L’essere umano è spasmodicamente attratto da se stesso e dal sogno di comprendere tutti gli aspetti che lo riguardano; fra questi, uno importante è quello della rappresentazione della sua immagine. La singolarità della questione, però, risiede nel fatto che, a dispetto dell’immutabilità del soggetto - giacchè le caratteristiche fisiche sono ormai quelle dell’homo sapiens quando si manifesta la creatività - i modi di raffigurazione sono sempre diversi. L’immagine dell’uomo, infatti, muta in funzione dei parametri storici, sociali, stilistici e culturali, che hanno contribuito a determinarne la rappresentazione in figura. In altre parole, se paragonassimo e avvicinassimo tra loro opere appartenenti a periodi storici differenti, faremmo fatica, a volte, a comprendere che il soggetto è sempre lo stesso, ossia l’uomo. Si pensi, per esempio, alle tante immagini del Basso Medioevo che nulla hanno in comune con i celeberrimi nudi rinascimentali di Michelangelo per la Sistina o ancor più con quelli di artisti appartenenti alle correnti delle avanguardie storiche del Novecento, come Marcel Duchamp del “Nudo che scende una scala” o al celebre futurista Boccioni di “Forme uniche nella continuità dello spazio” (impressa sul verso delle monetine da venti centesimi di euro). Un giudizio sereno dovrebbe portarci a pensare che si tratti di soggetti diversi. Il fatto innegabile che gli artisti abbiano in questi casi scolpito uomini si spiega soltanto con la constatazione che tali opere sono l’interpretazione della figura umana in quel particolare momento storico, secondo quei precisi parametri stilistici figli di ispirazioni e aspirazioni sociali, economiche, artistiche e culturali in genere. In altri termini, la figura del nudo nell’arte è quella che, meglio d’ogni altro tema, costituisce la vera e propria sintesi di un’epoca. Racconta Pausania che Orsippo con un gesto plateale durante le gare olimpiche del 720 a.C. perse e poi gettò via il perizoma, cancellando d’un colpo l’ ancestrale situazione di inferiorità, tipica degli schiavi e degli sconfitti. Dal momento che vinse la sua sfida, consegnò alla gloria la nudità che diventò un modello immortalato da artisti sommi, come Mirone, o da abilissimi ceramisti di anfore panatenaiche. È interessante, nella circostanza dell’esposizione di olii, acquerelli ed incisioni che la Galleria Marcantoni oggi ci presenta, cercare di leggere le ragioni che hanno portato Alberto Manfredi a soluzioni iconografiche di un gineceo, zeppo di modelle con corpi di albicocca. . “Ma dove le trova, con quelle grandi cosce e le caviglie a spillo”?, si domanda R. Biasion. Manfredi, che nasce nel 1930 a Reggio Emilia, che ama la letteratura ed aspira a diventare scrittore, che consegue la maturità classica e la laurea in Lettere moderne, lui che illustra con stampe originali testi di Cardarelli, Kafka, La Fontaine, Baudelaire, Campana, tratta il nudo con un gusto suo completamente nuovo. A cominciare dal 1924 in Europa, il Surrealismo utilizza il nudo femminile come immagine delle pulsioni erotiche, studiate da Freud e da Jung, attribuendogli un ruolo diverso, con esempi di eccellenza che vanno da Dalì a Magritte, da Delvaux a Max Ernst. Per rispondere a Biasion ci si potrebbe riferire a Grosz, Dix , al Marquis de Sade, a Baudelaire. Ma uno per tutti, a B. Brecht delle poesie sull’amore ( Il Brecht dell’Odin) che sembrano calzare a pennello per quelle sue modelle stupìte di ritrovarsi nude, tra scuro e chiaro ombreggiati, col candore delle loro rotondità ma anche con un pizzico di ironia: “di lei io nulla so (…) / qualcosa dei suoi ginocchi, della sua gola non molto, / odor di sali dei suoi capelli nel folto”; La virtù l’amo, ma che abbia un didietro / e abbia il didietro le sue virtù”; “Signor guardalegna, la mia giarrettiera si è slacciata! / S’inginocchi, signor guardalegna e me la riallacci!”. 3
