Università degli Studi di Udine Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura Corso di laurea in Scienze dell’Architettura
Tesi di laurea
LA COSTRUZIONE DI TORVISCOSA. ANALISI DELLE RESIDENZE PER GLI IMPIEGATI.
Relatore
Laureando
Prof. Arch. Roberto Petruzzi
Anno Accademico 2014/2015
Stefano Bertacco
Indice
Indice Pag. Introduzione
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I. Prima parte: Le città di fondazione
1. Le città di fondazione: cenni storici
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2. Il fenomeno delle città di fondazione nel periodo fascista
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2.1 Urbanistica, simbologia e architettura
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II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
3. Storia dell’insediamento
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3.1 La bonifica
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3.2 Lo stabilimento SNIA
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4. L’architetto: Giuseppe De Min
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4.1 Palazzo Donini, Milano
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4.2 Autorimessa Traversi, Milano
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5. La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
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5.1 Lessico architettonico: materiali e forme
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5.2 Lavoro: lo stabilimento e le agenzie agricole
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5.3 Spazi pubblici e sociali
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5.4 Alloggi
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III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
6. Analisi architettonica
6.1 Elaborati originali, Arch. Giuseppe De Min, 1940
7. La rappresentazione metafisica
65 72 75
7.1 La pittura metafisica di Giorgio de Chirico
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7.2 I disegni di Aldo Rossi
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8. Il ri-disegno e la rappresentazione delle residenze in piazza del Popolo
Tavole elaborati grafici
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Conclusioni
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Elenco delle figure
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Bibliografia
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Sitografia
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Introduzione
Introduzione
Negli anni Trenta del Novecento in Italia sorsero diverse realtà urbane di nuova fondazione. Queste città nuove, commissionate dal regime fascista, rappresentavano una risposta alle difficoltà socio-economiche del Paese ed anche una forma di propaganda. Tra tutte le realizzazioni merita particolare attenzione la città di Torviscosa, la company town friulana che offre un interessante modello urbanistico ed economico fondato sull’unione tra attività industriale ed agricola. Questa tesi ha come oggetto lo studio della storia e della conformazione di Torviscosa ed inoltre l’analisi e la rappresentazione dell’edificio delle residenze per gli impiegati sito in piazza del Popolo. L’analisi di questo edificio permetterà di delineare il carattere estetico delle tendenze architettoniche di quel periodo storico ricco di cambiamenti e di influenze artistico-culturali. Considerando la stagione architettonica e il modello urbanistico di questi nuovi insediamenti si può notare una connessione tra l’immagine urbana e le raffigurazioni pittoriche metafisiche che possiedono una evidente carica di suggestione. Al fine di comprendere questa contaminazione tra arte e architettura si pone l’attenzione sull’opera di Giorgio de Chirico, per il periodo tra i due conflitti mondiali, e sui disegni di Aldo Rossi per il periodo successivo. La tesi è strutturata in tre parti. Nella prima parte si affronta il tema della città di fondazione in architettura attraverso brevi cenni storici. Si riserva particolare attenzione al fenomeno delle città di fondazione nel periodo del Ventennio fascista per delinearne le caratteristiche ed i presupposti ideologici che portarono alla loro realizzazione. Nella seconda parte si ripercorre la storia e si individuano le caratteristiche urbanistico-architettoniche della città di Torviscosa. Viene riportata inoltre una breve biografia dell’architetto Giuseppe De Min che firmò il progetto della città e delle sue architetture. La terza parte è dedicata all’analisi e alla rappresentazione degli edifici per impiegati realizzati in piazza del Popolo a Torviscosa. Si propone inoltre una riflessione sulla rappresentazione metafisica attraverso le analisi dell’opera di Giorgio de Chirico e dei disegni di Aldo Rossi.
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I. Prima Parte Le cittĂ di fondazione
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Le città di fondazione: cenni storici
Le città di fondazione: cenni storici
In questa prima parte della tesi si vuole affrontare, seppur in linea generale, l’evolversi del rito di fondazione di nuovi insediamenti nel corso della storia. Si noterà che le origini di questo fenomeno sono molto lontane e che, nonostante le variazioni, dettate dalle diverse esigenze storiche, alcuni aspetti sono rimasti invariati. Una possibile definizione dei riti di fondazione è la seguente: “Pratiche propiziatorie che in molte società antiche e attuali accompagnano la costruzione di città, villaggi, edifici religiosi e profani. Il luogo in cui sorge la nuova costruzione, il suo orientamento nello spazio, la connessione con aspetti del territorio e il momento scelto per l’inaugurazione sono aspetti simbolici importanti nello svolgimento di un rito di fondazione, soprattutto in relazione a edifici di culto. […] La fondazione di un nuovo centro (residenziale, religioso, politico) è spesso connessa alle dinamiche del potere che si inscrive in questo modo nel territorio.”(1)
Il termine “città di fondazione” identifica quindi i nuclei urbani e abitativi nati non spontaneamente, ma sulla base di una precisa volontà politica, da un progetto urbanistico e costruiti attraverso un intervento unitario generalmente realizzato in tempi brevi e con una precisa conformazione planimetrica spesso caricata di significati simbolici e modelli ideali. Eppure bisogna tenere in considerazione che la distinzione tra composizioni urbane pianificate e spontanee non risulta sempre 1 Definizione riportata da Enciclopedia Treccani Online alla voce Fondazione, paragrafo Antropologia. http://www.treccani.it/enciclopedia/fondazione/ 9
I. Prima parte: Le città di fondazione chiara. Nel tentativo di formulare una definizione più corretta nemmeno i tempi rapidi della realizzazione e la regolarità della conformazione geometrica sono totalmente determinanti. Esistono infatti centri urbani che presentano geometria irregolare frutto di un preciso piano, strutture regolari determinate solo dalla topografia dei luoghi ed infine nuclei urbani cresciuti gradualmente nel tempo in cui è possibile riscontrare una situazione caotica dei tessuti urbani conseguente alla sovrapposizione di molteplici stratificazioni storiche più che dalla carenza di pianificazione. Fin dai tempi antichi il rito di fondazione accompagnava la creazione di nuovi insediamenti da parte delle popolazioni. La fondazione costituiva un’operazione di carattere politico-militare di appropriazione di un fondo, sottraendolo alla natura, ed anche un’azione di tipo religioso in quanto coincideva con la creazione di un luogo sacro, generalmente nella posizione privilegiata, in modo che la città fosse protetta da una divinità. Gli antichi Greci, intorno al VI secolo a.C., durante il processo di colonizzazione del Mediterraneo, misero a punto un modello planimetrico basato su una griglia di assi ortogonali che creano isolati quadrangolari regolari. Il primo esempio significativo di questa struttura urbanistica viene generalmente attribuito alla ricostruzione della città di Mileto da parte di Ippodamo di Mileto (Fig. 1.1). Il centro simbolico e funzionale di queste nuove città era quasi sempre in posizione decentrata, tradizionalmente ubicato su una altura, acropoli, e con una struttura planimetrica propria. Uno schema distributivo simile si riscontra anche nella fondazione di nuove colonie durante l’espansionismo dei Romani sia in epoca repubblicana che in epoca imperiale. Si tratta del modello chiamato castrum, ispirato agli accampamenti militari romani, basato su due assi perpendicolari: il cardo massimo, generalmente l’asse nord-sud, e il decumano massimo, l’asse est-ovest. Al loro incrocio, al centro simbolico e funzionale ma non necessariamente geometrico della città, sorgeva il foro, luogo di valore politico, commerciale e religioso. In epoca medievale la fondazione di insediamenti è da considerarsi effetto dell’esigenza delle varie città esistenti di presidiare il territorio circostante. Questi nuovi nuclei urbani assicuravano la difesa verso le città vicine e assumevano il controllo di parti di territorio, successivamente ad una bonifica preliminare, nelle quali avviare lo sfruttamento agricolo. Anche in questi insediamenti si notano costruzioni planimetriche a base di assi, spesso ortogonali. Lo schema ortogonale viene stravolto in epoca rinascimentale quanto i trattatisti del XV secolo elaborarono impianti simmetrici, rigorosi, radiocentrici 10
Le città di fondazione: cenni storici
Fig. 1.1, Impianto planimetrico Città di Mileto
Fig. 1.2, Palmanova, vista aerea
ed a scacchiera tenendo conto delle nuove esigenze di difesa bastionata dal tiro delle artiglierie. Alla base c’è l’idea di dare alla città una forma ordinata e razionale, facendone un simbolo della concezione artistica e filosofica. Tuttavia le città di fondazione di questo periodo sono poche e per la maggior parte realizzate per motivi difensivi. Tra queste si ritiene importante segnalare Palmanova: città fortezza pianificata dalla Repubblica di Venezia nella pianura friulana nel XVI secolo (Fig. 1.2). La particolare conformazione planimetrica è costituita da una pianta poligonale a stella con 9 punte e tre assi di ingresso convergenti nella piazza centrale di forma esagonale. Nei secoli successivi il modello radiocentrico della “città ideale” rinascimentale sopravvisse nella trattatistica, anche per motivo di coincidenza con le forme stellate delle cinte murarie delle fortificazioni ricorrenti in quel periodo. Pertanto, nel XVII e XVIII secolo, sorsero centri urbani in cui la forma poligonale delle fortificazioni si accompagnava ad uno schema geometrico dell’organizzazione urbana di tipo ortogonale ma anche di tipo radiocentrico. Ci furono inoltre episodi di ri-fondazione a seguito di rovinosi sismi che mutarono definitivamente il volto di alcune città esistenti. Nell’epoca contemporanea il concetto di città di fondazione si è evoluto secondo diverse correnti di pensiero; tra tutte sono particolarmente interessanti le città giardino inglesi influenzate dalle opere di Ebenezer Howard ed i nuovi insediamenti urbani fondati nel ventennio fascista, specie negli anni Trenta del Novecento. Le prime, le “garden city”, vennero concepite per far fronte all’aumento della popolazione nei centri urbani dovuto al rapido sviluppo delle industrie. Il progressivo degrado delle città portò alla volontà di salvare la dimensione urbana dal congestionamento e la campagna dall’abbandono. Queste città quindi avrebbero unito i 11
I. Prima parte: Le città di fondazione vantaggi della vita urbana ai piaceri della campagna in quanto sarebbero formate da un nucleo urbano e una cintura agricola che avrebbe fornito prodotti freschi al centro abitato riducendo gli spostamenti. Le città di fondazione sorte nel periodo del regime fascista, come si vedrà nel capitolo successivo, sono insediamenti nati da diverse necessità per lo più di ragione politica. Da un lato sono intese come opere pubbliche e dall’altro sono l’oggetto di una campagna di propaganda dell’ideologia del regime e dalla sua volontà di lasciare un segno nel tempo e nello spazio. La fondazione delle città consisteva nella bonifica di territori, fino a quel momento impenetrabili, che in seguito venivano impegnati principalmente per la lavorazione agricola e, in alcuni casi, per la creazione di nuove industrie.
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Il fenomeno delle città di fondazione nel periodo fascista
Il fenomeno delle città di fondazione nel periodo fascista
Tra i due conflitti mondiali un numero crescente di popolazione si trasferì in città lasciando le campagne. Questo fenomeno, l’urbanesimo, si scontrò con l’ideologia fascista che individuava nella città il luogo dove si compivano una serie di fenomeni
reputati negativi come la formazione di una coscienza di classe e l’abbassamento della natalità. L’aumento della popolazione nelle città avrebbe comportato anche ulteriori costi sociali dovuti all’esigenza di più scuole, ospedali, chiese e altri servizi, ossia una situazione insostenibile per la condizione economica dello stato. Nel 1939 venne emanata una legge(1) contro il fenomeno dell’urbanesimo e vennero vietati i trasferimenti di residenza nei capoluoghi di provincia, nelle città con più di 25 mila abitanti e in certi comuni di notevole importanza industriale. Alla generale ideologia antiurbana del regime corrispondeva una volontà di decentramento in campagna dei quartieri operai ed allo sviluppo di insediamenti suburbani. I debiti con gli alleati, la necessità di importazione dei beni primari e le misure restrittive sull’emigrazione degli USA crearono una situazione difficile per il paese. A questo quadro Mussolini rispose con una politica a favore dell’industria che esigeva una politica agraria mirante a sostenere le scelte operate nel settore industriale: contenere la disoccupazione, limitare i consumi della popolazione ed arginare il senso di insoddisfazione del paese che rischiava di sfociare in conflittualità sociale. Le nuove fondazioni avevano quindi l’aspetto di piccoli centri rurali, con l’obbiettivo di tornare alla tradizionale lavorazione della campagna e alla civiltà contadina; 1 Nel 1939 la legge “contro l’urbanesimo” vietava i trasferimenti di residenza nelle città a chi non fosse in possesso di un documento che certificasse un lavoro stabile. 13
I. Prima parte: Le città di fondazione questa politica di decentramento, insieme all’azione di recupero dei terreni incolti, rivelava l’ideologia del regime che preferiva una realtà rurale rispetto alla grande urbanizzazione(2). La creazione di nuove condizioni di sfruttamento agricolo avrebbe creato una classe sociale di piccoli mezzadri o proprietari agricoli, legati alla terra insieme all’intero nucleo familiare. La ruralizzazione inoltre, secondo le aspettative, avrebbe contrastato i disordini sociali ed i fenomeni della denatalità, visti come una causa di decadenza. Ad ispirare la romanità fascista erano i concetti di autorità, disciplina e gerarchia, punti focali di una nuova politica che voleva creare una nuova Italia uscita dalla Grande Guerra. Le aree necessarie a realizzare gli interventi di bonifica e di risistemazione dei fondi erano generalmente terreni demaniali incolti che venivano ceduti all’ente incaricato della bonifica. Molto spesso si trattava dell’Opera Nazionale Combattenti che provvedeva alla pianificazione, attraverso la stipula di bandi di progettazione, all’appoderamento ed all’assegnazione dei vari appezzamenti alle famiglie di mezzadri. Pur prevedendo un sistema di bonifica esteso a tutto il territorio nazionale, l’attenzione fu rivolta soprattutto alle Paludi Pontine nei pressi di Roma. Nel giro di pochi anni nell’area della pianura pontina bonificata vennero edificati, in funzione rurale, cinque centri per l’incremento della produttività agricola e per il risanamento del territorio prima dominato dall’insalubrità e dalla malaria. Queste città nuove nacquero tra il 1932 ed il 1939 e sono: Littoria, oggi Latina, Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia. Ognuno di questi centri era a sua volta coronato da borghi minori funzionali al coordinamento degli insediamenti rurali del circondario. Un secondo gruppo di nuovi insediamenti si può indicare come “le città dell’autarchia” e poli industriali, comparsi tra il 1936 ed il 1940, e sono: Arsia, in Istria, Carbonia in Sardegna, Guidonia in Lazio e Torviscosa in Friuli. La politica dei lavori pubblici e della bonifica integrale deve essere inserita anche all’interno della volontà del regime di darsi una giustificazione, un’immagine. È chiarissima l’intenzione di voler creare un collegamento fra l’immensità degli spazi e l’immensità dell’opera intrapresa dal regime; infatti nell’immaginario collettivo le paludi erano legate ad una miriade di leggende, ma soprattutto erano note per la loro perenne inviolabilità e per l’impossibilità di recuperarle. La fondazione delle città nuove può essere interpretata come un mezzo di propaganda del regime, che lascia un impronta indelebile nel territorio nazionale. Esisteva la consapevolezza che solo la città poteva trasformarsi in un documento perenne della sua politica; per questo non si limitò alla bonifica dei terreni ma procedette alla loro colonizzazione 2 14
Lucia Nuti, La città nuova nella cultura urbanistica e architettonica del fascismo
Il fenomeno delle città di fondazione nel periodo fascista
attraverso la fondazione di città. Allo stato attuale non esiste una vera e propria classificazione delle città di fondazione del Ventennio; molti sono stati i tentativi ma non si è giunti ad un vero e proprio elenco delle città nuove. Questo perché non sono chiari i termini di riferimento: se la funzione amministrativa, se la dimensione oppure i tempi di realizzazione. Nonostante queste difficoltà la storiografia è giunta a canonizzare 12(3) città di fondazione italiane: Littoria, Sabaudia, Pontina, Guidonia, Aprilia, Pomezia, Mussolinia, Fertilia, Carbonia, Arsia, Torviscosa e Pozzo Littorio. Tra queste, infatti, si possono riconoscere villaggi divenuti Comuni, Comuni elevati a Provincie ed anche Comuni che, non essendosi ulteriormente espansi, rimasero tali o addirittura scesero alla funzione di frazioni. L’assetto amministrativo, dunque, non sembra costituire un termine di riferimento; di conseguenza neanche l’estensione territoriale in quanto si tratta di borghi, cittadine ed intere provincie. Lo sviluppo in termini di superficie e di abitanti è stato diverso per ogni realtà, sicché alcune sono cresciute ed altre si sono spente.
