numero
DUE
p. 8
p. 12
Sommario Sushi Planet pp. 30-33
Monica Bellucci Mamma che bella! pp. 8-9
Dossier La pillola della discordia CAPOREDATTORE Corrado Minervini pp. 34-35
Claudia Gerini Diario di Celluloide pp. 10-12
Sandwich Club Antichi Sapori p. 36
REDAZIONE Simona Ardito Adele Meccariello
La Fame di Camilla Amorealprimomorso pp. 14-15
Sushi Tech Wii p. 37
ART DIRECTION Microbati Artisti Associati
Baustelle Il falò delle vanità pp. 16-17
Lillo & Greg Supereroi senza regole pp. 39-40
PROGETTO GRAFICO Raffaele Depergola
Eleonora Abbagnato Sushi Figurine Jean Francois Gillet Ballandosiimpara p.41 pp. 18-20
p. 18
p. 41
DIRETTORE RESPONSABILE Nicola Morisco
Sushi Editoriale p. 7
Dino Abbrescia Piccolo grande attore pp. 22-23
Ammodotuo pp.42-43
Rocco Papaleo Basilicata Blues pp. 26-27
Ipse dixit Britney Spears p. 44
Enrico Silvestrin Io sto con Bud Spencer pp. 28-29
Sushi. È così che mia moglie mi chiamava. Pesce freddo. (Deckard, "Blade Runner")
SUSHI Supplemento mensile della testata Controradio News. Sede legale: Via Gaetano Latilla 13, Bari. Registrazione Tribunale di Bari n. 1209 del 21/02/1995. Chiuso in redazione il 23 Aprile 2010 Stampa: Poligrafica s.r.l. -Bari
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo periodico può essere riprodotta. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge. I manoscritti inviati e non pubblicati non saranno restituiti. Il materiale fotografico non altrimenti accreditato è stato pubblicato per gentile concessione degli uffici stampa degli artisti e dei personaggi intervistati.
(C) 2010 COPYRIGHT MEDIAEURO SRL.
CONTRIBUTORS Carlo Chicco Roberta Genghi Marco Greco Ilaria Lopez Ornella Mirelli Micol Tortora Giancarlo Visitilli Silvia Viterbo Giuseppe Vitucci PHOTOS SimonaArdito(pp.42-43) Gaia Giannini (p. 15) Gianni Fiorito (pp. 28-29) Andrea Montani (p. 22) SEGRETERIA DI PRODUZIONE Loredana Laera Gianluca Silvestri CONTATTI redazione@controweb.it Tel: 0805227296
“C’è da fare”. Questa è la frase che ha risuonato più spesso, in redazione, nelle ultime settimane. I giorni di aprile sono stati, a voler usare un eufemismo, frenetici, ringraziando anche il calendario che ci ha rubato anche i “ponti”, solitamente attesi come una mano santa sul più diffuso male di stagione: lo stress primaverile. Abbiamo “chiuso” un nuovo numero di questo magazine, mettendoci dentro le interviste ai personaggi del momento, raccontandovi di luoghi a un paio d’ore di macchina o di aereo (frane irpine e nubi islandesi permettendo), abbiamo trovato storie da raccontare, rinunciando alle pause-pranzo e spacciando la necessità imposta dalla deadline per una scelta dettata dall’imminenza della prova-costume. Nel frattempo abbiamo seguito e raccontato un Festival memorabile che ha coinvolto il meglio del rock e del pop italiano in sette concerti, abbiamo partecipato a eventi straordinari come le lezioni universitarie di Afterhours, Cristicchi e Consoli. Nello stesso “frattempo”, abbiamo seguito i progressi dei talenti della nostra terra sul grande e sul piccolo schermo, sui palchi dei teatri, sui campi da gioco. E, beh, anche per loro, la frase ricorrente degli ultimi tempi è sempre la stessa: “c’è da fare”.
