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EDIZIONE N. 30 DEL 1 MAGGIO 2012
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Edizione N. 30 Del 1 Maggio 2012
BATTLESHIP .............................................................................................................................. 4 POLLO ALLE PRUGNE ........................................................................................................... 8 DIAZ, IL G8 DELLO SCANDALO ........................................................................................ 11 THE RUM DIARY..................................................................................................................... 15 AGLI UOMINI PIACCIONO TONTE .................................................................................. 18 COSI E’ (SE VI PARE) ............................................................................................................. 22 IL CASO MAJORANA SHOW ............................................................................................... 25 LA COMPAGNIA CORRADO ABBATI IN......................................................................... 28 IL PAESE DEI CAMPANELLI ............................................................................................... 28 ORSO MARIA GUERRINI AL TEATRO CASSIA ............................................................. 31 I SOGNI NON PROIBITI DI MARCO CAPRETTI ........................................................... 34 MADONNA, NATA PER IL SUCCESSO ............................................................................. 37 MARCO CARTA – NECESSITA’ LUNATICA ..................................................................... 41 MESHUGGAH, E SONO SETTE! .......................................................................................... 44 I MARLENE KUNTZ IN VERSIONE SANREMESE .......................................................... 47 LA NASCITA DELL'ARCHIVIO NAZIONALE DEL JAZZ .............................................. 50 TITOR FROM FUTURE .......................................................................................................... 54 AKSELI GALLEN-KALLELA (1865-1931). - UNE PASSION FINLANDAISE ............... 60 LA PLUIE ................................................................................................................................... 68 ZZ TOP ALL’OLIMPIA .......................................................................................................... 74 THÉÂTRES ROMANTIQUES À PARIS ............................................................................... 76 LA CACCIATRICE DI OSSA di Kathy Reichs .................................................................... 82 ANGOLI DI ROMA - GALLERIA SCIARRA ...................................................................... 85 ARTURO GHERGO................................................................................................................. 88 www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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LA TRIADE CAPITOLINA ..................................................................................................... 93 LA VIGNETTA .......................................................................................................................... 95
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BATTLESHIP
Roberta Pandolfi
USCITA CINEMA: 13/04/2012 GENERE: Azione, Fantascienza, Avventura REGIA: Peter Berg SCENEGGIATURA: Erich Hoeber
ATTORI: Liam Neeson, Taylor Kitsch, Alexander Skarsgård, Brooklyn Decker, Rihanna, Jesse Plemons, Peter MacNicol, Tadanobu Asano, Josh Pence, Hamish Linklater, Leni Ito, Reila Aphrodite, Gary Grubbs, Stephen Bishop, Adam Godley, John Tui, David Jensen (II), Griff Furst, Fileena Bahris, Natalia Castellanos
FOTOGRAFIA: Tobias A. Schliessler www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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MONTAGGIO: Colby Parker Jr., Billy Rich, Paul Rubell MUSICHE: Steve Jablonsky PRODUZIONE: Battleship Delta Productions, Film 44, Hasbro DISTRIBUZIONE: Universal Pictures PAESE: USA 2012 DURATA: 130 Min
TRAMA: Ispirato al famoso gioco da tavolo della Hasbro, Battleship, diventa un kolossal action diretto da Peter Berg, che amplifica la battaglia portandola in mezzo al mare e sulle isole Hawaii, contro un attacco alieno di devastante portata. A difendere il mondo, le flotte internazionali della marina militare, riunite nel pacifico per la consueta esercitazione annuale. Sarà la squadra di marines guidata dal testardo e difficile comandante Alex Hopper a bordo della nave da guerra John Paul Jones a tentare l'impossibile per distruggere gli indesiderati ospiti, dotati di armi e tecnologia mai viste prima.
A bordo di navi da guerra ipertecnologiche, cariche di armamenti e di
testosterone,
intrepidi
una
marines
squadra
ingaggia
di una
battaglia, apparentemente persa in partenza, con una flotta di navi spaziali ammarate al largo delle Hawaii con intenzioni bellicose. Come in ogni film d’azione che si rispetti tra i personaggi non possono mancare l’intrepido ma criticato e un po’ folle comandante, l’eroe buono www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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che perisce in battaglia, la bellona di turno, lo scienziato/sibilla, il disadattato ecc. La storia di fondo non è tra le più originali:
gli
alieni
vogliono
colonizzare la terra e un manipolo di intrepidi glielo impedisce a costo di distruggere una flotta di portaerei e danneggiare
gravemente
una
corazzata-museo, coinvolgendo nell’operazione anche una squadra di gloriosi reduci, pur di salvare il mondo. Il film scorre velocemente, le azioni di “battaglia navale” e strategia di guerra sono piuttosto coinvolgenti ed energiche, ottima scelta la colonna sonora degli AC/DC, memorabile e azzeccatissimo l’energico Thunderstruck
nelle scene di battaglia più
importanti. Divertente
la
scena
della
battaglia
navale con le boe di rilevamento, divertenti
anche
alcuni
dialoghi
e
situazioni imbarazzanti, come la scena iniziale del film in cui il protagonista compie un furto in un supermercato chiuso, per compiacere la bionda di turno; furto che finirà inevitabilmente male con l’arresto del protagonista, dolorante ed elettrizzato dalla pistola taser. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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Bravi tutti gli attori del cast, da segnalare un inflessibile Ammiraglio Liam Neeson, e una Rihanna perfetta marines. Effetti speciali di grande impatto visivo, specialmente le scene di battaglia in mare aperto con le navi aliene e le scene in cui si intravedono gli alieni. Decisamente azzeccate anche le citazioni da Omero e da L’arte della guerra.
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POLLO ALLE PRUGNE GRANDE AMORE DEL PROTAGONISTA DOPO IL VIOLINO
di A.T.
POLLO ALLE PRUGNE Regia Vincent Paronnaud & Marjane Satrapi Con Mathieu Amalric, Maria De Medeiros, Golshifteh Farahani, Eric Caravaca, Isabella Rossellini, Serge Avedikian, Didier Flamand, Edouard Baer, Jamel Debbouze, Chiara Mastroianni, Mathis Bour, Enna Balland, Rona Haetner Drammatico, Francia-Germania, durata 91 minuti – Officine Ubu – uscita venerdi 6 aprile 2012
Nasser Alì (Mathieu Amalric) è un uomo
sostanzialmente
infelice
(nonostante la sua curiosa somiglianza con Giovanni Storti del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo). Il grande amore della sua vita, Irane (Golshifteh Farahani), è andato perduto per il mancato consenso del padre (Serge Avedikian); è stato praticamente costretto da una madre incalzante ed autoritaria (Isabella Rossellini) a sposare un’altra donna, Faranguisse (Maria De Medeiros), che non amava e non ama affatto. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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E’ capace solo di suonare il violino, dopo una lunga pratica si è evoluto da dilettante a grande musicista, e ha girato il mondo per 20 anni riscuotendo grande successo, anche grazie allo strumento
ricevuto
in
dono
dal
maestro (Didier Flamand, sguardo penetrante dietro la folta barba bianca). In uno dei tanti litigi coniugali però, la moglie, con la solita accusa di non portare i soldi a casa e pensare solo al violino, in uno scatto d’ira glielo fracassa sotto gli occhi. Parte la ricerca disperata di un degno sostituto, ma dopo qualche tentativo fallito, Nasser Alì si dà gli 8 giorni. Per morire! Si barrica in camera, rifiuta cibo, assistenza e conforto. Rifiuta perfino il pollo alle prugne, suo piatto preferito, preparatogli dalla moglie al quarto giorno nel tentativo di ricucire lo strappo, lei, che sulle prime, alla notizia che il marito avesse deciso di morire, solo quattro giorni prima, non sembrava sconvolta più di tanto. La replica di Nasser Alì è lapidaria, sotto forma di due espressioni che suonano condanna: “Non ti perdonerò mai” e “Non ti ho mai amata”. Conserva come una reliquia solo quel che resta del suo violino. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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All’avvicinarsi del fatal momento il film della sua vita gli scorre in mente con immagini suggestive, come nate dalla fantasia di un bambino, ed infatti creativamente rappresentate attraverso delle animazioni, ma anche dai ricordi più vivi dei momenti salienti della sua vita: gli applausi, l’incontro con Irane, il diniego del padre alle nozze, le nozze forzate con Faranguisse, i figli da lei avuti, in una tenera immagine del cortile di casa innevato, intenti a mangiare fiocchi di neve. Al sesto giorno ecco l’Angelo della Morte: è il segnale che non si torna più indietro, infatti nessuna reazione arriva più dal suo corpo, sotto lo sguardo incredulo di pochi intimi. Rivede ancora Irane e tira le somme di una vita poco felice, con un grande amore tenuto vivo solo dal ricordo emanato attraverso la musica. “Le note diventano il respiro dell’amore perduto”. L’immaginazione ed infine la morte come sollievo.
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DIAZ, IL G8 DELLO SCANDALO POLIZIA CONTRO TUTTI
di Alessandro Tozzi
DIAZ – NON PULIRE QUESTO SANGUE Regia Daniele Vicari Con Elio Germano, Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Davide Iacopini, Renato Scarpa, Mattia Sbragia, Fabrizio Rongione, Ralph Amoussou, Antonio Gerardi, Paolo Calabresi Drammatico, Italia, durata 120 minuti – Fandango – uscita venerdi 13 aprile 2012
Un
film-documentario
sulle
tragiche
giornate del G8 del luglio 2001, in una Genova sotto coprifuoco. Il merito principale che va dato al regista Daniele Vicari è quello di non aver voluto alcun primo attore, nessun protagonista, nessun personaggio di punta, ma solo il racconto degli orribili fatti, passando anche da un ambiente all’altro. Scene diurne e notturne, accomunate dalla sensazione di guerra, non più di pacifica contestazione. Come si sa, in quei giorni a Genova sono confluite migliaia di persone, dai contestatori pacifici, nel film rappresentati da Renato Scarpa, giornalisti a www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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caccia di notizie fresche (Elio Germano), anarchici e contestatori di ogni nazione, fino ai terribili “black block”, i “compagni assetati di sangue”. Si sa anche che la situazione, già bollente, precipita con l’episodio dell’assassinio di Carlo Giuliani. La scuola Diaz è uno dei rifugi
dei
manifestanti,
ma, così come tra di loro, anche tra le cosiddette “forze dell’ordine” ci sono estremismi allarmanti. I cittadini
più
abbandonano
pacifici il
campo
finchè possono perché avvertono il pericolo. I manifestanti rappresentano il nemico, anche il frasario tra poliziotti ormai ricalca quello di un bollettino di guerra. Gli arrestati vengono definiti “prigionieri”. Gli schieramenti sono del tipo “Oggi gli facciamo un **** così”. E’ una Polizia che picchia duro, picchia a casaccio, picchia a prescindere. Irrompe dentro l’istituto e manganella senza pietà gente che dorme, gente con le mani alzate, giornalisti, donne già con ferite gravi, persone a terra già sfinite. Una Polizia che lascia dietro di sé una scia di lividi e sangue, invece di evitarli secondo suo compito istituzionale.
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Qualcuno riesce a filmare qualcosa, qualcuno a mandarlo in diretta Internet al grido “Il mondo vi sta guardando”. I
pochi
briciolo Achille
poliziotti di
con
coscienza, Faleri
un
come
(Antonio
Gerardi), che magari fanno un’obiezione
del
tipo
“Ma
abbiamo la foto di questi black block? Siamo sicuri che siano loro?”
vengono
zittiti
dai
superiori con risposte lapidarie del tipo “Ma che foto cerchi?”. Insomma ubbidire e basta. Si cercano i pretesti per pestare ancora più duro, basta una bottiglietta che cade su una macchina della Polizia, col disastroso effetto di lasciare qualche coccio sul parabrezza, per gridare all’attentato, o parlare alla stampa di “strenua
resistenza”
alle
forze
dell’ordine. Alma
(Jennifer
Ulrich)
viene
addirittura costretta a spogliarsi per il puro sollazzo di una decina di poliziotti
che
le
agitano
il
manganello sul volto già trasfigurato www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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di ferite. Il capolavoro si chiude poi con i comunicati finali, quelli diramati a cose fatte. Si mostrano bottiglie molotov sapientemente procurate e dichiarate come recuperate dai luoghi di scontro, si parla della resistenza violenta, si pone l’accento su un taglietto riportato da un poliziotto, che magari cavandosela con un cerottino diventerà un eroe. E’ la ciliegina sulla torta, quella mistificazione delle cose di cui forse solo il nostro paese è capace, e tanti saluti alla democrazia.