2.1 Urbanistica, simbologia e architettura
Nel momento della ricostruzione dei fondi e di dare forma agli insediamenti, dopo la bonifica idraulica, la pianificazione si risolse in una scelta motivata più sull’elementarità che sulla razionalità della figura geometrica. Il territorio, scandito da assi stradali e da canali, veniva suddiviso in uno schema ortogonale all’interno del quale trovava posto l’unità insediativa e produttiva cioè la casa colonica ed il podere. L’insediamento agricolo, che assumeva una posizione cardine dell’intero sistema, costituiva il podere. Più poderi formavano un borgo, ad un insieme di borghi corrispondeva una città. Il territorio era così strutturato attraverso un sistema gerarchico di controlli amministrativi. Nel panorama delle nuove fondazioni, il caso più noto è quello delle cinque città dell’Agro Pontino-Romano. La collocazione di queste città venne impostata quasi casualemetne, senza un piano organico, configurando una distanza reciproca compresa tra i 15 ed i 25 chilometri. Le città venivano progettate e realizzate in brevissimo tempo, tanto che ad ogni inaugurazione si annunciava la successiva. I cantieri a stento riuscivano a seguire le tempistiche imposte dal regime ma comunque non era possibile accelerare il processo di bonifica dei terreni, di conseguenza i coloni non ricevevano i poderi completati ma solamente una casa 3
Pennacchi Antonio, Fascio e martello: viaggio per le città del duce 15
I. Prima parte: Le città di fondazione fresca di muratura. Gli insediamenti avevano spesso modesta estensione territoriale e non erano allora assimilabili, sia per dimensioni che per caratteristiche progettuali, ad una città intesa come insediamento urbano intensivo. Esiste una sorta di contraddizione che caratterizza tutti i nuovi insediamenti ovvero quella di riproporre, ad una scala ridotta, una struttura caratterizzata da un nucleo centrale e da un tessuto circostante. La singolarità sta nel fatto che questo nucleo è centrale unicamente per la sua collocazione ma è totalmente privo di centralità in termini di valori urbani e di effettivi rapporti di fruizione. Esso non serve a mettere gli abitanti in relazione tra loro ma solo a rappresentare l’autorità e la sua relazione con l’individuo. Si può considerare il centro e l’intera città come uno spazio di “rappresentazione scenografica” adatto per le celebrazioni ufficiali del regime. I nuovi insediamenti, in particolar modo i più grandi, erano costruiti a partire da un modello base con una piazza centrale, nella quale emergeva una Torre Littoria. Il centro non aveva carattere residenziale ma rappresentava il nucleo degli edifici pubblici, tra i quali la chiesa, la casa del fascio, il municipio, la caserma e la scuola. Altri servizi come il consorzio agrario, lo spaccio e le locande erano organizzati intorno alla piazza o lungo un asse viario principale. Intorno si estendevano, nelle realtà più grandi, i quartieri abitati veri e propri, mentre nei centri rurali si passava direttamente alle campagne appoderate. Dopo la prima guerra mondiale in Italia emerse un linguaggio architettonico classico e onirico derivante da una contaminazione della forte impronta metafisica della pittura di de Chirico e dell’architettura, in particolare dello stile Novecento che nacque dall’incontro tra le istanze razionaliste e l’eredità dell’intervento futurista prebellico. Le rappresentazioni metafisiche di luoghi desolati, incorniciati da archi ripetuti quasi ossessivamente, prefiguravano la forma e la condizione della nuova tradizione italiana(4). Per attribuire fascino alle città nuove si ricercavano i simboli più efficaci dalla più vigorosa e significativa stagione urbana: quella delle città comunali. I suoi indicatori verticali, torri e campanili, emergevano sulla piatta pianura e sul basso abitato. A questo aspetto si accostano simboli di natura ideologica come le aquile e i fasci. I nuovi centri urbani, per esprimere una sorta di italianità tradizionale, riproponevano a scala ridotta alcune caratteristiche formali: il centro, come anticipato sopra, con la piazza ed i palazzi pubblici, attorno il resto degli edifici commerciali e residenziali. In fase di progettazione, pare che gli aspetti più importanti da risolvere 4 16
Frampton Kenneth, Storia dell’architettura moderna
Il fenomeno delle città di fondazione nel periodo fascista
fossero la viabilità e l’igiene. Risolti questi, il progettista poteva cimentarsi, pur nella più stretta economia, nella composizione armonica di spazi e volumi. Si riteneva di particolare interesse l’impostazione di effetti panoramici verso i pochi punti emergenti della pianura appena bonificata. Elementi naturali come lontani monti e boschi oppure elementi di architettura come campanili, obelischi e torri venivano inquadrati da terrazze o da viali principali. Dopo la prima sperimentazione con la costruzione di Littoria (1932), dove la piazza (Fig. 2.1), piuttosto sovradimensionata veniva aperta dai viali organizzati a raggera, questo spazio, seppur inteso come centro cardine della realtà urbana, doveva essere di dimensioni contenute altrimenti sarebbe stato difficile riempirlo anche nelle occasioni ufficiali. In alcuni casi, come a Guidonia (1937) la piazza (Fig. 2.2), di dimensioni più moderate, veniva circoscritta da portici e da edifici che lasciavano solamente dei collegamenti coperti, così da evitare il passaggio diretto dello sguardo che avrebbe dilatato la percezione dello spazio(5). In generale, nelle città nuove la piazza doveva comunque essere localizzata con facilità da molto lontano in quanto costituiva il fondale degli assi viari principali e vantava anche la presenza del simbolo del carattere civico, la torre. La Torre, generalmente chiamata Torre Littoria, rappresentava per la comunità la presenza di un potere territoriale centrale che garantiva ordine e sicurezza. La configurazione più diffusa era quella di un parallelepipedo con un coronamento a sezione più stretta nella parte terminale. A Littoria si osserva una versione tozza e monumentale (Fig. 2.3), a Sabaudia troviamo una figura più stilizzata e levigata con proporzioni più esili e snelle in opposizione allo sviluppo prevalentemente 5 Per le considerazioni sulle piazze di Latina e Giudonia si veda: Nuti e Martinelli, Le città di strapaese
Fig. 2.1 Piazza di Littoria
Fig. 2.2 Piazza di Guidonia
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I. Prima parte: Le città di fondazione orizzontale della cittadina (Fig. 2.4). Nelle realizzazioni successive nell’Agro Pontino si ridussero le misure in altezza, senza raggiungere i 35 metri di Littoria e i 42 metri di Sabaudia, ridimensionando le torri in base all’abitato circostante. A questo proposito si nota il caso di Fertilia con una torre decisamente più contenuta con una finestratura in alto a feritoie strette (Fig. 2.5). Tutte le Torri dovevano essere dotate, sotto esplicita richiesta nei bandi di progettazione, di un balcone(6) destinato all’arringa del capo e dovevano essere collocate in prossimità del palazzo comunale, incorporate o raccordate per mezzo di portici, così da enfatizzare il rapporto tra il potere del partito e quello amministrativo. Nelle cittadine dove venne costruita la casa del fascio, questa era dotata di un’ulteriore torre anch’essa fornita di balcone per le occasioni ufficiali. In due città autarchiche troviamo esempi atipici di Torri: si tratta di Mussolinia, oggi Arborea, e Torviscosa. La prima presenta una torre, abbinata alla casa del fascio, di vaga ispirazione futurista composta da un arco allungato a tutto sesto realizzato in mattoni (Fig. 2.8). A Torviscosa abbiamo la compresenza di più elementi a torre. La prima, la torre civica (Fig. 2.9), presso il palazzo comunale, si può definire un insieme tra quella di Sabaudia e di Pomezia. All’interno dell’area adibita allo stabilimento industriale troviamo due torri littorie (Fig. 2.10), unite in un portale, costruite a forma di enormi fasci, alte 54 metri, interamente rivestite in mattoni a vista, che ospitano gli impianti chimici. A Torviscosa non sono l’unico esempio di esasperato simbolismo e gratificazione verso il partito; si nota anche una grande M disegnata dal cordolo perimetrale della fontana monumentale presso il complesso delle piscine. Non si può affermare con certezza se fosse un richiamo al nome di 6
Nuti e Martinelli, Le città di strapaese
Fig. 2.3, Torre littoria, Littoria
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Fig. 2.4, Torre littoria, Sabaudia
Fig. 2.5, Torre littoria, Fertilia
Fig. 2.6, Torre littoria, Pomezia
Il fenomeno delle città di fondazione nel periodo fascista
Mussolini o a quello di Marinotti, capo della citta; in entrambi i casi si può definire come una firma, un marchio o una testimonianza del potere politico e industriale che diede luogo all’intero insediamento. La Chiesa rappresenta un altro elemento fondamentale e centrale nelle città nuove. Estranea ad ogni limitazione, sembra essere l’unico edificio dove si esprima la libertà ideologica e materica. La progettazione e la realizzazione delle chiese infatti non vennero interessate dalle restrizioni autarchiche che gravavano sugli altri edifici; esisteva la possibilità di impiegare materiali nobili come il marmo in grandi lastre. La Chiesa spesso assumeva una posizione propria nel centro urbano e a volte, se collocata in una zona appartata, era dotata di una piazza; annessi alla Chiesa si trovavano edifici come ad esempio l’Asilo, se non accorpato all’Edificio Scolastico, dove l’educazione fin dall’infanzia era affidata a personale religioso. In ogni caso la chiesa doveva godere di una visuale preferenziale in modo da accentuarne l’importanza e la plasticità della facciata. Scorrendo le immagini delle chiese dei nuovi centri urbani si possono notare diversi elementi ispirati da secoli di architettura religiosa cristiana; si trovano, infatti, rosoni, guglie, pinnacoli ed esedre. Un aspetto della composizione le accomuna: la grandezza del volume, sovradimensionato rispetto alle esigenze meramente funzionali. Gli edifici pubblici non godevano di tale disinvoltura bensì esistevano in misura adeguata alla loro operatività e di conseguenza in relazione alla popolazione. La chiesa per l’appunto veniva realizzata in ogni borgo, anche se molto piccolo, e in questi casi assumeva carattere rurale adatto alla sua sistemazione(7). 7
Nuti e Martinelli, Le città di strapaese
Fig. 2.7, Torre littoria, Aprilia
Fig. 2.8, Torre della casa del fascio, Mussolinia
Fig. 2.9, Torre civica, Torviscosa
Fig. 2.10, Torri littorie, Torviscosa
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I. Prima parte: Le città di fondazione Durane il processo progettuale delle città e persino nei bandi di progettazione, le abitazioni rappresentavano una preoccupazione del tutto secondaria. Alla base della loro collocazione valeva un principio di gerarchia ma, specialmente nella pianura pontina, dove non c’era grande varietà di classi sociali, questa distinzione non emerge. A Torviscosa invece, ricordando la diversa natura di fondazione industriale, come si potrà vedere nella seconda parte di questa tesi, la distinzione tra le classi e di conseguenza dell’aspetto estetico e compositivo delle costruzioni risulta più evidente. Nell’ambito romano, in particolare nelle prime esperienze di fondazione, si scelse un’edilizia di tipo estensiva composta da blocchi edilizi squadrati di massimo tre piani di altezza dove le facciate venivano composte dall’alternanza di pieni e vuoti creati dalle finestre inserite in rigide griglie simmetriche. Ogni blocco era circondato di un appezzamento adibito sul fronte a giardino e sul retro ad orto. Esistono alcuni casi di edilizia “intensiva”, a Carbonia ad esempio, dove si aumentarono i piani fino ad arrivare a quattro permettendo anche di contenere i costi di costruzione. Le abitazioni a villino risultano più rare; godono di ampio giardino e, secondo la volontà dei progettisti, esprimono un carattere rurale tramite l’accostamento degli elementi ricorrenti in tale edilizia: balconi, terrazze, loggette e pergolati(8). Per attribuire l’aspetto rustico richiesto dall’ideologia del regime e allo stesso tempo per ridurre i costi di realizzazione, vennero impiegati materiali e tecniche tradizionali. Le strutture si preferivano in muratura, riducendo l’uso del cemento armato, del ferro e del vetro. Il rivestimento dominante era quello ad intonaco, impreziosito con pochi particolari in mattoni a vista, marmo e travertino. L’utilizzo più o meno frequente di questi elementi decorativi veniva normato dalla gerarchizzazione degli edifici. Largamente usata era la pietra locale, utile a rivestire intere facciate, a creare solidi basamenti ed a “ruralizzare” l’aspetto generale. Anche sotto questo aspetto a Torviscosa la prassi si ribalta: il mattone diventa il materiale caratterizzante in quanto appare come rivestimento di tutto il Complesso Industriale, degli Edifici Ricreativi e Scolatici. Il suo impiego sfuma man mano tra le residenze fino a scomparire totalmente nell’edificio comunale, rivestito ad intonaco con zoccolatura a finto bugnato.
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Pagano Giuseppe, Architettura rurale in Italia
II. Seconda Parte Torviscosa, l’esperienza friulana
3 Storia dell’insediamento
Storia dell’insediamento
Tra le numerose città di fondazione italiane nate nel periodo fascista merita particolare attenzione la città di Torviscosa, sita nella Bassa Friulana nella zona compresa tra i comuni di San Giorgio di Nogaro, Porpetto, Gonars, Bagnaria Arsa, Cervignano del Friuli, Terzo di Aquileia e Grado. Questa parte della tesi è dedicata alla lettura della città-industria dalle sue origini al suo sviluppo, con la volontà di comprenderne le dinamiche dal punto di vista architettonico, urbanistico e sociale.
L’insediamento di Torviscosa, che attualmente riunisce le “Ville” di Zuino, la frazione Malisana e la località Fornelli, ha origini molto lontane nel tempo(1). Nel 181 a.C. questo territorio faceva parte della realtà aquileiese colonizzata da Roma. Il paesaggio era prevalentemente caratterizzato da lavorazioni agricole ben sviluppate e il ritrovamento di molte giare vinarie ne è la testimonianza. L’unica attività manifatturiera sembra ricondursi a tre fornaci che producevano laterizi, anfore e altri oggetti in terracotta. Questi edifici si trovavano presso Malisana e lo confermano i numerosi rinvenimenti di legno carbonizzato utilizzato per la cottura dei prodotti. Inoltre i diversi resti di fondamenta di abitazioni e pozzi sono la testimonianza della presenza di nuclei abitativi.
1 La breve raccolta dei principali avvenimenti storici che costituirono le origini dell’insediamento di Torviscosa, proposti in questo capitolo, è stata possibile grazie alla consultazione delle seguenti pubblicazioni: Deluisa Luigi, Torviscosa. Cenni storici; Strassoldo Marzio, Da Torre di Zuino a Torviscosa: l’opera precorritrice di Antonio Savorgnan; Baldassi Enea, Tessarin Aldo (a cura di), Torviscosa - Malisana. La storia. 23
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana Nel periodo successivo furono inviate da Roma numerose famiglie nell’Agro Aquileiese a difesa degli abitanti locali contro i popoli che insistevano sui confini nordorientali. A questi nuovi abitanti furono assegnati dei terreni dove, collettivamente, costruirono le loro abitazioni denominate “Ville” intorno alle dimore dei Capi che risiedevano in edifici più grandi chiamati “Castelli”. Da questo avvenimento si può dedurre l’origine delle “Ville” di Zunis, di Malisana e di Fornelli delle quali non si hanno informazioni per i successivi mille anni. Per la prima volta questi territori compaiono su un documento nel 1041 quando il Patriarca Popone di Aquileia li donò al Monastero di Santa Maria fuori delle Mura. Il documento si riferisce a “i campi, prati, boschi, diritto di caccia e pesca, corsi d’acqua e paludi posti fra il fiume di Terzo e lo Zumello, affluente del Corno”. “Villa de Zumel” viene citata nel 1139 e probabilmente fondata sui resti degli insediamenti romani. La località di Fornelli compare su diversi documenti nel 1106 e anche in momenti successivi. In questa posizione sorgeva l’antichissima chiesa di Sant’Antonio Abate che oggi si trova nel cimitero comunale di Torviscosa ed è dedicata alla Madonna della Salute. La chiesa(2) è stata completamente rifatta nel XVIII sec. con diverse modifiche. All’interno per molto tempo è stata conservata la statua lignea rappresentante la Madonna della Salute che recentemente è stata oggetto di restauro e che si ritiene possa essere un manufatto della scuola Tolmezzina e in particolare di Domenico da Tolmezzo. Attualmente questa opera d’arte si trova presso la chiesa parrocchiale di Torviscosa dedicata a Santa Maria Assunta. Malisana compare per la prima volta nel 1161 in un documento di donazione di alcuni terreni da parte di Megenhardo di Malisana. In questo territorio sono stati rinvenuti numerosi resti di epoca romana e ciò è verosimile in quanto la zona era interessata dal passaggio della Via Annia che partendo da Aquileia, passava per Malisana, Concordia e Padova fino a raggiungere Bologna per collegarsi con la Via Emilia. La zona era caratterizzata da paludi e terreni insalubri dove si trovavano solo una chiesa e pochi edifici abitativi che nel ‘600 furono abbattuti e ricostruiti in una porzione di terreno più sopraelevata per evitare i numerosi allagamenti. Nel nuovo insediamento venne costruita una cappella che forma il presbiterio della chiesa odierna e che negli anni successivi fu modificata ed ampliata. Nel XIII sec. Malisana risulta di proprietà dei Signori di Strassoldo grazie a diversi atti stipulati fra la Repubblica di Venezia e l’Austria per la determinazione dei rispettivi confini.