L’”Emiliano”, come lo chiamava Maccari, di cui era stato assistente all’Accademia di Roma, non disdegna il nutrimento parigino raggiunto tramite una borsa di studio messa a disposizione dal governo francese: il complesso e affascinante universo femminile, il romanticismo di bulle, i nastri e pizzi dei palcoscenici e dei bistrots. Soggetti e linguaggio travasano da una tecnica all’altra. Insieme, trasudano cultura, spirito, ironia e scetticismo. IL segno rapido e preciso delle acqueforti dà la resa immediata delle forme; lo scuro e chiaro, ombreggiati, il delicato colore di campagna a mezza stagione autunnale accarezzano le carni rosa e potenziano il trucco degli occhi negli acquerelli e negli olii. I volti svagati, duri assumono espressioni intense, cariche di suggestioni psicologiche e di rimandi affettivi. Dal 1967 professore di Tecniche dell’incisione all’Accademia di Belle Arti di Firenze, a differenza dei tanti artisti a lui contemporanei, non è un peintre-graveur ma un pittore e incisore : le sue acqueforti sono opere d’arte autonome e non interpretazioni grafiche di una principale espressione pittorica, quadri ad olio. Sembra quasi che l’incidere fornisca al pittore una specie di patente di nobiltà se, nella sua prefazione al Catalogo Prandi, n. 162, del 1974, ricorda amabilmente Degas che, ormai vecchio, disse a Georges Villa : “Si j’avais à refaire ma vie, je ne ferais que du noir et blanc.” “Frase sorprendente sulla bocca di un pittore – commenta Manfredi – che come pochi altri aveva saputo utilizzare il prestigio e la delicatezza dei colori.” Il ritornare di Manfredi con frequenza esasperata sui medesimi soggetti, un po’ come Morandi con la sua arte e il suo modo di vivere, denuncia il bisogno di esprimere ancora, e poi ancora, una volta di più, ciò che non riesce compiutamente a dire. Tutte uguali eppur tutte diverse le sue donnine malinconiche. Ciascuna ha nella piega d’un labbro, nel gesto di una mano, nel vivo dell’occhio, la traccia di moti assai diversi. “Alcune blandiscono, altre provocano, promettono, irridono; ce n’è di ignare, di amorevoli, di voraci, di indifferenti e anche di spente, gonfie d’interno mistero” (P.Cesarini, 1979). Un grande silenzio nelle sue composizioni! Si potrebbe immaginare una visione della vita che Manfredi si è fatta : insieme di baleni fugaci e provvisori percepiti con occhi austeri e distaccati di volti seri in interni chiusi. Ritorna alla mente la descrizione che, in un romanzo pubblicato nel ’69 da V. Bompiani, M. Monti faceva di un artista al lavoro : “ ….mentre nel portacenere si ammucchiavano….sigari non consumati…e sul tavolo si scontravano bozzetti, acquerelli, lastre di zinco e di rame… lo ritrovavo con le mani impastate di colori chino su un mortaio. (…) Quei colori un po’ sentimentali quasi d’autunno…; certe ‘donnine’ sono quasi tutte belle. Le loro facce ornate di rossetti indelebili, protette da trucchi impalpabili brillano di freschezza e le figure traspaiono difese da corsetti bianchi, neri, marroni come ravvolte nel cellophane, le gambe scintillano sotto calze nere senza cintura”. Non sono forse i soggetti di Manfredi? Pedaso, 27 aprile 2014
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Settimio Marzetti
L’Eleganza delle Forme
