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Brandeins 04/2024

Testo: Mischa Täubner

Foto: Roeselena Ramistella

Il CONSERVATORE CREATIVO

Dalla Calabria i giovani fuggono a frotte. Stefano Caccavari è rimasto – e con la sua straordianaria start-up, ci dimostra come si fa a far ripartire la più povera delle regioni d’Italia.

Attraversando la provincia di Catanzaro, seduti nell’utiliatria guidata da Stefano Caccavari, succede questo: la roccaforte della mafia sembra trasformarsi in un vero paradiso: „ Vede lassù sulla collina“ esclama con entusiasmo „ che meraviglia di bosco! Sono pini neri secolari!“ Poco dopo il 35enne si ferma. Nonostante la sua folta barba appare giovanile. Scende dalla macchina, corre verso il campo, con un coltello taglia un grosso bulbo da una pianta e ne ritaglia il cuore succoso. "Assaggi! E' il miglior finocchio che lei abbia mai mangiato in vita sua“

Proseguiamo, Caccavari ci vuol far vedere il mare, „ il più bello di tutta l’Italia“. Avanza su una strada piena di curve; non perde una parola su tutta quella spazzatura sparsa in mezzo al paesaggio collinare, non racconta niente del processo che l’anno scorso ha condannato 207 membri della mafia calabrese ‚Ndrangheta ad una pena detentiva complessiva di ben 2000 anni Sembra che guardi la sua terra attraverso un filtro che esclude ogni negatività.

Da una scogliera guarda il mare. Il vento scompiglia i suoi neri capelli. „Secondo la teoria del mio amico Massimo Capalbo“, dice, „ogni territorio prima o poi va incontro allo stesso destino amenochè i suoi abitanti non lo difendano: sparisce.“ E poi aggiunge piano: „Qui, questo non succederà“

In Calabria cè un crescente numero di persone che non ne può piu che la loro terra venga sempre e soltanto messa in relazione con criminalità e povertà. Caccavari è il loro nuovo eroe. Lui ha uno straordinatio successo con la sua attività fondata nel 2016 che da grani antichi produce farine, pane pizza e biscotti.

Con poco più di un millione di fatturato l'azienda è ancora piccola. Ma se da un lato ha il potenziale di diventare molto più grande, dall’altro emana un forte segnale di speranza: „Mulinum“, cosi si chiama, sta per una Calabria diversa. Una Calabria che si alza – contro i distruttivi affari della mafia, contro amministratori corrotti, l’agricoltura industriale e contro tutti quelli che pensano che il Sud d’Italia si perso da tempo. Mulinum inoltre sta per una nuova economia e per la forza propulsiva di una singola persona. La stampa festeggia Caccavari come esempio e il Presidente della Repubblica lo ha insignito dell’ordine al merito della Repubblica italiana.

Una discarica come effetto scatenante

La sede dell’impresa è una casa nel niente. Negli immediati dintorni: prati, boschi, una strada provinciale. Verso sud, a distanza di pochi kilometri su una collina il paese di 600 anime, San Floro. Ad una certa distanza verso nord si erige Catanzaro, la capitale della Calabria. Nella casa quattro

giovani uomini si danno un gran d’affare, tre di loro lavorano nel panificio sulla sinistra; nella stanza a destra invece c’è una grande macina di altri tempi che macina la farina come i vecchi tempi. Dal ristorante che si trova al centro dell’edificio e attraverso grandi vetrate è possibile osservarli al lavoro. La sera viene servita la pizza.

Ad uno delle lunghe file di tavoli è seduto Stefano Caccavari e guarda nel futuro: „Prima o poi saremo rappresentati in ogni provincia d’Italia “