2 Analisi delle architetture storiche presenti nel Comune di Torviscosa. Chiesa della Madonna della Salute, scheda A-01 compilata dall’Arch. Monica Bellantone nel 1995. 24
Storia dell’insediamento
Fig. 3.1, Torre di Zuino, in fondo a circa un miglio l’abitato di Fornelli
Le vicende del territorio di Torre di Zuino hanno inizio nel 1278 quando i proprietari, i Signori di Caporiacco cedettero a quelli di Villata le “Ville di Zunis”. Successivamente queste passarono ai Signori di Duino e poi ai Strassoldo. Nel 1344 le Ville di Zuino e la località Fornelli divennero di proprietà di Arrigo Savorgnan. La natura di questi terreni era paludosa data la loro giacitura a livelli molto bassi che non rendeva possibile il naturale defluire dell’acqua in eccesso. In seguito a fenomeni di bradisismo e probabilmente alla poca cura dei corsi d’acqua, la palude avanzò e costrinse i pochi abitanti nonché agricoltori della zona di Zuino ad abbandonare i propri terreni. L’insediamento era ridotto ad una sola costruzione a torre ormai danneggiata e scoperta, facente parte dell’antica “villa”, circondata da terreni impraticabili e malsani. La località di Fornelli e quella di Zuino si trovavano ad un solo miglio(3) di distanza l’una dall’alta, ma le condizioni territoriali rendevano problematico lo spostamento ed in certi casi erano necessarie delle passerelle in legno sospese sulla palude. L’insalubrità del territorio fu la causa principale del diffondersi della malaria che costituiva un’ulteriore limitazione per la vita e per l’agricoltura. Il paesaggio si presentava come una distesa di terreni acquitrinosi e corsi d’acqua melmosi che insieme ai boschi rendevano il territorio impraticabile. Nonostante questa situazione sfavorevole alcuni insediamenti agricoli resistettero e gli abitanti cercarono con i propri mezzi di risanare alcune parti di terreno per l’agricoltura di sussistenza. La palude in alcuni settori meno melmosi offriva la possibilità di raccogliere il foraggio e di pescare pesce, rane e gamberi. Gli abitanti 3
1 miglio romano = 1480 metri 25
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Fig. 3.2, Castello di Torre di Zuino dei Signori Savorgnan
andavano a caccia di selvaggina e raccoglievano i giunchi per realizzare cesti o altri manufatti. Nel 1690 Antonio Svorgnan mise in atto un importante lavoro di bonifica e di colonizzazione dei suoi possedimenti. Con grande sacrificio economico e gravi difficoltà riuscì a sistemare una parte di terreno dove fece erigere la nuova Torre di Zuino in ricordo della torre superstite dell’insediamento precedente. Nel 1727 fece costruire anche la chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, oggi la parrocchiale di Torviscosa, e diversi edifici, alcuni ancora esistenti, per i braccianti e i coloni agricoli. Nel 1818 la tenuta dei Savorgnan venne venduta alla società veneziana Rossi e Carminati, che a sua volta nel 1882 la vendette al Conte Augusto Corinaldi di Padova. La Prima Guerra Mondiale portò scompiglio e danni nel territorio della bassa friulana. Il Castello dei Savorgnan venne distrutto da un incendio durante la ritirata di Caporetto nel 1917. Dopo il conflitto la popolazione viveva nella miseria ed era costretta a lavorare duramente con contratti di mezzadria quasi sempre svantaggiosi per il mezzadro. La malaria che decimava la popolazione peggiorava le condizioni di vita delle poche famiglie rimaste. Il destino di questo territorio cambiò quando nel 1937 la Snia Viscosa (Società Navigazione Industriale Applicazione Viscosa) comprò la tenuta e i terreni limitrofi per costruire lo stabilimento industriale che darà origine alla città di Torviscosa.
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Storia dell’insediamento
3.1 La bonifica
La S.N.I.A. (Società di Navigazione Italo Americana) viene fondata a Torino nel 1917(4) da Riccardo Gualino e da Giovanni Agnelli, con lo scopo di trasportare carbone e altri materiali dall’America all’Italia per alimentare l’industria bellica italiana. Terminata la guerra la SNIA viene trasformata in holding finanziaria (Società Nazionale Industria e Affini) con il compito di gestire varie società. Nel frattempo i due soci investono nel nuovo campo della seta artificiale: nasce nel 1922 la SNIA Viscosa (Società Navigazione Industriale Applicazione Viscosa) che inizia ad assorbire le industrie italiane del settore. Nel 1927 Agnelli abbandona la società, Gualino apre l’ingresso a investitori esteri, tanto che questi giungono ad ottenerne il controllo. Gli succedono il Senatore Borletti e Franco Marinotti, figura di spicco per gli affari e per l’esperienza maturata nel campo dei tessili in Russia e in Polonia. Era il periodo della crisi economica mondiale del 1929 che ridusse drasticamente le importazioni delle fibre tessili naturali. La Snia fino al 1937, quando Marinotti divenne presidente, produceva soltanto la fibra del Rayon. La società lanciò sul mercato il Lanital ossia la Lana Italiana ricavata dalla lavorazione della caseina, prevalentemente utilizzata per la creazione del panno militare. Sotto la gestione di Marinotti l’azienda si allargò assumendo il controllo della Cisia Viscosa di Roma e il suo capitale sociale raddoppiò in pochi anni. La situazione mondiale del commercio del Rayon e lo scarso impiego del Lanital dopo il primo conflitto mondiale spinse l’azienda a studiare la cellulosa, materia prima per la fabbricazione di fibre tessili. Inoltre la politica autarchica adottata dal regime mirava a diminuire le importazioni e a implementare le risorse alternative alle materie prime estere. Fino ad allora la cellulosa era ricavata da alberi di alto fusto per lo più importati dai paesi nordici e balcanici. In particolare l’azienda mise a punto un procedimento per la produzione di cellulosa da arbusti a breve ciclo produttivo, nello specifico dalla “canna gentile” (Harundo Donax). La società, una volta depositato il brevetto, per mettere in atto questo nuovo ciclo produttivo necessitava di una stabilimento e di nuovi terreni per la coltivazione. Nel 1937 Marinotti chiese direttamente aiuto a Mussolini per decidere dove insediare il nuovo stabilimento. Il duce, coerentemente con il concetto di economia autarchica, approvò il progetto della Snia di realizzare la “città della cellulosa e dell’autarchia”. Tenendo conto di non intaccare zone già impiegate dall’agricoltura, favorendo aree con elevata disoccupazione e con facili comunicazioni interne, la scelta cadde sulla zona di Torre di Zuino. La Snia acquistò in totale 5.300 ettari di terreno forniti di due corsi d’acqua navigabili. Inoltre la zona 4 Per le vicende connesse alla Snia si veda: Bortolotti Massimo, Torviscosa: Nascita di una città; Manfredini Gasparetto Marialuisa, Torviscosa: un tipico esempio di trasformazione integrale del paesaggio geografico. 27
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Fig. 3.3, Lo stabilimento Snia dopo il raddoppio degli anni ‘40
era dotata di un’arteria stradale importante e della linea ferroviaria Trieste-Venezia. Il 27 ottobre 1937 iniziarono i lavori di bonifica e di sistemazione fondiaria per accogliere la coltivazione della canna gentile, lo stabilimento e l’intera città. Gli interventi più importanti furono quelli di dissodamento, regimazione delle acque, il riordino dei fondi e la creazione della darsena nella zona della fabbrica. La strada Venezia-Trieste divideva in due parti il territorio, a nord con un dislivello più accentuato e di conseguenza con un terreno relativamente più asciutto, mentre la parte sud decisamente più paludosa richiese l’installazione di pompe idrovore per il controllo idrico. Nel frattempo venne creata la S.A.I.C.I. (Società Anonima Agricola Industriale per la produzione Italiana di Cellulosa)(5) dall’unione della S.A. Bonifiche Torre di Zuino e la Società Bonifiche del Friuli; entrambe nate con il piano articolato di bonifiche lanciato dal regime nel 1928. Gli interventi di bonifica e riordino dei fondi trasformarono totalmente l’aspetto del paesaggio rendendolo razionale come era richiesto dal nuovo linguaggio industriale. I lavori diedero un nuovo schema ai terreni dividendoli in appezzamenti da 1 a 1,5 ettari ciascuno. I filari di pioppi marcavano visivamente i canali e le strade più importanti. Queste modifiche avevano lo scopo di creare l’ambiente favorevole alla crescita della canna gentile, di impostare una viabilità essenziale e di organizzare i terreni con uno scolo perfetto delle acque meteoriche. 5 28
Bortolotti Massimo, Torviscosa: Nascita di una città.
Storia dell’insediamento
Fig. 3.4, Agenzia 1 nel 1948
3.2 Lo stabilimento SNIA
Dopo soli dieci mesi di lavoro, conosciuti come i “320 giorni di Torviscosa”, il 21 settembre 1938 vennero inaugurati dall’allora Capo del Governo Benito Mussolini, impegnato in un viaggio nel Triveneto, la prima parte dello stabilimento, gli edifici del dopolavoro, cinema e teatro, il circolo impiegati, le piscine, la scuola e le prime case operaie. Il progetto della città della cellulosa prevedeva oltre allo stabilimento industriale e alla città con uffici e alloggi anche le agenzie agricole. Le piantagioni di canna gentile ricoprivano circa 5.000 ettari di territorio che fu diviso in 7 unità aziendali. Ogni agenzia era dotata di una serie di edifici tra cui quelli residenziali, quelli di servizio e di relazione. Planimetricamente questi piccoli insediamenti furono organizzati attorno a un’ampia corte interna rettangolare con lavatoio e abbeveratoio centrale. Ai lati sorgevano quindi i fabbricati adibiti a abitazioni, uffici, rimesse, stalle ed in alcuni casi si poteva trovare anche una piccola chiesa. L’Azienda aumentò la sua produzione cosicché solamente due anni dopo, il 21 settembre 1940, venne inaugurato il raddoppio dello stabilimento alla presenza del Ministro dell’Industria Conte Giuseppe Volpi di Misurata. Il mese successivo Torre di Zuino cessò di far parte del comune di San Giorgio di Nogaro e divenne comune di Torviscosa, aggregando anche la frazione di Malisana, con Franco Marinotti primo cittadino. Il nome della nuova città-industriale richiama l’antico e il moderno; c’è un chiaro rifermento alla Torre dell’insediamento dei Savorgnan che rappresenta le origini di questo territorio e la viscosa che portò la modernità. Lo 29
stabilimento, quasi a ricordare il passato, vanta due grandi Torri a forma di fascio littorio che dominano ciò che le circonda. Negli anni successivi, nel momento in cui la Seconda Guerra Mondiale portò all’occupazione tedesca della città, lo stabilimento venne dichiarato ausiliario e di conseguenza andava salvaguardato insieme ai suoi operai che furono risparmiati alle deportazioni in Germania. La produzione era minima e la situazione era estremamente difficile. Nel 1945 una serie di bombardamenti aerei anglo-americani danneggiarono l’intero complesso produttivo mettendo in ginocchio l’azienda e l’intera città. La Snia però non abbandonò i suoi lavoratori e su richiesta di Marinotti, in contrasto con gli altri azionisti, autorizzò la ricostruzione dello stabilimento. Il mercato della cellulosa era ormai libero e le innovative tecnologie fino ad allora, di esclusiva proprietà della Snia, furono esportate nel resto del mondo. Per questo l’azienda negli anni ’50 ampliò la fabbrica con un impianto soda-cloro e successivamente con la presentazione di una nuova fibra tessile, il Lilion. Nel 1963 cessò la coltivazione di canna gentile e la materia prima da cui trarre la cellulosa divenne l’albero ad alto fusto. Le aziende agricole vennero progressivamente convertite alla produzione di foraggio, cereali, frutta. Vennero potenziati gli allevamenti di bovini per la produzione di latte e venne costituito il comparto alimentare, con il marchio Torvis. Il paesaggio mutò un’altra volta con la piantumazione di estesi pioppeti che sostituirono i campi coltivati a canna gentile. In seguito alla cessata produzione di cellulosa causata dalla eccessiva offerta mondiale, lo stabilimento industriale negli anni Novanta si convertì alla produzione di paste chimiche e semichimiche da legno. Negli anni successivi si passò alla chimica specializzata e chimica fine con l’ingresso nelle strutture di altre aziende come la Caffaro S.p.A. e la Spin S.p.A. del Gruppo Bracco.
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L’architetto: Giuseppe De Min
L’architetto: Giuseppe De Min
Giuseppe De Min (1892-1968) originario di Urbino si trasferì a Milano molto presto con la sua famiglia per ragioni di lavoro. Si ritiene importante ricordare la discendenza da Giovanni De Min (1786-1859) artista e pittore bellunese. De Min, architetto milanese, appare come una figura di secondo piano nel panorama della storia dell’Architettura del Novecento, ricordato principalmente per il progetto della città di Torviscosa e dei suoi edifici. A partire dagli anni Trenta venne coinvolto in interessanti ed importanti collaborazioni con Alessandro Rimini per l’edificio dell’UPIM (1938) e Gio Ponti per il Palazzo Donini (1939-52) entrambi in piazza San Babila a Milano. Nelle immediate vicinanze realizzò l’autorimessa Traversi (1936-38) il primo autosilo a più piani della città. Ma il collaboratore e committente più importante della sua carriera fu il cugino Franco Marinotti, noto industriale dell’epoca, presidente della Snia Viscosa e della Provincia di Milano. De Min infatti divenne l’architetto di fiducia di Marinotti e lavorò per il resto della sua carriera alle dipendenze della Società Snia. La figura di De Min, architetto della generazione di Portaluppi e Muzio, può quindi essere letta come quella dell’“architetto del principe”, onesto e valente tecnico, capace di dare risposte, in tempi brevi, ai desideri del committente.(1)
Negli anni Quaranta sempre commissionato da Marinotti lavorò a Vittorio Veneto, città natale di quest’ultimo, per il progetto dell’asilo “Piccola Resi” e per la ristrutturazione della villa privata dell’industriale. A Milano in Via Borgonuovo, nelle immediate vicinanze della sede della società, rinnovò l’abitazione di Marinotti. 1
Bortolotti Massimo, Torviscosa: Nascita di una città, pag. 81 31
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana Per inquadrare la natura di queste architetture e per comprendere questa fase di produzione nella città dell’architetto, di seguito vengono proposte due brevi descrizioni, la prima del palazzo Donini per leggere le tendenze architettoniche messe in atto da diversi progettisti in una zona così nevralgica della città e la seconda dell’autorimessa Traversi per conoscere De Min nel contesto milanese.
4.1 Palazzo Donini, Milano
La zona dell’attuale piazza San Babila fino agli anni Trenta era composta da un fitto tessuto edilizio che per conseguenza della crescita demografica fu interessato da pesanti lavori di riassetto urbano. Nel 1931 il nuovo piano regolatore prevede la costruzione di una nuova piazza che comporta importanti demolizioni degli edifici popolari sostituiti da nuovi edifici di carattere modernista. Il lato nord della piazza è definito dalla Torre Snia Viscosa di Alessandro Rimini, l’autorimessa Traversi e il palazzo dell’UPIM entrambi progettati da De Min. Nel lato ovest trova spazio la nuova galleria di attraversamento progettata da Emilio Lancia e Raffaele Merendi. L’isolato a est che dall’Ottocento ospitava diverse case veneziane venne demolito per affidare il progetto di una nuova realizzazione al gruppo di progettisti guidato da Gio Ponti, che comprendeva Alessandro Rimini, Giuseppe De Min, Giuseppe Casalis, Eugenio Soncini e Antonio Fornaroli. Nel 1939 iniziò la progettazione dell’isolato, diviso in 12 lotti che definiscono una continuità edilizia su tre lati, mentre sul fronte est predispongono due ingressi per la corte interna (Fig.4.2). Il gruppo di progettisti lavora con la volontà di attribuire all’insediamento un aspetto sobrio e omogeneo nonostante il carattere frammentario dell’edificio destinato a ospitare negozi, uffici e abitazioni. La facciata (Fig. 4.1) è caratterizzata da una divisione orizzontale data dal cambio dei materiali e da una cadenza di allineamenti verticali generata dalle aperture finestrate. Il marmo bianco dei primi quattro piani del basamento dell’edificio contrasta con la tessitura lapidea color giallo ocra dei livelli superiori. L’edificio ha un porticato a doppia altezza che serve spazi commerciali al piano terra e al piano mezzanino dotati di ampie vetrate contenute da montanti in metallo, con balconcini al piano mezzanino. Agli uffici sono riservati gli ambienti dal primo al quarto piano, mentre i livelli superiori sono destinati alla residenza. La facciata inoltre è scandita da quattro finestroni posti in asse con i balconi, corrispondenti ai grandi saloni a doppia altezza.
