Villa Maran

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Provincia di Padova - Comune di Camposampiero - ASL n°15 dell’alta padovana

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Novembre 2007 / Dicembre 2008


Provincia di Padova

Comune di Camposampiero

Direttore Generale dott. Francesco Benazzi Responsabile Unico del Procedimento dott. ing. Tommaso Caputo

Il complesso di

VILLA MARAN dalla storia al progetto di recupero

progettettazione opere edili

Bruno Stocco Architetto Via Beato Crescenzio 5/3, Camposampiero (Pd) tel. 0495791280 - fax. 0499316561 - email bsa@brunostocco.com

con

Marco de Poli Architetto San Martino di Lupari (Pd)

Valentina Vedovato Architetto Diego Stocco Architetto Giulio Stocco Ricerca storica

Licia Stocco


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1 Le origini 1.1 Introduzione 1.2 Ricordi di un epoca Romana 2 Il Medioevo 2.1 Le invasione barbariche 2.2 Il feudalesimo 2.3 Origine e genealogia dei feudatari di Camposampiero 2.4 Il castello 3 Camposampiero e la Repubblica Serenissima 3.1 Sotto il dominio veneziano (1406 - 1797) 3.2 Le porte d’acqua a Camposampiero 4 Camposampiero dalla caduta della Repubblica di Venezia 4.1 Tra francesi e austriaci 4.2 La domolizione della mura e le due torri 4.3 Le due torri 5 Camposampiero nel XX e XXI secolo 5.1 Camposampiero oggi 6 L’apparato ecclesiastico e Sant’Antonio a Camposampiero 6.1 Chiesa di SS. Pietro e Paolo e chiesa di San Marco 6.2 Chiesa di San Marco 6.3 Chiesa della Madonna Assunta in Rustega 6.4 Oratorio della Madonna della Salute 6.5 Camposampiero ed il Santo 6.6 Chiesa di SanGiovanni Battista o dei padri conventuali 6.7 Il santuario 6.8 La cella della Visione 6.9 L’oratorio del Noce 7 Il complesso di Villa Maran 7.1 Relazione Storica 8 Il Rilievo 9

Il progetto

Bibliografia



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le origini


1.1. Introduzione Il comune di Camposampiero si trova nella pianura padana, nella parte nord-orientale della provincia di Padova, da cui dista Km. 19.5. Il paese si trova al centro di un vasto territorio ricco di corsi d’acqua, di piante (pioppio, salici, platani e tigli), di vigneti e di terreni coltivati. I canali che bagnano queste terre sono il fiume Muson Vecchio, il Muson dei Sassi, il Vandura, la Tergola, il Tergolino, l’Arcone, il Rustega ed i rii Piovego e Mersenego. Ricerche archelogiche effettuate nel territorio nord padovano hanno ipotizzato che la cittadina di Camposampiero possa affondare le proprie radici nella lontana epoca romana. Il primo documento storico che porta il nome di Campus Sancti Petri (Campo di S. Pietro) è “l’Italia Sacra” dell’erudito abate cistercense Ughelli Ferdinando, nato a Firenze e morto a Roma nel 1670. L’origine ed il significato del nome Camposampiero si deve ricercare nell’etimologia della parola stessa. Infatti campus significa “locus planus et patens speciatim vero ager sultus fructuum percipiendorum causa” (v. Forcellini-Lexicon totius latinitatis), ovvero “luogo piano e spazioso, e specialmente terreno coltivato per i raccolti”. La parola campus implicitamente riflette le condizioni antecedenti del suolo, ovvero di luogo incolto, boschivo e paludoso, esplicitamente rispianato per la distruzione dei boschi e ridotto a coltivazione, cioè a terreno produttivo. Dalla caduta dell’Impero Romano (476) fino al 1000 anche questo territorio, come il resto della penisola italica, fu preso d’assalto dalle invasioni barbariche. Il nostro paese, allora semplice “vicus” o “pagus”, borgo o villaggio, come gran parte del territorio padovano, si coprì di una rete fitta di boschi, interrotta solo dal corso delle acque e da estese paludi. Fu però verso il 1000 che, quando i boschi furono divelti per lasciar spazio a nuove coltivazioni, la pianura sgombrata dalle piante prese l’aspetto di un campo; da cui il nome campus. La specificazione San Pietro, assunta dal titolare delle pieve, può essere dovuta o all’antica tradizione che attribuisce a San Prosdocimo, primo Vescovo di Padova, l’erezione di un sacello in onore di S. Pietro nei pressi dell’attuale Chiesa, oppure al bisogno di distinguere il paese da altri vicini che avevano come base iniziale della loro denominazione il vocabolo campo: Campodorcone, Campodarsego, Camposanmartino, Campodoro. 1.2. Ricordi di epoca romana Le traccie rimaste dell’antica civiltà romana non sono numerose ed immediatamente leggibili. Sono costituite principalmente da scarsi resti di vasellame di terracotta, pochi vetri e materiale da costruzione, come tegole e mattoni con i noti marchi C. Aen. Carminus, Q. Arrius, C. Sairus (che attestano un’importante attività di locali fornaci). L’agro patavino era compreso fra quello vicentino, asolano, estense ed altinate, e inoltre abbracciava le isole venete, l’estuario ed il Lido. Padova e le altre città della Transpadana furono dichiarate colonie latine durante la guerra sociale dell’88 a.C. e Roma vi inviò 7


un proconsole. Poiché al momento del passaggio del Rubicone, Cesare ricevette l’appoggio della popolazione di questo territorio, una volta rovesciata la Repubblica decise di conceder loro la cittadinanza romana: le città venete vennero così proclamate liberi Municipi retti da magistrati. Padova venne presto ascritta alla tribù dei Fabia, Este alla Romulia. Con il passare degli anni e la nascita dell’impero di Ottaviano Augusto, la Venezia e l’Istria divennero la decima legione dell’impero. A testimonianza dell’origine romana di Camposampiero è possibile rintracciare delle prove manifeste. La presenza della via Aurelia, che attraversa il paese in direzione verticale, la vicinanza della via Decumana (l’odierna via Desman10), la relativa vicinanza a Padova, l’elevata popolosità dell’agro padovano (un numero di abitanti tale11 da escludere ogni possibilità di presenza di territori disabitati) e la grande quantità di ruderi seppelliti, sono da considerarsi delle testimonianze sufficienti a costruire l’ipotesi della presenza della civiltà romana nel territorio. Per rafforzare questa tesi è opportuno riportare alcune testimonianze del passato riguardanti il ritrovamento nel territorio camposampierese di reperti molto antichi. Il primo autore da prendere in considerazione è il Sanuto, che nel VI volume dei Diari riporta tale notizia: “6 luglio 1504. Accadete in questi ziorni che a Camposampiero sul Paduan dov’è podestà San Marco Zen alcuni villani in un prado de chà Quirin trovono assai medaje d’argento in loco ove alias et fu castello. El principio fo per una topinara che cavò e un puto ne trovò alcune e portole a casa, poi il padre andò la note a cavar e altri, sicchè trovono gran quantità ecc.”. Il secondo studioso interessatosi della questione fu il Filiasi12, il quale, tre secoli dopo il Sanuto, intuì la romanità del Desman dalla sua percorrenza rettilinea e dal nome stesso, idiotismo per Decumanus, rigettando completamente la precedente ipotesi dello Scardeone e del Salomonio, che avevano fatto derivare il nome della strada dalla presenza di dieci ville (dieci mani) costruite all’epoca dei Carraresi. Ma fu nel 1842 che venne compiuto il primo e il più importante ritrovamento archeologico, come riportò il Cittadella: “operandosi uno scavo nello scorso mese di marzo presso il Castello di Camposampiero di scopersero le fondamenta di grosse muraglie con uno strato di cenere e di carbone13, disposte in modo che sembra un incendio aver distrutto quell’antico edificio e di aversene eretto un altro a forme differenti. In un torrione del castello rinvennesi una medaglia romana 10 Le strade furono le grandi arterie dove in tutti i tempi pulsò la vita umana; attorno ad esse si formarono i primi nuclei abitati l Gloria ipotizza che, dal momento che Padova con il proprio agro pote11 va fornire 120.000 soldati, gli abitanti della città e territorio potevano essere quasi 450.000, di cui 70.000 insediati nell’urbe. Citato in Camposampiero, appunti di storia, di Don Luigi Rostirola, pag. 27, Rebellato editore 1972.

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Veneti primi e secondi, Vol I, Cpo VIII, pag.246.

13 ità

Opina il Kandler che cenre e carboni sepolti siano sempre segni di roman-


chiusa in un vaso di creta con epigrafe relativa all’imperatore Comodo, d’onde maggiormente si può dedurre che questa vecchia fabbrica fosse di costruzione romana14”. Il successivo studioso ad essersi interessato alle vicende di Camposampiero fu il prof. Enrico Nestore Legnazzi, il quale, recatosi in paese nel 1846 e visitato il nostro territorio, rimase sorpreso sia dalla meravigliosa rete stradale che divideva una parte notevole di esso in quadrati perfetti (ben 23 sono i comuni che presentano, più o meno visibili, le tracce della divisione coloniale) corrispondenti alle antiche centurie, che dai nomi di origine romana che ritenevano alcuni paesi. Fu colpito inoltre dalla discreta quantità di ruderi di edifici, di pozzi romani, di urne, di anfore, di monete, di iscrizioni lapidarie qua e là disperse. Appreso l’esistenza di tali indizi intuì l’esistenza di una colonia romana dedotta e stanziata nel territorio camposampierese15.Intraprese quindi un secondo viaggio con il prof. Pietro Kandler, illustratore della colonia romana di Pola e padre di archelogia fra i tedeschi: Kandler assicurò Legnazzi di aver riscontrato nel nostro territorio i caratteri della colonia romana di Pola. Il sospetto del Filiasi era così diventata ipotesi molto vicina alla realtà. Il Desman stesso funse da base nel rintracciare l’origine e la finalità di quel sistema stradale che presenta ancor oggi i caratteri di una romanità: secondo Legnazzi e Kandler il graticolato romano doveva essere la quarta parte della colonia e precisamente il Citratus Dexteratus di essa16. I confini verso mezzodì erano costituiti da Bagnolo Arcella, Mellaredo, Vigonza e Pianiga; verso settentrione dalla linea Abbazia Pisani, Loreggiola, Loreggia Alta e Piombino, verso occidente dall’antico corso del Brenta, verso oriente dalla linea Piombino, Trebaseleghe, Noale e Mirano; l’attuale Desman costituiva il decumanus maximus, la via Aurelia il cardo maximus, e l’umbilicus doveva trovarsi duecento metri al di sotto dell’attuale mulino di caselle, nel territorio di San Giorgio delle Pertiche17. Se si dovesse provare a descrivere la via Aurelia si dovrebbe immaginare una strada larga 30 piedi di struttura perfettamente rettilinea e divisa dalle campagne da robusti argini. Lungo la strada maestra, alla distanza di un 14 Guida di Padova, pag. 543. Padova 1842. Urna e moneta andarono perdute per l’incuria del pretore di allora. La scoperta avvenne sotto l’attuale palazzo del Municipio che, come ogni Camposampierese deve sapere, era l’antica rocca del castello e da ciò si arguisce che i nostri feudatari fabbricarono la loro residenza sopra le rovine di un castello romano. 15

Legnazzi: Del catasto romano; pag 41.

