Biblioterapia pdf

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POCO DOPO L’APERTURA DELLA SMS BIBLIO SI È FORMATO IL GRUPPO DI BIBLIOTERAPIA LETTERARIA E’ UN GRUPPO CHE OGNI QUINDICI GIORNI SI RIUNISCE IN BIBLIOTECA PER LEGGERE RACCONTI, ROMANZI, POESIE, LETTERE, DIARI; PER PARLARE DEGLI AUTORI; PER SCAMBIARE OPINIONI E IDEE. E’ UN’OCCASIONE DI CRESCITA ATTRAVERSO L’USO DELLA LETTERATURA; UN MODO PER STARE INSIEME CONDIVIDENDO IL PIACERE DELLA LETTURA E LE EMOZIONI, LE RIFLESSIONI, CHE SUSCITA; UN PERCORSO PER IL BENESSERE INTERIORE E PER QUELLO RELAZIONALE. IN QUESTI ANNI IL NUMERO DEI PARTECIPANTI È CRESCIUTO E ORA I GRUPPI SONO DUE: QUESTO SIGNIFICA CHE È STATA VISSUTA UN’ESPERIENZA CULTURALE POSITIVA, CHE SI È CREATO UN PICCOLO SPAZIO DI BENESSERE E DI SOCIALITÀ CHE IN UNA SOCIETÀ DOVE PREVALE IL MORDI E FUGGI, L’ISOLAMENTO O IL MERO APPARIRE - RISPONDE AL BISOGNO DI MOLTI.

Federico Zandomeneghi

Riflessioni. Leggere è un’attività per lo più solitaria. Ma quando accade, come a noi in questo gruppo di biblioterapia, di avere la fortuna di condividere le letture con persone appassionate, i libri ti aprono mondi nei quali non saresti riuscita ad arrivare da sola, ti fanno scoprire o ritrovare corde del tuo animo che ignoravi, o avevi dimenticato.

L’ESPERIENZA RAPPRESENTA UN VALORE AGGIUNTO ANCHE PER LA BIBLIOTECA, SICURAMENTE IL LUOGO IDEALE PER OSPITARE UN GRUPPO DI LETTURA.

Condividere e confrontare opinioni e sentimenti aggiunge valore all’atto di leggere e preziosa è stata la guida affettuosa e discreta della coordinatrice del gruppo che ha tenuto salda la barra del timone, evitando che gli incontri diventassero confusi, aiutandoci a rimanere sui punti di interesse generale.

CI FA QUINDI PIACERE CONDIVIDERE CON TUTTI GLI UTENTI DELLA BIBLIOTECA IL PERCORSO DEL GRUPPO ATTRAVERSO POCHE PAGINE DEL LORO “DIARIO”: LE RIFLESSIONI MATURATE E LE EMOZIONI SUSCITATE DAL LEGGERE, DALL’ASCOLTARSI E DAL DIRSI…

Abbiamo letto molti libri, se provo a trovare in essi un tema comune è questo: che l’uomo non è un’isola, ed è vitale la necessità del dialogo e della condivisione per conoscersi, risolvere conflitti e avvicinarsi agli altri. Dialogo e condivisione che abbiamo cercato anche noi, partecipando a questo gruppo. R. S.


"Lettera a mia madre" di Simenon

" Goodbye Mother" racconto di Hanif Kureishi

"Amy e Isabelle" di Elisabeth Strout

"il quaderno proibito" della De Céspedese August Macke "Il ballo" di Iréne Nèmirovsky Sono riportate di seguito le letture del gruppo di biblioterapia effettuate da settembre 2015 a giugno 2016. Il tema conduttore è stato in generale quello dei rapporti familiari, partendo da letture che mettessero al centro, in primis, quello con la madre. Questo percorso ha compreso le letture elencate fino a "Lacci" di Starnone Abbiamo poi allargato la lettura e la discussione a temi più generali, di tipo esistenziale, soffermandoci su "la Cura Shopenauer" di Irving Yalom Negli ultimi mesi del nostro percorso, attraverso la lettura di più opere di Natalia Ginzburg e Truman Capote abbiamo cercato di conoscere meglio questi due grandi scrittori partendo dalle sollecitazioni che i loro temi preferiti ci suscitavano

"Lacci" di Starnone

"la Cura Shopenauer" di Irving Yalom

visione del film è "Segreti e bugie" (1996) M.Leigh

"L'arpa d'erba" di Truman Capote

"Il silenzio" "I rapporti umani" "Le piccole virtù ", contenuti nel volume "Le piccole virtù" di Natalia Ginzburg e la commedia "Ti ho sposato per allegria"