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L’architetto: Giuseppe De Min
Fig. 4.1, Palazzo Donini. Esterno, facciata su piazza San Babila
Fig. 4.2, Palazzo Donini. Planimetria dei lotti
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II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
4.2 Autorimessa Traversi, Milano
Nel 1938 De Min realizza l’autorimessa Traversi (Figg. 4.3, 4.4) nel cuore della città in una posizione prestigiosa in via Bagutta, in prossimità di Piazza San Babila, Corso Venezia e della torre SNIA Viscosa. Il progetto pubblicato da “Rassegna di Architettura”(2) esprime l’abilità dell’architetto di risolvere brillantemente il problema di un lotto irregolare. L’edificio è caratterizzato da due volumi distinti, il basamento composto dai primi due livelli con prospetto a linee rette e prevalentemente in muratura, e il volume soprastante con pianta riconducibile alla forma di un ventaglio. In questi ultimi sei piani con destinazione ad autorimessa la facciata diventa morbida con superfici curve e finestre a nastro. L’edificio dispone di un piano interrato con funzione di manutenzione e lavaggio delle autovetture, servito da una scala elicoidale. Al piano terra (Fig. 4.5) trovano spazio l’accettazione, alcuni uffici di amministrazione ed una grande sala di esposizione con affaccio sull’esterno. Lo spazio espositivo continua in tutti i livelli successivi. Al primo piano il progetto prevede due alloggi di cui uno per il custode e uno destinato a diventare ufficio direzionale. Il rivestimento murale delle facciate è ad intonaco, con una fascia di zoccolo in pietra naturale. Le pavimentazioni interne sono in marmo per gli ambienti direzionali e di abitazione e in battuto di cemento per le aree espositive. L’edificio è stato uno dei primi in città ad essere realizzato con struttura portante in cemento armato con travature di collegamento tra i pilastri di facciata opportunamente dimensionati per permettere grandi luci per gli spazi espositivi. L’architetto ha previsto per questo edifico soluzioni all’avanguardia come un gruppo elevatore, installato nella parte retrostante del fabbricato, composto da tre montacarichi di dimensione e portata diversa, inoltre i serramenti con telaio metallico sono dotati di apertura elettrica azionabile simultaneamente da ciascun piano e dall’ufficio centrale. La cessata attività del garage dal 2003 ha portato a un progressivo avanzamento del degrado del complesso. Molte autorevoli personalità del mondo della cultura e della società milanese hanno espresso la volontà di difendere lo storico edificio da eventuali demolizioni o trasformazioni. Nel 2007 è giunta la decisione di Carla Di Francesco, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, di apporre il vincolo di salvaguardia monumentale atto a tutelare questo edificio come esempio di architettura razionalista.
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Nuova autorimessa a Milano, in “Rassegna di Architettura“, novembre 1938, pp. 477-481.
L’architetto: Giuseppe De Min
FIg. 4.3, Autorimessa Traversi nel 1938.
Fig. 4.4, Autorimessa Traversi. Esterno allo stato attuale
Fig. 4.5, Autorimessa Traversi. Pianta piano terra 35
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La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Torviscosa rappresenta un interessante modello urbanistico ed economico fondato sull’unione tra attività industriale ed agricola. Lo stabilimento e le agenzie agricole sono il presupposto per la sua esistenza ed insieme all’insediamento residenziale concretizzano i tre punti cardine della creazione di questa città. Seppur facente parte del fenomeno delle “città di fondazione” proposto dal regime negli anni Trenta, Torviscosa si distingue dalle altre per la sua natura, ossia la connessione tra industria e agricoltura, fortemente influenzata dall’ideologia autarchica dell’azienda e dalla politica nazionale. Giuseppe De Min nel momento in cui dovette progettare l’impianto planimetrico della nuova città si trovò a disposizione un territorio libero e riordinato dove però esistevano ancora alcuni edifici dell’antico borgo di Zuino (Fig. 5.1). L’architetto sfruttò queste preesistenze inglobandole nel progetto e non solo recuperandone la funzione ma anche seguendo il loro allineamento. Le settecentesche case coloniche (Fig. 5.1) generarono il primo asse estovest su cui De Min decise di creare uno spazio trapezoidale con la chiesa di Santa Maria Assunta, anch’essa settecentesca, situata al centro (Fig. 5.5). Questo spazio è destinato ad essere un grande giardino ed a ospitare a ovest il complesso delle scuole. Il giardino dotato di precisi percorsi interni è delimitato ad est da un asse viario nord-sud che supera la ferrovia e scende per tutta la tenuta agricola facendo da filtro tra la zona occupata dallo stabilimento e quella destinata alla città. Ad ovest invece il trapezio è segnato da una strada che si inarca leggermente per fiancheggiare la piazza principale del municipio e per ospitare il corpo principale 37
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Fig. 5.1, Mappa catastale del 1811
dell’edificio scolastico. A nord e a sud di questo spazio centrale si generano due zone anch’esse trapezoidali distinte per funzioni diverse. A nord trovano spazio, immerse nel verde, le attrezzature sportive e gli edifici ricreativi mentre a sud la zona è riservata alle residenze degli operai, nello specifico tipologie in linea e a schiera (Fig. 5.5). Queste due zone sono collegate visivamente da un asse leggermente inclinato che attraversa il giardino centrale partendo dalla fontana monumentale a nord, passando per l’ingresso delle piscine per terminare con la torre dell’osservatorio agricolo trasformato successivamente in mensa operaia. Nella parte nord De Min progetta anche una strada che ha origine nell’esedra prospiciente all’ingresso dello stabilimento e che costeggia le attrezzature sportive. Questa via, che prende il nome di Viale Villa, è caratterizzata ai lati da una sequenza di colonnati e pergolati che ospitano statue e vasi di forma novecentista. Questa strada concepita come una sorta di passeggiata immersa nel verde ma con disegno pulito e razionale è la testimonianza della volontà dell’architetto di creare scorci e spazi con valenza scenografica e di forte impatto prospettico. La progettazione della città è quindi scandita da assi che generano spazi dilatati all’interno dei quali troviamo gli edifici circondati da aree verdi. Nonostante l’insediamento sia immerso nella campagna friulana, il verde diventa un elemento fondamentale nella progettazione degli spazi; infatti il suo compito è quello di organizzare e scandire planimetricamente, insieme agli assi viari, il susseguirsi di edifici. 38
La cittĂ : analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Fig. 5.2, Piano regolatore, 1938, Arch. De Min
Fig. 5.3, Piano regolatore, 1942, Arch. De Min
Fig. 5.4, Piano regolatore, 1960, Ufficio tecnico SAICI 39
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana Esiste anche una connessione visiva e altimetrica tra le diverse porzioni funzionali della città. Qui troviamo due allineamenti cardinali: il primo nord-sud, già citato, tra la fontana monumentale delle piscine e la torre dell’osservatorio che fa capo alle residenze operaie; il secondo est-ovest tra la torre dello stabilimento concepita come un enorme fascio littorio, successivamente raddoppiata, e la torre dell’edificio comunale. Con questi quattro elementi entrano in relazione le funzioni principali dell’insediamento e si viene a creare una sorta di gerarchia che risulta proposta anche nella progettazione degli edifici e nei loro dettali estetici. Osservando i piani regolatori redatti da De Min (Figg. 5.2 e 5.3) si nota la volontà di concentrare nella parte centrale della città tutti gli edifici e gli spazi pubblici. L’asse ovest-est infatti risulta concepito come un susseguirsi di piazze: quella del mercato progettata nel retro del palazzo comunale, delimitata da edifici porticati a blocco, non è mai stata realizzata; nel fronte opposto, uno spazio rettangolare identifica la piazza principale della città, esistente, confinata da due edifici simmetrici a blocco commerciali e residenziali e nell’ultimo fronte dall’edificio scolastico. Una terza piazza venne prevista di fronte alla chiesa, che doveva essere ampliata e ristrutturata, ma anche questo progetto non fu realizzato. Per come è concepita nel suo impianto planimetrico e per le caratteristiche dei suoi edifici, la città assume varie sfumature, alcune derivanti dal concetto delle città giardino, alcune invece ancorate alla tradizione friulana e alla giovane dottrina fascista anti-urbana. Queste caratteristiche le conferiscono un aspetto variato dove l’ordine gerarchico rimane sempre chiaro. Gli edifici immersi nel verde rimandano ai concetti propri delle città giardino ma allo stesso tempo rispecchiano l’idea promossa dal regime di creare nuclei di carattere rurale e tradizionale. A questo aspetto coincide il concetto di “decentramento degli insediamenti” volto a creare degli insediamenti di carattere tradizionale simili alle realtà spontanee. I materiali e i dettagli degli edifici giocano un ruolo importante in questi aspetti, che verranno approfonditi nel prossimo sottocapitolo. Risulta interessante notare come De Min volle creare una sorta di collegamento tra la fabbrica e la città separate da un’importante asse viario nord-sud (Fig. 5.5). Di fronte all’ingresso dello stabilimento, l’architetto progetta una piazza ad esedra poligonale confinata da due importanti edifici: il Teatro e il Ristoro. Disposti come facessero parte di una scenografia sono la porta di ingresso alla zona ricreativa della città. Il lavoratore a fine giornata è introdotto in una sorta di percorso che lo accompagna alla sua abitazione passando per il viale dei pergolati già introdotto sopra. Questo grande spazio, un tempo Piazza dell’Autarchia, oggi Piazzale Franco Marinotti, fa dialogare la grande volumetria della fabbrica con le realtà più contenute dell’insediamento cittadino. 40
La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
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4 Fig. 5.5, Schema planimetrico della città Assi planimetrici: Arancio. Asse di simmetria est-ovest Verde. Asse Fontana-Osservatorio Blu. Viabilità principale est-ovest Magenta. Viabilità principale nord-sud Rosso. Viale Villa, zona ricreativa e sportiva Nero. Ferrovia Venezia-Trieste
Luoghi e punti simbolo: 1. Chiesa di Santa Maria Assunta 2. Piazza del Popolo, Municipio 3. Fontana monumentale, complesso sportivo 4. Torre dell’osservatorio, mensa operaia 5. Piazzale Marinotti: Ingresso stabilimento
Zone e funzioni:
Stabilimento industriale
Villaggio operaio: case a schiera e in linea
Giardino trapezoidale centrale
Zona ricreativa: Teatro e Ristoro
Zona sportiva: piscine, tennis, stadio
5.1 Lessico architettonico: materiali e forme
Come già anticipato, la città, divisa in zone funzionali, assume carattere grazie al suo impianto planimetrico e ai suoi edifici. Il disegno dei singoli elementi, seppur semplice, nel complesso rivela una certa varietà che viene espressa grazie alle soluzioni progettuali, alle linee, ai volumi e ai materiali impiegati. Le destinazioni d’uso degli edifici e il loro valore sociale vengono ribaditi attraverso la tipologia edilizia, le finiture, le forme ed i materiali. Una delle caratteristiche più evidenti di Torviscosa è l’uso del mattone rosso a vista, con il quale è costruito l’intero stabilimento industriale. Questo materiale identifica inoltre gli edifici di servizio come il teatro, il ristoro, la scuola, l’asilo e la palestra. I volumi dalle linee semplici e pulite vengono accostati tra loro, piuttosto che compenetrati, e la loro posizione traslata crea variate soluzioni d’ombra. Il mattone viene ad essere impiegato largamente nel resto della città per 41
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana evocare uno stato di appartenenza al territorio friulano e alla sua storia di fornaci. Come già ricordato, nella zona di Malisana esistevano diverse fornaci e si può dedurre che l’architetto abbia coniugato le origini industriali e contadine del luogo usando il mattone come materiale per leggere la storia e la tradizione dell’attuale insediamento. L’uso di questo materiale, per De Min, rappresenta anche un rimando alle tendenze architettoniche novecentiste milanesi da cui deriva la sua esperienza. Il mattone lo troviamo inoltre nelle architetture residenziali ma non lasciato interamente a vista, bensì appare come citazione; costituisce cornici, lesene e altri dettagli decorativi. In questi edifici prevale l’uso dell’intonaco, messo in opera con finitura rustica, per richiamare ulteriormente la tradizione locale. L’unico edificio dove il mattone non viene impiegato a vista è il Palazzo Comunale, caratterizzato da un rivestimento esterno in intonaco, pietra naturale ed artificiale. Questa architettura, contrapponendosi con la mole della fabbrica, diventa il simbolo della città grazie alla sua volumetria articolata e alla torre dell’orologio che domina la piazza. Gli ampi archi del porticato si ripetono lungo i lati dell’edificio facendo da filtro tra la piazza esistente e quella del mercato, prevista nel retro ma non realizzata. Il palazzo per importanza istituzionale e funzionale si distingue quindi dagli altri per la sua posizione baricentrica all’intero insediamento e per l’utilizzo di materiali meno rustici. Seppur nel complesso emerge una continua varietà, osservando nel dettaglio, la progettazione di De Min risulta abbastanza semplice. L’asse di simmetria per comporre i prospetti, le aperture ripetute e costanti ed i volumi essenziali caratterizzano la totalità degli edifici. Questo aspetto è giustificabile da un lato dal carattere razionalista della stagione architettonica e dall’altro dall’esigenza di utilizzare forme adatte alla funzione dei fabbricati senza aggiunte superflue; risulta altresì importante tenere in considerazione i tempi rapidi in cui è stato progettato e realizzato, appena un anno. Risulta chiaro che non ci fu il tempo necessario per maturare il processo di progettazione di ogni singolo edificio. Questo aspetto emerge nei disegni ancora conservati negli archivi, dove alcune trascuratezze grafiche sono appunto causate dalla frettolosa progettazione e dalla necessità di iniziare i lavori. La semplicità delle realizzazioni si rispecchia anche nelle soluzioni tecnologiche adottate. A differenza di alcune architetture razionaliste degli anni Trenta, gli edifici di De Min, ma soprattutto le residenze, espongono gocciolatoi, cornici, soglie e camini, come rimando alla tradizione locale. Grazie a questi accorgimenti gli edifici vantano un ottimo stato di conservazione a più di 70 anni dalla loro costruzione. Osservando gli edifici si possono riconoscere due forme compositive ricorrenti che caratterizzano gran parte dei prospetti: l’arco e il riquadro. Il primo viene usato 42
La cittĂ : analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Figg. 5.6, Dettagli, materiali e forme a Torviscosa 43
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Fig. 5.7, Schema del raddoppio dello stabilimento del 1940
nel grande porticato del palazzo comunale come elemento di filtro. In questo caso viene adottato l’arco per attribuire all’edificio rigore ed eleganza. Viene impiegato inoltre nelle case operaie, nell’edificio di ingresso alle piscine e nello stadio come elemento decorativo e come rimando all’architettura tradizionale. Intonacati, lasciati a vista o impiegati solo in piccole porzioni, gli archi creano continue connessioni tra gli edifici. Il riquadro generalmente costituisce le cornici delle aperture ma viene inoltre utilizzato nei prospetti per interrompere la costanza di ampie superfici murarie. Grazie a riquadri e lesene che generano ombre e rilievi, le facciate, seppur semplici, assumono plasticità.
5.2 Lavoro: lo stabilimento e le agenzie agricole
Come già anticipato, una delle caratteristiche peculiari di Torviscosa che la distinguono dalle altre città di fondazione degli anni Trenta è la coniugazione tra industria e agricoltura. Questi due aspetti sono stati concepiti come unità indipendenti ma allo stesso tempo sono entrambi indispensabili per il funzionamento dell’intero ciclo produttivo. Lo stabilimento occupa la parte orientale dell’intero insediamento, un importante asse viario lo separa dalla zona abitata. Planimetricamente gli edifici che lo compongono si sviluppano secondo la direzione est-ovest per un chilometro circa; 44
La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
la strada di distribuzione funge anche da asse di simmetria. I fabbricati industriali sono divisi in undici reparti, dai magazzini di raccolta nell’estremo orientale fino agli uffici direzionali a ovest posti all’ingresso su Piazzale Marinotti, passando per tutti gli impianti di lavorazione e di ricerca. Inizialmente gli edifici corrispondevano a 400.000 metri cubi per poi passare a 600.000 metri cubi con il raddoppio dello stabilimento nel 1940 (Fig. 5.7). Gli edifici che si susseguono lungo l’asse centrale si differenziano per dimensioni e volumetria in rapporto alla loro funzione. Le facciate sono trattate tutte allo stesso modo: murature in mattoni rossi a vista, lesene, cornici e grandi aperture finestrate. La disposizione degli edifici industriali e la loro varietà volumetrica creano una visione prospettica e scenografica, tipica dei progetti di De Min, dove le due grandi torri dominano la scena. L’aspetto imponente e costante degli edifici e la loro semplicità architettonica sono l’espressione del pensiero pratico del presidente della società, Marinotti, che non era interessato ad attribuire eccessiva modernità all’architettura come si usava in quegli anni. La volontà era di creare uno stabilimento funzionale ed efficiente per cui la modernità consisteva nella rapidità di trasformazione di un territorio ostile in una zona fertile e adatta ad ospitare un ambizioso progetto autarchico. L’intero territorio della SAICI destinato all’agricoltura fu diviso in 7 unità aziendali. Ad ogni unità faceva capo un’agenzia composta da una serie di edifici con funzione residenziale e produttiva. Alcune agenzie vennero costruite ampliando insediamenti preesistenti costituiti da case coloniche ottocentesche. Questi edifici corrispondono alle tipologie usuali dell’architettura rurale locale: fabbricato per abitazione su più livelli con un grande portico di accesso all’aia e annessi spazi per stalle, fienili e magazzini. Negli altri casi la SAICI costruì le agenzie al centro del loro territorio di competenza come nuclei autonomi. Attorno a un’ampia corte interna rettangolare con lavatoio e abbeveratoio centrale, sorgevano i fabbricati adibiti a abitazioni, uffici, rimesse, stalle.