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THE RUM DIARY DURA ESSERE GIORNALISTI A PORTO RICO
di R.P.
THE RUM PASSIONE
DIARY
–
CRONACHE
DI
UNA
Regia Bruce Robinson Con Johnny Depp, Michael Rispoli, Aaron Eckhart, Amber Heard, Richard Jenkins, Giovanni Ribisi, Bill Smitrovich, Amaury Nolasco, Marshall Bell, Karen Austin Avventura, USA, durata 120 minuti – 01 Distribution – uscita martedi 24 aprile 2012
Siamo nel 1960, a San Juan, Porto Rico. Nella redazione di un giornale locale in odore di fallimento si presenta Paul Kemp (Johnny Depp), giornalista freelance piuttosto stimato ma dalla carriera ostacolata dall’alcool. Con i consigli del direttore Lotterman (Richard Jenkins) e del fotografo Bob Sala (Michael Rispoli) entra pian piano, seppur con una certa riluttanza, nei meccanismi mentali di quel “sogno americano” imposto in un modo o nell’altro alla povera popolazione locale. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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E’ la storia della manipolazione delle menti attraverso i media (chissà perché da italiani si capisce benissimo): la linea editoriale del giornale è, per stessa ammissione di Lotterman, “conforme” al sogno americano, con la specificazione che non bisogna svegliare la gente, che altrimenti chiederebbe il risarcimento! Tutto si fa più nitido quando incontra Sanderson (Aaron Eckart), affarista senza scrupoli che medita in sostanza la “colonizzazione” di un’isola disabitata in mezzo all’oceano, perfetta per costruirci degli hotel di lusso. La strategia di manipolazione è quella di far digerire la cosa chiedendo la costruzione di 10 hotel, finendo per essere accontentati con 2; fatti quelli, la strada è spianata. Come in politica, come nei giochi di potere, si fa credere alle categorie sottomesse di aver vinto quando invece si è ottenuto esattamente quel che si voleva sin dall’inizio. La strategia necessita anche della collaborazione giornalistica di Paul, sapiente manovratore di parole. A complicare tutto ci si mette quella che è molto più di una cotta tra Paul e Chenault (Amber Herad), moglie di Sanderson. Per lui si tratta di decidere da che parte stare. La cosa più bella del film è rappresentata dalle musiche blues che accompagnano le immagini dei locali e degli spostamenti di Paul e Bob, la meno bella invece da quei combattimenti tra galli con tanto di scommesse a margine, passatempo tanto di moda in quei paesi che si conclude con la www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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morte dello sconfitto. Senza scomodare animalisti e moralismi vari, trovo personalmente antipatico che nella pellicola Paul e Bob si procurino dei soldi grazie alle vittorie sul campo del loro “campione�, benedetto perfino da uno stregone. Nel complesso una storia abbastanza normale, con lo stesso Johnny Depp autore di una prestazione altrettanto normale.
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AGLI UOMINI PIACCIONO TONTE Valentina Balduzzo
Teatro dei Satiri dall’11 al 29 aprile Via di Grotta Pinta, 18- Roma Atto unico durata: 1.20’ Interpreti:Beatrice Fazi; Barbara Floria; Giulia Ricciardi Testo : Giulia Ricciardi Regia: Marco Simeoli
Se per un uomo a volte è difficile comprendere il comportamento femminile forse è perché non sempre una donna riesce ad avere una visione esatta di se stessa e quindi a comportarsi in modo lineare. Non che le donne siano schizofreniche bisognose di dare una definizione di sè ogni ora diversa, ma per loro natura, filtrando continuamente la realtà attraverso la sintesi tra sentimenti, ragione e pura materialità, tendono magari ad accentuare un profilo della propria personalità rispetto ad un altro.
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Ne converrete che la situazione si possa complicare nel momento in cui si perda il controllo di uno dei filtri. Se poi a cedere è la supervisione su tutti i fronti quello che può accadere è sicuramente tragico per l’individuo ma una buona base per una commedia. Come Cerbero la nostra eroina ha tre teste, tre personalità differenti, che convivono, burrascosamente, in uno stesso corpo che ne è tragicamente in balìa, per cui la protagonista della commedia è costretta ad assumere atteggiamenti assurdamente agli antipodi rispetto ad uno stesso stimolo esterno. Questa è la situazione da cui si sviluppa la trama che narra di come, perso
il
personalità,
controllo alla
delle ricerca
sue di
tre una
soluzione presso il lettino di uno psicoterapeuta, la protagonista riviva, attraverso il racconto di tutte e tre le versioni di sè, il suo rapporto travagliato con il genere maschile. Ragione è la parte più pura e casta che sogna un matrimonio lungo e felice. Sentimento è in una situazione mediana, cerca un amore profondo con il quale condividere ogni cosa. Esattamente agli antipodi si trova la terza personalità: Materialità che ambisce esclusivamente ad avere una vita sessuale appagante. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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I tre personaggi maschili, che sembrerebbero fare da alter ego alle tre personalità femminili, in realtà ne fanno solo da spalla. Analizzando meglio le situazioni sembra chiaro che, con garbate battute poco allegoriche e molto profonde, venga messo a nudo, non solo l’inferno delle personalità che possono convivere in una donna, ma anche il modo in cui l’universo femminile identifica la natura maschile, alla quale dà un’importanza superlativa pur non riuscendo ad intavolarvi un discorso lineare. Brave tutte e tre le interpreti, che hanno saputo tenere sempre alto il ritmo: Beatrice Fazi la ragione; Barbara Flora la materialità e Giulia Ricciardi il sentimento.
Un
elogio particolare a Giulia Ricciardi che, nonostante i ritmi incalzanti della commedia, è riuscita a valorizzare il suo personaggio donandole un'interpretazione più realmente sentita. Bruno Cabrerizo al suo debutto teatrale si è comportato egregiamente in un compito sicuramente non facile, rappresentare
quattro
personaggi,
di
cui
due
con
caratteristiche
marcatamente differenti. Considerato come è riuscito a tenere la scena per tutti e quattro penso che potrebbe avere, almeno nelle commedie, un discreto successo. Ottime sia la scelta musicale sempreverde che la regia gioiosa e limpida, come le battute del divertentissimo copione. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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COSI E’ (SE VI PARE)
Valentina Balduzzo
Teatro Eliseo dal 10 al 29 aprile Via Nazionale, 183- Roma Primo atto durata: 1.20’ secondo atto durata: 60’Interpreti:Giuliana Lojodice; Pino Micol; Luciano Virgilio. Testo : Luigi Pirandello Regia : Michele Placido
Così è se vi pare, opera tratta dalla novella «La signora Frola e il Signor Ponza, suo cognato», è un espediente per poter rappresentare in modo evidente quanto erroneamente l’essere umano si spertichi per trovare una verità assoluta che dia un senso stabile alla propria esistenza, senza cominciare la ricerca partendo da un’attenta autoanalisi per arrivare per lo meno ad essere certo della propria verità. Il
dramma
si
svolge
tutto
nel
borghesissimo salotto di casa Agazzi. Nella versione in scena al Teatro Eliseo sul salotto incombe un enorme specchio in frantumi le cui grosse schegge, conficcate nel
pavimento,
fungono
da
mura
domestiche. La scelta di questo tipo di scenografia è sicuramente stata ispirata al monologo più importante dell’opera, quello che Laudisi fa allo specchio www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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attraverso il quale parla con l’altro sè, quello più profondo e si compiace dell’insicurezza in cui la sua condizione umana lo costringe, costatando come gli altri fuggano dal proprio abisso interiore per cercarlo nel prossimo, senza però alimentare una visione d’insieme ma rimanendo un solo freddo frammento di un’umanità ridotta a mera abitudine alla vita, organizzata e scandita da ritmi preconfezionati da una mente che si immagina superiore. Quindi lo specchio infranto è come un invito a guardare oltre la limitatezza del proprio io per cercare almeno di dare un senso alla propria esistenza. La trama è molto semplice: in una cittadina di periferia l’arrivo di un nuovo impegnato, il sig. Ponza, desta la curiosità di gran parte della comunità, in quanto si mormora egli tenga segregata la moglie e non permetta alla suocera, che vive in una casa a parte, di vedere la figlia. Tanto è il chiacchiericcio sulla faccenda che il superiore del Ponza, Agazzi, comunica alla famiglia e ad alcuni amici di voler chiedere l’intervento del Prefetto per venire a capo della vicenda. L’unico a ritenere l’allarmato interesse sull’intera faccenda risibile è il cognato, Laudisi che consiglia a tutti di smetterla di inseguire l’assoluta verità nelle faccende altrui. Sia il signor Ponza che la signora Frola vengono costretti a dire la loro verità (ovviamente discorde). Non contenti di ciò i curiosi borghesi, dopo averli costretti con un sotterfugio ad un faccia a faccia tragico, da cui non hanno comunque trovato soddisfazione, su invito di Laudisi costringono il Ponza www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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a condurre la moglie innanzi al Prefetto, in casa Agazzi perchè in lei ripongono la certezza di ottenere la verità inoppugnabile. La donna, che entra in scena con i modi e le sembianze di uno spettro, vi rimane giusto il tempo di comunicare agli astanti la tanto agognata verità assoluta. Interrogata avvalora entrambe le verità espresse dalla madre e dal marito e alla perentoria domanda chi sia lei per se stessa la sconcertante risposta che ella dà è : “per me non sono nessuno, io sono colei che mi si crede”. La verità assoluta è come questa donna imperscrutabile e parziale, come l’essere umano che la cerca invano. Nonostante i ruoli principali siano affidati a tre grandi attori, a parte Luciano Virgilio, che ha saputo ben tenere il personaggio cardine dell’esposizione pirandelliana dei fatti, Lamberto Laudisi, non ho trovato altrettanto incisiva l’interpretazione degli altri due interpreti d’eccezione: Pino Micol, il Sig. Ponza, mi ha convinta a tratti mentre la prima attrice, Giuliana Lojodice, la Signora Frola, non è riuscita a trasmettermi l’intensità dell’essere il disperato fantasma di se stessa. Posso solo dire che forse non erano in serata specialmente lei che ha vistosamente sbagliato una battuta e si è ripresa malamente.
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IL CASO MAJORANA SHOW
Valentina Balduzzo
Teatro Nino Manfredi 10 al 22 aprile Via dei Pallottini, 10- Ostia Atto unico durata: 1.45’ Interpreti:Compagnia attori & tecnici Testo : Claudio Pallottini Regia: Marco Simeoli supervision di Gigi Proietti: Comunemente gli episodi tragici della vita di un singolo individuo come della storia più in generale vengono ricordati in modo solenne e serioso, senza considerare che la solennità o il cordoglio sono manifestazioni spesso troppo limitanti. Il ricordo non dovrebbe essere solo qualcosa di statico cristallizzato in una nota biografica, un discorso o tante grandi e piccole cerimonie, ma esposto, approfondito e sviscerato, come materia viva perché l’individuo vi attinga per conoscere il passato, vivere al meglio il presente e avere una maggiore consapevolezza del futuro. Per chi non lo conoscesse, Ettore Majorana è stato un fisico teorico geniale, nato nel 1906 a Catania. Di lui e della sua opera sicuramente non sarebbe rimasta traccia nell’opinione pubblica se non fosse scomparso nel nulla il 27 marzo del 1938, alimentando tutta una serie di interrogativi, mai risolti, sulla sua scomparsa che hanno dato vita a diverse tesi, tra cui la più nota,
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esposta da Leonardo Sciascia nel libro “La scomparsa di Majorana” edito nel 1975. Forse lo stesso Majorana, sparendo improvvisamente, poco importa se spingendosi all’estremo gesto o ad un cambio pirandelliano di identità, era consapevole del fatto che in questo modo la sua visione etico scientifica, avrebbe continuato a serpeggiare tra i posteri. C’è molto di pirandelliano nella vita di Majorana, considerato che lui stesso era un grande estimatore dell’autore; non mi sembra assurdo arrivare a pensare che il colpo di scena finale, che avesse scelto per la propria esistenza, fosse appunto questo: lasciare che ancora se ne parli. Sicuramente il teatro è il luogo che più si presta a fare memoria, assolvendo, tra l’altro, al ruolo che gli avevano dato i greci, di specchio per comprendere e aborrire la disumanità di cui spesso l’uomo si macchia e spettacoli come questo ne sono il mezzo più efficace. Lo spettatore è messo in condizione di carpire un messaggio che gli giunge da un’altra esperienza di vita, ragionare sulle sue implicazioni nella realtà che vive, e magari, come in una reazione a catena arrivare a migliorarla, nobilitandosi e quindi modificando le proprie scelte quotidiane. Trovo sia stata un’idea grandiosa quella di pensare ad una scomparsa in chiave ironica, rappresentarla poi sotto forma di talk show televisivo è un artificio straordinario.
