppure volendo hanno strumenti normativi per incoraggiare lo sviluppo o la semplice diffusione dell’arte tersicorea. E questo per fare un esempio macroscopico. Con i decreti si tenta di dare ordine al sistema e di riscattare la danza dalla sua posizione marginale». Senza dubbio lo sviluppo produttivo e distributivo della danza negli ultimi anno ha reso necessaria e urgente una politica di stabilità delle varie e diversificate realtà. «Abbiamo cercato di dare alle nasciture residenze coreografiche alcuni paletti legati alla progettualità forti e in grado di interfacciarsi con i luoghi che ospitano le diverse realtà produttive – spiega la presidente di FederDanza Agis -. Si è richiesto un legame di rete sui territori per non creare eventuali doppioni. Le residenze coreografiche devono vivere in stretto contatto con i territori, non essere realtà avulse dal contesto, ma al tempo stesso non si devono chiudere in localismi e avere dunque respiro nazionale se non internazionale». Ma sorse l’aspetto più innovativo delle nasciture residenze coreografiche è dato dalla loro programmatica ‘attraversabilità’ «ovvero non devono essere feudi di una sola compagnia – spiega Bernabini -. Questo da un lato permetterebbe intrecci di esperienze e di linguaggi, ma libererebbe anche le singole compagnie dalla dittatura di una produzione continua. L’identità delle residenze si lega a un progetto a un’estetica ma non necessariamente ad un unico soggetto produttivo». Insomma sulla carta la riorganizzazione
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del sistema danza c’è, non una legge quadro, ma azioni concrete che diano ragione ad un comparto produttivo ed artistico in netta crescita e sviluppo. NID – nuova piattaforma della danza italiana – La piattaforma della danza dello scorso novembre a Brinisi è il segno di una volontà di dare organicità, progettualità e forza al sistema danza. Su iniziativa di sedici operatori della distribuzione italiana riuniti in un Raggruppamento temporaneo di Operatori in collaborazione con Agis Adep/Federdanza e col sostegno del Mibac la piattaforma della danza ha costituito un’occasione importante per mostrare e riflettere su ciò che è oggi la danza e quali sono le proposte della realtà italiana. «Le giornate di Brindisi hanno permesso di promuovere e riflettere sulla danza in Italia – afferma Francesca Bernabini -. Le giornate della piattaforma hanno mostrato uno spaccato della produzione tersicorea italiana, mettendo a contatto compagnie e operatori non solo italiani ma anche stranieri. Abbiamo già calendarizzato la prossima piattaforma che si terrà nel 2014 in Toscana. La piattaforma ha offerto il la anche per la convocazione degli stati generali della danza. Si è riflettuto sulle criticità dei tempi di produzione e delle difficoltà legate alla distribuzione all’estero. Anche l’aver deciso già quando si terrà la prossima Nid permetterà di coinvolgere per tempo un numero importante di operatori stranieri che possano apprezzare la selezione di compagnie italiane che presenteranno i loro lavori, selezionate da una commissione di cinque membri di operatori nessuno dei quali parte della Rto». E se i decreti alla firma rappresentano un punto importante per rivisitare e dare organicità al settore della danza c’è un problema che è annoso ma non di minore importanza per il mondo della danza che è quello della formazione.
18mila scuole di danza, un mondo che non ha legislazione ed è lasciato a se stesso – afferma Francesca Bernabini -. Se si vuole parlare di formazione della danza non esiste un interlocutore. La formazione non rientra nelle prerogative del Mibac né per lo specifico della danza neppure in quello del Miur. Paradossalmente chiunque in Italia può aprire una scuola di danza senza avere particolari requisiti e ciò in barba alla salute pubblica. L’unico ente formatore pubblico è l’Accademia della Danza con tutte le difficoltà che questa istituzione sta attraversando. Ci sono poi le scuole della Scala, dell’Opera di Roma e dal San Carlo di Napoli, ma sono scuole private. In tutto ciò chi si sta facendo avanti è il Coni, molte realtà vi si iscrivono come associazioni sportive e questo la dice lunga sulla funzione culturale che la danza ha. Insomma c’è un mondo che si muove intorno alla danza e alle sue potenzialità formative e culturale completamente non regolamentato e che non ha un interlocutore. FederDanza Agis era riuscita a far passare l’idea di un tavlo di confronto interministeriale. Ma ora è tutto bloccato. Insomma dai decreti alla firma alla riflessione dalla formazione per la danza sono tanti le questioni sul tappeto che – dopo anni di lavoro – sembravano arrivare a destinazione, ora è tutto di nuovo messo in discussione. Non resta che sperare che il nuovo governo possa accogliere quanto fino ad ora definito, ma la paura è di dover ricominciare tutto da capo, in un momento difficile economicamente in cui sono a rischio molte, troppe realtà».
Formazione, un caso esplosivo - «Il dato è eclatante ci sono in Italia
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VITTORIA OTTOLENGHI: UNA VITA PER LA DANZA
L’INSEGNAMENTO DI UNA GRANDE MAESTRA RECENTEMENTE SCOMPARSA di Roberta Bignardi
la scrittura di Vittoria ha sempre respirato di “amore”, considerato nella sua più ampia definizione del termine... 758/759 - 2013
nella foto: Vittoria Ottolenghi nell’opera dell’artista Euro Rotelli
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Dossier Danza
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orse dopo tutto questo tempo ho capito perché amo la danza – mi ripeteva continuamente – perché è l’arte che più di tutte si avvicina all’amore. La si fa con il corpo, l’anima e la mente. Proprio come l’amore. Ma ricordati: solo nei casi migliori, ovviamente». Poi il volto si distendeva in un contagioso sorriso e i suoi occhi azzurri si illuminavano. Vittoria Ottolenghi, classe 1924, era cresciuta in una famiglia “mista”(la definirono poi le leggi razziali) ovvero da padre ebreo e madre cattolica: una «famiglia mutante – raccontava Vittoria – ancora intrisa di moralità vittoriana, ma gonfia di aneliti progressisti». L’arte di Tersicore gli era “caduta nel piatto” in quel lontano 1956, quando Sandro D’Amico le affidava la sezione danza dell’Enciclopedia dello spettacolo Da quel momento in poi nasce in Vittoria un amore irrefrenabile per la danza, per quel mondo ancora poco conosciuto in Italia. Studia la sua storia, le testimonianze, entra a contatto con i ballerini più importanti del mondo. Nella sua biblioteca era facile trovare libri a lei dedicati da Margon Fonteyn, Roland Petit, Martha Graham, Maurice Bejart, amici e compagni di viaggio. Dal 1960 lavora per la Rai-Tv all’ideazione, la cura e la realizzazione di programmi di danza « portandola- come le piaceva ripetere – sul piatto degli italiani». Iniziano gli anni, quindi di Maratona d’estate, il programma televisivo che entrava nelle case degli italiani, a ora di pranzo, trasmettendo momenti celebri di balletti che hanno segnato la storia della danza del XX secolo. Vittoria, dietro il suo caro ‘tavolo da lavoro’, sempre elegante, con quell’aria bonaria ma irresistibilmente decisa, ha mostrato e spiegato al grande pubblico cosa fosse la danza e quale il suo profondo messaggio: lo ha fatto con un linguaggio semplice, ma meticolosamente raffinato, attraverso sia il mezzo mediatico della televisione che quello della
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stampa, successivamente con le sue conferenze-spettacolo nei maggiori teatri italiani. Con Vittoria Ottolenghi, termina non solo un pezzo di storia della danza di questo paese, ma soprattutto un idea e uno speciale modo di guardare/ scrivere la danza. Perché la scrittura di Vittoria ha sempre respirato di “amore”, considerato nella sua più ampia definizione del termine: riusciva ad accostarsi ad essa attraverso tutti i ‘cari sensi’, in un vortice armonioso e magico che stupisce lo sguardo, travolge il corpo, per poi ‘rifarsi materia’ in scrittura. L’anima e il cuore dettavano e la sua mente rielaborava un emozione corporale, una sensazione “quasi a pelle”. Amore verso un lavoro - quello di critico di danza – non sempre semplice, per il quale Vittoria ha vissuto, dedicandosi completamente. Una donna forte, testarda ma incredibilmente dolce: una giornalista di grandissima cultura con la quale ogni dialogo, ogni conversazione risultava piacevole per la varietà dei temi trattati. Lei riusciva a tessere dei sottili ‘file rouge’ tra la danza e la religione, tra l’arte della musica e il senso profondo dell’essere umano. Ed ecco che tutto lo scorrere, anche quello più legato al quotidiano, veniva vissuto sempre attraverso le più profonde sensazioni dell’animo. Agli appassionati e agli esperti rimarranno le sue ferventi ‘critiche militanti’, la sua schiettezza e la sagace ironia e libertà che coloravano gli articoli: entrare nel “corpo della danza” e respirarla a pieno, servendosi di quel “grande amore” così come si fa ogni giorno, cogliendo tutte le sfumature e gli elementi che colorano il palcoscenico della nostra vita, in un prospettiva ampia e misteriosamente affascinante. Oggi la sua immensa raccolta di scritti, libri, articoli, riviste e documenti rarissimi si possono consultare alla Filarmonica Romana e, in parte, alla Biblioteca del Dams di Bologna.
Una donna forte, testarda ma incredibilmente dolce: una giornalista di grandissima cultura con la quale ogni dialogo, ogni conversazione risultava piacevole per la varietà dei temi trattati.
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«ATERDANZA»
DIECI ANNI AL SERVIZIO DEL BALLETTO E DEL TERRITORIO
di Nicola Arrigoni
Bilancio più che positivo di AterDanza nel decennale della sua attività. Ailey II in Revelations di Alvin Ailey. Foto di Eduardo Patino, NYC.
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terDanza compie dieci anni non solo un anniversario, ma di più: la conferma di una buona prassi che ha contribuito a diffondere la cultura della coreografia contemporanea e il sostegno di giovani compagnie italiane creando occasioni di lavoro, e offrendo ai teatri anche piccoli del territorio dell’Emilia Romagna di avere uno o più confronti
con l’arte tersicorea. Grazie alla presenza dell’Ate – cui già si devono la costituzione e l’affermazione internazionale della compagnia Aterballetto e il continuo lavoro di scambio per le tournées internazionali delle nostre compagnie – la modalità tipica di Aterdanza di organizzazione del circuito tra città e comuni a concorrere all’dea del teatro come servizio pub-
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Dossier Danza
blico». In quest’ottica di circuito e di mediazione fra compagnie e territorio in nome di una diffusione della cultura della danza, si pone il bilancio più che positivo di AterDanza nel decennale della sua attività. «Le settanta date di Aterdanza se raffrontate alle trenta di dieci anni fa danno conto non solo di un incremento quantitativo, ma anche di un circuito che in questi anni ha incontrato condivisione e voglia di mettersi in gioco da parte dei teatri del territorio – afferma Maurizio Roi, presidente di AterDanza -. Alle settanta date di AterDanza se ne aggiungono altre, quelle dei cartelloni realizzati autonomamente dai vari teatri. In un anno si arriva a oltre 120 date. Insomma l’offerta di danza con-
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temporanea sul territorio è ricca e importante e in continua crescita». In dieci anni di attività AterDanza ha fatto da rete, «una rete condivisa, un modo di agire in sintonia con i teatri, costruito sul dialogo – continua Roi -. Lo spirito del circuito è quello di proporre una serie di spettacoli ai vari teatri che scelgono in piena autonomia, l’unico vincolo se così si può dire è di aderire con un minimo di due date programmate. Ciò permette alle compagnie di avere un minimo di tour. Per il resto ogni teatro sceglie in base alle esigenze del proprio territorio». In quest’ottica di rete non solo distributiva ma di sostegno alla giovane danza contemporanea si muove il circuito in cerca di nuovi spazi e di sostegno a
teatri piccoli o di periferia che vogliano aprirsi alla danza. «Credo che una rete come AterDanza possa fare da modello all’organizzazione sul territorio anche di altre forme di spettacolo, come la prosa o la musica – prosegue Maurizio Roi -. Si tratta di un modo di lavorare in condivisione che in Francia ha una sua storica funzionalità, è un modo per sostenere in maniera
sopra: Compagnia Zappalà Danza in Instrument 1 - scoprire l’invisibile. Foto di Domenick Gilibert.
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mirata e consapevole giovani compagnie, i linguaggi della contemporaneità senza per questo disattendere alle esigenze particolari dei vari teatri e dei diversi pubblici. Stiamo lanciando anche l’idea di sostenere i teatri a 99 posti, ovvero quelle piccole sale che svolgono un ruolo importante e che magari vorrebbero aprire i loro cartelloni alla coreografia contemporanea». Roberto De Lellis, responsabile della programmazione, ha il compito insieme al direttore artistico Roberto Giovanardi, di proporre compagnie e spettacoli ai vari teatri che aderiscono al circuito, ma anche di recepire i suggerimenti che arrivano dagli stessi teatri. «In questi anni si è lavorato fortemente per aiutare e sostenere la giovane coreografia italiana, come
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richiesto dal Ministero – afferma De Lellis -. Si è trattato di una scelta importante e i cui frutti sono sotto gli occhi di tutti e non solo degli addetti ai lavori. AterDanza contribuisce al costo degli spettacoli con percentuali che vanno dal 35 al 50 percento di finanziamento. L’apporto del circuito è inversamente proporzionale alla ‘notorietà’ o classicità del prodotto. Come dire si cerca di sostenere – una volta condivisa l’estetica e la proposta – quelle compagnie che hanno più difficoltà a trovare spazio nel mercato. L’obiettivo è quello di offrire l’opportunità ad artisti giovani e che meritano di essere conosciuti di potersi confrontare col pubblico dei teatri che aderiscono al circuito». A dare conto del radicamento della rete è non solo l’articolazione della
programmazione ma anche l’impegno di quattro grandi città della regione Emilia Romagna: Bologna, Reggio Emilia, Ravenna, Piacenza, tutte con ben due teatri partner, ognuno con un’offerta differenziata, chi più da grande pubblico, chi più sperimentale, in nome di una eterogeneità di spazi e proposte che fanno di AterDanza un network basato sulla condivisone ma anche fortemente all’avanguardia sui modelli organizzativi dello spettacolo dal vivo.
sotto: Compagnia Abbondanza/Bertoni in Scena Madre. Foto di Giacomo Raffaelli.