Con grande euforia inizia a raccontare come tutto iniziò. Lui sa benissimo quanta importanza questa storia abbia per il suo successo. Fotografie sulle pareti documentano gli avvenimenti più importanti dal 2014 in poi. E l’anno in cui in vari comuni della provincia di Catanzaro si alzano ad una protesta contro la costruzione di una discarica. È previsto un impianto per materiali biologicamente non degradabili e velenosi rifiuti speciali per un totale di tre milioni di metri cubi. Sarebbe diventata la seconda più grande discarica d’Europa. Costruita e gestita da un’azienda di nome Sirim che ha sede nella regione. Stranamente questa discarica doveva sorge nella Battaglina, un luogo non adatto: C’è alto rischio d’incendio, alto rischio sismico e la terra è troppo permeabile per poter proteggere le acque sotterranee dal percolato. Inoltre, questo terreno coperto di alberi d’eucalitto, grandi querce e macchia mediterranea ha una destinazione ad uso collettivo. Ogni cittadina, ogni cittadino ha il diritto di andarci a caccia, per funghi o a raccogliere legname. Nel dicembre del 2013 gli abitanti si insospettiscono alla vista di lavori che si svolgono nella Battaglina. Grossi macchinari scavano fosse di terra. A seguito di un’indagine nelle amministrazioni viene fuori che il progetto che chiamano col grottesco nome di “isola ecologica” era già stato autorizzato anni prima dalle giunte comunali di Borgia e San Floro, della Provincia di Catanzaro e della Regione Calabria: l’indignazione è grande. Un comitato civile ed una organizzazione ambientale, Legambiente, chiamano alla resistenza contro “l’illecito progetto”. Migliaia di persone aderiscono alle manifestazioni nel gennaio 2014, bloccano i lavori. Fra loro: Stefano Caccavari. Lui sta studiando economia e commercio e siccome già da ragazzo montava computer e si interessava all’informatica, sogna una carriera nella Silicon Valley. La protesta contro la discarica invece l’ha toccato profondamente. Si impegna nel comitato che organizza la resistenza quando un giorno il suo amico Massimiliano Capalbo - pioniere dell’eco-turismo, conosciuto perché avvicina in modo imprenditoriale l’uomo alla natura – li pone una domanda: cosa fai tu personalmente per proteggere la tua terra? gli dice che non è un caso che ci sia questo progetto per la discarica proprio in questo luogo dove la terra non possa essere utilizzata in modo proficuo. “Questo è stato per me il momento scatenante” dichiara Caccavari e salta sulla sedia per andare a prendere dei biscotti appena sfornati. “Assaggi, sono i migliori biscotti in terra”, dice. Dice che le parole del suo amico non lo hanno più lasciato, dice, che da quel momento ha guardato con occhi nuovi la sua patria. “Volevo fare qualcosa per proteggerla”

Un orto si solidarizza

Il prodotto interno lordo della Calabria con 19.400 Euro pro capite è il più basso d’Italia e con il 15% di disoccupazione si colloca al primo posto nella UE. Più del 30% delle persone fra i 15 e i 34 anni non vanno né a scuola, né all’università, ne seguono un lavoro. Negli ultimi dieci anni circa 100.000 persone di questa fascia d’età hanno lasciato la Calabria. L’industria è praticamente inesistente. E l’agricoltura convenzionale non rende a causa della posizione collinare e di media catena montuosa. Questo è il motivo per cui molti contadini lasciano i propri campi incolti. Se si vuole proteggere un territorio, bisogna coltivarlo. Con questo pensiero nella testa, nel mese di maggio del 2014 e nei quattro ettari di terreno della sua famiglia a San Floro, Caccavari crea un bio-orto comunitario. A vista d’occhio si trova il terreno sul quale doveva nascere la discarica. Già allora i lavori di scavo erano stati fermati per la pressione pubblica, l’amministrazione regionale aveva deciso di riguardare la situazione delie approvazioni e dei permessi.

L’allora 27enne Caccavari sviluppa un modello di abbonamento: divide l’orto in particelle di 100 metri quadri e insieme a suo zio e tre aiutanti coltiva verdure e frutta – senza additivi ne concimi chimici. Per un abbonamento annuale di 750 euro i clienti possono venire per il raccolto durante il fine settimana. In primavera sono fave, piselli, patate spinaci e bietola, d’estate zucchini, melanzane, peperoni, pomodori, cetrioli e carote, in autunno ed inverno broccoli, cavolfiore, carote, cicoria e finocchio. A metà 2015 Caccavari conta già 100 abbonati: professoresse e professori dell’università di Catanzaro che vogliono nutrirsi in modo sano, come anche madri di altre città della regione che vogliono avvicinare i figli alla natura, alla coltivazione.

L’orto diventa sempre più un’impresa. Caccavari documenta tutto su Facebook, si vede lo zio mentre semina, si vedono patate che germogliano ma anche clienti abbonati che si divertono a raccogliere le verdure. Questo fa si, che ben oltre la comunità dell’orto si crea una vera e propria Community. Senza questa, Caccavari oggi non avrebbe raggiunto il successo che ha. Il valore della Community si manifesta soprattutto nell’acquisto di una macina – il punto di svolta nella storia di un uomo, che la stampa, da quel momento in poi, chiama il Steve Jobs della Calabria. Tutto inizia quando Caccavari vuole dare del buon pane ai suoi abbonati. Chiede consiglio a sua nonna Concetta, un tempo contadina, divora libri e capisce che in Calabria una volta esistevano dei grani autoctoni di questa regione. Questi spariscono negli anni ’70 e fanno posto ad un nuovo grano di nome Creso, quattro volte più resistente e con un contenuto proteico più alto. Caccavari impara che la pianta del grano Creso è molto più piccola dei suoi predecessori e che senza erbicidi, concimi e pesticidi non cresce. E poi viene a sapere che in Calabria esistevano nove macine di pietra con le quali si macinava il grano fino agli anni ’50 – una lavorazione molto più lenta, molto più delicata di quella industriale di oggi. Caccavari vuole produrre il pane come una volta. Nel suo orto comunitario semina un grano di nome Sentore Cappelli, va in cerca di macine e trova quello che cerca – dall’ultimo mugnaio della Calabria a circa 80 di San Floro. Nel mese di luglio 2015 Caccavari porta lì il suo grano appena raccolto e fa macinare la sua farina su una macina di quarzo del 1800. La prima persona che assaggia Il pane, fatto col proprio lievito madre, senza altri lieviti, senza additivi, è sua nonna. Questa, con grande gioia riconosce il “Brunetto”, quel pane brunetto che aveva mangiato da bambina.

