STEFANO DELLI POGGI
Scritti di Sociologia – vol. II
Prædator Le soluzioni del profitto, dello sfruttamento e delle disuguaglianze nel sistema capitalistico
Autori Associati Produzione © 2016 – Autori Associati info@cddassociati.it e-book Kindle on Amazon ISBN: 9788867092901 – (Anicia)
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Indice
Prefazione
3
1.
Società ed economia
4
2.
Valore e prezzo
8
3.
Valore, Lavoro e Prezzo
11
4.
Offerente e domandante: ideologia del libero mercato
16
5.
Il profitto dedotto dalla «sfera della circolazione»
18
6.
Risoluzione della teoria di Marx dentro Marx
32
7.
Il mito dello sfruttamento del proletario salariato
34
8.
Esemplificazione del profitto nel lavoro salariato
43
9.
Mercato predatorio e aumento delle disuguaglianze
46
10. Possibilità dei prezzi di mercato liberi dal plusvalore
49
11. Uguaglianza dei venditori nel mercato capitalistico
51
12. Processo analitico delle disuguaglianze crescenti
55
13. Lavori produttivi, improduttivi, profitto e ricchezza
61
14. L’inconsistenza dell’Effetto sgocciolamento
66
15. Quote, prezzo e sgocciolamento di ricchezza o spesa
72
16. Esempio di distribuzione del reddito e della spesa
81
17. Speculazioni teoriche: le «Comunità per Azioni»
91
18. Povertà massificata e «Paradosso sincretico»
94
Explicit
100
Appendice. Prima congettura nella forma con due scalari
102
Bibliografia di riferimento del percorso analitico
103
Prefazione (p. 3)
Quattro sono i temi fondamentali di questo saggio che riguarda il sistema o modo di vita capitalistico: 1) la deduzione del profitto dalla «sfera della circolazione», 2) il mito dello sfruttamento del salariato, 3) l’aumento delle disuguaglianze e 4) la risoluzione di Marx mediante Marx per chiudere il discorso e lo studio su Marx dentro Marx. Lo scopo generale, con questi quattro temi, è quello di completare e di fatto concludere il più vasto lavoro sulla «Teoria dei Valori» (TdV), trattando qui dell’agire strettamente economico rispetto al più generale agire sociale. Per «agire strettamente economico» intenderò dunque le azioni agite per lo scopo della produzione e riproduzione della vita, nonché quelle più ampie per il benessere, essenzialmente in ciò che gli uomini compiono quando vivono del e nel sistema capitalistico. Col termine «Capitale» o «Capitalismo» intenderò sempre “un rapporto sociale mediato da cose” e un “modo di produzione e riproduzione della vita” che gli uomini adottano per vivere. In definitiva, infatti, quello di cui tratto è la sfera strettamente economica, che include l’agire strettamente economico e il prezzo strettamente economico. Questa sfera è totalmente inclusa, come sezione parziale, nell’agire sociale, ovvero come sottolivello di questo (cfr. SDP). Inoltre, risolvere Marx non significa ricusarlo, considerando, invece, che molti degli elementi dell’analisi marxiana sono parte fondante e non più espungibile di queste trattazioni. Evidentemente non è così, e subito va detto che la teoria che qui è risolta riguardo l’economia (intesa in senso stretto e quindi «agire strettamente economico») è quella conosciuta come «Teoria dello sfruttamento» con la deduzione del profitto capitalistico derivante dalla «sfera della produzione». Significa risolvere il problema della deduzione del profitto nel sistema capitalistico mediante le categorie di Marx per poi, inevitabilmente, abbandonarlo per confutazione. Altresì, questo non significa che la «Teoria dello sfruttamento» sia errata in sé, seppure complicata e con non poche ombre. Nulla da eccepire, infatti, e anzi assolutamente concordo con la teoria marxiana che il valore si produce con il lavoro. Ma quando arriverò a riaffermare che il sistema del capitale opera il suo sfruttamento in senso puro proprio nella sfera della circolazione e non nella sfera della produzione intenderò a monte una distinzione netta tra cosa è valore e cosa è prezzo.
