Brevi annotazioni di antropologia del marketing

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BREVISSIME ANNOTAZIONI SULL’UTILIZZO DELL’ANTROPOLOGIA NELLE RICERCHE DI MERCATO di Stefano Fait COSA FA L’ANTROPOLOGO? – L’antropologo è affascinato dalle mille sfaccettature della natura e della cultura umana, dal comportamento e dai processi mentali degli esseri umani, nella loro diversità ed universalità. L’antropologo ha una formazione che lo spinge a cercare le cause profonde dei fenomeni umani e sociali. E’ interessato alle motivazioni dell’agire individuale, a quali fattori endogeni ed esogeni inducano gli individui a fare certe scelte, a quali siano le ragioni della discrepanza tra ciò che uno dice di fare e ciò che effettivamente fa. Assieme alla psicologia interculturale, l’antropologia cerca di capire il modo in cui la cultura influenza il funzionamento della mente, il comportamento, l’assegnazione della priorità a certe norme e valori piuttosto che altri. Essa inoltre cerca di identificare quelle specificità culturali che possono differenziare i processi generali della cognizione umana. L’antropologia è una disciplina maieutica: non deve imporre una prospettiva ma piuttosto far emergere dei punti di vista personali e rivelatori sia per chi li esprime sia per l’antropologo, dato che persino chi fa parte di una cultura spesso ne ignora degli aspetti fondamentali oppure ne dà per scontati altri. ANTROPOLOGIA E RICERCHE DI MERCATO – La cultura influenza ciò che le persone vedono, ricordano ed il modo in cui elaborano le informazioni. Essa influisce sulla costruzione soggettiva della realtà, degli insiemi di valori, atteggiamenti e reazioni standardizzati e convenzionali, norme e principi, suggerendo un certo indirizzo d’azione o una certa linea di interpretazione. Quando i valori sono socio-culturalmente strutturati, allora queste linee guida e priorità forniscono motivazioni per l’agire dei gruppi sociali e, cumulativamente, in certe circostanze storiche, di interi popoli. Anche l’acquisto ed il consumo di un prodotto sono frutto di una scelta fatta sulla base di considerazioni di ordine sociale, culturale ed economico che s’intersecano con le più vaste dinamiche dei mutamenti culturali, dei rapporti di potere, e dei processi di costruzione di un’identità personale e collettiva. Comprare un determinato prodotto equivale a fare una dichiarazione pubblica sulla propria identità, sul proprio status e sui propri gusti. Un consumatore può teoricamente identificarsi con numerose categorie sociali e quindi con vari stili e modalità di consumo, ma non tutte queste variabili sono in grado di attivare i suoi criteri selettivi, perché la loro influenza sulla sua identità sociale e sulla sua rappresentazione del tipo di persona che aspira a diventare può variare sensibilmente. In altre parole, i suoi bisogni cambiano al variare delle sue identificazioni sociali (religiose, di genere, etniche, di ruolo sociale, ecc.), cioè al variare del messaggio che il consumatore intende trasmettere a chi gli sta intorno e che spesso definisce la sua affiliazione ad un gruppo (es. donna araba di ceto medio-alto che sceglie di esibire la sua etnicità). Si tratta di capire quali valori e preferenze prevalgono in un certo contesto socio-culturale ad un dato momento. 1