5.3 Spazi pubblici e sociali
Analizzando la città di Torviscosa non passano di certo inosservati gli impianti sportivi e gli edifici dedicati alle attività del tempo libero. Come già accennato questi spazi trovano collocazione nella parte nord rispetto al giardino trapezoidale centrale. In rapporto al numero di abitanti gli spazi ricreativi e sportivi risultano sovradimensionati. Questo aspetto fa parte della politica dell’azienda che, in sintonia con l’ideologia del regime fascista, voleva creare, attorno al lavoratore, 45
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana un micro-cosmo dove offrire una serie di attività che lo impegnassero nelle ore successive a quelle lavorative. La volontà era quella di impostare e controllare la giornata dell’operario in modo che non sentisse il bisogno di inurbarsi. Alla luce di questa considerazione, la posizione di questi spazi non risulta casuale. Un aspetto interessante riguarda il fatto che le attività dopolavoristiche, a Torviscosa, venivano interamente organizzate dall’azienda, mentre nelle altre realtà del Regime erano gestite dall’Opera Nazionale Dopolavoro che a sua volta dipendeva dal Partito Nazionale Fascista. Non è un caso quindi che a Torviscosa non venne progettata e costruita una Casa del Fascio; non c’era bisogno di un’ulteriore sede per dirigere queste operazioni. Affacciati su piazzale Marinotti, antistante all’ingresso dello stabilimento industriale, sorgono due edifici dall’aspetto scenografico, il teatro-dopolavoro e il ristoro (Figg. 5.8 e 5.9). Il cinema-teatro fu uno dei primi edifici ad uso sociale costruiti a Torviscosa. Le foto d’epoca sono la testimonianza che la struttura esterna era ultimata già in occasione dell’inaugurazione del 1938; successivamente vennero completate le finiture e gli interni per la sua inaugurazione nel gennaio del 1939. Si tratta di un edificio piuttosto grande rispetto alla popolazione residente a Torviscosa e per questo si può dedurre che venne progettato nella previsione di un aumento demografico. La planimetria rivela un tradizionale impianto a ferro di cavallo con due corpi laterali di servizio. Sia in pianta che in alzato è organizzato secondo un asse centrale di simmetria. Dal punto di vista volumetrico è composto da più elementi accostati tra cui emerge quello centrale per dimensione e plasticità. Come gli edifici industriali è costruito con una struttura in cemento armato e le murature sono interamente in mattoni lasciati a vista; le coperture dei volumi sono piane ad
Fig. 5.8, Teatro, Ristoro ed in centro il Viale Villa 46
La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
FIg. 5.9, Esedra degli spazi ricreativi e inizio Viale Villa. Plastico di Torviscosa conservato al CID
eccezione di quello centrale che presenta una copertura a falde inclinate con una lanterna a coronamento. Nel corso della sua attività il teatro svolge un ruolo importante nel meccanismo di consenso e di promozione della SAICI: è il luogo dove si svolgono le cerimonie aziendali e dove le delegazioni straniere, alla fine delle visite e degli incontri, vengono portate da Marinotti per assistere a concerti o spettacoli tenuti da importanti artisti italiani e stranieri. La SAICI è consapevole che il consenso sociale non si può ottenere solo con il lavoro e con le cerimonie aziendali e in quest’ottica all’interno e intorno al cinema-teatro vengono organizzate numerose iniziative dopolavoristiche. Oltre alle proiezioni cinematografiche, del sabato e della domenica, si svolgono all’interno della struttura: spettacoli teatrali, rassegne corali, concerti di musica leggera, serate danzanti; mentre nei corpi laterali e negli spazi esterni vengono organizzate mostre fotografiche ed esposizioni pittoriche. Il teatro negli anni settanta cessò la sua attività e attualmente necessita di pesanti opere di ristrutturazione dovute al progressivo deperimento della struttura e delle sue finiture. L’edificio del ristoro, posto simmetricamente al teatro, anch’esso realizzato con struttura in cemento armato e con murature in mattoni a vista, presenta volumi semplici e puliti. L’asse di simmetria e le aperture regolari disegnano il prospetto principale. Il volume centrale in origine presentava due livelli e un pergolato come coronamento; successivamente venne ampliato e aggiunto un terzo livello, in 47
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Fig. 5.10, Tribuna coperta del campo sportivo
coerenza con quelli sottostanti, rimuovendo il pergolato. Questo edificio era riservato a impiegati e dirigenti, mentre gli operari si recavano presso la mensa aziendale creata con il rifacimento dell’osservatorio di Ricerche Agrarie. Offrire ampi spazi e diverse possibilità per lo svago e nel particolare per praticare attività sportiva, è sempre stato un punto fermo per la SAICI. L’azienda riteneva infatti indispensabili le attività sportive, in coerenza con le tendenze ideologiche del Regime, per una vita serena dei suoi lavoratori. Lo sport era visto come uno strumento per migliorare le capacità fisiche e morali delle persone ed è per questo che a Torviscosa venne prevista un’intera zona per queste finalità. Tra le strutture sportive emerge per collocazione e importanza, il complesso delle piscine. Come già introdotto, il parco delle piscine si trova a lato del lungo Viale Villa, una strada dal sapore scenografico allestita con pergolati che ha origine tra il teatro ed il ristoro. Il complesso è costituito da un edificio di servizio per gli spogliatoi e da tre vasche di diverse dimensioni e profondità. In pianta le piscine alludono alla forma di un fascio littorio come richiamo all’alta torre dello stabilimento. In asse con l’ingresso principale sorge una fontana monumentale in mattoni a vista. Attualmente le piscine sono state ridimensionate e l’edificio di ingresso è stato demolito e ricostruito. Più a ovest troviamo i campi da tennis e lo stadio di calcio. Originariamente quest’ultimo era stato previsto a ridosso del complesso delle piscine ma fu costruito solamente negli anni Sessanta in una zona leggermente periferica. La tribuna 48
La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
coperta dello stadio è stata progettata dall’Ingegner Pietro Babighian(1); si tratta di una struttura in cemento armato dove in prospetto viene ripreso il tema dell’arco usato come partito compositivo e decorativo che dona ritmo e plasticità (Fig. 5.10). La palestra infine trova spazio in prossimità della scuola, dietro la chiesa, in una posizione decentrata rispetto agli altri complessi sportivi. La palestra è concepita come un edificio industriale: una grande aula rettangolare in muratura di mattoni a vista, contornata da aperture regolari.
5.4 Alloggi
Come già anticipato, gli alloggi, come gli altri edifici sono distribuiti nella planimetria cittadina con un criterio basato sull’importanza e sulla destinazione d’uso. La Snia adottò la politica aziendale di assegnare l’abitazione operaia ai lavoratori mantenendone la proprietà; solo dopo anni di servizio e di fedeltà, secondo precisi coefficienti e meccanismi di calcolo, diventava di proprietà del lavoratore. Questa politica della casa di proprietà aveva il fine di creare la continuità della tradizione familiare e di legare l’operaio alla cittadina e quindi alla fabbrica in modo da scoraggiare la conflittualità sociale e il desiderio di inurbarsi. I dipendenti, secondo l’ideologia aziendale, dovevano trovarsi in un contesto sicuro e tranquillo costituito dal lavoro, dalla famiglia e dalla propria abitazione. Nelle schede proposte di seguito verranno analizzate, contestualizzate e descritte in breve nelle loro caratteristiche più importanti le varie declinazioni dei tipi edilizi residenziali progettati da De Min per Torviscosa. Sono esclusi da questa serie i due edifici residenziali per impiegati, che verranno ampliamente affrontati nella terza parte di questa tesi nella loro analisi e rappresentazione. Elenco delle schede seguenti: - Case per operai, tipologia in linea - Case per operai, tipologia a schiera - Case rurali per salariati agricoli - Case per funzionari - Case per tecnici - Case “Ville di sopra” A e B 1 Analisi delle architetture storiche presenti nel Comune di Torviscosa. Campo sportivo, scheda A-02 compilata dall’Arch. Monica Bellantone nel 1995. 49
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Case per operai, tipologia in linea Arch. Giuseppe De Min, Torviscosa, 1941-44 Le case popolari in linea, anche conosciute come “case gialle”, si trovano nella zona sud rispetto al giardino trapezoidale centrale ed insieme alle case a schiera, realizzate accanto, costituiscono il villaggio popolare operaio. In totale sono stati costruiti 12 edifici di case in linea disposti parallelamente su 4 file con orientamento nord-sud. Gli edifici sono stati inseriti in una rigida griglia ortogonale, elemento tipico degli insediamenti operai che ricorre anche in altri quartieri popolari realizzati dalla Snia in altre realtà urbane italiane. I quattro corpi a nord e quelli a sud presentano una conformazione volumetrica discontinua: con coppia di alloggi ad un piano sul livello di terra alle estremità e 8 alloggi su un piano disposti su due livelli nel corpo centrale. Gli edifici centrali, invece, assumono un volume uniforme con due piani di alloggi su tutta la superficie per un totale di 12 alloggi ciascuno. Tutti gli edifici sono dotati di scantinato accessibile attraverso le scale comuni. La struttura verticale è realizzata in murature di mattoni e le strutture orizzontali sono in latero-cemento. Il manto di copertura è in tegole su ossatura portante in legno. Gli alloggi sono serviti a coppie da una scala comune; la disposizione interna esprime una massima economia dei materiali e degli spazi con una semplificazione delle soluzioni architettoniche ed estetiche. Gli alloggi sono composti da cucina, bagno e due camere oppure con soluzione a camera singola. La cucina è concepita come ambiente centrale e dilatato, simbolo dell’unità e del benessere familiare. Le superfici esterne sono finite con intonaco rustico di colore giallo e solo in pochi dettagli compare il mattone a vista che è presente come cornice dei portali di ingresso e nella zoccolatura. I prospetti principali sono scanditi solamente dalla presenza delle finestre e delle porte; quelli laterali, pieni, sono invece decorati da lesene e archi ciechi. Lungo le estremità degli edifici esterni concludono l’appezzamento delle quinte arboree create con graticci in muratura e pergolati su colonne. Tra gli edifici si delimitano degli spazi utilizzati come corti comuni adibiti ad orto-giardino.
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La cittĂ : analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Planimetria di contesto
Fig. 5.11, Esterno case in linea allo stato attuale
Fig. 5.12, Pianta piano rialzato e piano primo, blocco centrale Scala 1/200 0
5M
Fig. 5.13, Testata del blocco 51
II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Case per operai, tipologia a schiera Arch. Giuseppe De Min, Torviscosa, 1943-46; 1951-52; 1961-62 Le case operaie a schiera, anche conosciute come “Colombaie”, si collocano in planimetria ad ovest delle case operaie in linea, quindi nella parte sud rispetto alla zona centrale della cittadina. Si tratta di 10 blocchi di case a schiera disposti parallelamente a coppie, secondo l’asse est-ovest. I blocchi sono costituiti da 5 a 7 alloggi disposti su due piani; in alcuni casi è prevista una soluzione di testa con un mini-alloggio al piano terra con ingresso sul retro. Le murature sono realizzate in mattoni e le strutture orizzontali in laterocemento. Il manto di copertura è in tegole su tavellonato poggiato su ossatura portante in legno. Le scale interne, private, sono realizzate in calcestruzzo armato e rivestite con lastre di marmo. La disposizione interna è molto semplice e condizionata dal principio economico e di minimizzazione degli spazi. Al piano terra, con ingresso a nord, si trova la zona giorno composta da un’ampia cucina con soggiorno; al piano primo due camere, un bagno e un terrazzino esposto a nord. Il prospetto nord è caratterizzato dalla sequenza alternata di archi, che segnano il sottoportico d’ingresso alle singole abitazioni, e da terrazze al piano primo. Questi ultimi, quasi nella loro totalità, negli anni successivi alla realizzazione del complesso, sono stati tamponati per ricavare un’ulteriore stanza; così facendo si è compromessa la plasticità della facciata principale. Il fronte opposto è scandito da un portico con arcate a doppia altezza che protegge le camere dall’esposizione solare. In alcuni casi, negli anni, sono state ricavate delle terrazze, profonde quanto il porticato, a livello del primo piano. In tal caso l’aspetto slanciato e arioso del fronte sud è venuto a mancare. Questa soluzione di casa a schiera risulta atipica rispetto allo schema tradizionale in quanto il linguaggio architettonico è espresso dalla costante presenza dell’arco ed il bizzarro utilizzo di finestre circolari. Le superfici sono trattate con intonaco rustico e il mattone a vista compare solamente come cornice alle aperture e come decorazione degli stipiti degli archi di ingresso. Ogni unità abitativa è dotata di un appezzamento privato adibito ad ortogiardino accessibile dal porticato posto nel fronte sud.
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La cittĂ : analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Planimetria di contesto
Fig. 5.14, Fronte nord, fotografia del 1948
Fig. 5.16, Fronte sud allo stato attuale
Fig. 5.15, Pianta piano terra e primo Scala 1/200 0
Fig. 5.17, Particolare sottoportico di ingresso
5M
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II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Case rurali per salariati agricoli Arch. Giuseppe De Min, Frazione di Malisana, Torviscosa, 1949 I lavoratori agricoli alloggiavano presso le agenzie agricole poste al centro del loro appezzamento di competenza. Generalmente questi insediamenti erano composti da vecchie case coloniche preesistenti; nella frazione di Malisana vennero comunque realizzate due copie del modello di abitazione destinato ai salariati agricoli secondo progetto di De Min. Questo modello doveva costituire l’espansione edilizia del borgo rurale di Malisana. Il fabbricato è elevato a tre piani e ospita in totale 6 unità abitative: due per piano. Il primo e il secondo piano sono serviti da quattro scale esterne indipendenti. Lo schema è quello tipico della casa rurale friulana con porticato e scale esterne. È evidente la volontà dell’architetto e del suo committente di realizzare opere che abbiamo un forte legame con il territorio. Dal punto di vista volumetrico l’edificio è composto da un corpo centrale e da due ali simmetriche leggermente ribassate. Gli alloggi al piano terra e al piano primo sono composti da una ampia cucina con soggiorno, tre camere e un bagno; i due alloggi al secondo piano, presentano un’ampia cucina, due camere, un bagno e un ripostiglio. Le murature sono realizzate in mattoni e rivestite con intonaco semplice. La copertura è in tegole curve su una struttura portante in legno. Il mattone compare solo come zoccolatura perimetrale al piano terra. Le finestre dotate di scuretti attribuiscono ulteriormente un aspetto rustico e tradizionalmente friulano.
Fig. 5.18, Sezione trasversale Scala 1/200
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La cittĂ : analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Frazione di Malisana
Fig. 5.19, Esterno
Fig. 5.20, Pianta piano terra e prospetto Scala 1/200 0
5M
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II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Case per funzionari Arch. Giuseppe De Min, Torviscosa, 1947-49, ampliamento 1955-73 L’architetto progettò un modello di villa bifamiliare per funzionari del quale vennero realizzati due edifici. Questi si collocano nel Viale Villa, che nasce nell’esedra antistante all’ingresso dello stabilimento, in corrispondenza degli edifici ricreativi, Teatro e Ristoro, e si conclude, passando per il centro sportivo, con lo stadio. La zona è caratterizzata dal susseguirsi di statue e vasi, di carattere novecentista, realizzati dall’artista Leone Lodi. I due fabbricati hanno un orientamento diverso fra loro in quanto, l’asse longitudinale forma un angolo di 45° con la strada e uno di 90° con l’edificio gemello. L’asse centrale di simmetria divide le due unità abitative che sono disposte su tre livelli fuori terra e uno scantinato con locali di servizio. Gli ingressi, indipendenti, sono posti sulle estremità, sotto un portico dominato da colonne e archi a tutto sesto. Negli anni cinquanta e settanta questi portici vennero tamponai per ricavare altri locali di soggiorno. Per ogni unità, una sola scala in legno unisce i quattro livelli, collegando la zona giorno posta al piano terra, leggermente rialzato, e i due livelli superiori di zona notte dotati di camere e servizi. Gli spazi interni, rispetto alle abitazioni per operai, risultano più ampi e, in numero più generoso, presentano rifiniture meno rustiche ed economiche. Per i pavimenti vennero previsti parquet per le camere e piastrelle in granito e in ceramica per gli altri locali dell’abitazione. La struttura è realizzata in mattoni con solai in laterizio e cemento armato; la copertura è a falde con manto in tegole poggiato su tavellonato e ossatura portante in legno. Le superfici esterne sono ad intonaco e il mattone a vista compare solo come zoccolatura perimetrale. I due fabbricati, inoltre, sono dotati di un ampio giardino.