Gli studi del Legnazzi cominciarono nel 1846 ma la sua opera fu pubblicata 16 solo nel 1886 L’origine di San Giorgio delle Pertiche secondo il Legnazzi deriverebbe dal 17 Santo protettore assunto dai coloni diventati cittadini cristiani e dalle pertiche, strumenti di misurazione, che , ad opera finita, quasi res sacra sarebbero state custodite nel tempietto collocato nel punto centrale della colonia. Luigi Rostirola, Camposampiero, Saggi storici, I Edizioni Del Noce, pag. 35

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miglio, ci doveva essere due grandi colonne collocate l’una di fronte all’altra (cippi miliari) che indicavano al viaggiatore quanta strada aveva percorso e quanta ne restava da percorrere; vicino ai cippi era possibile incontrare delle edicole con la statua di Mercurio o di Ercole, protettori dei viandanti. Lungo la via dovevano sorgere edifici quali mansiones (destinati a ricoverare i viandanti) e le mutationes (grandi stalle con porticati). Il Zanon fece risalire la fondazione della nostra colonia ad epoca di poco posteriore al 176 a.c. (Romanità nel territorio cittadellese, pag. 54, nota 141.) e se ciò fosse vero, essa sarebbe quasi contemporanea alla fondazione della colonia di Acquileia (180 a.C). Ma sull’epoca di deduzione della nostra colonia non si possono avanza che che ipotesi18. Le prove in favore della tesi coloniale sono solo fondate sulla regolarità del sistema stradale e sulla corrispondenza dei quadrati del graticolato romano con la centuriazione romana. Si è quasi certi infatti che gli antichi agrimensori “centuriarono” una vasta zone compresa sia tra la laguna veneta e il fiume Muson, che tra la linea delle risorgive ed il Brenta: in totale si potevano contare 615 centurie e circa tremila famiglie insediate. Mons. Rostirola, cultore appassionato della storia di Camposampiero, chiude il capitolo sulla romanità del territorio camposampierese con le seguenti espressioni. “Con Roma diventata caput-mundi e coll’Italia diventata donna di città e regioni, Camposampiero divise modestamente le gioie, i trionfi e le glorie, con Roma e coll’Italia condivise dolori ed ignominie in un’epoca triste, allorchè, come scrisse Leopardi: “i gotici brandi discesero a spezzare le romane incline mura, e l’italica virtude giacque rovina immensa”. a destra: La centuriazione romana a Nord -Est di Padova. In rosso la posizione del Comune di Camposampiero

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18 Finora nessuna moneta della repubblica fu rinvenuta nel sottosuolo; sono abbastanza frequenti invece le monete dell’epoca imperiale e ciò starebbe a dimostrare che a fondazione avvenne sotto l’impero.



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il medioevo


2.1. Le invasioni barbariche Con il tramonto dell’impero romano la regione veneta fu devastata e le città depredate dai Visigoti di Alarico, gli Svevi di Radagasio, i Borgognoni e gli Alani. Oltre all’attacco delle città, gli invasori si riversarono anche nelle campagne circostanti, abbandonandosi dunque al saccheggio. In occasione quindi dell’assedio e della successiva distruzione di Padova nel 409 d.C., è lecito dedurre che anche il territorio di Camposampiero soffrì quasi sicuramente altrettante violenze e spogliazioni. I successivi invasori che riuscirono a raggiungere l’agro padovano furono i Goti di Teodorico (489), a cui seguirono nel 553 i Greci di Narsete e successivamente i Longobardi di Alboino. I Longobardi divisero il territorio italiano conquistato in province, che venivano governate da un duca, residente nel capoluogo assegnatogli. Al governo invece delle città minori furono preposti i gastaldi, in stretta dipendenza dai duchi stessi10. Dal momento che Padova in occasione dell’arrivo longobardo aveva deciso di mantenere la propria obbedienza solo ai Greci, essa fu costretta a scontare quella scomoda fedeltà con la diminuzione dei propri territori: i duchi di Treviso occuparono Camposampiero, Vigodarzere e Piove di Sacco, mentre quelli di Vicenza si presero i territori fino a Limena. Il dominio di Padova in età longobarda vantava perciò solo il territorio dell’urbe e di Monselice11. Al dominio longobardo seguì l’insediamento dei Franchi di Carlo Magno, che raggruppò le diverse città del veneto sotto un solo governatore: il marchese (portando così alla costituzione della Marca Trevisana, che abbracciava le città di Verona, Padova, Vicenza e Treviso) e pose le fondamenta per l’instaurazione del regime feudale. In virtù di questo importante cambiamento le terre conquistate e devolute alla corona dovevano essere devolute ai vassalli, e da questi ai valvassori e da questi ultimi ai valvassini. 2.2. Il feudalesimo Con l’istituzione del feudalesimo anche Camposampiero divenne capoluogo di un feudo e sede di un proprio feudatario. Alla morte di Carlo il Grosso (888) l’impero di Carlo Magno cadde e marchesi e duchi convennero a Pavia di proclamare come nuovo re Berengario, marchese del Friuli. Berengario dovette scontrarsi subito con la com-

10 La mancanza ruderi di carattere bizantino farebbe credere che in quell’epoca il nostro paese fosse stato abbandonato. Qualche cimelio greco venne alla luce nello scavo delle fondamenta della nuova chiesa di Trebaseleghe. Rostirola pag. 49. Sarà solo in epoca medievale che Padova riuscirà a riacquistare i 11 propri terreni così da poter far scrivere nel proprio sigillo: “Mons, muso, athes, mare, certos dant mihi fines”, ovvero “Il monte, il Musone, l’Adige, ed il mare mi danno ben definiti confini”.

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parsa degli Ungheri12 ,degli invasori che per quasi vent’anni continuarono a riapparire saltuariamente, diffondendo paura e distruzione: il timore di nuove invasioni indusse ciascun feudatario a munire il proprio feudo di uno o più castelli cinti di mura, e tale novità, dapprima spinta da necessità, iniziò ad entrare nella consuetudine della vita feudale. Quando nel 924 Berengario venne ucciso da Lamberto di Pavia, le sorti dell’Italia passarono prima nelle mani di Rodolfo di Borgogna, successivamente a Berengario d’Ivrea ed infine ad Ottone di Sassonia, imperatore di Germania e capostipite della dominazione degli ottoni in Italia, che durò in tutto una quarantina d’anni (dal 961 al 1002). Quando nel 1002 Ottone III muore, giunse il momento per tutti i marchesi e duchi di riunirsi a Pavia per eleggere il nuovo re d’Italia: Arduino d’Ivrea. A tale decisione si innalzò la protesta dell’imperatore Arrigo II, il quale, rivendicando i propri diritti, scese in Italia per ricevere la corona imperiale nel 1003 direttamente da papa Benedetto VIII. Un’antica tradizione narra che Arrigo fosse stato accompagnato da un certo Tiso, cavaliere tedesco, che per il favore compiuto, ricevette dall’imperatore un feudo, quello di Camposampiero, sede dell’edificazione del castello gentilizio. Se il periodo dell’alto medioevo aveva determinato una crisi demografica e un forte abbandono delle terre, con l’istituzione del feudo nell’undicesimo secolo nacque anche la tendenza di abbandonare le abitazioni più isolate per costruirne delle nuove “a grappolo”; questo processò avrebbe presto portato alla costituzione delle prime borgate. 2.3. Origine e genealogia dei feudatari di Camposampiero Non si può scrivere la storia medievale della nostra cittadina senza parlare dei conti di Camposampiero, divenuti feudatari per volere del sovrano. Loro diritto era l’esercizio della giustizia civile e penale, la formulazione di leggi e decreti, l’arruolamento di soldati, l’imposizione dei tributi ordinari e straordinari su persone e cose e la creazione di ufficiali e magistrati. La prima apparizione del nome del castello fu registrata nel 1138 quando i comuni italiani conquistarono l’autonomia e la popolazione costrinse i feudatari a rinunciare ai vantati diritti ed a ridurre di molto le loro pretese. Sull’origine dei nostri feudatari sono state effettuate diverse ipotesi. La prima prevede che la nobile famiglia fosse una delle più cospicue della Marca Trevisana, durante il regno di Berengario (888 - 924) e dal nome del capostipite sarebbe stata detta dei TISI13. 12

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Luigi Rostirola, ibid., pag 51.

13 Alemanio Fino nella storia di Crema riferisce sull’appoggio di varie memorie, che si conservano in un’abbazia benedettina della provincia di Brescia, che al tempo della invasione degli Ungheri sotto l’imperatore Berengario era rinomata e distinta la famiglia padovana dei Camposampiero. Tentori, Saggio di storia civile e politico-ecclesiastica della Repubblica di Venezia, Venezia, 1789, vol. II, pag. 171.