La stima artistica prima e la conseguente amicizia nata tra la famiglia Marcantoni e Alberto Manfredi risalgono oramai ai primi anni novanta. Galeotto per l’incontro fu l’Asolano studio di Arnoldo Ciarrocchi. Due personalità, quella emiliana e quella marchigiana, che hanno lasciato un’impronta importante e predominante nella vita e nella collezione della Galleria. Per motivi anagrafici ho un velato ricordo delle cadenzate visite estive che legavano il pittore Manfredi al litorale marchigiano, ma come tutti i ricordi d’infanzia ho ben vivo l’entusiasmo e l’armonia familiare che aleggiavano attorno alla tavola conviviale con il Maestro. Artista indipendente, scevro da ogni movimento o corrente predefinita; la sua tavolozza è sempre intrisa di raffinatezza e buon gusto. Uomo di grande cultura ed onestà intellettuale, amico ed estimatore di illustri poeti e letterati a lui coevi (Sciascia, Maccari), racconta il suo lavoro in maniera inequivocabile e le sue esperienze contraddistinguendo in modo perentorio il suo linguaggio. La lezione dei grandi maestri del passato non viene mai dimenticata da Manfredi. Anzi, egli ne fa tesoro per sviluppare e rileggere in chiave del tutto personale due tematiche care a moltissimi pittori di varie generazioni: il paesaggio e la figura femminile. Abile disegnatore, le sue modelle non sconfinano mai nella banalità o nel volgare. Sono figure che si presentano e sfoggiano la loro femminilità con garbo, sensualità e schiettezza. Il Manfredi valorizza il nudo femminile con la spregiudicatezza e la consapevolezza di colui che sa raccontare. Dipinge le proprie modelle di profilo, distese; mette in evidenza le giuste peculiarità non nascondendo nessuna parte del corpo. Tutto ciò, presentato con eleganza, maestria e soprattutto con rispetto ed ammirazione. Il retrogusto dell’ambientazione artistica manfrediana è di spiccato sapore parigino anni trenta. La Parigi dei bordelli, dei cabaret e del can can rivive nelle tele del pittore emiliano. I paesaggi sono altresì il risultato di una acquisizione culturale che parte da lontano. Tetti, comignoli, paesaggi urbano-campestri sono presentati con il gusto di chi ha consapevolmente assorbito, attinto e tradotto modi e tecniche di un recente passato. Anche la tavolozza dei colori è segno indistinguibile dell’opera di Manfredi. Il pennello attinge su tonalità del verde, del marrone, dell’ocra creando livelli cromatici sempre vicini, mai dissonanti. In questa esposizione, che raccoglie un ampio arco temporale dell’attiva artistica del pittore emiliano, sono altresì presenti opere grafiche, testimonianza del grande ventaglio tecnico affrontato dal Manfredi. Artista come già accennato volutamente lontano da qualsivoglia movimento. Il suo è un lavoro fuori dalle mode e dalle esigenze di mercato. C’è un alone di poetica nostalgia nel suo operare. Un valore aggiunto evidente in pochissimi artisti del panorama nazionale. La sua personale poetica, refrattaria ai confronti con la realtà della situazione artistica locale e sintonizzata piuttosto sulle onde della grande cultura artistica internazionale, e la sua scelta di appartata lettura e di libera riproposizione della grande lezione delle avanguardie europee gli hanno assicurato una larga notorietà e un vasto apprezzamento da parte del mondo del collezionismo. Un ringraziamento particolare la Galleria Marcantoni lo rivolge al collezionista, Colonnello dei Carabinieri, Fabio Canfarini e alle sorelle Spinaci della Galleria La Margherita i quali hanno contribuito con le proprie opere a rendere ancor più ricco ed importante questo appuntamento. Claudio Marcantoni 5
1973 Olio su Tela, 59x50 cm Esposizione e Pubblicazione: Gall.Pananti 1974 Collezione Canfarini
Autoritratto con Elda, 1974 Olio su tavola, 51x45 cm Collezione Canfarini
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Viso, 1979 Olio su cartone telato, 21,5x17cm Collezione Spinaci
