la mosca/forma e sostanza

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Forma e Sostanza Testi di Christian Missaglia Illustrazioni di Siro Garrone Progetto Grafico di Outoctone.com






















La Mosca

Si ringrazia per la collaborazione l’Associazione Dinamo Culturale di Olginate

La mosca s’agita frenetica fra le pareti ricurve, è mia prigioniera. La osservo lentamente, l’assaporo. Le ali piccoli e sottili, attraversate da leggere nervature scure. la testa è ricurva, incastrata nel busto, le zampe tremano, toccano, tastano l’invisibile vetro l’invisibile patina che ci separa. Ero lì, comodamente seduto in cucina a gustare quel delizioso dolce, una squisita torta di panna soffice interamente ricoperta di fragole. Ero lì, solo, non volevo sentire nè vedere nessuno, desideravo solo tuffare la lingua nella panna e ingozzare voracemente tutte quelle fragole. Poi ti ho notato, furtiva, scendere lungo la parete e poggiarti sulla tovaglia a fiori, lentamente avvicinarti con passo silenzioso, quatta, risalire il bordo del piatto e poggiarti vogliosa sul cibo. Ti sei saziata rivoltandoti nella bianca panna, succhiando il rosso nettare che conduce all’obliooo. Un vero peccato tu sia così incosciente. Così imprudente è stato abbassare le difese nel concedersi a tutto quel piacere. Io ero lì davanti, immobile, spettatore impassibile, incantato da cotanta bellezza. Poi d’un tratto, evitando bruschi movimenti, ho allungato la mano alle mie spalle fino ad afferrare il coperchio di vetro, l’ho ben stretto fra le dita e con rapido gesto l’ho riposto ove giaceva prima. Che peccato tu non l’abbia capito prima, mio povero piccolo goloso insetto. Ho sofferto così tanto che tu penso non possa immaginare. Vederti sguazzare nella mia torta, la torta che la mamma aveva fatto apposta per me, solo per me. Di tutta quell’angoscia ero riuscito a liberarmi, in un istante. Ora avrei goduto io. La manopola del forno gira avanti, 50, 100, 150, 200, 250, 300 gradi. Ho osservato tutto attraverso le piccole fessure. Hai fremuto, impazzita, sbattendo contro la trasparenza, la fatale trasparenza. Una volta caduta ricurva sulla schiena, ancora un poco moribonda, ho estratto il tutto. Ti ho preso delicatamente fra la punta delle dita e t’ho distesa su una fetta bella grossa. Hai chiuso gli occhi mentre io spegnevo la luce.