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Direzione Generale per lo Spettacolo dal vivo
PARMA BOLOGNA
ALDES/Roberto Castello • Jan Fabre/Troubleyn FND/Aterballetto • Spellbound Contemporary Ballet Compagnia Zappalà Danza
BAGNOLO IN PIANO Naturalis Labor
CASTELNOVO MONTI
Imperfect Dancers/Balletto ‘90 • Associazione Sosta Palmizi
CENTO
Junior Balletto di Toscana • Emiliano Pellisari Studio
CESENA
Junior Balletto di Toscana • Artemis Danza Bags/Solisti della Scala
COMACCHIO
Silvia Gribaudi • Collettivo Cinetico CorpoCeleste/Sciarroni
RAVENNA
MK • Dewey Dell • Gruppo Nanou • Le Supplici Ailey II • Compagnia Zappalà Danza Collettivo Cinetico
REGGIO EMILIA
Foscarini/Nardin/D’Agostin/ALDES Giorgia Nardin/ALDES • Foscarini/ALDES Collettivo Cinetico • MK • Junior Balletto di Toscana Balletto Teatro di Torino • Compagnia Zappalà Danza
RIMINI
Cristiana Morganti • Emiliano Pellisari Studio Danzitalia • Jan Fabre/Troubleyn
RUSSI
FND/Aterballetto • Zerogrammi
Naturalis Labor
FERRARA
Accademia Teatro alla Scala • FND/Aterballetto Balletto di San Pietroburgo
VIGNOLA
FND/Aterballetto
FIORANO MODENESE
NNChalance • Riccardo Buscarini • Le Supplici
LUGO
Balletto Teatro di Torino • Spellbound Contemporary Ballet
MODENA
Ambra Senatore/ALDES • Virgilio Sieni • Balletto Civile
PIACENZA
Abbondanza Bertoni • Cristiana Morganti • Giulio D’Anna Balletto Civile • FND/Aterballetto • Bags/Solisti della Scala Ailey II • Artemis Danza
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TEATRO PALLADIUM, SCOMMESSA VINTA. DA DIECI ANNI UNO SGUARDO SUL MONDO. QUANDO IL CONTEMPORANEO È QUOTIDIANO: INTERVISTA AL DIRETTORE DELLA FONDAZIONE ROMAEUROPA FABRIZIO GRIFASI di Roberta Bignardi
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uest’anno il Palladium compie dieci anni di riapertura al pubblico, da quando cioè il teatro è stato riconsegnato alla città, grazie alla collaborazione tra l’Università Roma Tre e la Fondazione Romaeuropa: una sfida al decentramento, un dialogo con il territorio ma soprattutto un luogo dove fare cultura, dove coniugare arte,
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sopra: Fabrizio Grifasi
scienza, teatro e musica. Che cosa rappresenta per la Fondazione questo luogo? Per noi il Palladium è stata un avventura straordinaria. Dieci anni fa, al di là della bellezza e l’entusiasmo di aver convinto l’Università Roma Tre ad acquistare un teatro salvandolo dal suo destino di sala bingo, in un
quartiere considerato allora semi periferia, ci siamo posti una domanda: cosa significava in termini di progetto aprire un nuovo spazio teatrale in una città che aveva già una sua offerta teatrale. Soprattutto qual’era il senso per la Fondazione Romaeuropa? Non volevamo fare l’ennesima stagione con tutti i vincoli e le caratteristiche comuni: desideravamo aprire una
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Dossier Danza
riflessione su uno spazio nuovo, un luogo che fosse aperto alla città, agli artisti ma anche alle associazioni culturali del territorio, che avesse uno sguardo sul mondo e che fosse fortemente legata ad una riflessione sulla cultura in maniera generale. Volevamo che l’aspetto universitario fosse presente nella costruzione del progetto. Di conseguenza abbiamo declinato, in questi dieci anni, un lavoro che tiene assieme le radici salde nel teatro e nella danza, e la libertà di accogliere percorsi e momenti di riflessione molto più ampi. Ecco, perciò, il rapporto con il Dams, il Festival di animazione Cartoons, l’Orchestra di Roma Tre, i
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convegni sulla danza, il rapporto che abbiamo costruito con la Fondazione Bellonci- Premio Strega e quindi una serie di autori che incontrano le scuole, il legame con il Municipio e con il territorio più limitrofo, la Scuola Popolare di musica di Testaccio, ma anche Peter Brook. Una stagione, quindi, del tutto atipica che non segue le logiche della costruzione tradizionale, con la libertà di poter intendere il teatro come uno spazio aperto nel quale progetti artistici e, in generale, progetti che hanno a che fare con i pensieri, le idee, gli spettacoli e le pratiche culturali si potessero incontrare. Dopo dieci anni pensiamo che questo percorso del
Dopo dieci anni pensiamo che questo percorso del Palladium sia stata una scommessa vinta.
nella foto: Bill T. Jones/Arnie Zane Dance Company in Story Time. Foto Paul B. Goode.
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Palladium sia stata una scommessa vinta. Esso è diventato un centro culturale cittadino riconosciuto: l’apertura alle compagnie più giovani, a quelle del territorio, al Festival Teatri di Vetro, a zone teatrali libere, alle compagnie storiche della ricerca italiana. Quindi anche per la programmazione più strettamente legata al teatro e alla danza abbiamo fatto delle scelte accompagnate ad una politica di prezzi accessibili e molte iniziative gratuite ( come gli incontri con gli scrittori e le lezioni sulla danza contemporanea). - Il vostro programma al Palladium dal titolo “Life is so contemporary”(da gennaio a giugno), si concentra 758/759 - 2013
sulla contemporaneità vista- come lei stesso scrive - un intreccio tra la dimensione più intima dell’uomo e la storia dell’umanità: ovvero vedere il contemporaneo come quotidiano, come chiave per comprendere la vita di ciascuno di noi. Qual è la chiave del vostro successo e come riuscite a coniugare tradizione e innovazione? Viviamo un tempo dove alcuni confini e questioni di ordine teorico sono più labili. Per noi è importantissimo questo tipo di approccio perché pensiamo che sia l’unica modalità per rispondere a questa domanda ovvero: come si lavora sul contemporaneo oggi? Si lavora tenendo conto dei vari contributi che ci permettono di costruire una visione necessariamente plurale, nutrendosi all’interno di una visione artistica formata da fili diversi. Tutti questi sono strumenti che ci permettono di capire il nostro tempo. Bisogna coniugare quelle lenti privilegiate, come lo spettacolo vero e proprio, con altre visioni, nuovi punti di vista che si intrecciano (come arte e scienza), molteplici linguaggi (penso agli incontri post spettacolo Appena fatto!, o le lecture-demonstration). Oggi non vi è più un monopolio di interpretazione del presente. - Parliamo del Festival Romaeuropa, giunto quest’anno alla 28° edizione, e di come esso riesca ad essere una luce attiva in una Italia. Come si colloca il Festival nel panorama nazionale e come in rapporto alle esigenze e al fervore che vive nel resto d’Europa? Il Festival deve avere saldamente le radici a Roma e in Italia, guardando perciò i nostri artisti, ma avere sempre un fortissimo sguardo internazionale. Quello che abbiamo costruito in questi 28 anni è stato provare a raccontare attraverso gli occhi di molti artisti che vengono da orizzonti distanti, pezzi del nostro tempo. Accanto alle “fedeltà”, che consentono al pubblico di seguire abbastanza regolarmente la poetica di alcuni artisti nei quali crediamo, vi è la necessità di cercare nuovi artisti significativi da presentare e a cui dare una opportunità. Ultimamente
abbiamo aggiunto al caleidoscopio del Festival Romaeuropa il rapporto tra arte e nuovi media, con il Digital life: una mostra che si svolge durante il periodo del Festival, ma anche un luogo di incontri, eventi live, dove ragionare su come si sta modificando il lavoro degli artisti in relazione alle nuove tecnologie. Pensiamo inoltre che i nuovi media siano una importante opportunità per informare il pubblico, far conoscere e condividere. Attualmente stiamo digitalizzando tutto il nostro archivio storico, ma abbiamo già pronte oltre un centinaio di frammenti visionabili sul web. In più ci sono le dirette web che abbiamo sviluppato con Telecom Italia che permettono di condividere su un portale generale, come telecomitalia.com, uno spettacolo del Festival, con chat ed informazioni, uscendo dai teatri e raggiungendo un pubblico molto più ampio. - “All that we can do” è stato il vostro slogan: un invito – spiegava- dove il famoso “I can” veniva ampliato e indirizzato direttamente allo spettatore. Egli cioè è responsabile della cultura, della conoscenza perché è essa stessa la nostra storia. Quest’anno abbiamo visto per quanto riguarda la danza grandi artisti da Bill T.Jones a Akram Khan, Sasha Waltz, Costanza Macras, Virgilio Sieni, Ricci Forte. Quale saranno i progetti per il prossimo festival e quali gli obiettivi? I due mesi- da fine settembre a fine novembre - saranno molto impegnativi. Continuerà la collaborazione con Teatri di Roma per una sempre attenta radicalizzazione nella città; avremo un grande focus dedicato all’Africa che sarà costruito insieme al progetto France Dance, insieme all’Istitut de France e all’Ambasciata di Francia; un attenzione sempre molto forte ad un rinnovamento generazionale con la presenza di alcuni nomi storici del nostro panorama contemporaneo.
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Dossier Danza
IL CONTEMPORANEO FRA RICERCA E POP
LA DANZA DI CREMONA, UNA TRADIZIONE CHE SI RINNOVA di Nicola Arrigoni
venticinque anni fa, grazie alla sua direttrice artistica oggi sovrintendente Angela Cauzzi – decise di aprire uno spazio alla danza contemporanea... sopra: Kafig Brasil. Foto Maurizio Montanari.
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è dilagante una tentazione di trovare in anniversari più o meno compiuti il pre-testo per parlare o celebrare un avvenimento, una stagione teatrale, una compagnia, uno spazio performativo. Questo pre-testo fa perdere di vista una domanda: se è veramente o meno necessario festeggiare quell’anniversario. Celebrare gli anniversari è il grado zero del pensiero. Bisognerebbe vergognarci perché lo sguardo si rivolge al passato e mai al futuro. Chi imposta le stagioni o i cosiddetti eventi in base a date o ricorrenze non esercita alcun segno di pensiero ma si affida alla banalità… Ecco allora che i 25 anni della Danza del Ponchielli divengono un pre-testo
non per guardare al passato ma – forse – per leggere come e dove e quando l’esperienza della coreografia contemporanea ha trovato una sua tenuta. Perché iniziare dal Ponchielli di Cremona parlando di danza? Perché venticinque anni fa, grazie alla sua direttrice artistica oggi sovrintendente Angela Cauzzi – decise di aprire uno spazio alla danza contemporanea, laddove prima di allora i teatri di tradizione frequentavano la coreografia del repertorio classico solo in appendice dei cartelloni di lirica. Nei primi anni della rassegna La Danza il Ponchielli ebbe la forza di portare il meglio della coreografia contemporanea mondiale. Grande attenzione fu data anche alla coreografia italiana, quel-
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la giovane coreografia che fra la fine anni Ottanta e inizio anni Novanta cominciava ad imporsi, un nome su tutti, Virgilio Sieni, cui non si possono non affiancare le presenze di Monica Francia, Massimo Moricone, Enzo Cosimi, Roberta Gelpi, Monica Casadei, Abbondanza e Bertoni. Questo passato si riflette oggi solo parzialmente nel cartelloni degli anni Duemila, cartelloni a tratti generalisti, che non hanno mancato di indulgere al repertorio classico per assecondare le esigenze di un pubblico eterogeneo e onnivoro, spesso bisognoso di ras758/759 - 2013
sicurazioni. Detto questo, comunque il cartellone cremonese sa ancora oggi con abilità e costanza accaparrarsi prime nazionali come il debutto di Tango Metropolis con Tango & Noche (17 marzo) oppure il 7 aprile Revelations della Alvin Ailey II, seconda compagnia del grande coreografo esponente della cultura afro-americana Alvin Ailey, compagnia che unisce lo spirito e l’energia dei migliori talenti della giovane danza americana e la passione e la creatività dei migliori coreografi emergenti. Ailey II nasce
sopra: Ailey II. Foto Eduardo Patino.
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Dossier Danza
nel 1974 come Alvin Ailey Repertory Ensemble quando Alvin Ailey tenne un workshop con i più promettenti studenti della Ailey School. Nel nome di una vetrina che non sia solo stagione di danza per la città, ma anche spaccato nazionale e internazionale di ciò che offre la coreografia contemporanea il cartellone del venticinquesimo si compie sotto il segno di altri due debutti nazionali: il 16 aprile il Grupo Corpo Brazialian Dance Theater torna a Cremona dopo quindici anni di assenza con due coreografie del loro fondatore Rodrigo Pederneiras: Parabelo e O Corpo. «Rodrigo Pederneiras è capace di fare esprimere al massimo i suoi 22 danzatori ed è profondamente legato alla cultura del suo paese al tempo stesso colta e popolare. La tecnica interpretativa della compagnia è strabiliante, le prodezze virtuosistiche di una compagine tutta protesa sul contemporaneo jazz lasciano senza fiato», scrive Sergio Trombetta. Chiude la stagione dei venticinque anni il debutto il 24 aprile del Balletto di Maribor con Watching Others del coreografo Edward Clug, spettacolo di cartello, segno di una contemporaneità che non disdegna ascendenze neoclassiche. Tutto ciò sembra essere volto a richiamare le origini stesse della rassegna La Danza del Ponchielli, nata in un contesto di teatri di tradizione non necessariamente vocati alla coreografia contemporanea ma che in anticipo sui tempi seppe non solo dare visibilità e organicità ai grandi della coreografia mondiale: Maguy Marin, Pina Bausch, Martha Graham, Merce Cunningam, Carolyn Carlson, Lucilda Childs, ma offrirsi come spazio di residenza e messa alla prova dei linguaggi spesso non immediati della coreografia italiana che agli inizi degli anni Novanta non ebbe eguali. Oggi forse questo guardare avanti, in prospettiva viene meno. La rassegna La Danza del Ponchielli si è accontentata di un ruolo intramoenia, ma c’è da dire che anche la proposta di contemporaneo è aumentata e quindi il panorama si è fatto più articolato, meno esclusivo. A
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venticinque anni di distanza La Danza di Cremona rimane il segno forte e continuativo di uno sforzo di programmazione che difende gli spazi dedicati alla coreografia contemporanea, con qualche concessione in più al pop, ma pure sempre coerente alla propria vocazione di dare visibilità a coreografi con un peso specifico di pensiero gito non banale.
sopra: Carolyn Carlson Company in Synchronicity. Foto Frédéric Iovino.
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NOTRE-DAME DE PARIS:
CON ÉTOILES E SOLISTI, IL CORPO DI BALLO DEGNO COPROTAGONISTA COREOGRAFIA DI ROLAND PETIT di Myriam Mantegazza
Balletto in due atti dal romanzo di Victor Hugo Supervisione coreografica: Luigi Bonino Assistente alla coreografia: Gillian Whittingham Musica: Maurice Jarre Direttore: Paul Connelly Scene: René Allio Costumi: Yves Saint-Laurent Luci: Jean-Michel Désiré Con: Roberto Bolle, Natalia Osipova, Massimo Murru, Petra Conti, Eris Nezha, Mick Zeni, Ivan Vasiliev, Marco Agostino, Lusymay Di Stefano, Claudio Coviello, Antonino Sutera e il Corpo di ballo del Teatro alla Scala. Produzione Teatro Bol’šoj, Mosca. Orchestra del Teatro alla Scala.
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Speciale Notre-Dame De Paris di Roland Petit
Milano, Teatro alla Scala, dal 10 febbraio al 5 marzo 2013
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arigi, anno 1482: è in questo luogo e tempo in cui è ambientato il balletto di Roland Petit, ispirato all’omonimo romanzo di Victor Hugo, che già aveva ispirato altri celebri coreografi in passato. Tuttavia la creazione di Petit, riproposta al Teatro alla Scala dal 10 febbraio al 5 marzo sotto la supervisione coreografica di Luigi Bonino con Gillian Whittingham assistente alla coreografia, ha qualcosa di unico ed originale. Intanto il Medio Evo di Petit è decisamente moderno. Poi sono le sue stesse parole a farci cogliere la sua visione e come questa è realizzata in Notre-Dame de Paris: «Per me, lo spettacolo è una creazione totale: danza, scene, costumi, partitura musicale». La fonte letteraria non è, dunque, che uno spunto di partenza per un grande spettacolo di danza i cui componenti fondamentali, oltre ai quattro personaggi principali, Esmeralda, Quasimodo, Frollo e Pho-
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ebus, sono la musica di Maurice Jarre, le scene di René Allio, gli splendidi costumi di Yves Saint-Laurent e, last but not least, il corpo di ballo. Ben lungi dall’essere un mero complemento decorativo delle performance delle étoiles e dei solisti, il corpo di ballo ne è invece un degno coprotagonista. Commentatore, testimone e presenza dei diversi momenti della vicenda, come il coro della tragedia greca esso è un elemento cardine, senza il quale la storia sarebbe povera di contenuto, di colore e di calore. Oltre a dare un volto al popolo di Parigi, ora sguaiato interprete della “festa dei folli”, ora raccolto in preghiera davanti al portale della cattedrale, ora composto da donne scarmigliate, come le Furie dell’antichità, è il corpo di ballo con i toni e le sfumature tanto dei suoi costumi quanto della sua interpretazione a fungere da cassa di risonanza dello stato d’animo dei quattro personaggi principali ed a sottolineare la passione prevalente
di cui le singole scene sono pervase. Eccolo, perciò, fiammeggiante diavoletto a dare corpo al fuoco di un amore malato con il rosso degli abiti ed un atteggiamento di impeto infernale ed eccolo funereo accompagnatore della morte di Esmeralda con il nero dei costumi e la mesta partecipazione a questo triste rito. Compresi nel loro ruolo e, si direbbe, animati dallo spirito vivificante del grande coreografo francese purtroppo scomparso nel 2011, le danzatrici ed i danzatori del corpo di ballo contribuiscono con un apporto di altissimo livello artistico, di forte impatto emotivo e visivo e di grande intensità espressiva, che corre come un flusso d’energia per tutto lo spettacolo, rappresentandone il leit-motiv.
sopra: Notre Dame de Paris. Il Corpo di Ballo di Teatro alla Scala. Foto Rudy Amisano.