Ma non possiamo che compiacerci della scarsità del tempo, altrimenti destinato alle riflessioni sul senso della vita. Preferiamo aver da fare, piuttosto che niente o, peggio, che aver da disfare valigie e progetti, come fossero mobili componibili a poco prezzo assemblati male. Forse è questa, la fonte di energia che ci permette di spostare ogni volta di un centimetro più in alto l’asticella del “posso farcela”, sfidando i nostri limiti, inventandoci motivazioni che attingono più al vaso della follia che a quello del calcolo razionale. In Puglia abbiamo imparato, negli ultimi anni, a inventarci anche un mestiere. A creare opportunità con l’arte di arrangiarci, ma sempre con stile. Abbiamo cominciato a viaggiare per il gusto di farlo e non per la necessità di sopravvivere. Lo sappiamo tutti: “c’è da fare”. E tanto, per giunta! Ma la cosa non ci spaventa. Forse per questo, abbiamo accolto volentieri l’invito degli Afterhours, protagonisti di una memorabile “lectio brevis” nel Palazzo dell’Ateneo dell’Università Aldo Moro di Bari. Vogliamo far qualcosa che serva. Perchè è un diritto, prima ancora che un dovere. Corrado Minervini
Puoi partire da un paesino dell’Umbria e diventare una delle donne più ammirate del mondo, mascherando l’accento umbro con quello francese. Puoi sfilare per le case di moda più importanti del mondo e diventare la musa di Dolce&Gabbana senza essere una modella anoressica. Puoi essere la protagonista di film a dir poco discutibili, come La Riffa di Francesco Laudadio (girato peraltro proprio qui a Bari), e rinnegarli quando arrivi ad essere l’unica attrice italiana a far parte di una mega produzione come Matrix; e puoi fregartene se ti doppiano anche quando reciti in italiano perché, nonostante le lezioni di dizione e gli anni di vita all’estero, l’accento umbro si sente ancora. Puoi avere quarantacinque anni e non dimostrarli affatto, ed essere credibile in una scena di sesso con un ragazzo di quindici anni più giovane di te; puoi, anzi, essere credibile interpretando una delle più bollenti e violente scene di sesso della storia del cinema, in un film a dir poco controverso come Irréversible, per poi diventare due anni dopo Maria Maddalena nella Passione di Mel Gibson. Puoi essere acclamata, amata, invidiata in tutto il mondo, puoi sposare uno degli uomini più affascinanti di Francia, puoi avere tutto, il successo, la fama, i soldi. Ma la soddisfazione più grande, la sfida più difficile resterà sempre una: avere una figlia, contro l’opinione di quei medici che pensano che puoi ancora spogliarti davanti agli obiettivi ma sei troppo vecchia per portare avanti una gravidanza. A maggio Monica Bellucci diventerà mamma per la seconda volta. Per la seconda volta, ha posato nuda con il pancione per la copertina di «Vanity Fair», dimostrando a tutti che una donna a quarantacinque anni non è vecchia né per gli obiettivi né per le gravidanze. Auguri a lei, e a tutte le mamme. 9
Ogni ragazza conserva, da qualche parte, un diario in cui raccoglie ritagli con testi di canzoni, locandine di film americani, foto di idoli giovanili destinati a rimanere eternamente belli e bidimensionali. Tra quelle pagine ciascuna ripone sogni irrealizzati, frammenti di poesia, schegge di vita vissuta. Claudia Gerini ha strappato alcune pagine del suo diario per farne un disco speciale, tenuto insieme dai fotogrammi dei suoi film preferiti: Like Never Before è un album d’esordio assai particolare ed è, sicuramente, qualcosa di più che un semplice disco di cover di canzoni da film. Come è nata l’idea di un disco di colonne sonore? Quella per la musica è una passione che coltivo da sempre. La definirei un hobby di lusso. Ho sempre frequentato il mondo della musica, anche attraverso il cinema. Basti pensare al mio ruolo in Sono pazzo di Iris Blond. Anche nei miei interventi tv ho sempre cantato. Poi ho anche studiato e quindi, alla fine, è maturata l’idea di un disco tutto mio, proprio nel mio humus naturale che è il cinema. Cosa è stato prioritario nella scelta dei brani da inserire nel disco: il film o le canzoni? Le canzoni, sicuramente. Sono state loro a guidarmi. Anzi, a guidarci. Assieme al mio compagno Federico Zampaglione, che ha prodotto il disco, abbiamo realizzato un disco molto analogico, c’è poco digitale e molto vintage, con tastiere Moog e atmosfere
