POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Architettura e Società Corso di Laurea I liv. in Scienze dell Architettura
LA GEOMETRIA DELLE VIGNE
Bertoni Stefano 204686 Relatore Prof. Arch. Darko Pandakovic Anno accademico 2007/2008
LA GEOMETRIA DELLE VIGNE
3
In copertina: Regina Conti, Vendemmia, olio su tela 1931.
Indice
Introduzione
p. 7
La vite disegna la storia del paesaggio
p. 9
Egizi
p. 15
Ebrei
p. 19
Greci
p. 23
Romani ed Etruschi
p. 29
Medioevo ed epoca moderna
p. 39
La geometria dei vigneti Preservare la memoria
p. 47
Le forme nei vigneti
p.51
Le forme nel territorio del Canton Ticino
p. 71
Tra Italia e Ticino
p. 79
Galfetti
p. 91
Riscoperta
p. 97
Snozzi
p.103
Conclusioni
p.115
" "
6
Introduzione
“ L architettura abbraccia la considerazione di tutto l ambiente # o che circonda la vita umana. Non possiamo sottrarci ad essa, #nche facciamo parte del consorzio civile, perchĂŠ l architettura è l insieme delle #che e delle alterazioni
introdotte sulla # e terrestre, in vista delle necessità umane, eccettuato solo il puro deserto.� (W.Morris, the prospects of Architecture in civilization, 1947).
L uomo è attore in senso assoluto, domina la natura ed è in grado di subordinarla ad uno scopo. Secoli di progresso però ci hanno
allontanato sempre piĂš ogni cosa e gli attori stupende #e disposizione, arrivando inseguire il progresso.
da essa. Nelle cittĂ il cemento soffoca del teatro urbano perdono di vista le che il mondo naturale ci mette a # o a distruggerle nel tentativo di
7
“Solo dopo che l!ultimo albero sarà stato abbattuto. Solo dopo che l!ultimo fiume sarà stato avvelenato. Solo dopo che l!ultimo pesce sarà stato catturato. Soltanto allora scoprirai che il denaro non si mangia.” (Profezia degli indiani Cree)
L!uomo, inconsciamente, sta cercando di uccidere se stesso, un suicidio tecnologico. Quando la nostra corsa verso la connessione, verso la comunicabilità, verso le cablature, verso una raccolta di sapere sarà completa, ci accorgeremo che le cose che inseguiamo sono scomparse; e che la colpa di questa scomparsa è imputabile esclusivamente al nostro comportamento. La natura perdona, sapientemente avvolge ciò che l!uomo costruisce, lo distrugge riportandolo alla terra; purifica l!aria che l!uomo avvelena, soffia sulle nuvole acide che le fabbriche rilasciano. Ma dove si trova il punto critico? fino a quando ci si potrà comportare in questo modo? ma soprattutto, è giusto non pensare alle generazioni che arriveranno, abituandole a comportamenti insani che poi loro, legittimate dall!esempio paterno, ripeteranno senza porsi domande?
8
La vite disegna la storia del paesaggio.
" Pangea è il nome che, nel Mesozoico, avevano tutte le terre emerse e che formavano un!unica isola circondata dalle acque; si tratta di un era lontana circa 200 milioni di anni da noi. Un periodo non ancora adatto al diffondersi e allo svilupparsi della vita. Successivamente l!unica entità delle terre emerse si separò in una serie di placche, quelle che oggi noi consideriamo i continenti. Solo dopo questi assestamenti di ordine geologico nel periodo Cretaceo, circa 140 milioni di anni fa, sulla terra comparve la vita, nelle sue molteplici manifestazioni animali ed arboree e tra quest!ultime comparvero anche le vitacee. Il primo genere, Cissus, era diffuso in Nebraska, Cina, Portogallo, Boemia, Croazia e Italia centrale come dimostrano i numerosi reperti fossili ritrovati in queste zone. Con l! era Cenozoica successiva le vitacee sparse dagli uccelli diedero origine alle liane e ai rampicanti nei boschi di quasi tutti i continenti. Va ricordata la vite fossile di Bolca (Verona) di circa 52 milioni di anni, datata secondo il metodo radiometrico.
9
Sul monte Charmay ( Ardeché ) nel periodo Miocene si sono ritrovati dei fossili di Vitis Praevinifera, una vite ancestrale che si avvicina a quelle coltivate oggi. L! homo habilis fa la sua comparsa sulla terra quaternario, all!inizio la sua condizione è quella transumante, poi con lo sviluppo delle tecniche stabilizza e diviene un agricoltore sedentario. La
nel periodo di nomade agricole, si coltivazione
della vite era nota a questi primi uomini, che ne apprezzavano i frutti, malgrado non possedessero ancora la conoscenza delle tecniche per ottenere vino. Si sono trovate tracce di prodotti fermentati, ottenuti dalla linfa delle palme nelle regioni più temperate e dalle conifere nei climi rigidi del nord. Sono di questo periodo i fossili di Vitis Diluviana ritrovati in Provenza e nel Montpellier che rappresentano un un ulteriore passo evolutivo alla volta della Vitis Vinifera Silvestris. Circa sei milioni di anni fa alcune glaciazioni resero il clima terrestre ostile alla vita, causando la scomparsa di alcune specie animali e arboree. All!ultima glaciazione, nota come Würm, sopravvissero solamente quelle piante e animali che si trovavano in rifugi temperati, come quello a nord del Mar Nero, protetto dalle montagne a nord e mitigato dal clima temperato, derivante dal mare, a sud. In questa sacca climatica, la più grande tra quelle di cui si son trovate tracce, alcune specie di vite trovarono riparo dalle
10
glaciazioni e sopravvissero per poi diffondersi da lì in tutto il continente. Alle glaciazioni seguirono poi le inondazioni, di cui ci sono tracce rilevate di innalzamento del livello del mare di circa 100, 150 metri rispetto alle medie precedenti. Documenti relativi a queste inondazioni si trovano in tutte le culture, dal Caucaso alla Mesopotamia, dalla Mongolia alla Cina e dall!India all!Africa per arrivare perfino nelle Americhe. Studiosi come S. Vavilov (1930) sostennero poi, con prove certe, che il ceppo di diffusione primario della vite si trovava nei dintorni del mar Caspio e che da li si diffuse rapidamente. Mentre nel continente Europeo le popolazioni barbariche, più rozze, si limitarono esclusivamente alla raccolta di uve da piante rampicanti su alberi e rocce, in Oriente, popoli più raffinati e coltivatori con maggiore esperienza, addomesticavano la Vitis Silvestris fino a trasformarla nella Vitis Vinifera Sativa . Caucaso, Turkestan e Asia Anteriore si distinsero per un allevamento intensivo con alberelli bassi a potatura corta. Dal rifugio Pontico si diffuse seguendo due percorsi principali. Il primo va dalle zone caucasiche alla Mesopotamia poi da lì verso L!Anatolia, la Siria, il Libano, poi alla volta di Giordania, Egitto, Arabia, Persia, Iran per spostarsi verso l! Afganistan, l! India e poi la Cina. Il secondo è quello che la porta dalla Transcaucasia e Mesopotamia verso Turchia, Cipro, Grecia, Italia del sud,
11
Corsica, Marsiglia, e da lĂŹ verso l!Europa centrale e la penisola Iberica.
Nella foto schema di diffusione della Vitis Silvestris .
Sono stati numerosi i popoli del vino: Assiri, Babilonesi, Egizi, Cartaginesi e Illiri. Di alcuni di questi sono pervenute tracce certe, attraverso dipinti e manufatti che rappresentavano la coltivazione, la vendemmia e la mescita di vino. 7 In Asia minore, come dimostrano numerose prove scritte, venivano prodotti i migliori vini dell!antichitĂ e da lĂŹ poi esportati e commercializzati in tutto il resto del mondo allora conosciuto. In Italia, sui colli Euganei e nei dintorni di Atestini ( oggi Este), si sono trovate tracce di vigneti in una civiltĂ che ha dominato la 12
zona dall!età dal ferro fino all!invasione Romana, per un periodo di quasi 1000 anni. Numerose sono le tracce della cultura vinicola nelle principali civiltà antiche. I popoli Caucasici costituivano i primi centri di allevamento e produzione vinicola; presso Ereva, capitale del mondo Armeno, sono stati rinvenuti vinaccioli di diversi millenni ( di Vitis Vinifera )
Ne pro
gra si Gil ven
e a Tiflis addirittura, grappoli da cinque chilogrammi. Le anfore, impeciate all!interno, sono diffuse in queste regioni; questo tipo di recipiente era utilizzato per conservare il vino. La Georgia rappresentava il centro viticolo più importante della zona, dove si selezionavano le specie di vite, fino ad ottenere la Vitis Vinifera Sativa resistente alle basse temperature tipiche del continente. Caratteristiche erano anche le anfore georgiane di terracotta, parzialmente interrate, utilizzate per la conservazione della bevanda ottenuta dalla fermentazione dei grappoli. Secondo alcune leggende indiane la vite avrebbe avuto origine da Brahma, nella valle dell!Indo. Questa leggenda contribuisce a collocare la pianta in questa regione, probabilmente importata dai Fenici. Nel territorio cinese si sono ritrovati fossili risalenti a circa 4000 anni avanti Cristo e un magnifico vaso di bronzo del 3200 a.C. scoperto nei pressi di Lousham. La Cina fu un polo importante per lo studio di varietà di viti resistenti ai parassiti e alle malattie.
13
14
el fertile bacino mesopotamico, i Sumeri rappresentavano obabilmente uno dei popoli piĂš colti e antichi; presso questa
ande civiltĂ si sono ritrovati numerosi reperti. GiĂ dal 3000 a.C. parla in questa cultura di vignaioli, e nell!epica epopea di
lgames ci sono le prime tracce scritte relative al vino, alla ndemmia e alla coltivazione della vite.
Egizi
Gli Egizi sono stati, probabilmente, una delle civiltĂ in cui la
tecnica di allevamento della vite progredĂŹ con maggior intensitĂ ed # ! . In questa evoluta cultura vi sono tracce della coltivazione della vite addirittura anteriori al 4000
a.C.. Le tecniche maggiormente utilizzate sono quelle a spalliera, a pergola o ad arco di cui si trovano tracce nei # i che da millenni adornano
la tomba del faraone Phtan Hotep. Con la prima dinastia ( 2850 a.C. circa ) migliorano le tecniche di irrigazione, vennero costruiti canali per condurre l acqua delle piene alluvionali. Il fertile limo lasciato dal Nilo sul terreno, rendeva quest ultimo estremamente fertile e fecondo favorendo l agricoltura.
#
15
Sono stati ritrovati manoscritti che descrivono la presenza di ben cinque differenti varietà di vino che venivano utilizzate nelle cerimonie funebri, probabilmente derivanti da varietà differenti di viti, raccolte dall!esercito durante le campagne militari. Durante la IV dinastia, si descrivono dei vigneti a ceppo basso, detti vigna “Ti” e nell!oasi di Elfaum, sul delta del Nilo sono descritti dei terrazzamenti in pietra, costruiti per coltivare le viti. Sotto la I e II dinastia gli esperti vignaioli raggiungono eccellenti livelli di conoscenza riguardo la potatura, che vennero poi trasmessi anche ad altre civiltà, come ad esempio quella greca. Sono svariate le testimonianze di viticoltori egizi portati in Grecia per accudire le viti, e trasmettere alle popolazioni autoctone le tecniche da loro affinate.