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IMPETUOSE VISIONI PARIGINE ALLA SCALA di Vito Lentini
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e intricate e fosche vicende parigine narrate da Victor Hugo nel suo Notre-Dame de Paris, com’è noto sono state trattate in alcuni dei molteplici linguaggi dell’arte coreutica. Uno di questi è tornato poderosamente sul palco della Scala dopo più di dieci anni dall’ultima rappresentazione: il balletto firmato da Roland Petit. Creato nel 1965 per l’Opéra de Paris il balletto del coreografo francese ha il grande merito di tradurre con raffinata espressività i complessi e avvincenti eventi che hanno luogo nel cuore di Parigi. Nei tortuosi intrecci del soggetto si stagliano le figure dei quattro grandi personaggi che, sul palco del Piermarini, sono restituiti nella loro superba integrità. Ad interpretare il campanaro di Notre-Dame nella quarta rappresentazione del balletto torna il Primo ballerino étoile del Teatro alla Scala Massimo Murru. Nei panni di Quasimodo fin dalla prima edizione scaligera del balletto, egli dimostra con portentosa sicurezza di conoscere perfettamente i molteplici aspetti di quel personaggio dalla “psiche incatenata”, come sapientemente descritto da Victor Hugo. Con una interpretazione di prim’ordine Murru restituisce egregiamente la complessa armonia della tenebrosa deformità con la luminosa forza d’animo di Quasimodo. Un lavoro proficuo, quindi, effettuato su un personaggio che Petit dipinse in un linguaggio coreografico di sorprendente caratterizzazione e ampiamente tratteggiato all’inizio del 758/759 - 2013
Murru conosce perfettamente i molteplici aspetti di quel personaggio dalla “psiche incatenata”
secondo atto. Qui l’imponente scena invasa dalle enormi campane della cattedrale di Parigi diviene condizione eccellente per mettere in rilievo l’intimo e profondo dialogo del Gobbo con gli amati bronzi. Convincono le delicate e sensuali dinamiche ammaliatrici di Petra Conti
sopra: Massimo Murru in Notre Dame de Paris. Foto Rudy Amisano.
in debutto nel ruolo della bella zingara Esmeralda. Ella modula con eleganza le differenti tonalità emotive che scaturiscono dalla relazione con
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Speciale Notre-Dame De Paris di Roland Petit
gli altri personaggi. Un ulteriore debutto è quello di Eris Nezha nei panni di don Claude Frollo: un austero e tormentato vigore è la cifra che egli conferisce al maestoso arcidiacono. Marco Agostino debutta, invece, nel ruolo dell’avvenente capitano Phoebus sul quale si posano gli occhi della zingara col tamburello. È considerevole, a tal proposito, l’equilibrato amalgama che nel balletto di Petit si crea fra Esmeralda, Phoebus e Frollo in un delicato passaggio sul finire del primo atto. Esso rivela chiaramente l’intento di esplicitare l’osmosi tra il nascente sentimento d’amore del capitano e della zingara con l’inquieta presenza dell’arcidiacono di Notre-Dame. Ben riusciti i dinamismi del corpo di ballo qui impegnato a riproporre quel peuple ampiamente descritto nel romanzo di Hugo e ad alimentare un intenso e costante dialogo con i quattro personaggi. Gli splendidi costumi di Yves SaintLaurent spiccano in entrambi gli atti nelle chiaroscurali scene di René Allio. A dirigere l’Orchestra del Teatro alla Scala, impegnata con la musica di Maurice Jarre, il Maestro Paul Connelly: celebre bacchetta già nota in vari balletti. La creazione di Roland Petit riprende molti degli sviluppi superbamente descritti da Victor Hugo e indubbiamente può ancora costituire un canale privilegiato per sviscerare molteplici sfaccettature della sfera psichica; oltretutto costituisce un’importante occasione di formazione per ogni artista che in essa si cimenta. Sotto questo profilo è notevole l’analisi che Gérard Mannoni sviluppa su questo aspetto nel suo contributo presente nel programma di sala del Teatro alla Scala. Prospettiva che è proficuamente abbracciata dal teatro milanese impegnato a donare ai nuovi artisti opportunità di tutto rilievo affinché queste divengano sicuri potenziamenti personali e artistici.
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IVAN VASILIEV E LA SUA LEZIONE SUL ROMANTICISMO di Marino Palleschi
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n infortunio dell’ultimo minuto sospende improvvisamente il doppio attesissimo debutto di Ivan Vasiliev come ospite del Teatro alla Scala di Milano e come interprete di Quasimodo nel balletto Notre-Dame de Paris di Roland Petit. La contrattura alla schiena continua a non dargli tregua nei giorni successivi, ma con grande generosità va ugualmente in scena il 5 Marzo ed è subito trionfo. Stupisce che un giovane, a soli 24 anni, possa aver assimilato così profondamente i motivi che ispirano alla base il pensiero romantico; forse la sua sensibilità è acuita dalle radici russe, forse l’intuito è guidato dalla lettura di Dostoevskij, comunque stupisce che, a 24 anni, Vasiliev abbia anche tutta la maturità artistica per restituire l’animo dell’eroe romantico più puro: Vasiliev tratteggia un personaggio che del Romanticismo è paradigma. Si disperde il gruppo di popolani che copre Quasimodo e in scena non c’è Vasiliev: c’è un Titano che lotta con la materia e con l’informe per liberarsi dalla prigione impostagli da Zeus, pur consapevole di essere condannato a restarci per sempre. Sono potenti e poderose le contratture plastiche di Vasiliev e con esse riassume il limite fisico e psicologico del mostro escluso e ripudiato poichè diverso, ma anche il doloroso bisogno di evadere verso l’infinito per trovarvi la pace che qui,
nel finito, gli è negata. Poi Ivan-Quasimodo rimane eroe romantico per tutto il balletto: ricerca un’evasione dal suo limite nei sentimenti, vivendoli in modo illimitato. Agisce, istante per istante, in base alle sue pulsioni istintive: ciascuna giunge improvvisa e, come arriva, determina uno stato d’animo che è fin da subito totale: l’acme è raggiunto all’istante -ci dice la sua mimica mobile e calzante- senza che l’animo passi attraverso gradazioni e sfumature. Il sentimento è puro, totale, profondo, violento, assoluto e tale rimane finché non lascerà improvvisamente il posto a un altro stato d’animo. L’intero personaggio si fa gioia fanciullesca inebriante quando riceve un sorso d’acqua dalle mani di Esmeralda; l’amore e la riconoscenza per Esmeralda e il desiderio della donna non sono che irresistibile tentazione di giocare con lei. La disperazione è buio assoluto, lo sconcerto è male di vivere, la rabbia è vuoto spaventoso; in breve, Ivan-Quasimodo incarna il primato del sentimento e dello stato d’animo sulla ragione. “Un Dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando pensa”, scrive il poeta Holderlin. Ecco la chiave interpretativa usata da Vasiliev per il suo Eroe Quasimodo.
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INTERPRETARE QUASIMODO di Mario Mattia Giorgetti
Bolle - volto da principe romantico, da perenne giovane, ed una bellezza scultorea...
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Chi si confronta con questo personaggio compie un atto di coraggio. sopra: Roberto Bolle in Notre Dame de Paris. Foto Rudy Amisano.
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nterpretare il Gobbo di NotreDame de Paris, ovvero il mostruoso personaggio di Quasimodo, che Victor Hugo, all’età di ventinove anni, con enorme successo descrive nell’omonimo romanzo, non è impresa di poco conto per un danzatore. Eppure il ballerino-coreografo Roland Petit, imbattendosi per caso il libro dello scrittore francese, non ha esitazioni, anzi si affretta a metterlo in scena: come interprete, come autore del libretto, come coreografo. Dare corpo a quel personaggio è un compito ben arduo, tanto più sapendo che Quasimodo è sordo a causa del rimbombo delle campane che deve suonare, essendo campanaro della
chiesa di Notre Dame. La sordità lo rende, ahimè, anche muto; come se non bastasse, ha anche una gamba più corta dell’altra ed una deformità alla schiena, cioè la gobba. Un ballerino, chiunque egli sia, che si confronta con questo personaggio compie un atto di coraggio: è una sfida per il suo corpo che per comunicare fa uso del linguaggio e dei codici della danza; è una sfida alle sue capacità interpretative, poiché lo obbliga ad essere un vero attore che muove la sua creatività di comunicazione, pescando nel proprio Io; last but not least è una sfida alle sue emozioni, costringendolo ad attingere al bagaglio dei suoi sentimenti, oltre che
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alla sua sensibilità ed al suo talento. Se poi il ballerino si chiama Roberto Bolle, che la natura ha baciato regalandogli un volto da principe romantico, da perenne giovane, ed una bellezza scultorea, ulteriormente modellata con lo studio della danza, l’impresa di entrare nell’animo di Quasimodo si fa ancora più ardua. Se Bolle ha compiuto questa scelta, avendo alle spalle un consolidato successo mondiale, significa che adesso intende percorrere una nuova esperienza, sfidando il suo aspetto, per offrirsi come interprete di passioni, sofferenze, disagi interiori. E già questa scelta merita un plauso, in quanto non esprime né presunzione, né irresponsabilità, bensì il piacere di puntare su un nuovo modo di proporsi e di vivere la propria professione, esponendola al rischio. E bene ha fatto. Come ha reagito il pubblico scaligero al suo debutto nei panni del mostruoso Quasimodo? Che lavoro ha compiuto su se stesso? A quali modelli si è ispirato, se si è ispirato? A quali trucchi visivi ha fatto ricorso per essere più convincente e credibile? Niente di tutto questo. Si è tenuto il suo corpo per quello che è, con poco trucco, ed ha indossato un costume che esalta più la sua figura di Adone anziché nasconderla. Ha cercato di lavorare dentro di sé, facendo appello alle sue esperienze vissute, al suo essere interiore, scavando nei sentimenti, vivendo da Quasimodo, da diverso.
che tendono a chiudere il corpo su se stesso, a nasconderlo; atteggiamenti che si rapportano con il mondo esterno, che mettono in atto sguardi di diffidenza, di sospetto, di paura. È su questo versante, su queste sponde, che Bolle deve spingere la sua ricerca per trasmetterci emozioni ancora più intense ed esaltare la sua professione di danzatore-attore. Roland Petit, scegliendo quest’opera, ci ha mandato molti messaggi attraverso la sua coreografia, fatta di movimenti, di particolari minimi di una gestualità quotidiana. I messaggi da decodificare sono molti, ma è uno, uno soltanto, a prevalere su tutti: l’amore alberga in ognuno di noi, belli e brutti, normali e diversi; amore che nella vita deve trovare il suo spazio vitale per arrivare a chi lo contraccambia.
FOTOCRONACA Foto di Rudy Amisano, Teatro alla Scala. pg. 27 Roberto Bolle: Quasimodo pg. 28 Natalia Ospiova: Esmeralda pg. 29 (sopra) Natalia Ospiova: Esmeralda, Eris Nezha: Phoebus, Mick Zeni: Frollo pg. 29 (sotto) Roberto Bolle: Quasimodo pg. 30 Massimo Murru: Quasimodo pg. 31 (sopra) Petra Conti: Esmeralda pg. 31 (sotto) Eris Nezha: Frollo
Rinunciare all’immagine esteriore, facile da raggiungere, per darci un’immagine interiore non è cosa facile, tuttavia, quando il “viaggio” è iniziato, non si torna indietro. Basta qualche accorgimento, da verificare nel corso delle repliche, e qualche approfondimento sull’animo umano di Quasimodo, animo bello, ricco d’amore, in stretta opposizione al suo corpo deforme, e Bolle, in seguito, sarà in grado di darci molto di più. Si tratta di aggiungere quei comportamenti tipici di chi soffre,
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pg. 32 Claudio Coviello: Quasimodo pg. 33 (sopra) Lusymay Di Stefano: Esmeralda, Antonino Sutera: Frollo pg. 33 (sotto) Lusymay Di Stefano, Claudio Coviello, Antonino Sutera pg. 34 Ivan Vasiliev: Quasimodo pg. 35 (sopra) Ivan Vasiliev: Quasimodo pg. 35 (sotto) Petra Conti: Esmeralda, Ivan Vasiliev: Quasimodo
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IL COREOGRAFO ALEX ATZEWI, SI CONFRONTA CON CARMEN di D.G.
Reduce dal successo al Politeama Genovese con la sua Carmen il coreografo Alex Atzewi ci racconta il perché della scelta di un soggetto in cui si sono già cimentati in tanti coreografi, da Roland Petit ad John Cranko, fino a Mats Ek e ad Amedeo Amodio con la sua creazione per l’Aterballetto.
Il mio modo di fare danza dà largo spazio alla fantasia dello spettatore...
sopra: Beatrice Carbone e Leon Cino in Carmen. Coreografia Alex Atzewi. nella pagina a fianco: Carmen di Alex Atzewi.
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- Il balletto Carmen è molto gettonato, e presente in molti calendari di Organismi pubblici, quale è l’innovazione, la motivazione di questa Sua scelta? Ho scelto anch’io di coreografare una Carmen perchè tanto la storia come il personaggio sono estremamente affascinanti ed intriganti. La passionalità di Carmen è vicinissima alle mie idee, alle mie intuizioni coreografiche e ai miei disegni tecnici, e questo mi ha permesso di fantasticare tramite il mio lavoro attuale in un mondo passato di una storia però che non ha tempo.
la storia e la logica teatrale. Il mio modo di fare danza dà largo spazio alla fantasia dello spettatore facendo entrare lo stesso nel mio mondo. Con Carmen è stata un’esperienza differente ed insolita perché sono stato costretto a lavorare all’interno di una narrazione ben definita, e per quanto abbia lavorato nel farla mia e renderla in parte diversa, ho voluto comunque rispettare la storia di quest’opera.
- Quali sono gli elementi che caratterizzano le coreografie differenziandole dalla messa in scena rispetto ad altre sue produzioni? La grossa differenza rispetto alle mie passate produzioni sta proprio nella storia e nei personaggi. Vale a dire che gli altri miei balletti non sono narrativi nel vero senso della parola. Io racconto la vita quotidiana sentimenti e passioni umane, questo sì, ma senza inserirli in una storia vera e propria. Il pubblico è quello che mi aiuta di più fornendomi lui la poesia,
è nata la curiosità di vedere un’opera antica indossata ad un lavoro attuale, contemporaneo, particolare. Per il mio modo di lavorare Rende pensava ad un ballerino eclettico come Leon Cino, nel ruolo di Don Josè, protagonista maschile dell’opera. Idea che ho condiviso a pieno ed ecco la presenza del vincitore di Amici 3 in questa parte tormentata. A seguire, oltre all’impegno della mia compagnia dotata di un forte bagaglio tecnico e atletico, ho dovuto cercare dei nomi che potessero essere all’altezza di un
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- Come è stato scelto il cast e come è stata concepita la distribuzione? L’idea è nata da Alessandro Rende che mentre osservava il mio lavoro, gli
personaggio imponente come Leon. Da qui la scelta di proporre la parte di Carmen a Beatrice Carbone, prima ballerina della Scala, e alla fantastica Stefania Figliossi, ètoile internazionale, per finire con un Escamillo molto virtuoso e tecnico come Mirand Pulaj. Inoltre mi sono posto la domanda di chi potevano essere i contrabbandieri? non volevo persone tecniche, con esperienza, ma persone che potessero rendere quel ruolo vero. Ho optato per quattro ragazzi del mio corso di perfezionamento, che ringrazio per aver affrontato con serietà e decisione uno spettacolo così difficile.
- Quali sono le piazze e le repliche previste dopo quella genovese? Le piazze in programma sono prevalentemente al sud Italia: Campania, Calabria, Sicilia, e anche Emilia Romagna, e il 15 marzo siamo stati al Teatro Leonardo da Vinci a Milano. Forse, ma dico forse, abbiamo buone possibilità per una data a Torino per la prossima stagione al Teatro Colosseo.