La seconda invece attribuisce ai nostri conti un’origine tedesca, la cui comparsa è stata ipotizzata durante il regno di Arrigo II14 (1002-1024). Tale ipotesi è infatti comprovata sia dall’aderenza del primo Tiso alla causa di Arrigo II15 che dalle strette relazioni tra i primi ex feudatari e gli Eccelini15 . Riguardo la data dell’avvenimento della prima infeudazione, la testimonianza di un atto di vendita tra Tito Camposampiero ed un certo Guarniero o Varnerio, avvenuta il I settembre 1025, assicurerebbe che l’assegnazione del feudo fosse già avvenuta in precedenza a tale data. Tralasciando altri Tiso, ricordiamo particolarmente Tiso VI, che nacque il 1164. Il suo nome comparve la prima volta il 1191 in una carta di giuramento di fedeltà al Vescovo di Treviso a cagione di terre possedute in feudo. Tiso VI fu l’amico sia di Sant’Antonio (a cui nel 1231 offrì ospitalità) che dell’Ordine francescano e aveva inoltre fatto costruire l’ospizio dei frati, adiacente alla chiesetta antica di S. Giovanni. La dinastia dei Camposampiero ebbe come ultimo esponente Tiso IX, il quale, morto in giovane età a Verona lasciò erede di ogni suo avere lo zio Marsiglio da Carrara. Quando nel corso della storia del quattordicesimo secolo gli animi degli italiani si divisero in guelfi e ghibellini, i Camposampiero di schierarono decisamente per il partito guelfo, abbracciando e sostenendo la causa sempre con fedeltà e valore. Per questa loro presa di posizione, nel corso della storia li troveremo uniti con gli Estensi, i Sanbonifacio ed altre famiglie di comprovata fede guelfa. Tale atteggiamento fu determinato sia dalla loro inimicizia con i ghibellini Eccellini, che per la loro leale solidarietà con il Comune di Padova, da sempre guelfo.16 2.4. Il castello Il castello, secondo il Gloria, fu edificato dai fratelli Gherardo II e Tiso IV di Camposampiero nel 1015-1100, risultando quindi più antico dei vicini castelli di Noale. I feudatari di Camposampiero diedero al castello del proprio feudo un aspetto di espugnabile fortezza: fu scavato un profondo fossato che abbracciava tutto il borgo ed in cui vennero immesse le acque del Vandura, furono 14 Arrigo II era disceso in Italia per contrastare il dominio di Arduino d’Ivrea, che passò in seguito a vita religiosa. Ne è la prova l’atto di donazione alla Abbazia di Sant’Eufemia stipulato tra 15 i Camposampiero e gli Eccelini in villa Braida (oggi San Vito d’Asolo) il 29 Aprile 1085. Da principio gli Ezzellini militarono nel partito guelfo, ed Ezzelino il 16 Balbo assieme ad Anselmo di Dovara fu capitano nella lega lombarda contro il Barbarossa; il figlio suo Ezzelino il monaco fu guelfo fino al 1200, anno in cui, in qualità di podestà di Verona abbracciò la causa dei ghibellini Montecchi contro i guelfi Sanbonifacio. Da quel momento lui e suo figlio Ezzelino il tiranno furono gli antesignani del partito ghibellino.

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costruiti due ponti sulla via Aurelia a Nord e a Sud (quest’ultimo levatoio fino al 1529) per l’accesso all’abitato, vennero innalzati terrapieni sul lato meridionale della sponda del Vandura, ed alte mura a difesa di tutto il lato settentrionale ed orientale (che si affacciava al territorio trevigiano) con alte mura. Il movimento di innovazione che aveva proclamato la fine del feudalesimo e l’inizio dell’era dei Comuni aveva trovato la propria affermazione nella lotta contro Federico Barbarossa, sostenuta dai quelle città italiane che avevano voluto rivendicare la propria libertà ed indipendenza. comuni italiani a fine di rivendicare la libertà acquistata contro la volontà dell’imperatore che, nei campi di battaglia voleva soffocare il rinascente spirito e sopprimere le autonomie comunali. Ai feudatari non rimaneva che compiere un atto di volontaria dedizione ai Comuni e così fecero i conti di Camposampiero verso il comune di Padova: da quest’epoca infatti i feudatari di Camposampiero dimorarono a Padova e si iscrissero nel numero dei cittadini del comune di Padova. Il comune di Padova, comprendendo nella propria giurisdizione i castelli del territorio (a partire dal 1150), acconsentì che fossero conservate quelle leggi e quelle usanze che bisogni, costumi e condizioni locali avevano fino da tempo antico condotto nella via pubblica, sempre però vigilando che la legge cominciasse ad acquisire sempre più ugual potere sui cittadini. A governare sul territorio il comune di Padova elesse il proprio podestà. Camposampiero, entrando a far parte dell’importante comune di Padova conservò quella preminenza e quel posto distinto che la storia di parecchi secoli gli aveva fornito e divenne capoluogo di marigancia (cioè piccola capitale di un raggruppamento di parecchie ville comandate da un maringa); nel castello risiedeva inoltre un capitano, che, nominato dai conti, riceveva e trasmetteva nelle ville dipendenti gli ordini del podestà di Padova. Per quanto riguarda la struttura urbana del paese, il Camposampiero di quell’epoca presentava già una suddivisione in diversi cantoni17:

Burgus d.ni Tisonis: castello recinto da mura; Portus Campi Sancti Petri: dove ebbe beni Antonio Baratella e diritti feudali il vescovo di Treviso; Decania Sancti Petri: agglomerato di dieci famiglie comandate da un decano;

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17 Le contrade del paese rilevate nelle mappe del 1817 presentavano ancora tali denominazioni. La descrizione delle ville del territorio di Padova, compilata per ordine del podestà nell’anno 1777, divide Camposampiero nelle due parrocchie di Campoarcone e Camposampiero. Quella di Camposampiero viene suddivisa nelle ville di Canton, Albarella, Straelle, Furlan, Canove, Pissintorno, Malcanton , mentre quella di Campoarcone nella villa Vettura e villa del Corso.


Villa Albarella: è la contrada che costeggia due lati del Muson vecchio e confina con Rustega; Malcantonum: contrada che oggidì si chiama Centoni, molto probabilmente perchè la nobile famiglia padovana dei centoni ebbe beni fondiari in essa. Nel 1237 assieme a Padova il castello passò il potere di Ezzelino il tiranno e due anni dopo fu visitato dall’Imperatore Federico II. Il 1328 fu per Camposampiero l’anno di passaggio dal dominio del Comune di Padova (cominciato 1150) a quello degli scaligeri (fino al 1337) di Cangrande della Scala, che lasciò come suo vicario Tiso di Camposampiero. Nel 1334 Tiso IX, morendo senza successori, lo lasciò in eredità allo zio materno Marsiglio da Carrara. Nel 1339 il doge Francesco Dandolo assegnò il castello di Camposampiero a Ubertino da Carrara. La sentenza di Dandolo venne così ricapitolata da Vergerio: “Giullelmus uti diximus Castrum (C. S. Petri) clam invasit et nunc Ubertinus Marsilii heres reddi depostulabat. Contentio autem ad vim iuris referebatur, nam Marsilio quidem Tiso Noellus legeverat, Giullelmus autem ex Tisonis hujus fratre genitus testamento avi quo extabat, haereditatem universam exposcebat. Super ea lite in ducem Venetorum compromissum est eique possessio hoc tradita, ut apud sequestrum et dicendi iuris et exepuendi facultas esset. Sequneti igitur anno Franciscus Dandlo venetorum dux cognita causa Ubertino castrum cum jiurisdictione Guillelmo haereditatem adjudicavit”18. Diventato signore di Camposampiero, Ubertino pensò di allacciare il nuovo acquistò con Padova ed a tal fine provvide alla costruzione della strada Padova-Camposampiero (1343), che seguì il percorso dell’antica Aurelia. Alla morte di Ubertino succedette il figlio Francesco il Grande, il quale, a partire dal 1378 cominciò a costituire un’alleanza con tutti i nemici di Venezia: Genova, il re d’Ungheria, il patriarca di Aquileia ed i signori da Camino. La guerra contro Venezia fu combattuta con un esercito di 16.000 uomini e nel 1382 Francesco, nel perseguire il suo piano di guerra, eseguì grandiosi lavori di difesa lungo il fiume Muson, nel percorso da Castelfranco a Camposampiero e da Camposampiero allo sbocco di questo fiume. Compì infatti profonde e larghe fosse, spalti robusti e torri di pietra. Per preservare tutto il territorio padovano fece innalzare gli argini del fiume ed inoltre comandò la costruzione di un complesso di fortificazioni costituito da murazzi, torri di legno e pietra, baluardi, casematte e roste che culminavano nelle piazzeforti di Camposampiero, Mirano e Stigliano. A lui succedette il figlio Francesco Novello, il quale, nel febbraio 1389, sotto pressioni e minacce, dovette cedere la Signoria di Padova ai Visconti, determinando la cessione ai nuovi governanti anche del castello di Camposampiero, fino al ritorno dei Carraresi, nel 1390. Nonostante le imponenti opere di difesa costruite, i Carraresi non rius18

Vitae principium Carrarensium, pag 116; Rostirola, Ibid., pag 121.

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cirono a salvare la propria dinastia: attaccata da tutti i lati, minata all’interno dalla peste e dalla fame, la città di Padova fu occupata dalle truppe veneziane il 22 novembre 1405. Furono diverse le città che agli inizi del XV secolo aveva precedentemente garantito la propria sudditanza a Venezia: dopo Verona, Vicenza, Feltre, Belluno, Bassano, i castelli di Mirano, Oriago, Este, Montagnana, l’11 settembre 1405 anche il castello di Camposampiero passava dalla parte della Serenissima, poco dopo seguito da Monselice, Cittadella, Castelbaldo e Limena. Per quanto riguarda la resa camposampierese è da sottolineare il tradimento compiuto dal suo capitolato, Vivaldo di Gerardo, che preferì il denaro all’onore, concordando con i Veneziani l’apertura delle porte del castello senza combattere in cambio del pagamento di 90 lire a ciascuno dei suoi soldati e di 4000 ducati in oro per sé. Torre della Rocca, litografia di Andrea Gloria, 1862

Palazzo Tiso agli inizi del ‘900

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Camposampiero e la Repubblica Serenissima