Valore e Prezzo (p. 8)
Nella «Teoria dei Valori» distinguo, dunque, il prezzo tipicamente sociologico dal prezzo strettamente economico per sottolineare che nel processo di valorizzazione la dinamica dell’agire sociale può includere (e quasi sempre include) tra le dimensioni una fase di compensazione, cioè una perequazione e quindi una comparazione tra un valore ottenuto e un valore ceduto. Certamente questo avviene nello scambio, come è, per esempio, nel dono di Marcel Mauss dove nelle sequenze di «dare-accettare-ricambiare» si compie una valutazione reciproca, quindi sociale, di n-esime dimensioni (variabili). In quanto cessione (poiché il pagamento di un prezzo è cessione di qualcosa per qualcos’altro) questa può avvenire sia con soddisfazione e volontà immediata di Ego verso Alter (per esempio, cosa non insolita, cedere un pezzo di pane in cambio di un sorriso), sia forzatamente, ma sempre con esito ritenuto in ultima istanza conveniente da chi agisce, quando si debba seguire un comportamento socialmente conforme per evitare una sanzione (per esempio, cosa altrettanto non insolita, la presenza formale a un rito). Lo scambio sociale con il prezzo tipicamente sociologico è ovviamente di livello di generalità superiore rispetto allo scambio economico che, come detto, è solo una parte di quello e si esprime col prezzo semplicemente o strettamente economico1. Il prezzo, in assoluto, ha carattere bivalente. Cioè ha carattere di cessione per chi lo paga e di ottenimento per chi lo acquisisce. Il prezzo o si paga o s’incassa. Rappresentante del valore, il prezzo è quindi cessione od ottenimento di valore. E questo può essere sia nel rapporto di Ego con Alter (e questo è evidente), sia nel rapporto di Ego con sé stesso (per esempio la scelta tra ciò che si sa essere etico-morale nella cultura di appartenenza e ciò che è strettamente egoistico o considerato amorale anche da sé stessi). Il prezzo tipicamente sociologico è dunque quella corrispondenza al valore soggettivo che deve essere ceduta (pagata) da Ego in una qualsiasi azione agita. Trattandosi dunque di agire e agire sociale in cui la gamma di valori soggettivi è infinita, anche la gamma dei prezzi diviene infinita. Il prezzo da pagare, quindi, non solo si presenta come scelta tra due azioni da agire, ma anche tra le dimensioni (anche contrastanti tra loro) che determinano il valore dell’oggetto verso cui tende l’azione-agire e quindi la stessa azione agita. Il prezzo strettamente economico, in quanto agire che è agito in un campo o spazio sociale limitato, si manifesta in modo più semplice pur mantenendo la stessa dinamica. Questo prezzo in questa economia è quello che tutti siamo abituati a vedere in generale nei mercati d’ogni epoca che abbiano il denaro come medium, cioè una quantità di questo denaro che è ceduta da Ego ad Alter in cambio di una merce, bene o servizio. 1
Il concetto di prezzo tipicamente sociologico e semplicemente o strettamente economico in sociologia ed economia sociologica è in S. Delli Poggi (2012), Trattato sulle dinamiche dominanti dell’agire e dell’agire sociale, voll. 1, 2 e Poscritto, Padis Sapienza.