anni ’70. In realtà i brani che hai scelto fanno riferimento al decennio successivo. Come mai? Volevo trovare una continuità tra quello che è il mio mestiere da quando avevo quattordici anni e il mio amore per la musica. Volevo raccontare dei momenti della mia vita, scanditi da alcuni film della mia formazione. Film come Flashdance, Dirty Dancing o Paradise. Per questa ragione li abbiamo rielaborati in una versione più intima e acustica. Ma non ci sono solo gli anni ’80. Ho cantato anche pezzi estratti da film più recenti: c’è un brano da Pulp Fiction, uno da Magnolia… Scorrendo i brani in scaletta, viene facile immaginarti seduta in poltrona al cinema, con gli occhi spalancati, incantata di fronte allo schermo. In quale eroina cinematografica ti identifichi? Nella protagonista di Flashdance, non ho dubbi. Ero una ragazzina che faceva danza moderna, amavo lo spettacolo. E lei era una Cenerentola che da operaia con lo scarpone sporco di fango riusciva a passare una selezione per uno show. Incarnava il mio sogno di farmi notare e di riuscire ad emergere. E non a caso, il nuovo singolo Maniac è uno dei miei pezzi preferiti. In uno spot recente hai indossato i panni della spettatrice di un cinema. Quando ti rivedremo sul grande schermo? Ho avuto una pausa “neonata” (poco distante si sente piangere la secondogeni11
ta della coppia, Linda, ndr) ma adesso ricomincio con un film che verrà girato ad agosto. Sarà un film completamente diverso rispetto a tutto quello che ho fatto finora. Si chiama Metamorfosi delle scimmie, di un’autrice molto brava che si chiama Marina Spada. Sei partita dal cinema per arrivare alla musica. Il tuo compagno Federico Zampaglione ha seguito il percorso inverso: ha cominciato con la musica e adesso fa il regista. Quanto vi influenzate reciprocamente e quanto pesa il giudizio dell’altro sul vostro lavoro? Sembra fatto a tavolino ma siamo arrivati per caso a “scambiarci i ruoli”. Lui ha sempre avuto una grandissima passione per raccontare storie con le immagini e ora è passato alla regia. Io invece ho realizzato una passione che veniva da lontano… Ma entrambi
continueremo ad essere soprattutto quello che siamo sempre stati: io attrice, lui musicista. Tutti e due abbiamo un’idea di musica e di cinema molto particolare. Il suo cinema è molto noir. Dopo il debutto con Nero bifamiliare ha scelto l’horror che non è esattamente il mio genere. Lui fa il suo cinema e io la mia musica. Ma c’è una specie di osmosi, in casa: ognuno porta la sua esperienza da fuori e ce le mescoliamo. Poi io amo la musica che compone Federico: sono una sua fan e ci siamo influenzati a vicenda. Avete mescolato le vostre collezioni di cd e dvd? In casa è tutto un allegro mischione; è impossibile tenere in ordine gli scaffali di cd e dvd. Quindi abbiamo fatto insieme un arcobaleno di dischi e di film…
Nascono nel capoluogo pugliese nel 2007, sui palchi dei piccoli festival locali. Ma l’appetito vien mangiando. E la Fame è cresciuta, di palco in palco, di canzone in canzone. Fino ad arrivare nella vetrina più prestigiosa della musica italiana, quella del Festival di Sanremo. Abbiamo ascoltato uno degli affamati, il frontman Ermal Meta, che ci ha offerto un assaggio del nuovo disco Buio e luce. Dalle esibizioni nei pub tra Bari e provincia fino alle grandi platee televisive. La Storia di una favola è diventata realtà? Si lavora perché lo diventi. Bisogna crederci. 14
Partecipando ai vostri live si scopre che una grossa percentuale del vostro pubblico è composta da ragazze, in alcuni casi giovanissime. Vi siete mai posti il problema di essere etichettati come boy band per teenagers?