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Dossier Danza
GENOVA. AL CARLO FELICE, DEOS, NUOVO ORGANICO DI DANZA di Francesca Camponero
...la Fondazione ha deciso di allargare il proprio sguardo verso il settore della Danza costituendo il Danse Ensemble Opera Studio – DEOS. 38
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l gennaio scorso in occasione della conferenza stampa di Macbeth, Giovanni Pacor, sovrintendente del Carlo Felice, ha reso pubblico quanto da mesi già aleggiava nel teatro intorno al discorso danza: seguito dell’esperienza del progetto Ensemble Opera Studio – EOS, della scorsa stagione 2011/2012 che ha visto coinvolti giovani cantanti selezionati ed inseriti nelle produzioni liriche del Teatro, la Fondazione ha deciso di allargare il proprio sguardo verso il set-
sopra: Dergah Danza Teatro. Direzione Artistica Giovanni Di Cicco. Foto Alberto Terrile.
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tore della Danza costituendo il Danse Ensemble Opera Studio – DEOS. Il nuovo progetto, che traghetterà l’Ensemble verso un consolidamento artistico ed istituzionale, a carattere sperimentale e pilota nel panorama italiano, è stato concepito dalla Direzione del Teatro e dal coreografo Giovanni Di Cicco e vede come testimonial d’eccezione l’autorevole presenza di Luciana Savignano. L’organico è formato da danzatori con competenze professionali adeguate alle varie e specifiche esigenze artistiche delle produzioni del Teatro dell’Opera (acrobazie circensi, arti marziali, ricostruzione di danze storiche, evoluzioni aeree su tessuti). Accanto alle produzioni liriche, l’Ensemble sarà impegnato in spettacoli specifici di danza contemporanea in modo da coinvolgere un pubblico sempre più ampio. I 15 danzatori selezionati nell’audizione per la messa in scena di Pulcinella (avvenuta il 21 dicembre 2012), sono impegnati in 4 produzioni prima della quali è stata Macbeth, a seguire Wagner Wagen su coreografia di Luisa Baldinetti, primo evento del Teatro legato alle celebrazione del bicentenario della nascita di Richard Wagner, per proseguire nel mese di febbraio con Rigoletto di Giuseppe Verdi, mentre nel mese di marzo ha debuttato il balletto Pulcinella di Igor Stravinski, che rappresenta la prima produzione in assoluto nell’ambito della Danza del Teatro Carlo Felice. Novità assoluta il progetto di Giuseppe Acquaviva e Giovanni Pacor che vede in questa stagione sinfonica del Teatro Carlo Felice la programmazione di un concerto- balletto. E così il 22 e il 23 marzo scorsi all’interno della serata divisa in due parti (la prima della quali prevedeva il Concerto per violoncello e orchestra in la minore, op. 129 di Robert Schumann), Mario Brunello è stato alla guida dell’orchestra in una nuova produzione del balletto Pulcinella. Una messa in scena che richiedeva danzatrici e danzatori con esperienza nell’ambito della danza
contemporanea e teatro-danza. Tra 80 candidati sono stati scelti 15 elementi, 8 uomini e 7 donne che dal primo di febbraio hanno iniziato le prove per un mese e mezzo di lavoro intenso. “Si è lavorato molto- dice Giovanni Di Cicco- e non solo al Pulcinella, perché l’organico dei danzatori scelti è stato utilizzato anche per montare il balletto di Rigoletto in modo che il progetto del Pulcinella fosse protetto in quanto praticamente a costo zero per quanto riguarda la danza. Del resto, si sa, ad oggi i teatri lirici prestano grande attenzione ai costi perché non ci sono più le sovvenzioni di una volta, soprattutto per la danza. Infatti la selezione per i ballerini è stata fatta prestando un occhio di riguardo soprattutto verso chi già è abituato a lavorare nei teatri lirici e quindi capace di assolvere a più funzioni”. Un esperimento azzardato se si pensa che il pubblico presente era quello della sinfonica e non del balletto, ma su cui si sono poste grandi aspettative che hanno posto un precedente per la programmazione futura del teatro genovese. Il DEOS, nuovo organico di danza, rappresenta un punto di partenza per sopperire alle esigenze artistiche del teatro che usufruendo degli stessi professionisti per le varie produzioni riesce a tenere dei costi contenuti. “Se la cosa funzionerà- dice Di Cicco- può darsi abbia un seguito anche per la prossima stagione”. Staremo a vedere e auguriamo buon lavoro alla nuova compagnia.
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FOUDRE (CRÉATION 2012) L’AMORE TIRANNO DI DAVE ST-PIERRE di Bruna Monaco
Di: Dave St-Pierre Creato in collaborazione e interpretato da: Karina Champoux, Marie-Ève Carrière, Marie-Ève Quilicot, Joannie Douville, Sarah Lefebvre, Nadine Gerspacher, Natacha Filiatrault, Susan Paulson, Aude Rioland, Francis La Haye, Anne Thériault , Alanna Kraaijeveld, Éric Robidoux, Philippe Boutin, Christian Garmatter, Frédéric Tavernini, Luc Bouchard-Boissonneault, Alexis Lefebvre, Marc-André Goulet, Milan Panet-Gigon, Michael Watts, Renaud Lacelle-Bourdon, Julien Lemire, Vincent Morelle, Simon Fournier Con, in alternanza: Jérémie Francoeur, Philippe Thibault-Denis, Capucine Goust Drammaturgia: Geneviève Bélanger Compositori: Stéphane Boucher, Tomas Furey Parco della Musica di Roma, all’interno del Festival Equilibrio, 16 e 17 febbraio
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sotto: Foudre, coreografia Dave St. Pierre. Foto Wolfgang Kirchner.
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n esercito di cupidi nudi, per nulla angelici e asessuati. Un coro brulicante, rissoso, chiassoso che litiga, scherza, chiacchiera e urla. Mentre ai piedi di due cataste di sedie ai lati della scena, legati e imbavagliati, un ragazzo e una ragazza, dall’aria spaurita e perplessa li guardano e si guardano. Sono i prescelti, vittime imminenti del sadismo di cupidi debosciati 758/759 - 2013
e di un coup de foudre tremendo e ineluttabile. Foudre, ultima creazione del coreografo canadese del Québec, Dave St. Pierre, mette in mostra non la gioia ma la brutalità e la tirannia dell’innamoramento. Gli archi dei cupidi saettano decine di frecce, senza rispetto, contro i corpi inermi delle due vittime. Subito ha inizio la danza d’amore. Ma non è un amore rosa preconfezionato da baci Perugina e cene di San Valentino a lume di candela. Quella dei due solisti è una danza al massacro, preludio di una vita dolorosa di tira e molla, sofferenza, minacce di suicidio e richieste di soccorso. O forse è la danza di un amore così intenso da essere insopportabile, da preferirgli la morte, per calmierarlo e goderne finalmente in serenità. I duetto è lungo, estenuante, ricco di lanci, cadute e torsioni. Dave St-Pierre prende alla lettera le espressioni idiomatiche, metaforiche che in ogni lingua rimano alla violenza per richiamare l’amore. “This is how you fall in love” gridano i danzatori. E si schiantano al suolo. Frasi e tonfi si susseguono a un ritmo martellante, ogni caduta è diversa da un’altra, ogni innamoramento è diverso da un altro, ma tutti lasciano i lividi sul corpo, nell’anima. La drammaturgia di Foudre è ben intessuta: parte dal racconto di una storia, concreta, con due protagonisti che con l’avanzare dello spettacolo si fanno simboli di una condizione, senza mai perdere l’unicità dei personaggi. Senza uscire dalla storia Dave St-Pierre ci racconta il mondo: l’uomo l’amore la vita e la morte, i temi posti al centro di una trilogia iniziata con La Pornographie des âmes e Un peu de tendresse bordel de merde!, e che si conclude magistralmente con Foudre. In questa pièce Dave St-Pierre raggiunge il perfetto equilibrio fra le parti, dopo un lungo inseguimento fatto di tentativi e spettacoli accattivanti, intelligenti ma non sempre riusciti in pieno. Foudre è una tragedia irrorata di ironia, e le dosi sono giuste. È il
conflitto tra la poesia del dolore e la prosaicità del reale a muovere e modulare le due ore di spettacolo. Un conflitto che sentiamo in termini di dissonanza in una scena straziante come quella in cui Lui implora il perdono di Lei portandole delle rose bianche, urlando senza indugio la sua disperazione “These are the last flowers of all the supermarkets”. I danzatori di St-Pierre non sono solo tecnicamente impeccabili, ma sono generosi, non si risparmiano. Si espongono con coraggio anche svelando le proprie nudità, la propria debolezza. Ed è chiaro che chi dà tanto vuole tanto: negli spettacoli di Dave St-Pierre il pubblico non può permettersi lo stato passivo da voyeur intellettuale. Presto o tardi sarà chiamato in causa, sarò costretto a entrare in relazione con la scena a sentire su di sé la fragilità degli interpreti. Se in Un peu de tendresse bordel de merde! i danzatori occupavano palco e sala completamente nudi a pochi centimetri da un pubblico imbarazzato, in Foudre uno spettatore è invitato a rappresentare tutti sul palco e a giocare con una bambola gonfiabile, ma con amore, con rispetto. È un modo, forse discutibile, per ristabilire un contatto fra le due metà del teatro: attori e spettatori condividono uno spazio per condividere un’esperienza, è necessario che entrambe le parti investano qualcosa perché qualcosa si realizzi. Foudre non è uno spettacolo semplice, porta il pubblico allo sfinimento proprio come fa Dave St-Pierre con i suoi danzatori. A spettacolo finito, però, per tutti, come dopo una bella fatica, la gioia incomparabile dell’adrenalina.
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GISELLE E ALBRECHT: INTRAMONTABILE SCÈNE D’AMOUR di Vito Lentini
Dal 26 aprile alla Scala sette recite del balletto di Adolphe Adam e in alcune rappresentazioni torneranno a ballare Svetlana Zakharova e Roberto Bolle. sopra: Roberto Bolle in Giselle. Foto Brescia, Amisano - Teatro alla Scala. nella pag. a fianco: Svetlana Zakharova in Giselle, Teatro alla Scala. Foto Rudy Amisano
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ella terza decade del mese di aprile tornerà alla Scala uno dei balletti più noti del repertorio ottocentesco: Giselle. Nato dalla geniale idea di Théophile Gautier di portare alla danza quella leggenda slava delle Villi attinta nel libro De l’Allemagne di Heinrich Heine e dalla collaborazione con il drammaturgo Jules-Henry Vernoy de SaintGeorges, lo spettacolo vide la luce il 28 giugno 1841 all’Opéra di Parigi con la ventiduenne Carlotta Grisi, prima Giselle della storia. Un balletto che già all’origine diede ampio spazio alle infauste vicende di quella giovane che vive una storia intrisa di meravigliosi ma maliziosi
legami d’amore. Rispetto ad essi nel balletto è palese la scelta di concedere ampiezza a quella visione dualistica che struttura non solo Giselle ma anche il fortunato precedente de La Sylphide. Gli spunti d’analisi che avvalorano questa teoria sono molteplici ma fra tutti si staglia la dicotomica esaltazione del fulcro amoroso. Questa è resa ancor più evidente grazie alla netta divisione che il balletto presenta nei suoi due atti. In esso, infatti, da un’agreste ambientazione che fa da sfondo al nascente sentimento d’amore si passa alla soprannaturalità: luogo privilegiato per portare sulla scena quella leggenda delle “promesse spose morte prima 758/759 - 2013
del giorno del matrimonio [… e alle quali] non è concesso di giacere in pace nelle loro tombe”, come descritto da Heinrich Heine. Un racconto di grande suggestività che entusiasmò giustappunto il poeta francese. Autentico candore, vaporosi tutù bianchi, gelide visioni notturne e soddisfazione dell’amore per la danza sono le peculiarità di quell’atto in cui le Villi regnano incontrastate. Giselle è una di esse, anche lei morta prima
sione nelle differenti modulazioni coreografiche che esplicitano il doppio registro interpretativo di questo ruolo e che sono perfettamente coniugate con le rigorose dinamiche accademiche. Negli anni il ruolo di Albrecht ha trovato interpreti che hanno variamente reso i delicati sviluppi del personaggio: Erick Bruhn, Rudolf Nureyev, Vladimir Vasiliev, Paolo Bortoluzzi, Mario Pistoni, Gheorghe Iancu, Peter Schau-
struttura parigina del balletto, tuttavia la coreografia di Jean Coralli e Jules Perrot continua a vivere, nella ripresa coreografica di Yvette Chauviré, in un allestimento scenico di prim’ordine sotto diversi aspetti; fra tutti continuano a stupire le scenografie di Aleksandr Benois rielaborate da Angelo Sala e incredibilmente affini ai bozzetti del 1924. Dal 26 aprile alla Scala si susseguiranno sette recite del balletto di Adolphe
delle nozze ma mossa a compassione da colui che le causò quella condizione e che inginocchiato piange sulla sua tomba: il duca Albrecht. Su di lui è dipinta la vita di un uomo pervaso da slanci amorosi che oltrepassano, e talvolta negano, possibili ordini razionali. Un ruolo considerevole, importante e certamente proficuo capace di oscillare fra le nefaste follie d’amore del primo atto e i laceranti dolori del secondo. La sua presenza è punto di svolta per il balletto e per quella donna che continua a vivere in un mondo irreale e alla quale egli sembra adesso riversare imperituro amore. Questi tratti trovano superba espres-
fuss e Laurent Hilaire sono solo alcuni dei nomi che sul palco del Piermarini ne hanno vestito i panni. Cronologicamente più vicine sono le fulgide interpretazioni di Massimo Murru e Roberto Bolle, étoiles del Teatro alla Scala. Altrettanto memorabile la storia scaligera del ruolo di Giselle che fra le numerose interpreti annovera: Yvette Chauviré, Margot Fonteyn, Vera Colombo, Liliana Cosi, Anna Razzi, Alessandra Ferri, Sylvie Guillem, Svetlana Zakharova e l’indimenticata e solenne Carla Fracci. Dalla prima rappresentazione scaligera ci separano centosettanta anni e, sebbene le versioni delle prime stagioni non riproposero l’originale
Adam e in alcune rappresentazioni torneranno a ballare Svetlana Zakharova e Roberto Bolle. Étoiles internazionalmente apprezzate in molti ruoli del balletto e che nei panni di Giselle e Albrecht restituiscono una notevole cifra interpretativa. Sotto questo profilo in essi si riconosce la valenza di questi ruoli che impongono l’adesione a quella prospettiva d’amore sfociata nelle spettrali conseguenze dell’infedeltà. Tratti che inevitabilmente interrogano l’artista chiamato a misurarsi con questi avvincenti e foschi caratteri ma che, nel contempo, sollecitano il continuo riscontro dello spettatore che in essi rintraccia gli intricati percorsi dell’umano.
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UN RACCONTO DALLA LUNA KAGUYAHIME DI JIRÍ KYLIÁN PER IL BALLET DE L’OPÉRA DE PARIS di Roberta Bignardi
Palais Garnier- Paris 10 Febbraio 2013 Musiche: Maki Ishii Coreografie: Jirí Kylián Scene e luci: Michael Simon Costumi: Ferial Simon, Joke Visser
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ffascinante, sofisticato ed estremamente profondo appare al nostro sguardo il Kaguyahime di Jirí Kylián, in scena lo scorso Febbraio al Palais Garnier dell’Opéra de Paris. L’attenzione viene catturata fin dalla prima scena, ovvero la ‘Discesa della principessa della Luna Kaguyahime’, alimentata
dalla musica dei tamburi giapponesi Kodo insieme al gruppo di percussionisti ospiti, mentre il trio Gagaku ( al centro della fossa dell’orchestra), formato dal flauto traverso (ryūteki), l’oboe (hichiriki) e l’organo a bocca (sho), mantiene costante quell’idea di ‘sospensione’ che produce uno spazio musicale magico, in apparente 758/759 - 2013
sopra a sx: Kaguyahime, coreografia Jiri Kylian. Ballet de l’Opéra national de Paris. Foto Charles Duprat / Opéra national de Paris. sopra a dx: Kaguyahime, coreografia Jiri Kylian con Marie-Agnès Gillot. Ballet de l’Opéra national de Paris. Foto Charles Duprat / Opéra national de Paris. 758/759 - 2013
silenzio, attraversato da ‘grappoli’ di note. Il coreografo ceco Jirí Kylián si ispira all’antica favola di Taketori monogatari (Storia di un tagliabambù), o Kaguya-hime no monogatari (Storia della principessa Kaguya), racconto popolare giapponese del X secolo, considerato il più antico esempio di narrativa nel Paese scritto in lingua giapponese tardoantica.