Un racconto di Capote "Il giorno del ringraziamento"

Abbiamo inserito la visione del film "Segreti e bugie" perché ci è sembrato un bel film paradigmato sui rapporti familiari e "Colazione da Tiffany" per la lettura dell’omonimo libro di Capote

"Colazione da Tiffany" di Truman Capote

Ci piace infine far conoscere a chi è curioso e interessato al nostro percorso ciò che alcuni di noi hanno scritto, sollecitati dalle letture e dalle discussioni che ne sono seguite.

a conclusione del ciclo visione del Film “Colazione da Tiffany” (1961) con Audrey Hepburn


Riflessioni su "La Cura Shopenauer" di Irving Yalom Il filosofo e il terapeuta: il lavoro in una prospettiva sociale. “Philip un terapeuta? [Julius] ricordava Philip come una persona fredda, egoista, incapace di prestare attenzione agli altri e, a giudicare dalla telefonata, non era cambiato” (p. 31). “Io [Julius] sto qui a vantarmi di come la psicoterapia sia una vita di servizio. Un servizio offerto con amore” (p. 54). Se il primo capitolo del libro si apre su uno dei protagonisti del romanzo, lo psichiatra Julius Hertzfeld a confronto con un suo collega ed ex paziente, il medico Herb Katz, dal quale apprende la sua malattia mortale, quello finale conclude il romanzo con la prima seduta del gruppo di consulenza filosofica presieduta dal counselor Philip Slate con l’aiuto del suo “socio” Tony.

In un primo momento è Julius a cercare Philip per colmare un vuoto di tre anni di terapia che non aveva prodotto frutti, mentre la richiesta di Philip al suo ex terapeuta di una supervisione in vista del proprio riconoscimento professionale in campo terapeutico si può considerare come una ricerca del saper esprimere un significato, la via della guarigione, all’altro. Infatti, la retorica del saper dire in maniera affabile e persuasiva catalizza l’esplicitazione della dinamica interiore, senza tuttavia raggiungere le profondità, inesprimibili, dell’animo umano, che, secondo Philip, non sono raggiungibili se non attraverso il solipsismo: la terapia senza la filosofia è un parlare privo di contenuto, mentre la filosofia senza la terapia è muta, non può adottare un linguaggio formale. A. P.

Il taglio che si darà al presente scritto intende individuare nel testo di Irvin Yalom la componente fondamentale nella vita quotidiana dell’uomo di tutti i tempi che è il lavoro. La prima attività svolta da Philip, chimico che studia nuovi metodi per uccidere insetti, si trova in due occasioni nel testo: la prima al colloquio nella sede operativa del counselor, al quattro-trentuno di Union Street vicino a Franklin (nota: terzo capitolo), mentre la seconda durante l’ultima seduta del gruppo terapeutico del Dr. Hertzfeld (nota: quarantesimo capitolo – ero uno sterminatore, un chimico intelligente che inventava modi per uccidere insetti o renderli sterili, usando i loro stessi ormoni.) Brian T. Kershisnik


Attesa

Mi trovo seduto sul letto del mondo, mi sveglio distratto, l'ombra avvolge , fantasmi di luce. Edward Hopper Un senso nuovo, questa vita,

Chiaro Scuro

ritrovo piaceri dissolti nel vento. Albero, Polvere e Nebbia,

distese affollate,

annunciano una fine vicina,

offuscano la mente .

dove la morte è la sola risposta sicura.

Il primo respiro. Siamo seduti dentro la casa di legno,

Empatia, Coraggio e vuoto di senso.

“più vicini a Dio, di chiunque altro”

Vorrei vivere gli ultimi istanti,

Combattiamo , uniti contro una verità distorta.

come un Porcospino.

Mentre nuovi amici, vengono a trovarci, Scaldare gli aculei della disperazione, mentre nuovi amici, avvolgono l'animo distratto.

Sorseggiamo insieme un bicchiere di limonata e caffè. Nella gabbia di foglie

B. L. B. L.

(ispirato alla lettura “La cura Schopenhauer” Irvin Yalom)

(ispirato dalla lettura “L'arpa d'erba” T.Capote)