Boy band? Direi proprio di no! Non siamo belli, non sappiamo ballare e sappiamo suonare. Siamo decisamente fuori dalla categoria! E poi ci sono i vostri profili Facebook e Myspace, dove centinaia di fan accaniti postano quotidianamente i loro commenti. Quanto è utile, la rete, per una band che fa musica in quest’epoca? Il web è molto importante e ti permette di arrivare ovunque in breve tempo ed entrare in contatto con numerose realtà musicali. Ha anche i suoi rischi però. Ci si perde a volte nei miliardi di file. La ricerca del proprio gusto è importante! E questa si realizza solo partecipando ai concerti o ascoltando i dischi. Le vostre canzoni sono caratterizzate da un tratto saliente che è l’anello di congiunzione dei testi di tutto l’album: l’essere nello stesso tempo innamorati e disillusi, tristi e sereni, buio e luce. Quanto c’è di autobiografico nelle canzoni? Speravamo che non fossero mai scontate! Ci sono biografie e a volte autobiografie.
C’è un momento che segna il passaggio dallo status di “band emergente” a quello di “band affermata”: quando non devi più smontare e rimontare la strumentazione perché c’è qualcun altro che lo fa per te. Avete già superato questo passaggio? Secondo me non ci sono band arrivate. Ci sono soltanto partenze verso altre mete. Noi montiamo i nostri strumenti e, lo confesso, ci piace. Da oltre un anno siete in giro per l’Italia con un’intensa attività live. Un aspetto positivo ed uno negativo della vita on the road? Di negativo c’è il poco tempo per se stessi e per scrivere. Di positivo tutto il resto! In Buio e luce canti: “Sono qui in cerca di un anima. Con cui dividere tutto quello che ho”. L’hai trovata, quest’anima? Già da un po’, a dire il vero... Ultima domanda: ma Camilla vi ha televotati a Sanremo? Non credo, avrà comprato il nostro disco. E credo sia più importante! 11
La raffinata penna di Francesco Bianconi torna a scrivere per i Baustelle in uno degli album più attesi del 2010. È I Mistici dell’Occidente, realizzato con la collaborazione di Pat McCarthy, famoso per aver lavorato con artisti del calibro di REM, U2 e Madonna. Una produzione di altissimo livello, una miscela esplosiva per un album importante fin dal titolo... come ci spiega lo stesso Francesco, introducendo i suoi Mistici dell’Occidente.
Da cosa trae spunto il titolo del nuovo album dei Baustelle? Dal libro omonimo di Elémire Zolla, un intellettuale scomodo e anticonformista scomparso un paio di anni fa a Montepulciano, la nostra città d’origi16
ne. È un’interpretazione di tutta l’esperienza mistica dell’Occidente, che parte dal paganesimo e, passando dal rigore dei primi ordini monastici, arriva fino alla passione francescana e ai grandi mistici dell’età moderna.
Ci avete sempre abituati a composizioni “impegnate”, quasi provocatorie, per “gente acculturata”. Non avete paura di sembrare pretenziosi? Sì, è probabile. Ma “pretenzioso” mi piace pensarlo in maniera positiva: meglio avere pretese che non averle, non credi? Viviamo in una società dove si fanno troppe cose secondo le regole; e io preferisco fare un disco non convenzionale o non allineato che non uno che rispetta le regole degli zombie, quindi “pretenzioso” lo prendo sicuramente come un complimento. Mi annoia la banalità, l’andare sul sicuro, credo che bisognerebbe sempre avere la tendenza ad essere “pretenziosi”, che per me significa osare, divertirsi, sperimentare, cercare formule nuove. I Mistici però suona pur sempre come un disco dei Baustelle. Avete un “marchio di fabbrica”, una formula, che mantenete malgrado le scommesse o le sperimentazioni? Il citazionismo per esempio... A parte la sperimentazione di cui parlavamo prima, c’è sicuramente un po’ di mestiere, che però non è necessariamente un male. Col tempo abbiamo imparato certi trucchetti o cose tecniche, per la registrazione dei dischi o il lavoro in studio, ma soprattutto abbiamo imparato a