Il tagliatore di bambù Okina trova una canna di bambù che risplende nella notte; tagliandolo trova al suo interno una bambina, grande come un pollice. L’uomo, che non ha figli, porta la bambina a casa dalla moglie, e i due la crescono come fosse loro figlia, dandole il nome Kaguya-hime (Kaguya significa “notte splendente”). Da questo momento in poi ogni
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volta che l’uomo taglierà un bambù vi troverà all’interno una piccola pepita d’oro. Kaguya-hime cresce felice nella sua famiglia adottiva, è diventa una bellissima donna e la famiglia, arricchitasi grazie a tutto l’oro trovato da Okina, cerca di tenerla al riparo da occhi indiscreti, considerando Kaguya-hime come un tesoro del cielo. L’eccezionale bellezza della donna tuttavia viaggia di bocca in bocca, e presto cinque principi si presentano alla sua porta, chiedendo alla “principessa splendente” di scegliere uno di loro. Kaguya-hime escogita per loro cinque prove impossibili che non vanno a buon fine. Anche l’imperatore del Giappone viene richiamato da tanta bellezza, ma la principessa lo respinge rivelando la sua vera natura: ella non è una terrestre ma bensì la principessa del regno della Luna, che presto sarà richiamata dai suoi concittadini. Il giorno designato, l’imperatore innamorato invia molti soldati a impedirlo, ma questi sono tutti accecati dalla luce emanata dagli esseri celestiali; la principessa prima di tornare sulla Luna, lascia una lunga lettera di scuse, la sua veste fatta di fili d’oro per i vecchi padre e madre adottivi e una goccia di elisir della vita(che dona l’immortalità a chi lo beve) per l’imperatore. Indossa poi una sua stupenda veste fatta di piume magiche, consentendole di volare via e dimenticare il tempo trascorso sulla Terra. La leggenda narra che l’imperatore si recò, dopo la partenza di Kaguyahime, sulla montagna più alta del suo impero, ovvero il monte Fuji, per bruciare la lettera e l’elisir della vita: il fumo che sale dalla cima del monte deriva dall’elisir che brucia ancora oggi e che lega il Cielo alla Terra. Adattata al cinema, al teatro e utilizzato come manga, la storia di Kaguyahime contiene tutti gli elementi del romanzo e una irresistibile forza narrativa: esplora e critica la natura umana con le sue nobiltà e le mediocrità, le glorie e i fallimenti. Jirí Kylián si accosta alla leggenda giapponese nel 1988, lavorando sulla versione
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musicale del 1985 del compositore giapponese Maki Ishii. Quest’ultimo aveva ragionato sulla sua partitura come una danza fuori scena: aveva semplificato i dettagli narrativi e aggiunto una battaglia tra i soldati del principe e gli abitanti della Luna, una lotta violenta e potente tra ying e yang, tra terra e cielo. Il compositore giapponese, figlio del danzatore e coreografo Baku Ishii, considerato il pioniere della danza moderna in Giappone, era cresciuto in un clima di avanguardia occidentale: conosceva l’euritmia di Dalcroze, aveva visitato l’Europa vedendo il movimento libero di Isadora Duncan e la forza prorompente di Mary Wigman, così come il neoclassicismo musicale di Stravinsky. La danza è perciò già all’interno della musica di Ishii e quando vi è l’incontro con Kylián il risultato non può che essere eccezionale. Il coreografo ceco crea un balletto narrativo armonizzandolo con gli elementi folcloristici, presenti sia nel tempo musicale che nello spazio scenico, arrivando ad una profonda unione tra passato e presente, tra Occidente e Oriente. La stessa fusione che nutre la musica di Ishii, in un gioco ondoso di pianissimo e fortissimo: la partitura è duplice, sottile grazie alla spiritualità del Gagaku e straordinariamente violenta e sanguigna, segnata dalle percussioni Kodo (ko tamburo- do infanzia) i quali musicisti, al momento della battaglia finale, salgono sulla scena correndo e gridando un ‘ritorno alle origini’. Ciò che appare ai nostri occhi è una forte “immagine auditiva”, che profuma del mistero che avvolge la spiritualità orientale e che democraticamente lascia aperta la mente alle numerose interpretazioni possibili. I tempi più amati dal compositore sono i “ma”, un termine intraducibile – si legge nel programma di sala – che disegna una sorta di tensione tra due momenti musicale, un silenzio che non è veritiero, un vuoto pieno di qualsiasi sorte. Gli interpreti, allora, sembra comunichino attraverso ultrasuoni in uno spazio “pienamente silenzioso”.
Kylián rende accessibile Kaguyahime alla sensibilità occidentale costruendo una danza di grande simbolismo ma estremamente concreta: dall’utilizzo di materie e colori ( pensiamo il telo nero che cade sui danzatori alla fine del primo atto, al grande mantello d’oro klimtiano con cui viene avvolta la principessa), alla composizione architettonica dello spazio scenico (le assi verticali che oscillano piano, i fondali scuri da cui emergono figure da lontano, il tappeto danza che si trasforma inghiottendo gli astanti, gli specchi in scena che riflettono il pubblico), alla ricerca analitica sul corpo in movimento, per una ascesi quasi surreale dall’immaginario dei ricordi. La sua danza a volte è fluente e languida con assoli e pas de deux, a volte frenetica e spinta dal flusso in aumento generato dall’orchestra. «La danza e la letteratura – scrive Kylián nel 1988 – sono espressioni artistiche così differenti che è impossibile sostituire l’una all’altra . Una volta deciso che ciò ha rilievo (…) dobbiamo rapidamente comprendere che la semplicità è la migliore strada verso la soluzione ideale (…). La dualità degli oggetti permette di creare “uno spazio magico” dove poter conciliare l’universo letterario e il linguaggio coreografico, la cultura europea e quella asiatica ». Interprete eccezionale della serata parigina la meravigliosa étoile Marie- Agnés Gillot, le cui linee sono disegnate dalla tuta bianca, come una acrobate di Picasso, armonica e al tempo stesso analitica nella sua danza, leggera e quasi spirituale. Degno di nota tra i “pretendenti” il nostro bravo Alessio Carbone dal temperamento maturo e dal forte controllo del movimento.
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D’ANNUNZIO CONTROCORRENTE
150° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA FU IL PRIMO AUTORE DELL’OTTOCENTO A SVELARE IL CORPO E A SDOGANARLO DAI TABÙ CATTOLICO – BORGHESI di Claudio Marchese e Riccardo Di Salvo
Parte I Poligrafo, poligamo e politeista
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acque nel 1863 a Pescara, oscura città di provincia del neonato Regno d’Italia, Gabriele D’Annunzio, lo scrittore che scandalizzò la morale di quei tempi. Fu il primo sperimentatore italiano del binomio arte – vita, teso fino all’eccesso, che aveva avuto precedenti illustri nei “poeti maledetti” francesi Baudelaire, Rimbaud e Verlaine. Un bel coraggio delle proprie azioni, in un Paese come il nostro in cui l’artista era accettato solo se ossequiente servo della borghesia conservatrice e della Chiesa cattolica! Il poeta in questione era dotato di una straordinaria capacità di scrittura e di una innata vocazione allo scandalo. Dall’adolescenza trascorsa al Collegio Cicognini di Prato, fino al volontario esilio controllato nella casa – museo “Il Vittoriale”, ora monumento nazionale e internazionale. All’età di 16 anni osò provocare il poeta ufficiale di fine Ottocento Giosuè Carducci, imitandolo in modo eccentrico nelle sue “Odi barbare”, con audaci mixage baudelairiani che inneggiavano alla lussuria. Cominciò così a rivelarsi come poligrafo. Scrisse in tutti i generi 758/759 - 2013
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letterari, dalla poesia lirica a quella nazional – patriottica, dalle novelle post – veriste alle cronache mondane della Roma umbertina, dal romanzo – saggio novecentesco al teatro di poesia. D’Annunzio non fu solo poligrafo, ma anche poligamo, qualità che a quei tempi non era normale come oggi. Rischiò duelli e reati punibili con il carcere, quando si unì con donne sposate. A quei tempi era reato di adulterio. Ma D’Annunzio era audace. Convinto che il piacere fosse raggiungibile non nella monotona vita coniugale, ma nella pluralità dei desideri sessuali che era già stata dichiarata dai libertini del Settecento, come Sade e Casanova. Di qui il rifiuto della morale cattolico – borghese e la scelta di una religione non allineata con il monoteismo. Non un unico Dio ma tanti dei che danzano nella vita quotidiana e si identificano con gli elementi primordiali. Su questa filosofia liberamente rielaborata sulla lettura di Nietzsche, D’Annunzio creò una poetica da cui sarebbe derivata gran parte della poesia del Novecento . Il Panismo, religione laica che vede nel dio Pan o Dioniso l’ombelico terrestre, sotto forma di estasi vitalistica, affermazione del sesso senza peccato e sovrumana potenza della gioia. “Non chi più soffre, ma chi più gode, conosce” dice un suo aforisma. Scandaloso per un secolo come l’Ottocento in cui l’idea del sesso extraconiugale e antiprocreatico era condannata come lussuria. Ma per D’Annunzio valeva il motto “gaudere semper”, che richiamava il verso del latino Catullo “Vivamus / mea Lesbia / atque amemus”. Su questi scandali verbali D’Annunzio inventò una scrittura, oltre che uno stile di vita, che contrastavano con l’imperante letteratura post – manzoniana, con la noiosa immagine del letterato in papalina e in pantofole. Creò il Decadentismo italiano, con tutte le sue delizie e con tutti i suoi veleni. Precursore di tutti i poeti post – moderni, come i futuristi e gli
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ermetici che, nonostante l’enorme debito maturato nei suoi confronti, non gli dissero mai nemmeno grazie. Fu il padre indiscusso dei neomaledetti del Novecento italiano, come Dino Campana, Cesare Pavese e Pierpaolo Pasolini che, a dispetto dell’imperante critica crociana e post – crociana, furono tutto meno che autori neorealisti. Superuomo all’italiana D’Annunzio sprovincializzò l’Italia moralistica dell’età umbertina, gettando nel ripostiglio la maschera triste del letterato in pantofole e papalina. Indossò quella irriverente dello scrittore da salotto mondano. Colletto inamidato e gardenia all’occhiello. Con la stessa disinvolta eleganza, per primo posò nudo sulla spiaggia di Francavilla al mare e diede la foto ai giornali della capitale, tanto per far capire da quale fonte sgorgava la sua creatività. Erotismo, estetismo, eroismo. Un trinomio che lo scrittore sventolò come una bandiera sulla piazza della borghesia nazionale. La stessa che si genufletteva pubblicamente sui banchi di chiesa e nascondeva il vizio libertino nei bordelli di Stato. Più trasgressivo del Verga dei romanzi erotico - mondani, praticante del sesso estremo, D’Annunzio fu il primo in assoluto a togliere i veli alla donna facendola apparire come femmina gioiosa e vamp fatale. Il primo che, senza usare il codice pornografico dell’Aretino a di Sade, simulò in una scrittura iperletteraria coiti multipli e deliri orgasmici. D’Annunzio, come molti letterati nazionali, veniva dalla provincia e portava con sé la valigia dei sogni. Poeta in erba ma geniale, a soli sedici anni, pubblicò a proprie spese l’opera prima e inventò un gesto che fece capire subito di che pasta era fatto. Avido di sensazioni e di scandali, diede in pasto alla stampa la falsa notizia del proprio necrologio. Entrò in sordina nel clamore della
vita mondana, sfidando l’opinione pubblica cattolico - borghese, con una serie interminabile di avventure galanti, impreziosite dal lusso e profumate di lussuria. Capì in anticipo su i tempi rispetto ai suoi amici nemici futuristi, che non erano né l’aula universitaria né il museo i luoghi sacri dell’estro poetico, bensì l’alcova libertina. Vera e propria palestra di un erotomane della letteratura che fece del proprio membro il centro del mondo conosciuto. D’Annunzio inventò l’alfabeto italiano della decàdence. Mordere la vita come un frutto maturo. Il mondo come un corpo da fiutare, godere e possedere. Dalle prime novelle ai primi romanzi, il verbo dannunziano aggredisce fisicamente il personaggio. Che sia un contadino o un pastore abruzzese oppure un dandy truccato e profumato, non importa. L’uomo è un animale affamato di cibo e di sesso. Fame e lussuria sono i due motori della sua voracità di vita. Quasi sempre la fiammeggiante estate mediterranea, anziché fare da sfondo al racconto, diventa fonte di libido. Si trasmette ai corpi primitivi dei pastori e dei pescatori abruzzesi, risvegliando nelle loro viscere la potenza seminale e la violenza del possesso carnale. Il passaggio dalle novelle pseudoveriste al romanzo decadente non è semplice, anche se il D’Annunzio novelliere è già armato di potenti mezzi espressivi. Con la stessa voracità con cui aggredisce la vita, D’Annunzio divora tutto ciò che legge. Da Flaubert a Baudelaire, da Zola a Huysmans è tutto un pasto di frutti golosi, consumato negli intervalli tra un coito e l’altro. La creatività dannunziana è sfrenata. Verso la fine dell’Ottocento D’Annunzio inventa una serie di maschere dell’eroe decadente e della sua complice nella vita e nell’arte. Un binomio che s’illumina come un prisma in una scrittura scintillante e proteiforme. Il dandy e la femme
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fatale. Nel primo e più dolce dei romanzi dannunziani “Il piacere” (1889) Andrea Sperelli ed Elena Muti si perdono nell’estasi totale dentro una labirintica Roma di aristocratici e di borghesi neo arricchiti, tra amplessi furiosi e languide ebbrezze post coitali. Il delirio immaginifico si ripete, come in una variazione musicale nel secondo ritratto, già superomistico, del wagneriano Giorgio Aurispa, che precipita in una tenebrosa attrazione necrofila nel “Trionfo della morte”, con la complicità dell’angelo demone Ippolita Sanzio. Noi che non siamo soltanto scrittori ma anche cinefili, non possiamo non notare quanta di questa creatività dannunziana è passata nel cinema. Francesca Bertini, Greta Garbo, Marlene Dietrich incarnarono i vaneggiamenti erotici delle donne fatali che entravano e uscivano dal letto dell’immaginifico. Teatrale fino al midollo, D’Annunzio ha fatto di se stesso il centro di una messa in scena, ogni volta diversa. Non poteva, quindi, sfuggire a fascino del teatro. Gettando all’aria l’ingombrante scatola del teatro naturalista, lo scrittore ha inventato un codice scenico in cui il sogno e il desiderio vanificano la crosta della realtà. Possiamo dire che nelle tragedie dannunziane come “La città morta”, “La Gioconda”, “La figlia di Iorio” non è più il verosimile unico centro della rappresentazione, bensì la sfuggente mutevolezza delle maschere che danzano sulla scena, cambiando continuamente ritmo e prospettiva. Un teatro - danza, potremmo dire, in anticipo rispetto alle avanguardie di tutto il Novecento. (Continua sul prossimo numero.)
