New York Regina Underground. Racconti dalla Grande Mela

Page 1

Davide Grasso

New York Regina Underground Racconti dalla Grande Mela

Stilo Editrice



Davide Grasso

New York Regina Underground Racconti dalla Grande Mela

Stilo Editrice


Collana Scaffale multiculturale

ISBN 978-88-6479-079-4 Š Stilo Editrice www.stiloeditrice.it Stampato nel mese di maggio 2013 presso Arti Grafiche Favia, Modugno (BA)


Sommario

Vecchio o Nuovo Mondo?

8

Welcome to the Fashion World

16

Di frontiera in frontiera

50

Ghetto Girls

82

La Regina Underground

120

Playlist

149




Vecchio o Nuovo Mondo?


Ero a Londra, dopo una notte passata dalle parti di Cricklewood Broadway, in attesa dell’aereo che mi avrebbe portato nella Grande Mela. Sarebbe stata la mia prima volta negli States e, mentre aspettavo, qualcuno mi scrisse un messaggio per farmi gli auguri, citando i versi di Rimini, la canzone di De André: «Due errori ho commesso, due errori di saggezza / Abortire l’America e poi guardarla con dolcezza». Risposi che il primo errore l’avevo già commesso, e che ero certo avrei commesso anche il secondo. Così è stato, anche se all’inizio non mi sembrava di essere in America, ma in Europa: Manhattan è un luogo pieno di opere d’arte, dove si possono gustare tutte le cucine del mondo in un’infinità di ottimi ristoranti, non sempre costosi; un luogo denso di università e istituti culturali o di ricerca, dove interi quartieri sono abitati da artisti, poeti e scrittori che vivono come in una Parigi del Nuovo Mondo. Niente a che vedere con la piattezza, l’ignoranza e la mala cucina di cui ricevo continue testimonianze da chi arriva dalle altre città statunitensi, pur grandi e famose – dal Midwest ai famigerati e affascinanti Stati del Sud, come l’Arizona o il Texas. L’unica altra città nordamericana di cui i newyorkesi parlano con ammirazione, non a caso, è San Francisco. La prima cosa che sciocca di New York sono le dimensioni e l’immensa diversità interna, anzitutto dal punto di vista che in Europa si dice ‘etnico’, e che qui si definisce ‘razziale’: in questa città è normale incontrare e conoscere persone che provengono da ogni parte del mondo, in procinto di trasferirsi nelle più disparate parti del globo; e, come noto, anche chi vive qui da generazioni ha qualche origine europea, asiatica 9


o africana da ricordare. È possibile incontrare incroci di cinesi e peruviani, e persino – immaginate! – di brasiliani e giamaicani… Caratteristiche della città sono la dinamicità e il senso di movimento: non certo dal punto di vista politico, o dei rapporti tra le classi sociali, ma da quello fisico ed esistenziale. Pochi passano una vita intera a New York, che per lo più è un luogo di passaggio, dove molti cercano di trovare un posticino nella grande spartizione del bottino che avviene in città (il volume di denaro che circola a Manhattan è uno dei più impressionanti del globo), per poi andarsene altrove. Tra chi cerca fortuna nella finanza e chi spera di ottenere buone mance da cameriere, tra chi organizza rapine e chi espone opere d’arte, il panorama umano è talmente vario che chiunque può trarre una forma d’ispirazione da ciò che lo circonda. Io ho trovato la mia ispirazione, ed è così che ho iniziato a scrivere queste pagine, il racconto vero e reale, in cui nulla (tranne i nomi) è inventato, di una piccola parte di ciò che a New York ho visto e vissuto. L’esperienza della città ha modificato il mio modo di essere e sentire come poche altre nella mia vita, lasciando che mi perdessi nelle sue strade anche e soprattutto nelle ore notturne, quelle che prediligo. La notte indica, talvolta in modo obliquo o enigmatico, mille itinerari per chi cerca la meraviglia e l’imprevisto, e qui i luoghi per bere e per ballare, o per ascoltare concerti, sono migliaia e migliaia. Interi quartieri sono dedicati al divertimento: l’East Village con la sua Alphabet City, per gli alternativi che non vogliono sconfinare a Brooklyn; il Greenwich per gli intellettualoidi e i nostalgici, Chelsea per i gay, e Williamsburg, 10