Fig. 5.21, Esterno allo stato attuale 56
La cittĂ : analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Planimetria di contesto
Fig. 5.22, Esterno, fotografia del 1948
Fig. 5.23, Pianta piano terra e piano primo Scala 1/200 0
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II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Case per tecnici Arch. Giuseppe De Min e Ing. Pietro Babighian, Torviscosa, 1956-57, 1961 Le palazzine destinate agli alloggi per tecnici sono collocate, in planimetria, all’incrocio tra il Viale Villa e l’asse viario nord-sud che raggiunge la piazza principale della città. I due edifici gemelli assumono allineamenti diversi: la loro posizione risulta speculare risetto all’asse est-ovest. Questa disposizione riprende l’assetto degli altri edifici già realizzati nella zona: il Teatro, Ristoro e le due bifamiliari per funzionari. I due edifici vengono realizzati in momenti diversi: il primo nella seconda metà degli anni cinquanta e l’altro nei primi anni sessanta. La palazzina, elevata su tre piani fuori terra e un seminterrato, ospita 6 appartamenti e presenta una conformazione ad angolo. La pianta a “farfalla” si compone di uno spazio centrale con una grande scala di distribuzione, segnato in prospetto da due grandi finestre a nastro verticali, e ai lati, due corpi simmetrici, ospitano tre appartamenti per parte. Ogni alloggio è dotato di un soggiorno-pranzo, una cucina, tre camere e due bagni. Al piano seminterrato si trovano i posti auto e dei locali di ripostiglio. La palazzina è costruita con un’ossatura portante in cemento armato e tamponata da murature in mattoni. La copertura si presenta come una terrazza impermeabilizzata non praticabile. La scala centrale è realizzata in cemento armato e rivestita in lastre di marmo. Per i locali di abitazione sono stati previsti: granulato di marmo per i locali di servizio e parquet nelle camere e nei locali di soggiorno. Le superfici esterne sono rivestite con intonaco e, in questo caso, il mattone rosso a vista scompare del tutto dall’immagine del fabbricato. In questa soluzione abitativa scompare il carattere rustico che caratterizza gli altri esempi residenziali. Forse per il periodo i cui sono state realizzate queste due palazzine, e probabilmente per le richieste diverse della committenza, in questi edifici scompare l’uso del mattone a vista, la copertura a falde e, la configurazione in pianta semplice e regolare si modifica a favore di soluzioni più articolate.
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La cittĂ : analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
Planimetria di contesto
Fig. 5.24, Esterno, fotografia del 1960
Fig. 5.25, Esterno allo stato attuale
Fig. 5.26, Pianta piano terra Scala 1/200 0
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II. Seconda parte: Torviscosa, l’esperienza friulana
Case “Ville di Sopra” A e B Arch. Giuseppe De Min, Torviscosa, A 1940-41; B 1942-44 Le case in oggetto si trovano nella porzione nord rispetto al grande trapezio centrale e sono inserite tra la strada che lo delimita e il retrostante Viale Villa. Questi fabbricati sono costituiti da preesistenti case coloniche settecentesche e da nuovi fabbricati accostati a queste ultime. Il loro allineamento creò l’asse che diede origine al piano urbanistico di Torviscosa. Le Ville di Sopra A, collocate a sud del complesso Teatro-dopolavoro, sono costituite da un edificio colonico in linea, ristrutturato tra il 1940 e il 1941, e da un edificio a blocco retrostante collegato al primo per mezzo di porticati e terrazze. Il complesso è interamente destinato a residenze: si estende in parte su due livelli e in parte su tre. Il prospetto sud è lineare, con ai piani superiori una doppia fila di finestre cui corrispondono, al piano terra, aperture analoghe o abbinate alternate ad ingressi, un’unica bifora interrompe la regolarità del prospetto; la superficie rosso mattone è modulata dalle chiare cornici marcapiano e da quelle delle aperture. Il fronte nord è più articolato: qui si affaccia il fabbricato retrostante, ad intonaco chiaro, con parte delle finestre a tutto sesto. Gli archi proseguono anche nel porticato posto su due livelli che unisce i due fabbricati e conduce al cortile interno, dove si moltiplicano porticati, terrazze, scale e pergolati, motivo unificante del complesso.
Fig. 5.28, Case coloniche, anni ‘20
Fig. 5.27, Ville di Sopra A allo stato attuale 60
Fig. 5.29, Ville di Sopra A allo stato attuale
La città: analisi planimetrica, suddivisione per funzioni
B
Planimetria di contesto
A
Fig. 5.30, Planimetria Ville di sopra A e B
Il complesso delle Ville di Sopra B nasce da una trasformazione e da una realizzazione avvenuta tra il 1942 e il 1944. Collegato, per mezzo di arcate a tutta altezza a sezione quadrata, alle Ville di Sopra A, si colloca a est di queste ultime. Il complesso è composto da quattro fabbricati collegati attraverso porticati e terrazze: il primo a sud, in linea, disposto su tre livelli, con attività commerciali al piano terra e al primo e al secondo piano alloggi con ingresso su ballatoi; e tre retrostanti, a blocco, disposti su due o tre livelli, destinati unicamente ad abitazioni; ai piani superiori si accede tramite scale esterne a giorno. Il prospetto sud è lineare ed è scandito dalle vetrine di negozi al piano terra e dalla doppia fila di finestre ai piani superiori. L’alternanza di alcune porzioni intonacate e altre finite con mattoni a vista smorza la lunghezza e la ripetitività degli allenamenti verticali. Il fronte nord è molto articolato: il fabbricato centrale, più elevato, ha alla base una serie di archi a doppia altezza, aggettanti, coperti a terrazza, e una loggia come coronamento; nei due blocchi laterali, posti su due livelli, ritorna il motivo della loggia al piano primo, e il porticato al piano terra; il mattone a vista compare in piccoli elementi per conferire continuità. Anche gli affacci sulla corte sono articolati, dove si moltiplicano porticati, terrazze, scale e pergolati che diventano il motivo unificante dell’intero complesso.
Fig. 5.31, Ville di Sopra B, fotografia del 1950
Fig. 5.32, Ville di Sopra B allo stato attuale 61
III. Terza Parte Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
6 Analisi architettonica
Analisi architettonica
In questa parte della tesi si propone l’analisi e la rappresentazione degli edifici, ad uso commerciale e residenziale per gli impiegati (cfr. fig. 6.2) della SAICI, siti nell’attuale Piazza del Popolo, originariamente Piazza Impero.
Tra tutti i tipi residenziali presenti a Torviscosa, progettati da Giuseppe De Min, è stato scelto questo per diverse motivazioni: i due edifici costituiscono due fronti della piazza più importante dell’intero insediamento, inoltre sono stati tra i primi edifici residenziali realizzati, seguiti dalle case in linea del villaggio operaio. Grazie a questo aspetto si potranno delineare le caratteristiche peculiari della matrice architettonica di quegli anni in rapporto con il contesto e con le vicende storiche delle origini di Torviscosa delle quali si è già discusso nei capitoli precedenti. Come si può notare dalla planimetria di contesto (cfr. fig. 6.1) i due edifici di alloggi, uguali e speculari, caratterizzano i fronti nord e sud dello spazio rettangolare della piazza organizzato con quattro grandi aiuole che impostano la viabilità. Ai lati est e ovest troviamo rispettivamente l’edificio scolastico con una facciata rigida e interamente rivestita in mattoni rossi a vista, e al lato opposto, l’edificio comunale caratterizzato da una volumetria più articolata, dall’utilizzo di materiali meno rustici e da una torre civica, simbolo della città di fondazione. Allo stato attuale i due edifici risultano ampliati nella parte retrostante con nuovi corpi di fabbrica che vanno ad attribuire una conformazione con pianta a C del singolo edificio, passando così da una costruzione in linea ad una a blocco (Tav. 4). Il ridisegno e la rappresentazione, proposti in questa tesi, fanno riferimento al progetto originario elaborato dall’Architetto Giuseppe De Min tra il 1940 e il 1942, durante il periodo di elaborazione e di realizzazione. Negli anni successivi furono 65
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
Fig. 6.1, Planimetria piazza del Popolo, 1940-42 Scala 1/2000
Fig. 6.2, Alloggi per impiegati, piazza del Popolo, 2015 66
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Analisi architettonica
previsti, dall’ufficio tecnico della SAICI, ampliamenti e diverse piccole varianti. La scelta di escludere queste aggiunte deriva dalla volontà di proporre l’edificio nella sua veste originaria così da coglierne i caratteri compositivi e tipologici originali. Come risulta dai documenti di “Denuncia inizio nuovi lavori”, in data 25.03.1941 iniziarono i lavori per la realizzazione dei due edifici per impiegati e del palazzo comunale(1). Secondo un atto dell’ufficio tecnico sanitario le abitazioni e i locali commerciali vennero dichiarati agibili il 10.12.1942. Le analisi seguenti si riferiscono ai due edifici nella loro configurazione iniziale, quindi prima degli ampliamenti degli anni Cinquanta. Analisi geometrico-compositiva In planimetria l’edificio si presenta come un rettangolo con un leggero risvolto nelle due estremità retrostanti. Il prospetto principale risulta piuttosto lineare ed è composto dal basamento in mattoni a vista porticato e dal primo piano intonacato con lesene in mattoni alle estremità. Il fronte retrostante appare più articolato: il primo pano arretra rispetto a quello sottostante lasciando emergere i tre volumi dei corpi scala. Si viene a creare una terrazza, sulla copertura del piano terra, delimitata da un parapetto in muratura risolto come una grande cornice marcapiano. Il portico che caratterizza il fronte principale, segnato da pilastri rettangolari in mattoni a vista, ospita le vetrine degli ambienti commerciali e gli ingressi alle abitazioni tramite vani scala. La linearità del prospetto principale viene interrotta dalle soluzioni angolari che delimitano la facciata ed attribuiscono un carattere più monumentale all’edificio. Alle estremità del porticato i pilastri proseguono al primo piano come lesene fino alla linea di gronda, così da attribuire l’aspetto di due torri laterali. Una coppia di colonne, in pietra artificiale, rafforza l’ultima campata, più ampia delle altre; di seguito, al piano superiore, una porta finestra permette l’accesso ad un balcone; in copertura, sopra la cornice di gronda, una quinta muraria di circa un metro, fa da coronamento alla soluzione angolare così da slanciare l’intero prospetto, dove prevale la dimensione orizzontale. Nel prospetto rivolto sulla piazza si nota il preciso allineamento verticale degli elementi attraverso una griglia costante di assi di composizione. La cornice marcapiano al primo livello e quella in copertura seguono l’andamento orizzontale della facciata delimitando le varie parti funzionali e compositive dell’edificio. La presenza del mattone a vista risulta caratterizzante in quanto permette una connessione visiva e materica con il contesto e con gli altri edifici; inoltre, i dettagli 1 Le date e le informazioni sugli edifici sono presenti nella “Relazione Tecnica” della SAICI di Torviscosa datata 25 marzo 1941. 67
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati in laterizio guidano la lettura del prospetto nei suoi elementi principali, i pilastri, le cornici delle aperture ed i decori in aggetto che fanno da coronamento. Il prospetto, nella fascia centrale, tra le due cornici, viene scandito e movimentato dall’alternanza delle aperture e dalle loro decorazioni composte da due soluzioni distinte. L’architetto decise di alternare due moduli di finestre diversi (Fig. 6.3): il primo di 120x160 centimetri dotato di una cornice di mattoni a vista disposti di fascia e da un timpano, in aggetto, in mattoni disposti a costa. La seconda versione prevede una apertura di 150x190 centimetri con una cornice di mattoni disposti a costa ed una fascia in aggetto realizzata con il medesimo assetto. Nel fronte retrostante le decorazioni in mattoni scompaiono cosÏ da semplificare il suo aspetto piÚ articolato.
Fig. 6.3, Particolare delle due soluzioni decorative delle aperture Scala 1/50
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Analisi architettonica
Analisi tipologico-funzionale e dimensionale Gli alloggi per impiegati, come detto, sono distribuiti su due edifici uguali e speculari, ognuno con 6 unità abitative poste al primo piano. Al piano terra trovano spazio 8 locali commerciali dotati di un ambiente retrostante con servizi. L’edificio rientra nella tipologia edilizia in linea, ossia caratterizzata da aggregazioni lineari di unità abitative accorpate a due a due ad un collegamento verticale. Nel caso specifico abbiamo tre corpi scala che permettono l’accesso a due alloggi ognuno. Esiste inoltre un sottotetto a funzione di magazzino. I locali commerciali, tra negozio, spazio retrostante e servizi, hanno una superficie che va da 45 a 60 metri quadri ciascuno. Le residenze, invece, hanno una dimensione in pianta che va dai 52 mq della più contenuta, con una sola camera da letto, passando per i 75 mq degli alloggi con due camere ed infine, le residenze ad angolo che raggiungono 105 mq con tre stanze da letto. Le abitazioni sono caratterizzate da un’ampia cucina che definisce la zona giorno, da un bagno e dalle camere da letto. Le residenze più ampie hanno un bagno di servizio collegato alla cucina. I fabbricati hanno una lunghezza di circa 50 metri sul fronte principale, quello rivolto sulla piazza, mentre sui fronti laterali misuravano in origine 16 metri. Nel 1954, gli edifici, vennero ampliati nello spazio retrostante inserendo altri locali commerciali e residenziali insieme a diverse autorimesse. Con questo ampliamento gli edifici assumono una conformazione classificabile come costruzioni a blocco, in quanto l’aggregazione lineare tende a circoscrivere la corte interna. L’altezza di gronda supera di poco i 9 metri e non ha subito trasformazioni tra la fase di progetto e quella i realizzazione. Analisi strutturale e dei materiali Secondo la Relazione Tecnica(2) redatta dalla SAICI la conformazione strutturale dell’edificio era prevista come segue: “Le murature tutte di fondazione, scantinato e zoccolo, saranno in getto di calcestruzzo semplice, le murature di elevazione sono previste in mattoni o blocchi di calcestruzzo. Il solaio a copertura del piano terra è previsto a volta di mattoni, muretti di rinfianco, piano di tavellonato e caldana in cemento. Il solaio del piano rialzato sarà in piano formato di tavellonato poggiante su muretti da cm. 13 e interasse di m. 0.80 - 1.00 - e caldana in cemento; mentre il solaio a copertura del primo piano si farà in legno - sottofondo in tavolato greggio, pavimento in tavelle di cotto e soffitto in arelle palustri
2 Relazione Tecnica redatta dalla SAICI di Torviscosa datata 25 marzo 1941 conservata presso l’archivio comunale. 69
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
Fig. 6.4, Piazza del Popolo, 1963
intonacate. La parte coperta a terrazza avrà pure solai a colta, riempimento caldana, strato isolante e pavimentazione a quadroni di cemento. La copertura è prevista in tegole marsigliesi, tavellonato, mezzi morali e ossatura in legno abete.”
Alla luce di questa relazione non si è certi che il complesso edilizio sia stato realizzato come descritto in quanto non c’è la possibilità di verificare direttamente la conformazione strutturale sul posto. I pavimenti dei locali di servizio ossia cucina, negozi e sottoportico sono stati previsti a terrazzo mentre le camere e gli ambienti di soggiorno si predisponeva il parquet. Le scale interne sono realizzate in calcestruzzo armato e presentano un rivestimento in lastre di marmo; la pietra naturale viene impiegata anche per i davanzali interni delle finestre e per le cornici delle vetrine dei negozi. La pietra artificiale è prevista per alcune decorazioni e per finimenti esterni. La maggior parte delle superfici sono realizzate ad intonaco di tipo comune sia all’interno sia all’esterno. Decorazioni e dettagli, come i timpani e le cornici delle aperture, i pilastri e il sottoportico sono realizzati con mattone a vista. Le finestre e le porte esterne sono state previste in legno di abete colorito con avvolgibili in pino nazionale. Le porte interne invece sono intelaiate di abete. 70
Analisi architettonica
I serramenti delle vetrine dei negozi sono in legno duro e sono dotate di serranda avvolgibile in maglia di ferro. La scelta di impiegare questi materiali semplici ed economici e la scarsità di elementi superflui, come in tutte le architetture di questa cittadina, viene motivata dalla seguente dichiarazione presente nella Relazione Tecnica della SAICI: “I fabbricati vogliono essere contenuti in quella stretta necessità autarchica che impone lo stato attuale di emergenza, perciò si è limitato l’impiego del ferro, e limitato l’uso di quei materiali che possono avere influenza sull’economia nazionale.”(3)
Linguaggio architettonico Il linguaggio architettonico di questi due edifici ripercorre i punti chiave già introdotti nel paragrafo 5.1. Il mattone a vista e il rivestimento ad intonaco caratterizzano l’intero edificio. Nel porticato al piano terra non vennero impiegati gli archi a tutto sesto, forse per non entrare in conflitto con l’importante edificio destinato al municipio comunale che costituisce il fronte ovest della piazza. Lo spazio rettangolare della piazza, nei primi disegni prospettici di De Min raffiguranti il palazzo municipale, risulta spoglio eccetto quattro statue delle quali non si conoscono i soggetti, poste ognuna sul proprio podio e dislocate nello spazio a creare un quadrato. Questi elementi tendono a richiamare il già citato Viale Villa, caratterizzato dal susseguirsi di pergolati e statue novecentiste realizzate da Leone Lodi. La piazza però non venne allestita in questo modo bensì vennero predisposte quattro aiuole che delimitano la viabilità veicolare con al centro un pozzo circolare.
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Tratto da “Relazione Tecnica” 25 marzo 1941. 71
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
6.1 Elaborati originali, Arch. Giuseppe De Min, 1940
Di seguito vengono riportati i primi elaborati firmati da De Min, datati aprile 1940, per il progetto degli alloggi per impiegati. Fino al momento della costruzione questi edifici subirono alcune modifiche, perlopi첫 sul fronte principale; tra queste: la variante di facciata del 1942, che prevede le cornici alla aperture e le decorazioni a trabeazione ed a timpano.