Forma e sostanza Gli occhi di lei si sgranarono di fronte al suo corpo. Le palpebre si poggiarono nel caldo limbo delle immagini, la telecamera si mosse panoramica esploratrice incapace di stendere la propria attenzione su una sola parte di quell’essere. Rimase lì inebetita, tra estasiato e distante, quelle non erano solo membra di ghiaccio scolpite su marmo o linee sottili dipinte su tela, quelle membra erano animate dalla vita e dal pulsare di un essere al loro interno. Si ricompose per non essere trasportata via, travolta da un’ondata di smodata passione, gli occhi realizzarono lo sfondo e la situazione che lo avevano creato, il quadro del momento ridiventò terrestre e la ragione del proprio peso riebbe il sopravvento. La spiaggia si era svuotata, gli ombrelloni e le sdraio venivano lentamente richiuse, lasciando stendere al sole gli ultimi pallidi raggi di soluce. Lui era lì, su quell’essere di sublime bellezza si scorgevano le sfumature in penombra che lasciavano intravedere squarci di profili ruvidi e selvaggi quanto aggrazziati ed espressivi. Pensò a quanta armonia la natura potesse imprimere in un solo essere e alla contemplazione incondizionata di esso, a quanto il selvatico tratto si potesse mescere con l’equilibrio in forme allungate, protese ad assorbire tutto ciò che le circonda. Lui si voltò, torse il busto all’indietro coprendosi la vista con il palmo della mano, per poco lei svenì in quel gesto, Dio, mio Dio, non era possibile che così tanta capacità espressiva potesse essere condensata in un lembo di carne così piccolo, in lui coesistevano la forza, l’impeto di un oceano in tempesta con la serenità di un cileo stellato, Dio, sublime, Dio. Non ne poteva più, era irresistibilmente attratta, decise di avvicinarsi a lui e sperdersi nel suo volto, si alzò, lentamente s’incamminò verso gli scogli nella direzione voluta, lui era ancora lì, il fisico statuario, tagliato come l’ebano e fatto essiccare al sole, si potevano scorgere già meglio i fasci muscolari snodarsi dalle braccia nerborute e docili, all’addome, liscio e solcato da fibre tese come corde di violino, fino alle gambe, lunghe ed atletiche, maschie, che a lei facevano impazzire. Quando fu a pochi metri dall’unirsi carnalmente e spiritualmente a quell’essere si sentì levare da terra, Dio quanto era leggera la sensazione di magica ebbrezza che può colmarti e renderti eterna, gli si avvicinò, quasi presa da un’attrazione fatale di congiunzione cosmica, lui la guardò, fisso, con quel volto tenebroso e giovane al contempo, quel volto in cui si erano sedimentati i migliori incroci di etnie e tagli somatici, era Adone forse, Dio, forse la bellezza, l’arte, la forza, Dio, tutto assieme, quanto era sublime...Dio. Si avvvcinò ancora un poco, quasi protesa a toccarlo e farlo suo, lui scorse il suo sguardo su di lei, poi sorrise, lei era sul punto di morire al solo pensiero della sua voce, delle sue soavi parole; poi di scatto lui si girò, si picchiò il petto ed emise un enorme rutto di calamari fritti, si sporse in avanti sullo scoglio e si tuffò, lei lo guardò svanire in mare, poi si buttò, anche lei, ma all’indietro, e svenne.



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li occhi di lei si sgranarono di fronte al suo corpo. Le palpebre si poggiarono nel caldo limbo delle immagini, la telecamera si mosse panoramica esploratrice incapace di stendere la propria attenzione su una sola parte di quell’essere.



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li occhi di lei si sgranarono di fronte ala suo corpo. Le palpebre si poggiarono nel caldo limbo delle immagini, la telecamera si mosse panoramica esploratrice incapace di stendere la propria attenzione su una sola parte di quell’essere.

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a spiaggia si era svuotata, gli ombrelloni e le sdraio venivano lentamente richiuse, lasciando stendere al sole gli ultimi pallidi raggi di luce.



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spiaggia si era svuotata, gli ombrelloni e le sdraio venivano lentamente richiuse, lasciando stendere al sole gli ultimi

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ui si voltò, torse il busto all’indietro coprendosi la vista con il palmo della mano, per poco lei svenì in quel gesto, Dio mio Dio, non era possibile che così tanta capacità espressiva potesse essere condensata in un lembo di carne così piccolo, in lui coesistevano la forza, l’impeto di un oceano in tempesta con la serenità di un cielo stellato, Dio, sublime, Dio.


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Dio gli si avvicinò, quasi presa da un’attrazione fatale di congiunzione cosmica, lui la guardò, fisso, con quel volto tenebroso e giovane al contempo, quel volto in cui si erano sedimentati i migliori incroci di etnie e tagli somatici, era Adone forse, Dio, forse la bellezza, l’arte, la forza, Dio, tutto assieme, quanto era sublime... Dio.



gli si avvicinò, quasi presa da un’attrazione fatale dicongiunzione cosmica, luila guardò, fisso, con quell volto tenebroso e giovane al contempo, quel volto in cui si erano sedimentati i migliori incroci di etnie e tagli somatici, era Adone forse, Dio, forse la bellezza, l’arte, la forza, Dio, tutto assieme, quanto era sublime...

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i avvicinò ancora un poco, quasi protesa a toccarlo e farlo suo, lui scorse il suo sguardo su di lei, poi sorrise, lei era sul punto di morire al solo pensiero della sua voce, delle sue soavi parole;



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poi di scatto lui si girò, si picchiò il petto ed emise un enorme rutto di calamari fritti, si sporse in avanti sullo scoglio e si tuffò, lei lo guardò svanire in mare, poi si buttò, anche lei, ma all’indietro, e svenne.



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