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Marco Simeoli è un perfetto conduttore che, tra il serio e il faceto, dà in modo chiaro allo spettatore tutti gli elementi per poter costruire una propria tesi sulle sorti del Majorana. Nel salotto televisivo in questione si spazia tra passato e presente. Ci si può imbattere in varie situazioni come: trovare un premio Nobel per la Fisica quale Enrico Fermi a tu per tu con un avvenente ballerina che, sfruttando le sue doti fisiche, ambisce ad una gloriosa carriera o anche due uomini d’altri tempi, Fermi e Amaldi che palesano il vizio frivolo di giocare con una palla di pezza nei corridoi della Facoltà di Fisica e il vizio tutto italiano, mai così attuale, di raccomandare un proprio parente per il solo merito di essere un consanguineo. Perfetta l’immedesimazione di Sebastiano Colla in Enrico Fermi, altrettanto convincenti Cristina Capon e Stefano Messina rispettivamente Laura Capon (la moglie di Fermi) ed Edoardo Amaldi (collega di Fermi). Nicola D’Eramo nella parte del Prefetto Arturo Bocchini, sia nella fisicità che nei modi perfetto, temo solo che il giorno della replica alla quale ho assistito non fosse in perfetta forma. Determinanti e molto azzeccati i due “tuttologi “ Claudio Pallottino e Andrea Giuliano. Vocalista dotata e con una buona presenza di scena Carlotta Proietti accompagnata dal Maestro Andrea Bianchi. Un grande ringraziamento va all’autore per essersi impegnato in un progetto che non massifica né attori e né spettatori.
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LA COMPAGNIA CORRADO ABBATI IN IL PAESE DEI CAMPANELLI
Valentina Balduzzo
Teatro Parioli- Peppino De Filippo dal 13 al 15 aprile Via Giosuè Borsi, 20- Roma Primo atto durata: 1.10’ secondo atto durata: 50’Allestimento del Festival dell’operetta dell’Ente Lirico G. Autori: Carlo Lombardo e Virgilio Ranzato Regia e adattamento : Corrado Abbati
“Il paese dei campanelli” fa parte di un genere teatrale e musicale nato in Francia e successivamente in Austria nel secondo ventennio dell’ottocento, l’operetta. Il termine è chiaramente il diminutivo di “opera”, perché come manifestazione artistica è una via di mezzo tra la commedia e l’opera lirica. In Italia la cultura del melodramma ha impedito che l’operetta prendesse connotazioni più nazionalistiche quindi anche gli autori più dotati, hanno solo assorbito la maniera, la vivacità e la ricchezza delle scenografie. Nel nostro paese prese piede tardivamente, nel periodo tra il 1910 e il 1930 (quest’operetta in particolare ha visto la luce nel 1923), nel gusto del pubblico formato comunque da un’elite borghese che la preferisce al melodramma, e forse anche perchè con l’avvento del cinematografo, forma di spettacolo a basso costo, il poco pubblico ne determina la scomparsa, in www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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quanto non più economicamente conveniente e da qui la degenerazione in avanspettacolo. La trama di tutte le operette è in genere poco complessa; nel caso specifico tutta l’azione si svolge in un piccolo villaggio olandese, nel quale equilibrio e serenità regnano sovrani, grazie alla fedeltà coniugale. Fedeltà che per alcune signore dipende dal credere nella forza del sentimento (la romantica Nela),per altre invece (come la libertina Bonbon) esclusivamente dal fatto che ogni tetto coniugale è dotato di un minareto che custodisce un campanello pronto a squillare in caso di adulterio, caso che si verifica nel momento in cui in porto attracca una nave militare e i marinai, Comandante compreso riescono a legare a sè le donne del villaggio. Le più disinvolte sanno di non doversi aspettare nulla da queste fugaci relazioni mentre le più sensibili ne soffriranno fino alle lacrime. Tutto tornerà in perfetto equilibrio quando, a causa di uno scambio di telegrammi da parte del marinaio pasticcione La Gaffe; che fa recapitare alla moglie del Comandante il telegramma che avrebbe dovuto portare sull’isola un nutrito gruppo di ballerine con le quali si intendeva pareggiare i conti con gli olandesi, si presentano nel paese tutte le mogli della ciurma capitanate dalla moglie del graduato che, per rivalsa verso i rispettivi mariti, concupiscono i mariti autoctoni. La morale, se di morale si può parlare, è sicuramente di non disperare, non è certo il dare e ricevere piacere passeggero a scalfire qualcosa di così www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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profondo come l’amore tra due persone che vogliono invecchiare e morire insieme, il bene superiore trionfa sempre. Come l’amore, in questa, come nelle operette in generale, trionfano i solisti, tutte le voci della musica lirica, in una cornice di aree allegre e giocose che affranca il cuore. Lo spessore artistico nelle non può che essere alto. L’operetta è una macchina perfetta che si bloccherebbe al primo intoppo se la compagnia non fosse rappresentata da maestri canori come sono i lirici della Compagnia Abbati. Il pubblico del Parioli-Peppino De Filippo ha molto gradito la rappresentazione, tanto da rallentarne in più di un occasione la continuazione
con
scroscianti
applausi a scena aperta. Una grinta particolare, che andava ben oltre il personaggio, è stata dimostrata
dall’attrice
Antonella
Degasperi graditissima dal pubblico. Se non avete idea di cosa sia un’operetta e pensate di non capire la musica vi invito a non mancare una prossima rappresentazione, di una qualsiasi operetta, per scoprire la gioia e la vitalità che trasmette anche se solo se ne assorbe passivamente l’ascolto.
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ORSO MARIA GUERRINI AL TEATRO CASSIA E’ LUI “L’UOMO DEL DESTINO”
di Alessandro Tozzi
YASMINA REZA – L’UOMO DEL DESTINO (traduzione Catherine Spaak) Regia Maurizio Panici Con Orso Maria Guerrini, Cristina Sebastianelli Produzione Teatroper Roma, Teatro Cassia, dal 24 al 29 aprile 2012
In
uno
scompartimento
del
treno
Parigi-
Francoforte c’è uno scrittore di successo, Paul Parsky (Orso Maria Guerrini), solo coi suoi pensieri ad alta voce. D’un tratto il suo vagabondare mentale viene interrotto dall’arrivo di una passeggera, Martha (Cristina Sebastianelli), che immediatamente lo riconosce: è una sua appassionata lettrice e nutre per lui un’infatuazione quasi fanciullesca, un po’ come la liceale con la cotta per il professore. Troppo timida per rivelarsi, inizia anche lei un tortuoso percorso immaginario. Manifestarsi o non manifestarsi? Estrarre o non estrarre dalla borsetta l’ultima pubblicazione del suo idolo, letta già per metà?
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Sguardi, cose dette solo a se stessi, tanti “vorrei ma non posso”; l’unico scambio di parole vere tra i due per buona parte dello spettacolo è tutta in una richiesta di aprire il finestrino. Per il resto entrambi pensano alla loro vita, ai loro amici, esprimono le proprie idee sugli argomenti più vari, quelli che casualmente popolano le loro menti per un istante. Bravissima lei come donna solo apparentemente risoluta ma in realtà fragilina e ai limiti dell’infantile, fenomenale lui, anche con il solo uso del volto, degli occhi, della voce, espressivo fin dall’aggrottare le ciglia. La magia scatta quasi sul finire: anche lui comincia a dedicare qualche attenzione a quella bella donna capitata lì per caso e che… ad un certo punto osa e va oltre l’ostacolo. Tira fuori il fantomatico libro e lo legge tenendolo in bella mostra, confidando nell’approccio compiaciuto del grande scrittore, che puntualmente avviene. E’ curioso nel modo in cui avviene, cioè
non
dichiarandosi
rivelandosi anch’egli
ma assiduo
lettore di quel Paul Parsky. Dopo un certo numero di battute è lei stessa che lo “smaschera”. Emergono cose lette da lei ed interpretate in modo diverso da come lui le ha scritte, con lei ad esporre le sue sensazioni e lui a tentare di chiarire le originarie www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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intenzioni. E’ qui che mostra ancora la sua bravura, alternando il personaggio dello scrittore con quello del viaggiatore qualunque. E se fossero fatti l’uno per l’altra senza saperlo ancora?
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I SOGNI NON PROIBITI DI MARCO CAPRETTI DUE SETTIMANE DA RIDERE ALL’ANFITRIONE
di Alessandro Tozzi
STEFANO FABRIZI & MARCO CAPRETTI – VADO SPESSO NEI SOGNI (MA NON MI TRATTENGO) Regia Stefano Fabrizi Con Marco Capretti Produzione B & G live Roma, Teatro Anfitrione, dal 17 al 29 aprile 2012
Si apre il sipario, Marco Capretti dorme. Ma è un sonno agitato, si gira e si rigira, si contorce perché sta sognando. Sognando cosa chissà, visto che “i sogni scelgono noi” e non il contrario, secondo gli autori, Capretti stesso e Stefano Fabrizi. Si sveglia di soprassalto, si alza e sfoggia un pigiamino tenerissimo che introduce le prime risate. Specifica che è meglio non trattenersi troppo nei sogni, perché un sogno, e quindi un sonno, eterno non è un buon segno… anche quando è bello, meglio che duri poco.
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Il discorso parte da lontano, dalla natìa Primavalle, borgata a dir poco popolare del nord-ovest di Roma, dove oltre ai sogni tanti anni fa c’era ben poco. Il nostro protagonista racconta il suo cruccio e vanto insieme, quello di “non saper fare niente”, almeno rispetto all’altra categoria di uomini, quelli con le “mani d’oro”, quelli che sanno far tutto e sono sempre pronti a fargli fare figuracce, soprattutto nei confronti delle donne. Ingegneri, fisici nucleari e al tempo stesso poeti, romantici, ma si arrangiano anche a sintonizzare l’antenna del televisore o a passare lo straccio sul pavimento. L’incubo assoluto è quello del ferramenta, luogo surreale con scaffali contenenti prodotti non meglio identificati, che solo gli uomini dalle mani d’oro possono capire. Come dire, l’identikit dell’uomo ideale che le donne tracciano, e che lui ovviamente non è. Ecco allora venire in suo soccorso il sogno: Ludmilla, donna bellissima, bionda, piena di boccoli, professione poetessa! Il sogno consiste nel fatto che vuole proprio lui, che neanche si sente all’altezza, ma, facendo varie metafore basate sul gioco, “sta”, si dichiara “servito”, perché non avrebbe osato sperare tanto. Ludmilla parla in rima, cammina a mezzo metro da terra, tenta di elevarlo culturalmente con scarsi risultati: lui si www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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crogiola nel suo sogno finchè dura. I tempi comici sono sempre azzeccati, Marco Capretti fa tutto da solo senza problemi, Ludmilla resta l’entità astratta che è, da buon sogno che è. Nonostante si sia in un bel teatro come l’Anfitrione, la radice cabarettistica di tanto in tanto emerge sotto forma di qualche efficace risposta a risate o commenti estemporanei degli spettatori, uno spettacolo nello spettacolo. Applausi e risate non mancano, si trova il modo di produrre comicità anche sul ritardato arrivo di una musica. Cose che capitano ad una prima assoluta. Semplice ma funzionale la scenografia, arricchita di un display che accompagna a dovere alcuni momenti dello show. Una sorta di camera da letto un po’ naif, come si conviene ad un sognatore speciale. Finale commosso con dedica alla mamma del comico recentemente scomparsa senza aver mai perso una sua serata. Dopo tante risate, chiusura in gloria con tenerezza. L’applauso migliore è stato questo.
