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COMUNICAZIONE E SOCIAL-MEDIA
Per brevità di esposizione non potremo ripercorrere le manifestazioni storiche di questa tipologia di libertà e di come i governanti abbiano nel tempo provato a promuoverla o reprimerla. Ci basterà al contrario partire dall’assunto che abbiamo avuto il piacere o la sfortuna di vivere in un’età di passaggio: infatti, diversamente dal passato, di stampo dittatoriale e repressivo, è ormai dato certo che, in un contesto fortemente globalizzato che ha visto dal dopoguerra in poi il proliferare di strumenti e piattaforme comunicative di vario genere (giornali, radio, social network), gli ordinamenti del mondo intero (tranne, purtroppo, non pochi casi), promuovono la libera manifestazione del pensiero critico.
O almeno, così sembra. Infatti, affermando un tale principio a livello universale, può la libertà essere poi ristretta nei singoli casi concreti, sacrificandola ad esempio in nome della sicurezza interna?
Giungiamo così ad una conclusione: la libertà di pensiero è un concetto estremamente generico, quindi non assoluto, ma relativo, in quanto la relatività è data dal modo di atteggiarsi di tutti quei fenomeni che ne restringono fortemente la portata applicativa, arrivando, in alcuni casi, addirittura a negarla del tutto.
Ed è proprio all’interno di tale relatività che si annida il diritto, strumento di libertà o di oppressione, a seconda dell’uso che se ne voglia fare.
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COMUNICAZIONE E SOCIAL MEDIA • INTRODUZIONE
Siamo davvero liberi di comunicare? Domanda semplice, ma dalle mille risposte. Il diritto, specchio delle azioni umane, come si è posto storicamente nei confronti del libero pensiero?
Partendo dalla libertà di pensiero, su un piano internazionale, tale libertà è stata sancita come principio universale da due Carte distinte: • La “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”(1948), la quale all’art.19 sancisce che “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
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In secondo luogo, si accosta a tale orientamento anche • La “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (o CEDU) del 1950, la quale all’art.10 prevede che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.
E come si sono posti i padri della Costituzione italiana del 1948 nei confronti di tale libertà? All’art.21 è indicato che: •
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
• La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. • Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. • In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo d’ogni effetto. •
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• La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. • Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni “.
Tuttavia, come ben sappiamo, la libertà di pensiero può concretizzarsi anche nell’elaborazione materiale di atti creativi, frutto del proprio ingegno nei più disparati campi, dalla letteratura al teatro, dalla musica al cinema e così via. Cosa potrebbe accadere quindi se una persona esprimesse le proprie idee utilizzando opere frutto dell’ingegno altrui senza informarlo, senza richiedere l’autorizzazione o senza menzionarlo come autore? Su un piano di mera valutazione degli interessi in gioco, prevarrebbe la libertà di pensiero o il diritto d’autore altrui? In questo caso, gli ordinamenti moderni non operano una scelta drastica tra un bianco e un nero, ma si affidano ad una scala di grigi costituita dalla valutazione in concreto degli interessi in gioco, facendo prevalere una volta l’uno e una volta l’altro. Il diritto d’autore è costituito al suo interno da due diverse sfaccettature:
• Il diritto morale d’autore, facoltà inalienabile e irrinunciabile, non sottoposta a limiti temporali, al riconoscimento della paternità di una determinata opera: essa potrà essere liberamente rivendicata in qualsiasi momento, concedendo inoltre la relativa facoltà di disconoscimento di falsi o maldestre imitazioni. • Il diritto di sfruttamento economico dell’opera che si sostanzierà nella facoltà dell’autore alla libera e facoltativa pubblicazione, riproduzione di copie, rappresentazione in pubblico, distribuzione, traduzione, elaborazione, noleggio e prestito dell’opera stessa.
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Da una rapida comparazione tra l’art.21 della Costituzione e le norme analoghe contenute nella Dichiarazione Universale e nella CEDU, avremo immediatamente chiari i limiti cui si faceva prima riferimento, i quali riducono tale diritto da assoluto a relativo.
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E il termine inglese “copyright” potrebbe coincidere con il nostro diritto d’autore? In realtà, il termine frutto dell’ordinamento di “common law” (il diritto anglo-statunitense), si sovrappone quasi perfettamente al nostro diritto d’autore, salvo una piccola, ma fondamentale differenza: mentre il primo, per il suo riconoscimento in via costitutiva, necessita dell’iscrizione dell’opera all’interno di un registro curato da un ufficio apposito di brevetti, il sosia nostrano non necessita di un’obbligatoria registrazione, tuttavia facoltativa con efficacia dichiarativa, ma si genera con la sola realizzazione materiale dell’idea che viene tradotta dalla nostra mente in realtà. Infine, nel caso in cui una persona mostri privatamente interesse nei confronti di una determinata ideologia, è possibile per un altro soggetto pubblico o privato esporre tale individuo alla berlina dell’intera comunità di riferimento? Ovviamente, vivendo in un’epoca dove la nostra riservatezza viene proclamata come principio inviolabile, la risposta ci appare del tutto scontata: sicuramente prevarrà la nostra privacy. Eppure, questa convinzione al giorno d’oggi indubbia è stata frutto di conquiste storiche, dove all’idea che le convinzioni intime di un individuo fossero rilevanti per l’intera comunità sociale e dovessero essere da questa accettate, si è pian piano sostituita la diversa idea che le proprie ideologie e i propri orientamenti siano proprietà del solo individuo cui fanno riferimento: egli, quindi, avrà la libertà di scegliere se custodire intimamente le proprie convinzioni o di urlarle al mondo intero. Ma, anche in questo caso, dovremo domandarci se lo Stato possa reprimere il soggetto pensante per motivi di ordine pubblico: a questo punto, siamo così sicuri, ad esempio che l’oppositore al governo di turno venga represso in maniera sostanzialmente diversa da un soggetto che attenta con fini terroristici all’esistenza stessa dello Stato? La domanda è complessa e ci porterà alla solita conclusione: il diritto può essere strumento di liberazione o di repressione, dipendendo solo dall’uso che se ne voglia fare.
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Nel nostro ordinamento giuridico, dovremo quindi considerare sempre la libertà di pensiero come la colonna portante sulla quale andremo ad accostare gli altri diritti e limiti, di cronaca, di critica, d’autore, la tutela della privacy ed il copyright.
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