Henri Matisse

La cura Schopenhauer di Irvin Yalom, commento di C. T. - marzo 2016 Il romanzo è un amalgama, non sempre ben equilibrato, di narrativa, psicologia, psicoterapia, filosofia e biografia. I primi 16 capitoli scorrono che è una meraviglia e spingono il lettore ad andare avanti; poi il ritmo cambia, probabilmente perché dalla biografia di Schopenhauer si passa ad esporre un po’ troppo dettagliatamente il suo pensiero filosofico e quando si riprende il dialogo tra i personaggi, ci si accorge che i riferimenti che loro fanno a frasi dette in precedenza o a episodi che si sono verificati, ci sono ormai sfuggiti; occorre sfogliare il libro all’indietro per trovare il dove, il quando, chi l’ha detto, come lo ha detto e che cosa di preciso; e diventa una lettura faticosa. Solo dopo il trentatreesimo capitolo (dedicato di nuovo a Schopenhauer che ne emerge come personaggio presuntuoso, psicopatico a sua volta) il susseguirsi degli eventi e delle sedute di terapia di gruppo diventa di nuovo incalzante; i risvolti che hanno sui singoli personaggi, avvincono l’attenzione del lettore che vorrebbe procedere speditamente fino a giungere a

una conclusione; ma i capitoli 39 (arriva la fama per Schopenhauer) e 41 (la morte di Schopenhauer), non contribuiscono assolutamente alla storia del romanzo: sono utili solo a chi si occupa di filosofi e filosofia, o a chi, ormai incuriosito da precedenti capitoli, vuol sapere che fine fa il filosofo. [Ma potrebbe trovare notizie dettagliate anche via internet.] Ottimo il capitolo 40, che si rivela conclusivo per tutti i personaggi, compreso lo stesso Philip. Piacevole anche l’ultimo, il 42, nel quale l’autore ci fa sapere che cosa avverrà nei tre anni successivi. Sotto il punto di vista di lettura come psicoterapia, le molteplici e differenti problematiche dei numerosi protagonisti fanno sì che le situazioni che costringono il lettore a ripetute pause di riflessione siano altrettanto numerose, e la presenza dell’autore-psichiatra e psicoterapeuta è senz’altro un valido supporto per un utile evolversi di queste riflessioni. Dei capitoli riguardanti Schopenhauer il più valido è il 25, dove, attraverso il racconto del comportamento dei porcospini, appare in tutta la sua evidenza il manifesto del misantropo: tollerare la vicinanza di un altro solo se è necessario alla sopravvivenza. [Molto più utile il commento che ci ha distribuito Barbara che, dopo aver trascritto il testo de “il dilemma del porcospino” tratto da “Parerga e Paralipomena” di Schopenhauer, ha aggiunto una preziosa pagina di riflessioni. E visto che nel penultimo capoverso compare anche 1+1=2, faccio presente che per l’uguaglianza vale la proprietà simmetrica per cui: 2=1+1, come conclude a parole proprio quel capoverso.]


veramente un medico psichiatra, è stata stimolante, era un po’ come se facessimo parte di quel percorso condiviso. Nel nostro caso, guidati dalla figura di una counselor, attraverso la lettura di testi prescelti ci troviamo poi ad approfondirne gli argomenti. Ognuno di noi potendo esprime le proprie emozioni ed opinioni offre e riceve a sua volta, la possibilità di accrescere le esperienze personali tramite il racconto ed il confronto. I personaggi di Yalom invece curano le proprie ossessioni patologiche, attraverso un percorso psicoterapico doloroso ed estremo. Rene Magritte A Pisa, la Biblioteca SMS ospita, entro il suo perimetro trasparente, ogni quindici giorni di martedì pomeriggio, gli incontri del nostro primo gruppo di Biblioterapia, fornendoci quando disponibili tanti dei libri che periodicamente ci proponiamo di leggere. Per il futuro contiamo di prendere in prestito dalla videoteca SMS anche film in tema con le letture fatte. Siamo proprio nel posto giusto! Dopo questa breve presentazione, visto che ci siamo dati il compito di scrivere qualche particolare della lettura dell’ultimo libro “La cura Schopenhauer” di Irvin D. Yalom, dove in tante sue recensioni già si parla di un intreccio ben equilibrato tra narrativa, pensiero filosofico, biografia psicologica e psicoterapia, io aggiungo che è stato davvero interessante e curioso leggere un testo dove la biblioterapia viene esplorata nel profondo in quanto essenziale per l’esperienza di Philip, uno dei personaggi chiave del romanzo stesso. La dinamica della psicoterapia di gruppo raccontata dall’autore, che nella vita è