Nella foto: geroglifici della tomba del faraone Phtan Hotep.
16
I viticoltori egizi devono la loro abilità, oltre alle fertili terre del Nilo, anche alle brillanti tecniche di potatura; tali abilità furono ispirate dall!osservazione. Notarono infatti che alcune piante brucate dalle capre, libere di vagare per le vigne, crescevano forti e rigogliose. Gli attenti agricoltori non si stupirono dell!insolita forza delle piante mutilate e ne derivarono l!arte della potatura che li rese celebri nel mondo antico. Il sapere Egizio nel campo della viticoltura si diffuse poi facilmente in tutte le civiltà limitrofe. A testimonianza di questa diffusione, in Siria sono stati ritrovati documenti sul commercio della vite risalenti al XV-XIV sec. a.C. che parlano di trattative riguardanti il vino in un periodo vicino al II millennio a.C. ; vicino Damasco, è stato ritrovato un tornio di circa 6000 anni precedente alla nascita di Cristo. Strabone descrive viti dal ceppo di quasi due metri sulle coste del Marocco. Le viti coltivate nella penisola arabica erano per lo più tenute basse , legate con canne o con foglie di palma. La potatura, avveniva mediante attrezzi appositamente sviluppati per questa funzione, probabilmente importati dall!Egitto. Successivamente in Sicilia e Spagna costituirono dei filari di 2 metri per 1,4 e anche i primi esempi di vite maritata al pino o all!olmo, ad una distanza di circa sei, sette metri; quet!ultima tecnica, probabilmente, fu copiata dalle abitudini etrusche, perché non erano diffusi alberi ad alto fusto nel territorio arabo. 17
18
Ebrei
La vite e il vino nella Bibbia sono citati 650 volte. Questo indica
l estrema importanza che rivestono questa pianta e i suoi frutti nella civiltà ebraica. Nel periodo della prima emigrazione alla volta della Caldea attraverso il #ume Eufrate e il golfo Persico, il popolo Ebraico portò con se dei tralci di vite che piantò contribuendo alla diffusione della viticoltura. Tuttora due uomini che portano una pertica con appesi dei grappoli d uva
sono uno dei simboli del popolo israelita, che ricorda gli
esploratori di ritorno dalla terra promessa che portarono in Egitto grappoli enormi come testimonianza delle loro esplorazioni. Ancora nella Bibbia, nell Antico Testamento, si tramanda il # o di Melchi Zedek, che segna il passaggio dell offerta di carne e sangue a quella di pane e vino.
Nella foto: uno dei simboli del popolo semita.
19
Era nota l!estrema produttività delle viti coltivate nelle terre di Israele, presso il mar Morto, “le viti di Ein Gedi producono 4-5 volte all!anno” (Yalkut Shir Hash) e lo stesso Bartolomeo di Saligniaco nel suo viaggio in terra santa descrive in maniera estremamente accurata le tecniche per ottenere tre vendemmie all!anno: ” I primi grappoli apparivano in marzo sui germogli uviferi ( principali ); su questi si asportava tutta la parte distale del germoglio sopra i grappoli e dalle nuove cacciate ( femminelle di 1° ordine ) si aveva il secondo raccolto; tagliando Le femminelle, sempre sopra i grappoli, si otteneva una terza vegetazione ( femminelle di 2° ordine ) con i grappoli del terzo raccolto. Le vendemmie dei tre tipi di grappoli si realizzavano, rispettivamente in agosto, settembre ed ottobre.” Questa particolare tecnica, ancora oggi in uso nelle regioni dal clima arido e secco, evidenzia l!estrema abilità dei viticoltori Ebrei. Il profeta Isaia nel capitolo 5 scrive dell!amore con cui viene portata la vite e come questo amore altro non sia che l!amore di Dio per i suoi uomini. " " " " " 20
" " " " "
“Canterò per il mio diletto il mio cantico d!amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l!aveva vangata e sgomberata dai sassi
" " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " "
" " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " " "
e vi aveva piantato scelte viti; vi aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica. Or dunque, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che devo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà ne potata ne vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Isaia cap.5 v.1-7
21
22
Greci
Il popolo greco è stato in grado di apprendere le tecniche viticole
dalle numerose popolazioni con cui è venuto a contatto, per poi elaborarle. Fu probabilmente dalla Tracia e dai Balcani che arrivarono le piante di vite e le prime esperienze di allevamento, mentre il
contatto con Egizi ed Ebrei portò a dei miglioramenti nelle tecniche di potatura e di selezione. Questi numerosi contatti permisero ai greci di evolvere notevolmente sia le tecniche di
allevamento della vite sia di conservazione del vino ( a riprova di questo, nell Odissea, Nestore beve del vino invecchiato oltre 11
anni ). I coltivatori attici, come segno di profondo sapere e conoscenza # distinsero le varie specie di vite, quelle importate e piĂš # e da quelle silvestri che strisciavano abbondanti sulle rocce di tutta la penisola.
#
23
Tuttavia i Greci non ottennero la migliore produzione vinicola sulle aride terre mediterranee del Peloponneso, bensì su quelle fertili della Magna Grecia. Oenotria, dal greco Oiv#$ipov ossia palo da vite, è il nome che i Greci davano alla Sicilia e sta ad indicare la diffusissima coltivazione della vite sull!isola. I poemi Omerici sono ricchi di aneddoti utili per l!interpretazione e la scoperta dei tipi di allevamento e sul modo di consumare i prodotti della vite; l!attacco all!isola dei ciclopi vede Ulisse, a bordo della nave, stimare le terre siciliane ottime per la produzione di viti; ancora più tardi, nella caverna di Polifemo, Ulisse offre del vino di Maronita o di Ismaros ( in Tracia ) per inebriare il gigante e portare a termine il suo piano di fuga.
Nella foto: Polifemo che si ubriaca con il vino di Maronita.
Polifemo ne beve e lo compara con quello prodotto dalle sue terre :”Poiché nulla piantano con le loro mani, né arano, tutto cresce per loro senza semina ne aratura: e grano, e orzo e viti 24
che producono vino, dai grappoli grossi e la pioggia di Zeus li rigonďŹ aâ€? ( Odissea, IX, 108-111. ). E ancora Achille, sul suo scudo, porta incisi dei grappoli d!uva e i suoi sostegni, come è descritto nel libro XVIII dell!Iliade. I Greci attraverso le colonie, come quella fondata a Marsiglia, contribuirono alla diffusione della vite sia presso i Liguri, sia presso i Galli, questi ultimi abituati a bere solamente birra, sidro oppure idromele. Dai testi e dalle illustrazioni affrescate nelle residenze o dipinte sui vasi, si sono dedotte le precise tecniche in uso per la coltivazione della vite.
25
(sistemi di conduzione della vite dall!alto al basso da sinistra a destra: 1 cordoni concatenati.-2 sistema a gabbia.-3 vite a pergola tipo “vitis camarata”.-4 vite palificata a gioghi semplici.-5 vite arcate.-6 pergola valdostana.-7 sistema piemontese molto simile a quello latino.-8 pergola jugatio compluviata)
Queste tecniche prendono varie sfumature a seconda delle zone e del clima, i vignaioli attici distinsero le viti: striscianti, ad alberello e palificate trovando per ognuna un metodo unificato. -Sistema strisciante: segue la naturale tendenza della vite che è legnosa ma non arborea e quindi non sostenendosi da sola viene lasciata libera di strisciare sul terreno. Tecnica utilizzata nelle 26
zone caucasiche ( diffusa ancora oggi in Armenia ), mesopotamiche, mediterranee ( Grecia, Libia, Palestina ecc. ), africane, liguri e spagnole. Le viti striscianti sono le “humiles ac sine radicis” di Varrone, “vites proiectae per hunum” di Columella o le “sparsis per terram palmitibus et similes herbarum vagantur per arva” di Plinio. Si tratta di una tecnica ideale per le zone aride del Mediterraneo prive di pali o alberi ad alto fusto . -Sistema ad alberello: Senofonte racconta che in Grecia oltre alle viti striscianti erano diffuse le vigne a ceppo basso, allineato e isolato con o senza sostegni. Le “vitis brachiate” crescevano con un fusto di circa 45 centimetri suddiviso in quattro branche a vaso con speroni normalmente da due gemme ma anche in alcuni casi da quattro o cinque. -Sistemi palificati: si tratta di viti con cordoni a raggiera legate a paletti o canne. Diffuse soprattutto nei territori degli antichi Liguri , nel Piemonte, nel novarese e nell!Oltrepo Pavese. Poi evolutisi in filari con le viti legate in due file esterne o a spalliera semplice, con pali lignei che sostenevano i fusti in molti casi estremamente lunghi e invecchiati. -Le “vites canteriatae” , definite sublimi da Varrone, erano appese ad un palo trasversale posto a circa 1,20-2,10 metri da terra . -Le “vites jugatae” erano quelle allevate a pergola e ne esistono di varie geometrie come ad esempio le “compluviate” che erano erano essenzialmente delle pergole quadrangolari, sostenute da quattro gioghi semplici. 27
I Greci quindi contribuirono alla diffusione della viticoltura più moderna legata indissolubilmente al territorio, fondamentalmente il tipo di coltura che anche oggi caratterizza i nostri prodotti. La tecnica era semplice: viti ingentilite dalla selezione, piante ad alberello per tenerle vicine al suolo e sfruttarne quindi il calore, con pochi sostegni o addirittura senza. Un numero elevato di ceppi ed una coltivazione di tipo intensivo furono in sostanza dei grandi diffusori del vino.
“ Il vino riempie l!anima di coraggio. Dove cresce la vite ivi è sorriso di cielo: ivi è sorriso di uomo” " "
28
" "
" "
" "
"
"
Platone(428-348 a.C.)
