David Foster Wallace nella Casa Stregata

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L’inferno non conosce furia peggiore di quella di una postmodernista accolta con freddezza. (DFW)



Carlotta Susca

David Foster Wallace NELLA CASA STREGATA Una scrittura tra Postmoderno e Nuovo Realismo

Stilo Editrice


ISBN 978-88-6479-056-5 Š Stilo Editrice 2012 Viale Salandra, 36 – 70124 Bari Finito di stampare nel mese di maggio 2012 Presso Global Print, Gorgonzola (MI).


Sommario Prefazione di Ferdinando Pappalardo 13 Una prima nota al lettore (Con utili consigli sulla lettura di questo libro)

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Perché la Prima nota al lettore è postmoderna (Con alcune coordinate per capire di cosa si parla in questo libro)

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David Foster Wallace La mente migliore della sua generazione ossia Una introduzione 25 I. (Prima parte) Un po’ di postmoderna confusione Morti proclamate, Nuovi Realismi e Autenticità 1. Se il Postmoderno è morto, dov’è il cadavere? 2. È morto il Postmoderno, viva il Nuovo Realismo 3. Una personale e poco autorevole analisi delle caratteristiche del Postmoderno (con l’inaccettabile inclusione di Realismo e autenticità) 3.1. Della forma vituperata, eppure tanto attraente; dei fuochi d’artificio stilistici; dei palleggi a vuoto e di tutto ciò che rende un libro ciò che un libro dovrebbe essere, cioè qualcosa che vien voglia di leggere 3.2. Cos’è l’Avant-Pop e perché sorge il dubbio che chi avversa il Postmoderno stia parlando di un’altra cosa 3.3. Della forma e del contenuto insieme: perché i fuochi d’artificio ci devono essere e perché non è giusto che rubino la scena 3.4. E unibus pluram: la riflessione di Wallace sul problema della pregnanza nella scrittura postmoderna. Ovvero, come può essere insensato uno scrittore che si pone il problema di non esserlo? 3.5. Per tirare le somme: delle varie caratteristiche del Postmoderno, o almeno di quelle che sembrano più importanti

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3.5.1. Autenticità/sincerità 3.5.2. Metaletterarietà (e ancora sulla sincerità)

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I. (Seconda parte) Infinite Jest. Molteplicità, frattali e altri divertenti stilemi postmoderni

1. Ancora sul finale di Infinite Jest: perché non è semplicemente aperto ma parte di un’opera molteplice 2. Ancora sull’infinito, ma ordinato in strutture frattaliche. Ossia: Infinite Jest e la struttura perfettamente calcolata (e sempre al servizio del contenuto, di cui parleremo ancora oltre) 2 bis. («ma ordinato in strutture frattaliche») 3. Degli altri riferimenti all’Amleto in Infinite Jest 4. Nota n. 17 del capitolo precedente, che per favorire la lettura è stata resa un paragrafo a parte. Ovvero: Coordinate spazio-temporali in Infinite Jest 5. Microcosmo e macrocosmo. E cioè: perché la forma è al servizio del contenuto 6. S’era detto che Wallace voleva scrivere qualcosa di «americano e triste». Del triste abbiamo già detto, sicché... 7. Tornando alla questione dell’Io II. Nota 7 del Capitolo I (Prima parte) Da Perso nella Casa Stregata a Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso: un primo rinnegato esperimento, ovvero Del Postmoderno e dei suoi rischi 1. Perso nella Casa Stregata e Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso: per orientarsi 2. Come la pensa Wallace sul Postmoderno, o perlomeno come la pensava ai tempi di Verso Occidente 3. La realtà è verosimile? E, quindi, Di cosa parliamo quando parliamo di Realismo e Nuovo Realismo?