In particolare Philip, che era stato già paziente nel passato di Julius (psicoterapeuta e protagonista) senza ottenere beneficio, è convinto di essere guarito aderendo alla concezione filosofica di Schopenhauer (pessimista e irriducibile misantropo), tuttavia sottoponendosi alla terapia di gruppo per scopi professionali, si libererà solo ora dalle proprie ossessioni in modo definitivo, e probabilmente diverrà lui stesso terapeuta, soprattutto grazie all’aiuto di Julius che lo conduce, insieme al gruppo, alla consapevolezza che le relazioni umane e l’amicizia possono essere il valore più grande nella vita. Julius lo dimostra manifestamente cercando il bene di Philip e degli altri in modo reciproco come insegna Aristotele, anche se la reciprocità, aggiungo io, sarà necessaria soprattutto a Julius per dare un senso al proprio traguardo finale, e tutto questo direi, lascia intravedere al lettore una visione meno opprimente del pensiero nichilista del filosofo Schopenhauer sul (non)senso della vita. T. G. 15/3/2016


L'atteggiamento di Julius de "la cura Schopenhauer" mi ha ricordato un aforisma semplice, ma che trovo profondo e bello di un certo L.Ostuni: VIVI amando AMA morendo MUORI vivendo Credo sia questo il 'succo' della vita, che poi è stato ciò che Julius ha inteso comunicare al suo gruppo e a tutti noi, e con questo spirito desidero augurarvi una buona Pasqua! R. B.

prima che arrivi, le foglie folte li riparano dalla pioggia come fossero un tetto; sembra qui che la Natura protegga i suoi simili in condizioni di ‘Fragilità’. Poi c’è Riley, che agisce da anello di congiunzione fra i due mondi: comprende il mondo ‘fantastico’ dei sognatori leali ma troverà la sua strada nella Società. Infatti imprende e si sposa, ma non per convenzione: egli segue la sua natura, lentamente, aspetta di essere ‘pronto’. E infine i ‘Cattivi’, che la Natura non protegge : Verena (sorella di Dolly), il truffatore Morris Ritz, lo sceriffo che rappresenta la ‘Legge’, il reverendo e sua moglie che rappresentano la Religione. In fondo tutti prigionieri dei loro ruoli! La fuga sull’albero da parte di Dolly, Catherine e Collin, che è il nucleo centrale del romanzo, muta tutti gli equilibri e risveglia le coscienze. Mette allo scoperto le dinamiche dei rapporti: i ‘buoni’ che erano anche i più indifesi, con la salita sull’albero iniziano a ‘Scegliere’, è Dolly a guidare le scelte.

Frantisek Tavik Simon

Una riflessione su ‘L’arpa d’erba’ di T. Capote L’andamento del romanzo di Capote ha una struttura simile a quelle delle fiabe. Ci sono i ‘Buoni’: sognatori, leali, in ascolto dell’interiorità, in intimo contatto con la Natura. I buoni sono Dolly, Catherine, Collin (L’io narrante), il giudice Charlie Cool. Quando si trasferiscono sull’albero diventano parte della Natura: sentono il temporale

A loro si uniscono persone al di fuori della famiglia (Il giudice Cool, Riley che viene e và, la Sorella Ida e tutti i suoi Figli ): i legami si rafforzano, mangiano e bevono insieme sull’albero, brindano alla Vita, accolgono le persone buone. Dolly non sposerà il giudice Cool, e le ragioni di ciò sono complesse; Lei sceglie di ritornare alla sua vecchia casa con la sorella, ma tra loro si stabilisce un legame intimo che li terrà vicini ogni giorno fino alla sua morte. Scrive Capote: ‘ L’Amore è una catena d’amore, come la Natura è una catena di Vita’. T. M.


Perché correre verso l’uscita prima dell’orario di chiusura? Perché correre verso l’uscita prima dell’orario di chiusura? Si chiede Julius, il terapeuta malato di cancro protagonista di La cura Schopenhauer di Irvin D. Yalom. E perché non posso fare quello che realmente voglio fare? Si chiede invece l’altro protagonista del libro, Philip. Questo “librone” che abbiamo letto noi del Gruppo di Biblioterapia prova a dare delle risposte a queste domande- si potrebbe direda un milione di dollari. E se alcuni lettori possono pensare che non abbia centrato l’obbiettivo o che si sia imbarcato in un’impresa troppo grande non possono non pensare che resta comunque una splendida storia costruita un po’ a matrioska. Infatti secondo me, dentro La Cura di Schopenhauer c’è una prima storia con Julius che tenta di leggere se stesso come paziente di cancro incurabile e se stesso come terapeuta fallito di Philip. Legge infondo se stesso in maniera generale come uomo con una storia alle spalle come chiunque di noi: con una infanzia, con un’ adolescenza e con un’ età matura. Ma- ed ecco perché questa storia come tutte le storie parla necessariamente anche del tempo- Julius prova anche a vivere un altro pezzo della sua storia malgrado gli rimanga solo un anno di vita. Non corre verso l’uscita prima dell’orario di chiusura e prova a leggere un altro po’ la storia del suo ex paziente Philip che nel frattempo-sono passati diversi anni- è andata avanti a sorpresa. E qui,c’è la seconda storia. Non vuole più cento donne al giorno, ma nessuna, il suo Philip. Non vuole più essere in terapia ma condurla lui, una terapia. E questo cambiamento, questa evoluzione del personaggio, è avvenuta perché dentro La