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3.1. Sotto il dominio veneziano (1406 - 1797) Il tranquillo dominio della Serenissima venne interrotto dall’infuriare della guerra di Cambrai (1509) ed i castello occupato dall’imperatore Massimiliano. Solo però pochi mesi dopo serrebbe stato riconsegnato ai Veneziani. Nel 1513 il castello venne espugnato dagli spagnoli del generale Cardona vicerè di Napoli, ma tale assedio risultò essere di breve durata perchè poco dopo ritornò sotto la Repubblica di Venezia, che lo terrà per 284 anni mandandovi i suoi podestà e procuratori. Il dominio padovano della Repubblica veneta era diviso in sette podestarie: Monselice, Este, Montagnana, Piove di Sacco, Cittadella, Castelbaldo, Camposampiero. Per il governo dei distretti minori, quali Arquà, Anguillara, Conselve, Mirano, Oriago e Teolo, furono deputati nobili padovani con il titolo di vicari. Divenendo sede di un podestà veneziano, Camposampiero compì la sua evoluzione storica: da feudo e castello sotto i conti, a capoluogo di marigancia e capitaneria nell’epoca medievale a vicariato sotto i Carraresi a podestaria sotto la repubblica. La propria podestaria comprendeva 33 ville o paesi dipendenti; queesta era governata da un pretore o podestà, il quale doveva essere patrizio Veneziano, durava circa 12 o 16 mesi ed aveva giurisdizione civile. Il podestà presiedeva il consiglio dei rettori o deputati del Comune, dava udienze e teneva corte e giudizio nel palazzo pretorio (ora Municipio). Prima di prendere possesso del suo ufficio il Podestà doveva giurare fedeltà alle leggi della Serenissima ed agli Istituti di Padova nelle mani del Doge, che poteva anche inviare in podestaria gli Inquisitori o Sindaci di Terraferma, che dovevano poi riferire al Senato su quanto avevano veduto ed udito. I confini della podestaria erano i seguenti: ad oriente il distretto era limitato dai castelli di Stigliano, di Noale e Mirano, a meridione dal territorio di Padova, ad occidente dal castello o giurisdizione di Cittadella e a settentrione da quello di Castelfranco. In quel periodo di dominazione veneziana la comunità camposampierese sostituì allo stemma carrarese del leone rampante e del carro l’insegna della croce rossa in campo bianco. Oltre trenta erano le famiglie veneziane che avevano beni a Camposampiero: acquistate i poderi in terraferma, quivi costruirono palazzi con adiacenze, oratori, giardini, parchi e quant’altro poteva rendere ameno il soggiorno in campagna. Molte di queste ville non esistono più ed altre invece sussistono ancora, anche se con modifiche apportate dai successivi proprietari. Ne ricordiamo alcune. La nobile famiglia Querini acquistò direttamente dallo Stato del terreno in via delle Grazie e qui eresse un gran palazzo (chiamato Palazzon) che a metà del XVII secolo passò in proprietà della famiglia Civran e alla fine del VIII secolo fu demolito dagli ultimi proprietari, gli Andrighetti. Dalla demolizione si salvò fortunatamente l’oratorio annesso all’edificio, detto di S. Giacomo, e successivamente trasformato in Chiesetta della Madonna della Salute. Fu la nobile famiglia veneziana dei Bernardo ad edificare la villa oggi conosciuta come Querini, una casa padronale della fine del Cinquecento,

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posta su un’ansa del fiume Muson vecchio. Passata ai Milani e poi al Pio Ospedale degli incurabili di Venezia, venne acquistata prima dai Civran, poi dai Balbi-Valier, dai Castelli e per ultimo dai Querini. Se si volessero prendere in considerazione le personalità più importanti nella Camposampiero della dominazione veneziana, un posto distinto nella storia del paese verrebbe riservato dal podestà Antonio Quirini che, sostenuto da scarsa guarnigione ma fornito di indomito coraggio e di generoso amor per la patria, nell’agosto 1509 difese prima il nostro castello e, perduto questo, la rocca contro gli assalti dei soldati di Massimiliano; sopraffatto infine dal numero degli avversari dovette cedere e scontare il proprio eroismo con dieci mesi di dura prigionia nel castello di Trento. I numerosi podestà di Camposampiero furono: Stefano Contarini (1492), Francesco Priuli (1494), Antonio Quirini (1509), Girolamo Priuli (1522), Nicolò Canal (1529), Alvise Civran (1524), Giacomo Salomon (1556), Pietro Molin (1657), Francesco Longo (1674),Domenico Diedo (1698),Giacomo Marin (1713), Nicolò Pisani (1719), Marco Barbaro e infine Giuseppe Zorzi (1796). La reggenza di quest’ultimo fu però presto interrotta i primi giorni del 1797 quando irruppero in paese i soldati francesi di Napoleone, i quali, dopo aver occupato il pretorio, saccheggiarono la casa erariale e quella del Monte di Pietà. Dal momento che il 12 luglio 1809 venne appiccato un vandalico incendio che distrusse l’archivio della podestaria camposampierese (costituito da un’ingente quantità di registri e di lettere, da minute di atti, contratti, inchieste, resoconti, anagrafi e contabilità accumulatisi nel corso di circa quattro secoli), le abbondanti e preziose notizie sulla storia di Camposampiero e di tutta la podestaria veneziana andarono irreparabilmente perdute; in questo scritto è dunque possibile limitarsi solo a riportare le poche notizie che hanno potuto raggiungere i giorni nostri. Di seguito si elencano altre ville ancora oggi presenti nel territorio di Camposampiero. La Villa Burini - Marcato è un palazzetto di origini antiche, probabilmente medioevali, che fu più volte manomesso. Oggi si può ritenere una delle dimore più antiche di Camposampiero. Al suo interno, nei vani del piano rialzato, sono presenti vari affreschi a temi figurativi sia di personaggi che di particolari del territorio. La Villa Chinaglia - Dalla Pria, in origine un palazzetto prefittizio del tardo quattrocento, fu in un secondo momento proprietà di una ricca famiglia terriera che fece costruire le barchesse. Al piano terra vi è un salone passante che dall’ingresso si relaziona con il cortile interno. Tale configurazione si ripete anche al primo piano, dove una trifora ad arco tutto sesto domina il prospetto. Il complesso è stato interessato da vari rifacimenti nel 1926. Villa Gritti - Dal Poz si presentava inizialmente per la sua semplicità d’impianto come un palazzetto prefettizio con al piano terra un grande salone centrale. L’intervento delle facciate risulta essere settecentesco e venne apportato un innalzamento sommitale. L’espressione maggiore avviene al piano nobile con un’ampia trifora. La Villa Fabris - Gaia è 22


un complesso situato al di fuori del centro urbano di Camposampiero, in un luogo interessato dal passaggio dei fiumi Vandura e Muson Vecchio. La villa è circondata da un parco e conserva nel corpo centrale una composizione settecentesca. Costituita da una pianta quadrata, la villa si eleva sopra uno zoccolo di tre piani fuori terra. Accostato sul lato est vi è una barchessa che presenta quattro archi a tutto sesto ed una porzione chiusa. La Villa Campello è un complesso ottocentesco oggi di proprietà comunale. La tipologia evidenzia il volume a residenza padronale e la relativa barchessa. Il prospetto principale rivolto a sud, si relaziona con il parco voluto dall’allora proprietario Magno nel 1860. Il corpo residenziale a base quadrata si sviluppa su tre piani e la barchessa con un ampio portico si prospetta sul parco con sette archi a tutto sesto. La Villa Maran appartiene invece all’antico borgo di San Marco dove, oltre alla chiesa vi era il complesso di Pietro Cosma. Da questa eredità terriera e di fabbricati nacque l’ospedale di Camposampiero. La villa con l’adiacenza e la relativa filanda, evidenziavano una forte espressione architettonica di stampo ottocentesco, anche se la villa ha avuta la sua impostazione nella seconda metà del quattrocento. Mentre durante dominazione carrarese (1340-1405) i principi, avendo considerato il paese unicamente come luogo di conquista e posizione di frontiera, non avevano realizzato nulla di veramente utile per il paese e avevano portato la popolazione alla miseria, con la dominazione della Serenissima che Camposampiero fu raggiunta da un’ondata di restauro e risorgimento. Nell’epoca di governo dei podestà veneziani furono avviati infatti i lavori di restauro del castello, di ricostruzione della vecchia chiesa di San Giovanni (oggi dei Frati Antoniani), di ampliamento di San Pietro e San Marco, di trasformazione delle caserme e dei magazzini militari annessi al castello in abitazioni civili e di costruzione nella zona subito esterna a Porta Padova del Borgo Nuovo (il cui nome venne citato nei documenti per la prima volta nel 1470). Se nel dodicesimo secolo i conti di Camposampiero e più tardi i Carraresi avevano introdotto delle modifiche al naturale corso delle vie d’acqua, senza però non riuscire ad apportare più di tanti importanti vantaggi alla popolazione, la Repubblica di Venezia si mobilitò maggiormente per la realizzazione di importanti opere fluviali. Dopo infatti aver effettuato l’escavazione del Tergolino, estraendolo dal Muson e porta Antonella e facendogli attraversare il caseggiato di Camposampiero (portandolo ad alimentare i caseggiati della Sega e di torre dei Burri ed introducendolo nel Tergola), nel 1612 separò il torrente Muson dal Muson Vecchio e nel 1669 rese navigabile il fiume Muson. Della trattativa compiuta tra i rappresentanti della comunità camposampierese ed i responsabili della Serenissima in merito alla concessione del permesso di realizzazione di quest’ultima opera, ne riportiamo di seguito alcuni passaggi. Quando il notaio ducale, esponente della comunità del paese, Filippo Ghislanzoni, supplicò il senato di rendere navigabile il fi-