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MADONNA, NATA PER IL SUCCESSO PARECCHIA ELETTRONICA IN “MDNA”
di Alessandro Tozzi
MADONNA – MDNA – LIVE NATION – 2012 Produzione: Madonna & Benny Benassi Formazione: Madonna – voce Titoli CD1: 1 – Girl gone wild; 2 – Gang bang; 3 – I’m addicted; 4 – Turn up the radio; 5 – Give me all your luvin’; 6 – Some girls; 7 – Superstar; 8 – I don’t give a; 9 – I’m a sinner; 10 – Love spent; 11 – Masterpiece; 12 – Falling free Titoli CD2 (edizione deluxe): 1 – Beautiful killer; 2 – I fucked up; 3 – B-day song; 4 – Best friend; 5 – Give me all your luvin’
L’ascolto d’un fiato del nuovo prodotto Madonna, compresi i bonus dell’edizione deluxe, mi crea una duplice sensazione. Da un lato l’identità Madonna è intatta, nella sua impronta tipicamente pop seppur con gli www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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episodi di più chiara tendenza dance; dall’altro quella che stavolta probabilmente manca il colpo di genio da consegnare alla storia, manca la nuova Music, la nuova La isla bonita o la nuova Vogue, quel brano predestinato. Detto questo chiariamo che l’album, prodotto con un entourage ed uno sforzo umano ed economico colossale (alla produzione oltre a Madonna e Benny Benassi come supervisori generali andrebbero menzionate una decina di persone) non potrà che vendere e mietere successo, perché è ben confezionato come sempre. In qualche caso pare anche che cerchi di sollecitare la voce più del solito, si ascolti I don’t give a, in cui cresce progressivamente insieme a tutto il pezzo. Il primo singolo, quello lanciato con tante polemiche in occasione del Superbowl (in accoppiata con una M.I.A. molto irriverente in diretta tv), è nella miglior tradizione banale ma efficace nell’annidarsi in testa. Anche l’avvio con Girl gone wild va sul sicuro, orecchiabilissimo e con la performance
“standard”
di
Madonna. Forse la chicca subito a seguire: Gang bang. Un pezzo pregno di atmosfere cupe con un cantatoparlato che esalta la componente www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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“cattiva” mai sopita del tutto. Aggressiva comunque, nonostante il sottofondo elettro-dance. In vari brani le parti elettroniche la fanno da padrone, in Some girl viene trattata perfino la voce stessa e a mio modesto avviso si esagera. Per ritrovare la Madonna più familiare occorre attendere I’m a sinner, con una certa modulazione della voce e un’interpretazione più usuale e in sostanza più riuscita, anche se neanche questo brano può dirsi epocale. Il pezzo che conclude la versione normale dell’album, Falling free, è quella con le atmosfere più incantate, soavi, con degli archi cui si sovrappone il sussurro di Madonna, qualcosa di intimo, una riflessione finale. I quattro pezzi bonus (cinque se si considera una alternate versione di Give me all your luvin’) restano sul filo conduttore dance/pop voluto in tutto l’album, a parte lo scostamento, personalmente gradito, di Gang bang. Forse I fucked up, movimentata in partenza dai violini, e Best friend, in cui l’elettronica riesce di nuovo a non strafare, sono degne di nota, abbastanza trascurabili la altre due.
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Un lavoro ordinario, quest’ultimo di Madonna, ma che probabilmente basterà come al solito per smuovere le genti. Cose che capitano quando si tratta di icone viventi come lei.
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MARCO CARTA – NECESSITA’ LUNATICA
di Roberta Pandolfi
Marco Carta – Necessità Lunatica – 2012 Scusami amore (C. Rizioli - S. Grandi) - 4.02 Fammi entrare (F. Camba - D. Coro) - 3.38 Mi hai guardato per caso (F. Camba - D. Coro) 3.20 - Necessità lunatica (F. Camba - D. Coro) 3.24 - Ti voglio bene (F. Camba - D. Coro) 3.54 - Chiudi gli occhi (D. Faini - A. Galbiati) 3.24 - Parlami (F. Gazzè - F. De Benedittis - M. Corona) - 3.22 - Scelgo me (F. Camba - D.Coro) - 3.40 - Solo un ricordo ma immenso (F. Camba - D.Coro) - 3-54 - Ti sorriderò (F. Camba D.Coro) - 3.16 - Ritorni mia (F. Camba D.Coro) - 3.21 - Due mondi opposti (Simonetta) - 2.39
Quarto album di Marco Carta che sale a tempo di record alla prima posizione della classifica di iTunes degli album più venduti. Album formato da 12 canzoni composte per la maggior parte dagli autori Camba e Coro che hanno arrangiato e prodotto circa metà dei brani, mentre l'altra metà è opera di Dado Parisini. Marco Carta torna sulle scene musicali a due anni dal suo precedente lavoro discografico “il cuore muove” con questo suo “Necessità lunatiche”. Lo scorso marzo, ha vinto nella categoria ''miglior cantante italiano'' i www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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Kids'Choice Awards 2012, quest'ultimo riconoscimento si aggiunge ai successi che hanno visto il cantante protagonista in questi anni. Dopo la vittoria ad Amici (2008), sua personale rampa di lancio nell’olimpo della musica, e dopo la vittoria al Festival di Sanremo (2009) quale conferma del suo talento, ha ricevuto tantissimi altri riconoscimenti, tra cui i Trl Awards, i Wind Music Awards ed un premio speciale ai Venice Music Awards. Il disco oltre al singolo Mi hai guardato per caso, contiene anche altri pezzi come Ti voglio bene, scritto da Federica Camba e Daniele Coro e racconta la perdita di una mamma, una tragedia che ha colpito il cantante da vicino. Ma veniamo al suo ultimo lavoro, in questo disco si parla d’amore declinato nelle sue forme più intense, è un disco melodico, quasi mai ritmato, oserei dire una melodia quasi senza tempo, è la prova tangibile della crescita professionale di questo artista sardo, che si ripropone con un disco molto impegnato dalle musicalità molto ricercate dove la sua voce particolare graffiante e emozionante ne è la regina indiscussa. Tra i brani dell’album, solo per citarne alcuni, mi hanno colpito Il brano “Scusami amore” che è quasi un sussurro che esplode nel suo ritornello, mentre “Mi Hai guardato per caso” il singolo che ha preceduto l’album, è un brano intenso che esalta la voce di Marco che alterna note basse a tonalità alte che sfociano in un raffinato graffiato. In tutto il disco sono esaltate le capacità canore del cantante, a volte melodiche a volte graffianti e www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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roche, è difficile sceglierne un unico brano rappresentativo perché ognuno ha una sua musicalità e una sua poesia. Il titolo del disco ( Necessità lunatica) non si riferisce ad un brano del disco (anche se citato in una canzone), ma ad un suo personale bisogno di cambiamento e di evoluzione ed alla necessità di imparare sempre nuove cose.
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MESHUGGAH, E SONO SETTE! TORNANO I CINQUE SVEDESI CON “KOLOSS”
di Alessandro Tozzi
MESHUGGAH – KOLOSS – NUCLEAR BLAST – 2012 Produzione: Meshuggah Formazione: Jens Kidman – voce; Fredrik Thonderdal – chitarra; Marten Hagstrom – chitarra; Dick Lovgren – basso; Tomas Haake – batteria Titoli: 1 – I am colossus; 2 – The demon’s name is surveillance; 3 – Do not look down; 4 – Behind the sun; 5 – The hurt that finds you first; 6 – Marrow; 7 – Break those bones whose sinew gave it motion; 8 – Swarm; 9 – Demiurge; 10 – The last vigil
La solita bomba questo disco del quintetto svedese dei Meshuggah, il settimo in studio. Zero compromessi, sound potente, solita ritmica incessante, voce indemoniata. Sembra partire piano, con I am colossus, che però nella parte centrale prende quota grazie alle chitarre che rombano l’una sull’altra. Proseguiamo con The demon’s name is surveillance che pesta
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ancora più duro, soprattutto nella doppia cassa di Tomas Haake, e si chude anch’essa col delirio chitarristico di Hagstrom e Thonderdal. I cinque sono pesci fuor d’acqua solo quando non picchiano, infatti la più lenta Do not look down non rendo loro giustizia, come la prima parte della successiva Behind the sun, dotata però di una seconda parte che recupera con gli interessi. La bravura del gruppo sta soprattutto nel non essere ripetitivi, nonostante il genere sia molto rischioso da questo punto di vista: infatti alla numero 5 esce la sorpresa, The hurt that finsd you first, che dopo una ”normale” prima metà e uno spartiacque costituito da una quantità di rullate, cade come addormentata
in
progressive
che
un
pezzo muore
lentamente. C’è
tutto,
Marrow
vede
il
massacro del basso da parte di Dick Lovgren, le voce posseduta di Jens Kidman non conosce soste, nemmeno nelle improvvise fermate
ed
altrettanto
improvvise accelerazioni di Swarm, forse la migliore dell’album con i suoi incantesimi ipnotici a sovrapporsi ai ritmi impazziti e apparentemente disorganizzati. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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Solo l’episodio finale, The last vigil, presenta chitarre più mansuete del solito, effetti sospesi e un’atmosfera generale di quasi quiete, come ad accompagnare dolcemente l’ascoltatore all’uscita. Ma è una piccola eccezione, voluta forse per capriccio. Resta che nel loro genere, piuttosto estremo, i Meshuggah non temono confronti. Il loro pubblico lo perderanno difficilmente, come difficilmente ne faranno di nuovo.
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I MARLENE KUNTZ IN VERSIONE SANREMESE TANTI BRANI STORICI RIREGISTRATI E RIPENSATI
di Alessandro Tozzi
MARLENE KUNTZ – CANZONI PER UN FIGLIO – SONY – 2012 Produzione: Gianni Maroccolo Formazione: Cristiano Godano – voce e chitarra; Riccardo Tesio – chitarra; Luca Bergia – batteria e cori Titoli: 1 – Canzone per un figlio; 2 – A fior di pelle; 3 – Trasudamerica; 4 – Canzone ecologica; 5 – Pensa; 6 – Stato d’animo; 7 – Serrande alzate; 8 – Io & me; 9 – Bellezza; 10 – Lieve; 11 – Canzone in prigione; 12 – Ti giro intorno; 13 – Un piacere speciale; 14 – Grazie
Chi, come il sottoscritto, conosce i Marlene Kuntz di Cristiano Godano fin dagli inizi rimarrà un po’ perplesso di fronte a questo prodotto, che evidentemente è solo un’appendice commerciale rispetto alla manovra artistica legata alla partecipazione del Festival di Sanremo, occasione evidentemente irrinunciabile per chiunque, almeno una volta in carriera. Al di là della Canzone per un figlio presentata al Festival, buona ballata dagli alti contenuti ed impreziosita dai fiati di Roy Paci, e dell’altro inedito, Pensa, dominato invece dagli archi, per il resto sono nuove registrazioni di pezzi già pubblicati, ma tutti in versione per così dire più cantautorale, più www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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coerente forse con l’avventura Sanremo, svuotate della
componente
elettrica
salvo
pochissime
eccezioni, e caratterizzate dall’intensità del cantato, molto meno urlato rispetto alle versioni originali e qui anzi sussurrato, appassionato, come suggerito in un orecchio al figlio. Anche la dedica all’interno della cover spiega proprio questo. Così comanda il piano in Canzone ecologica o Bellezza, la chitarra acustica in Ti giro intorno e Stato d’animo, i brano forse più “sconvolti” dal restyling. Conservano invece un certo appeal la sempre monumentale Lieve, ma forse più per il gloriosi trascorsi che per altro, e Trasudamerica. L’idea di fondo sembra quella di una sorta di concept, dunque non è un meschino riciclaggio di materiale, c’è davvero una rielaborazione. Peccato solo che le qualità vocali di Godano siano meno godibili, come quelle dei compagni di sempre, tutti un po’ frenati, ma perché è il progetto che lo richiede. E’ il progetto che ha determinato l’esclusione di pezzi meritevoli come Sonica, Il vile o Retrattile, forse meno maneggevoli per ottenerne una versione adatta allo scopo.
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Resta da vedere se questa sarà solo una scorciatoia presa in coincidenza col grande vento del Festival o sarà sul serio il nuovo corso dei Marlene Kuntz.