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4. Ma Barth ha influenzato moltissimo Wallace. Alcuni esempi 4.1. Il tuffo 4.2. Spunti presi dal romanzo di Barth L’opera galleggiante III. Artificio saggistico per parlare di altri aspetti della produzione di DFW, ossia La lettura di Wallace sulla base delle Lezioni americane di Calvino 1. Leggerezza 2. Rapidità 3. Esattezza 4. Visibilità

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IV. Il Re pallido. Non una parola di più 1. «Dev’essere per via di qualcosa che ho mangiato» 2. Tutti gli autori di saggi mentono 3. Una partita a squash con un muro molto partecipante 4. Teste fasciate, teste esplose, teste con cappello: è conveniente essere consapevoli? 5. «Tu, rimani con noi» 6. Ciascuno di noi è il protagonista assoluto della sua storia 7. Selezionare le informazioni. Iperrealismo o Realismo isterico o Impressionismo. Insomma, ricordarsi di eliminare i fattoidi 8. Memoria, memoriali, dimenticanze 9. Proporre le informazioni in maniera interessante, e cioè Puntare sempre un po’ più in là del bersaglio 10. Blizzard. Le migliori storie finiscono nell’indistinto

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V. Arringa conclusiva

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Bibliografia

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Prefazione David Foster Wallace era un autore cult per una imponente platea di lettori, diffusa in ogni parte del pianeta, prima ancora che la sua tragica morte (quasi presentita, se non addirittura annunciata nei suoi romanzi, dove compaiono frequenti allusioni al suicidio) ne circonfondesse la figura di un alone leggendario, facendone l’estrema, inattuale icona di un’assoluta identificazione fra arte e vita. Allo straordinario successo di pubblico (che gli ha procurato anche il crescente interesse dei media) non ha però corrisposto il favore della critica, il cui giudizio ha oscillato – nella maggioranza dei casi, e fatta eccezione per le sdegnate proteste suscitate dalla mancata attribuzione del Premio Pulitzer 2011 per la fiction al Re pallido, l’ultimo incompiuto romanzo – fra un ipocrita, quasi protocollare, generico apprezzamento e una malcelata o esplicita insofferenza. Questi atteggiamenti sono stati (e restano) in larga misura determinati dall’ostentato anticonformismo, dall’imbarazzante trasgressività che hanno caratterizzato la vicenda umana e intellettuale di Wallace, oltre che dalla provocatoria eccentricità, dall’oltranzistico sperimentalismo della sua narrativa, e dunque dalla difficoltà di ascriverla fondatamente a una delle grandi correnti (o scuole) che hanno dominato la scena letteraria americana negli ultimi trent’anni: minimalismo, postmodernismo, New Sincerity, Avant-Pop, New Realism. In Italia, poi, l’attenzione per l’opera di Wallace risale a tempi piuttosto recenti ed è rimasta circoscritta alla critica militante, esprimendosi in interventi spesso penetranti ma di necessità estemporanei, parziali. Questo libro colma dunque una lacuna, perché rappresenta il primo studio sullo scrittore di Ithaca che si prefigga di mettere a fuoco le originali peculiarità della sua narrativa, e di assegnarle una precisa collocazione nel panorama letterario e culturale degli States. Sarà opportuno però chiarire da subito che il lettore si troverà di fronte non a una tradizionale monografia, ma a un saggio, nell’accezione propria di questo genere del discorso. Innanzitutto, Carlotta Susca non fa nulla per nascondere – e anzi manife13


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sta sfacciatamente – la sua sconfinata ammirazione per Wallace, né si perita di dichiarare la piena condivisione delle istanze della letteratura postmoderna (fra i cui ranghi appunto lo scrittore statunitense è reclutato, e in una posizione di assoluto rilievo), polemizzando con i suoi detrattori e con tutti coloro che ne hanno prematuramente decretato la morte per sfinimento. In secondo luogo, l’analisi si sviluppa in modo volutamente discontinuo, frammentario, erratico, con un movimento quasi a spirale che conduce a Infinite Jest, giustamente considerato un’«opera mondo» e, al contempo, il nucleo (il cuore) della poliedrica produzione – narrativa ma anche pubblicistica – dello scrittore (essa pure esaminata nei suoi aspetti più significativi, e sempre in riferimento al capolavoro). Infine, Carlotta Susca rifiuta di adottare un univoco, cogente paradigma metodologico: e infatti le categorie interpretative di cui si serve sono mutuate da differenti ambiti disciplinari, e persino da altri scrittori (Barth e Calvino sopra tutti). Tutto ciò comporta la rinuncia a ogni pretesa di completezza e di esaustività, l’assenza di linearità espositiva e di consequenzialità argomentativa, e dunque anche qualche azzardo. Per esempio, dire che in Wallace tecniche tipicamente postmoderne convivono con tematiche squisitamente realistiche non può che far storcere il naso alla critica ufficiale, da sempre convinta della corrispondenza di contenuto e forma; anche se l’affermazione è motivata dall’intento di contrastare le tesi di quanti riducono la letteratura postmoderna a futile gioco, a insignificante intrattenimento, ad astuta e cinica professione di nichilismo, e la accusano di connivenza con il nemico – la cultura pop, il sistema delle comunicazioni di massa (a cominciare dalla televisione), l’industria dello spettacolo – che proclama di voler combattere. Pur tuttavia, da questo saggio emergono con nettezza le proprietà della narrativa di Wallace: la struttura frattalica della fabula, la costruzione anulare dell’intreccio, il polimorfismo del soggetto autoriale, l’ambiguità e indecidibilità dell’elocuzione, l’ingorgo plurilinguistico, la debordante intertestualità, l’ammiccante autoriflessività, e altro ancora. Proprietà che configurano il racconto come enciclopedia, ma labirintica e aperta, come suggestivo ipertesto che s’incarica di 14