Cura di Schopenhauer anche Philip ha letto un’altra storia che è la terza: quella di Schopenhauer. Philip ha provato a rileggere la sua vita sotto questa nuova chiave di lettura: la filosofia dark di questo pensatore dell’ ottocento. E’ guarito dalla sua dipendenza dal sesso, ma- come gli suggerisce il buon Tony- “ Schopenhauer ti ha curato, ma adesso hai bisogno di essere salvato dalla cura Schopenhauer”. Ed è qui che il romanzo si fa ganzo e intrigante oltre che affascinante, perché la sfida per Yalom, a mio parere, sta tutta nel cercare di buttar giù in maniera credibile un po’ della stupenda e altrettanto forte argomentazione filosofica che Philip porta avanti con molta intelligenza. Una filosofia che forse porterebbe ad una risposta lapidaria alla domanda iniziale di Julius: perché correre verso l’uscita prima dell’orario di chiusura? Come ho detto prima, come tutte le storie, anche questa parla del tempo. La parte più interessante di questa tematica è per me quella dove Julius ci parla del tempo per un terapeuta. La sua concezione del tempo presenta delle suggestioni utili anche per un lettore che non fa il suo stesso mestiere, ma semplicemente c’ha da vivere la sua vita. C’ha da litigare con il marito e da svolgere una commissione per conto del suo capo. Delle cose tipo queste qua, del genere, “ il passato non è invitato”: “Un buon terapeuta dovrebbe focalizzarsi sul presente invece che lavorare sulle ricostruzioni del paziente di un avvenimento del passato o tratto dalla vita corrente fuori dal gruppo. Nella fase iniziale della formazione, i terapeuti vengono addestrati a concentrarsi sulla responsabilità che i pazienti hanno in tutti i fatti cruciali della propria esistenza . I


terapeuti maturi non accettano mai in quanto tali resoconti fatti dai pazienti a proposito dei maltrattamenti subiti dagli altri. I terapeuti sanno invece che entro un certo limite , gli individui contribuiscono a creare il proprio ambiente sociale che le relazioni sono sempre reciproche”.

Un giorno Philip legge Schopenhauer e ne rimane folgorato. Schopenhauer. Un tizio che veramente- a leggere quello che scriveva -ti toglie la voglia di vivere e ti fa venir voglia di correre verso l’uscita prima dell’orario di chiusura- per dirla alla Julius- per dei seri, profondi e validi motivi, va detto, però.

O questa, molto più breve, sulle tempistiche: un rovesciamento del luogo comune: Batti il ferro quando è freddo. Un altro degli assiomi della terapia per Julius.

Il lettore dunque si trova a leggere per lo meno tre mega storie al cui interno però ce ne sono molte altre tra cui spiccano le storie degli altri partecipanti al gruppo di terapia condotto da Julius. Le tre mega storie sono la storia di Julius che legge la storia di Philip che legge la storia di Schopenhauer. A grandi linee e in maniera un po’ approssimativa si può riassumere il meccanismo di questo romanzo in questo modo, a me pare.

Difatti Julius, il ferro con il suo Philip lo batte quando è ghiaccio di alcuni anni. Cosa succede? Succede che Julius dopo aver ricevuto la notizia della sua grave malattia, decide di occupare l’anno che gli resta da vivere lavorando con Philip. Non da solo. Ma nel gruppo. Vediamo dunque, mano a mano che si procede con la lettura, che Philip viene accolto nuovamente da Julius nel suo gruppo di psicoterapia con un piccolo escamotage narrativo molto arguto e divertente, nonché interessante sotto molti punti di vista. Mentre Philip partecipa al gruppo continua a leggere varie e varie pagine del suo filosofo preferito, incantando e altre volte irritando gli altri partecipanti e in queste parti il lettore, secondo me, è parecchio attratto da Philip. E, per dirla alla Star Wars, per fortuna che c’è sempre Julius che non ci fa passare al Lato Oscuro della Forza - almeno- non del tutto. La storia di Philip è forse la più avvincente. Sembra la storia di un uomo che per rispondere alla domanda perché non posso fare quello che realmente voglio fare, legge molta filosofia. Philip infatti è una mente brillante e vuole andare al nocciolo della questione. Si era infatti rivolto a Julius per la prima volta proprio perché voleva leggere e non andare a letto con l’ennesima ragazza.