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CINELIBRI a cura di Alberto Pesce
Fabio Zanello (a cura di) CINEMA DI DON SIEGEL (IL) Edizioni Il Foglio, Piombino (Li) Euro 16.00, pp. 325
L’americano Don Siegel non è che abbia sempre avuto in passato buona stampa, benché, alle prese con film gangster, polizieschi, inferni di guerra, sfondi western, cappe carcerarie, abbia saputo quasi sempre muoversi con vigoria d’immaginario, sapienza di montaggio, icasticità di ritmo, senza lasciarsi sfuggire, se del caso, amari risvolti d’humour, ideomitiche striature di polemico scetticismo, e abbia influenzato di lezione e mestiere il cinema di Clint Eastwood e di Sam Peckinpah. Ora, il volume curato da Fabio Zanello ne è spettroscopica analisi rivalutativa a tutto campo, a cominciare da Rivolta al blocco 11 (1954), dove Zanello marca “differenza fra gli aspetti semantici e sintattici di un genere” rispetto al futuribile Fuga da Alcatraz (1980), per Michelangelo Pasini con “tempo che prima viene espanso, poi immediatamente negato”. E se Aurora Auteri precisa i “fuori norma” per Crimine silenzioso (1958) e “tutte le caratteristiche di genere” per Il caso Drabble (1974), tra gli altri saggi in particolare di profondo e minuzioso scandaglio quelli di Massimo Causo per quel “percorso oltre il confine dell’umanità” che è L’invasione degli ultracorpi (1956), di Sebastiano Cecere per Stella di fuoco (1960) con Elvis Presley in tema razziale su sfondo western, di Francesco Asaro e Alessandro Baratti per Squadra omicidi, sparate a vista!(1968) quasi una “riscrittura in chiave poliziesca di The Killers”, di Michele Raga per La notte brava del soldato Jonathan (1971, “western da camera altamente claustrofobico”, di Domenico Monetti per Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo (1971) notomizzato anche confrontandosi con magari opposti giudizi critici, di Mario Molinari per gli aspetti di continuità, trucchi, ritmo, humour e angoscia di Chi ucciderà Charley Varrick (1973).
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Francesco Bono, Luigi Cimmino, Giorgio Pangari (a cura di) COSI’ BELLA; COSI’ DOLCE. DALLE PAGINE DI DOSTOEVSKIJ AL FILM DI BRESSON Rubbettino Soveria Mannelli (CZ) Euro 14.00, pp. 221 Così bella, così dolce, un lui davanti al cadavere della moglie suicida ad arrovellarsi su ragioni del gesto estremo, è un adattamento del racconto di Fiodor Dostoevskij La mite, che Robert Bresson ha risolto ad ascetico modo proprio nei tempi, ambienti, oggetti, personaggi, ma con dinamiche che si confrontano con la fonte. Ce ne ragguaglia un volume collettaneo. I tre curatori espongono il proprio punto di vista, Francesco Bono assieme a Gianni Sarro antologizzando varietà di interpretazioni critiche, Luigi Cimmino marcando uno stile di Bresson, che “rovescia la prospettiva di La mite”, Giorgio Pangaro cogliendo in diversità di scrittura la stessa “serietà”. Ma allargano la prospettiva anche sull’apporto di una decina di studiosi. E’ minuziosa analisi del testo dostoevskiano ad evidenziare elementi topici, monologo, suicidio, connessioni di spiritualità (Gabriella Elina Imposti), od oggetti significativi, immagine della Madonna, rivoltella, lettuccio di ferro (René Prédal), confronto allargato anche a La muta di Tommaso Landolfi (Claudia Criveller), riflessione su “stretta parentela “ di La mite con Il sogno di un uomo ridicolo (Gilfredo Marengo), e anche su tracce di una “dimensione cinematografica” della fonte letteraria (Daniele Dottorini). Ma per lo più, i saggisti si orientano su bressoniane modalità di trasposizione, “per frammenti” in sublimazione kantiana (Luciano De Giusti), con “frammentazione lontana dall’emotività” a stigma di alienata modernità (Claudia Zanardi), accostamento a Dostoevskij “secondo la lettura di Berdiaev” (Roberto Zalizzoni), in rovesciamento di prospettiva “racconto fantastico trattato come un fatto di cronaca” (Francesco Torchia), in ogni caso, in “film della parola e della sua negazione” e “sul tempo per negarne l’apertura” (Giorgio Tinazzi).
Ken Bloom HOLLYWOOD MUSICALS. I 100 PIU’ GRANDI FILM MUSICALI DI TUTTI I TEMPI Gremese, Roma Euro 39.00, pp. 288
Commedia dell’amore o spettacolo da inscenare comunque, fantasticheria onirica, magari anche in cartoon, che si sbriglia con coreografie di fastosa bellezza o rievocazione biografica di compositori o di cantanti, filmopera o film-balletto, epopea jazz o vitalismo rock, il musical americano da genere teatrale newyorkese diventa a Hollywood con quadri Warner, classici Rko, mitici Mgm emblematico segno e sogno di una favolosa poetica dell’intrattenimento. Ken Bloom, storico, regista, produttore discografico, nella miriade di musical hollywoodiani seleziona i cento film più significativi per innovazioni coreografiche, successi di culto, presenze di attori star, ciascuno con un proprio stile, Fred Astaire con Cyd Charisse o Judy Garland o Ginger Rogers in “inquadrature a corpo intero, macchine da presa quasi immobili, lunghe sequenze”, Gene Kelly invece, più atletico e stravagante con dinamico gioco di volteggi, balzi, balletti, fosse a New York o a Parigi, o “cantando sotto la pioggia”. Ma non ne profila una storia da The Jazz Singer (1927) al terzo High School Musical (2008), rimandandone in appendice l’arcatura cronologica. In ordine alfabetico, da All That Jazz (1973) di Bob Fosse a You were never Lovelier (1943) di William A. Seiter ne allinea dizionario, grazie alla sontuosità editoriale da superbo libro-strenna, film dopo film, con un’impaginazione di largo formato e ampio respiro in uno spettroscopico incrocio tra ricco apparato illustrativo, foto di scena, inquadrature di film, poster d’epoca, a colori anche per film bianconeri, e testi che, magari tenuti leggeri con sorridente sottofondo d’ironia, precisano cast, credit, trama, citano “Songs”, spilucchiano curiosità dietro-le-quinte, evidenziano battute o stralci d’intervista, perfezionano ritratto d’autore o interprete. 754/755 - 2012
TOMMASO URSELLI
Sipario Testi
Esercizi di distruzione l’importanza di chiamarsi Erostrato
Io sono un inventore ben più meritevole di tutti quelli che mi hanno preceduto. A. Rimbaud Ecco cosa vorrei, sbalordirli tutti. J.P. Sartre Troverò ben io il modo di farvi attoniti, o stolti; dovrete ripetere in perpetuo il mio nome. Se per oneste imprese mi ricusaste la fama, vi sforzerò darmela per sempre con una trista. A. Verri
NOTA Il testo è costruito in forma di monologo; le battute contrassegnate da un trattino sono citazioni dall’opera di autori e artisti famosi cui il nostro personaggio, un Erostrato contemporaneo”, si ispira; tali battute potranno essere dette dallo stesso attore in tempo reale o dalla sua voce fuori campo.
SIPARIO Testi
Penombra. Erostrato, di schiena, accasciato sul tavolo in mezzo a un mucchio di giornali. La luce si alza lentamente. Erostrato si desta dal suo torpore, si rivolge a qualcuno tra il pubblico. Lei come si chiama? Il nome Il suo nome, dico Mai sentito Non la conosco Nessuno la conosce
Mi sarebbe stato così facile schiacciarvi, lì, dal sesto piano Lei a che piano abita Al piano terra? Guardi oggi mi sento così simile a lei: un terrestre di merda Mi sputi la prego mi sputi Guardi che pago eh Allora facciamo così: se non mi sputa io le sparo Sì, ma poi, cosa le sparo a fare Chi è lei? Nessuno! Ma dico io, perché non fa il Papa Su, diventi Papa Così le sparo e divento famoso Avanti!!!
Anonimo! Anonimi! Sì ma non fatevene una colpa Capisco che lei per esempio, di fronte a me, si senta… giustamente… una merda Ma non ne ha nessuna colpa, gliel’assicuro Non ne avete nessuna colpa Più che altro è che anche come merde voi non siete un granché Perché io sono più merda Ma non vi preoccupate, per questa vita è andata così Ritentate, sarete più fortunati Mi sento buono da fare schifo!
Non-vuole-diventare-Papa??? Se non mi diventa Papa qui, ora, seduta stante, io qua faccio un’ecatombe che non si salva nessuno Lei è giornalista? Allora possiamo metterci d’accordo Basta che si parli un po’ di me sul giornale di domani Avanti, prenda appunti, scriva scriva Anch’io scrivo ogni tanto Mi porto sempre dietro carta e penna Non si sa mai, se mi viene l’ispirazione di scrivere l’opera immortale
Non vi fate un po’ schifo? Vi capisco vi capisco E’ che quando ci prende questa roba Questo sentimento molliccio di Di condivisione, ecco Di solidarietà tra umani Questa sensazione equa e solidale
- Cosa sarà meglio scrivere per i posteri: testi profetici? Poemetti? Racconti dell’orrore? Odi oraziane? Manifesti del modernismo? Testi filosofici? Poemi epici? Quartine popolari? Megalomani testi politici? Libri di teosofia? Sdolcinate letterine d’amore? Una brutta copia del Faust? Oroscopi?
Ecco mi viene da vomitare!
Ssss, silenzio Mi sta venendo in mente una sceneggiatura: io faccio la parte principale, lei la secondaria, e come comparsa chiamiamo Al Pacino
Non sono dubbi miei eh… l’ha detto Pessoa!
Il fatto è che prima mi sentivo superiore e basta Poi l’altro giorno non lo so che cosa mi è successo M’ha preso questa sensazione di debolezza alle gambe Di vertigine E sono caduto in basso Qua da voi - Del resto, che colpa ne ha l’ottone se si risveglia tromba? Rimbaud! Nessuna dico io E così eccomi qua con voi! No scusate E’ che vi guardavo ieri da lassù e mi sembravate così ridicoli… Formiche, formiche…
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Voi non scrivete così di getto? Ho capito, siete dei riflessivi Scrivete con un progetto in testa Sì sì ho capito Va be’, dai, ognuno ha un suo metodo Comunque anch’io faccio dei progetti Sì, ogni tanto ne butto giù uno, qualcuno funziona e qualcun altro no ma che importa L’importante non è il risultato L’importante è progettare E soprattutto, il piacere di progettare Non è che ci metto tanto a farli questi progetti
Esercizi di distruzione L’importanza di chiamarsi Erostrato
Eraclito No no E’ un attimo: mi s’accende qualcosa qua dentro la testa, e via E non solo la testa mi s’accende: no no. Comincia a bruciarmi tutto, - …Tutto scorre… Se non fosse sole, sarebbe notte… Questo cosmo qua, qua, qua, mi viene la febbre alta, e alla fine, to’, il frutto della non lo fece nessuno degli dèi né degli uomini, ma sempre era, ed è, e sarà, fuoco sempre vivente… Sapiente il fuoco… Verrà e si creazione impadronirà di tutte le cose… Che ci volete fare E’ l’istinto è l’istinto Grande Eraclito! Erostrato lo prende in parola: e in una notte - la stessa notte in cui Adesso per esempio ce n’ho per le mani uno, di progetto sarebbe venuto alla luce un altro grande, Alessandro Magno - il Non è come gli altri tempio di Efeso… centovent’anni di lavori per costruirlo… puff, va E’ un progetto un po’ speciale in fumo E’, come dire, il progetto finale M’è venuto in mente l’altro giorno Un giorno grigio come tanti Stavo seduto e mi annoiavo Un po’ come Isaac Newton quando si annoiava sotto l’albero e gli cadde in testa la mela e si disse, tra uno sbadiglio e l’altro: dai, oggi scriviamo la formula della gravitazione universale Ecco io ero là seduto senza albero ma mi sentivo proprio come lui, come Isaac, nella sua stessa condizione, quella più favorevole alla creazione: starsene lì spaparanzato ad annoiarsi come un Dio E aspettare Semplicemente aspettare La mela che ti cade in testa La lampadina che improvvisamente s’accende Il fulmine che ti fulmina Insomma me ne sto lì seduto in questo giorno grigio, tranquillo a occhi chiusi, quando a un certo punto le nuvole si devono essere diradate perché un raggio di sole mi colpisce qua, proprio qua, sulla palpebra, e vedo tutto rosso Allora le socchiudo, le palpebre E il sole mi incendia gli occhi E mi viene l’idea Sissignori, è stato proprio guardando il sole in faccia, che semplicemente ho pensato: ma sì, io, qua, per farmi notare un po’, brucio tutto Lo so, lo so che può sembrare un progetto non del tutto originale, questo del brucio tutto Che qualcuno l’ha già fatto prima di me Come, chi... Erostrato! Più di duemila anni fa questo Erostrato, un pastore, le prova tutte pur di diventare famoso: prova a fare il poeta, il musicista, il guerriero, il prete… Macché… Non eccelle in niente Finché, anche a lui a un certo punto, pum, non gli s’accende la lampadina Anzi, più che la lampadina, accende un tempio a Efeso, una delle sette meraviglie del mondo: le colonne, imponenti, incastonate di pietre preziose; al centro, la sala della dea, piccola e ovale; e nel mezzo della sala, una pietra conica, nera, segnata da dorature lunari: è Artemide, o Diana se preferite, si dice custodisse i frammenti di DI Tommaso Urselli
Grande Erostrato! Un creativo Il suo gesto brilla ancora, dopo più di duemila anni, come un diamante nero Beh io ve l’avevo detto eh che il mio progetto del brucio tutto non era poi così originale Che ormai tutto è già stato inventato Che, come dice sempre mio zio, nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma Però, quell’Erostrato lì ma cos’è che ha bruciato, in fondo in fondo Un tempietto Una chiesetta Come se io decidessi di incendiare che ne so il Duomo No no Io voglio fare le cose in grande Io voglio bruciare tutto Ma proprio tutto tutto E non per vendetta eh Non perché ce l’ho col genere umano che non mi capisce No Solo per il bisogno secondo me legittimo di fare un po’ di luce in una giornata grigia Per vederci più chiaro, ecco E perché mi si veda più chiaramente Perché la visibilità è importante Altro che la vendetta Che non ce l’ho con nessuno io Ma i morti siete voi Non sono morto io Comunque non preoccupatevi perché tra poco qui ci sarà una gran luce E’ la mia idea che sta per brillare E l’idea è mia, solo mia
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SIPARIO Testi
Se vuoi diventare qualcuno Se vuoi farti un nome E’ importante il nome Cosa stai là a sprecar fiammiferi se poi nessuno si ricorda nemmeno come ti chiami
La lampadina s’è accesa a me Fermi! Troppo tardi per tornare indietro Il progetto è già cominciato Lo sentite questo rumore? Questo crepitio di sottofondo? Questa musica Questa sinfonia che tra un po’ salirà salirà e avvolgerà tutto? E’ il fuoco Sissignori, stasera voi siete dei privilegiati Ho deciso di cominciare da qua per mandare a fuoco il mondo (guarda un lampadario a forma di palla) Il mondo, questo grosso essere assurdo, presente dappertutto, davanti, dietro Ma da dove esce fuori Come mai esiste un mondo invece che niente Mah Questo mondo così… così mondo ecco così terrestre ecco Questa palla inutile ingombrante palla che non fa altro che girare dalla mattina alla sera pallosa palla di merda rotante attorno al proprio asse Scusami Isaac non volermene eh ma sovvertiamole un po’ queste leggi gravitazionali variamolo un po’ questo movimento (tira giù il lampadario a forma di palla) Io gli do un calcio, al mondo To’, rotola Rotola, rotola Prima o poi ci sarà da qualche parte un buco che ti ingoierà E non guardatemi così Non sono un pazzo E nemmeno un piromane No no Anzi io li odio i piromani Soprattutto quei piromani estivi che s’esaltano tanto di ferragosto e poi coi primi freddi si spengono e chi li sente più, puff, fuochi fatui Sì, va be’, qualche boschetto lo illuminano Ma alla fin fine chi sono Dico, il nome, di questi stagionali dell’incendio, chi se lo ricorda Il fatto è che non hanno uno scopo Lo fanno così Per curiosità? Boh E invece devi avercelo, uno scopo, se vuoi davvero farti vedere
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Guernica… Picasso! Non si fa in tempo a dire il nome dell’opera che già negli occhi appare a caratteri cubitali quello dell’autore Nelle orecchie ti sembra di sentire il peso, di ognuna di quelle sillabe PI-CAS-SO Blocchi di piombo che si posano a uno a uno buum buum buuum sul ventre della terra per comporre quella parola: il nome Il nome dell’artista Del genio Del Dio Ma senza un nome, che Dio sei Un Dio così, tanto per essere Dio Un po’ generico, no? E invece tu devi essere IL DIO Quello che tutti ricordano che tutti dicono che tutti sentono che tutti vedono Dappertutto Camminano a testa in aria a testa in giù si voltano e ci sei tu C’è il tuo nome Il tuo nome negli altoparlanti e negli schermi delle stazioni e degli aeroporti Il tuo nome tradotto in onde radio che galoppa per l’etere e attraverso le antenne si insinua nelle case Il tuo nome sui giornali nelle prime ma anche nelle ultime pagine e in quelle degli annunci Il tuo nome scritto sui muri Il tuo nome dappertutto Perché, il nome il nome cos’è il nome? E’ il logo del Dio Il suo marchio Che Dio sei, senza un marchio Sì, direte voi, ma ormai tutti ce l’hanno, un marchio! E allora il mio sarà un marchio diverso Più visibile
Esercizi di distruzione L’importanza di chiamarsi Erostrato
Più immortale Un marchio più più fiammeggiante ecco Splenderà più di tutti gli altri Si vedrà da là da là e anche da là Sempre Di giorno e di notte Un marchio di fiamme, fiamme vive che bruciano in eterno, in ogni punto della terra, per sempre, nel tempo e nello spazio - Una goccia di fuoco! Ah ecco! I polmoni mi bruciano, le tempie mi rintronano! La notte rotola nei miei occhi, con questo sole! Il cuore… le membra… Dove si va? Al combattimento? Fuoco! Fuoco su di me! Su! O mi arrendo… Vigliacchi! Mi ammazzo! Guardate come il fuoco s’innalza! Brucio come si deve. Non avvicinatevi. Certamente puzzo di bruciato…Perché il poeta è un ladro di fuoco Rimbaud! Un grande E io? - Il mio volto. Non ci capisco nulla di questo volto. C’è tuttavia una cosa che mi piace vedere, al di sopra delle guance, al di sopra della fronte. E’ questa bella fiamma rossa che indora il mio cranio, sono i miei capelli. Sono contento d’esser rosso. Se la mia fronte portasse una di quelle capigliature smorte che non arrivano a decidersi tra il castano e il biondo, il mio volto si perderebbe nel vago, mi darebbe la vertigine Sartre! Grande anche lui Un Dio Allora, capito dove siete capitati stasera? Dove sto cercando di condurvi? - Più vicino del consueto al cuore della creazione
mesi stagioni anni secoli millenni sempre-nello stesso-senso Ma basta non ci deprimiamo troppo Che stasera, tutto è un po’ più lontano (mostra la pallina) Guardatela com’è lontana Lasciatela girare da sola Perché voi adesso, non siete più sulla terra No Questo è il dono che io vi faccio Vi sollevo poco a poco da questa… Questa-stupida-cosa-qui… Ma cosa giri… Perché giri… Cosa giri a fare… (lancia la pallina lontano da sé) Domanda: perché tutto gira? Lo sapete? No? Non avete tutti i torti Nemmeno io Questione di gravitazione, direbbe il nostro amico Newton Sì, ma perché Perché la gravitazione, dico Perché tutto Nulla Buio
Paul Klee!