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ume Muson, scrisse: “La comunità di Camposampiero nel gran incomodo che sperimenta dalle strade che si rendono in qualche luogo intransitabili anco nella stagione migliore e che difficultano la communicatione con questa città (Venezia) prende humile motivo di supplicare la S.V. a permettere di eseuire alcune operationi per rendere navigabile il fiume Muson da Camposampiero a Mirano...dove permettersi alla stessa comunità di Camposampiero di far nel fiume Muson delle escavazioni necessarie per renderlo navigabile come pure di costruire liquattro carri che occorreranno per il traghetto delle barche al luogo ce rimane impedito dalla parte dei Molini...Eseguirà ciò la detta comunità col proprio denaro et il zelo della Magistratura invigilerà che tale spesa sia effettuata senza aggravio delli paesi.” La presa in considerazione di Venezia di come l’attuazione del progetto avrebbe permesso di raggiungere Bassano più velocemente (luogo d’arrivo di tutte le merci dalla Germania), sostituendo il lungo percorso per Mestre e Treviso con il più rapido e diretto per Camposampiero e Castelfranco, non fece tardare l’arrivo dell’approvazione del doge Domenico Contarini, datata infatti 15 gennaio 1669. Un altro importante cambiamento registrato a partire dall’arrivo dei veneziani in Camposampiero fu la modifica che il paesaggio tra Villa del Conte e Loreggia subì. A partire dalla metà del XVI secolo si registrò infatti la quasi totale scomparsa di quell’estesa fascia di boschi di latifoglie da sempre sfruttata dagli abitanti per la caccia, raccolta di frutti spontanei, legna, pascolo degli animali. L’eccessivo sfruttamento veneziano portò infatti presto al completo saccheggio della vegetazione, destinandola ad una progressiva grave rarefazione. La perdita improvvisa di gran parte delle alti e forti querce e di altre piante adatte a fornire travi e tavole causò la chiusura e la successiva trasformazione della sega del paese in molino, dettando così un repertino cambiamento sociale. L’arrivo delle grandi famiglie veneziani in Camposampiero, oltre alle positive influenza precedentemente elencate, determinò però la diminuzione della da sempre presente piccola proprietà contadina. Con l’allargarsi delle grandi proprietà patrizie, crebbe infatti solo la necessità di fattori, braccianti e servitori, determinando di conseguenza un aumento dei poveri, un assottigliamento delle fila degli artigiani. Gli unici a mantenere una rispettabile posizione sociale continuarono ad essere i notai, stabilitisi in Contra’ dei Nodari. Verso la fine del XVI secolo grazie all’iniziativa di Bernardo, genero dei Querini, fu possibile la costituzione del primo Monte di Pietà di Camposampiero. L’estensione della maggior parte della proprietà terriera alle grandi famiglie veneziane, e il conseguente affluire dei redditi esclusivamente verso Venezia, fu alla base delle da subito presenti difficoltà pecuniarie della nuova istituzione. Ad aggravare la mancanza di risorse monetarie della popolazione e la sua non crescita fu inoltre la frequenza delle epidemie di peste. La peggiore di tutte fu registrata tra il 1629 e 1630. 24


3.2. Le porte e i corsi d’acqua in Camposampiero In Camposampiero si possono individuare due porte d’acqua, le quali, con le proprie paratie, deviano l’acqua del Muson Vecchio da Porta Macello sino a identificarne il percorso che passa “sotto le bocche sifonate” del Muson dei Sassi e del Tergolino. Quest’ultimo corso d’acqua ha un percorso quasi sempre coperto nell’ambito del centro storico, sino a riapparire visibile lungo il lato sinistro dell’odierna SS 307. La sua presenza è individuabile sino alla località Torre dei Buri, punto geografico in cui confluisce in un ramo del Tergola. La porta del Businello riceve acqua dal Vandura in corrispondenza della terrazza del fabbricato Gerolimetto, che si affaccia sulla torre dell’orologio. Sempre dalla parte del Businello una parte dell’acqua si ributta sul Muson Vecchio. L’aspetto morfologico dell’impianto urbano quasi circolare della cittadella di Camposampiero avviene con l’acqua del Vandura regolata dalla porta del Businello. Queste due strutture hanno avuto nel corso del tempo il compito di deviare l’acqua ai fini di mantenere il livello idraulico sufficiente a garantire anche durante il periodo estivo l’irrigazione della campagna. Il più appropriato progetto idraulico elaborato per i corsi d’acqua sopra citati venne concepito durante la Serenissima.

a sinistra: La porta del macello vista da est

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a destra: La porta del Businello vista da SudOvest: in primo piano le acque del fiume Vandura

a destra: La porta del Businello vista da Sud - Ovest

a destra: La porta del Macello vista da Ovest: in primo piano il fiume Muson Vecchio

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a sinistra: Villa Querini

a sinistra: Villa Gritti - Dal Poz

a destra: Villa Burlini - Marcato

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a destra: Villa Chinaglia - Dalla Pria

a destra: Villa Campello

a destra: Villa Fabris

a sinistra: Villa Maran

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a sinistra: Idrografia di Camposampiero in un disegno del 1195

a sinistra: Idrografia del centro di Camposampiero in un diesegno risalente alla fine de ‘700

a sinistra: Mappa di Campsampiero, del XVIII secolo.

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a destra: Cartolina raffigurante la torre dell’orologio o torre di porta Padova

a destra: Cartolina raffigurante la riviera S.Marco

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Camposampiero dalla caduta della Repubblica Serenissima

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4.1. Tra francesi e austriaci (1797 - 1866) Il 28 aprile 1797 Camposampiero fu invasa dai soldati napoleonici che, soppressa l’antica podestaria, assegnarono il paese alla loro dominazione. La proclamazione da parte dei francesi di un Governo Democratico Provvisorio non regalò altro a Camposampiero che provvedimenti criminali, quali requisizioni forzate, rapine, tasse dissanguatrici e carcere preventivo. Al governo di Padova fu istituita una Municipalità Provvisoria e la città fu dichiarata sede del Governo Centrale, esteso al padovano, polesine, Adria e Rovigo. Il decreto del 28 giugno 1797 divise il territorio padovano il nove cantoni; nella ripartizione il sesto posto venne assegnato al distretto di Camposampiero e così il suo castello divenne capoluogo di cantone (Annali della Libertà, Vol. II, pag. 95) e sede di un Sottocommisariato di Vigilanza. La presenza francese fu così poco longeva che già il 20 gennaio 1798 sancì l’arrivo degli austriaci. Già dopo due anni, e precisamente il 9 gennaio 1801 i francesi ritornarono a Padova, ed anche questa volta solo per pochi mesi: gli austriaci li rispodestarono infatti già il 2 aprile 1801. In questa restaurazione di governo gli austriaci, volendo rispettate le tradizioni della cessata repubblica veneziana, affidarono il governo di Venezia al patrizio Francesco Pesaro. L’amministrazione di Camposampiero fu affidata ad un giuredicente, pure esso patrizio veneto, che dal 1798 al 1805 risultò sempre essere Nicolò Paruta; la municipalità provvisoria fu disciolta e sostituita dalla Deputazione Comunale. Un Memoriale, conservato presso la biblioteca Civica di Padova (esteso dal dottor Antonio Maria Piazza e presentato all’Imperiale Governo Austriaco), tramandò importanti notizie riguardanti il funzionamento della ex-podestaria di Camposampiero in quell’epoca: “La popolazione della terra di Camposampiero è composta di settantadue comuni ed è denominata podestaria; viene rappresentata da un consiglio di Deputati, il quale elegge a sua volta ogni anno due individui detti Savi, che hanno l’esercizio dell’economato della podestaria; sono loro ufizi quelli di curare il pubblico bene, di rivendicare i diritti, d’esaminare i ricorsi per le imposte straordinarie e di riattare le fabbriche pubbliche, i ponti e le strade. Nell’esecuzione di questi ultimi lavori i Savi provvedono il materiale, sorvegliano l’andamento dei lavori che prima della loro esecuzione mettono all’asta”.20 Anche da tale relazione si capisce come sotto gli austriaci continuasse ancora a vigere il regime amministrativo della cessata repubblica. Con il ritorno dei francesi il 26 dicembre 1805 a Padova, la città ed il suo territorio furono classificate come il Dipartimento del Brenta. Camposampiero, Este e Piove di Sacco furono dichiarate sottoprefettura e capoluoghi dei rispettivi distretti. Il cantone del camposampierese (inserito nel più allargato anonimo distretto comprendente i cantoni di Cittadella e Mirano) contava 21.153 abi33


tanti21. Il totale della popolazione dell’intero distretto era invece di 56.433 abitanti. Delle opere compiute a Camposampiero durante il regno napoleonico non resta che il ponte sopra il Vandura, nei pressi dell’attuale Banca Popolare, costruito a spese della Comunità. A seguito della disfatta napoleonica di Lipsia (17-19 ottobre 1813) e all’abdicazione dello stesso Napoleone, l’occupazione degli austriaci giunse nel 1814. Se la fine della repubblica veneta aveva costretto le grandi famiglie veneziane operate di debiti a vendere terreni e ville per pagare i debitori, essa aveva al contrario incentivato la crescita sociale della Gente Nuova (la classe borghese). Quest’ultimi infatti, incontrando veloci guadagni ed avvenimenti politici a loro favorevoli, riuscirono ad innalzarsi ad insperate fortune. Camposampiero, passando sotto il dominio austriaco, entrò a far parte del Regno Lombardo-Veneto, divenendo inoltre sede di pretura, di un commissariato di secondo ordine e capoluogo di distretto (comprendente i comuni di Campodarsego, Piombino, S. Eufemia, S. Giorgio delle pertiche, S. Giustina in colle, S. Michele delle Badesse, Trebaseleghe, Villa del Conte e Villanova). Quando sopraggiunse l’anno 1848, portando con se’ tutti i propri impulsi rivoluzionari, Camposampiero, nel seguire le iniziative padovane, si costituì Governo Provvisorio in cui vennero chiamati ad esercitare il potere (eletti dalla fiducia popolare) i signori Ernesto Favero, Giuseppe Zuliani e Carlo Graziani (dal 15 Marzo al 10 Giugno 1848). La temporaneità dell’iniziativa si manifestò ben presto, lasciando spazio alla restaurazione del dominio austriaco, che si sarebbe così ininterrottamente protratto fino al 1866: quell’anno segnò il momento storico in cui anche Camposampiero, con tutta la regione veneta, venne definitivamente inserita nel Regno d’Italia. 4.2. La demolizione delle mura Le mura del castello di Camposampieroo furono rispettate dalla Repubblica di Venezia e restarono in piedi anche quando l’uso delle armi da fuoco ritolse ad esse ogni vantaggio strategico e le rese un accessorio puramente decorativo. Al giorno d’oggi le mura non esistono più: nel 1841 infatti fu demolito l’ultimo tratto nella località delle Grazie. Sotto i colpi di piccone infatti caddero le mura, i bastioni, le porte e, più tardi spianati gli argini. Però, come sottolineò nel 1924 Mons. Rostirola: “La fine delle mura fu degna di una vita tutta consacrata al bene dei nostri cittadini”. A testimonianza del passato rimangono però ancora: a) il fosso di circonvallazione, che dimostra la configurazione e le dimensioni del recinto murato; b) la Rocca, che attraverso secolari vicende fu residenza dei Conti nel tempo feudale, dei Capitani sotto Padova, dei Vicari sotto i Carraresi, dei Podestà sotto la Repubblica ed è ora sede del Comune e della Pretura; c) le due massicce torri di carattere schiettamente medioevale, l’una della rocca municipale, l’altra in via Roma. 34