Dunque la dinamica dell’agire strettamente economico, ho detto, è la stessa di ogni azione agita. Ciò a dire che Ego dà un valore all’oggetto della compravendita e lo acquisisce al prezzo del denaro che a sua volta rappresenta un valore che deve cedere in quanto il denaro stesso è rappresentante dei valori di tutte le merci. Detto altrimenti, cedendo denaro per acquisire Ego rinuncia alla possibilità di acquisire con quello stesso identico denaro. Così, agire socialmente ha quasi sempre un prezzo e quel prezzo è dato dal soggetto che riconosce e stima il valore contenuto nell’ente cui vuole dirigersi. Altresì come detto, nel campo strettamente economico, valore e prezzo possono ridurre il campo di variabili (dimensioni) da valutare, ma non le annullano (un conto è valorizzare il rapporto tra due persone nelle infinite azioni possibili, un altro conto è stabilire esclusivamente se il valore di una mela risponde al valore del prezzo con la quale è messa sul mercato). Dunque nel caso dello scambio, che sia sociale o economico, il prezzo c’è sempre. Per esempio, un padre che voglia acquistare con denaro un prodotto (quindi un agire strettamente economico) per il proprio figlio, potrebbe e può mettere nel prezzo espresso da quella quantità di denaro anche una dimensione di valore che potrebbe essere «piacere e felicità del figlio». La quantità di denaro potrebbe essere ai limiti delle possibilità di reddito del soggetto-padre, ma il quid di valore extra (affettivo e perciò del tutto immateriale e fuori dall’economia in senso strettissimo) che quell’agire comporta, determina la maggiore valutazione e l’accettazione del maggior prezzo in denaro. Dire economia in senso strettissimo è solo una semplificazione peraltro non correttissima perché, essendo l’agire strettamente economico incluso nell’agire e nell’agire sociale, in esso coesistono tutta l’infinita gamma di dimensioni che danno valore all’ente di cui si tratta. L’unica differenza sostanziale tra agire sociale e agire strettamente economico è dunque che in quest’ultimo il prezzo è espresso in denaro, ma la struttura del valore resta la stessa. Come è ovvio le variabili (dimensioni) si possono mescolare e riproporsi, ma essenzialmente il valore di un’agire sociale si configura anche nel valore di un agire strettamente economico (essendo questo secondo un sottoinsieme del primo). Quale sottoinsieme dell’agire sociale, dunque, l’agire strettamente economico limita il suo campo o spazio di interazione sociale, né più né meno come se si trattasse di agire religioso o di un qualsiasi altro sottoinsieme. È ovvio, tuttavia, che è solo l’agire strettamente economico quello che può vantare il prezzo esclusivamente in denaro. Da qui in avanti l’unico interesse di questo saggio è verso l’agire strettamente economico, col suo prezzo specifico, nel sistema del capitalismo.
Offerente e domandante: ideologia del libero mercato (p. 16)
Nel mercato, l’offerente e il domandante non sono in opposizione. Quando i due ruoli siano effettivamente ricoperti e interpretati, la volontà del venditore è cedere la merce e la volontà del compratore è acquisire quella merce. Il solo e unico iato si produce, come già anticipato, solo tra gli stessi domandanti e distingue, tra coloro che vogliono comprare, quelli che possono o non possono pagare il prezzo con cui il venditore pone la sua merce sul mercato. Questa è l’ideologia usata spesso in molti luoghi della vita quotidiana, e da ogni parte, ma anche (forse) involontariamente dalla stessa economia disciplinare, quando presenta i grafici di domanda e d’offerta in opposizione, anche se è ovvio che si tratta solo di una semplificazione matematica, cioè affinché siano possibili i calcoli relativi. Eppure, in questo senso, la mistificazione rimane. Lo scambio economico è un tipo di agire (quello strettamente economico) e quindi anche questo è questione di volontà. E quando si tratta di volontà si parla di un agire che mira verso un punto. Quando le volontà sono due, altresì quel punto diventa un punto di congiunzione che può cadere entro un intorno approssimato, che tuttavia è sempre nella stessa direzione. Il fatto poi di non essere in opposizione non nega la situazione di negoziazione. Infatti, due individui che vogliono trovare un accordo si pongono alla ricerca di un punto di incontro, di un punto di equilibrio e dunque non vanno in direzioni contrarie, non vanno in direzioni opposte. Almeno che raggiungano l’area del conflitto (altra dimensione della negoziazione assieme allo