Anche le persone dell’orto sono entusiaste. Caccavari vuole migliorare il suo pane, inizia a sperimentare, annusa potenziale commerciale. Ma poi il mugnaio gli dice che vuole smettere e vuole vendere la macina. Un toscano gli avrebbe offerto 15 000 euro per decorare la sua casa di campagna ma preferirebbe molto di più darla a Caccavari per la stessa somma. Chiede fra i suoi amici, nessuno gli può prestare i soldi. I suoi genitori che hanno un bar e sognano un futuro migliore per il figlio vogliono comunque che finisca l’università. Come ultima opzione, il 14 febbraio 2016 si rivolge con un appello urgente alla su Community di Facebook. “Salviamo l’ultimo mulino di pietra”, scrive e polemizza contro “un tipo toscano”, che per pochi soldi vuole fregare ai calabresi il loro “gioello storico”. L’appello funziona: 48 ore dopo ha 72.000 euro sul conto e dopo tre mesi ben mezzo milione. “Ero commosso, scioccato, felice” racconta Caccavari “e da quel momento mi è era chiaro che la cosa dei grani antichi dovevo pensarla in più grande”

Dall’Agricoltura al bene culturale (Landwirtschaft zu Kulturgut)

In un elegante cafè di Catanzaro, a 100 kilometri da San Floro, Franco Laratta butta giù un cafè e dice: “il paesaggio calabrese ha un potenziale rivoluzionario”

È il giorno prima della gita e prima del colloquio con Stefano Caccavari. Il 64enne Laratta è conosciuto in Calabria. Come iscritto al partito democristiano era vicepresidente della Provincia Calabria, più avanti deputato del partito di centro sinistra Partito Democratico nel Parlamento Italiano. Nella sua seconda carriera modera trasmissioni televisive regionali e oggi lotta come

giornalista freelance e autore di libri per una migliore immagine della Calabria. Secondo lui la coltivazione di prodotti gastronomici è una delle poche vere punte d’eccellenze italiane; anche in Calabria ci sono dei meravigliosi esempi in questo senso, così dice: il riso per risotto di Sibari, la cipolla rossa di Tropea, il bergamotto di Reggio Calabria. “abbiamo bisogno di più eccellenze di questo tipo per uno sviluppo economico ed etico della regione” Per questo motivo, dice, Caccavari è un grande esempio “lui sa come trasformare un prodotto agricolo in un bene culturale”

L’inizio di questo è stato nel 2016. Grazie al crowdfunding si ritrova inaspettatamente con la cassa piena, inizia un nuovo progetto. Con una casa in campagna al centro. È qui che vuole metterci la macina, è qui che i contadini della zona potranno portare il grano per macinare come usava una volta. Esclusivamente grani antichi della regione che crescono senza additivi chimici, che sono particolarmente salubri. Con farina sana vuole difendere il suo territorio. E’ animato da spirito positivo, da quando l’amministrazione Calabria ha incassato (fermato) la discarica e da quando il pubblico ministero ha indagato nove impiegati amministrativi per abuso d’ufficio. Il male minaccioso che lo aveva spinto ad agire è quindi arginato. Ma poi succede qualcosa che succede spesso a persone che non si attengono a leggi non scritte in Calabria: la capanna dell’orto comunitario che serve come deposito, brucia. Secondo indagini, il fuoco è stato appiccato, l’autore del reato è ignoto. Quasi sempre sono degli invidiosi, a volte mafiosi. Caccavari pensa alla prima delle ipotesi. “Non ci lasciamo intimidire. Chi come noi lavora la terra mette sempre in conto l’imprevedibilità” riferisce alla stampa e la sua Community di Facebook euforicamente lo incoraggia.