Fig. 6.5, Pianta primo piano, De Min
Fig. 6.6, Pianta piano terra, De Min
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Analisi architettonica
Fig. 6.7, Prospetto principale, De Min
Fig. 6.8, Prospetto sul giardino, De Min
Fig. 6.9, Prospetto laterale e sezione trasversale, De Min 73
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La rappresentazione metafisica
La rappresentazione metafisica
Nel capitolo successivo vengono raccolte le rappresentazioni bidimensionali e tridimensionali delle residenze per gli impiegati nel loro contesto di piazza del Popolo a Torviscosa. Gli elaborati di rappresentazione tridimensionale sono stati
realizzati seguendo alcune delle caratteristiche grafiche della pittura metafisica con lo scopo di restituire un’immagine enigmatica dello spazio architettonico in oggetto. Diventa necessario quindi introdurre il tema applicato e riportare una breve analisi delle figure di riferimento studiate a tal fine. La scelta di approfondire e di applicare questo registro grafico alla rappresentazione non è stata casuale, bensì fondata su diverse motivazioni. I primi decenni del Novecento furono particolarmente importanti per la storia dell’arte e dell’architettura, infatti in questo periodo si manifestarono il fenomeno delle città di fondazione fasciste e l’architettura razionalista ed inoltre nacquero il movimento artistico e culturale del futurismo e quello della pittura metafisica. A questo proposito, i temi affrontati in questa tesi si legano, offrendo una lettura più estesa dell’oggetto architettonico preso in considerazione: attraverso la ricerca del contesto storico della città di appartenenza, l’analisi tecnica ed infine una considerazione sull’influenza artistico-culturale dell’arte sul progettista e sul metodo di rappresentazione applicato. Bortolotti, nel testo “Torviscosa. Nascita di una città”, commenta i disegni dell’architetto De Min per la piazza del Popolo con le seguenti parole: “Tale spazio, nelle prospettive acquerellate e nelle maquettes del progettista, sembra assumere, 75
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati popolato com’è solo da statue classiche, un’aria vagamente metafisica(1).”
Osservando le due rappresentazioni prospettiche firmate da De Min per la piazza di Torviscosa (Figg. 7.1 e 7.2) si possono notare diverse caratteristiche legate alla rappresentazione pittorica metafisica tra cui lo spazio deserto, abitato solo da statue dalle sembianze anonime e le ombre lunghe che spezzano i colori piatti delle superfici. Oltre al confronto di natura grafica tra i disegni di De Min e alcuni dipinti di de Chirico, si ritiene importante ricordare che quest’ultimo, negli anni ’40, era già un personaggio affermato del panorama dell’arte in Italia e nel mondo; di conseguenza si può dedurre che De Min, al momento della progettazione di Torviscosa, avesse preso visione delle opere dell’artista e ne avesse tratto ispirazione. Per analogie tematiche e grafiche risulta interessante osservare il lavoro dell’architetto Aldo Rossi seppur in contrasto temporale con le altre considerazioni formulate sopra. Lo studio della sua visione personale dello spazio in architettura e dei suoi disegni sono stati caratterizzanti per l’elaborazione delle rappresentazioni finali. Di seguito vengono proposti due brevi approfondimenti: il primo sulla pittura metafisica di de Chirico, considerato il padre di questa corrente artistica, con la volontà di comprendere le linee guida della sua cifra stilistica attraverso la presentazione di qualche opera; il secondo su Rossi e la sua grafica per inquadrare l’influenza della rappresentazione metafisica negli anni successivi applicata all’architettura.
7.1 La pittura metafisica di Giorgio de Chirico
La pittura metafisica nacque in Italia, a Ferrara in particolare, grazie a Giorgio de Chirico (1888-1978) tra il 1915 e il 1918. Fu una novità rispetto alla pittura delle avanguardie e dei futuristi, anche per il ritorno dei soggetti classici che ricordavano l’antichità greca e romana ed i temi del risorgimento nazionale. Nel futurismo la velocità e il dinamismo sono le principali caratteristiche; nella metafisica invece predomina l’immobilità più assoluta. Il futurismo a Torviscosa trova ampio spazio in quanto, Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), considerato il padre di questo movimento artistico-culturale, scrisse nel 1938 il Poema di Torre Viscosa(2). Questo testo, commissionatogli da Franco Marinotti, esalta le origini industriali dell’insediamento e la natura autarchica della sua gestione. Se questo aspetto futurista può caratterizzare la frenetica produzione industriale e lo spirito di 1 Bortolotti Massimo, Torviscosa: Nascita di una città, pag. 92 2 Per la lettura del poema si veda Bortolotti Massimo, Torviscosa: Nascita di una città, pagg. 53-61 76
La rappresentazione metafisica
Fig. 7.1, Rappresentazione prospettica piazza del Popolo, Arch. De Min
Fig. 7.2, Rappresentazione prospettica piazza del Popolo, Arch. De Min 77
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati creazione dell’insediamento, un legame con la corrente metafisica si può riscontrare attraverso gli elaborati grafici di De Min per la piazza del Popolo (Figg. 7.1 e 7.2). Nella pittura metafisica c’è una evidente carica di suggestione, ricca di atmosfere magiche ed enigmatiche, dove si avverte il silenzio più assoluto. I pittori metafisici offrono una visione alternativa della realtà. Gli oggetti raffigurati costituiscono una rivelazione sovrannaturale di una realtà che non ha alcun rapporto con la storia; la composizione grafica delle opere, dove le figure sono accostate in modo incongruo, produce un effetto estraniante. Paesaggi urbani e nature morte sono immersi in un’atmosfera onirica, resa ancor più sinistra dal trattamento realista con cui gli oggetti e lo scenario prospettico sono definiti. Prima di formulare delle considerazioni sulle sue opere, è doveroso scorrere gli eventi più importanti della storia professionale del padre della metafisica: Giorgio de Chirico. L’artista nacque in Grecia nel 1888 da genitori italiani. Nel 1906 si trasferì per studiare in Germania a Monaco, dove venne a contatto con la cultura tedesca più viva del momento. Negli anni Dieci del Novecento si trasferì a Parigi ma rimase estraneo al fenomeno del cubismo che, in quegli anni, grazie a Picasso, rappresentava la più influente novità artistica parigina. In relazione alle avanguardie ebbe un atteggiamento polemico che lo estraniò dal panorama artistico locale. In quel periodo dipinse molti dei suoi quadri più celebri che generalmente vengono classificati con il titolo di “Piazze d’Italia”. Si tratta di immagini di quinte architettoniche che definiscono spazi vuoti e silenziosi dove vi è la presenza di qualche statua. Nel 1916, a Ferrara, de Chirico incontrò Carlo Carrà (1881-1966) ed insieme elaborarono la teoria della pittura metafisica. Questo termine nacque come allusione ad una realtà diversa che va oltre ciò che vediamo e di conseguenza gli oggetti o gli spazi che conosciamo, sembrano rivelare un aspetto del tutto inedito. Dal confronto con Carrà, de Chirico elabora una nuova stagione della sua produzione artistica dove, oltre agli spazi architettonici, entrano in scena i manichini. Questi ultimi, non essendo umani, risultano perfetti per attribuire mistero e malinconia alla composizione. Ne è testimonianza, probabilmente il quadro più famoso di de Chirico, “Le Muse inquietanti”, Ferrara, 1916 (Fig. 7.5). In questo quadro si notano tre figure, due al sole ed una nella penombra dell’edificio sulla destra, le quali condividono lo spazio con altri oggetti che ricordano il mondo dell’infanzia come il bastoncino di zucchero ed alcune scatole colorate. Le statue hanno le sembianze di manufatti antichi coronati da birilli simili a quelli usati nei manichini dei sarti. L’orizzonte si conclude, sulla sinistra, con due torri ciminiere ed un bizzarro edificio bianco a forma troncoconica. Negli anni successivi de Chirico tornò a Parigi ed ebbe un confronto con 78
La rappresentazione metafisica
alcuni surrealisti che lo riconobbero come loro precursore. Tuttavia ebbe un atteggiamento di distacco verso questa nuova poetica e la sua pittura si rivolse sempre più ad una classicità di tipo archeologico, con soggetti come gladiatori e rovine, dove il ricorso alle mitologie fu sempre interpretato in chiave metafisica. Nell’ultima fase di produzione artistica numerosi sono gli autoritratti, in cui l’autore si raccontò attraverso quadri celebrativi fino a quando morì a Roma nel 1978, all’età di novanta anni. Al fine di introdurre la rappresentazione della piazza di Torviscosa, le opere dove viene raffigurata l’architettura e lo spazio circostante sono dunque le più indicate. Tra tutte si fa riferimento a: L’enigma di una giornata (Fig. 7.3), La torre rossa (Fig. 7.4), Le Muse inquietanti (Fig. 7.5), Piazza d’Italia con uomo politico (Fig. 7.6). Osservando queste opere si possono notare alcune caratteristiche comuni che fanno parte della sintassi della pittura metafisica, tra queste: la prospettiva è costruita secondo molteplici punti di fuga incongruenti tra loro che creano un senso di disorientamento visivo. Ne L’enigma di una giornata lo sguardo viene catturato dalla vertiginosa fuga prospettica dell’edificio porticato sulla sinistra. La scena è completata da due alte torri rosse e dalla statua di stile ottocentesco. Il personaggio è riconducibile al politico Cavour(3) e la sua presenza tenta di rappresentare l’Italia e l’evento della sua unificazione. L’orizzonte raffigurato spesso non coincide con l’orizzonte prospettico, come si può riscontrare ne La torre rossa. Prolungando le linee generatrici dei portici laterali si nota l’incongruenza tra le due linee: quella raffigurata risulta più bassa di quella effettiva. Le scene sono dominate, nella maggior parte dei casi, solo da statue e da manichini; l’assenza di persone rappresenta la solitudine, in contrasto con la natura del luoghi raffigurati, ossia le piazze. In questo modo la concentrazione è sulla scena descritta, come fosse una scenografia teatrale. Nel caso de La torre rossa la statua equestre sulla sinistra rievoca il tema del Risorgimento; lo stesso accade nella Piazza d’Italia con uomo politico. Nelle scene gli unici elementi che presuppongono la presenza dell’uomo sono treni a vapore che passano in lontananza e grandi ciminiere fumanti. Le ombre nette e scure appaiono troppo lunghe rispetto a quanto si potrebbe intuire in rapporto alla quantità di luce e questo aspetto suggerisce un’assenza di tempo: la scena appare immobile all’occhio dell’osservatore. Le superfici sono rese con colori piatti; solo il cielo e qualche altro dettaglio richiedono sfumature cromatiche.
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Fagiolo dell’Arco Maurizio, De Chirico, I classici dell’Arte, pag. 92 79
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
Fig. 7.3, De Chirico, L’énigme d’une journée (L’enigma di una giornata), Parigi, 1914
Fig. 7.4, De Chirico, La tour rouge (La torre rossa), 1913 80
La rappresentazione metafisica
Fig. 7.5, De Chirico, Le Muse inquietanti, Ferrara, 1916
Fig. 7.6, De Chirico, Piazza d’Italia con uomo politico, prima metà anni Cinquanta 81
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
7.2 I disegni di Aldo Rossi
Al fine di motivare e contestualizzare la rappresentazione delle residenze per gli impiegati, oggetto di questa tesi, si ritiene opportuno analizzare, seppur brevemente, il contributo dell’Architetto Aldo Rossi (Milano, 1931-1997), all’architettura e al metodo di rappresentazione della stessa. Tra i numerosi architetti, la scelta ricade sull’architetto milanese per il legame della sua tecnica grafica con l’arte della rappresentazione metafisica di de Chirico e di Mario Sironi. Il segno grafico, del tutto personale ed inedito, caratterizzò la sua importante carriera architettonica. Durante la formazione di Rossi, de Chirico era già un artista affermato ed il suo lavoro ebbe modo di influenzare l’architetto nella sua produzione. L’arte e i progetti di architettura dei due autori trovano un punto di incontro, non solo nelle analogie grafiche, ma anche in una visione inedita del significato della piazza e in generale della città. La piazza diventa la vera base dell’edificio per Rossi: nei suoi scritti vi sono rifermenti alle piazze d’Italia metafisiche ed a diversi spazi come piazza Unità d’Italia di Trieste e la piazza dei Miracoli a Pisa. Per Rossi, la piazza, non è da considerarsi in quanto tale, bensì come un insieme di fatti della realtà urbana: Così il significato della piazza rossiana è di far parte vuoi della terra, cioè di una “generatrice”, vuoi di un piano mentale astratto.(4)
Rossi fa riferimento al dipinto del 1916 Le Muse Inquietanti di de Chirico (Fig. 7.5) dove sullo sfondo emerge il Castello di Ferrara: secondo l’architetto in questa rappresentazione metafisica, l’autore ha compreso il valore dello spazio urbano. Lo stesso approccio avviene nel dipinto di Mario Sironi Periferia del 1922 (Fig. 7.7). La piazza, in alcuni casi, diventa parte del progetto stesso sotto forma di corte interna, come ad esempio nel progetto per il Cimitero di Modena dove un recinto costituito da edifici, a parallelepipedo con copertura a falde, circoscrive lo spazio interno adibito a campo di inumazione. La rappresentazione grafica adottata da Aldo Rossi spazia dagli schizzi di preparazione progettuale a quadri a tecnica mista. I disegni non vanno intesi, in questo caso, come mera elaborazione a servizio del progetto, in quanto mettono in scena i molteplici aspetti e le svariate motivazioni che portarono a quella visione dell’architettura. In molti disegni l’architettura appare solamente abbozzata e per questo alcuni di essi non sembrano essere schizzi di preparazione. Una volta concluso l’iter progettuale e la costruzione dell’edificio, questi disegni risultano inaspettatamente 4 82
Savi Vittorio, L’architettura di Aldo Rossi, pag. 89.
La rappresentazione metafisica
Fig. 7.7, Sironi, Periferia, 1922
completi. In alcuni schizzi sono chiare le proporzioni, i materiali e gli spessori. Svariati dettagli si confermano durante la stesura del progetto come tagli, colonne e spazi. Ricorrono spesso, nei disegni dell’architetto, rappresentazioni di progetti ed edifici da lui già realizzati, come se esprimessero una sorta di ossessione. La presenza di questi “appunti” fa riferimento ad analogie e contrapposizioni con le nuove elaborazioni. Non mancano inoltre i monumenti, abbozzati più o meno precisamente che non necessariamente saranno influenti nei progetti in corso, ma che Rossi utilizza per fissare nella sua memoria l’architettura vista. I monumenti e le architetture già realizzate appaiono spesso ammassate nei disegni, ed insieme allo skyline delle città, completano gli schizzi progettuali. Sullo sfondo, generalmente, Rossi raffigura un paesaggio anonimo che pur avendo edifici e simboli precisi, come ad esempio la torre Velasca, non fa riferimento a città precise. Tralicci, campanili, caserme, fabbriche e ciminiere caratterizzano ed incorniciano i disegni. Si deve riconoscere che è dai suoi disegni, più che dall’architettura realizzata, che emerge quella speciale cifra metafisica. In essi non sono particolarmente gli 83
III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati
Fig. 7.8, Rossi, Disegno per il cimitero di San Cataldo, Modena, 1971
Fig. 7.9, Rossi, Composizione con cimitero di Modena e Santo, 1979
edifici, le loro piante, o i loro prospetti, ad essere protagonisti della scena, come neppure lo sono i colori, audaci ma diluiti, a dare carattere alla rappresentazione; neppure la tecnica grafica impiegata, quasi sempre velocemente abbozzata, in prospettiva o più semplicemente in assonometria e in alzato, quanto piuttosto una contestualizzazione più articolata, costruita di tanti oggetti, che siano di pura fantasia geometrica, di suoi progetti precedenti, di riferimenti monumentali ed urbani. Scorrendo i disegni ed i progetti appare evidente che la simmetria e l’assialità planimetrica rivestono un ruolo importante nell’elaborazione dell’architettura. Questo aspetto appare evidente in uno dei progetti più importanti della sua carriera: il cimitero di San Cataldo a Modena (1971-1978). Risultano interessanti due disegni simili tra loro ma di differente datazione e contenuto: Disegno per il cimitero di San Cataldo, Modena, 1971 (Fig. 7.8) e Composizione con cimitero di Modena e Santo, 1979 (Fig. 7.9). In questi due elaborati si possono riscontare diverse analogie con la pittura metafisica affrontata nel paragrafo precedente; tra queste notiamo tinte piatte, ombre lunghe e nette, libero accostamento di riferimenti e suggestioni ed “ambientazione malinconica”. Nel primo caso (Fig. 7.8) si tratta di un disegno di studio, realizzato durante la fase di progettazione del cimitero, nel quale si osserva uno skyline imprecisato costituito da edifici, qualche torre ed un campanile. Come si è anticipato, le città di sfondo non sono necessariamente quelle del contesto reale, di conseguenza, non si può affermare che si tratti di Modena. Nella prospettiva 84
La rappresentazione metafisica
acquisisce importanza, non soltanto la sequenza degli edifici ma anche la loro conformazione interna; si notano infatti due semplici sezioni dei corpi edilizi del recinto. Il secondo disegno (Fig. 7.9), realizzato l’anno successivo alla conclusione del processo progettuale, rivisita la composizione del precedente con alcune variazioni ed alcune aggiunte. In primo piano si riconosce il corpo architettonico del complesso di unità di abitazioni al quartiere Gallaratese a Milano, realizzato da Rossi tra il 1969 e il 1970. In fondo a sinistra, a cornice del disegno, emerge il Teatro del Mondo di Venezia che, al momento della realizzazione del disegno, era stato appena ultimato. Si notano inoltre un edificio rosso con ciminiera sullo sfondo e la sagoma di una persona, appunto il Santo, sulla destra; questi due elementi sembrano rimandare ai quadri di de Chirico dove prevale un’ambientazione caratterizzata da associazioni simboliche probabilmente suggerite dalla memoria.