prenderci più responsabilità nel processo produttivo. Io sono warholiano in questo senso, penso che il concetto di “lavoro” sia importante. C’è professionalità dietro ogni forma d'arte, ed è giusto che ci sia un germe di etica del lavoro. Per il citazionismo, credo che sia molto difficile, dalla fine degli anni Sessanta in poi, non citare quando si fa pop. Certo, il citazionismo nei testi dei Baustelle è diventato un po’ cifra stilistica; ma quest'ultimo disco in realtà dal punto di vista dei testi è molto meno citazionista e molto meno fighetto. Avevo voglia di scrollarmi di dosso questa cosa, e forse sì, questi sono i testi più sinceri che ho mai scritto con i Baustelle. Il richiamo al film di Clint Eastwood (Gli Spietati, del 1992, ndr) c'entra e non c'entra; per questo disco mi immaginavo qualcosa di “sferragliante”, folk beat e spaghetti western, un po’ naif italiano; tutti questi elementi insieme, le chitarre jingle jangle, le colonne sonore degli spaghetti western. Se vuoi, i “mondi sonori” di un periodo abbastanza glorioso per l’Italia, in cui il cinema italiano, da che imitava il modello americano, con Sergio Leone ne ha praticamente preso il posto ed è diventato un riferimento da imitare a sua volta. 19
Bionda, occhi azzurri, sembra una modella svedese e invece è sicilianissima, Eleonora Abbagnato, professione ballerina. Per la precisione, prima ballerina in un tempio della danza francese come l'Opéra di Parigi. La nostra danzatrice ha scardinato una tradizione vecchia di secoli, in un teatro che aveva riservato il suo ruolo più importante alle ballerine francesi. Semplice e timida, non ama perdersi in chiacchiere; è stato quindi un piacere enorme poter scambiare con lei due battute al volo al telefono, durante una delle rare pause tra una prova massacrante e l'altra.
Il 26 giugno sarai a Bari per uno stage al teatro Petruzzelli. Vogliamo raccontare come si svolgerà? Sarà una otto giorni di lavoro, organizzata in tre corsi (base, intermedio e avanzato) per bambini da dieci anni in su. Ci saranno i mestri della scuola di danza dell’Opéra, ma soprattutto ci sarà la direttrice della scuola Claude Bessy; una presenza per me fondamentale, perché ha formato tutti i più grandi ballerini ed ha fatto studiare anche me. È una cosa molto importante, per me e per la città di Bari, riportare la danza in un tempio che è stato chiuso per tanti anni. Se ricominciamo così, ricominciamo davvero alla grande. Oltretutto, su un palco importante come quello del Petruzzelli. Come è nata l’idea di questo stage? L’intenzione è quella di portare avanti con il Petruzzelli un progetto vero e proprio. Non solo uno stage d’eccellenza, che faccia studiare bene i ragazzi. Mi piacerebbe che si potesse cominciare a pensare ad una scuola, un’accademia, in cui formare futuri talenti. Il sogno di tutte le bambine è quello di fare la ballerina; tu sei diventata niente meno che la prima danzatrice italiana
ad essere prima ballerina all’Opéra di Parigi. Un traguardo non da poco… Questa è stata una cosa a cui tenevo davvero tanto, perché tutti mi dicevano che era molto difficile arrivare a Parigi. Soprattutto quando ero bambina, perché all’epoca non c’erano tanti danzatori stranieri… Quindi, sì: per me quella è stata una vittoria vera e propria, con cui ho avuto la possibilità di portare in alto anche l’Italia. Vado fiera sempre e con tutti delle mie origini, anche se di fatto sono un puro prodotto dell’Opéra di Parigi. Come tutte le danzatrici, avrai sicuramente fatto tantissimi sacrifici: c’è qualcosa che hai sacrificato alla danza e vorresti recuperare? Mi sarebbe piaicuto avere una vita privata più piena, più “normale”. Avere più tempo per me, per i miei amici, per la persona con cui starò... Nella tua vita non c’è solo la musica classica. Hai danzato anche nel video del singolo di Vasco Rossi Ad ogni costo. Com’è stato confrontarsi con un genere musicale così diverso dal solito? Ti dirò; per il video è stato scelto Davide Bombana, che è un coreografo di danza contemporanea. Lo conosce19
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vo già, perché è venuto all’Opéra di Parigi a lavorare con noi; e lavoreremo ancora insieme prossimamente, perché subito dopo lo stage creerà per me un passo a due del Fauno, che andrà in scena proprio al teatro Petruzzelli. Quindi, pur essendo il video di Vasco Rossi era pur sempre un video legato alla danza. Ma cosa c’è nel lettore mp3 di Eleonora Abbagnato? Di tutto: da Justin Timberlake a Rihanna… di tutto, davvero. Ecco, l’unica cosa che manca nel mio lettore è il jazz, che non è tanto la mia passione.