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LA NASCITA DELL'ARCHIVIO NAZIONALE DEL JAZZ UN PROGETTO A CURA DEL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSIC
di SDC
Campidoglio, 19 Aprile 2012, Roma
Presentato al Campidoglio, nella splendida Sala degli Arazzi, il nuovo ed entusiasmante progetto legato al Saint Louis College of Music di Roma, ovvero la nascita dell'Archivio Nazionale del Jazz. Il progetto nasce dall'esigenza di portare alla luce non solo la musica contemporanea, raccogliendo in un unico luogo e strumento, tutto ciò che concerne la musica Jazz ed il mondo circostante, bensì di andare a ritroso nel tempo, alla riscoperta dei grandi jazzisti, della loro musica e delle www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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emozioni vissute, attraverso l'ascolto di rarissime quanto preziose registrazioni. Registrazioni di semplici amanti e appassionati di Jazz, di giornalisti e soprattutto fonici. Questi ultimi possono rivelarsi dei veri e propri scrigni di tesori “nascosti”, pronti ad essere riportati alla luce. Concerti, jam sessions o semplici sound check possono essere svelati al grande pubblico, grazie anche alle preziose registrazioni conservate dai fonici. Il responsabile dell'Archivio Nazionale del Jazz è Adriano Mazzoleni, giornalista ed esperto di musica Jazz, che con l'ausilio del Saint Louis College of Music di Roma e con le figure di Rossella Gaudenzi, Alessandro Peana, Adriana Persico e Giorgia Mileto, ha contribuito alla crescita dello stesso con delle registrazioni rarissime. La scelta per la fruizione e condivisione della musica Jazz è ricaduta sulla creazione di un portale, sfruttando la rete internet, in modo da poter raggiungere il maggior numero possibile di persone ed al contempo digitalizzare tutto il materiale a disposizione, in modo ordinato e accurato. Un vero e proprio archivio virtuale ove ascoltare le registrazioni, leggere le recensioni o le notizie dell'epoca relative ai concerti, visionare le locandine e leggere le biografie relative ai grandi jazzisti.
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Un archivio aperto e fruibile a tutti, sia agli appassionati che agli studiosi e musicisti. Il portale infatti è suddiviso in varie sezioni. Vi sono presenti le voci “archivio audio”, “partiture”, “archivio dischi”, “pubblicazioni” e “archivio video”. Un portale che si appresta a divenire un punto di riferimento, ove ricercare tutte le informazioni necessarie, oltre ad ascoltare delle vere e proprie rarità di musica Jazz. Il Saint Louis College Music di Roma auspica che il portale traini il progetto nell'avere una sede fisica ove ci si possa incontrare, studiare e naturalmente ascoltare musica Jazz. Una evoluzione naturale legata inoltre allo studio e alle attività didattiche offerte dalla scuola stessa. Il Saint Louis College of Music di Roma è una delle strutture didattiche più rinomate, con oltre 1800 allievi provenienti da ogni Paese e con un corpo docente composto da 120 musicisti di fama nazionale, diretto dal Maestro Stefano Mastruzzi. Il progetto è totalmente finanziato dal Saint Louis College of Music di Roma, patrocinato dal Comune di Roma, che ha accolto con grande entusiasmo l'iniziativa.
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Il portale lancia un appello a tutti coloro che sono in possesso di materiale utile alla formazione dell'Archivio Nazionale del Jazz. Sul sito è presente una sezione apposita per mettersi in contatto con la direzione e donare i propri “tesori”, in modo che siano fruibili a tutti. Invitiamo
tutti
a
www.archivionazionaledeljazz.com
visitare
il
portale
all'indirizzo
web
e ad ascoltare la musica che ha scritto la storia
del Jazz.
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TITOR FROM FUTURE INTERVISTA
di Sara Di Carlo
Alla scoperta dei TITOR, un esplosivo gruppo rock torinese alla conquista del mondo. Sabino Pace, cantante del gruppo, si racconta in esclusiva per Sul Palco.
I Titor nascono a Torino nel 2007, creando un "mostro" inesauribile di musica
rock
alternativa.
Come
avviene
il
fatale
incontro?
Titor band nasce pochissimi anni fa ed è ora nel pieno delle sue energie produttive, dopo un paio di anni di "rodaggio" legati alla creazione del collettivo umano, alla ricerca del suono desiderato ed alla creazione di un concept comunicativo e creativo convincente. L'incontro fatale dei quattro musicisti che compongono i Titor avviene nell'ambiente musicale e culturale di Torino e dintorni. Ambienti già in fermento attivo sin dagli anni '90, per lo più in contesti di musica alternativa e musica più "estrema" torinese, legati ad artisti quali “Belli Cosi”, “Distruzione”, “Sickhead” e “Dead Elephant”, o in progetti paralleli più recenti, come quelli de “I treni all'alba”.
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La nostra esperienza affonda in ambiti DIY di matrice punk/hardcore, molto importanti per l'Italia e l'Europa di quegli anni. Ad oggi, il nostro più forte desiderio è quello di riprendere ma al contempo rinnovare, in maniera inedita, un certo tipo di sound e di attitudine, consci sia del periodo storico in cui viviamo e sia di abitare in una particolare zona definita “occidentale”. La produzione di un EP nel 2010 ha trainato infine Titor verso “Rock is Back”, il nostro primo album vero e proprio, consacrando così la nostra formazione artistica. Un disco intriso dell'essenza degli AC/DC e dei Black Sabbath, oltre che influenzato dai Fugazi, dai Refused e dagli At The Drive-in. Dunque, questo il cocktail vincente ed esplosivo della vostra musica, con un "piccolo" particolare: i testi sono in italiano. Come mai questa scelta? Non potevamo che cantarlo così. Le ispirazioni che influenzano maggiormente il nostro sound sono quelle che citi, ma aggiungerei inoltre una elevata percentuale di "dna" musicale e culturale derivata dal punk torinese degli anni '80, ome quella dei Nerorgasmo, i Contrazione ed i Bad Boys, per concludere il cocktail con il sound "alternative rock italiano" degli anni '90, come quello dei Disciplinatha, dei Fluxus, dei Massimo Volume e dei Csi.
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Siamo comunque cresciuti con una miscela musicale che comprende l'heavy/hardrock, il garage ed il proto-punk anni '60. ad ogni modo, miriamo maggiormente a raggiungere quella maturità artistica e attitudine musicale tipica dei Fugazi, racchiudendo così i nostri gusti artistici, musicali e creativi. "Rock is Back": il rock è tornato. Ma se ne era andato? E dove? Una provocazione voluta la nostra, a partire dal titolo del nostro disco. L'idea è proprio quella di dichiarare il nostro manifesto di intenti rispetto al forte desiderio di suonare, parlare e pensare al "grande rock". Probabilmente con uno spirito nuovo, sicuramente non di puro "revival" o riproposta in termini di moda o forma, ma con il desiderio di suonare "canzoni" in forma di "canzoni", di vedere sul palco una batteria, un amplificatore per chitarra e uno per il basso, con al centro un cantante, annullandone però qualsiasi spirito retorico o nostalgico, riproponendolo in forma il più possibile (auto)distruttiva. “TITOR dal 2036” sa esattamente dove stiamo andando e pertanto come e dove il "rock" deve essere recuperato dal passato, in una sorta di suggestivo "viaggio del tempo". La musica italiana è morta? O va semplicemente rispolverata? La musica italiana non è mai morta, anzi, sta vivendo un periodo ricco ed interessante.
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C'è molto del passato musicale ed artistico italiano che potrebbe essere interessante da ricercare, documentare ed eventualmente riproporre in una "chiave
attuale",
concentrandosi però sulla sostanza
anzichè
sulla
forma. Sono nove i brani che compongono
"Rock
is
Back", legati tra loro dalla sfrontata realtà
visione di
oggi,
della con
premonizioni futuristiche. In fondo, la realtà non è una irreale avventura del nostro tempo? Completamente d'accordo con questa tua suggestiva affermazione. Il concept di TITOR (the "real" John Titor) e di tanti altri suggerimenti che arrivano da contesti culturali e letterari della fantascienza, così come dalla filosofia e dalle scienze umanistiche che talvolta analizzano la nostra "primitiva" modernità, ci hanno permesso di offrire una lettura della realtà come una delle tante realtà possibili in un multi-universo in divenire. Le "irrealtà" non sono nient'altro che delle possibili ed eventuali alternative e relative alla stessa realtà.
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"L'avventura" è ciò che ne colora pertanto i confini estetici. A breve, in un prossimo blog legato al nostro sito, racconteremo alcune di queste "visioni" di Titor perso nello spazio/tempo. Un disco che si trasforma per essere assaporato in tutta la sua potenza, soprattutto durante i live. Come reagisce il pubblico? Come affrontate il palco? Non è semplice spiegarlo a parole. Coloro che hanno assistito ai nostri live, dal primo concerto ad oggi, hanno sempre sostenuto che sono piuttosto energici, comunicativi e di impatto. Pensiamo sia esattamente così. Allo stesso tempo, però, non siamo soliti spendere molte parole e auto referenziarci eccessivamente. Preferiamo che sia il pubblico a giudicare, dopo averci visto ed ascoltato suonare. Possiamo semplicemente aggiungere che in un nostro live si deve essere anche un pò "pronti a tutto"! All'interno del disco vi è anche una cover in omaggio al grande Ivan Graziani. Il brano in questione è "Motocross". Perchè la scelta è ricaduta su questa canzone? Amiamo molta della musica "rock d'autore" italiana, dagli anni '60 agli anni '80, avvicinandoci poi a quanto sopra accennato. Vi sono molti gioielli,
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alcuni dei quali maggiormente noti ed apprezzati, molti altri, a nostro parere,
mai
adeguatamente
valorizzati.
Ivan Graziani è stato rocker e "chitarrista" molto prima di noi. E' necessario tributarlo. "Motocross" è un meno noto brano del '77, dal testo nichilisticamente romantico. Lo amiamo anche per questa canzone. Cito: "Solamente ricordando domani possiamo avere la memoria di oggi." Cosa si ricorderà dei Titor? Dei Titor si ricorderà assolutamente tutto, ma in maniera confusa, sfocata e distorta. Non sempre in maniera lucida, a fotogrammi, a colori ed in bianconero. Progetti imminenti? Tantissimi concerti in Italia da Aprile 2012 fino all'estate, per poi proseguire con un ulteriore lungo periodo di live in autunno. Inoltre a breve uscirà il videoclip del 1°singolo "DAL 2036". Abbiamo tanta voglia di scrivere musica e scrivere "di altro" sui nostri siti web. Ad ogni modo gli aggiornamenti sono davvero tantissimi, ma potrete seguire tutte le nostre iniziative sul sito www.titor.it e su Facebook.