prefazione

restituire un’immagine ironica e dolente, grottescamente deformata della società americana contemporanea, del suo profondo malessere e delle sue paradossali contraddizioni. Il libro si offre così come un prezioso strumento di conoscenza dell’opera di Wallace, della sua concezione dell’arte e del suo sentimento della vita; sebbene l’autrice preferisca, più modestamente, proporlo come un ‘invito alla lettura’ dello scrittore americano. Chiunque prendesse però sul serio le dichiarazioni dell’autrice, e pensasse che la disinvolta rapsodicità della sua scrittura, il suo stile a volte colloquiale e familiarmente interlocutorio, a volte effervescente e persino pirotecnico, lo spregiudicato melting-pot linguistico della sua prosa siano soltanto espedienti finalizzati ad accattivarsi la simpatia del lettore, a blandirne la curiosità, a rendere digeribile una materia per certi versi ostica, incorrerebbe – almeno in parte – in un equivoco: perché questo saggio pone in essere anche una garbata eversione, una sorridente parodia in chiave postmoderna delle convenzioni, delle regole, dei riti della critica (accademica, ma non soltanto), del suo aristocraticismo, della sua supponente autoreferenzialità. Spie eloquenti di questa volontà dissacratoria sono le note al testo, dove non compare – contrariamente alle abitudini – alcun riferimento bibliografico, e la brusca interruzione che mette fine al discorso. A significare, nel solco della lezione di Wallace, che non soltanto la letteratura, ma anche la critica può trasformarsi in un colto, intelligente jest. Ferdinando Pappalardo

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Una prima nota al lettore (Con utili consigli sulla lettura di questo libro) I testi saggistici sono noiosi. Nella maggior parte dei casi, perlomeno, è così. A volte sembra che il clima accademico imponga l’adozione di uno stile che inevitabilmente allontana il lettore. Perché si dovrebbe leggere un saggio? Per approfondire la conoscenza di un autore, per esempio. Per incrementare le proprie conoscenze su un periodo storico, per mettere a posto alcuni tasselli, sistematizzare un universo che si viene formando nella nostra mente di lettori. Ma perché queste nobili intenzioni (crescita, approfondimento, sistematizzazione) dovrebbero implicare uno sforzo superiore a quello della semplice comprensione del messaggio presente nel testo? Perché al lettore di saggi sembra inevitabile affibbiare la fatica ulteriore di barcamenarsi tra frasi involute e ragionamenti contorti? Al saggista verrebbe spesso da dire: Rem tene, verba sequentur, Domina saldamente l’argomento, le parole verranno da sé. Saggista, hai un’idea in mente? E allora perché ti affanni tanto per nasconderla al mondo? Perché non sei benevolo, amichevole e non fai in modo di condividere la tua intuizione con gli altri? Ecco perché in questo saggio faremo così: le note al testo – non quelle simili a questa che state leggendo, ma quelle in corpo 9, piccole, ancorate al testo con un esponente di nota, quelle, insomma, che in genere si saltano perché fastidiose – saranno perlopiù narrative. Aggiungeranno informazioni e non indicazioni bibliografiche. Il punto è che, inevitabilmente, noi siamo quello che leggiamo, e le note ‘alla Wallace’ sono contagiose. Non si tratta solo di vezzo artistico1, e fissare questo punto è un primo 1. Le note ‘alla Wallace’ sono in effetti degli ‘a parte’ quasi teatrali. La parete fra scrittore e lettore viene squarciata, ma di poco, perché la nota è apparentemente innocua, poco invasiva. L’impressione che ne deriva è che lo scrittore stia bisbigliandovi qualcosa di privato, in confidenza, e lo stia facendo solo a voi, chiamandovi fuori dal gruppo, perché gli siete particolarmente simpatici. Poi potrete tornare al discorso principale, e continuare a seguire insieme agli altri il testo standard.