la prima volta con José Perez, un ballerino cubano molto bravo (balzato alla notorietà del grande pubblico per la sua partecipazione come ballerino professionista alla trasmissione televisiva Amici, ndr). Insomma: dopo tanti palchi internazionali, l’emozione più grande è veramente tornare a casa? Di sicuro sì. Mi sento sempre sostenuta dal pubblico siciliano, è una bella emozione. E qui ballo sempre al meglio, perché ci tengo davvero tanto a dare il massimo.
Ma a questo punto Eleonora si interrompe un attimo; qualcuno la chiama e io già temo che il nostro tempo sia finito. Invece no. “Scusami,” mi dice, “mi hanno chiesto un consiglio per un posto dove andare a mangiare, e io, da brava siciliana, li ho mandati in un ristorante di pesce…”. Adesso ti trovi proprio nella tua Sicilia per Romeo e Giulietta. Sì, sono andata in scena con Romeo e Giulietta su coreografie di Luciano Cannito al teatro Bellini di Catania, che è stato un debutto per me. Ma soprattutto ho ballato per
La Fondazione Lirico Sinfonica “Petruzzelli e Teatri di Bari” organizza uno stage di danza classico-accademica che si svolgerà al teatro Petruzzelli. Il corso è aperto a giovani già avviati allo studio della danza classico-accademica di età compresa tra i 9 e i 30 anni compiuti o da compiersi entro il 31.12.2010. Lo stage avrà luogo dal 26 giugno al 3 luglio 2010, per un totale di 8 giorni di lezioni condotte dai maestri Claude Bessy, Michele Politi e Laurent Novis, sotto la direzione artistica di Eleonora Abbagnato.
Attore comico, drammatico e anche buffo quando il copione lo richiede. Dino Abbrescia, nato a Bari nel 1966, è diventato uno dei volti più richiesti del cinema italiano lavorando con grandi registi (Salvatores, Rubini, Veronesi, Ferrario) e conquistando il pubblico televisivo grazie a fiction di successo come Distretto di Polizia. Lo abbiamo incontrato in una delle sue visite nella sua amata città natale, nei giorni in cui un cortometraggio in cui è protagonista (Uerra, dell’altro talento barese Paolo Sassanelli) è in gara per un David di Donatello.
Cosa volevi fare da piccolo? Il benzinaio, perché mi piaceva l’odore della benzina. E il giornalaio, per avere gratis le figurine dei calciatori. 22
Come è nata in te l’idea di fare l’attore? Non avevo la vocazione, non sono uno di quelli con il pallino di fare l’attore già a 8 anni. Ho iniziato tardi, tra l’altro era
un pretesto per andarmene da Bari e fare un’esperienza nuova: sono entrato in una compagnia teatrale come tuttofare e mi sono ritrovato a fare l’attore. Cosa ti manca della tua terra quando sei in giro per lavoro, e quando torni qual è la prima cosa che fai e quali luoghi ti piace rivedere ? La prima cosa che faccio è comprare gli allievi crudi, una specialità barese; poi vado a vedere e sentire il mare. Mi manca tutto della mia terra: il mare, la gente, le tradizioni. Cosa ascolti nel tempo libero? Se sono a Bari mi sintonizzo su Controradio, che trasmette la musica che piace a me: sono un vecchio amante “rocchettaro”. Ultimamente sono stato a un concerto degli Afterhours, ma ascolto anche i Radiohead. Ti abbiamo visto interpretare il cugino di Checco Zalone nel film Cado dalle nubi. E nel film c’è una scena in cui bestemmi in dialetto barese.Come è nata quella gag? Non c’era niente di programmato; quella scena fu girata all’ultimo momento, al volo. Gennaro Nunziante e
Checco mi dissero: “Meh, Dino: gastmisc’!” ed venuta così. Quelle parole irripetibili sono state le prime cose che mi sono venute in mente. È un pezzo abbastanza forte, ma quella scena è piaciuta da Milano ad Agrigento, anche se la gente non capiva. Nel film LaCapaGira hai interpretato Minuicchio, un personaggio divenuto un autentico cult di baresità coatta. Ti sei ispirato a qualcuno? Non ho un personaggio specifico di riferimento. È frutto di anni e anni di osservazione, ho preso un po’ di gesti e di atteggiamenti visti nelle nottate trascorse a Bari davanti ai chioschetti e alle sale giochi. Cosa consiglieresti ai ragazzi che vogliono fare l’attore? Di guardare più film possibili. Trovo assolutamente assurdo che alcuni ragazzi che incontrano non conoscano personaggi che hanno fatto la storia del cinema come Fellini. Chi vuol fare l’attore deve guardare più roba possibile e farsi un minimo di cultura. Cosa ti piacerebbe fare da grande? Quello che faccio adesso, non vorrei fare altro.