scambio), essi vanno verso lo stesso punto in cui tentano di incontrarsi. Anche se può essere considerato un esempio romantico, l’evidenza empirica è data proprio dai venditori che non godono affatto nell’aver concluso la giornata riportando indietro le loro merci. Così, magari, se ne disfano riducendole, per esempio, del valore e del prezzo di un viaggio di ritorno con un carico che potrebbe valere meno del trasporto stesso. E questo vale ancor più quando quel venditore non abbia già aumentato il suo prezzo al mercato. Il venditore, infatti, soddisfa la condizione del rapporto tra il suo valore soggettivo della merce e la quantità di denaro con valore soggettivo proprio nel momento in cui porta la sua merce al mercato, al tempo , altrimenti parrebbe ovvio che non la porterebbe. Da quel momento egli è estraneo all’aumento del valore, e d’altra parte non potrebbe intervenirvi in quanto quella merce è ormai alienata dalla sfera della produzione. L’unica possibilità che esiste è che altri (i domandanti) riconoscano in quella merce (nella trasformazione da valore a valore del denaro) un prezzo superiore a quello presentato in prima istanza. Non essendovi la possibilità di inserire ulteriore valore da parte del venditore, ed essendo il suo valore soggettivo già definito per il fatto stesso che la merce è stata posta sul mercato (quindi pronta alla cessione al valore-prezzo al tempo ), è evidente che questo venditore può agire solo per «semplice aumento di prezzo»,
cioè secondo quello che chiamerò, qui e oltre, il principio della massima predazione totale utile. Di là dal problema di vendere, l’unico altro problema che in questo senso si pone al venditore nel mercato libero è quello di spingere al massimo il prezzo, cercando la migliore relazione tra unità di prezzo e unità di compratori. Vale a dire la massima quantità di prezzo moltiplicato per il massimo numero di vendite. La valorizzazione, infatti, è nel far riconoscere, far intravedere o far immaginare al domandante, ovvero fargli sorgere una valorizzazione che è diversa tra individui in quanto individui diversi. Si aprono dunque due visioni del medesimo grafico che rappresenta il rapporto mercantile per la stessa unica merce (bene o servizio). La prima è quella «statica» del valore del prezzo che è diverso per ognuno degli individui di un insieme Ego . La seconda è quella «dinamica» di un solo individuo Ego per cui il valore del prezzo varia in funzione del variare del valore, cioè quando Ego cambia la sua posizione nei punti .
Con il prezzo -
posto al mercato: merce invenduta in e in merce acquistabile da in (variando la posizione) merce acquistabile da (esclude ed in ) merce acquistabile da ed (esclude in ) merce acquistabile da in , nessuno escluso.
Esemplificazione del profitto nel lavoro salariato (p. 43)
Per meglio vedere l’andamento del processo di deduzione del profitto nel lavoro salariato è forse opportuno presentare un semplice esempio numerico delle formulazioni del capitolo precedente. Date le: 1. 2. 3. 4.
.
Per esempio, Vitae hominum paribus, la Vita Intera di Ego al tempo potrebbe avere un valore numerico uguale a 24 che egli deve sempre ricostruire a ogni ciclo per poter restare in vita. Si ponga anche che egli viva esclusivamente senza profitto, cioè a profitto salariale uguale a zero e quindi come se vendesse tutto sé stesso al capitalista. In questo modo, ancora per esempio, si avrà: tale che, nella sequenza di cui sopra dove -
si avrà:
Processo analitico delle disuguaglianze crescenti (p. 55)
Il divario tra queste due somme, quindi, cioè il divario tra il capitalista e l’insieme totale dei suoi salariati, non esiste nella
Quello che evidentemente esiste ed è crescente al crescere della produzione e della vendita è il divario tra la somma delle quote del singolo salariato col suo capitalista, tale che
ovvero
e il saggio di arricchimento di Ego su Alter è dato dalla
Da
deriva il grafico lineare perequato:
.
Dalla ovvero temente sperequata sulla
deriva invece una funzione lineare for.
Questa sperequazione con aumento della forbice tra Ego e ognuno degli Alter si produce quindi anche solo alla condizione favorevole di equità in cui la somma dei profitti è pari alla somma dei salari , cioè dove ogni pars di merce corrisponde a una quota di profitto e a una quota di salario. […] Questa è tanto semplice quanto disarmante per ogni e qualsiasi individuo che viva di questo modo di produzione e riproduzione della sua propria vita: chi vende di più e meglio arricchisce di più e prima.
Quote, prezzo e sgocciolamento di ricchezza o spesa (p. 72)
[…] Comunque la si voglia costruire, la curva che rappresenta la distribuzione della ricchezza totale planetaria ci renderebbe una fortissima sperequazione, vale a dire pochissimi individui con moltissimo e tutti gli altri che si dividono il resto, con una parte bassa più ampia che raccoglie ciò che rimane. Senza scendere in calcoli e cifre, comunque mai precise, si riesce facilmente a immaginare questa curva nel modo che segue.
Dove
= ricchezza,
= individui (numero intero naturale)
Da questo risulterà: al punto la massima concentrazione della ricchezza nella proprietà o possesso di pochi; al punto la parte media, essenzialmente composta dalle popolazioni delle nazioni sviluppate; al punto il declinare verso le popolazioni semi povere o povere, fino all’indigenza. Si tratta, come detto, di una supposizione, di una forma indicativa che tuttavia non si discosta da quella effettiva rilevabile da una qualsiasi realtà numerica di dati. Altresì, si tratta di distribuzione transnazionale, e il fatto di avere sopra descritto il punto come composto da “popolazioni delle nazioni sviluppate”, vuole semplicemente intendere che in quelle nazioni esiste una quantità maggiore di individui che appartengono più o meno a una “Classe media” . Questo vale a dire che pur essendo considerati inferiori nelle proprie nazioni, posseggono un reddito stratosferico se paragonato alle popolazioni più povere in quei luoghi ove il reddito procapite è anche di un solo dollaro al giorno e spesso anche molto meno. […]
Dunque si è sempre nella condizione formale in cui il profitto della produzione totale è sempre maggiore del singolo salario. Vale a dire che:
Da cui discende la possibilità che:
Ammettendo che il reddito sia destinabile, secondo le preferenze di ogni singolo individuo, a tre funzioni fondamentali di utilizzo quali il Consumo , l’Investimento o lo Spreco , è ammissibile che tutte facciano parte di una funzione generale della spesa . Certamente lo sono e perché sono immediatamente immessi nel mercato delle merci , come altrettanto certamente tra gli stessi e esiste solo una distinzione analitica per elementi soggettivi di scelta.
Esempio di distribuzione del reddito e della spesa (p. 81)
[…] Si tratta, dunque, di perequazione di un prezzo unitario moltiplicato la diversa produttività, quindi la resa in quote di prodotto uguali qualitativamente, ma diverse quantitativamente. Questo non significa disconoscere la diversità dei lavori che, come già discusso ampiamente, sono e restano diversi e non indifferenziati come nel modello di Marx. I lavori restano diversi, ma proprio in quanto diversi danno una loro diversa produttività quantitativa di identiche quote di prodotto uniformato. Vale a dire che, se pure in una fabbrica di automobili esistono tantissimi lavori differenti con anche singoli prodotti differenti, quello che ne risulta, cioè la merce finale, il prodotto della produzione che il capitalista porta al mercato è e resta la singola automobile. A quel punto ogni lavoro non può più essere differenziato perché, anche se fosse riconoscibile (p.es. il progetto della carrozzeria, oppure il rivetto o il filo elettrico o la campagna pubblicitaria) non avrebbe senso di esistere fuori dall’insieme di tutti i lavori che hanno concorso alla produzione di quella merce che così diventa unitaria. Allora la qualità dei lavori (sempre tenendo conto che i mezzi di produzione sono del capitale) è distinta solo dal numero delle quote per cui è diviso il prezzo (la vera discriminate) di vendita di quella merce. […] Dunque questo tipo di uniformazione può essere accettato nel calcolo del modello anche perché sembra evidente che, laddove si voglia applicare alla diversa quantità delle quote di prodotto anche un moltiplicatore di prezzo differenziato per qualità, ecco che i redditi, la forbice e le diseguaglianze di cui si discute esploderebbero ancora più potentemente. E questo, appunto, è ovvio, salvo che l’ora di lavoro del facchino o dell’uomo che fa le pulizie negli uffici della FCA Group sia pagata tanto quanto l’ora di lavoro del dottor Marchionne. Tanti lavori differenziati in un unico prodotto. Non è neppure un cattivo esempio pensare ai balenieri di Nantucket Island (MA) quando, se pure il prodotto era un barile contenente lo stesso identico olio e la qualità del lavoro era differente tra il capitano e il mozzo, la loro remunerazione era appunto per quantità di quote di quel prodotto che poi era consegnato all’armatore della baleniera e ai suoi soci. Anzi, in quell’epoca romantica forse si poteva parlare più di partecipazione che di salario. Ora, stabilito questo principio, si immagini ancora una singola unità produttiva composta da un capitalista e da otto salariati .
Sia il numero l’insieme delle pars prodotte che ogni singolo produce in quantità differente attribuita mediante una funzione qualsiasi, secondo la seguente tabella esemplificativa: 5
15
20
25
30
40
50
185
370
pars
Il grafico che ne risulta (vedi G1) è chiaramente sperequato nella forma del tipo che segue, tale che, opportunamente ribaltato, ricorda subito la curva della distribuzione del reddito e della ricchezza ipotizzata sopra. Il capitalista al tempo si affaccia al mercato nella fase . Egli fa produrre e acquisisce legittimamente poiché lo paga, cioè ne ha stimato il suo valore e lo ha pagato al tempo rispetto a sé e ai salariati, negoziandolo con loro al prezzo singolo di ogni pars (quota) . Allo stesso tempo egli ha pagato anche il prezzo del capitale costante , così che al tempo , momento in cui termina il ciclo della produzione, tutto resta nella sua proprietà e nel suo possesso. Egli può certo aumentare il prezzo di e dare tutti i premi di produzione e i miglioramenti diretti e indiretti che i suoi salariati gli chiedono, ma le quote di prodotto restano inequivocabilmente e totalmente sempre le sue e non deve fare altro che chiedere ai consumatori il maggior prezzo che egli ha pagato. Non è detto che lo faccia necessariamente, ma certamente è nella condizione di poterlo fare. G1 - n = Elementi dell'unità produttiva Pars {N}
400
t1
350
370
300 250
t0
200
185
150 100
30
40
50
185
nt
n1
25
n2
20
n3
15
n4
n7
n8
5
50
40
30
25
20
15
5
0
n5
t-1
n6
50
370
[‌] Grafico ideale della forbice delle disuguaglianze crescenti
G3 = 370
185
G4 = 1480
Povertà massificata e «Paradosso sincretico» (p. 94)
[…] Se il socialismo reale ha fallito nelle promesse di benessere, equità e giustizia sociale, è evidente che anche il capitalismo ha fatto lo stesso. Stare “meno peggio di altri” non significa stare bene. E questo lo si può verificare da qualsiasi dato economico preso da qualsiasi fonte attendibile. Per quanto le molte e variegate istituzioni si rivoltino dentro il problema cercando e proponendo improbabili soluzioni, è ovvio che il problema è sistemico. Infatti, è proprio il caso di dire che se Atene piange, Sparta non ride, almeno guardando l’attuale situazione di crisi durevole senza precedenti che investe tutte le altre nazioni vetero capitaliste del pianeta, ma anche i cosiddetti «emergenti», in breve tutto il Sistema. Quindi stare un po’ meglio di chi sta tanto male non significa stare bene. […] E allora si può continuare a credere o a far credere all’ideologia dello sviluppo continuo del sistema attuale come portatore di benefici distribuibili incessantemente a tutti, benché ammettendo periodi di crisi più o meno forti. Tuttavia, se tutto il discorso fatto e le sue conclusioni fossero sbagliate, se cioè il processo di Globalizzazione non corrispondesse all’espansione del capitalismo a tutto il globo, e quindi di conseguenza alla chiara, netta e conclusiva espansione del mercato e della predazione di ricchezza comunque detenuta, allora ci troveremo prima o poi in quella situazione che ho già espresso in passato in altri luoghi col nome di «Paradosso sincretico»: data la crescita continua della ricchezza globale e del surplus distribuito senza limiti, ovvero oltre i limiti di sussistenza e/o di povertà relativa, si avrà, nel tempo T, una quasi totalità di ricchi che lavoreranno per una esigua minoranza di ricchissimi che insieme consumeranno e accumuleranno l’intero ammontare del prodotto.