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importante passo per l’avvicinamento al mondo letterario di David Foster Wallace. La verità è che scrivere saggi è abbastanza frustrante. Con un minimo di consapevolezza del mondo editoriale si sa perfettamente che il proprio sforzo (studio, raccolta dati, scrittura, correzione) non servirà a nulla: pochissimi leggeranno il testo, ancora meno persone acquisteranno il libro e, in più, presentare un’opera saggistica è vietato nella maggior parte dei luoghi in cui normalmente si organizzano presentazioni di testi di narrativa. La verità è che queste parole non esistono neanche, se non c’è nessuno che le legga (e questo perché la realtà non è oggettiva, checché ne dicano i filosofi che gridano alla morte del Postmoderno – si veda il primo capitolo), quindi tutto quello che il saggista in questi casi può fare è: a) scrivere il suo saggio in maniera canonica (i.e. barbosa), tanto se qualcuno sta leggendo il testo vuol dire che se ne è già interessato o, meglio, lo ha già comprato; b) cercare di catturare l’attenzione del lettore, e non solo con fuochi artificiali2 (come, banalmente, potrebbe essere scrivere SESSO nel bel mezzo di una frase), a patto che questi siano al servizio del contenuto, e cioè che servano a rendere più piacevole la trasmissione di informazioni. Indorare la pillola, cospargere di zucchero la coppa della medicina, insomma, ci siamo capiti. E non perché si abbia la pretesa che i contenuti siano così importanti da dover essere trasmessi a ogni costo, ma perché la comunicazione fa parte del nostro essere umani, e quindi perché non cercare di farla funzionare?

Importante Quello che dalla Nota al lettore è importante apprendere è che il saggio che state leggendo avrà, dunque, note narrative, mentre le indicazioni bibliografiche saranno relegate alla fine del libro: si 2.  Dei ‘fuochi artificiali’ in letteratura si parlerà oltre, sempre nel primo capitolo.

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una prima nota al lettore

tratterà di indicazioni, anch’esse, narrative nei limiti del possibile. Dunque il consiglio è questo: se già conoscete l’opera di Wallace potete saltare la parte bibliografica o leggerla solo per rispolverare le trame dei libri, se invece non avete letto (ancora) nulla del Nostro, allora forse la linearità del testo (questo testo) andrebbe abbandonata e dovreste prima leggere le indicazioni bibliografiche e poi tornare indietro per godervi un testo privo di note fastidiose.

Perché la Prima nota al lettore è postmoderna (Con alcune coordinate per capire di cosa si parla in questo libro) Le due paginette che avete appena letto (ammesso che non le abbiate saltate come si ha sempre la tentazione di fare con i paratesti che promettono pedanteria) non sono solo un tentativo di captatio benevolentiae né solo il miglior modo per farsi editare pesantemente dal direttore di collana. Sono, in verità, anche un piccolo compendio delle tecniche di scrittura postmoderne. Dato che Wallace è stato tirato in ballo nel dibattito sulla morte del Postmoderno e che non s’è ancora ben capito cosa sia questo movimento che dovrebbe essere deceduto già vent’anni fa, questo saggio tenta di fornire qualche coordinata. Ecco perché, prima che inizi il libro vero e proprio, sarebbe utile già dare un’idea di cosa sia il Postmoderno in letteratura fissando alcuni punti, e traendo esempi dalle due pagine precedenti: a) «Una prima nota al lettore (Con utili consigli sulla lettura di questo libro)»: questo è un esempio di uso del paratesto in funzione narrativa. Copertine, alette, fascette, frontespizio e controfrontespizio, titoli, avvertenze al lettore sono tutte aree testuali un tempo di esclusiva pertinenza dell’editore e ora colonizzate dagli autori: il libro si espande e l’autore tenta di sorprendere il lettore sbucando nelle pagine in cui non ci si aspetta di trovarlo. 19