4.3. Le due torri La torre che presenta più grandiose proporzioni è quella adiacente al palazzo civico, già rocca del castello. La costruirono, assieme alla rocca, i Conti di Camposampiero verso il 1100. e di quest’epoca conserva tutti i caratteri architettonici nella struttura massiccia nella disposizione delle finestre. L’altra torre, che custodiva e difendeva l’ingresso di porta Padova è denominata nelle vecchie carte Torre dell’orologio, questa si presenta tozza, bassa, pesante in causa della demolizione di buona parte della tua altezza, a cui fu sottoposta nella prima metà del 1700. a sinistra: Camposampiero nella stampa settecentesca del Coronelli

a sinistra: Via Trento Trieste in un immagine della metà del secolo XX

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a destra: Panorama di Camposampeiro alla fine del secolo XIX

a destra: L’antico mulino tra via San Giacomo e vicolo Barattella

a destra: Mulino “della Sega� o modenato

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a sinistra: L’antico mulino di “Villa Albarella”

a sinistra: Cartolinia di periodo

a sinistra: Cartolinia di periodo

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a destra: Corsi d’acqua perimetrali al centro del paese, confluenza del Muson Vecchio con un ramo del Vandura, in evidenza la villa Ferrari e la Torre della Rocca.

a destra: Torre della rocca

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Camposampiero nel XX e XXI secolo

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5.1. Camposampiero oggi La superficie attualmente occupata dal Comune di Camposampiero è pari a 21, 07 Kmq. e registra una popolazione di 11.500 residenti. Camposampiero si distingue tra i Comuni dell’Alta padovana per lo sviluppo che ivi ha assunto il settore economico terziario. Centro di un comprensorio di 11 comuni del nord-est della provincia di Padova, il paese offre importanti e qualificati servizi sanitari, scolastici, amministrativi. Per quanto riguarda i servizi sanitari-assistenziali a Camposampiero è operativo l’ospedale “Pietro Cosma”, fondato nel 1858, ed il Centro Servizi per Anziani “Anna Moretti Bonora”, fondata nel 1887. Nella sfera dei servizi sociali nel Comune sono attive molte realtà: il Distretto sociosanitario, l’Asilo nido, l’Informagiovani, due Ceod per soggetti disabili, Case alloggio per ragazzi e giovani, Servizi permanenti per persone affette da particolari malattie e Cooperative di lavoro e di assistenza. A disposizione di tutti i cittadini degli 11 comuni sono presenti: gli uffici dell’INPS; il distaccamento della Camera di Commercio di Padova; il Consorzio di Bonifica Sinistra Medio Brenta; il Giudice di Pace; il Distretto Scolastico e l’Ufficio provinciale per l’impiego. Hanno qui sede inoltre: l’Unione dei Comuni del Camposampierese, la Stazione del Carabinieri; la Confesercenti, Ascm, UPA, CNA; la Federazione Coltivatori Diretti; la Cia; le Segreterie sindacali di zona Cisl e Cgil e due uffici notarili. Per quanto riguarda l’istruzione superiore i giovani studenti sono offerte varie possibilità di scelta: il Liceo Scientifico “I. Newton” (scientifico, delle scienze sociali, sportivo); l’Istituto tecnico industriale (per periti meccanici); l’Istituto tecnico commerciale per ragionieri “S. Pertini” (con Liceo Economico - per ragionieri periti programmatori e ragionieri turistici); l’Istituto professionale statale per l’industria e l’artigianato (Tecnico delle industrie meccaniche, Tecnico dell’abbigliamento e moda); il Corso serale “Sirio” per studenti adulti; permette il recupero degli studi e il conseguimento del diploma di ragioniere; ed il Centro territoriale permanente per gli adulti (CTP). La vita economica del paese vede la presenza nel territorio di alcune importanti industrie nel settore metalmeccanico e del legno e della carta, ma anche di numerose attività di artigianato nel settore meccanico, del legno e dell’edilizia. Per quanto riguarda l’attività più diffusa fino a cinquant’anni fa, ovvero l’agricoltura, questa si è ultimamente molto specializzata in colture orticole: fragole, pomodoro, melone e soprattutto ortaggi. A sottolineare la radicale presenza nel territorio di tali attività, da più di trent’anni due grandi manifestazioni promozionali agricole avvengono nella prima e seconda domenica di maggio: la Mostra provinciale della Zootecnia, nella frazione di Rustega; e la Festa regionale della fragola, dell’ortofrutta e dei fiori. 41


a destra: Cartolinia di periodo

a destra: Cartolinia di periodo

a destra: Cartolinia di periodo

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a sinistra: Piazza Vittoria verso Piazza Castello all’inizio del ‘900

a sinistra: Piazza Vittoria verso Piazza Castello oggi

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a destra: Piazza Vittoria e la torre dell’orologio all’inizio del ‘900

a destra: Piazza Vittoria e la torre dell’orologio oggi

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L’apparato ecclesiastico e Sant’Antonio a Camposampiero

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6.1. La Chiesa di SS. Pietro e Paolo L’attuale chiesa ad unica navata è stata inaugurata nel 1945 sul sedime del primo cimitero. La precedente chiesa, che era situata in corrispondenza dell’attuale sagrato, era stata eretta attorno ad un sacello dedicato a S. Prosdocimo, discepolo di S. Pietro e primo vescovo di Padova. L’attuale costruzione è stata voluta dal Mons. Luigi Rostirola e progettata dall’arch. Lorenzo Faccioli e riunisce al proprio interno le opere artistiche della precedente chiesa, come gli altari, le pale di altare, banchi e stalli. Importante è l’espressione pittorica concretizzata nel presbiterio e nell’abside dagli affreschi di Monzio Compagnoni. 6.2. La Chiesa di S. Marco Chiesa parrocchiale che ha avuto nei secoli varie interpretazioni, aggiornamenti spaziali e qualificati inerventi pittorici. Studi anche recenti non hanno dimostrato che nulla di determinante avvenne prima el quindicesimo secolo, nonstante esistano prove che datano l’impianto a prima dell’undicesimo secolo. Le date più significative per l’evoluzione del fabbricato sono il 1733, anno del rifacimento dell’intera facciata, il 1837, per l’edificazione della cappella dedicata alla famiglia Moretti Bonora, il 1898 per l’erezione delle cappelle laterali, il 1899 per le cappelle Bianchin, il 1923 e il 1956 per i successivi ampliamenti. E’ da sottolineare la forte relazione presente tra la chiesa stessa, il suo campanile ed il borgo e/o contrà S. Marco, ove sono presenti l’ospedale e il complesso Maran. 6.3. La Chiesa della Madonna Assunta nella frazione di Rustega Nella frazione di Rustega vi è questa chiesa che già nel medioevo risultava essere riconosciuta come “Pieve”, cioè avente una fonte battesimale propria. Il campanile, rifatto tra il 1845 e 1847 è una sostituzione della precedente costruzione cinquecentesca. La pieve nel tempo è stata sottoposta ad alcune rivisitazioni planimetriche. La facciata lineare si riferisce all’espressione ionica. L’interno è razionale, presenta un’unica navata ed interessante si presenta la pala dell’altare maggiore, un’opera di un allievo di Palma il Giovane. 6.4. L’Oratorio della Madonna della Salute Costruito tra il 1450-1500 era annesso ad un palazzo ubicato al centro dell’attuale Piazza Castello, inizialmente di proprietà della famiglia Querini, poi Citran ed infine Andrighetti. All’inizio l’oratorio era più basso, più corto ed era intitolato a San Giacomo. Nel 1837, in occasione di una scampata pestilenza paesana, l’oratorio venne innalzato, allungato e vi fu annesso un piccolo campanile, intitolandolo successivamente alla Madonna della Salute. La sagrestia apparteneva alla famiglia dei Valsecchi. Attualmente è in corso 47


un restauro della facciata e dela partone d’ingresso. Particolare attenzione è stata prestata alle parti lapidee quali i capitelli da parasta con le effigie della famiglia dei Querini, così come il portale. 6.5. Camposampiero e il Santo Era il maggio del 1231 quando il Conte Tiso di Camposampiero convinse il frate Antonio a trasferirsi in paese per riposarsi e ritemprare il corpo non in salute. Fuori dalle mura del castello gentilizio esisteva un “romitorio” dove vivevano alcuni frati minori, e ad essi sant’Antonio si unì; egli però, desideroso di maggiore quiete, si fece costruire una piccola capanna su un noce. “L’uomo di Dio, avendone un giorno ammirata la bellezza, tosto, su indicazione dello Spirito, decise di farsi una cella sopra il noce, perché il luogo offriva impensata solitudine e quiete favorevole alla contemplazione. Il nobiluomo, appena venne a conoscere quel desiderio per mezzo dei frati, dopo aver riunito in quadrato e trasversalmente ai rami delle pertiche, preparò con le sue mani una cella di stuoie”. Camposampiero ricorda un altro fatto della vita del Santo: la visione di Gesù Bambino. È un evento che più caratterizza la fisionomia spirituale di sant’Antonio, che viene dunque ricordato come un contemplativo. Racconta il Libro dei miracoli: “Trovandosi una volta il beato Antonio in una città a predicare, venne ospitato da un abitante del luogo. Questi gli assegnò una camera appartata affinché potesse attendere indisturbato allo studio e alla contemplazione [ ... ]. Mentre il padrone osservava con sollecitudine e devozione la stanza in cui pregava sant’Antonio da solo, occhieggiando di nascosto attraverso la finestra, vide comparire tra le braccia del beato Antonio un bimbo bellissimo e gioioso. Quel bimbo era il Signore Gesù”. A ricordo dei due fatti, a Camposampiero sono sorte due chiese: la chiesa della Visione e il Santuario del Noce. 6.6. Chiesa di S. Giovanni Battista, o Chiesa dei Padri Conventuali L’attuale chiesa costruita su progetto dell’ing. Zardo Auuusto ha avuto il suo avvio a partire dal 1907, a seguito della demolizione della precedente. Questo primo luogo di culto era stata infatti edificato tra il XV ed il XVI secolo, quando faceva parte di un convento di proprietà dei Padri Zoccolanti, istituzione soppressa dal Senato Veneto nel 1767. Dopo la chiusura del convento la chiesa venne acquistata prima dalla famiglia dei Camposampiero e poi nel 1807 dalla famiglia Allegri, per poi essere ceduta al Municipio già nel 1854. La demolizione avvenuta all’inizio del ventesimo secolo non danneggiò però la “Cella della Visione”. Il ritorno dei frati Antoniani a Camposampiero avvenne nel 1904 e diede il via alla costruzione del complesso ancora presenta al giorno d’oggi. 48