oltre l’East River, per coloro che vogliono sfoggiare abbigliamenti eccessivi, improbabili e per lo più ridicoli sulla Bedford Avenue (gli hipsters). Harlem o il Bronx per restare attoniti di fronte alla bravura dei jazzisti neri, o ballare reggae e hip-hop in atmosfere vagamente truci, e East Harlem o i Queens per ogni genere di divertimento dal sapore latinoamericano. La notte la città esplode, senza la noia di Parigi o la chiusura anticipata dei locali di Londra, e senza l’atmosfera di assassinio imminente di una Rio de Janeiro. Se si incontrano le persone giuste (o sbagliate, a seconda dei punti di vista) si può finire in posti e situazioni assurde, e trovarsi a sgranare letteralmente gli occhi: si possono vedere messicani e neri che ballano assieme Lady Gaga, cinesi che pompano musica alle dancehall dei giamaicani, drag queen sudamericane che intrattengono uomini europei nelle bettole più lerce e improbabili, o ragazze sadomaso che gettano benzina su barbecue notturni, sui tetti del Lower East Side. Nelle notti del weekend persino le stazioni della metropolitana, come la centralissima Penn Station, diventano luogo di bivacco per centinaia di ragazzi che dormono per terra o ballano, circondati da barboni, tossicodipendenti, ladri e tassisti, oltre che da poliziotti che tentano di sorvegliare il tutto, sperando che, almeno, non ci scappi il morto. Un ragazzo che ho conosciuto girando un film come comparsa ha detto, tuttavia: «New York ormai è noiosa, i locali sono noiosi. Negli anni Novanta, allora sì che c’era casino!». Pensai: più di così?! Occorre immaginarsi una situazione, mi hanno spiegato, in cui intere strade della città erano occupate da squatters, per lo più punk e rocker 11


uniti dall’infrazione dalle regole; le comunità dei portoricani dediti al crimine abitavano a pochi metri dal Financial District e i casermoni di Harlem erano come «un mondo lontano, oltre un confine immaginario che non si poteva oltrepassare». Persino Times Square era una piazza malfamata, piena di luci rosse, spacciatori e prostitute, e una ragazza che ha vissuto quegli anni mi ha raccontato: «Allora era così eccitante andarci! Avevi la sensazione di andare nel posto sbagliato… Oggi è luminosa e allegra, ma in realtà non succede mai niente». Ciò che contraddistingue la New York odierna, in effetti, è un grande clima di nostalgia. Chi è nato qui, o vive qui da molti anni, parla con tono malinconico della New York degli anni Novanta. Apparentemente il cambiamento è stato positivo, perché è consistito anzitutto nella trasformazione di New York in una città meno violenta: oggi, per esempio, prendere la metropolitana è relativamente sicuro, anche di notte, e Harlem è un magnifico quartiere popolare, uno splendido mix di Africa e Sudamerica, dove uscire la sera non è (soprattutto per un uomo, bisogna purtroppo dire) particolarmente rischioso. Il processo è stato quello della gentrification: nuovi capitali sono arrivati a rilevare le proprietà nei quartieri poveri, mentre la polizia dello sceriffo Rudolph Giuliani scatenava una guerra contro l’illegalità diffusa. Un italiano che lavora nella finanza mi ha detto soddisfatto: «Quando arrivano i nuovi capitali e i residenti bianchi, i prezzi si alzano e i poveri, semplicemente, se ne vanno». È così che, diventando più sicura, la città ha visto diminuire anche il suo tasso di adrenalina. 12