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a.a.) ovviamente le note al testo sono un esempio lampante di uso narrativo del paratesto. b) «le note al testo – non quelle simili a questa che state leggendo, ma quelle in corpo 9, piccole, ancorate al testo con un esponente di nota»: questa frase costituisce una conseguenza del punto a), ma talmente importante da meritarsi di non essere incasellata come a.b.). Si tratta della manifestazione della consapevolezza dello scrittore di stare producendo un manufatto. I testi postmoderni contengono spesso indicazioni sul modo in cui la frase scritta deve essere riprodotta sul libro; in John Barth (grandissimo maestro di scrittura e postmodernità), troviamo: Nei manoscritti, un tratto singolo di sottolineatura è il segno che indica il carattere corsivo, che a sua volta è l’equivalente, sulla pagina stampata, dell’enfasi verbale su una o più parole [...].

In una parola le opere postmoderne sono metaletterarie: riflettono sull’atto della narrazione nel suo farsi, e spesso i loro personaggi sono scrittori o artisti di qualche tipo. c) «La verità è che scrivere saggi è abbastanza frustrante»: la sincerità è un’altra delle caratteristiche del Postmoderno. Gli scrittori sembrano mettersi in gioco in prima persona, con insicurezze e dubbi. Se la realtà non è oggettiva (come invece affermano i filosofi sicuri della morte del PO-MO), una delle conseguenze letterarie è la messa in scena di questa incertezza. Ovviamente si tratta di letteratura, sicché: Non fidatevi mai degli autori postmoderni, sono perlopiù inattendibili. Ma il dubbio vi rimarrà. d) Alla sincerità è strettamente connessa la presenza dell’Io (narrante e autoriale). È significativo che il libro postumo di Wallace si chiami Il re pallido e che in Infinite Jest uno dei personaggi dell’Accademia di tennis abbia appesa in camera una stampa intitolata ‘Il re paranoico’. L’autore è sovrano assoluto dell’uni20


una prima nota al lettore

verso testuale da lui creato e la sua voce si avverte chiaramente. Ecco perché le opere postmoderne sono spesso metaletterarie: l’autore commenta la sua opera mentre la scrive. Ovviamente ‘sincerità’ e ‘Io’ sono istanze declinate lungo tutto il continuum che va dall’autore in carne e ossa al personaggio con il punto di vista più ridotto. e) Gli elenchi sono molto postmoderni. Sarà perché il tempo dell’attenzione del lettore è frazionato, e quindi è meglio frazionare di conseguenza l’informazione, fornirla in quantità discrete e autoconcluse, o forse perché graficamente consentono ‘respiro’ al testo, o anche perché il libro è in concorrenza con altri media (la tv su tutti, al momento, ma ancora per poco), e quindi deve allontanarsi dalla modalità foglio-di-papiro-ascorrimento-continuo e tendere alla forma testo-con-link-diapprofondimento. In ogni caso, prendetela per buona: Gli elenchi sono molto postmoderni. e.a.) La ricorsività. Scrivere di un elenco in un elenco è ricorsivo. Crea una sorta di corto circuito. È ciò che avviene anche con la sincerità del punto c), se ci pensate. Dico di essere sincero, ma non lo dico io, autore postmoderno, bensì la mia proiezione testuale, per cui ci sarà comunque una entità autoriale > voce narrante/personaggio3 che, a sua volta, potrà sembrarci sincera, ma chi ci dice che non sia un altro artificio? Insomma, gli scrittori postmoderni sono anche un po’ imbroglioni. f) «Importante» e «SESSO»: sono artifici per catturare l’attenzione. Gli scrittori PO-MO utilizzano una vasta gamma di strategie per tenere avvinto il lettore, anche se tali artifici (o fuochi artificiali stilistici) sono generalmente apprezzati quando non fini a se stessi ma volti a veicolare contenuti, e a tal proposito 3. I segni matematici, le sigle, le formule e, in genere, la commistione con le scienze è un altro aspetto da tenere a mente. Ci torneremo.