(la luce comincia a calare)
In pratica, sull’Olimpo Guardate
E a me, questo nulla così buio, m’angoscia
(tira fuori dalle tasche una pallina e la fa girare) Guardatela Come gira La terra il merdoso formicaio dove eravate fino a poco fa Gira gira e voi formiche gli girate sopra ogni giorno nello stesso senso DI Tommaso Urselli
(guarda terrorizzato il buio che avanza) Ed è perciò che stasera dico basta basta col fare le formiche col piegare sempre la testa col nascondersi (è buio fitto) Facciamoci vedere sentire facciamo una festa
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e restare lo stesso famosi
un rave accendiamo un falò universale
Va bene non sarà un falò va bene
Il piano era perfetto: se l’acceleratore accelera le particelle, accelererà anche me, ho pensato E in un batter d’occhio raggiungerò Dio o almeno un suo pezzetto E così sarebbe andata se non fosse stato per quello stupido barattolo
Ma un guizzo di fiamma una scintilla una particellaaa
Sì, durante l’accensione dell’acceleratore, il fascio di protoni ha colpito una lattina di birra che qualche disgraziato aveva lasciato lì E il meccanismo nucleare si è inceppato
(la luce comincia a salire)
Ma non mi sono perso d’animo No, anzi ho cercato di reagire di approfittare della situazione
(tira fuori un accendino e lo accende)
La particella di Dio Eh, ne avevo sentito parlare Mi ero informato da tempo, e stavo in campana Avevo studiato a memoria posto data e ora esatta dell’avvenimento, non potevo mancare: Ginevra, l’acceleratore di particelle sotterraneo, 10 settembre, ore 9,30, neanche troppo presto: se Dio ci sarebbe stato, ci sarei stato anch’io Non importa quale Dio, se quello cristiano, induista, musulmano Non mi sono mai fatto di questi problemi Sono una mente semplice, io, un Dio qualsiasi sarebbe andato bene L’importante era riuscire a incontrarlo faccia a faccia, farci due chiacchiere, io gli avrei parlato un po’ dei miei problemi e lui dei suoi Perché li avrà avuti anche lui, prima di diventare famoso, no? Allora mi nascondo là, in quel tunnel a forma di ciambella a cento metri sotto terra, incurante di tutte le chiacchiere su pericoli vari … E se fosse l’apocalisse?... … E se si formasse un buco nero?... … E se tutta la terra ne venisse inghiottita?... Meglio! In questo caso gran parte delle mie questioni si sarebbero automaticamente risolte Ma sarebbe stato troppo semplice E dato che proprio non ci credo nelle soluzioni semplici, mi sono preparato spiritualmente: appena gli scienziati avrebbero dato il via all’esperimento, sarei scattato anch’io: uscito dal mio nascondiglio, mi sarei messo a correre all’impazzata per tutti i ventisette chilometri dell’acceleratore di particelle, sorpassando protoni elettroni e neutroni, pioni gluoni e muoni, e lo avrei raggiunto: lui, il bosone di Higgs, la particella presente al momento del grande Big Bang iniziale, la particella di Dio Per parlargli Per sapere Per domandargli, a Dio come si fa dimmi come si fa a non farsi vedere per milioni e milioni di anni
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Mentre sono tutti lì preoccupati a capire cosa c’è che non va, salto fuori all’improvviso, afferro la lattina, e mi metto a urlare a squarciagola a quei tromboni di fisici nucleari Sono io sono stato iooo è mia la colpa se oggi non abbiamo potuto vedere Diooo sono io il sabotatore sacrilego che ha mandato tutto in fumo sono Erostrato sono tornatooo e ora dovrete ricordare il mio nome almeno per altri duemila anniii Gran caos, chi corre a destra, chi corre a sinistra Adesso mi arrestano, ho pensato; ce l’ho fatta, sto per diventare famoso, domani la mia foto con in mano la lattina sarà su tutti i giornali! E’ stato l’ultimo pensiero prima di essere calpestato da quell’orda di scienziati impazziti che s’avventano non su di me ma sulla lattina, mi danno uno spintone e me la strappano di mano per analizzarla, dopodiché quelli che sento sulla faccia sono i loro piedi E poi, notte! Riapro gli occhi, sono tutto un dolore Chissà quanto tempo è passato Minuti, ore, giorni? Mi rialzo, mi faccio un giro, mi guardo intorno: mi sembra di essere in una scena di Solaris: non c’è più nessuno, l’acceleratore di particelle a forma di ciambella lunga ventisette chilometri a cento metri sottoterra è completamente deserto Per fortuna si sono dimenticati la porta protonica aperta Esco Fuori è ancora buio Ma tra un po’ farà alba
Esercizi di distruzione L’importanza di chiamarsi Erostrato
E si diraderà questa coltre oscura che si frappone tra me e il sole No, non è Rimbaud! E’ mia sono io che parlo Erostrato o, se preferite, la sua reincarnazione, il suo degno erede E sto finalmente per vedere la meritata luce Ahhh, eccolo, il primo raggio di sole E, come dice mio zio, m’illumino d’immenso Ora scusatemi bisogna che corra a prendere i giornali del mattino (si rivolge a un immaginario edicolante, verso il tavolo dove sono ammucchiati i giornali) Edicolante edicolanteeee mi dia il giornale Come quale Tutti, li prendo tutti i quotidiani i mensili i settimanali gli inserti gli allegati Li sfoglio avidamente uno dopo l’altro Edicolante edicolanteeee dove sono? Come, cosa… Io dove sono io Qui non ci sono! E’ sicuro di avermi dato i giornali di oggi? Allora dov’è la foto!
La concorrenza è tanta Ecco, ecco qua (sfoglia i giornali e legge) 1972, Roma, lo scultore ungherese Laszlo Toth entra in San Pietro e vibra 15 martellate su La Pietà di Michelangelo al grido di “Sono Gesù Cristo” 1978, Londra, National Gallery, il disoccupato italiano Salvatore Borzi danneggia a colpi di coltello un quadro di Poussin 1987, sempre Londra, sempre National Gallery, Robert Cambridge spara alcuni colpi di rivoltella a un disegno di Leonardo da Vinci 1989, Roma, un uomo su sedia a rotelle lancia liquido infiammabile sulla “Madonna di Foligno” di Raffaello e cerca di darle fuoco con un accendino… Eh, però qua non c’è il nome! 1993, Padova, Maurizio Pasquino spruzza spray rosso su un affresco di Andrea Mantegna 1999, Roma, Piero Cannata imbratta con un pennarello una tela di Pollock 2008, Firenze, un tal Francesco Nassi dà fuoco in poche settimane a 60 auto; la polizia trova le pareti della sua stanza tappezzate di foto: Francesco Nassi con Raffaella Carrà, Francesco Nassi che abbraccia Milly Carlucci, Francesco Nassi con Massimo Giletti, Francesco Nassi che conduce uno show Sì ma in fondo in fondo chi sono tutti questi qua Epigoni epigoni Sono io il primo artista contemporaneo io ho inventato l’arte concettuale l’happening il creare la distruzione Io, Erostrato, giusto un paio di millenni fa E adesso cosa vogliono questi… Ma intanto sul giornale la foto di chi compare? La loro, mica la mia!
Come, quale foto… La mia quella con la lattina distruttrice, no?
Ah ma comunque io ho preso le mie precauzioni non sono proprio uno sprovveduto E così alcune delle mie imprese me le sono immortalate da solo
No! Non c’è nessuna foto che mi riguarda. Solo un grande primo piano dell’acceleratore di particelle e, nel trafiletto sottostante, due righe appena: ”Il giro di prova del fascio di protoni rovinato da una lattina di birra lasciata nel tunnel da uno sconosciuto”
(mostra delle improbabili diapositive che lo ritraggono travestito da personaggi famosi: “Erostrato come Salvador Dalì”, “Erostrato Regina d’Inghilterra”, “Erostrato che sbarca sulla luna”, etc.)
Hai capito: uno sconosciuto! Io, che ho sabotato la realizzazione di un evento di portata mondiale Che dire, non ci sono più le distruzioni di una volta La fama non la si ottiene più tanto facilmente DI Tommaso Urselli
Ne manca solo una: quella del matrimonio Io sono uno all’antica, ci tengo a certe cose, per me il matrimonio è una cosa seria E’ che il mio matrimonio è stato un naufragio Letteralmente, intendo Poche migliaia di anni fa, un paio direi, la nave che ci trasportava durante il viaggio di nozze è affondata al largo di Lemno, e quelle acque crudeli ingoiarono, insieme alla nave, anche mia moglie, e
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SIPARIO Testi
restituirono invece me alla terra E così, eccomi qua: io, Erostrato… l’acqua si prende mia moglie, e io cerco la fama con il fuoco… simbolico, no? E non date retta a quello che dicono: non sono un impotente Certo, qualche problema non nego di averlo Ma… se faccio il poeta, e qualcuno lo fa meglio di me partecipo a un concorso come musicista, e mi dicono che non ho estro mi arruolo, e l’esercito viene sconfitto predico, e nessuno mi ascolta mi sposo, e mia moglie annega il primo giorno di nozze… A chi è che non verrebbero dei problemi?
mica tutti possono stare a guardare solo lei! Eh, bisogna accettare di passare inosservati, ogni tanto Ma non sempre, giusto! Ah se li conosco, quelli come voi… sono come quelli come me! In fondo c’è un po’ di me in voi e di voi in me - Sissignori, io mi sento multiplo. Sono una sola moltitudine. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un’unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti. E chi diventerà famoso? Chi raggiungerà l’anelata fama? Pessoa!
Scusate, lo so, questa cosa delle citazioni comincia a essere Se poi aggiungiamo che mia madre sognava il fuoco tutte le notti, ne ridondante, confesso di non riuscire ad averne il controllo, e anzi era ossessionata e ossessionava mio padre… e così mi abbandonano comincia anche a darmi un po’ fastidio sulle rive di un fiume che ero ancora in fasce… e quindi non mi sono vissuto proprio bene quella cosa che chiamano fase di prima Sciò Pessoa sciò! socializzazione, ovvero la fiducia che il genitore dovrebbe infondere al figlio nei primi tre anni di vita... si capisce che rientro a pieni voti - La fama può essere delle cose o degli uomini; noi ci occuperemo nella categoria “artista in crisi con alle spalle situazione familiare degli uomini. La fama può essere incidentale o fondamentale; un disastrosa”, no? uomo morto in circostanze misteriose può diventare famoso, ma a noi interessa la fama fondamentale. La fama può essere artificiale Per il resto, tutto a posto! o naturale: un re è famoso dalla nascita per sua natura; a noi però interessa la fama artificiale. La fama può essere buona o cattiva... le Lo volete un autografo? idee di bene e di male, in costante evoluzione, a volte complicano Guardate che io sono uno postumo il problema… mentre alcuni vedranno in lui un assassino, altri Tra un po’ di tempo parleranno tutti di me, e allora vedranno un uomo temerario… mentre alcuni vedranno un martire, ma quanto varrà, quanto varrà questa firmetta altri vedranno un poveretto… Ho capito, non vi basta la firma volete anche la foto accanto a me così si parlerà anche un po’ di voi Perché in fondo è per questo che siete qui stasera, no?
Dite la verità siete qui perché vi riconoscete in me Io sono un po’ il vostro specchio Sì, va bene, vi piaceva prima crogiolarvi nel buio di questa sala ma in fondo in fondo anche voi, come me, cercate la luce E per tutto questo tempo non avete fatto altro che sperare che quel faretto lassù si spostasse un po’, e vi illuminasse al mio posto Avanti, confessatelo! Guardate che non dovete vivervela male questa faccenda della luce, sapete? Certo, non bisogna fissarsi Perché se diventa un chiodo fisso, allora buonanotte, non si vive più! Bisogna avere pazienza Lei, per esempio…
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Basta così, Pessoa! Capisco che la tua molta solitudine ti faccia venire voglia di parlare ma non approfittarne, adesso - Lasciatemi solo aggiungere che vi è una fama morta e una fama viva… Una fama che lavora e s’approfondisce, e una fama che è come una statua o come un’iscrizione su una tomba, una sopravvivenza senza vita… Mozart vive e lavora… Va bene, Pessoa… Mozart è un genio, vive e lavora ancora oggi Ma vorrei vivere e lavorare anch’io, che sono un povero Salieri, chiedo troppo? Questa fama, non possiamo un po’ distribuirla? Ma dov’è che eravamo rimasti Ah sì, la storia degli specchi Che voi… tà-tà… siete me E io… tà-tà… sono voi… tà-tà-tà-tà-tà Pensate forse che stia facendo del Futurismo spicciolo? Beh, in effetti ci avevo pensato, qualche anno fa Sarebbe stato in tema con i centenari da osservare
Esercizi di distruzione L’importanza di chiamarsi Erostrato
le ricorrenze da rispettare Così avevo cercato di autoconvincermi E di osservarle, ‘ste ricorrenze (sale sul tavolo) Sono un futurista sono un futuristaaaaaaa (assume una grottesca forma contorta) Forma unica nella continuità dello spazio
… così pensai io… … così pensate voi… … che poi siete me… … che tutti quanti siamo lui… Che sofferenza! - Non è grazie al genio ma alla sofferenza che smettiamo di essere una marionetta Ecco! Bravo, Cioran!