E in qualche maniera si potrebbe anche dire che in realtà, le tre mega storie, non sono altro che una, che è poi la storia di quella disciplina che sia chiama filosofia e che è in fondo la storia di ogni singolo essere umano. E’ la storia cioè dell’uomo che si domanda che cos’è la vita? Che cosa significa? E in che modo la devo vivere? Non è un po’ questa roba qui? Secondo Schopenhauer che il lettore impara a conoscere sempre meglio attraverso la sua biografia che sia alterna al romanzo vero e proprio- e secondo Philip, la vita non è poi tutto questo granché. Anzi è una gran fregatura. La vita è in sostanza una brutta storia. Una pessima storia. Scritta male e letta altrettanto male da uomini stupidi che credono che sia chissà che cosa. Dopo morto sarai quel che eri prima di nascere. È la risposta più pertinente che bisognerebbe dare a chi si interroga sulla morte secondo Schopenhauer. Ossia, il niente. La vita è solo un arco di tempo fra queste due assenze di esistenza, fra queste


due non vite. E’ un arco di tempo passato costantemente a volere, volere e volere cose che non si vogliono veramente perché la vita di ogni singolo uomo, che si concretizza nella sua nobile e auto compiaciuta forza di volontà è completamente schiava di un qualcosa molto più grande di noi. La forza della natura che è fuori di noi e la forza della natura che è dentro di noi.

Più avanti, in una magnifica discussione all’interno del gruppo tra Tony e Philip viene fuori che la scoperta di Kant era che invece di esperire il mondo come esso è realmente fuori , “noi esperiamo la nostra versione personalmente elaborata di quello che sta là fuori. Proprietà quali lo spazio, il tempo, la quantità e la casualità sono dentro di noi, non là fuori(…..)

Leggiamo in una della pagine del libro che “quando Arthur era in vita la psicoterapia non era ancora nata e tuttavia nei suoi scritti c’è molto di pertinente con la terapia. La sua opera maggiore cominciava con una critica e un ampliamento di Kant che aveva rivoluzionato la filosofia attraverso l’intuizione secondo cui noi costituiamo la realtà piuttosto che percepirla. Kant si era reso conto che tutti i nostri dati sensibili sono filtrati attraverso il nostro apparato neuronale , all’interno del quale vengono poi rimontati per fornirci un’immagine che noi chiamiamo realtà ma che in effetti è soltanto una chimera, una finzione che emerge dalla nostra mente che concettualizza e suddivide in categorie( …) Noi non possiamo oltrepassare con lo sguardo la versione da noi elaborata di quello che c’è la fuori ; non abbiamo modo di sapere che cosa ci sia realmente laggiù , ovvero l’entità che esiste a priori del nostro processo percettivo e intellettuale.

Ma, aggiunge Philip, il suo amato Schopenhauer ci parla anche di un’altra forza della natura che è dentro di noi- o meglio che è noi. Schopenhauer infatti “ sostenne che Kant aveva trascurato un tipo di dati fondamentali e immediati riguardo a noi stessi: i nostri stessi corpi e i nostri sentimenti. Noi possiamo conoscerci dall’interno, insisteva. Noi abbiamo una conoscenza diretta, immediata, che non dipende dalle nostre percezioni. Quindi egli fu il primo filosofo a considerare gli impulsi e i sentimenti dall’interno (…) Più di qualsiasi altro filosofo si indirizzò verso quegli impulsi oscuri che si trovano nel profondo e che noi non siamo in grado di sopportare di conoscere e che quindi dobbiamo reprimere.

Questa è la forza della natura che è fuori di noi. La realtà che possiamo conoscere solo attraverso i nostri sensi è per Kant il fenomeno. Ma la cosa in sé, la vera realtà, noi non la conosceremo mai. Il noumeno. La realtà ci avvolge, ci schiaccia. Crediamo di sapere che cos’è e di dominarla. Ma siamo inesorabilmente destinati al fallimento. E’ più forte di noi.

E, come aggiunge Bonnie, che in questo caso è un po’ la voce del- come direbbe Virginia Wolf- common reader : la cosa sembra piuttosto freudiana. Anche di questa seconda e interna forza siamo schiavi e prigionieri. Schopenhauer come Philip era abbastanza fissato con il sesso. Ad esempio, credi di volere quella donna? La vuoi veramente? Vuoi fare l’ amore con lei? Questo è quello che credi tu. Ma, non è esattamente così. E’ con voce impersonale ci descrive l’autore del libro, che Philip ci dice il pensiero di Schopenhauer a questo proposito: L’hardware maschile spinge gli uomini a diffondere il loro seme. Si


potrebbe citare un’ altra massima del filosofo: il canto dell’usignolo è il grido della specie che chiede di essere riprodotta. Noi nemmeno lo sappiamo quello che c’è dentro di noi. I più lo ignorano. Ci crediamo grandi, invece siamo piccoli. Ci crediamo l’uomo, invece siamo solo bipides di una specie.

