Claude Chabert L’arte di esplorare il mondo Claude Chabert è stato uno dei grandi della speleologia mondiale del secolo appena trascorso. Nato nel 1939, parigino, aveva iniziato a far speleologia alla fine degli anni ’50, collaborando coi nizzardi sul Marguareis e poi esplorando grotte un po’ in tutto il mondo. Nel suo caso però va sottolineato non tanto il fatto che è stato in molte zone carsiche – capita a tanti – ma, soprattutto, che ci ha lavorato in un modo profondamente internazionale, un vero speleologo globale. Un esploratore puro, topografo accuratissimo, capace di dare un contenuto culturale, un significato, alle grotte che esplorava e alla disciplina stessa della speleologia. La sua originale e formidabile attività editoriale è stata quindi parte integrante delle sue innumerevoli esplorazioni, ed è riuscita a dare un significato anche a quelle fatte da altri. Inventari, articoli, la bibliografia di Martel, la bibliografia speleologica della Turchia, paese da lui amatissimo. Ma soprattutto la serie dei grandi Atlas des Grandes Gouffres du Monde, una vera miniera per far sognare, e sprovincializzare, innumerevoli speleologi di tutto il mondo. Nicky Boullier
48 Speleologia65/2011
da UIS Bull. (2009)
Giovanni Badino
L’ultimo ricordo che associo a Claude è quello di una stretta stradina asfaltata, poco più di un collegamento vicinale, che si snoda lenta e deserta sulle ondulazioni del paesaggio di Borgogna e che da Nitry, ultima casa di Claude, arriva fino a un paesino ad una quindicina di chilometri di distanza, dove era ricoverato in una clinica per lungodegenti. Ero passato a trovare Nicky, la compagna di Claude, e ora lei mi portava a incontrarlo per un’ultima volta, alla fine di questo sottile nastro grigio scuro. Era fine aprile, la magnifica campagna borgognona era verdissima, la vita riprendeva, e io pensavo che intanto si chiudeva il ciclo di una persona con cui avevo condiviso una grande passione. Guardavo questa strada, di una bellezza struggente, che Nicky percorreva tutti i giorni per aggrapparsi ad un contatto che stava svanendo. Quella stradina era il legame fra il suo presente e i suoi ricordi. Ricordavo quando avevo letto per la prima volta il nome di Claude, sull’Atlas des Grand Gouffres du Monde, che per anni era stato il mio libro dei sogni. Descriveva una speleologia vasta, che aveva come campo di ricerca il mondo, non quella montagna o quella grotta. Mostrava che era possibile dedicarsi a progetti ambiziosi, vastissimi, capaci di inquadrare il carsismo del pianeta, non quel pozzetto o quella frana, esplorare il mondo, non litigare col magazziniere per le scalette sporche. Mi aveva mostrato un cammino, dove avrei incontrato quelle stesse difficoltà che, scoprii poi, aveva incontrato Claude nel doversi rassegnare a definirsi “speleologo” in mezzo a gente che per “speleologia” intendeva una cosa ben diversa, fatta di provincia, liti, ruoli, divise e poche grotte. Avevo poi conosciuto Claude e Nicky, in Brasile, nel 1988 avevamo fatto una spedizione insieme in quel paradiso della speleologia che è Terra Ronca, nel Goyas, allora ancora poco esplorato. Venivo da grandi esplorazioni in Marguareis e Corchia, ma soprattutto da forzature, liti, invidie. Era la prima volta che esploravo grotte in calcare lontano da casa e con speleologi di tante nazionalità diverse, e Claude