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Il ri-disegno e la rappresentazione delle residenze in piazza del Popolo
Il ri-disegno e la rappresentazione delle residenze in piazza del Popolo
Il ri-disegno e la rappresentazione degli edifici per impiegati proposti di seguito sono il risultato di diverse fasi preliminari di ricerca ed elaborazione delle informazioni trovate. Inizialmente si è svolta una ricerca archivistica presso il Comune di Torviscosa volta a visionare gli elaborati originali. La ricerca si è completata attraverso la consultazione della rete ed in particolare del portale online del SIRPAC (Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia). Attraverso i dati e gli elaborati grafici ottenuti si è potuto delineare la storia architettonica degli edifici. Si è effettuato un rilievo in piazza del Popolo per confrontare gli elaborati di progetto con la configurazione attuale degli immobili. Il ri-disegno bidimensionale (planimetrie, piante, prospetti e sezione) è stato effettuato attraverso il software di disegno digitale AutoCAD. Per la creazione del modello tridimensionale dei due edifici e dei volumi dei corpi limitrofi è stato utilizzato il software Rhinoceros. Le rappresentazioni tridimensionali sono state elaborate attraverso il software Cinema4D e successivamente post-prodotte mediante il software Photoshop. Nelle pagine seguenti vengono allegate, in formato A3, le rappresentazioni bidimensionali e tridimensionali dei due edifici di residenze per impiegati. Come già anticipato si tratta del progetto originario elaborato dall’Architetto De Min tra il 1940 ed il 1942.
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III. Terza parte: Analisi e rappresentazione delle residenze per gli impiegati Elenco delle Tavole seguenti: 1. Confronto tra progetto originario e stato attuale, planimetrie e assonometrie 2. Confronto tra progetto originario e stato attuale, piante 3. Piante del progetto originario 4. Prospetti e sezione 5. Prospetto principale 6. Rappresentazione tridimensionale, piazza del Popolo 7. Rappresentazione tridimensionale 8. Rappresentazione tridimensionale In Tavola 2 viene riassunto lo stato di fatto dei due edifici in oggetto dopo l’ampliamento degli anni Cinquanta. Le piante sono state ridisegnate sulla base dei disegni elaborati dall’Ufficio tecnico SAICI nel 1963. La distribuzione interna è da ricondursi ai suddetti disegni e quindi anche alla data della loro realizzazione. L’inserimento di questi disegni ha come unico scopo il confronto tra il progetto originale dell’Arch. De Min e gli interventi di ampliamento successivi.
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Planimetria
Planimetria
Assonometria
Assonometria
Progetto originario
Stato di fatto
Torviscosa - Case per Impiegati Confronto tra progetto originario e stato attuale
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Pianta piano primo Edificio nord e sud
Pianta piano primo Edificio nord
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Pianta piano terra Edificio nord e sud
Pianta piano terra Edificio nord
Pianta piano terra Edificio sud
Progetto originario
Stato di fatto
Torviscosa - Case per Impiegati Confronto tra progetto originario e stato attuale
Scala 1/500
0
10M
2
415
520
40
1120
185
10
560
400
530
Pianta piano primo
1885
118
404
118
608 213,5
213,5
302
125
125
302
498
320
Pianta piano terra
565
585 490
225
25
510
20
528
40
50
110
395
300
110
40
495
300
126
300
127
300
127
300
127
1605
40
135
520
220
25
105
426
300
138
420
110
5050
Torviscosa - Case per Impiegati Piante del progetto originario
Scala 1/200
0
5M
3
Prospetto principale
Prospetto laterale
950
810
450
18
0.00 1605
Prospetto retrostante
Sezione trasversale
Torviscosa - Case per Impiegati Prospetti e sezione
Scala 1/200
0
5M
4
Torviscosa - Case per Impiegati Prospetto principale
0
5M
5
Torviscosa - Case per Impiegati Rappresentazione tridimensionale Piazza del Popolo
6
Torviscosa - Case per Impiegati Rappresentazione tridimensionale
7
Torviscosa - Case per Impiegati Rappresentazione tridimensionale
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Conclusioni
Conclusioni
Con questa tesi si è voluto porre l’attenzione sul fenomeno architettonico e urbanistico delle città di fondazione italiane nate durante il Ventennio fascista. In particolare si è analizzato il caso di Torviscosa che ha rivelato un carattere autarchico e industriale differente da quello agricolo delle città dell’Agro Pontino romano. Grazie a questo studio si sono evidenziate le caratteristiche peculiari dei nuovi centri urbani. Sebbene di nuova realizzazione, tali insediamenti furono volutamente contraddistinti da un lessico architettonico rurale e da impianti planimetrici costruiti con griglie ortogonali ed assi principali. La ruralità e la volontà di creare un legame con la storia del Paese si possono definire come meri tentativi scenografici atti a mascherare la modernità dell’intervento. Quei territori, fino a quel momento paludosi e impenetrabili, vennero dotati di insediamenti collocati e progettati con una certa superficialità causata dalle tempistiche ristrette imposte dal regime. Considerando l’evento delle città nuove emerge un aspetto labile della progettazione architettonica e della pianificazione urbanistica. La relazione tra le aspettative e gli effettivi sviluppi di un programma rappresenta un fattore insicuro dell’intero processo. La durata della fase di maturazione del progetto diventa un aspetto molto rilevante. La complessità e la quantità di fattori da tenere in considerazione sono consistenti e di conseguenza necessitano di un analisi puntuale e approfondita. Le città del regime, come detto, furono concepite e realizzate in tempi brevissimi ed inoltre i relativi procedimenti progettuali soffrirono di frammentarietà e improvvisazione. Questa disattenzione portò a diverse conseguenze come l’espansione incontrollata di alcune città inizialmente sottodimensionate e la scomparsa di altri borghi probabilmente costruiti senza una necessità consolidata. Alla luce di queste riflessioni si conferma l’importanza della progettazione in team che coinvolge le diverse figure professionali legate all’intero processo. Attraverso una progettazione più accurata e ampia si può avere un maggiore controllo sulla fase successiva alla realizzazione. Queste analisi hanno portato alla luce il rapporto tra la concezione degli spazi nella città fascista e gli ambienti rappresentati nelle pitture metafisiche in particolare le “Piazze d’Italia” realizzate da de Chirico. Nei dipinti le architetture e le sculture attingono al repertorio della grande eredità greco-romana e l’ambientazione risulta piatta e senza tempo. Nei nuovi insediamenti le piazze sono circoscritte da edifici di carattere classicheggiante che cercano un rimando alla storia e alla tradizione. 97
L’analisi dell’edificio residenziale per gli impiegati ha permesso di estrarre i caratteri di quella stagione architettonica, risultato della contaminazione tra lo stile Novecento, le istanze razionaliste e l’eredità dell’intervento futurista. Le caratteristiche principali sono riconducibili alle linee e alle forme semplici accompagnate dall’accostamento di materiali tradizionali come il mattone e l’intonaco. Il ri-disegno e la rappresentazione, oltre ad essere due strumenti di analisi dell’edificio esistente, hanno evidenziato il valore del disegno nel ruolo dell’architetto. Sebbene nel tempo i metodi siano cambiati, attraverso gli strumenti tradizionali o informatici il progettista comunica il suo punto di vista e le sue scelte.
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Elenco delle figure
Elenco delle figure
I. Prima parte Figura copertina prima parte: Raccolta delle fascine di Canna Gentile a Torviscosa, in Vie nuove: volti e luoghi di Torviscosa, foto Aragozzini, 1940 Fig. 1.1, Impianto planimetrico Città di Mileto. http://www.treccani.it/ Fig. 1.2, Palmanova, vista aerea. www.turismo.it/ Fig. 2.1 Piazza di Littoria. http://www.casadellarchitettura.eu/ Fig. 2.2 Piazza di Guidonia. http://www.guidonia.org/ Fig. 2.3, Torre littoria, Littoria. http://www.comune.latina.it/ Fig. 2.4, Torre littoria, Sabaudia. http://www.h24notizie.com/ Fig. 2.5, Torre littoria, Fertilia. http://www.panoramio.com/ Fig. 2.6, Torre littoria, Pomezia. https://it.wikipedia.org/ Fig. 2.7, Torre littoria, Aprilia. https://it.wikipedia.org/ Fig. 2.8, Torre della casa del fascio, Mussolinia. https://pinterest.org/ Fig. 2.9, Torre civica, Torviscosa. Foto dell’autore, 2015. Fig. 2.10, Torri littorie, Torviscosa. Foto dell’autore, 2015.
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II. Seconda parte Figura copertina seconda parte: Torviscosa, veduta aerea, in Le Vie d’Italia, 1963. Fig. 3.1, Torre di Zuino. Ricostruzione, scansione da Deluisa, Torviscosa. Cenni storici. Fig. 3.2, Castello di Torre di Zuino dei Signori Savorgnan. Sansione da Deluisa, Torviscosa. Cenni storici. Fig. 3.3, Lo stabilimento Snia dopo il raddoppio degli anni ‘40. Archivio Primi di Torviscosa, fotografia aerea del 1956. Fig. 3.4, Agenzia 1. Archivio SAICI, fotografia aerea del 1948. Fig. 4.1, Palazzo Donini. Esterno, facciata su piazza San Babila. http://www.lombardiabeniculturali.it/ Fig. 4.2, Palazzo Donini. Planimetria dei lotti. Archivio Civico Milano, Edilizia Privata, atti n° 84734/1952. http://www.lombardiabeniculturali.it/ FIg. 4.3, Autorimessa Traversi. Fotografia pubblicata su “Nuova autorimessa a Milano”, in “Rassegna di Architettura”, novembre 1938. Fig. 4.4, Autorimessa Traversi. Esterno. http://www.lombardiabeniculturali.it/ Fig. 4.5, Autorimessa Traversi. Pianta piano terra. Archivio Civico Milano, Edilizia privata, atti n° 182655/1939. http://www.lombardiabeniculturali.it/ Fig. 5.1, Mappa catastale del 1811. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.2, Piano regolatore, 1938, Arch. De Min. Archivio Comunale di Torviscosa. Fig. 5.3, Piano regolatore, 1942, Arch. De Min. Archivio Comunale di Torviscosa. Fig. 5.4, Piano regolatore, 1960, Ufficio tecnico SAICI. Archivio Comunale di Torviscosa. Fig. 5.5, Schema planimetrico della città. Estratto Google Earth. Figg. 5.6, Dettagli, materiali, forme a Torviscosa. Foto dell’autore, 2015. Fig. 5.7, Schema del raddoppio dello stabilimento del 1940. https://focusonpast. wordpress.com/ Fig. 5.8, Teatro, Ristoro ed in centro il Viale Villa. http://casabellaweb.eu/ in “La città di Giuseppe De Min”. FIg. 5.9, Esedra degli spazi ricreativi e inizio Viale Villa. Plastico di Torviscosa conservato al CID. Foto dell’autore, 2015. Fig. 5.10, Tribuna coperta del campo sportivo. Archivio SAICI, fotografia del 1958. Fig. 5.11, Esterno case in linea allo stato attuale. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.12, Pianta piano rialzato e piano primo, blocco centrale. Bortolotti, Torvisco100
Elenco delle figure
sa: nascita di una città. Fig. 5.13, Testata del blocco. Analisi delle architetture storiche presenti nel Comune di Torviscosa. Arch. Monica Bellantone, 1995. Fig. 5.14, Fronte nord, fotografia del 1948. Archivio SAICI. Fig. 5.15, Pianta piano terra e primo. Archivio SAICI. Fig. 5.16, Fronte sud allo stato attuale. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.17, Particolare sottoportico di ingresso. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.18, Sezione trasversale. Bortolotti, Torviscosa: nascita di una città. Fig. 5.19, Esterno. Analisi delle architetture storiche presenti nel Comune di Torviscosa. Arch. Monica Bellantone, 1995. Fig. 5.20, Pianta piano terra e prospetto. Bortolotti, Torviscosa: nascita di una città. Fig. 5.21, Esterno allo stato attuale. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.22, Esterno, fotografia del 1948. Archivio SAICI. Fig. 5.23, Pianta piano terra e piano primo. Archivio SAICI. Fig. 5.24, Esterno, fotografia del 1960. Archivio SAICI. Fig. 5.25, Esterno allo stato attuale. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.26, Pianta piano terra. Archivio SAICI. Fig. 5.27, Ville di Sopra A allo stato attuale. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.28, Case coloniche, anni ‘20. Archivio Primi di Torviscosa. Fig. 5.29, Ville di Sopra A allo stato attuale. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 5.30, Planimetria Ville di sopra A e B. Estratto Carta Tecnica Regionale FVG. Fig. 5.31, Ville di Sopra B, fotografia del 1950. Archivio Primi di Torviscosa. Fig. 5.32, Ville di Sopra B allo stato attuale. http://www.ipac.regione.fvg.it/
III. Terza parte Figura copertina terza parte: Alloggi per impiegati, foto dell’autore, 2015. Fig. 6.1, Planimetria piazza del Popolo. Disegno dell’autore. Fig. 6.2, Alloggi per impiegati, piazza del Popolo. Foto dell’autore, 2015. Fig. 6.3, Particolare delle due soluzioni decorative delle aperture. Disegno dell’autore. Fig. 6.4, Piazza del Popolo, Archivio SAICI, 1963. Fig. 6.5, Pianta primo piano, De Min, 1940. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 6.6, Pianta piano terra, De Min, 1940. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 6.7, Prospetto principale, De Min, 1940. http://www.ipac.regione.fvg.it/ Fig. 6.8, Prospetto sul giardino, De Min, 1940. http://www.ipac.regione.fvg.it/ 101
Fig. 6.9, Prospetto laterale e sezione trasversale, De Min, 1940. http://www.ipac. regione.fvg.it/ Fig. 7.1, Rappresentazione prospettica piazza del Popolo, Arch. De Min. Bortolotti, Torviscosa: nascita di una città. Fig. 7.2, Rappresentazione prospettica piazza del Popolo, Arch. De Min. Bortolotti, Torviscosa: nascita di una città. Fig. 7.3, De Chirico, L’énigme d’une journée (L’enigma di una giornata), Parigi, 1914. http://www.fondazionedechirico.org/ Fig. 7.4, De Chirico, La tour rouge (La torre rossa), 1913. http://www.fondazionedechirico.org/ Fig. 7.5, De Chirico, Le Muse inquietanti, Ferrara, 1916. http://www.fondazionedechirico.org/ Fig. 7.6, De Chirico, Piazza d’Italia con uomo politico, prima metà anni Cinquanta. http://www.fondazionedechirico.org/ Fig. 7.7, Sironi, Periferia, 1922. https://storify.com/ Fig. 7.8, Rossi, Disegno per il cimitero di San Cataldo, Modena, 1971 Fig. 7.9, Rossi, Composizione con cimitero di Modena e Santo, 1979. Ferlenga Alberto (a cura di), Aldo Rossi. Architetture 1959-1987.
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Bibliografia
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Rappresentazione metafisica Fagiolo dell’Arco Maurizio, De Chirico, I classici dell’Arte - Il Novecento, Rizzoli per il Corriere della Sera, 2004 Ferlenga Alberto (a cura di), Aldo Rossi. Architetture 1959-1987, Electa, 1987 Savi Vittorio, L’architettura di Aldo Rossi, Franco Angeli Editore, Milano, 1981
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Sitografia
Sitografia
CittĂ di fondazione http://www.treccani.it/ http://www.instoria.it/ http://www.globnet.it/
Torviscosa
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Architetto Giuseppe De Min
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Rappresentazione metafisica
http://www.fondazionealdorossi.org/ http://www.treccani.it/ http://www.fondazionedechirico.org/ http://www.francescomorante.it/
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare coloro che mi hanno aiutato alla stesura di questa tesi. Ringrazio il Professor Arch. Roberto Petruzzi per la sua disponibilitĂ e per avermi seguito durante il periodo di stesura della tesi. Ringrazio il Sig. Mareno Settimo, Assessore alla Cultura di Torviscosa, per la sua disponibilitĂ e per avermi aiutato a reperire il materiale archivistico necessario per la mia ricerca. Vorrei inoltre ricordare tutti coloro che mi hanno incoraggiato e sostenuto durante tutto il periodo accademico. Ringrazio innanzitutto i miei genitori che mi hanno permesso di intraprendere questo percorso sostenendomi fin dal primo giorno. Grazie a mia sorella per il suo prezioso supporto. Un ringraziamento particolare va ai colleghi di universitĂ ed agli amici che mi sono stati vicini durante questo percorso importante.