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Nudo disteso, 1981 Tecnica Mista su carta, 19x33 cm Coll. Canfarini
Due Modelle, 1983 Olio su faesite , 60x45 cm Collezione Spinaci
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Nudo, 1986 Olio su faesite, 17x25 cm Archivio Galleria Marcantoni
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1990 Olio su Tela, 80x80 cm Collezione Canfarini
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Olio su Tela, 80x80 cm Archivio Galleria Marcantoni
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1993 Tecnica mista su carta, 9x13 cm Archivio Galleria Marcantoni
1995 Acquarello su carta, 11x18 cm Archivio Galleria Marcantoni 12
1991 Olio su Tela, 11x23 cm Archivio Galleria Marcantoni
1995 Olio su Tela, 20x20 cm Archivio Galleria Il Mappamondo 13
Olio su Tela, 15x15 cm Archivio Galleria Marcantoni
Olio su Tela 15x15 cm, Archivio Galleria Marcantoni
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Olio su tela, 11x26 cm Archivio Galleria Marcantoni
Olio su Tela, 21x16 cm Archivio Galleria Marcantoni
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Olio su Tela, 40x40 cm Archivio Galleria Marcantoni
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Olio su Tela, 11x26 cm Archivio Galleria Marcantoni
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BIOGRAFIA Pittore e incisore fra i più raffinati della sua generazione, Alberto Manfredi (Reggio Emilia, 1930-2001) è stato per molti anni titolare della cattedra di Tecniche dell’Incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Artista di profonda cultura anche letteraria si era laureato in Lettere a Bologna, e in quella città aveva potuto frequentare, fra gli altri, Giorgio Morandi, di cui eseguì diversi ritratti. Forse questa caratteristica ha fatto sì che la sua opera abbia avuto molti estimatori anche fra quegli scrittori a loro volta particolarmente inclini al mondo dell’arte, come Leonardo Sciascia, che scrisse la prefazione ad un suo catalogo di stampe, Gesualdo Bufalino, Valerio Zurlini, Romano Bilenchi; e certamente la sua formazione letteraria, unita alla sua precocissima vocazione di incisore, ha contribuito ad indirizzarlo verso il livre d’artiste: oltre cento sono infatti le edizioni di opere da lui illustrate. La sua ricca attività di incisore, raccolta parzialmente in quattro cataloghi pubblicati dal principale mercante italiano di stampe del Novecento, Dino Prandi, lo ha portato ad avvicinarsi anche a forme di espressione artistica meno usuali, come i linoleum eseguiti per le etichette dei vini dell’amico Sergio Manetti. Le caratteristiche salienti della sua arte graficaun linguaggio preciso, rigoroso e sobrio, che ha voluto sempre tenersi distante dalle mode, ricercando in se stesso e nelle sue profonde radici protonovecentesche (da Degas a Beckmann, da Modigliani a De Pisis) le proprie ragioni espressive si riscontrano allo stesso modo nella sua pittura, e non è certo un caso che uno dei protagonisti dell’arte italiana del Novecento, Mino Maccari, scrivesse di lui che restava “fra i pochi pittori che sanno ancora disegnare”. Numerosissime le mostre personali, alla Galleria del Milione e alla Galleria Il Mappamondo di Milano, alla Galleria Pananti di Firenze, al Palazzo del Parlamento Europeo di Strasburgo, alla Galleria Il Mappamondo di Milano, alla Bouquinerie de l’Institut di Parigi, culminate pochi mesi prima della sua scomparsa in una grande mostra antologica di oltre cento dipinti organizzata a Palazzo Magnani nella sua città.
Stampato nel mese di Aprile 2014 presso Tipografia Rosati - Pedaso (FM) Grafica: Red Grafica - Altidona (FM) 18