I ROMANI E GLI ETRUSCHI
I Greci mossero dal Peloponneso alla volta della Magna Grecia e fondarono nel sud Italia numerose colonie, Siracusa, la prima, circa nel 757 a.C. , Quasi in contemporanea, secondo la leggenda, con la fondazione di Roma da parte Romolo e Remo nel 753 a.C. . La storia delle due città si sviluppò in parallelo, con reciproche influenze per un paio di secoli; di queste fu soprattutto la coltura della vite che risentì positivamente delle influenze derivanti dalle due culture vinicole. Il popolo romano, una delle più grandi civiltà del passato, era troppo occupato a legiferare e a costruire le basi per una fervida repubblica e quindi più che rivoluzionare le tecniche di allevamento si concentrò sul regolamentare, attraverso leggi e restrizioni, il commercio, l!importazione e la coltivazione del vino e delle viti. Questo controllo sulla produzione e diffusione del vino, era svolto da funzionari statali; i censori, infatti, giravano per le campagne vigilando che nessuno trascurasse o abbandonasse i vitigni. La pena per chi era trovato colpevole di un simile reato era la perdita 29
del diritto di voto se era un plebeo, la perdita del cavallo qualora fosse stato un cavaliere e la declassazione se membro elevato della società. Cesare, nume tutelare delle vigne, legiferò in modo arguto per la loro tutela; aveva notato che un contadino è pronto a difendere anche con la vita le sue vigne, mentre abbandona senza combattere i campi coltivati a cereali o altre piantagioni minori. La vigna lega l!uomo che la coltiva alla sua terra e Cesare da buon condottiero sfrutta questo attaccamento convogliandolo in un patriottismo che infondeva coraggio negli uomini e quindi nelle temibili legioni romane che essi costituivano. La qualità del vino è un altro punto fondamentale sul quale i romani si soffermavano; Numa Pompilio, ad esempio, vieta l!uso di vino proveniente da viti non potate durante i sacrifici religiosi, perché di scarsa qualità, portando il Clero ad una ricerca di qualità che trascinava di conseguenza tutta la produzione. L!importazione, soprattutto dalla Grecia e dall!Egitto, fece progressivamente diminuire la produzione italica fino a renderla insufficiente; arrivarono a un punto tale che si videro costretti a proibire il vino agli schiavi, alle donne e ai giovani al di sotto dei ventuno anni di età. Catone, addirittura, dice “Se tu sorprendi tua moglie a bere vino, uccidila”. L!abilità militare e le numerose campagne belliche intraprese da Roma, portarono le centurie in tutta Europa, e i soldati romani con il loro seguito portarono sovente dei tralci e impiantarono 30
vitigni in molte località: Africa, Asia minore, Jugoslavia, Spagna, il nord dell!attuale Portogallo e la Lusitania (dove i soldati Romani e gli agricoltori Etruschi hanno portato le alberate nella zona dei “Vinhos Verdes” e della Galiza spagnola, vitigni ancora oggi esistenti). Cicerone (106-43 a.C.) nel “ De republica” riporta il primo divieto della storia relativo alla coltivazione dei vigneti, rivolto ai Vallesi nel 50 d.C.. Con questa legge, concepita per valorizzare i vitigni italici, si vieta ai cittadini non romani l!impianto di nuove vigne, anche se poi gli aventi diritto lo cedevano per denaro, guadagnandosi l!appellativo di “viticoltori di paglia”. Questo genere di politica, però, in breve tempo portò ad un risultato opposto, l!eccessiva produzione di vino. Così Domiziano nel 92 d.C. si vide costretto al “ de exidendis vineis” un decreto restrittivo che prevedeva l!estirpazione di metà dei vitigni delle province e il divieto assoluto di nuovi impianti. Questo per sopperire alle carenze di grano e per limitare l!appetibilità del suolo romano agli occhi barbarici estremamente golosi di vino. Questo editto immancabilmente portò a reazioni di sfida e sdegno: i Greci fecero «rispondere la vite»: “ Quand!anche tu mi divorassi sino alla radice, io produrrò sempre tanto da poter bere abbondantemente sul cadavere di Cesare” ( Svetonio, I-II sec. d.C.); L!Asia inviò una grande personalità di Smirne ad
31
ambasciare l!indisposizione della provincia nei confronti dell!editto. Marco Aurelio Probo, nel 280 d.C., subendo le pressioni delle province che raramente si sottomisero e rispettarono l!editto, annullò la legge e ristabilì il diritto di impianto, guadagnandosi il favore delle stesse. A Reims fu eretto addirittura un arco dedicato a Probo, primo promotore della viticoltura liberista. Così il commercio divenne talmente importante che a Roma venne costruito un mercato di circa tre ettari e si costituì il “Corpus Vinariorum”. Tutto questo rese il vino uno status symbol e un grande prodotto di scambio commerciale. Gli Etruschi, popolo dell!area compresa tra Lazio e Toscana, vantano origini assai misteriose; numerosi autori della latinità hanno descritto le origini di questo popolo secondo le loro intuizioni, a volte supportate da coincidenze, mai del tutto chiare. Erodoto, ad esempio, colloca le origini nell!Asia orientale; Dionigi di Alicarnasso sostiene che siano autoctoni e questo può essere in parte confermato dal tipo di tecnica utilizzata per allevare la vite; Livio li colloca nel nord Europa; oggi sappiamo che i popoli di origine araba si sono fusi con popolazioni autoctone circa nel 1000 a.C. ed è a questo periodo, l!era del ferro, che risalgono i primi vigneti e le prime esperienze documentate di questo popolo. Nel IX e VIII sec. a.C. si diffondono i primi vigneti in questa zona, la vite fu allevata seguendo il corso naturale, imitando la naturale 32
tendenza che la vite ha di appoggiarsi a dei sostegni vivi. Nascono così le prime esperienze di vite maritata che sarà poi tipica della coltura promiscua. In numerosi poemi, Orazio cita la vite non potata e condotta secondo le regole naturali tipiche dell!esperienza etrusca “Avviamoci verso campi beati, verso campi e isole doviziose dove la terra, senza essere arata, produce ogni anno le messi, e la vigna senza essere potata, fiorisce di continuo” ; Catone poi parlava di vitigni tenuti lontani dai terreni sabbiosi con pioppi oppure olmi, tecniche assai differenti da quelle greche diffuse in tutto il sud Italia. La Lambrusca era allevata a lato delle colture, dove venivano impiantati anche i salici che servivano a fornire i rami morbidi e flessibili con cui venivano legati i vigneti. Questo genere di espediente, dove più essenze dialogavano ai fini produttivi, era tipica della coltura promiscua italiana, che disegnava un paesaggio assolutamente unico che andò a definire le campagne per i secoli successivi. Osservando il lavoro l!importanza della scelta vitigni; le differenze dello che la vite produce. Se
degli Etruschi si capisce appieno del terreno dove vengono impiantati i stesso infatti determinano il tipo di uva strisciante, se maritata, se su terreni
rocciosi, se su terreni sabbiosi, se in collina o in pianura, la vite assume caratteristiche assai differenti che daranno poi al vino sapori decisi e diversi. 33
Varrone (167-27 a.C.) distingue varie tipologie di vite e di allevamento. “Humiles, sine adminiculo” era quella senza sostegni che si trovava in Africa e in Provenza, mentre la vite “sublime” aveva sostegni. Quando la vite si sosteneva con il proprio fusto veniva classificata come “solitaria” mentre ,se per crescere si appoggiava ad un albero, veniva denominata “arbustiva”, o “pergulana jugata” se legata a pertiche o pali;. Le “maritate all!opulus” erano viti allevate a giogo, legate con canne dette “tirelle” espediente tipico nella zona del milanese, o coltivate con i trucchi toscani, ossia a festoni tirati tra alberi vivi. Columella (I sec. d.C.) con il suo “De re rustica” approfondisce in modo dettagliato il tema della coltivazione della vite in tutta la latinità. Il suo discorso descrittivo parte dalla distinzione tra “Arbustum Gallicum” e “Arbustum italicum” . La varietà d!oltralpe, si deve specificare, deriva da quella italica perché i Galli non conoscevano la vite se non dopo i primi contatti con la nostra penisola. Questo arbusto in Gallia era coltivato sempre seguendo il modello etrusco. Il sistema sviluppato dagli Etruschi di appoggiare le viti a sostegni vivi fu perfezionato molto da loro ma probabilmente era una pratica già in uso sulle nostre terre. Plinio e Columella si soffermano in modo puntuale sulla differenza tre i due tipi di coltivazione: L!Arbustum Gallicum, caratterizzato dall!elevata altezza di coltivazione e dal prevalente utilizzo di aceri pioppi ed olmi; L!Arbustum italicum considerato 34
un allevamento basso con essenze arboree più basse su cui far arrampicare le viti. Gli Etruschi influenzarono anche le zone del Veneto con la loro tecnica tanto da suscitare in Erodiano, scrittore del III sec d.C., la seguente descrizione: “ Nelle campagne intorno ad Aquileia le viti sono disposte a uguale distanza e sono accoppiate, tra loro formando un quadro giulivo, tanto da sembrare quelle terre, adorne di corone frondeggianti” Lo stesso scrittore si sofferma anche sulla eccezionalità del vino della valle Padana elogiandone la qualità. La ricerca dei tutori vivi era assai complicata: si cercavano essenze arboree che fossero in grado di sopportare i continui tagli, ma nello stesso tempo che fossero resistenti e in grado di portare le viti. L!Olmo, sebbene per alcuni troppo ombreggiante, fu estremamente apprezzato per il fogliame di cui i bovini erano golosi rivelandosi così la soluzione più consona a questo genere di problemi. L!alberata romana non era mai superiore ai sei metri , con la prima impalcatura a circa 2,5-3 metri dal terreno e le successive a circa un metro di distanza; sulle sue branche venivano condotti i tralci, singoli o plurimi, i cordoni pluriennali che formavano i festoni e le tirelle che collegano gli alberi del filare e di quelli attigui, dando forma così a una pergola o a una capanna. 35
La cultura dei georgici latini e la viticoltura descritta nelle loro opere erano sicuramente di influenza asiatico-mediterranea, greca nello specifico; questi scrittori, provenienti dalle colonie della Magna Grecia ma anche della Liguria, si soffermarono sulle tecniche agricole ma non suggerivano una delle tecniche bensì si limitarono a descriverle tutte quelle in uso nel vastissimo impero romano. I Greci influenzarono l!Italia anche sotto l!aspetto religioso; furono loro infatti a condizionare il culto nella nostra penisola con il loro Dioniso. Prima dell!influenza Greca, infatti, il vino era utilizzato spesso nelle cerimonie religiose e nei sacrifici; fu solo dopo la diffusione del culto dionisiaco che in Italia si cominciò a consumare vino anche al di fuori delle cerimonie. Per celebrare il dio greco Dioniso, chiamato Libero in Etruria e Bacco a Roma, furono istituite numerose feste. Roma per la scarsità di conoscenze tecniche non poté puntare sulla qualità del prodotto dovendo così scelse la quantità; fu così che nei secoli Roma, tramutata in impero, divenne la più grande produttrice di vino, anche se di scarsa qualità. Roma e i romani facevano confluire nella capitale per il consumo e le esportazioni una quantità sorprendente di vino, per lo più si trattava di vino novello con una bassa gradazione alcolica e una tendenza repentina all!acidità, che lo rendeva un prodotto di scarsa qualità e destinato ad un consumo rapido e di massa. Non mancavano poi vini per le classi più facoltose: si trattava di vino 36
cotto e poi invecchiato per molti anni, spesso svariate decine; questo processo rendeva il vino aspro e denso, e per questo doveva essere diluito con acqua ( almeno il 50 % ) prima di poter essere consumato. Un altro genere di vino era quello che confluiva a Roma dalle province: un vino aromatizzato, di qualità superiore, che spesso veniva mescolato con spezie, erbe aromatiche, essenze lignee profumate, miele, mirra o addirittura petali di rosa. L!Impero raggiunse in breve una dimensione critica, la diffusione dei latifondi diventò intollerabile, scomparvero i piccoli contadini e la difficoltà di reperire schiavi da impiegare nelle lavorazioni più specifiche mandò in crisi la produzione. La viticoltura che necessitava di lavorazioni continue durante l!anno e di un lavoro attento fu la prima a risentirne; manifestando questo malessere con una rapida contrazione della produzione, ecco allora che comparvero sul mercato prodotti surrogati del vino ottenuti utilizzando altre specie vegetali. Ci si trova dinanzi ad un cambiamento epocale, la fine di un impero, il crollo di Roma e l!inizio di una nuova era: il Medioevo.