Lo si vede continuamente nelle pagine dedicate alla trascrizione delle sedute di psicoterapia di gruppo, dove i problemi dell’uno o dell’altro vengono relativizzati confrontandoli tra loro. Che non è una brutta parola. Relativizzati non vuol certo solo dire ridicolizzati o sminuiti. Questo può avvenire è chiaro, ma vengono innanzitutto, ridimensionati o –piuttosto- nuovamente realizzati. Gli individui si buttano con i loro problemi in un’altra relazione. Se ne possono ritrovare vari esempi illuminanti: Non sono le idee, né la visione, né mezzi concreti quello che davvero importa nella terapia(….) è sempre la relazione. Questa è la lezione numero uno di psicoterapia che Julius dà a Philip.

Tullia Socin Ed ecco un altro punto incredibilmente interessante del libro che si può andare a ricercare in tutte le sue pagine come una sorta di fil rouge. E’ il tema delle grandezze. Del piccolo e del grande. Del niente e dell’importante, si potrebbe anche dire, per darle una sfumatura più astratta. E’ il grande tema della relatività. Lo affronta Schopenhauer, lo affronta Philip e lo affronta in modo professionale e differente Julius. Lo vediamo emergere qua in una citazione ad apertura di un capitolo del libro. Si tratta di una massima di A. Schopenhauer: I grandi dolori ci rendono insensibili ai piccoli e viceversa, in assenza di guai seri, le più minuscole contrarietà ci tormentano e c’indispongono.

Poi, il primo obbiettivo nel gruppo di psicoterapia di Julius è: aiutare ciascun membro a capire il più possibile del modo in cui lui o lei si relaziona a ciascuna persona del gruppo, terapeuta, incluso. E infine, Julius ricorda al gruppo che : “ spesso considero un’azione o un’affermazione da due diversi punti di vista: da quello del contenuto e da quello del processo e con processo intendo quello che ci dice a proposito della natura della relazione tra le parti coinvolte. Scrive invece all’opposto, Schopenhauer che “ finché il gatto è giovane gioca con pallottoline di carta perché crede che siano vive e simile a lui. Ma una volta cresciuto, sa che cosa sono le lascia stare. Lo stesso è capitato a me con i bipides. Invece per Julius e per Yalom stesso, gli altri esseri umani, le relazioni che noi stabiliamo con essi sono importantissime. Sono forse


tutto quello che abbiamo. La fuga prima dell’orario di uscita è semplicemente impossibile perché tutta la vita è relazione a cominciare dal modo in cui ognuno di noi è venuto al mondo. La fuga prima dell’orario di uscita non è tanto in questo libro sinonimo del suicidio ma più che altro di una sorta di isolamento sociale, di rinuncia ai cosiddetti piaceri e dispiaceri della vita che lo stare nel mondo attivamente comporta. E la conclusione del romanzo è a mio parere iper salvifica senza essere per questo banale e affrettata né tanto meno scontata. Sarà che nei romanzi polizieschi con l’assassino non ci becco mai, ma, io Philip e la sua cura in alcune pagine la davo più vincente che piazzata. Se lo si legge con attenzione si vede lo sforzo quasi sovra umano con cui la “cura Schopenhauer” non viene cestinata ma integrata in alcuni sue parti alla visione più olistica di Julius. Ma la visione di Julius non è solo e anche più buona e più bella di quella di Philip /Schopenhauer ma è, secondo me, più esatta. Un pochino più scientificamente vicina alla verità. La scienza ha fatto passi da gigante e ha confermato tra l’altro che molte delle controverse intuizioni del filosofo tedesco sono vere ma è andata anche oltre. Il nostro essere in parte predeterminati dalla sequenza di DNA, il nostro essere quasi Forza oscura a noi stessi attraverso il lavoro certosino degli ormoni o dei cosiddetti istinti atavici non deve per questo atterrirci al più buio, auto consolatorio e oserei dire, comodo isolamento dal mondo. Proprio perché come aveva capito Schopenhauer e prima di lui Kant la realtà non è facilmente conoscibile o meglio universalmente e in maniera univoca tangibile che la prospettiva sociale e intersoggettiva si fa in qualche modo imprescindibile.