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AKSELI GALLEN-KALLELA (1865-1931). - UNE PASSION FINLANDAISE MUSEE D’ORSAY DAL 7 FEBBRAIO AL 6 MAGGIO 2012
di Claudia Pandolfi
I CONTADINI E LA VITA RURALE All'inizio della sua carriera, Axel Gallen si specializzata in soggetti dalla vita rurale. Conosce bene quel mondo per aver trascorso la sua infanzia in un paese rurale,
Tyrvää,
nella
Finlandia
occidentale. Nel 1884 a Tyrvää ha dipinto Garçon et corbeau sotto l'influenza del pittore naturalista francese Jules Bastien-Lepage. Nel quadro La vieille femme et le chat, nel 1885, dà ad un contadino il profilo deformato e corroso dalla fatica. Negli anni 1886-1889, in occasione di soggiorni Keuruu in Finlandia centrale, Gallen, modula il suo stile ei suoi soggetti e dipinse gli interni dei www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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suoi quadri con un chiaroscuro che evoca Rembrandt. Raffigura scene tipicamente finlandesi: il rituale della sauna, gli incontri della famiglia in salotto con il pane di segale raffermmo in primo piano. I suoi personaggi sono semplici e dignitosi. Dal 1890, le terre selvagge di Karelia formare i suoi grandi quadri che simboleggiano un senso di fusione dell'uomo con la natura. PARIGI Da autunno 1884 fino alla primavera del 1889, Axel Gallen ha fatto tre viaggi a Parigi intercalati da ritorni in Finlandia. Al suo arrivo, si è trasferito alle Batignolles e ha studiato arte all'Académie Julian, con William Bouguereau e Tony Robert Fleury. Nel 1887, si iscrive allo studio di Fernand Cormon che apprezza la sua pittura storica. Durante queste visite, soffre di nostalgia, anche se è circondato da un'ampia cerchia di amici nordici. Tra questi, il più vicino é August Strindberg. A Parigi, Gallen fa pratica sul nudo d’atelier. Dipinge scene di strada e di caffè, come Boulevard parisien. Realizza scene di interni. In Démasquée, dipinge una prostituta nuda, seduta su un divano che indossa un ryijy, (ndr tappeto) un tipico tessuto folk finlandese. Dipinge anche il suo autoritratto e ritratti di amici, come l’artista norvegese Carl Adam Dornberger. Espone al Salon della Salon de la Société des artistes nel 1886, 1888 e 1889. RITRATTI
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I ritratti di Axel Gallen sono testimonianze pittoriche dell’alta società del Granducato. Antti Ahlström, rappresentato in famiglia nel suo salotto e Serlachius Gustav, che si erge orgogliosamente al centro della fabbrica, sono i capitani d'industria della moderna Finlandia. Ahlstrom è un proprietario che investe in segherie e un mecenate della cultura finlandese. Serlachius è stato lanciato nella pasta di carta. Edvard Neovius, professore di Matematica e senatore, nel ritratto di famiglia che Gallen ha dipinto nel 1886, è seduto al buio, e la figlia Saima, che suona il pianoforte, viene irradiata con la luce. Con gli occhi ansiosi e le sue lunghe mani giunte, Aalberg Ida, famosa attrice di teatro finlandese, ha l'aria di una diva alla personalità tormentata. Infine, il ritratto naturalistico che l'artista fa della sua giovane moglie Maria rappresentata da Gallen con tutti gli orpelli di una grande borghese in piena comunione con la natura primitiva. PAESAGGI Nel giugno 1889, Gallen si reca a Keuruu, nella Finlandia centrale, con il suo amico Louis Sparre, dove realizza svariati paesaggi utilizzando un blu brillante per evidenziare il lago Jamajärvi, e si applica per rendere reale i riflessi scintillanti color bronzo della betulla. Durante l'estate del 1892, Gallen dipinge il territorio mitico della Carelia e crea il quadro Le Grand Pic noir tavola nella quale l'uccello sembra respirare www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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l'anima della natura circostante. In Rapides à Mäntykoski, Gallen unisce rappresentazione realistica della cascata con un elemento astratto: cinque corde che dividono la tavola verticalmente che suggerisce un eco musicale alla cascata. Il sito di Imatra, con le sue rapide spettacolari, è già un'attrazione turistica ma Gallen ne fa un'icona del paesaggio finlandese. L'artista ha anche prodotto numerosi dipinti nella regione di Ruovesi, Finlandia occidentale. Nel 1902, sotto l'influenza del movimento tedesco Phalanx, poi deoenominato Die Brücke, i paesaggi di Gallen acquisire colori brillanti e diventare altamente stilizzati. SIMBOLISMO Negli
anni
1893-1894,
Gallen
ha
realizzato una serie di opere che fanno parte
del
movimento
simbolista
europeo. Queste traggono la loro ispirazione da scene bibliche o grandi storie sulla creazione del mondo. La teosofia e l’occultismo influenzano Gallen che visitò nel 1892, a Parigi, il primo Salon de la Rose-Croix. I simboli che l’autore introduce hanno una dimensione mistica e iniziatica. In Ad Astra, Gallen da la propria visione del tema della Resurrezione, che ha interpretato come un processo di liberazione che segue la sofferenza umana. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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In Symposium, due uomini seduti a un tavolo fissano una strana apparizione al di là del tavolo ma che in realtà si trova al di fuori della pittura. Il personaggio che sta in piedi, in ombra, è l'artista stesso. I suoi due compagni sono Kajanus Robert e Jean Sibelius, compositori finlandesi. La fugace apparizione che si sta attualmente osservando simboleggia il mistero dell'arte, in cui il personaggio, assopito, non ha accesso. IL KALEVALA Il Kalevala è un poema epico composto da Elias Lönnrot nel 1830 che si basa su Una vecchia ode cantata della tradizione orale finlandese, raccolta dai pochi bardi in grado di recitarla. La prima pubblicazione del Kalevala, nel 1835, suscitò grande entusiasmo e il lavoro di Lönnrot diventa un simbolo di identità nazionale. Axel Gallen con la sua maestosità rende visivi la magia e i temi eroici del Kalevala. Gallen utilizza prima uno stile naturalistico della leggenda di Aino e la forgia del Sampo, ma per rappresentare l'eroe Väinämöinen e Lemminkäinen, dotato di poteri soprannaturali, utilizza un nuovo stile dominato da colori esagerati e set stilizzati. Vi è stata una lotta per un oggetto magico che dà il suo possessore il potere e ricchezza: il Sampo. In La Madre di Lemminkäinen, si tratta di far risorgere il figlio trovato fatto a pezzi nel fiume dei morti, Tuonela. Il Mausoleo Juselius
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Nel 1898, Arthur Juselius, che ha appena perso la sua unica figlia all'età di 11 anni, Sigrid , affida a Gallen la decorazione del mausoleo che aveva costruito. L'edificio è stato progettato da Josef Stenbäck in stile neo-gotico. Juselius desidera che l'interno sia arredato con gusto e per questo motivo gran parte della iconografia è affidata Gallen. Nel 1902, questi ha effettuato molti studi preparatori per opere che saranno dipinte a fresco. Distrutto da un incendio, saranno restituite alla vita da Jorma Gallen-Kallela nel 1930. Gallen dedica questi affreschi al ciclo della vita e della morte e tratta questo argomento collegandolo strettamente alle stagioni, in una prospettiva metafisica. In Printemps, una donna in abito nero, simbolo di morte, minaccia la semplice gioia dei bambini. Ritroviamo la morte anche in Costruction: è il latte per un nuovo nato che la donna dà al suo avo. Arti Decorative L'interesse
di
Gallen per
le arti
decorative si risveglia nel 1894-1895, quando costruisce la sua casa-studio Kalela.
Gallen
decide
infatti
di
disegnarla esaltando il comfort. Fa mobili in legno, forme robuste e diritte, cercando invano l’ispirazione nel folklore finlandese. Queste creazioni emanano un'atmosfera rustica che li mette in connessione con i risultati del Consiglio europeo sull’ Art www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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Nouveau. Il buffet creato nel 1897 è decorato con una scultura che simboleggia l'albero della conoscenza. Louis Sparre, un amico che Gallen ha incontrato nel 1887 all'Académie Julian, ha creato nel 1897 Iris , azienda che si occupa di arti decorative, modellata su quello di William Morris a Londra. Quest’ultimo ha chiesto di progettare
la
stanza
Iris
all’interno
del
padiglione
finlandese
dell’Esposizione di Parigi del 1900, dove sono state presentate anche ceramiche di Alfred William Finch, che deve la sua influenza alle conquiste della Art Nouveau belga. arte totale Nel tardo diciannovesimo secolo molti artisti europei come Carl Larsson in Svezia, si stabilirono in zone remote, lontane dalle città costruendo nuove abitazioni a loro immagine che vogliono controllare completamente l'interno e mobili. Questo è l'approccio che segue Gallen in 1894-1895 con la sua casa-studio log pino Kalela costruita, secondo i suoi piani e l'utilizzo di metodi di costruzione tradizionali. Gallen si produce autonomamente i mobili Kalela. Nel 1900, ha progettato la sala Iris del Padiglione finlandese all'Esposizione di Parigi. La sua è un’eleganza semplice e nei mobili spicca del primitivismo. Gallen crea anche una lavorazione tessile, chiamato ryijy in finlandese: ryijy la Fiamma, che evoca sia il mondo delle piante – in particolare felci - e un incendio. La sala Iris segna la nascita dell'arte www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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finlandese ad un pubblico internazionale. La fiamma è diventato un incunabolo ryijy del design finlandese. Africa Dal 1902, Gallo è in stretto contatto con il tedesco avanguardist, che porterà presto all’espressionismo. Egli soffre per la situazione politica in Finlandia: nel 1908, le autorità russe sciolgono il parlamento finlandese, che è stato eletto per la prima volta a suffragio universale nel 1907, lo stesso anno è Gallen prende come nome finlandese Gallen-Kallela. Il dipinto che lo rappresenta mentre scia con il figlio, nell’inverno 1909, coglie questa tensione. L'artista si trasferisce a Parigi, ma una forza irresistibile che spinge ulteriormente, in Africa dove vuole scoprire autentici territori e popolazioni. Nel maggio del 1909, salpa da Marsiglia per l'Africa orientale britannica (ora Kenya) con la moglie e due figli. Essi vi resteranno 16 mesi. Durante questo soggiorno, l'artista ha vissuto nei campi, in safari, partecipa alla caccia e raccoglie materiali etnografici. Ha continuato a una spedizione sul monte Kenya, ed entra in contatto con i popoli della regione. Egli considera questo viaggio una grande opera espressionista.
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LA PLUIE MUSEO BRANLY DAL 6 MARZO AL 13 MAGGIO 2012 di Claudia Pandolfi
Pioggia: si prevede, si chiama, si teme, si brama, si considera il dono più grande.