“Va bene, confesso: sono nato in Basilicata. La Basilicata esiste”. Questo è solo l’incipit di Basilicata Coast to coast, l’esordio dietro la macchina da presa di un attore, autore e quindi regista, Rocco Papaleo, classe ’58, originario di Lauria. Nel suo film di debutto, da pochi giorni sugli schermi, è descritta una parte d’Italia dimenticata dal cinema. E con lui, sullo schermo, volti noti al grande pubblico come Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno e Max Gazzè che, per una volta, rimane in silenzio.
Mi piace pensare al tuo film come a un “Lucania on the road”, una commedia musicale. Condividi questa definizione? 26
Caspita, mi piace! Bella, bella definizione. È quella, in fondo, la storia che racconto, quella di una strada che è troppo lunga, ma in realtà così corta
che alla fine niente e nessuno raggiunge la meta desiderata. Un itinerario in cui, è evidente, c’è tanta poesia, compresa quella del musicista muto (interpretato da Gazzè, ndr) e di tante note… Questo non è un film classico: è poesia, a cominciare dal linguaggio utilizzato. È un film che racconta fino ad un certo punto la sua storia. Proprio come avviene con le poesie, che si leggono, rileggono, riscoprendole vive perché toccano il tuo vissuto, pur non descrivendo necessariamente una storia. In questo film ho raccontato semplicemente ciò che poeticamente penso della mia terra. Anche quando affermi che “la Basilicata ha bisogno di casinò, agriturismi, prostituzione” Non credo si tratti di poesia ermetica, piuttosto di “poesia coraggiosa”… No, che ermetismo! Io parlo per immagini, attraverso la poeticità di un amico, di un panino con la frittata, un buon bicchiere di vino, o di una strada dismessa che è percorsa solo da un pastore. Se pensi anche alla scelta di un percorso tutto voluto a piedi, rende bene il vero senso del cammino che intendevo raccontare.
Hai lavorato con registi di grande fama, ma anche come attore di teatro, teatro-canzone. Perché hai deciso di cimentarti con il cinema? Cosa ti mancava? Innanzitutto ho seguito semplicemente un’esigenza, solo artistica. Ho risposto prima di tutto ad un impulso creativo. Sicuramente a procurarmi tutto ciò è stato il lungo lavoro con i tanti registi di cui tu parli, che hanno dato tantissimo alla mia vita. È inevitabile il rimando ad un altro film che ha raccontato la stessa terra, Cristo si è fermato ad Eboli di Francesco Rosi. Quanto è stato importante, per te, un film come quello? Tanto e nulla. Innanzitutto Rosi per me rimane tuttora un luminare dell’rte, a cui non penserei minimamente di potermi paragonare. Tuttavia, nel suo film c’è un racconto con altri aspetti: da quello sociale a quello politico, che io non ho per nulla menzionato. Eppure la prostituzione, i casinò, gli agriturismi con massaggiatrici sono parte della politica... Sì, ma la politica è un’altra cosa, rispetto alla poesia…
Non capita a tutti, di ritrovarsi fianco a fianco con gli eroi della propria infanzia. È successo a Enrico Silvestrin, protagonista con Bud Spencer, de I delitti del cuoco, una commedia con risvolti thriller. Lo abbiamo incontrato alla vigilia della prima puntata per raccogliere le emozioni di un esordio particolare.