Ché, quanto a sofferenza, io ne ho da vendere e sono stanco di fare la marionetta perché da vendere ho anche un insopprimibile desiderio di distinguermi Zang-zang-tumb-tumb di farmi vedere di apparire (urla) di smetterla di restare nell’ombra come un vampiro assetato Avanti, lanciamo pel mondo questo manifesto di violenza travolgente non di sangue ma di luce e incendiaria… Una nuova visione della realtà… Velocità + Arte + di riflettori di un flash che mi doni l’immortalità Azione… Più veloce della luceee E perciò dico basta smettiamola con questa fissazione (nell’eccitazione cade) quest’idea antiquata che la fama se la devono godere solo i geni che i nomi che restano devono essere solo di quelli che creano Va be’, questo era Superman, non era proprio futurista futurista… che edificano Ma un po’ dadaista sì, dai Io distruggo Nemmeno! che c’è di male Allora ci riprovo col Futurismo è un mestiere anche il mio come gli altri Sono convinto che tutto comincerà a funzionare per il verso giusto Vado in centro e riempio piazza Duomo con 500.000 palline quando mi sarò dotato di un valido ufficio stampa colorate Sì, solo così cesserà questa carenza di fama che mi ammazza Oppure vado a tingere di rosso l’acqua della fontana di piazza mi assilla Castello non mi fa dormire Cos’è che chiedo in fondo Già fatto già fatto, lo so, a Roma, quel tal Cecchini se non che il mio nome venga ricordato nei secoli dei secoli E allora io faccio un’installazione a Milano: impicco due bambini – non per aver realizzato opere grandiose ma per averne distrutto con altrettanta passione veri, questa volta – all’albero di piazza XXIV maggio E non mi si venga a parlare di etica di morale Banale? perché io sostengo che se noi Erostrati E va be’, ma allora siete voi che non vi va mai bene niente! fossimo ufficialmente riconosciuti Che come pubblico al genere umano potrebbero derivarne solo vantaggi pretendete pretendete pretendete! Quanti sono infatti quelli tra noi che stanchi di perseguire la loro innata vocazione Ma allora cosa deve fare per farsi apprezzare sono passati dall’altra parte della barricata un povero artista di oggi… e che pur di conquistare l’agognata fama hanno scelto di mascherarsi Giusto! di presentarsi al mondo sotto mentite spoglie Sono d’accordo! di millantare un genio e una grandezza d’animo che non apparteneva Deve smetterla di fare i futurismi loro di stare sempre dietro alle ricorrenze bluffando spudoratamente E basta con questi ismi… con queste enze… e recando solo danni all’umanità: Qui ci vuole qualcosa di più radicale! cabarettisti falliti improvvisatisi presidenti pittori incompresi riciclatisi dittatori Così pensò Erostrato… (si dà dei pugni in testa)
DI Tommaso Urselli
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SIPARIO Testi
colonnelli frustrati travestiti da papi squallidi assassini armati di bisturi al posto dei coltelli Se tutti costoro fossero stati legittimamente riconosciuti… Se fossero stati concessi spazi opportuni dove potersi sfogare… Se fosse stato loro offerto un personale tempio di Artemide su cui esercitare la propria vera passione magari con la promessa di un posticino in Pantheon e Famedi vari… Ecco allora forse tutti questi signori, questi Erostrati falliti non avrebbero compiuto così tanti atti contro natura Naturalmente è solo un’ipotesi E comunque l’Erostrato doc terrà sempre fede a certi sacri principi Non sarà vero Erostrato colui che pur animato da sano individualistico desiderio di gloria utilizzerà la propria furia distruttrice contro gli esseri umani che noi Erostrati amiamo con tutti noi stessi in quanto in ognuno si cela, suo malgrado un Erostrato potenziale Vi ho già raccontato che la stessa notte che incendiai il tempio a Efeso nacque colui che i maghi denominarono la ruina del mondo quell’Alessandro la cui sete di gloria non fu certo inferiore alla mia… Lui la placò con imprese che suscitarono il terrore in nazioni intere con sanguinose guerre incendi molto più vasti e dannosi del mio… Quell’Alessandro venne poi denominato Magno! E io che non ho versato una goccia di sangue dovrei sentirmi in colpa? E comunque non potrà fregiarsi del fiammeggiante marchio di Erostrato nemmeno chi crederà di poter derubare e arricchirsi impunemente perché la furia di un Erostrato non ha altro fine se non quello di raggiungere la notorietà E anzi spesso là dove ci sarà stato il suo operato l’ingegno umano sarà favorito potendo erigere opere ancora più belle delle precedenti come accadde con il tempio di Artemide duemila anni fa… anche se poi venne nuovamente distrutto non da Erostrato ma da una guerra e questa volta la cosa, chissà perché non fece tanto scalpore… Io non mi preoccupo di essere giudicato folle per la mia azione distruttrice… non più di quanto dovrebbero preoccuparsi i costruttori di certi edifici e opere di dubbio gusto realizzate magari con risorse pubbliche D’altro canto non sarà Erostrato
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neanche chi crede che la fama piova dal cielo e che gli sia dovuta così senza muovere un dito… Aspiranti cantanti…pseudoattori di fiction… avvenenti veline… ospiti più e meno famosi di reality grandi fratelli e isole varie… utenti di facebook che aggiornate di secondo in secondo i vostri profili raccontandoci di che umore siete, quanti sorrisi fate, quanti peli avete, sperando che qualcuno vi noti… Tutti voi insieme appassionatamente molto probabilmente chi sia Erostrato neanche ve lo chiedete Non sento nei vostri gesti non scorgo nei vostri sguardi non intravedo nei vostri peli nemmeno un frammento di quella sincera scintilla incendiaria… Ma in fondo in fondo che compassione che mi fate! - E’ lecito pensare che esista una sorta di grandezza in Erostrato. Una grandezza che non condivide con banali arrivisti che hanno raggiunto inopinatamente la fama. Essendo lui greco, si può pensare che abbia posseduto una raffinata sensibilità e quel tranquillo delirio di bellezza che ancora contraddistingue il ricordo dei suoi grandissimi avi. E’ dunque concepibile che abbia incendiato il tempio di Diana in un’estasi di dolore, bruciando parte di sé nella furia della sua impresa scellerata. Il suo atto può essere paragonato a quel tremendo momento dell’iniziazione dei Templari i quali, dopo aver dato prova di essere assolutamente credenti in Cristo, dovevano sputare sul crocefisso al momento dell’iniziazione Ecco, con queste ultime parole di Pessoa mi piace salutarvi Ma non prima di avervi informati che il tempio di Artemide sarà a breve ricostruito per la terza volta (prende un giornale e legge) Una Fondazione turca ha stanziato 150 milioni di euro per il faraonico progetto. Verrà istituita una commissione sorteggiando rappresentanti tra 196 Paesi delle Nazioni Unite. Ogni rappresentante proporrà due scultori, che realizzeranno un’opera ispirandosi a un pensiero di Eraclito di Efeso: “La guerra è padre di ogni cosa” Ecco qua un esempio di iniziativa costruttiva! Attendiamo fiduciosi il calore e il crepitio delle fiamme La fama prima o poi arriverà Tutto il resto è silenzio Shakespeare
Buio.
Esercizi di distruzione L’importanza di chiamarsi Erostrato
BIO
TOMMASO URSELLI
Tommaso Urselli è nato a Taranto e risiede a Milano. Il testo qui presentato andrà in scena presso lo Spazio Tertulliano, Milano, 8-19 maggio 2013, con la partecipazione di Francesco Paolo Cosenza e la regia di Alberto Oliva; è stato presentato in una precedente versione nel 2009, sempre a Milano, produzione Teatro Litta. E’ ora al lavoro su un nuovo testo dal titolo A occhi chiusi che verrà presentato prossimamente a Milano, con la regia di Massimiliano Speziani. Tra gli altri suoi testi teatrali: Ipazia. La nota più alta, 2012, su commissione di PactadeiTeatri - Teatro Oscar, per il progetto DonneTeatroDiritti - ScienzainScena, con Maria Eugenia D’Aquino, regia di Valentina Colorni, musiche di Maurizio Pisati, scene di Andrea Ricci. Nel 2010 Il Tiglio. Foto di famiglia senza madre, testo tra i vincitori del premio Borrello 2010 per la drammaturgia, è pubblicato sul n. 727 di Sipario; debutta come spettacolo, con la regia di Massimiliano Speziani, presso lo SpazioTertulliano, Milano, e gira poi in diversi teatri e Festival, tra cui il Festival Castel dei Mondi, Andria; è attualmente in scena con la partecipazione di Filippo Gessi, Francesca Perilli, Massimiliano Speziani. Nel 2010 su commissione del Festival Connections, Teatro Litta, scrive Inequilibrio. Nel 2008 è autore e regista di Piccole danze quotidiane, che debutta al Pim Spazio Scenico, Milano. Nel 2007 è attore e autore di Ma che ci faccio io qua - appunti per uno sconcerto sulla città (Edizioni Corsare), regia di Paolo Trotti, in scena al Teatro della Cooperativa e al Teatro della Contraddizione. Sempre nel 2007 cura con Renata Molinari e Renato Gabrielli la pubblicazione di A proposito di menzogne -testi per Città in condominio, L’Alfabeto urbano, Napoli. Nel 2006 scrive Canto errante di un uomo flessibile, tra i vincitori del Premio Fersen per la drammaturgia e pubblicato da Editoria&Spettacolo. Vince nel 2004 la prima edizione del premio Parole in scena per il teatro-ragazzi con il testo La città racconta (Edizioni Corsare); allo spettacolo tratto dal testo con la regia di Paola Binetti viene assegnato il premio Unicef per il teatro-scuola. Prende parte dal 2003 al 2005 presso il Teatro OutOff all’iniziativa Città in condominio per cui scrive una serie di testi poi pubblicati nel volume Voci dalla città (La Mongolfiera Editrice). Nel 2002 il suo lavoro La porta (La Mongolfiera Editrice) è selezionato per il Festival Tramedautore, Teatro Arsenale, Milano. Blog dell’autore: tommasourselli.wordpress.com
DI Tommaso Urselli
Michele Monetta Regista, Attore e Insegnante di Mimo Corporeo tecnica Decroux; Maschera e Commedia dell’Arte, Specializzato in Pedagogia Teatrale. Allievo del M° Etienne Decroux e del M° Roberto De Simone. Docente di Maschera e Mimo Corporeo all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e all’Ecole Atelier Rudra di Maurice Béjart. ICRA Project al Teatro Stabile di Napoli Venerdì 10 Maggio alle ore 21,00 presso il Ridotto del Teatro Stabile di Napoli, debutta la nuova produzione ICRA Project - Centro Internazionale di Ricerca sull’Attore - Processo a Sant’Uliva, per la drammaturgia e regia di Michele Monetta Repliche l’11 ed il 12 Maggio rispettivamente alle ore 21,00 e 18,00. Il testo comparso in stampa nel 1568 è stato messo in scena nel ‘33 dal M° J.Copeau nella I edizione del Maggio Musicale Fiorentino. Oggi compie 80 anni e proprio per quest’occasione ICRA Project ne propone una rielaborazione che ne conserva l’essenza e il clima. Sant’Uliva è figura di pura fantasia popolare ed il suo dramma è melodioso e ricco di avventure. Ne scaturisce un’opera musicale che gioca tra azione e narrazione, alternando il momento drammatico con quello epico. In scena Michele Monetta, Lina Salvatore e Massimiliano Rossi, accompagnati da Biagio Terracciano al pianoforte e da Michela Coppola alla viola. ICRA Project sviluppa attività nel campo del teatro, della musica e della pedagogia nell’arte drammatica. Fonda nel 1985 e dirige tutt’ora la Scuola di Mimo Corporeo a Napoli e l’Atelier di Commedia dell’Arte a Roma.
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ASSEGNI TEATRO SIPARIO Elenco teatri aderenti
FONDAZIONE TEATRO CARLO TERRON
CAMPANIA
Napoli, Teatro Elicantropo, tel. 081.296640 Napoli, Teatro Le Nuvole, tel. 081.2395653
EMILIA ROMAGNA
Via G. Rosales, 3 – 20124 Milano Tel. +39 02 65.32.70 – 02 29.00.55.57 – Fax 02 29.06.00.05 www.sipario.it - rivista@sipario.it Rivista riconosciuta dal Ministero dei Beni Culturali Divisione editoria per l’alto valore culturale Direttore responsabile/Chief editor: Mario Mattia Giorgetti
Legge 662/96 – Filiale di Milano.
Coordinamento editoriale/Editorial coordination: Mattia Sebastiano Giorgetti
Fondazione Teatro Carlo Terron Regione Sicilia: Rosanna Bocchieri Regione Lazio: Tiziana Gagliardi
Ufficio Promozione e Sviluppo Promotion and Development Office: Annamaria Bellini Ufficio Comunicazione/ Communications Office: Alessia Fermi comunicazione@sipario.it Editing: MYRIAM MANTEGAZZA Archivio e ricerche/Archives: Ambrogio Paolinelli Fotografi/Photographers: Tommaso Le Pera Grafica/ Graphics Luca Giunta giuntaluca@gmail.com Pubblicità/Advertising: Sipario Rivista Via G. Rosales 3 – 20124 Milano tel. (+39) 02.65.32.70 – fax (+39) 02.29.06.00.05 marketing@sipario.it Sipario Portale tel. (+39) 342.5071680 comunicazione@sipario.it Stampa e fotocomposizione: Agf Italia s.r.l. – via Milano 3/5 - 20068 Peschiera Borromeo (MI) Distribuzione in edicola: MEPE – Messaggerie Periodici MEPE S.P.A. via Ettore Bugatti, 15 – 20142 Milano tel. (+39) 02.89592 Registrazione Tribunale di Milano n. 491 del 22.7.95 – Periodico mensile spedizione in abbonamento postale 45% - Art.2; comma 20/b
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Bologna, Arena del Sole – Nuova Scena, tel. 051.2910910 Cesena, Teatro Comunale Bonci – Ert, tel. 0547.355723 Modena, Teatro Storchi e Teatro delle Passioni – Ert, tel. 059.2136041
LAZIO
Roma, Teatro La Comunità, tel. 06.5817413 Roma, Teatro di Documenti, tel e fax. 06.5744034 Roma, Teatro Tordinona, tel. 06.68805890
LIGURIA
Genova, Teatro dell’Archivolto, tel. 010.65921
LOMBARDIA
Milano, CRT Teatro dell’Arte, tel. 02.89011644 Milano, Teatro Verdi, tel. 02.6071695-27002476 Milano, Teatro Sala Fontana, tel. 02.69015733 Milano, Teatro Out Off, tel.02.39262282 Milano, Teatro delle Cooperativa, tel. 02.6420761 Milano, Teatro del Barrio’s, tel. 02.89159255
PIEMONTE
Torino, Alpha Teatro, tel. 011.8193529 Torino, Teatro Baretti, tel. 011.655187 Torino, Istituzione Musica Teatro Moncalieri, tel. 011.6055045 Moncalieri, Teatro Matteotti, tel. 011.6403700
REGGIO CALABRIA
Cosenza, Teatro dell’Acquario, tel. 0984.73125
SICILIA
Agrigento, Teatro della Posta Vecchia, tel. 0922.26737 Catania, Piccolo Teatro, tel. 095.447603
SARDEGNA
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TOSCANA
UMBRIA
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REGOLAMENTO
Ciascun assegno ha un valore di 31 Euro, indipendentemente dal costo del biglietto nel teatro prescelto e dà diritto ad un posto. Qualora il costo del biglietto fosse inferiore, il teatro non rimborserà alcuna differenza. Ciascun teatro aderente all’iniziativa si riserva il diritto di mettere a disposizione un certo numero di posti per alcuni o tutti gli spettacoli in cartellone, è obbligatorio pertanto prenotare preventivamente il posto telefonando direttamente al teatro. Ulteriori informazioni sono disponibili presso Sipario, tel. + 39 02 653270.
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