Oltre alla gentrification e alla polizia, un ruolo l’ha giocato il crollo delle Twin Towers. Una ragazza mi ha detto: «Io me lo aspettavo; non direi mai che ce lo meritavamo, ma sapevo che il nostro Paese aveva fatto lo stesso, e anche peggio, ad altri popoli. Prima o poi doveva accadere». John, un pittore di Harlem ricorda così quei giorni: «Non fu soltanto il fatto in sé, fu la militarizzazione della città. La mia ragazza abitava in quella zona e io non ebbi la possibilità di andare a trovarla per mesi, perché non ero residente nel suo quartiere; tutte le strade erano chiuse da checkpoint, dovevi esibire i documenti ovunque. Improvvisamente tutti diventarono depressi, e una cappa avvolse New York. Sappiamo di non avere libertà di parola su ciò che è accaduto, e persino l’arte ha subito un’involuzione politically correct e conservatrice. È stato il tramonto della vera New York». Un professore di Filosofia descrive il processo senza troppi giri di parole: «Quei cazzo di cowboy texani [Bush & Company, che esprimevano una cultura tipicamente meridionale] sono venuti e hanno distrutto la città. La città non ha mai voluto la guerra». Va detto che sono punti di vista eccentrici, perché li ho trovati io che non frequento, a istinto, il tipo di persone che direbbero l’esatto contrario… Se dovessi dire cosa accomuna New York al resto degli USA direi la chiusura mentale di fronte alle prospettive di pensiero politicamente rivoluzionarie. Qui si può essere sostenitori di Obama (e la maggioranza lo è), liberal o radical, ma in fin dei conti pochissimi ragionano in termini davvero sensibili alla trasformazione, vedendo il presente come opportunità per stravolgere un futuro che i potenti e i media pretendono di 13


avere già scritto. La massiccia immigrazione sudamericana, tuttavia, sta in parte cambiando le carte in tavola: il Primo Maggio, in decine di migliaia hanno invaso le strade con le bandiere di Che Guevara e lo slogan «El pueblo unido jamás será vencido», mentre la prima elezione di Obama cinque anni fa, pur deludente nei suoi effetti concreti, ha aperto in molti speranze che sarà problematico controllare. Ciò che allontana maggiormente New York dall’Europa, invece, è forse il moderno (e ambiguo) arcaismo nei rapporti uomo-donna. Se, da un lato, è vero che qui tutti escono con tutti, senza prendersi grandi impegni, è altrettanto vero che le persone seguono regole improbabili nel corteggiamento e nel seguito. Che le regole esistano non è dimostrato soltanto da Sex and the City – che ha sia ritratto sia modellato i comportamenti dei newyorkesi – ma addirittura da un libro di Ellen Fein e Sherrie Schneider, intitolato appunto The Rules: una specie di breviario che spiega come la donna deve comportarsi prima, durante e dopo gli appuntamenti con un uomo. Tra le regole più esilaranti: la donna non deve mai farlo la prima sera; l’uomo deve richiamarla entro tre giorni dalla prima uscita (ma mai il giorno dopo, pena apparire needy, cioè uno sfigato); l’uomo paga tutto (dalla cena ai drink al taxi) ma, soprattutto, non deve mai parlare di cose tristi o complicate, bensì soltanto di se stesso e di quanto è felice, pieno di talento e cool. In generale, l’uomo deve essere assertive, cioè la parte virile e attiva del rapporto, mentre ruolo della donna è giudicare se lo è stato abbastanza, e soprattutto se lo è stato abbastanza secondo le regole. Il sesso sarebbe 14


quindi un premio che la donna elargisce all’uomo più conformista, come vorrebbe ambiguamente significare una maglietta in vendita ad Harlem: «I have the pussy, I do the rules». Peccato che le regole siano frutto di una concezione maschile del mondo, visto che il tutto si risolve in una forma di prostituzione soffice, dove l’uomo ricco o potente – il Mr Big di turno – ha al suo fianco la ragazza più bella (secondo i canoni della televisione). E il peggio è che, di fronte a tutto ciò, i sudamericani non possono portare alcuna novità, condividendo, per lo più, questa morale punto per punto. Anche in questo caso, però, aiuta pensare: «Non un passo indietro»; se non ci si limita alle apparenze, si scoprirà che a ogni angolo di strada ci sono uomini e donne che, in fondo, si sono rotti le palle – o le ovaie – di tutta questa manfrina. Oltre che, probabilmente, di molte altre cose.

15


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.