37
38
DAL MEDIOEVO ALL!EPOCA MODERNA
All!inizio del Medioevo il vino iniziò a scarseggiare, diventando un prodotto elitario. Il consumo di questa bevanda fu riservato solo alle persone particolarmente abbienti. La diminuzione della produzione dovuta alla scomparsa dei grandi latifondi romani riportò il vino ad una dimensione più curata. I contadini dell!alto Medioevo si resero conto che si trattava di una tradizione che era giusto tramandare perché estremamente antica e forse inconsciamente si resero anche conto dell!enorme potenzialità di questo genere di coltura. Il vino e la coltura della vite sopravissero anche grazie alla sacralità che i vigneti rappresentavano; le vigne vennero protette spostandole all!interno delle mura delle città, nelle clausure e nei broli. L!editto di Rotari testimonia questo tentativo di protezione, sia dagli uomini che dagli animali che potevano mettere in pericolo le vendemmie. La vite maritata scomparve; l!antica tecnica, utilizzata in Italia probabilmente ancor prima della civiltà etrusca, venne abbandonata e sostituita da allevamenti bassi ad alberello o a pergola. Si tornò ad apprezzare il vino per le sue qualità, senza 39
contaminazioni per la sua pura essenza. Ecco quindi una spinta verso la qualità, verso la ricerca di migliori esposizioni per le vigne, verso una cura del terreno e anche verso la miglior potatura possibile dei tralci. Nel Mediterraneo tra il V e VI sec. si diffuse in maniera esplosiva il Cristianesimo. Questa nuova religione, per imporre il suo messaggio sovrannaturale, utilizzò tutta l!iconografia e le tradizioni del bacino Mediterraneo. La vite quindi divenne subito un simbolo divino. “Io sono la vite vera e il Padre mio è l!agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e quello che porta frutto lo pota, affinché frutti di più... Io sono la vite, voi siete i tralci, chi rimane in me ed io in lui, questi porta frutto; perché senza di me non potete far nulla. Se uno non rimane in me, e gettato via come il sarmento e si secca, poi viene raccolto e gettato nel fuoco a bruciare” (Nuovo Testamento, Vangelo secondo Giovanni 15,1-8)
Il Nuovo Testamento è ricco di citazioni e questa è sicuramente la più significativa riguardo la potenza della simbologia che la vite ha per questa nuova cultura. Ma il punto fondamentale è durante il sacrificio del rito cristiano, dove pane e vino divengono il simbolo del corpo e il sangue di Cristo. 40
Se da un lato il Cristianesimo diventò un veicolo per la diffusione della vite, dall!altro la religione musulmana fu veicolo di distruzione per questa cultura. Le proibizioni che questa religione impose sui suoi fedeli portò all!inevitabile oblio della cultura vinicola in tutta la parte di influenza araba del Mediterraneo. In tutto il Medioevo, I monaci, attenti cultori del sapere umano, protessero e svilupparono nelle loro abbazie il vino, le viti e tutte le tradizioni che lo riguardano. La regola dei monaci, infatti, permetteva un consumo moderato e quindi ne giustificò la produzione. I monasteri, inoltre, offrivano riparo per i viandanti e per tutti coloro che ne chiedevano, i religiosi offrivano vino come segno della loro ospitalità. Il vino divenne poi, anche per i laici, una forma di guadagno importante. Nel Medioevo era una delle poche bevande salubri, perché l!acqua tratta da pozzi spesso fangosi e insani era guasta e imbevibile. Il vino quindi fu l!unico modo per evadere dal grigiore della condizione di vita per le classi meno ricche. Nel basso Medioevo la vite si diffuse e questo portò ad un conseguente aumento delle coltivazioni. La testimonianza più diretta di questa diffusione è rappresentata dai numerosi statuti medievali e le leggi che regolamentano la protezione, la diffusione, l!importazione ma soprattutto che stabiliscono una data precisa per la vendemmia, questo per non avvantaggiare nessuno sulla produzione e commercializzazione del vino
41
novello, soprattutto perché le tecniche di conservazione non erano progredite e quindi il vino invecchiato non era diffuso. Nel 1348 la peste nera imperversa in tutta l!Europa decimando la popolazione. Le zone bonificate vengono abbandonate, ci si rifugia nei luoghi più sicuri e così, ad essere abbandonati, sono i vitigni marginali, con una conseguente contrazione della produzione. “La rivoluzione dei noli” nel XIV e XV sec. portò ad un ritorno alla produzione di massa. I mercati vennero liberalizzati, non fu più necessario pagare dazi elevati sul peso delle merci, e quindi prodotti, come il vino, di elevato peso ma non di elevatissimo valore commerciale, che prima venivano scartati per queste caratteristiche, ora trovarono nuovi sbocchi commerciali. L!apertura di questi commerci, portò all!aumento della produzione e della qualità del prodotto, ridisegnando la mappa delle coltivazioni e rendendola più simile a quella moderna. In alcune zone come Monferrato, Liguria, Oltrepo Pavese, colli veneti, Toscana, Puglia e Calabria si intensificò la produzione, mentre in altri luoghi si persero i vigneti che vennero sostituiti da coltivazioni più redditizie come foraggiere, gelso, canna da zucchero. Tracce di queste variazioni nell!uso del suolo agricolo si trovano nei catasti, negli inventari di beni e negli atti notarili dell!epoca. La scoperta dell!America segnò per il vino e per la vite un ulteriore passo indietro. La produzione viene ulteriormente 42
ristretta e le zone in cui si concentrò sono quelle dalla tradizione più radicata. Il rhum, il caffè e poi il cognac e il whisky vanno a concorre con il vino. La bevanda di Dioniso perde il suo primato di unico tonificante. I vini si affinarono e non si distinsero più solo a seconda della qualità della vite da cui si ricavavano, ma diventò importante anche il luogo della produzione. Nacquero i primi manuali di cucina e di farmacia dove il vino venne menzionato nelle numerose varietà che iniziò ad assumere. Perfino Galileo Galilei, celeberrimo scienziato, dedica una riflessione al vino. “Il vino è come sangue della terra, sole catturato e trasformato da una struttura così artificiosa qual!é il granello d!uva, mirabile laboratorio in cui operano ordigni, ingegni e potenze congegniate da un clinico occulto e perfetto. Il vino è licore d!altissimo magistero composto di umore e di luce, per la cui virtù l!ingegno si fa illustre e chiaro, l!anima si dilata gli spiriti si confortano e l!allegrezze si moltiplicano” (Galileo Galilei)
In Toscana, già dal seicento, ci si iniziò a porre il problema del miglioramento del vino con un ottica prettamente scientifica. Lo spunto decisivo arrivò però solamente dopo la fondazione dell!accademia dei Georgofili nel 1753, spostando l!attenzione dalla semplice produzione dei vini alla loro conservazione. 43
Incominciarono quindi una serie di importantissime rivoluzioni, come l introduzione del tappo di sughero a metĂ dell ottocento
che permise l invecchiamento in bottiglia e quindi una miglior conservazione del vino. Questa innovazione, abbinata all introduzione dei # i in vetro, aprĂŹ la strada ad alcuni prodotti italiani , come il Chianti, verso un consumo sempre piĂš diffuso.
Nel 1851, un particolare insetto, la Fillossera, fa la sua comparsa sul suolo europeo. Questo dannosissimo parassita della famiglia dei Phylloxeridae( Rhynchota
Homoptera, superfamiglia Aphidoidea) è un # ofago associato alle specie del genere Vitis che attacca le radici delle specie europee ( Vitis Vinifera ) e
l'apparato aereo di quelle americane ( Vitis Rupestris, Vitis Berlandieri e Vitis Riparia ) . Questo dannoso parassita della vite, provoca in breve tempo gravi danni alle radici e la conseguente morte della pianta attaccata, con l'eccezione di alcuni vitigni americani. Questo
insetto, in breve tempo, azzera tutti i vigneti del continente Europeo mettendo in ginocchio la produzione. Sfruttando però
*
Nella foto:rappresentazione di un esemplare di Filossera.
44
alcune varietà di viti americane che presentavano un apparato radicale in grado di resistere al parassita e a sapienti innesti, fu possibile ripristinare la produzione. Innestando viti europee su Piede ( ossia sulle radici ) Americano si è riusciti a controllare i danni dell!insetto ed aprire il campo alla produzione moderna del vino, cosÏ come la conosciamo oggi.
45
46
LA GEOMETRIA DEI VIGNETI Preservare la memoria
L!uomo si lega alla terra attraverso il tralcio di vite. Cesare si accorse che un campo coltivato a vite era difeso audacemente dal suo vignaiolo. Roma utilizzò questo coraggio e questo profondo legame con la terra per espandere il proprio dominio e difenderlo nelle zone più remote dell!Impero. Noi, spaesati dal progresso, sommersi dall!infinita possibilità di comunicare, siamo sempre più snaturati, non riconosciamo più i luoghi come origine e siamo lontani dalla terra. La scena su cui ci muoviamo è sempre più virtuale e meno reale; si perde senza lasciare traccia la capacità di riconoscere i segni della nostra terra.
47
Il teatro ormai è talmente allargato da aver soppresso i margini della scena, si riesce a viaggiare verso ogni paese, si comunica con ogni dove, le distanze sono ormai azzerate. Il pericolo è che, perdendo quello che ci caratterizza, lo spirito delle nazioni, si allevino generazioni di cittadini globali che non sanno più nulla sulle origini, ma conoscono perfettamente la meta. Dei viaggiatori in un certo senso già arrivati, ma mai partiti. “E alla fine di tutto il nostro esplorare arriveremo là donde eravamo partiti e per la prima volta conosceremo quel luogo”. ( Tomas Eliot )
La terra non va dimenticata. Come Eugenio Turri ci descrive nella sua opera “Il paesaggio come teatro”, ogni contadino porta con sé il segreto del paesaggio nel quale è vissuto. Si perde sempre più quel paesaggio che Pavese descrive con tanto affetto e coinvolgimento assoluto, l!Italia, quella fatta di colline e orti, quella dei contadini, che passano una vita intera a sudare sullo stesso pezzo di terra. Quell!Italia di leggende e tradizioni, di gente semplice ma di un sapere secolare che sorprende per la sua autenticità, si sta lentamente dimenticando. “Non siamo mai entrati nella sua testa per sapere cosa pensava quando osservava i suoi campi e il paesaggio intorno, né siamo mai neanche entrati nel suo animo per sapere quali dolcezze provava quando guardava quel giro di colline in cui era nato e in 48
cui aveva lavorato per tutta la vita, il piacere di scoprirsi in quello scenario nel quale si erano svolte vicende indimenticabili: dalla sparatoria di un commando tedesco durante la seconda guerra mondiale al primo bombardamento aereo degli alleati in una mattina di Maggio sino all!arrivo degli americani, e poi i tumulti, i gridi della gente, le sue vicende personali, le passeggiate furtive nei campi con la ragazza dei vicini, il primo atto d!amore in un giorno di primavera, e inďŹ ne il funerale dei parenti, la crescita dei ďŹ gli in quello stesso luogo in cui era nato e dov!era nato suo padre, anch!egli contadino, che aveva tribolato sugli stessi campi. Di queste vicende parlava spesso, ma non sappiamo quale era il senso del tempo, che avvertiva guardandosi intorno, la bellezza che coglieva rimirando la campagna in certi giorni fulgidi di primavera o in certe giornate d!autunno, la goduta percezione dei suoni e dei rumori conosciuti, del rintocco delle campane, al tuono dei temporali estivi, dallo strepitio agostano delle cicale sui frassini alle grida dei contadini e al borbottio autunnale dei trattori nei campi. Non siamo mai entrati nel suo animo, ma sappiamo che era un ottimo contadino, che teneva in bell!ordine il suo podere, che dava una perfetta quadratura al suo vigneto, che potava con molta cura le viti, gli olivi e gli altri alberi, dando contributi importanti alla buona immagine del paesaggio nel quale operavaâ€?. (Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro)
49
Le città , ingrigite dalle persone, sono spazi di lavoro dei quali però nessuno si cura; le campagne si dimenticano, sempre più delle mani dei contadini, che pazientemente stagione dopo stagione con tenacia le modellavano. La vite è vita, presente in molte culture e in tutte le epoche, la pianta che per eccellenza ha bisogno di cure per produrre, senza un tutore non si regge e senza una guida si perde in tralci infruttuosi. Queste sue caratteristiche l!hanno resa nei secoli immortale, celebrata come metafora in molte religioni, il suo succo vinificato è usato per festeggiare e celebrare riti. Nei secoli si è infiltrata e arrampicata nella nostra tradizione, come fa con un olmo nelle campagne. Sopravvive come prodotto elitario, come celebrazione di se stessa, in milioni di anni di evoluzione. Sopravvive in vigneti meccanizzati studiati e affrontati in modo scientifico, ettari di terreno sfruttati da macchine sempre più automatizzate. La storia riserva un lieto fine, non tutto è macchina e progresso, il cemento e il diesel non arrivano dappertutto, non invadono tutti gli spazi. Le mani, callose e rovinate dalla terra , devono ancora sporcarsi. Le vigne reclamano ancora un lavoro costante e manuale. Le macchine non possono scegliere il tralcio migliore, quello che porta più frutto e potare gli altri in modo che tutta la forza della pianta si concentri su quest!unico. La sapienza dei contadini viene affiancata al progresso e non sostituita e dimenticata.