6.7. Santuario della Visione Dopo la morte del Santo gli abitanti di Camposampiero vollero custodire i luoghi santificati dalla presenza di sant’Antonio. La chiesetta originaria, ove il Santo aveva pregato, celebrato l’Eucaristia e predicato, dedicata a san Giovanni Battista, fu completamente rinnovata e ampliata nel 1437. La nuova chiesa fu meta di continui pellegrinaggi di devoti del Santo, sempre accolti dai frati con zelo e aperti alle esigenze della popolazione. Nel 1769 il Senato veneto ordinava la soppressione di molti conventi, tra i quali anche quello di Camposampiero. Il complesso (chiesa, convento e campagna) ritornò ai vecchi discendenti della Famiglia Camposampiero i quali non curaronola manutenzione della chiesa che venne in gran parte demolita dal vandalismo francese del 1798. Dopo alterne vicende, il Comune, proprietario dal 1854 degli oratori antoniani, ne curò la manutenzione. Il 17 ottobre 1895, richiamati dall’autorità e dal popolo, i frati minori conventuali (i frati del Santo) ritornarono, riprendendo così il possesso dei Luoghi Antoniani. La presenza dei frati ridiede vita ai Santuari. Progettato un nuovo tempio dall’architetto Augusto Zardo, il 26 dicembre 1906 si pose la prima pietra dell’attuale chiesa, ampliata nel 1965. 6.8. La cella della visione L’attuale Santuario della Visione custodisce, incorporata e trasformata in cappellina, la cella della Visione, sopravvissuta alle ingiurie dei tempo e della storia. Vi si accede attraverso una scala stretta. È una povera celletta di mattoni, appartenente al convento primitivo e abitata dal Santo. Vi si conserva, sotto vetro, una grande tavola, ritenuta suo giaciglio notturno. Sul fondo un altarino con un quadro che rievoca la visione. Di lato, un dipinto di Andrea da Murano (1486) raffigura l’intera figura del Santo in grandezza naturale con i consueti simboli del giglio e libro, simboli della sua purezza di vita e della sua dottrina. È il luogo più importante di tutto il complesso ed il più caro ai devoti per l’avvenimento soprannaturale che il Beato Antonio visse godendo della visione di Gesu Bambino. La cella è chiamata, per tale motivo, la piccola “Betlemme antoniania”. Nel 1924 si procedette al ripristino del piccolo edificio, riportando in parte allo stile del 1300. Col restauro del 1995 si ricavò, al piano terra, una nicchia per le reliquie. 6.9. Oratorio del Noce Al giorno d’oggi anche luogo di professione liturgica continua, data la stretta relazione con il complesso conventuale delle Clarisse. L’oratorio è datato 1436 ed è stato costruito nel luogo dove Sant’Antonio tenne una memorabile predica dall’alto di un noce. All’interno si può ammirare la pala di Bonifazio de Pitati (1487-1553). Gli affreschi che ricoprono le pareti in49


terni raffigurano i dieci miracoli compiuti dal Santo e sono un’opera del 1530 di Girolamo detto Dal Santo. L’ingresso dell’oratorio è artificiato da un protiro, che riesce a identificarsi fortemente già dall’inizio del percorso pedonale alberato che ha inizio nello spazio antistante il sagrato della chiesa dei Padri Antoniani. a destra: Chiesa di SS.Pietro e Paolo

a destra: Chiesa di S.Marco

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a sinistra: Chiesa della Madonna Assunta di Rustega

a sinistra: Oratorio della Madonna della Salute

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a destra: Chiesa del Convento dei Frati Antoniani

a destra: Oratorio votivo a Sant’Antonio

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Il complesso di Villa Maran la Storia

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Il complesso edilizio della famiglia Maran, villa ed annessi, identificato nel primo dopoguerra come Consorzio Agrario di Camposampiero, ha origini lontane. Un’analisi delle componenti murarie, in sinergia alla stratigrafia effettuata sugli intonaci del corpo principale -quello della villa- ci porta a datare con buona attendibilità il manufatto al tardo millecinquecento, quasi due secoli dopo l’annessione di Camposampiero alla Repubblica della Serenissima. La sua posizione topografica è nel primo decumano della centuriazione romana di Padova avente origine dal fiume Muson Vecchio, in prossimità di altri importanti edifici storici quali: la chiesa di San Marco Evangelista e la chiesa dei S.S. Pietro e Paolo, entrambi di origine antecedente al secolo XI. La villa, come ci appare oggi nel suo aspetto ottocentesco, è l’immagine voluta dalla proprietà di allora, ben assestata finanziariamente grazie agli elevati profitti agrari, ma la sua storia -anche planimetrica- è lunga e complessa. Nel secolo XVII la proprietà di quello che in seguito assunse il nome di Palazzo Maran, con tutte le pertinenze adiacenti (oltre a molti altri terreni e fabbricati situati nella stessa zona e in altre parti del paese) appartenne alla nobile famiglia veneziana dei Da Mosto, che a Camposampiero si era insediata dall’ inizio del secolo XVII. Nell’Estimo del 1615 infatti, al numero di denuncia n. 2528, compare Andrea Da Mosto fu Francesco che dichiara “nelle ville di Camposampiero, Loreggia, Loreggiola e S. Giustina campi 230 con casa dominicale, cortivo, ort.o e brolo e cortivi per lavoradori...”. Nell’Estimo del 1668, circa 100 campi si trovavano in territorio di Camposampiero, in contrada di Villa Vittura, nel territorio della chiesa di S .Marco, e verso S. Giustina. In questo Estimo le denunce sono molto più precise rispetto al precedente e vi troviamo indicata con precisione anche l’ubicazione, quindi anche le contrade, la qualità delle terre, le abitazioni, i nomi dei fittavoli, i confinanti e il prodotto ricavato. A partire dal 1668, oltre alle dichiarazioni spontanee dei proprietari, le denunce erano certificate dalle cosiddette “inquisizioni”, cioè verifiche eseguite sul posto da parte di una commissione, la quale aveva il compito di indagare sulla veridicità delle dichiarazioni dei proprietari che, convocati dagli inquisitori, frequentemente integravano la lista dei beni già dichiarati con altri prima dimenticati. Dal 1668 iniziarono a redigere una dichiarazione anche i fittavoli, in questo modo gli inquisitori ebbero la possibilità di eseguire verifiche incrociate delle informazioni. Nel 1668 Zuanne Da Mosto, figlio di Andrea, risultò proprietario del complesso. 57


Egli condusse una vita gaia e spensierata, senza tuttavia trascurare i pubblici affari. Nel 1661 fu nominato senatore; l’anno successivo divenne uno dei 20 Savi del Senato e Provveditore alla Giustizia nuova; nel 1663 fu Provveditore al dazio del vino, avvocato di Rialto e ancora dei 20 Savi del senato. Nell’agosto 1670 divenne Bailo (ambasciatore) a Corfù, dove rimase per due anni. Tornato a Venezia fu dei 41 che elessero doge Giovanni Sagredo il 24 agosto 1676. Nel 1680 fu ancora dei 20 Savi del Senato. Nel suo testamento del 31 agosto 1686, lascio sua erede la consorte Fiordelise Franceschi, che divenne quindi proprietaria anche dei beni di Camposampiero. La proprietà di Camposampiero rimase alla famiglia Da Mosto fino alla fine del ‘700 e oltre. Nel Catasto Napoleonico essa era intestata a Vittore Da Mosto fu Vittore e si trovava sempre nella contrada allora chiamata di Villa Vittura. Di costui i documenti storici non hanno lasciato testimonianza, se non come di un gaudente che passava il tempo a far la corte alle belle dame, soprattutto se sposate, come si usava a quei tempi. Nel Catasto Napoleonico i mappali erano individuati anche con la superficie in pertiche e con la descrizione del bene. La famiglia Da Mosto aveva in proprietà i seguenti mappali: 528 casa di propria abitazione : pertiche 2,06 529 giardino : pertiche 1,37 530 orto : pertiche 0,38 531 brolo : pertiche 5,67 532 aratorio vitato : pertiche 9,10 Più molti altri mappali adiacenti, tutti di terreno coltivabile. Nel Catasto Austriaco, verso la metà dell’Ottocento, si ritrovano gli stessi numeri di mappale, con alcune parziali variazioni: 529 casa di proprietà 530 casa 528-531-532 campi Un documento cartografico del 1887, dove è riportato il progetto per l’apertura di un nuovo tratto stradale presso la chiesa di san Marco, identifica la nostra villa come Casa Bragadin. Anche questa era una famiglia veneziana il cui componente più famoso fu Antonio che partecipò alle battaglie di Venezia contro i Turchi. Il Catasto Austro-italiano della seconda metà dell’ Ottocento, che non si differenzia dal precedente per impostazione e descrizione, riporta tutte le variazioni giuridiche avvenute dagli ultimi anni della dominazione austriaca fino alla fine del secolo. In esso compare il nome dei nuovi proprietari, la famiglia

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Maran, che ha modificato la consistenza edificata: magazzino con giardino casa con giardino campo con orto e brolo 2017 adiacenza a L Ai Maran è da attribuire l’edificio come si vede ancor oggi, con le medesime caratteristiche architettoniche. La facciata della casa padronale appare semplice nella struttura, dominata dal corpo centrale che vede in asse l’accesso architravato al piano terra, sormontato da un poggiolo ed accesso ad archivolto che immette nel salone del piano nobile. In sommità un leggero timpano con oculo al centro dà un aspetto di nobiltà a tutta la facciata, resa ancora più slanciata da alcuni acroteri. La struttura edilizia è chiaramente ottocentesca, allungata in una vasta barchessa porticata, adibita in origine ad attività agricole, successivamente al lavoro industriale e infine tornata nuovamente a funzioni agrarie, per quanto di tipo commerciale. La famiglia Maran fu di recente arrivo nella comunità di Camposampiero, trattandosi di proprietari terrieri di media entità, ma che divennero presto protagonisti nella storia economica e sociale. Qualche rappresentante entrò nel consiglio comunale (Maran Luigi dal 1875 al 1895). La vicenda più nota che vide protagonista la famiglia avvenne nel 1872, quando i Maran impugnarono il testamento di Anna Moretti Bonora, che li escludeva dall’ asse ereditario a favore della erigenda Casa di ricovero. La vicenda, che si trascinò per qualche tempo, fu risolta con una transazione, dalla quale i Maran ottennero 400 campi e una forte somma di denaro. L’industriale di Vigevano Cesare Bonacossa acquistò dai Maran l’intero complesso e le adiacenze, vennero adibite nel 1910 a manifattura della filanda avviata dal proprietario. La filanda Bonacossa fu acquistata nel 1919 dal sindacato agricolo cooperativo padovano “ per le sue attività di commercio di sementi, concimi, attrezzi e prodotti agricoli; esso sarà sostituito nel 1929-30 dal consorzio agrario cooperativo della provincia di Padova”. È in questo momento che si verificano importanti cambiamenti sia nella planimetria generale dell’edificio, che nell’utilizzo di innovative tecniche costruttive, come il calcestruzzo negli architravi e particolari tipi di pavimentazione. L’intervento di spostamento della scala, in precedenza posta a destra rispetto all’ingresso, in modo da lasciare liberi i saloni passanti al piano terra e primo piano, ha dato l’avvio ad una tipologia che successivamente ha favorito la creazione di un vero e proprio “condominio” con la creazione di sei unità immobiliari, facendo perdere alla villa ogni caratteristica tipologica originaria. 59