Fai parte della generazione cresciuta a pane e film di Bud Spencer. Che effetto ti ha fatto ritrovarti sul set con un mito di gioventù? All’inizio è stato emozionante, perché ovviamente non mi sarei mai aspettato di lavorare con un uomo che faceva parte del mio immaginario infantile. 28
Lavorare con un uomo come lui, di quasi 80 anni e di grande esperienza, è stato molto emozionante: è una persona che ti racconta un milione di aneddoti e di storie sia sul suo privato che sul suo vissuto cinematografico. È una persona che ti riempie di “cose”. E quando ho realizzato che stavo VERA-
MENTE lavorando con lui, mi sono dato un pizzicotto… I delitti del cuoco giunge dopo una serie di ruoli da duro che ti hanno visto spesso nei panni del poliziotto. Questa volta interpreti un ruolo differente. Avevi bisogno di un po’ di commedia? Anche in questo caso sono un poliziotto; un commissario, per la precisione. Però con ben altro approccio rispetto al carattere serioso o drammatico di Distretto di polizia. Mi sono trovato a mio agio in questo personaggio, e un po’ me lo sono cucito addosso. Sul copione era un po’ più ingessato rispetto a come sono riuscito a renderlo. Gli ho dato una verve che non c’era e penso che ne abbia giovato per primo il personaggio. Quali sono le principali novità di questa fiction? La novità, per me, è proprio il fatto di interpretare la commedia. Nel suo caso, l’aspetto inedito è che lui in questa fiction parla tanto, mentre prima si limitava a grugnire o a picchiare qualcuno. Qual è stata la sensazione che hai provato dopo aver girato l’ultima scena? Sollievo. Ma non per la fatica; piuttosto per la convinzione di aver portato a termine un buon lavoro. E poi era una
scena senza Bud. Quindi è stato strano; avrei preferito chiudere in una scena insieme a lui, perché mi piacerebbe ricominciare con lui. Dopo questa esperienza sei già proiettato su qualche nuovo progetto? C’è un progetto legato a una radio libera, una web radio. Credo nelle possibilità che offre internet per avere un’autonomia intellettuale e creativa. Mi piacerebbe riunire a settembre in questa radio i migliori vj’s della MTV Europe degli anni ’90. Una televisione che ancora parlava di musica e faceva musica. Credo che in tanti la rimpiangano. Si chiamerà Vicious.fm e sarà on line da luglio. Attore, conduttore, musicista dei Silv3rman. Cosa c’è scritto sulla tua carta d’identità alla voce “professione”? Attore. Anche se in questo momento si fa tanta fatica. È un mondo in cui ho lasciato qualcosa di sicuro, come Distretto di Polizia – dove comunque ti vengono garantiti dieci mesi all’anno di lavoro – per rimettermi in discussione. Tutto quello che sto vivendo in questo momento credo sia frutto della mia volontà di mettermi in discussione. Credo che se hai le spalle larghe e se hai tanta voglia di esprimerti, qualcosa prima o poi succede.
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“Come artista, un uomo non ha altra patria in Europa che Parigi.” – Friedrich Nietzsche La “geografia popolare” descrive Parigi come la città degli eterni innamorati, artisti e sognatori. E, come dimostra la tradizione rivoluzionaria di questa città, il popolo ha (quasi) sempre ragione. Una prova tangibile è il cosiddetto “muro dei Je t’aime”, una parete letteralmente ricoperta dalla più semplice e tipica dichiarazione d’amore, scritta in 300 lingue di tutto il mondo. Un perfetto esempio di commistione fra arte ed amore. Specialmente se si considera che il muro si trova a Montmartre, quartiere degli artisti per antonomasia.
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Per gli amanti dell’amor profano, invece, è indispensabile una puntata al Moulin Rouge, locale dalle atmosfere libertine in cui si esibirono le prime scandalose ballerine di can-can ma anche artiste come Edith Piaf e Josephine Baker. