Talking with Paolo Benvegnù

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talking with... di Matteo Di Pisarei

Paolo e i Benvegnù Il cantautore che ha stregato Mina e la band che si fa chiamare come lui 14

Sentirlo parlare a ruota libera è bellissimo. Emerge tutta la sua poetica che contraddistingue la sua musica e la sua arte: un insieme irresistibile di profondità, umiltà e divertimento. Paragonabile, per genialità ed estro al migliore cantautorato di cui l’Italia va fiera (Gaber, De Andrè, Ciampi, per citare tre giganti), Paolo Benvegnù, dopo gli esordi come leader degli Scisma, da qualche anno è in veste di solista. Accompagnato da musicisti talmente fedeli da chiamarsi anch’essi i Benvegnù, dopo aver girato con la sua musica tutta l’Italia, dal piccolo locale, alla folla oceanica del concerto del Primo maggio a Roma, dopo anni di emozioni a fior di pelle condivise con una ristretta élite di persone, approda finalmente al grande pubblico grazie alla collaborazione con la divina Mina la quale ha incluso il brano Io e te del cantautore milanese nel suo nuovo album “Caramella”. Quasi in contemporanea esce l’album dal vivo “Dissolution”, che raccoglie alcuni dei pezzi migliori di Benvegnù e precede il Dissolution tour. In una fresca serata estiva ho il piacere di parlare con lui, Paolo Benvegnù, lo scapigliato, il poeta, il grande.

Paolo, dalla collaborazione con Mina al nuovo disco live “Dissolution” sono successe così tante cose: se scatti una foto di questo periodo, quale immagine ti viene in mente? È un po’ come se stessi vivendo sempre in mare: ogni tanto lo vedo in burrasca, ma il più delle volte lo vedo calmo ed è un’opportunità per solcarlo e dare vita a nuove canzoni. È tutto molto semplice e naturale. La vera cosa nuova è che sono orfano. Nel senso che nell’ultimo anno ho trovato una famiglia – le persone con cui suono – e la persona con cui penso di stare tutta la mia vita e contemporaneamente ho perso la mia genitrice, la mia matrice. Quello che ho scoperto è che le radici di un’esistenza hanno davvero a che vedere con la scoperta dell’identità; ho scoperto la mia vera identità sia nella perdita che nell’acquisizione di affetti. Ecco perché ho chiuso con il periodo dell’educazione sentimentale. Quindi le persone con cui suoni, la tua band, sono per te come una grande famiglia… È una famiglia di fratelli sbizzarriti. Noi come “gruppo musicale” siamo atipici, però come gruppo di persone siamo

veramente tipici, un agglomerato di uomini italiani, con tutto quello che ne consegue… anche in termini negativi (ride, ndr). Negli ultimi anni hai cambiato città di adozione più volte: Firenze, Prato, Arezzo. Hai già un’idea per la prossima meta in cui vivere? Non ne ho idea: sono sempre più apolide e mi lascio un po’ portare dalla vita. Ho la fortuna di riuscire a mantenermi con poco in qualsiasi posto al mondo. Lascio che sia la vita a indicarmi la strada e penso che il mio periodo toscano sarà ancora lungo, anche se mi dividerò tra Arezzo e Roma.


Quanto è importante un luogo come una città in cui vivi per la tua ispirazione? A me le città non piacciono troppo. Non per le persone che vi abitano, ma semplicemente perché ho bisogno di orizzonti da vedere. Faccio fatica quando ho orizzonti chiusi dai muri e so che è un mio limite: in teoria un uomo libero non dovrebbe avere orizzonti perché ha sempre la mente ampia, ma io ho bisogno sempre di vedere colori e possibilità. Nell’ultimo anno alcune delle canzoni di Paolo sono state interpretate da più cantanti, Giusy Ferreri e Marina Rei hanno incluso il suo pezzo Il Mare Verticale nei loro dischi, in precedenza Irene Grandi ha voluto È solo un sogno, tratto dal suo primo disco solista “Piccoli Fragilissimi Film”. E, dulcis in fundo, anche Mina ha voluto il suo brano Io e Te (sempre tratto da “Piccoli Fragilissimi Film”) per il suo ultimo album, “Caramella”. Quindi una domanda sulla “Tigre di Cremona” viene naturale.

del genere umano sono altre: i gesti dei bambini quando giocano o delle persone quando sono piene di stupore. Scrivere canzoni non è così importante. Come fai a concepire un disco quando la musica si muove sempre di più con gli mp3, i file… A me piace pensare ai dischi come ai libri. Scaricare da internet può essere legittimo, però è come prendere in prestito un aforisma per poi usarlo per fare il ganzo con gli amici al bar. Io continuo a pensare ai dischi come a un libro, sia quando li faccio che quando li sento. Li ascolto nella loro completezza, cerco di valutarne la profondità. Arrivati a questo punto, vorrei che Paolo prendesse la chitarra e iniziasse a raccontarmi in musica “Dissolution” e i nuovi brani. E più che dissolversi sono sicuro che lo vedrei risplendere dietro quegli accordi, nel suo lavoro di poeta e cantante.

E Mina? Che impressioni hai avuto di lei? Mina canta come una dea: meglio adesso che trent’anni fa. Non è un discorso tecnico, ma di istinto. Per lei il canto è davvero una liberazione e questa cosa si sente. Nei brani lei è al centro pieno. È come quando uno respira ed è talmente bravo da non avere ansie che è bello vederlo respirare. Sento una grande storia dentro alla sua voce, si sente che ha vissuto veramente. Cosa stai facendo ora? Stai lavorando sul nuovo disco? Si, ho scritto alcuni pezzi nuovi che mi piacciono molto, sugli uomini e sull’umano. È tutto il resto del disco che sto per scrivere. Voglio fare pezzi di gioia e un po’ ci riesco… ma le cose importanti

© Silva Rotelli


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