Per questo le ricerche di mercato a carattere sociologico, storico e psicologico sono indispensabili. Agli antropologi, soprattutto negli Stati Uniti, dove la commistione di business e scienze social non è vista come un mercimonio, si chiede di analizzare il comportamento dei consumatori in un contesto socio-culturale diverso da quello consueto e di capire quali esigenze razionali e/o emotive, consapevoli e/o inconsapevoli (es. status, insoddisfazione, conformismo, auto-gratificazione, salutismo, ecc.), legate ad una pluralità di fattori, li indirizzino verso una determinata opzione. Detto questo, il vantaggio di una ricerca di mercato risiede nella sua rapidità. Una ricerca etnografica completa richiede almeno 1 anno con diversi mesi spesi sul campo, a toccare con mano ciò che si sta studiando. Una ricerca dignitosa dura tra i 3 ed i 6 mesi: tempi che non si armonizzano con quelli del mercato. I limiti delle ricerche di mercato sono tuttavia numerosi. Esse tendono ad inquadrare dei cliché in una teoria sociale e comportamentale superata, insistendo ad esempio sulle dicotomie Oriente/Occidente, modernità/tradizione, individualismo/collettivismo, meritocrazia/nepotismo, ecc. Dimostrano insomma un’inclinazione ad essenzializzare le culture e gli individui, come se si trattasse di sistemi chiusi ed immutabili ed a sfornare generalizzazioni che possono sembrare convincenti solo a chi (il politico, l’imprenditore) deve prendere decisioni cruciali in breve tempo ed è costretto a semplificare la realtà per renderla gestibile. E’ d’altronde nell’interesse degli stessi pubblicitari che operano in mercati “esotici” il sottolineare ed accentuare differenze, peculiarità, specificità, idiosincrasie ed incongruenze di culture e società che vengono descritte come non pienamente confrontabili e traducibili. Solo così possono valorizzare la loro professionalità (lo stesso discorso vale anche per numerosi antropologi, ovviamente). Ma è anche così che nascono interpretazioni fantasiose sulla concezione di natura umana che prevale nella tal cultura, sulle prerogative del tal gruppo sociale e sulle inclinazioni della tal categoria di consumatori. L’indirizzo meramente quantitativo delle ricerche di mercato può dunque comportare conseguenze sommamente spiacevoli: • l’esclusione di tutto ciò che non si concilia con parametri prefissati e obiettivi specifici del cliente; • la mortificazione dei consumatori, trasformati in dati statistici più o meno corrispondenti alla realtà; • l’accumulo di studi che presentano conclusioni discrepanti e dati disomogenei. Ci si dovrebbe chiede: indicano differenze interculturali reali o sono il risultato di misurazioni imprecise? • l’impossibilità di stabilire se le differenze nel comportamento dei consumatori siano significative; • l’impossibilità di verificare se le risposte ai questionari completati dai consumatori siano veritiere e se i consumatori agiscano coerentemente rispetto ai propri propositi (discrasia tra intenzioni dichiarate e comportamento reale); • l’impossibilità di verificare che i parametri non siano datati o che siano efficaci nella “lettura” della realtà, che le generalizzazioni siano giustificate, che i dati 2


culturali siano trasferibili in altri contesti, che le correlazioni siano dirette e non coinvolgano altri fattori che si è scelto di non considerare; ETNOCONSUMO O ETNOGENESI? – Questa sezione conclusiva è una breve critica dell’interpretazione corrente dell’enunciato (sostanzialmente corretto) secondo cui una conoscenza approfondita dei tratti salienti di una cultura e delle abitudini dei suoi membri indispensabile per fare del marketing efficace. Il mio intento è quello di meglio illustrare i limiti oggettivi delle analisi di mercato applicate ad un contesto “etnico” ai quali gli antropologi possono porre rimedio. Il problema, come detto, è che le consuete analisi di mercato non possono garantire al cliente che le peculiarità e particolarismi rilevati non servano, inconsapevolmente a soddisfare il bisogno dell’analista di mercato di dimostrarne l’esistenza. In altre parole, se il tempo concesso per portare a termine l’indagine di mercato è ridotto gli stereotipi possono trasformarsi in indicazioni di carattere generale. Se poi la campagna di commercializzazione va male si possono sempre incolpare i consumatori etnicizzati ed il loro comportamento imprevedibile. Per “etnogenesi” s’intende la creazione di un’etnicità (di un gruppo etnico) attraverso la reificazione di determinati attributi. Un caso emblematico di etnogenesi è quello dei Latini e degli Ispanici negli Stati Uniti, generati a tavolino per classificare chiunque provenga da sud e parli un lingua iberica, a prescindere dall’ampiezza delle differenze tra un portoricano ed un cileno, o tra un Maya ed un cittadino della capitale del Messico. Questa irragionevole semplificazione, che serve agli analisti del servizio censimenti ed all’amministrazione pubblica per meglio gestire la complessità di una società multietnica e multiculturale, si interseca con la logica propria dell’analista di mercato il quale, prendendo per buono il criterio classificatorio ufficiale, tende a cercare di dimostrare che esistono differenze ragguardevoli tra i gruppi sociali ed etnici, tali da giustificare il ricorso a specialisti. Questa operazione amplifica le differenze tra gruppi (es. Italo-Americani ed Ispanici) e riduce quella all’interno di un gruppo (es. Cubani e Boliviani). Questa vera e propria invenzione di marcatori di differenze spesso inconsistenti finisce per inglobare l’intera cultura, essenzializzandola: se alcune di queste peculiarità si rivelano incerte, allora se ne creano di nuove. Così le dinamiche interne alla segmentazione del mercato su base etnica producono differenze che possono essere irrilevanti, ininfluenti, o persino inesistenti. Al contrario, quelle differenze reali che non sembrano utili alla commercializzazione del prodotto o che complicano il quadro generale vengono dissimulate e rimosse. Ogni discorso alternativo e “deviante” che nasca all’interno di una comunità viene soffocato da certi dogmi del marketing, che preferisce linee divisorie nette e precise e nessun mutamento sostanziale. Altrimenti come si spiega il fatto che l’unico metodico esame comparativo delle strategie pubblicitarie svedesi e statunitensi abbia mostrato che il contenuto valoriale degli spot commerciali è rimasto pressoché invariato nel corso di 20 anni?

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