50
Le forme nei vigneti
La vite nei secoli lascia sulle nostre terre segni assolutamente indelebili. Nel bagaglio di immagini di ogni uomo c è un vigneto o un grappolo d uva; tutti ne hanno bevuto il vino, o ne hanno assaggiato i frutti. Migliaia di anni di evoluzione hanno portato le tecniche di
allevamento a svilupparsi in molteplici direzioni. Sono # i i modi di condurre
i tralci, di addomesticarli e di potarli per renderli piĂš fruttuosi; tutte queste tecniche si differenziano e
vengono preferite l una rispetto all altra secondo regole precise. Gli anziani agricoltori, che passano tutta un esistenza immersi in
un territorio, una terra nella quale sono cresciuti, sanno bene quali punti sono meglio esposti e dove il terreno è piÚ consono; portano millenni di tradizione in maniera inconscia, con un sapere quasi automatico, derivato dalla tradizione orale. Ogni contadino
Nella foto: varie tipologie di allevamento a spalliera.
51
sa. Questo fa si che i vigneti prosperino curati dal loro inďŹ nito amore per le cose ben fatte. Ogni tecnica piega le viti con forme differenti che disegnano striature particolari sui terreni. Le forme piĂš antiche e semplici di allevamento della vite sono quelle ad alberello, che consistono nel tenere la vite potata bassa a circa 50-60 cm dal terreno e selezionare le branche a seconda del tipo di forma che si vuole ottenere.
Nella foto: fasi progressive della crescita di una vite allevata ad alberello.
52
L alberello minimo è costituito da un unico tralcetto, derivato dal ceppo principale, sorretto da un unico tutore secco; quello pugliese, invece, viene lasciato con due o tre tralcetti; l alberello a
coppa o a vaso deriva probabilmente dal metodo greco di coltivazione e viene lasciato con un minimo di quattro a un massimo di dieci branche disposte a raggiera intorno al fusto, disegnando cosĂŹ una sorta di cono rovescio simile ad un vaso; l alberello
ad ombrello, invece, è di natura
d i f f e r e n t e : inizialmente il fusto, legato ad un tutore ligneo, viene lasciato libero di crescere per due-tre anni # o a raggiungere
circa un metro d altezza e successivamente vengono selezionati due speroni che porteranno negli anni successivi piÚ branche che ricadono verso il terreno; ci sono poi le viti a piramide, che vengono condotte dando una forma piramidale e un evoluzione di questo sistema è quello delle palmette verticali e delle palmette
Nella foto: vite allevata ad alberello.
53
verticali alterne che sviluppano la vite su una spalliera o a muro, secondo una geometria rigorosa.
Esistono sistemi che necessitano di sostegni complessi, come quello a cordone # o con speroni. In questo caso il ceppo, diramato in uno o due bracci laterali, viene fatto correre su un # o tra due pali in modo da formare un cordone dal quale poi verranno condotte le branche verso l alto. Da questo
particolare sistema ne derivano altri, come quello a spalliera o a muro in cui i cordoni vengono condotti
in modo da formare delle scacchiere riempite dai tralci.
Nella foto: vite allevata con il sistema Guyot.
Nella foto in alto: viti allevate con la tecnica della spalliera a muro.
54
Esistono poi i sistemi d allevamento a medio sviluppo e a potatura mista, come quello di Guyot, dove la vite viene piegata e
allevata in modo orizzontale facendo attenzione a rimuovere, durante la potatura, i tralci che hanno già prodotto frutti per favorire quelli nuovi; o il sistema Casalese, chiamato in questo modo perché abbondantemente utilizzato nei dintorni di Casale, in cui la vite, disposta in # i distanti 5-6 metri gli uni dagli altri, è piegata ad arco perché, costretta in quel modo, essa produce di più. L archetto romagnolo, invece, è costituito
da un unico sostegno secco sul quale cresce il fusto e che sorregge uno o due
# i metallici intorno ai quali si conducono i
tralci piegati ad archetto, andando a disegnare così una curva che è tipica delle colline romagnole. Le canne del sistema laziale
caratterizzano le colline dei castelli romani. Il sostegno è a tre canne, una verticale e due piegate ad angolo verso quella centrale, che si intrecciano a piramide con quelle dei # i vicini. Questa selva di canne rende i vigneti nei dintorni romani inconfondibili.
I sistemi a doppio tralcio fruttifero sono identici a quelli singoli, solo che i tralci sono due e condotti in direzioni opposte.
Nella foto: alberello ad ottavi con tralcio ad archetto.
55
Nei dintorni di San DonĂ di Piave, invece, è caratteristico il sistema Bisinotto dove l!armatura di sostegno è formata da tre canne: una prima verticale che sostiene il fusto, una seconda ad arco che si congiunge con la prima in alto e una terza orizzontale bassa che porta il tralcio. Questo sistema caratterizza i vitigni con una forma a balzi quasi come fosse uno scheletro di canne che disegna i ďŹ lari.
Nella foto: sistema di allevamento diffuso a Rovigo.
56
Nella foto: sistema di allevamento a mezza spina di pesce e a spina di pesce completa.
I sistemi a pergola o pergolati, di tradizione antica, sono senza dubbio quelli a cui la vite meglio si addice. Noti sin dal tempo degli egizi, furono ripresi in età classica dai romani. Svariati e ricchi sono i sistemi e le revisioni nelle regioni italiane. Il sistema piÚ semplice è il pergolato a terra o a catene striscianti , introdotto dal vignaiolo Dionigio Lusseaudeau nel 1879. Queste viti vengono lasciate libere di strisciare, separate da terra solamente attraverso rudimentali forcelle lignee, lasciando sul terreno una ragnatela di tralci che rendono i vigneti omogenei in altezza e complesse ragnatele se visti dall!alto.
57
Nella foto: sistema pergolato a terra.
Nella foto: sistemazione dei pendi nella zona delle cinque terre.
58
La zona delle Cinque Terre, presentava la forma di allevamento dove l intervento sul terreno era più evidente. Le terre, spesso
con un elevata pendenza, erano scavate e modellate con muri a secco che contenevano il terreno necessario a far prosperare le viti. Questi intensivi interventi sulla terra rendevano il # o delle colline sul mare inconfondibile e producevano vini di indiscussa fama e successo, come l amabile di Monte Rosso o la vernaccia
di Corniglia.
I pergolati a pertiche, invece, si trovano per lo più in Piemonte. Sono
caratterizzati da gruppi di 3-4 viti poste a distanza di 4 metri circa, che vengono
fatte salire su pali robusti di castagno disposti a croce di S. Andrea e sovrastati da un palo orizzontale sul quale si poggiano i tralci fruttiferi ad una altezza di circa 2 metri.
Nell Oltrepo Pavese, nelle zone di Voghera, Broni e Bobbio, il sistema più utilizzato è quello a rocca o gabbiera, dove un gruppo di 5-6 viti è circondato da pali incrociati che le sostengono per i primi anni di vita; poi i tralci vengono condotti con una curva verso pali verticali disposti in # e laterali e da lì proseguono in maniera orizzontale negli anni successivi senza
Nella foto: pergolato piemontese o pavese.
59
più cambiare direzione. Questo crea una maglia omogenea con un addensamento centrale in prossimità dei fusti. A Broni, però, questo sistema presenta delle varianti, dove la gabbia centrale viene rimossa e le piante vengono condotte su una selva di canne secche che le sostengono. Nel novarese invece si diffonde il cosiddetto sistema a gattinara, in cui una pergola a scacchiera si sviluppa in modo regolare a 130-150 cm da terra; i pali secchi e robusti portano dei fili perpendicolari al senso del filare e lungo il perimetro, sul quale i viticoltori novaresi girano i tralci frutticoli delle viti.
Nella foto: sistema di allevamento gattinara.
Notevole è anche il pergolato di Bellano, diffuso nell!alto Lario, nel quale si hanno gruppi di tre viti in basso e di due o più in alto, affrancate a pali secchi distanti un metro sulla fila e due tra le file e sulla testa dei quali veniva posta una frasca che serviva per far correre i getti di rinnovo. 60
Nella foto: pergolato di Bellano.
La pergola nota presso i Romani come “jugatio compluviataâ€? adornava le piscine, gli orti e l!atrium. Oggi questo sistema è in uso soprattutto in alcuni vigneti specializzati del Tirolo anche per ottimizzare gli spazi nei vigneti tradizionali nei pressi di sentieri o canali di scolo.
61
Nella foto: sistema a pergole multiple bolognese.
In questo sistema le viti, essendo piantate da una sola parte, mandano i loro tralci sopra un graticolato costituito da un piano inclinato, posto dalla parte opposta rispetto ai ceppi. Queste impalcature sono costruite in legno o ferro e la loro geometria è determinata dalla zona, dall!esposizione e dall!umidità ed è a discrezione del vignaiolo. Carema (Torino), con i suoi pergolati costituiti da un graticcio di pali posti normalmente tra loro a formare una scacchiera sospesa e appoggiata su pilastri robusti in pietrame, rappresenta un paesaggio unico e inconfondibile.
62
Nella foto: sistema rustico ligure.
Le vigne che richiedono una potatura lunga, in modo particolare il Nebbiolo, trovano in questo metodo di allevamento una forza eccezionale e crescono rigogliose. Nella provincia di Genova i pergolati presenti negli orti e nei poderi e che si trovano simili anche in altre regioni italiane, sono costituiti da travi robuste, sostenute da colonne e pilastri, e traversate da canne e bastoni, sulle quali vengono poi fatte arrampicare le viti. Questo crea uno spazio ombreggiato nel quale vengono allevati gli ortaggi. 63
I pergolati del Trentino sono costituiti da robusti pali verticali che sorreggono una trave lignea obliqua; queste strutture sono legate tra loro con del filo di ferro e questo crea delle linee sulle quali le viti vengono fatte arrampicare da un solo lato.