Il mondo è così. E’ tanta roba diversa che una sola mente non può conoscere. Anche perché, perfino in una sola mente c’è tanta roba che entra in relazione l’una con l’altra. Il mondo e la vita è la moltitudine e la varietà, è il passare. Per fare i fighi si potrebbe dire in maniera pressappochistica che il mondo è tanta roba che si incontra e si scontra a livello quantistico, a livello politico, a livello biologico, a livello geografico eccetera. E intramoenia, la vita di ogni singolo uomo è tutta una serie di cose che entrano in relazione tra loro. Non è che dobbiamo stare vicini, è che siamo vicini. Volenti o nolenti entriamo in relazione con tantissime cose. Sta a noi regolarle, guidarle e soprattutto tentare di conoscerle. Tutto nei limiti del possibile orario di chiusura, verso cui non vale veramente la pena correre, ma solo camminare. E chissà che magari durante questo nostro passeggiare non si riesca a fare quello che veramente si vuole fare. E stare con gli altri, mannaggia, in nostro Philip anche in questo caso pecca di un estremo purismo, è anche utile. Ci serve. La relazione terapeutica è ad esempio una relazione di aiuto. Ed è in grande parte, utilitaristica. Il paziente aiuta il terapeuta non solo economicamente come dimostra Julius a Philip e il terapeuta si spera che aiuti il suo paziente, ovviamente. Gli altri ci servono a non morire di freddo come ci illustra la storia dei porcospini di Schopenhauer. E allora? A me non sembrerebbe nemmeno così male se fosse solo questo, tenersi al calduccio. M.


LETTERA AL GRUPPO

Cari amici, vi ringrazio tutti per l’impegno e la partecipazione che avete messo in campo in tutto questo nostro percorso di letture e di dialogo. Ho letto attentamente quello che alcuni di voi hanno voluto scrivere sulla lettura della “Cura Schopenhauer” di Yalom, vi ringrazio ancora e desidero rivolgere alcuni pensieri e considerazioni a tutti voi. Come ho provato a dirvi in alcuni momenti, questa scelta di lettura per me è stata più problematica e sofferta di altre che abbiamo affrontato in precedenza, perché ero consapevole che molti temi trattati sono complessi e duri, comunque non certamente leggeri anche se il romanzo scorre e attrae, e ci poteva essere il rischio di aderire un po’ troppo al pessimismo del nostro filosofo.

idee, né la visione, né mezzi concreti quello che davvero importa nella terapia(….) è sempre la relazione. Questa è la lezione numero uno di psicoterapia che Julius dà a Philip. Poi, il primo obbiettivo nel gruppo di psicoterapia di Julius è: aiutare ciascun membro a capire il più possibile del modo in cui lui o lei si relaziona a ciascuna persona del gruppo, terapeuta, incluso. E infine, Julius ricorda al gruppo che: “spesso considero un’azione o un’affermazione da due diversi punti di vista: da quello del contenuto e da quello del processo e con processo intendo quello che ci dice a proposito della natura della relazione tra le parti coinvolte.” Mi sono chiesta più volte se questa lettura poteva diventare un modo troppo diretto per invitare a ricercare la conoscenza e la consapevolezza di sé anche attraverso gli scambi e le relazioni in un gruppo come il nostro.

Ma la preoccupazione più sottile che mi ha accompagnato, ha riguardato la consapevolezza di leggere un libro che narrava di un’esperienza nella quale il significato e le relazioni di gruppo erano determinanti, in cui si arrivava al nucleo dello stare insieme e dei motivi che ne sono alla base.

Le parole di T. " Ognuno di noi potendo esprime le proprie emozioni ed opinioni offre e riceve a sua volta, la possibilità di accrescere le esperienze personali tramite il racconto ed il confronto” così come “La dinamica della psicoterapia di gruppo raccontata dall’autore, che nella vita è veramente un medico psichiatra, è stata stimolante, era un po’ come se facessimo parte di quel percorso condiviso” mi sembra che esprimano al meglio gli aspetti e le finalità che la nostra esperienza di biblioterapia dovrebbe avere.

Penso a questo proposito che nel nostro romanzo, anche se si parla di un gruppo di terapia, si possa facilmente coglierne il significato più generale, valido per tutti.

Invito tutti voi a soffermarvi su questi punti, in modo da poter riflettere insieme sul significato e sulla utilità per ognuno dell’esperienza che stiamo facendo.

M., giustamente, mette il focus su questo riportando brani significativi del romanzo e aggiungendo le sue osservazioni “Non sono le

Cari saluti, B.C.

Mi sembra che questi pericoli non li abbiamo corsi più di tanto e ne sono stata sollevata.


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