Appendice. Prima congettura nella forma con due scalari (p. 102)
Nella «Teoria dei Valori» (cfr. SDP) la dinamica dominante dell’agire e dell’agire sociale vede l’individuo concepire un qualsiasi oggetto di valore che può essere qualsiasi ente materiale o ente ed essenza immateriale verso cui tende l’individuo stesso. La tensione verso quell’oggetto di valore è data dal suo valore . Il valore y è dato per intensità e direzione dalla combinazione del valore delle dimensioni (o variabili) che soggettivamente e distintamente Ego e Alter danno a . In questa dinamica si hanno così sia la volontà individuale , sia la volontà sociale . Quello che ne risulta è dunque intensità e direzione di quale valore dell’agire sociale di Ego verso ente di valore. È l’intentio, cioè proprio l’«atto di tendere verso un oggetto» che dalla Scolastica, dalla fenomenologia di Brentano, Husserl e non solo, giunge sin qui. La struttura logica della funzione dell’agire e soprattutto dell’agire sociale è dunque . La forma filosofica è contenuta nel motto: Ita sum per meam atque aliorum voluntatem. L’individuo è quello che è sia per la propria volontà, sia per quella altrui. Una combinazione di volontà, come sintesi delle n-esime dimensioni (o variabili), perché ogni singolo uomo agisca individualmente e socialmente. Nella forma matematica sintetica, il «valore y» è dato dalla prima formulazione, in divenire, della , che porta alla Prima congettura. La prima formulazione è espressa nella forma semplificata dove, in contrapposizione a vettoriale, si presenta con due scalari, cioè due sole grandezze ( e ) ognuna completamente determinata da un numero. Ognuna di queste due grandezze è l’insieme di tutti gli infiniti numeri da a . Dunque, e sono sotto la condizione di essere rispettivamente compresi tra i valori ; e gli stessi scalari che li rappresentano sono parimenti compresi tra i valori . Il risultato di y è quindi il prodotto tra x e t. -
se se
(agire sociale) (agire individuale) (agire inesistente).
Bibliografia di riferimento del percorso analitico (p. 103)
Delli Poggi S. (2011-2012), Dinamiche dominanti dell’agire e dell’agire sociale. Per una Teoria dei Valori, voll. 1, 2, Poscritto del 16 marzo 2012 ed Estratti nn. 1, 2, 3, 4 – PADIS Pubblicazioni Aperte Digitali «Sapienza», 6.12.2011. Id. hdl.handle.net 10805/1224-1498-1617. Delli Poggi S. (2012), CCRC (Copia Cartacea Riveduta e Corretta), Trattato sulle dinamiche dominanti dell’agire e dell’agire sociale, voll. 1, 2 e Poscritto elaborati dall’edizione digitale e depositati presso la Biblioteca Statale «A. Baldini» di Roma. Delli Poggi S. (2013), Teoria dei Valori. Prima congettura e dinamiche dominanti dell’agire e dell’agire sociale (TDV), Edizioni Accademiche Italiane, Imprint der GmbH & Co. KG, Saarbrücken, Deutschland. Delli Poggi S. (2015), Scritti di Sociologia, volume I: Analisi e Teoresi. Economia e Società (SSI), EAI, Saarbrücken (D). Delli Poggi S. (2015), Sociology Writings – volume I:Analytic Sociology and Theoretical Sociology, PADIS Pubblicazioni Aperte Digitali «Sapienza».