E
rappresentazioni
'il
tema più
delle
realistiche,
figurativa o astratta, in una traduzione simbolica o metaforica. Viene usata per analogie musicali o, più in generale, del suono. Pioggia, inoltre, è divinizzata. Fenomeno meteorologico, la pioggia è anche parte del sistema complessivo dell'universo e come tale puo’ essere integrata nelle teorie cosmogoniche che si sono sviluppate in diverse società. "Esporre la pioggia" incoraggia quindi una diversità di approcci, simbolica, religiosa, artistica e materiale. Riunendo circa 95 pezzi e materiale grafico, dalle collezioni del Museo di Quai Branly, la mostra esplora questi aspetti attraverso una selezione di opere provenienti da Africa, Asia, Oceania e America, dove cose emotivamente ed estetica accanto a oggetti comuni a forte carica emozionale o strettamente utilitaristici. Il banale e lo spirituale, il laico e il
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religioso sono riuniti e confrontati e in un contrasto che rappresenta una metafora della vita stessa. Estratti di film provenienti da archivi audio e sonori relativi a rituali musicali non sono altro che rappresentazioni analogiche della pioggia. Istantanee, prestate da alcuni collezionisti e presentate in sito con altri oggetti permettono di comprendere meglio questi oggetti e il loro uso PERCORSO DELL’ESPOSIZIONE All’entrata della mostra sono presentati tre oggetti che evocano la polarizzazione della mostra: una "pietra magica" concrezione di magnesio che ha l'aspetto di una nuvola di Nuova Caledonia, una scultura zoomorfa ed una targa con incisa la sagoma del Messico. Questi tre oggetti, connessi con la diffusione dei suoni della pioggia, introducono i visitatori nell’atmosfera multiculturale e "climatica della mostra di questa. SEZIONE 1 - NELLA PIOGGIA La prima sezione della mostra accoglie alcune delle forme create dall'uomo per il riparo e la protezione dalla pioggia. Cappotti e impermeabili e accessori (cappelli, ombrelli, ecc.), che testimoniano la sofisticata capacità di confezionare oggetti legati al soggetto della mostra SEZIONE 2 - IL RITUALE DELLA PIOGGIA
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Questa sezione illustra la necessità vitale della pioggia e l'importanza di promuovere e monitorare il suo arrivo. Anche garantire la sopravvivenza dei gruppi sociali, la fertilità del suolo e della fertilità femminile sono spesso associati nei rituali della pioggia. I rituali sottolineare il legame tra le persone, le loro divinità e il loro ambiente naturale. Questi si basano sulla rappresentazione o evocazione visiva e sonora della pioggia, e il risultato è il mimetismo. Essi intervengono per portare la pioggia, chiamare, o meglio fermarla e controllarla. Essi coinvolgono tipi molto diversi di oggetti:. Maschere, sculture, articoli da regalo, strumenti musicali, ecc, che sono i vettori di questo link, e il supporto dell'azione umana sulla natura. Quattro gruppi principali sono presentati in questa sezione: • Una serie di statuette e bambole rituali • Strumenti musicali che accompagnano nella riproduzione di musica rituale e illustrano l'importanza della musica in caso di pioggia • Seguono tre oggetti che sono testimoni di spettacoli che sono volti a far venire la pioggia e che sono tipici dell’Africa occidentale, come ad esempio delle maschere che rappresentano anche un elemento del teatro di figura. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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• Gli oggetti riportati nel XX secolo in Nuova Caledonia da Maurice Leenhardt, che descrive con precisione i rituali in cui si utilizzano che rappresentano un focus sui rituali di questa regione. Essi sono accompagnati da alcune pietre e conchiglie utilizzate nei rituali di pioggia nel Pacifico, e che costituiscono la serie finale. Infine, questa sezione si conclude con la proiezione di spezzoni di film documentari di Jean Rouch sui rituali legati alla pioggia. SEZIONE 3 - SIMBOLI E METAFORE DELLA PIOGGIA La pioggia è qualcosa che si inserisce in un intero sistema di pensiero cosmogonico
oggetto
rappresentazioni
materiali
di che
assicurano la traduzione. Pioggia, e la sua rappresentazione simbolica, caratterizzata
dall'arcobaleno,
forniscono il legame tra cio’ che esiste tra il mondo e sopra il mondo. Questa sezione si propone di scoprire le rappresentazioni di animali legati alla pioggia con la loro presenza reale o dal loro valore simbolico. Questi sono soprattutto anfibi - rane, rospi - e rettili - serpenti, draghi, tartarughe, coccodrilli - che sono collegati all’umidità e alla stagione delle piogge, e che vengono raffigurati in oggetti e tessuti. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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Questa sezione da inoltre particolare importanza ai minerali che in apparenza evocano pioggia o maltempo ad essi sono associati. Ad esempio i quarzi traslucidi detto "genio dell'Arcobaleno" quarzi e concrezioni di ossidiana di magnesio dalla Nuova Caledonia ... Alcuni di questi minerali sono stati interpreti dagli uomini come cadenti dal cielo, esattamente come la pioggia, come testimoniano i nomi . La sub-sezione finale si concentra sull’evocazione delle divinità, miti e visioni del mondo legati alla pioggia. Una
selezione
di
oggetti
rappresentano le divinità e gli esseri mitologici che affrontano i concetti dell'universo
in
diversi
contesti
culturali. Pioggia, fenomeno benefico, può anche essere il male, necessario per conciliare i soggetti di cui sopra. Alcune culture hanno divinità chiaramente identificate legate alla pioggia, mentre in altri, i rituali hanno lo scopo di mantenere l'equilibrio tra le forze contrastanti della natura, garantendo la sopravvivenza degli uomini. Questi rituali s’iscrivono in una concezione globale dell'universo. Una serie di pitture su corteccia del Land di arhem, Australia, riflette la ricchezza dei miti aborigeni legati agli agenti atmosferici. www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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ZZ TOP ALL’OLIMPIA OLYMPIA 22 LUGLIO 2012
di Claudia Pandolfi
La famosa blues-rock band con le barbe lunghe e occhiali scuri, i due brillanti musicisti che erano accanto a Jim Morrison e il grande cantautore canadese, saranno in concerto a Parigi
Ray Manzarek, Robby Krieger, "gli altri" Doors non hanno mai smesso di suonare la loro musica. Invece di guadagnarsi da vivere in diritti vendendo le canzoni dei Doors per un po’ di pubblicità, hanno continuato a divertirsi e a lavorare esattamente come in gioventù. Per il loro concerto al Bataclan hanno in programma di riproporre gli album "Light My Fire", "Riders on the Storm", "LA Woman" e "Waiting for the sun". Sul palco ci sarà anche il grande Phil Chen (Rod Stewart, Bob Marley) al basso, vocalist sarà Dave Brock e alla batteria Ty Dennis.
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Per quanto riguarda ZZ Top, vale a dire, Billy Gibbons (voce e chitarra), Dusty Hill (voce, basso) e Frank Beard (batteria), un gruppo che in realtà è immutabile e imperituro, come le barbe e gli occhiali dei tre musicisti . Il loro hard-rock-blues è più musicalmente sofisticato, ma questi concerti in stile bandistico, sono tra i migliori del mondo conosciuto, ed esprimono molta energia e divertimento. Negli ultimi anni Leonard Cohen ha suonato spesso a Parigi ed ogni volta è sempre un grande successo. Questa volta verranno effettuate tre serate consecutive per cercare di soddisfare tutti i fan Parigini. Leonard Cohen è un poeta, un cantante e un musicista straordinario. Tra le più note canzoni di Cohen: "Io sono il tuo uomo", "Suzanne", "The Stranger Song", "Sisters of Mercy Lady", "Inverno". Gli ultimi tre sono nel film di McCabe & Mrs.. Miller di Robert Altman. I primi due concerti si terranno nel mese di luglio, mentre quello di Leonard Cohen è previsto per fine settembre.
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THÉÂTRES ROMANTIQUES À PARIS MUSEE DE LA VIE ROMANTIQUE DAL 13 MARZO AL 15 LUGLIO 2012
di Claudia Pandolfi
Il Museo della vita romantica presenta dal 13 marzo al 15 luglio 2012, una mostra dedicata al trionfo dei teatri della capitale durante la prima metà del XIX secolo. Fremente di tutto il suo successo, Paris è diventata rapidamente una dei primi palcoscenici
in
Europa
grazie
a
scrittori, compositori, attori, ballerini e cantanti che aveva deciso di brillare. Questi
creatori,
tanto
colmi
di
inventiva quanto capricciosi, hanno incarnato una modernità tutta "romantica". Hanno trovato il loro primo successo a Parigi prima di andare in tour e ottenere una fama gloriosa e infine sono riusciti a conquistare l'Europa.
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Questa emulazione hanno alimentato le passioni, sono state applaudite con entusiasmo in tragedie neo-gotiche, come quelle cantate da Hugo by Gautier, come i drammi ispirati da Shakespeare o Byron, come l’opera seria e il bel canto italiano. Ritratti, paesaggi, la scuola, i ricordi del Musée Carnavalet . Più di cento opere evocano i generi, all’epoca cosi’ innovativa (melodramma, tragedia, Grand Opera, balletto narrativo) o variazioni del campo di gioco e il costume, scenografia e messa in scena. Nella poetica e seducente "enclos Chaptal che è l’attuale Museo della vita romantica, il pittore Ary Scheffer amava riunire, dal 1830-1860, le celebrità della scena parigina e i loro familiari della Nouvelle Athène. Scrittori e drammaturghi (George Sand, Turgenev, Dickens), dive (Miss March, Malibran e sua sorella Pauline Viardot), musicisti (Chopin, Rossini, Gounod e) si ritrovavano il Venerdì presso l'atelier-salotto, ed era quasi due secoli fa .... Arrivato a Parigi nel 1811, il pittore Ary Scheffer (1795-1858), artista di origine olandese, si stabilì nel luglio del 1830 in un palazzo patrizio nel nuovo
quartiere
della
Nouvelle
Athène al n ° 7 di Rue Chaptal ( No. Current 16). www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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Una febbre edilizia aveva colpito Parigi a seguito di un’esplosione demografica. Ai piedi di Montmartre, frutteti e orti non hanno resistito per molto tempo agli appetiti edilizi degli speculatori. Nel 1820 la lottizzazione ha ceduto il passo ad architetti di fama mondiale, alimentata da una antica tradizione, erigendo belle case neoclassiche, case popolari e studi di artisti. Stringendo questi quartieri in una "nuova repubblica delle arti e delle lettere," Ary Scheffer, un insegnante d'arte per i bambini del duca d'Orléans dal 1822, un degno rappresentante della scuola romantica, afferma il suo successo. La sua casa conosce negli anni trenta un’intensa attività artistica, politica e letteraria. Costruito dall’imprenditore Wormser, questa casa intonacata di bianco generoso, tipico del periodo della Restaurazione, è su due piani residenziali posti sotto un tetto all’italiana. Nei giardini corrono pergolati di glicine e di fronte alla casa, Ary Scheffer rapidamente costruisce, su entrambi i lati del cortile, due atelier circondati da vetrate orientati a nord. Uno ad uso di salone, l’altro ad atelier di lavoro. Nell’atelier-studio, Scheffer, ritrattista famoso sotto la monarchia di Luglio, riceve la più importante Parigi artistica e intellettuale. Delacroix si avvicina all’atelier, come George Sand, che suona volentieri il pianoforte Pleyel
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con Chopin. Vi si ritrovano Liszt e Marie d'Agoult, Rossini, Turgenev, Dickens. L’atelier di lavoro, che permette di lavorare dinanzi a un delizioso groviglio di lillà e di rose, è stato utilizzato da Ary Scheffer e da suo fratello Henry, anch'egli pittore. Altri artisti che partecipano all’atelier di lavoro, come Theodore Rousseau, che ha terminato a rue Chaptal,
,
La Descente des vaches (L'origine delle
vacche). Questo quadro che è stato respinto dal Salon del 1835 è stato esposto da Ary Scheffer nello stesso periodo, come i dipinti dai suoi amici Paul Huet e Jules Dupré, creando una sorta di Salon des Refusés. Scheffer anche ospitato nel proprio atelier una parte delle collezioni della famiglia del re Luigi Filippo di Francia, quando questi dovette partire per l'esilio nel 1848. Questo atelier di lavoro, recentemente rinnovato dal designer d'interni Jacques Garcia, dopo un dipinto di Johannes Arie Lamme, Lo studio del Grande Rue Chaptal nel 1851, oggi ospita due mostre temporanee l'anno. Impreziosito da una serra e da un giardino, questa struttura Ary Scheffer affittato per quasi trenta anni, è stato acquistato nel 1858 alla sua morte dalla figlia unica Cornelia Scheffer-Marjolin. Questa ha conservato parte dell’atelier dove suo padre lavorava, ha accresciuto la consapevolezza del suo lavoro e ha perpetuato la tradizione www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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filantropica di famiglia. Ha organizzato un anno dopo, una retrospettiva del padre, 26 Boulevard des Italiens a Parigi. Con il marito, il dottor Rene Marjolin, ha ricevuto a rue Chaptal personalità come Henri Martin, Ivan Turgenev e Charles Gounod. Atelier di lavoro ha convertito la sua iniziativa in ospedale di emergenza durante la Comune in 1870-1871, in seguito servita come sala d’esposizione delle principali tele di Scheffer showroom dipinti. Nel 1899, Cornelia Scheffer-Marjolin muore lascoanò i quadri di suo padre a Dordrecht in Olanda, città natale dell'artista. La proprietà di rue Chaptal è tornata a Naomi Kenan-Psichari (pronipote del Scheffer), che vi installa un ampio salone e una biblioteca dedicata alle opere di suo padre Ernest Renan nel primo atelier di lavoro, mentre affitta il secondo atelier agli artisti . E 'in questo atelier-lounge che Naomi Kenan-Psichari, e poi sua figlia Corrie Psichari-Siohan, continuato nel XX secolo ad accogliere il mondo delle arti e delle lettere. Anatole France o Puvis de Chavannes nella Belle Epoque, Maurice Denis negli anni Venti, o, più recentemente, André Malraux ha avuto lo stesso percorso ombreggiato che Chopin, Delacroix o Pauline Viardot partendo dallo studio in Rue Chaptal.