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la differenza principale fra un testo che valga la pena leggere e uno che funga solo da intrattenimento porta a introdurre alla distinzione fra Postmoderno e Avant-Pop (si veda oltre. I Sommari hanno una loro utilità, in fondo). g) «E non perché si abbia la pretesa»: la paranoia regna sovrana fra i postmoderni. Gli scrittori PO-MO sono estremamente paranoici, perché sono smaliziati e addentro il mercato editoriale, e quindi si affannano a spiegare, chiosare, chiarire. Temono di non essere compresi e aggiungono parole a parole per mettere in chiaro quello che vogliono dire davvero, ma le parole sono ingannevoli, sicché... Vi ho già detto della ricorsività, no? Tutto questo paragrafo è, a sua volta, un mezzuccio postmoderno: veicola dei contenuti dando l’impressione di sbrigare questioni preliminari, che è il modo migliore per comunicare. Vi sentite gabbati ma sorridete? Siete dei veri lettori postmoderni.

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Anche le immagini sono uno stratagemma postmoderno.

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david foster Wallace la mente migliore della sua generazione ossia

una Introduzione Hai presente, quello postmoderno? Quello che mangia pane e vocabolario?



Come aspetto, Wallace è un fico. Un tipo grande e grosso con i capelli lunghi e un po’ stopposi. Sembra un po’ una rock star. Suda copiosamente. Porta una bandana in testa, e partecipa così all’esperienza della vita metropolitana americana. Mi pare che non sia sposato. Che altro volevi sapere?

Questa è una mail di risposta che David Lipsky, autore di Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta (minimum fax), ha sbirciato sul computer della propria fidanzata, poco prima di accompagnare Wallace per qualche giorno nel tour di presentazione di Infinite Jest nel 1996. Wallace era indiscutibilmente uno scrittore affascinante, in grado di incuriosire e attrarre, una persona di cui, una volta letta qualcuna delle sue opere, si vuole sapere sempre di più. Anche Zadie Smith, scrittrice inglese di successo, provava nei suoi confronti una curiosità e un interesse che la portava ad avere atteggiamenti da fan: Ottobre 2003. Ho mandato un mio amico newyorkese esperto di mondanità in una libreria Barnes & Noble di Manhattan a caccia dell’autografo di uno scrittore. Il mio scrittore vivente preferito presentava il suo nuovo libro sul concetto matematico di infinito, e anche se questo scrittore lo conosco di persona – per quanto vagamente – e ho la sua firma in calce a un paio di lettere, mi sono accorta che volevo comunque il suo autografo su un libro vero e proprio da poter mettere in un mio scaffale vero e proprio. [...] «Il posto era strapieno... non ci si poteva muovere... e poi è arrivato lui» «Com’era vestito?» «Com’era vestito? Mmm... aveva, non so, una specie di camicia da matematico? Una camicia da insegnante di matematica, un po’ anni Cinquanta, hai presente, con le maniche corte?» «Aveva pure le penne nel taschino?» «No, non aveva penne» «?» «!» 27


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«E poi... che altro? Che mi dici? Portava la bandana?» «Sì... una grande bandana... si sta facendo ricrescere i capelli. Sudava un po’».

Wallace è uno scrittore complesso e le sue opere non sono di intrattenimento, eppure nel mondo comunità di fan si sono organizzate per raccogliere informazioni, scambiare pareri, creare gruppi di lettura collettivi delle sue opere. In Italia il sito Archivio DFW Italia ha lanciato, a ridosso della pubblicazione, la lettura collettiva del postumo Re pallido; la sensazione comune dei fan è di estrema familiarità, di profonda empatia, testimoniando così quanto l’idea di fondo che Wallace aveva della letteratura sia stata compresa. Secondo me lo scopo della letteratura seria è in gran parte quello di dare al lettore, che come tutti noi è perlomeno più infognato nella sua testa, la possibilità di accedere con l’immaginazione ad altri individui. [...] se un brano di letteratura ci permette, tramite l’immaginazione, di identificarci con il dolore di uno dei protagonisti, allora potrebbe anche risultarci meno inconcepibile che altre persone si identifichino con il nostro. È una sensazione che ci nutre, che ci redime: ci rende meno soli dentro.