Nella foto: sistema di allevamento diffuso in Alto Adige.
La vite maritata al tutore è forse la forma più affascinante di allevamento; l!altezza che raggiunge e la simbiosi con il tutore vivo rendono questo metodo il più complesso ma sicuramente il più bello.
L!usanza di maritare i tralci con sostegni vivi è antichissima e prende spunto dalla tendenza naturale che la vite silvestre ha di arrampicarsi. Osservando questa tendenza molti popoli dell!antichità, tra cui etruschi e romani, hanno adottato nelle campagne questa tecnica. 64
Nella foto: alberate reggiane.
65
Oggi, a causa dei costi sia di coltivazione che di vendemmia,
le rigogliose viti maritate scompaiono dai nostri orizzonti; l antichissima arte si perde nel
tempo e scompare nelle nebbie delle nostra Italia. Sono rari i casi in cui si possono ancora
osservare i #lari di olmi o pioppi, a lato dei campi sui quali cresce impetuosa la vite, simboli della coltura promiscua che ha caratterizzato tutto il nostro paese nello scorso secolo. Nella foto qui accanto sono riportati alcuni sistemi utilizzati
in Toscana per arrampicare le viti sugli alberi. Il primo in alto è il sistema a catena o pinzana, il secondo al centro è detto pinzana doppia e l ultimo in basso è detto a catena divaricata. Tecniche, diffuse soprattutto nel pisano,
Nella foto dall alto: sistema toscano, variante del sistema toscano, sistema di
Pontedere
66
sono caratterizzate dall!incrocio di festoni fruttiferi provenienti da due viti opposte.
Nella foto: sistema di allevamento diffuso nella regione del Chianti.
Queste però sono affiancate anche da sistemi a vite singola, diffusi soprattutto nel marchigiano, come quelli costituiti da filari di viti appoggiate a ramificazioni del tutore rese orizzontali. Esistono varianti di pergolati pensili, che con diverse sfumature si trovano nei dintorni di Bologna e del modenese; queste alberature auto-sostengono delle canne che creano un graticcio sul quale la vite è libera di prosperare.
67
Nella foto: vite maritata nei pressi di San Giorgio, Bologna 1948.
La ricchezza di questo tipo di coltura è dovuta all!antichità del metodo, e alle numerose condizioni geografiche in cui si è diffuso. I vignaioli, mossi dalla conoscenza della propria terra, hanno adattato, nel modo più consono possibile, un metodo alle condizioni climatiche e al tipo di terreno. Tutte le regioni si sono distinte per particolari virtuosismi o tecniche che ne hanno caratterizzato il paesaggio.
68
Nella foto: sistema a raggi trentino.
Per anni sono stati curati graticci di svariate forme e geometrie, al ďŹ ne di produrre vini piĂš corposi e robusti rispetto a quelli piatti e di bassa gradazione alcolica ottenuti da uve cresciute in allevamenti tradizionali al suolo.
69
70
LE FORME NEL TERRITORIO DEL TICINO
Se capita di perdersi per le cantonali del Ticino, non si può che dar subito ragione ai numerosi cartelli che pubblicizzano il Cantone come il più vignato della Svizzera. La campagna di sensibilizzazione al territorio è puntuale e presente in maniera insistente in tutto il Ticino. Se si cena in un ristorante o si prende il caffè in un bar, ovvero in tutti quei luoghi in cui si interagisce socialmente, sono presenti opuscoli in cui vengono pubblicizzate attività ed eventi riguardanti il territorio. Si possono fare, e sono ben segnalate, passeggiate di carattere eno-gastronomico alla portata di tutti, che sono sicuramente il metodo più semplice e diretto per sensibilizzare le masse e dare alle politiche territoriali il giusto peso. Nel 2003 il monte San Giorgio e tutto il suo comprensorio sono diventati “Patrimonio mondiale dell!umanità Unesco” per la ricchezza paleontologica davvero straordinaria.
71
Il terreno roccioso del monte San Giorgio è estremamente vario:
dolomie, vulcaniti, marne, depositi glaciali, arenarie, graniti e marmi, scisti bitumosi, argille, ghiaie, rocce vulcaniche e numerose altre varietĂ . Queste
rocce, con una caratteristica di acidità e basicità uniche, vanno a costituire il substrato sul quale si sviluppa una viticoltura che è tra " # Ticino.
Nella foto: vigne a sud di Mendrisio.
Nella foto in alto: monte San Giorgio fotografato dal satellite.
72
Merlot, Cabernet Sauvignon e Pinot Nero sono alcune delle uve
che trovano su questo territorio il terreno adatto e le giuste condizioni di sole per prosperare. Il rapporto che si crea tra viticoltura e territorio è forte e le caratteristiche dell ambiente e le favorevoli condizioni climatiche hanno reso il Mendrisiotto una zona ideale per la viticoltura.
Dagli anni 60 del secolo scorso, dopo un lungo periodo di abbandono, sono state recuperate molte terre agricole che versavano in condizioni disastrose. Va elogiato la tenacia dei contadini di queste zone, non solo per l espansione economica raggiunta, ma anche per l intervento di fondamentale valore
ambientale. In questi anni sono stati recuperati numerosi vecchi terrazzamenti e balze in disuso, che modellano i pendii collinari, e # Sono inoltre stati ricostruiti i muri a
secco, tradizionale sistema di sostegno che impedisce l erosione dovuta al
dilavamento dei
pendii e che aiuta a garantire la giusta Nella foto: tetto in ardesia presso Cabbio valle di Muggio.
73
quantitĂ d!acqua ai vigneti della zona. Le vigne del Merlot, che si estendono dalla piana del Laveggio (Mendrisio) ďŹ no alle pendici del monte San Giorgio, sconďŹ nando poi nel comune di Clivio della vicina Italia, sono indiscutibilmente i sovrani del paesaggio collinare, un grande patrimonio che rappresenta la sapienza raggiunta dalle maestranze di queste contrade che si fondono con l!ambiente circostante. Sono continue le scoperte di terrazzamenti che sfumano e diventano case, creando angoli in cui le attivitĂ tradizionali, come la lavorazione della pietra, sono ancora presenti e dominano l!economia in un modo sorprendente.
74
Nella foto: Cabbio valle di Muggio.
La natura e la cultura in questo angolo di Svizzera sono conservate con attenzione e assoluta dedizione. Le persone sono consapevoli del territorio, portano memoria delle loro tradizioni attraverso musei etnografici e della civiltà contadina e sono legate alla loro terra rispettandola in maniera civile. Con attenzione promuovono ciò che per loro è più caro e sono pronti a condividerlo. 75
Si tratta di un atteggiamento non turistico bensĂŹ culturale, una voglia di non dimenticare, di guardare avanti, restando però ben saldi sulla terra. Passeggiando per queste colline non si respira un odore stantio di una civiltĂ
che scompare ma, al contrario, i giovani fanno rivivere le tradizioni attraverso rivisitazioni e mostre. Le attivitĂ
tradizionali non scompaiono ma vengono trasmesse di generazione in generazione, la qualitĂ dei prodotti viene mantenuta grazie alla
saggezza degli anziani e le nuove generazioni riescono a rendere questi prodotti appetibili, creando cosĂŹ una vera nicchia eno-gastronomica che si # ! a vendendo ottimi prodotti e facendo # l economia del Cantone.
Si tratta di un vero e proprio rinascimento culturale: ritornano le tradizioni # e e migliorate, le valli rivivono, il turismo Nella foto: parete di una baita a Cabbio nella valle di Muggio
76
cresce e porta prosperitĂ . I
guadagni sono reinvestiti e cosĂŹ si ricostituisce un paesaggio agrario di
i n d u b b i a bellezza. La politica non è indifferente e, con l ordinanza federale sulla protezione dei vigneti numero 916 .
20 del 28 febbraio 2001, si concentra sulla protezione, regola la produzione dei vigneti del Cantone, stabilisce l entitĂ della
produzione, le regole per un prodotto doc. e il modo per ottenere # ! # !
Nella foto: tetto in Ardesia presso Cabbio valle di Muggio
77
78
TRA ITALIA E TICINO
La Comunità Europea nel 1980 con la legge 454 vieta l!impianto di nuovi vigneti su tutto il territorio; nel 1990 la legge 3302 consente il trasferimento di vigneti da una zona ad un altra assicurandosi di distruggere il vigneto spostato. La CEE tra il 1998 e il 1999 consente di impiantare nuovi filari qualora sia dimostrata l!effettiva insufficienza della produzione. Queste ferree restrizioni hanno sensibilmente limitato l!impianto di nuove vigne e così in Italia nel 2000 i dati relativi ai vigneti segnavano una diminuzione da 1.900.000 ettari di inizio secolo a circa 800.000, al contrario la produzione è passata da 35-40 a 55-60 milioni di ettolitri annui. La tendenza italiana alla diminuzione delle dimensioni degli appezzamenti verso una maggior produzione in termini di quantità per ettaro è seguita da tutte le principali regioni Europee. Le restrizioni hanno reso estremamente costoso l!impianto di un nuovo vigneto e quindi tutti i maggiori coltivatori si sono concentrati su quelli esistenti e, attraverso un approccio scientifico e macchinari estremamente efficaci, hanno aumentato la produzione di vino in modo significativo. Gli impianti si sono standardizzati, le coltivazioni si sono piegate alle macchine, i sistemi come quello del ritocchino o 79
dei piccoli terrazzamenti e girapoggio stanno sparendo o sono già scomparse. I pali una volta lignei sono stati sostituiti da quelli in cemento, le pergole vengono dimenticate e l!usanza di maritare la vite agli alberi è ormai soltanto un ricordo lontano racchiuso in una sbiadita fotografia o in vecchi libri di tecniche viticole. Il paesaggio cambia, i filari sono sempre più paralleli, le viti sono condotte per soddisfare le esigenze delle macchine che le potano e le curano, l!altezza dei filari e il passo che li separa sono adattati a quelli delle macchine che devono accudirli. I terrazzamenti non sono sostenuti da muri a secco e spesso, non essendo curati, franano sotto l!erosione causata delle acque piovane . La produzione è diventata una fonte di reddito importante, spesso l!unica spinta che sostiene la viticoltura; il mercato è invaso da vini spesso figli della chimica e delle esigenze di mercato e non più delle mani e delle conoscenze di vecchi vignaioli. Il territorio cambia: i piccoli coltivatori, che una volta accudivano soltanto le vigne che riuscivano a seguire lavorando a mano i filari, ora sono sostituiti dalle macchine; le cantine sociali che univano tutti i coltivatori per produrre un vino stentano a sopravvivere; l!esportazione globale e la concorrenza dei vigneti californiani, africani e australiani che danno vini dolciastri secondo i gusti del mercato americano, sono spietate. Le piccole produzioni sopravvivono in Francia e in Italia solamente grazie ad una nicchia di appassionati che ricercano vini pregiati, di fattura 80
mirabile e che sono disposti a pagare un prezzo superiore alla media per un prodotto d!élite. Le nostre colline cambiano; i terrazzamenti, abbandonati a se stessi, scompaiono; il bosco riguadagna gli spazi un tempo lavorati e curati dagli agricoltori. La Svizzera è da sempre un!isola a sé nel panorama europeo, sempre neutrale e pronta a seguire le proprie idee e gusti. Una nazione con un forte senso di identità e di eterogeneità e senza dubbio un esempio da analizzare. L!ordinanza relativa alla protezione dei vigneti numero 916.20 del 28 febbraio 2001 si pone in contro-tendenza rispetto alle politiche in vigore in tutta la Comunità Europea. Su tutto il territorio della Confederazione elvetica le vigne sono protette e le cantine sociali fioriscono attraverso piccole ed eccellenti produzioni. Spesso capita che dopo lavoro le persone sostituiscano la fatica delle palestre con il lavoro in vigna legandosi al proprio territorio attraverso la vite.