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Nel 1956 la casa viene venduta allo Stato per un importo nominale per far si che questa diventi un'istituzione culturale. Dopo aver ospitato un centro universitario per l'insegnamento e la ricerca dedicato allo studio dei suoni e dei colori sotto la direzione del loro cugino Oliver Revault ds'Alonnes, i coniugi Siohan prendono provvedimenti nel 1980 al fine di creare nella ex casa del pittore "un'istituzione culturale a dominanza museografica." Lo Stato allora assegna la gestione del palazzo alla cittĂ di Parigi nel 1982 per un periodo di 18 anni. Inaugurato nel 1982, l'allegato al Museo Carnavalet prese il nome di "Museo Renan-Scheffer." Poco tempo dopo viene lanciata una nuova mostra, valorizzando in edifici ristrutturati da Jacques Garcia, molti ricordi di George Sand. Il museo nel 1987 prende il nome di "Museo della vita romantica
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LA CACCIATRICE DI OSSA di Kathy Reichs
di Roberta Pandolfi
Titolo: la cacciatrice di ossa Autore: Kathy Reichs Editore: Rizzoli Anno: 2011 Pagine 360
Trama: Gambe flesse, cosce strette al petto, capo chino. Un braccio piegato all’indietro, l’altro teso verso l’alto con le dita irrigidite alla ricerca di un’impossibile via di fuga. Il cadavere ritrovato nella discarica di Morehead Road dentro un fusto riempito di cemento non ha ancora un nome. Ma ha già un codice: MCME 227-11. Il codice del nuovo caso affidato a Temperance Brennan, l’antropologa forense più brillante degli Stati Uniti. Tempe inizia subito a indagare, nonostante l’FBI sembri decisa a metterle i bastoni fra le ruote. A suggerire quella che potrebbe essere la pista giusta è un meccanico di www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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scuderia per i bolidi delle gare NASCAR, Wayne Gamble. Wayne lavora all’autodromo non lontano da Morehead Road ed è convinto che quel macabro ritrovamento abbia qualcosa a che fare con la scomparsa di sua sorella. Dodici anni prima, la giovane Cindi era sparita senza lasciare traccia insieme all’aspirante pilota Cale Lovette. La loro era parsa solo una fuga d’amore, eppure, stranamente, anche in quell’occasione era intervenuta l’FBI. Dopo settimane di ricerche la polizia locale non aveva ottenuto alcun risultato, e nemmeno le indagini dei federali sugli amici di Cale, vicini agli ambienti neonazisti dei Patriot Posse, avevano portato alla luce indizi concreti. Perché adesso, a tanti anni di distanza, il Federal Bureau non vuole che Temperance si interessi a questo vecchio caso rimasto irrisolto? Cocciuta, acuta e ironica come sempre, Tempe torna a cimentarsi con la morte e con le storie sempre diverse che il corpo di ogni vittima racconta. Ma questa volta la verità ha i toni ingannevoli e ambigui del grigio: grigio come il cielo sopra il Charlotte Motor Speedway e come l’asfalto della sua pista ad alta velocità. Grigio come il cemento che avvolge il cadavere di MCME 227-11.
In questo libro le ossa sono il fulcro della storia, d’altro canto la protagonista è una nota e stimata antropologa forense. Tutto inizia con il ritrovamento in una discarica di un cadavere in un fusto riempito di asfalto, potrebbe essere un omicidio per vendetta o per mafia o per qualunque altro motivo, ma in realtà è soltanto la punta di un iceberg
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che si scoprirà pagina dopo pagina, omicidio dopo omicidio, intrigo dopo intrigo. In questo libro la protagonista lascia trasparire anche un suo lato umano inaspettato, quando dialoga con il suo gatto o quando l’ex marito le chiede aiuto per gestire i preparativi del suo imminente matrimonio con Summer, oppure quando si deve interfacciare con in ex agente piuttosto intraprendente, affascinante e pericoloso. La storia scorre fluida, le vicende inizialmente slegate man mano che la lettura avanza, si intrecciano sempre di più dando vita ad una storia molto intricata e verosimile; e quel che ne esce è un quadro per nulla edificante del mondo delle corse NASCAR e di tutti coloro che ne fanno parte, un mondo fatto di gelosie ripicche e pregiudizi, ma anche di gloria e denaro per chi riesce a primeggiare. Altra storia che si interseca con la trama principale è quella dei Patriot Posse,
una
milizia
razzista,
omofoba
e
misogina
di
cui
fanno
orgogliosamente parte alcuni personaggi loschi del libro, che racconta un’altra brutta sfaccettatura di questa vicenda ambientata in una qualunque periferia americana. Romanzo forse un po’ troppo riflessivo e a volte ripetitivo, forse anche un po’ prolisso ma interessante; ambientazione insolita ma personaggi credibili, scrittura come sempre scorrevole e veloce.
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ANGOLI DI ROMA - GALLERIA SCIARRA di Anna Maria Anselmi
La Galleria Sciarra è certamente uno degli angoli di Roma meno conosciuti dai turisti e dai romani stessi. Questa Galleria è situata in uno dei crocevia più transitati della città e precisamente in via del Corso all’altezza del Teatro Quirino tra via Minghetti e la piazzetta dell’Oratorio. Questo grande ambiente è un cortile coperto e serve soprattutto da passaggio pedonale. La Galleria conserva a tutt’oggi il nome dei suoi antichi proprietari, i nobili Sciarra imparentati con i principi Colonna. Forse proprio per l’uso a cui è adibita questa Galleria è poco apprezzata dai passanti, anche se come vedremo è ricca di decorazioni pittoriche di notevole valore artistico.
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Il Palazzo Sciarra dove sorge l’omonima galleria, fu fatto costruire dal grande imprenditore Maffeo Sciarra che ne fece nel 1883 la sede del quotidiano “La Tribuna” e successivamente nel 1885 della rivista letteraria “Cronaca Bizantina”. In questo ambiente convergevano le menti letterarie più brillanti dell’epoca quali Giosuè Carducci e Gabriele d’Annunzio. La Galleria fu realizzata nel 1885 dall’architetto Giulio De Angelis e poi tra il 1886 e il 1888 fu decorata dal pittore Giuseppe Cellini. Le pitture in stile liberty-Belle Epoque sono dedicate alla donna e alle sue varie personificazioni secondo il gusto dell’epoca. Inoltre ci sono varie ambientazioni in cui la donna è al centro di attività artistiche e di intrattenimento mondano. Non manca poi un omaggio alla madre di Maffeo Sciarra, Carolina Colonna, con lo stemma di famiglia. La Galleria Sciarra anche se poco nota merita sicuramente un po’ della nostra attenzione e se le dedicheremo più di un’occhiata frettolosa il nostro amore per il bello ne sarà ampiamente www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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ricompensato.
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ARTURO GHERGO FOTOGRAFIE, 1930-1959
di Sara Di Carlo
Palazzo delle Esposizioni, 2 Aprile 2012, Roma
La mostra fotografica dedicata ad Arturo Ghergo presso il Palazzo delle Esposizioni lascia davvero estasiati per la sua freschezza e modernità. Gli oltre 250 scatti che compongono l'esposizione risalgono al periodo compreso tra il 1930 ed il 1959, per una carrellata di fotografie che immortalano l'aristocrazia ed i divi d'Italia dell'epoca, catturandone la loro bellezza ed eleganza. I protagonisti degli scatti di Arturo Ghergo sono i divi del cinema, nobili di antichi casati e personaggi di spicco dell'alta borghesia.Donne e uomini
innamorati
dell'occhio
fotografico
di
Ghergo e del suo stile in chiave glamour, tanto in voga sulle riviste patinate d'oltreoceano come Vogue e Harper’s Bazaar. In Italia Ghergo è stato un vero e proprio pioniere www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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in tal senso, mostrando inoltre uno spiccato senso pubblicitario nelle sue composizioni fotografiche, rivoluzionando la fotografia di moda in Italia. Ghergo ha aperto il suo studio fotografico in Via Condotti, una delle strade più chic di Roma ancor oggi, ove sono passati i volti più belli del cinema e dell'aristocrazia. Tra le alte sfere dell'aristocrazia, si possono ammirare i ritratti di Marella Caracciolo, Consuelo Crespi, Mary Colonna, Josè del Drago, che si prestano ad indossare come testimonial le creazioni esclusive delle nascenti case di moda italiane, quali Fontana, Gabriella Sport, Galitzine, Simonetta, Carosa e Gattinoni. Persino i matrimoni dell'alta aristocrazia diventano magnifici set fotografici, ove la presenza di Ghergo è sempre più richiesta,
trasformando
un
evento
memorabile e personale in un'opera d'arte. Lo
stile
di
Ghergo
è
davvero
inconfondibile. Perfezionista e cultore del buon gusto e dell'eleganza, Ghergo osa e sperimenta nelle sue composizioni fotografiche, provvedendo anche a dei ritocchi direttamente sui negativi delle fotografie, tramite dei pennelli. Un www.sulpalco.it – redazione@sulpalco.it
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azzardo certo, in un'epoca priva di quell'avanzata tecnologia che oggi guida alcuni fotografi con il foto-ritocco computerizzato. Un ritocco che al contempo crea un vero e proprio “marchio di fabbrica”, dal quale nasce lo Studio Ghergo. Ad ogni modo, le fotografie di Arturo Ghergo conservano i ricercati giochi di luce, i tagli diagonali per degli insoliti ritratti e le metamorfosi fotografiche, avvolgendo le “principesse” in abiti da sogno, sontuosi, quasi unici. Tra i volti noti, non mancano i ritratti di Isa Miranda, Alida Valli, Mariella Lotti, Francesca Ferrara Pignatelli di Strongoli, Massimo Girotti, il duca Marco Visconti, i fratelli Bulgari, Leonor Fini, Alcide De Gasperi, Gabriella di Robilant, Domitilla Ruspoli, Giulio Andreotti, Sophia Loren, Silvana Pampanini, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano e Vittorio Gassman. Gli scatti di Sophia Loren e Silvana Pampanini si distinguono dagli altri per i colori; per la maggior parte in mostra sono presenti fotografie in bianco e nero.
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Colpiscono in particolar modo gli scatti a una giovanissima e bellissima Alida Valli, in pose che sembrano essere riprese dalle riviste femminili di oggi. Sorprendente il ritratto di un giovanissimo e rampante politico, un quasi irriconoscibile Giulio Andreotti, affiancato dalle figure di spicco del Governo Italiano dell'epoca. All'interno della mostra vi è spazio inoltre per 8 tele, risalenti agli anni '50, ove Ghergo sperimenta con il pennello ed i colori, ispirato dalle
correnti
artistiche
del
cubismo
picassiano, mescolando il futurismo e tracce derivate dalla cinematografia. Spazio
inoltre
alle
prime
fotografie
pubblicitarie, ideate per mettere in risalto prodotti e aziende. Spesso è proprio sua figlia Irene ad essere la testimonial di queste prime sperimentazioni. Un successo che allarga le competenze del Ghergo e del suo studio, coinvolgendo anche la moglie Alice e successivamente una delle figlie nell'arte fotografica. Arturo Ghergo è un artista dell'immagine che ha saputo catturare la bellezza di un'epoca, fotografando i cambiamenti di un paese e dei suoi principali protagonisti.
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Ammirando le fotografie del Ghergo non si può fare a meno di sognare ad occhi aperti. La mostra è visitabile fino all'8 Luglio 2012.
Fotografie: 1 – Massimo Girotti, Attore, 1942-1948 2 – Alida Valli, 1946-1947 3 – Contessa Consuelo Crespi, 1951-1952 circa, Abito Galitzine 4 – Mariella Lotti, Attrice, 1943-1943 5 – Rossana Martini, prima Miss Italia, 1948-1954
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LA TRIADE CAPITOLINA di Anna Maria Anselmi
Alla fine di lunghi e accurati restauri nel Complesso del San Michele di Montecelio
è
stata
allestita
la
straordinaria Mostra di Archeologia e la Triade Capitolina è sicuramente il pezzo più prezioso che si possa ammirare. Questa grandiosa opera marmorea è stata ritrovata nel 1994 nel Parco Archeologico dell’Inviolata durante gli scavi unitamente a molti altri reperti che sono esposti nella stessa mostra. La Triade Capitolina rappresenta Giove al centro del gruppo con lo scettro nella mano sinistra e i fulmini nella destra, Giunone velata e con il diadema e Minerva con l’elmo corinzio. Le tre divinità sono sedute su un trono unico e sono circondate da tre Vittorie Alate che le incoronano, Giove con una corona di quercia, Giunone con petali di rose e Minerva con alloro, completa l’opera la presenza degli animali sacri ai tre dei: l’aquila la civetta e il pavone. Si ritiene che la scultura sia di epoca antoniniana.
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Il culto della Triade era molto diffuso durante il periodo di maggior grandezza di Roma e per questo furono costruiti molti templi ad essa dedicati. La storia narra che durante l’invasione dei Galli nel 390 a.C. il Tempio dedicato alla Triade edificato sul Campidoglio fu risparmiato dalla furia dei barbari per il rispetto che questi stessi avevano dei tre dei che vegliavano sulla città. La Mostra resterà aperta al pubblico dal 27 aprile 2012 al 5 novembre 2012 in località Complesso Monumentale San Michele di Montecelio – Guidonia Montecelio provincia di Roma
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LA VIGNETTA di Isabella Ferrante
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