Si arriva così ad un periodo molto più recente, dove le adiacenze e gli scoperti passano a funzioni di servizio all’agricoltura locale. Come enunciato nella presente relazione, la stratigrafia ci ha portati a ricostruire le fattezze originarie dell’edificio. Identificando al primo piano, sotto il primo intonaco, tracce certe della seconda metà del milleseicento dovute alla presenza di decorazioni parietali in finissimo marmorino a sbalzo, si ha la certezze di vani originari più ampi e soprattutto più alti di circa 50 cm. L’aspetto nobile del piano, viene confermato al piano terra ed al secondo piano con la presenza di vani a servizio, al primo piano ingresso, cantina e deposito e nelle prime adiacenze la stalla dei cavalli ed un sottotetto più basso ad uso dormitorio della servitù. L’indagine storico-tipologica del bene passa quindi anche attraverso la ricostruzione storica delle famiglie, che di volta in volta hanno conformato il bene a propria immagine e somiglianza e alle proprie esigenze. FAMIGLIE IN PARTE SUCCEDUTESI NEL COMPLESSO EDILIZIO “VILLA MARAN” 1600 –1700 : Famiglia Da Mosto 1887 : Famiglia Bragadin fine 1800 - inizi 1900 : Famiglia Maran 1910 : Cesare Bonacossa 1919 : Sindacato agricolo cooperativo padovano 1929 – ’30 : Consorzio Agrario 1999 : U.L.S.S. n° 15 Alta Padovana

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a sinistra: 1700 Vista da ponente di Camposampiero dell’abate G. Coronelli in primo piano il palazzo QueriniCiuran demolito nella prima metà del 1800.

a sinistra: 1813 Estratto dal catasto napoleonico.

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a destra: 1840 Estratto dal catasto austriaco.

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a sinistra: 4 – 1887 Progetto per la nuova viabilitĂ ridosso alla Vandura, in via san Marco. Villa Maran in questa data è chiamata Casa Bregadin.

a sinistra: 2008 Catasto attuale.

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a destra: 1901 Contrà S. Marco a destra una parte di Villa Maran a sinistra il complesso Pietro Cosma che diverrà la sede dell’ospedale. (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)

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a sinistra: 1904 Il complesso Pietro Cosma all’avvio dell’ospedale.

a sinistra: 1904 Particolare della facciata della Chiesa di S. Marco, nel fondo l’adiacenza destra di Villa Maran con la tipologia di facciata come allo stato di fatto. (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan – PagettaAgnese)

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a destra: 1904 La chiesa di San Marco e quella di Camposampiero, quest’ultima demolita nel 1940, a sinistra l’ex filanda con un’altezza di un piano e mezzo fuori terra. In primo piano il giardino di Villa Maran.

a destra: 1906 La chiesa di San Marco ed il complesso Maran, in evidenza la recinzione e la componente alberata del giardino.

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a sinistra: 1910 Villa Maran e adiacenze la più evidente è la sede della filanda nel “1919 il sindacato agricolo cooperativo padovano” acquista per la sua attività le strutture dell’ex filanda. (foto e notizie avute gentilmente dalla Signora Bertan – Pagetta Agnese)

a sinistra: 1910 Il complesso Maran villa ed adiacenze, in particolare la filanda e la chiesa di S. Marco. (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)

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a destra: 1911 La Chiesa di S. Marco, a sinistra la Villa Maran, in evidenza il verde del giardino che la anticipa. Il corpo di fabbrica ad adiacenza a destra è piÚ basso e con una forometria diversa da quella esistente. Si nota a metà della copertura della chiesa la parte terminale della ciminiera degli essiccatoi del Consorzio Agrario che verrà demolita nel 1934 per usare il materiale di recupero per la costruzione della sagrestia della parrocchia. (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)

a destra: 1918 In evidenza tra la chiesa di San Marco e la casa canonica il prospetto est della ex filanda come allo stato di fatto.

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a sinistra: aprile 1934 Vista dalla parrocchiale di Camposampiero, “ora demolita” in evidenza oltre il campanile della chiesa di S. Marco la ciminiera degli essiccatoi del Consorzio Agrario di Camposampiero demolita dagli operai della costruendo chiesa parrocchiale di Camposampiero il materiale verrà usato per le erigende sagrestie (foto ricavate da “un decennio” della parrocchia di Camposampiero).

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a destra: 1995 Vista aerea del Complesso Ospedaliero e del Consorzio Agrario. Non è presente la nuova piastra del Pronto Soccorso e l’area a parcheggio usata dall’Ospedale nell’ex Consorzio Agrario. (foto estratta dal testo L’Ospedale di Camposampiero ed. Azienda U.L.S.S. 15 dicembre 2003)

a destra: 1995 Complesso Maran, in evidenza i volumi oggetto di restauro. (foto estratta dal testo L’Ospedale di Camposampiero ed. Azienda U.L.S.S. 15 dicembre 2003)

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a sinistra: 2000 Vista dall’alto lato est del complesso dell’ex Consorzio Agrario in evidenza il complesso oggetto di restauro – Villa più annessi, in fondo il pollaio demolito nel 2007. (foto estratta dal testo

L’Ospedale di Camposampiero ed. Azienda U.L.S.S. 15 dicembre 2003)

a sinistra: 2000 Vista da sud, a livello della piastra del Pronto Soccorso, in evidenza il centro del paese, la chiesa di S. Marco e una parte dell’ ex filanda. (foto estratta dal testo L’Ospedale

di Camposampiero ed. Azienda U.L.S.S. 15 dicembre 2003)

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a destra: 2000 Una parte esterna dell’area nord–ovest dell’ex Consorzio Agrario, in evidenza il pollaio e dei capannoni che verranno demoliti nel 2007. (foto estratta dal testo L’Ospedale

di Camposampiero ed. Azienda U.L.S.S. 15 dicembre 2003)

a destra: 2000 Complesso Maran, in primo piano Palazzo Settimo sede degli uffici tecnici dell’A.S.L. e i volumi di Villa Maran oggetto di restauro. (foto estratta dal testo L’Ospedale di Camposampiero ed. Azienda U.L.S.S. 15 dicembre 2003)

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il rilievo




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Elenco delle fotografie vista del complesso da sud-ovest vista del complesso da sud-ovest Prospetto Est della Villa Prospetto Ovest della Villa Particolare del Prospetto Ovest dopo il crollo di parte della compertua vista del complesso da Nord vista del complesso da Nord vista del complesso da Nord vista del complesso da Nord vista del porticato dell’ex filanda prospetto Sud dell’ ex Filanda prospetto Sud dell’ ex Filanda Vista dell’ambito di ingresso Vista sul vano scale Vista del sottotetto della Villa Vista del sottotetto della Villa Vista del sottotetto della Villa Vista del sottotetto della Villa Vista del sottotetto della Villa Vista del sottotetto della Villa Vista del sottotetto della Villa Vista del sottotetto della Villa Saggio stratigrafico sul solaio della villa Saggio stratigrafico sul solaio della villa Saggio stratigrafico sul solaio della villa Saggio stratigrafico sul solaio della villa Saggio stratigrafico sul solaio della villa Saggio stratigrafico sul solaio della villa Saggio stratigrafico sulle pareti della Villa Saggio stratigrafico sulle pareti della Villa Vista interna dell’ex Filanda Vista interna dell’ex Filanda Vista interna dell’ex Filanda Vista interna dell’ex Filanda Vista interna dell’ex Filanda Vista interna dell’ex Filanda Vista interna dell’ex Filanda Vista interna dell’ex Filanda

foto n°01 foto n°02 foto n°03 foto n°04 foto n°05 foto n°06 foto n°07 foto n°08 foto n°09 foto n°10 foto n°11 foto n°12 foto n°13 foto n°14 foto n°15 foto n°16 foto n°17 foto n°18 foto n°19 foto n°20 foto n°21 foto n°22 foto n°23 foto n°24 foto n°25 foto n°26 foto n°27 foto n°28 foto n°29 foto n°30 foto n°31 foto n°32 foto n°33 foto n°34 foto n°35 foto n°36 foto n°37 foto n°38


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BIBLIOGRAFIA Barzon Mons. Dott. Antonio, Beato Crescenzio di Camposampiero, Padova 1941; Camposampiero e l’agro centuriato, a cura di Elda Martellozzo Forin e Valeria Martellozzo, 2007, Biblos S.r.l. - Regione Veneto; Guida di Padova e della sua provincia, Padova: Coi tipi del Seminario, 1842; Legnazzi Enrico Nestore, Del catasto romano e di alcuni strumenti antichi di geodesia: orazione inaugurale letta nell’aula magna dell’Università di Padova, il 2 novembre 1885 (nnuario della r. Università degli studi di Padova per l’anno scolastico 1885-86), Padova: Tip. Giovanni Battista Randi 1886; Lorenzi Don Tarcisio, Camposmapiero appunti di storia, Camposampiero 1968; Rostirola Don Luigi, Camposampiero appunti di storia, Rebellato editore 1972; Tentori, Saggio di storia civile e politico ecclesiastica della Reppublica di Venezia, Venezia 1789; Todesco Dott. Mons. Luigi, Storia Medioevale e Moderna, Padova, 1915; Toldo Antonio, La seconda guerra mondiale giorno per giorno, Editr. “A.V.E.”, Roma 1966; Documenti inediti degli Archivi parrocchiali di Camposampiero e di San Marco di Camposampiero;


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