81
Nella foto: vigne a nord di Bellinzona.
Le amministrazioni cantonali istituiscono servizi di consulenza per le tecniche e per tutelare i diritti dei coltivatori. Le associazioni di vinattieri aumentano sempre piĂš la loro inuenza, creano e sostengono un mercato emergente con un prodotto valido. Le coltivazioni ďŹ oriscono, le aziende vinicole aumentano e ne sorgono di nuove; la Confederazione e il Cantone Ticino hanno istituito un ufďŹ cio della consulenza agricola che ha il compito di 82
favorire il miglioramento gestionale tecnico ed economico delle aziende agricole e della posizione sociale dei contadini,
migliorandone le conoscenze sullo sviluppo economico regionale. Tutto questo ha ripercussioni sul territorio: ovunque sorgono piccoli e grandi vigneti, le case si adornano di viti allevate a spalliera, le pergole vengono restaurate o costruite ex-novo secondo le antiche tecniche. I pali in legno, i muriccioli a secco, le vecchie cantine riprendono vita ricreando e restaurando un paesaggio agricolo estremamente ricco di tecniche e esperienze differenti.
Le colline vengono disegnate da numerosi piccoli vigneti che, coltivati da persone di tutte le
estrazioni sociali, danno delle uve genuine e dei vini, per lo pi첫 Merlot, di fattura notevole. I pali secchi delle viti coltivate con il metodo Guyot riemergono, si recuperano i vigneti e si ripiantano le rose all inizio dei # . Le
rose secondo la saggezza dei coltivatori antichi indicano in modo preciso la salute di un vigneto se quest ultima si trova forte e in Nella foto: vigne a nord di Bellinzona
83
buona salute allora vigoroso sarĂ anche il vigneto se invece soffre o perde di forza allora anche il ďŹ lare risulta debole e poco produttivo.
Nella foto: vigne a est di Bellinzona
84
L!associazione per la protezione del patrimonio artistico e architettonico di Valmaggia ha portato a termine un nuovo ed importante lavoro: il ripristino di alcuni vigneti di Coglio e Giumaglio. L!apertura al pubblico è avvenuta nel 2004, nel corso di una giornata di festa istituita per l!occasione che ha visto anche l!inaugurazione dei nuovi sentieri di pietra allestiti da Vallemaggia turismo. La collaborazione ha dato vita a nuovi percorsi, che interessano Maggia, Lodano, Coglio e Giumaglio, che passano attraverso le zone viticole recuperate e che potranno cosÏ essere facilmente visitate e apprezzate dagli escursionisti.
Nella foto: vigne a Coglio, Valmaggia.
85
Sotto la supervisione di alcuni maestri pietrai sono stati recuperati e ricostruiti i muri a secco e i vecchi sostegni in sasso, ”carasc”, s è poi ricostruita e ripristinata la paleria ormai scomparsa dei vigneti e formati nuovi pergolati in legno di castagno, mentre il terreno veniva lavorato per ospitare barbatelle di Americana, Merlot e Gamaret. A Giumaglio i vigneti sistemati si trovano sopra il nucleo, mentre il nuovo vigneto di Coglio è situato accanto alla chiesa e all!ossario. Il progetto vuole favorire la salvaguardia del territorio ed essere di incoraggiamento e stimolo alla viticoltura dei piccoli produttori.
Nella foto: vigne del comune di Tremona località Ronco.
Ovunque chi ha a disposizione delle terre con la giusta esposizione e la quantità di sole necessaria a far crescere una 86
vite, impianta dei # . I Ticino a appunto i
L ! e attenta ha o i i di dove i tivat i po o e a i en!a # o anit , !e tecniche, ! i pe i , pe impianto e pe e i i di ! . Si a di una e di !
a a di !a incentiva a dif e di vitigni, i !! i e e e i o con # . Sono i e tenute e con e meccanico e ad una ! !! y. La à e e è a ad una fatica genuina,
# !! a ad uno . o # o e che i o un o Le e che o e e a ud e v i d e Ti c i n o è e empio di un
o o t !ioni. Si v o vecchie tecniche: e con
!
87
sostegni in pietra, molto simili a quelle che ordinavano i cortili delle case genovesi e su tutta la costa ligure, oppure ancora pergolati lignei, si diffondono in tutta la zona. Le case nei paesi di montagna vengono restaurate e riutilizzate, adornate da stupende viti che da decenni le d e c o r a n o avvinghiandosi alle pareti.
Le cantine della tradizione vinicola riprendono vita, vengono recuperate e riadattate alle mutate esigenze.
Nella foto: vigne a sud di Bellinzona
88
Nella foto: rustico Cabbio val di Muggio
Spesso diventano luoghi ameni immersi nella tranquillitĂ e nella bellezza delle vigne in cui ritirarsi dopo le fatiche lavorative e dove invecchiare le botti del proprio vino, sudato per tutto un anno di duro lavoro. Un passatempo che ridisegna il paesaggio e che riscopre le tradizioni che altrimenti si perderebbero nell!oblio.
89
90
Aurelio Galfetti
Lo stato si impegna nel
ritrovare e restaurare vigneti di pregio storico e di indubbia bellezza come nei dintorni del castello di Belinzona dove un magni#co vigneto tenuto in modo impeccabile sembra incastonare la secolare bellezza del castello grande e delle sue mura. L architetto Aurelio
Galfetti è l # del restauro del castello
suddiviso in due momenti: il primo dal Nella foto: vigne del castello grande di Bellinzona
91
1981 al 1991 ed il secondo dal 1992 al 2000. Aurelio Galfetti è nato a Lugano nel 1936. Dopo gli studi al Politecnico federale di Zurigo, apre uno studio di architettura a Lugano nel 1960. Tra il 1962 e il 1980 collabora con gli architetti F. Ruchat, I. Trümpy, I. Gianola, L. Vacchini, M. Botta, R. Tami e L. Snozzi. Nel 1984 insegna in qualità di professore invitato al Politecnico federale di Losanna, assumendo un impegno didattico che avrebbe proseguito in seguito a Parigi (UP8, 1987) e all!Accademia di Architettura di Mendrisio (1996-2006), come direttore, professore di progettazione, responsabile del ciclo Master per l!architettura del territorio, nonché esprimendosi regolarmente nell!ambito di conferenze e seminari. L!esperienza del restauro del castello di Bellinzona dura oltre dieci anni e si trasorma in un progetto di natura territoriale come lo stesso Galfetti descrive: “ -Conservare = trasformare- è stato lo slogan che ha sorretto il lungo lavoro di restauro durato quasi dieci anni. Nel rapporto tra antico e contemporaneo, negli inevitabili conflitti per rendere veramente possibile questo confronto diretto tra passato e presente senza subordinare quest!ultimo a presunti maggiori valori del passato, ho impegnato molte energie. Nel passato, durante 6000 anni, a partire dalla nascita del villaggio neolitico sulla sommità della collina, questo rapporto tra vecchio e nuovo si è più volte realizzato senza le difficoltà che oggi invece 92
incontra, conferendo all!insieme costruito quella particolare bellezza che deriva dalla stratificazione delle varie epoche. Con il restauro non ho evidentemente voluto interrompere questo processo, ma continuarlo nella contemporaneità. Tuttavia, a distanza di 25 anni, di questo restauro, ciò che forse sarà più duraturo è ciò che è stato fatto in modo silenzioso, senza grandi conflitti: come ad esempio l!introduzione nel lavoro di restauro della dimensione territoriale. L!incarico prevedeva infatti solo il restauro degli edifici che stanno sulla sommità della Rocca. Ho creduto che fosse più importante dare al restauro una dimensione urbanistica. Il progetto di supporto a tutto il restauro è quello del parco della città di Bellinzona, un parco fatto solo di roccia, muri di pietra, erba, 4 alberi, un “laghetto” e il cielo. Un parco é uno spazio da percorrere e quindi il suo progetto é un progetto di percorso che attraversa uno spazio pubblico, un vuoto che mette in relazione gli utenti con il grande paesaggio giù fino al lago Maggiore, su fino alle Alpi. “ Aurelio Galfetti
93
Nella foto: vigne del castello grande di Bellinzona
94
L’intervento di Galfetti trova sostenitori in tutta la comunità di architetti internazionali e viene preso ad esempio come termine di paragone. Da Castelgrande si gode anche di un'ottima vista sulla zona circostante: circa 200 metri più in alto troneggia il castello di Sasso Corbaro, e sotto, circondato da vigneti, il castello. Bellinzona, nota anche con il soprannome di «Turrita», oltre a essere la capitale cantonale, abbonda di torri, mura e castelli.
Nella foto: vigne del castello grande di Bellinzona
Questo è un paesaggio curato, attento, la passione per il territorio educa le persone ad una nobiltà d!animo, una nobiltà contadina persa nelle pagine di scrittori dimenticati. 95
96
RISCOPERTA
Queste colline vengono insediate di nuovo e la loro riscoperta ha portato alla creazione di un nuovo mercato: quello del vino. Questo mercato incrementa la ricchezza dei coltivatori in termini di: crescita, successo, aumento del lavoro stagionale, possibilitĂ di investire i guadagni in ristrutturazioni volte al turismo enogastronomico e altro ancora.
Nella foto: vigne del comune di Coldrerio.
97
E! interessante vedere come il progresso e la tecnologia, permettano di valorizzare in modo efďŹ cace, culturalmente e socialmente utile, il territorio. Come una vigna possa trasformare e creare positivamente un indotto che va, in maniera sempre piĂš penetrante, affascinando un!utenza sensibile alla bellezza e ai piaceri del gusto, che la natura ci può regalare. Non è un caso se, in un momento critico e di recessione come quello che stiamo attraversando, sopravviva e sia anzi in forte espansione il mercato del vino e ci sia un incremento per il piacere del palato, del gusto e della convivialitĂ che il vino, nettare per eccellenza, regala ai suoi estimatori.
Nella foto: vigne del comune di Coldrerio.
98
L!architettura non è impassibile o indifferente a tutto ciò: da tempo le vigne non sono piÚ solo esperienze contadine ma vengono celebrate ed utilizzate per radicare i progetti al suolo. La vigna e la casa che le sta accanto sono diventate un icona nella concezione dell!abitare ticinese e creano intorno a loro un interesse economico volto a produrre e ad abbellire e mantenere il territorio. Le vecchie cantine restaurate diventano Crotti, ristoranti tipici, che propongono piatti semplici della tradizione alpina, oppure seconde case dove ospitare gli amici per cena o rilassarsi lontano dal caos del lavoro quotidiano.
Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
99
Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
100
Nella foto: cantine di Mendrisio sotto le pareti del monte Generoso.