Difficile collocare Wallace con prosaiche coordinate spaziotemporali: statunitense, nato a Ithaca (New York) nel 1962 ma vissuto nell’Illinois (il Midwest così presente nelle sue opere), ha studiato all’Amherst College laureandosi in Letteratura inglese e Filosofia per diventare insegnante di scrittura al Pomona College, in California. È ancora Zadie Smith a osservare che si sarebbe guadagnato più facilmente l’approvazione all’interno del mondo accademico dal quale proveniva che nel mondo letterario di cui entrò a far parte. Eppure, intorno ai vent’anni, Wallace scelse la strada meno facile. Abbandonò una carriera in campo matematico e filosofico in nome della vocazione per quella che chiamava «una letteratura moralmente appassionata e appassionatamente morale». 28


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A fine ottobre del 2008, Stefano Bartezzaghi scrive: Lo scrittore David Foster Wallace si è dato la morte un mese fa, poco più. Ha infine «eradicato la sua mappa», per usare una sua espressione idiomatica (Infinite Jest). La notizia è ancora dell’ordine dello sconvolgente, del letteralmente sconvolgente (e lo è per una quantità altrettanto sbalorditiva di persone, ognuna delle quali si è scoperta partecipe di una insospettata rete di empatia).

E Don DeLillo lo ricorda così: Ora lo conosciamo come uno scrittore coraggioso in lotta contro la forza che voleva indurlo a rinunciare a se stesso. A distanza di anni sentiremo ancora il gelo che ha accompagnato la notizia della sua morte. Uno dei suoi racconti recenti si conclude con la perentorietà di questa mezza frase: Non una parola di più. Ma c’è sempre una parola di più. C’è sempre un lettore di più a rigenerare quelle parole. Le parole non smetteranno di pervenirci. Giovinezza e perdita. Questa è la voce di David, americana.

La discussione su Wallace però non ha sempre toni entusiastici. Fastidiosa è l’appropriazione dello scrittore da parte di un collega suo amico, Jonathan Franzen: Sì, era malato, e in un certo senso la storia della mia amicizia con lui si può riassumere dicendo che volevo bene a una persona con dei problemi mentali. La persona depressa si è alla fine tolta la vita, in un modo tale da infliggere il massimo dolore a coloro che amava maggiormente, e chi gli voleva bene è rimasto solo con un senso di rabbia e frustrazione. Frustrazione non semplicemente per aver fallito nel nostro investimento d’affetto, quanto piuttosto perché il suicidio ci ha sottratto la persona e ne ha fatto una leggenda... sapendo che la sua vera personalità era molto più complessa e sfaccettata di quanto si pensasse, e sapendo che era molto più amabile – più simpatico, più svampito, più fragile, molto più combattivo nella lotta ai suoi demoni, più smarrito, più infantilmente cristallino nelle sue bugie e incoeren29


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ze – del benevolo e moralmente artista/santo chiaroveggente che ne è stato fatto, è ancora difficile non sentirsi feriti dalla parte di lui che ha preferito l’ammirazione degli sconosciuti all’affetto delle persone a lui più vicine.

Nella letteratura successiva si possono rintracciare tracce della scrittura di DFW e della persona di Wallace: i premi Pulitzer Jeffrey Eugenides e Jennifer Egan hanno citato lo scrittore in due modi differenti: il primo, nella Trama del matrimonio (Mondadori) ha costruito un triangolo amoroso che vede uno dei tre protagonisti masticatore di tabacco, portatore di bandana e clinicamente depresso, con conseguenti sbalzi d’umore e problemi con il dosaggio di un farmaco; Eugenides ha smentito riferimenti alla biografia di Wallace, ma il dubbio è ben alimentato. Di sicuro la scrittura dell’autore di Middlesex non ha tratto molto da quella del suo amico Wallace, e La trama del matrimonio risulta inutilmente prolisso, costruito sulla moltiplicazione dei punti di vista in un modo che non aggiunge nulla alla storia, e la figura della persona depressa è nel finale liquidata frettolosamente, come se si trattasse di un personaggio fastidioso e difficilmente gestibile. Jennifer Egan, invece, con Il tempo è un bastardo (minimum fax) sembra omaggiare Wallace nel capitolo 9, un pezzo scritto come articolo di giornale con note, suggestioni matematiche e una imitazione della complessità della scrittura di DFW. L’analisi degli autori contemporanei impone cautela, anche se il «New York Times» li definisce «menti migliori» di una generazione, ma con David Foster Wallace ci sarebbero tutti gli elementi per candidarlo a Classico della letteratura.

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Wallace dipinto da Tommaso Pincio

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