Nel gennaio 2017 si inaugura la casa in campagna con cortile e campo di grano intorno. In estate si fa la prima festa della trebbiatura, tutte le famiglie del comune sono invitate, si raccoglie il grano, c’è musica, si balla, si mangia – tutto come una volta.

Inizialmente Caccavari fa un gran lavoro di persuasione. Parla con i contadini che dovrebbero coltivare grani tradizionali. Negozia con proprietari di pizzerie e alimentari. Nel viale che porta alla casa ha posizionato una vecchia macina con il logo dell’azienda. Nella casa cè una gigantografia col ritratto di nonna Concetta: l’ambasciatrice del marchio. Secondo la descrizione dell’azienda, le ricette di pane pizza e biscotti vengo da lei.

Caccavari lavora 6 tipi di grano antico e oltre il grano anche farro. Per il 70% i suoi prodotti vengono commercializzati attraverso negozi nella regione per il 30% tramite il suo Webshop. Una gran parte dei suoi clienti online li ha trovati durante la pandemia Covid quando le persone si dedicavano di più a fare il pane in casa e farine e lieviti scarseggiavano nei supermercati.

I clienti accettano che il prezzo di 3 euro al kilo della sua farina (nella vendita diretta in loco) e 5,90 euro (nel Webshop) sia da tre a quattro volte più caro di una farina normale. Anche il bestseller, il pane Brunetto da 1 kilo ha il bel prezzo di 7,90 euro (nel Webshop). Ma molti clienti trovano che il progetto di Caccavari sia importante e lo supportano volentieri. Questo vale soprattutto per i soci dell’azienda il cui numero dal primo crowdfunding ad oggi è salito a 320. “Questa grande partecipazione ha un vantaggio” dice Caccavari “la Ndrangheta non si mette volentieri con un collettivo e ci lascia in pace.”

Un marchio giovane con storia

Un bel giorno, siamo nel 2019, Caccavari riceve una telefonata da Guido Venturini del Greco. Il 70enne imprenditore agricolo bio in Toscana possiede 600 ettari di terra nella Val d’Orcia vicino a Siena e vorrebbe una succursale di Mulinum. Caccavari lo va a trovare e poco dopo richiama ad un nuovo Crowdfunding via Facebook – questa volta raccoglie ben 900 000 euro. Con questi soldi compra del terreno a Venturini del Greco e costruisce – simile a quella in Calabria – una casa con panificio, ristorante e due vecchie macine. L’imprenditore agricolo si specializza in grani antichi e

diventa il suo maggiore fornitore di grano. Tempo dopo la sede toscana salta alla ribalta quando la camera di commercio italiana premia il pane Brunetto come miglior pane del paese. ” Questo ci ha dato un ulteriore spinta”, racconta Caccavari.

Una terza sede di Mulinum è attualmente in costruzione in Puglia. Anche questa volta, dei proprietari terrieri si sono rivolti al fondatore calabrese, invece di coltivare individualmente dei grani antichi. Questo ci dimostra in cosa consiste il successo di Caccavari: non vende un prodotto intercambiabile ma un concetto, un marchio con storia e alta credibilità.

Il marchio sta per cooperazione e per un capitalismo che non sfrutta ne la natura né l’uomo. E’ questo il motivo per cui in tanti lo seguono.

Il fondatore sale di nuovo in macchina per fare una visita a Giuseppe Strumbo, detto Beppino. 67 anni, è uno dei sei contadini che semina il grano per lui in Calabria. Dopo 15 minuti di macchina Caccavari arriva e saluta Strumbo davanti ai suoi 3 ettari di campo coltivato. Strumbo vive da solo, i suoi antenati, finche ricorda, hanno sempre vissuto qui. E’ autosufficiente con carne, uova e verdure e guadagna anche qualche spicciolo vendendo nei mercati locali. “Non ho bisogno di molto per vivere” dice, “ma sono contento di guadagnare qualcosa in più con i grani”

Il prezzo convenzionale alla produzione per grano tenero per pane in Italia si aggira sui 350 euro a tonnellata.” Coltivarlo non vale la pena” ci racconta Strumbo. Questo è il motivo per cui ha lasciato il suo terreno brado – finchè Caccavari non gli ha offerto il doppio per una tonnellata di grano antico.

Lo sguardo dei due uomini si perde nel verde sazio dei campi. Sullo sfondo e sotto un brillante azzurro il cielo disegna il paesaggio collinare tipico della provincia di Catanzaro. Stefano Caccavari punta il dito verso nord-est: “La giù c’è la Battaglina. Lì volevano la discarica. Che idea assurda! E’ troppo bello qui e la terra troppo preziosa, non è vero, Beppino?” Il contadino annuisce.

Traduzione: Andrea Scholtz Rautenstrauch

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