100
102
Luigi Snozzi
Architetto di fama internazionale, da sempre ha caratterizzato la sua opera attraverso un ossessiva ricerca dei luoghi. Per lui parlano i progetti, si è sempre rifiutato di pubblicizzare i suoi lavori, di vendere le sue tavole e i suoi modelli, gli schizzi sono per lui strumento di lavoro, effimeri, e quindi dopo il loro uso vengono distrutti. Da sempre la sua attività si è contrapposta al modaiolo evolversi della progettazione; resistenza , critica, polemica, lotta seguono ogni sua opera fin da quando nel 1985 si insediò come professore al Politecnico di Losanna, fortemente voluto dagli studenti (snozzidarnösc). Queste sue note di scontro, di anticonformismo, lo hanno portato ad essere stimolante e creativo. “ In ogni denuncia o in ogni elegia si nasconde naturalmente lo spazio per un utopia e l!utopia consiste nel credere che le cose potrebbero anche andare diversamente” (Max Frisch, corriere del Ticino 1983)
103
La scelta di esprimere le proprie convinzioni solo attraverso le sue opere lo ha reso unico e forse poco conosciuto rispetto ai nomi più blasonati dell!architettura internazionale. “ Un progetto parla un linguaggio molto più chiaro di un manifesto” (Luigi Snozzi)
Il luogo è presente in maniera maniacale nelle opere di Snozzi. L’architetto analizza l’uomo moderno, si accorge che quest’ultimo ha perso il relativo spazio vitale, l’identità, L’orientamento, ossia “il luogo” . L’uomo ha perso i propri riferimenti, vive alienato in un mondo che non riconosce più che non gli appartiene. Secondo Snozzi tutte le azioni dell’uomo necessitano di un luogo appropriato per potersi realizzare. Il luogo quindi è parte integrante delle azioni umane; indissolubilmente l’uomo è legato al rapporto con gli uomini e senza questo legame perde di senso l’esistenza stessa. Una casa di Snozzi è ancorata alla natura, inamovibile, profondamente innovatrice ma con un occhio sempre rivolto al territorio e alle linee che lo compongono. I volumi sono e sembrano scaturire dalla naturale morfologia del sito; il sapiente uso dei materiali, delle forme, dei pieni e dei vuoti radica le costruzioni al territorio con un forte legame. Di solito si tratta di due volumi intersecati ravvivati da una tensione portata attraverso l’uso di finestre a nastro e porticati che sembrano voler 104
rompere l’unione dei solidi portando dinamicità; specchi d’acqua, piccole piscine strette e lunghe, sono concepite per suggellare questa tensione tra i volumi.
Nella foto: casa Menazzi.
I muri a secco, soprattutto nelle costruzioni su declivi, sembrano essere parte storica dell’intervento, una preesistenza che suggella il legame dell’architettura con la storia del Ticino dove numerose delle sue residenze sono state pensate. L’architettura di Snozzi prende e assume valore dal confronto con il luogo.
105
Nella foto: casa Snider a Verscio.
Razionalità e trasparente intelligenza emergono con forza dai progetti. Un efficiente sistema ordinatore emerge con spontaneità dalle linee che seguono queste case. Le esperienze nelle valli del Ticino, dove il tessuto leggibile è il più fragile della comunità, è di una innocente spontaneità e indiscutibile efficacia.
106
Nella foto: casa Wasler a Loco.
Nel rapporto tra luogo e spazio è racchiuso l!uomo, poichÊ la relazione dell!uomo con i luoghi e attraverso i luoghi con gli spazi risiede nel abitare. Le case di Snozzi aiutano l!uomo ad abitare e ,attraverso i luoghi, lo collocano in una dimensione reale.
107
Il Cantone Ticino con il suo paesaggio complesso e mutevole
ospita numerose case di Snozzi, tutte accomunate dall estrema forza comunicativa e dalle profonde radici con il suolo. Casa Morisoli, ad esempio, sorge su un lotto
estremamente piccolo, si tratta di due case contigue che sorgono sul limite della strada. Dal parcheggio coperto, percorrendo pochi gradini, si arriva alla quota del giardino dove un portico conduce all ingresso. Ai piani superiori, una # a dal soggiorno affaccia sul giardino interno, mentre gli oblò sul retro consentono la visione del paesaggio circostante,
caratterizzato dalla presenza di un folto vigneto. Le due case si uniscono ai piani superiori lasciando che al piano terreno dei vuoti rompano la rigiditĂ dei volumi.
Nella foto: casa Morisoli Locarno (piante).
108
Questa realizzazione fu possibile grazie alle nuove norme sull!ediďŹ cazione in Ticino che consentivano la costruzione di due abitazioni cosĂŹ vicine.
Nella foto: casa Morisoli Locarno.
Gli spazi interni sono quelli classici dell!architetto dove doppie altezze e ambienti luminosi trovano la celebrazione assoluta. Le ampie ďŹ nestre rendono possibile la vista dei vigneti circostanti che giĂ negli anni 80 iniziavano a comparire nei giardini e nei piccoli spazi che le cittadine del Cantone offrivano, segno di
109
quanto questo processo sia radicato e ormai giunto alla fase matura.
Nella foto: casa Morisoli Locarno.
110
Casa Guidotti, nota anche come casa del sindaco è sicuramente quella che presta più attenzione al tema dei vigneti nel Cantone. Edificata nel 1984 a monte Carasso, pochi chilometri a sud di Bellinzona, si tratta di un edificio forte rispetto al profilo del paese, costituito da abitazioni di pochi piani, ed emerge come una piccola torre isolata in mezzo ad una vigna direttamente al centro dello stesso. Segna con precisione il luogo in cui l!anello viario del paese cambia direzione; costituisce un eccezione, un sistema isolato dalle tipologie esistenti ma legata alla storia e alle tradizioni dalla vigna che, recuperata, costituisce una preesistenza storica.
Nella foto: casa Guidotti monte Carasso (piante).
111
Nella foto: casa Guidotti monte Carasso.
112
Il soggiorno al piano terra,
aperto su un vuoto a doppia altezza, si prolunga all esterno con una terrazza lunga e stretta e in una pergola che delimitano e seguono il
bordo della strada. Tu t t i q u e s t i e l e m e n t i riprendono le proporzioni e gli orientamenti dei #lari
della vigna, che occupa il cortile interno. Snozzi utilizza le geometrie e le forme dei # i per creare e suggellare la tensione che nelle sue case lega i volumi principali. Le aperture e i telai delle # e sono tutte regolate dal passo dei # . Casa
Guidotti si impone fortemente sul # o del Nella foto: casa Guidotti monte Carasso.
113
paese e trae la sua forza dalla vigna, che da sempre è il cuore di questo abitato.
Nella foto: casa Guidotti monte Carasso.
114
CONCLUSIONI
L!architettura è una forma d!arte, forse la più complessa e deve tener conto di tutte le altre arti e fonderle in uno spazio. Un buon architetto è quello interessato al mondo e ciò che accade in esso, quello che indaga sui margini, sulle spazialità complesse, sul concetto di luogo e sulla terra. Il luogo è quello dell!interazione umana e, per gestire e ospitare una simile complessità, bisogna che si studino spazi appropriati. La sensibilità di un architetto verso il suolo che gli appartiene è qualcosa di naturale, di una bellezza semplice, genuina, ma non scontata. Chi riesce ad osservare la realtà con occhio critico e indagatore, si eleva ad una condizione di outsider che gli permette di capire i meccanismi, come uno spettatore posto dietro le quinte che riesce a cogliere i tempi e i delicati equilibri che regolano una buona rappresentazione. Se si guarda veramente ad un paesaggio, si possono intuire i lenti meccanismi che lo regolano, la natura non è soggetta alle nostre leggi, anche se spesso è piegata al nostro volere.
115
La nostra epoca ha prodotto più veleni, costruito più strade, disboscato, avvelenato l!aria; il progresso ha soffocato spesso il buon senso. Dobbiamo tener conto dell!impatto che le nostre azioni hanno sull!ambiente e sulla nostra vita e su quella delle generazioni future. Una vigna ha un potere straordinario, ordina, abbellisce con un rigore naturale ma allo stesso tempo controllato. Il vignaiolo è il miglior architetto, conosce l!orografia, la storia del suo paesaggio, le preesistenze storiche, l!illuminotecnica, l!idrografia, l!arte, la geometria e la botanica. Chi imposta un vigneto si pone una serie di domande che sono tipiche dell!indagine architettonica; la posizione è quella giusta? la disposizione dei pieni e dei vuoti consente una giusta illuminazione? la quantità di acqua piovana in che modo influirà sul suolo e sulla sua solidità? come saranno le stagioni? che inclinazione bisogna dare per sfruttare il calore naturale? quali sono le corrette proporzioni per ottenere il giusto? Le vigne e le soluzioni che da millenni sono state affinate ,possono e devono essere infinita fonte di ispirazione per un architetto. L!architettura sostenibile cerca di risolvere gli stessi problemi che i vignaioli si trovano a dover affrontare. Il legame con il terreno, il naturale inserimento, la luce e il calore, non si possono ignorare. La forza del paesaggio che le vigne creano sono un esempio di 116
abbagliante bellezza; il vignaiolo si isola, sceglie un luogo, lo conosce a fondo, se ne innamora, lo fa suo, lo cura, lo protegge non lo abbandona. La vite è vita e il vignaiolo interpreta la vita, adatta la sua a quella dei tralci e si sacrifica per dare al suo vino un!anima, la sua. Se un architetto riuscisse a raggiungere una tale simbiosi con il terreno e con i luoghi allora si che stile e forma sarebbero parte di qualcosa di unico, di potente e irresistibile. I vini sono una questione di semplicità: i sofismi che alcuni produttori inventano per poter primeggiare gli rubano vita, il vino dev!essere il frutto dell!interpretazione del terreno per ottenere un prodotto corretto, sincero, che scaturisce da una determinata terra. Così le case devono essere il prodotto della terra, non un imposizione. L!architetto è il mezzo che realizza ciò che la terra richiede, interpretandone i segni.
117
118
Bibliografia
-G. Buzzi, Atlante dell’edilizia rurale in Ticino, edizioni scuola tecnica superiore del Canto Ticino, Locarno 1993. -D. Cavazza, Viticoltura, UTET, Torino 1934. -D. Cavazza, Viticoltura in: nuova enciclopedia agraria italiana in ordine metodico redatta da cultori delle diverse discipline agrarie, uniti tipografi torinesi, Torino 1923. -G. Dalmasso I. Eynard, Viticoltura moderna, manuale pratico, editore unico Hoelpi, Milano 1979. -M. Fregoni, M. Boselli, potatura della vite, Reda, Roma 1982. -E. Corazzina, La coltivazione della vite, botanica, morfologia, impianto, potatura, difesa, vendemmia, uva da tavola, edizioni l’informatore agrario, Verona 1988. -A.I. Pini, Vite e vino nel medioevo, editrice Clueb, Bologna 1989. 119
-M. Manaresi, Il Burson, l’uomo, la vite, il vino, società editrice Il Ponte Vecchio, Cesena 2005. -A. Morando, Vigna Nuova, materiali e tecniche per l’impianto del vigneto, Edizioni Vit.En., Asti 2001. -L. Benevolo, I segni dell’uomo sulla terra, una guida alla storia del territorio, Accademia universitaria della Svizzera italiana, Mendrisio 2000. -P. Disch. Luigi Snozzi, Buildings and project 1958-1993, text by A.Siza, R Diener, P.A. Croset, ADV Publishing House, Lugano 1994. -L. Zangheri, Storia del giardino e del paesaggio, il verde nella cultura occidentale, Leo S. Olschki, Città di Castello (PG) 2002. -E. Turri, Il paesaggio come teatro, Marsiglio Editori, Venezia 1998.
120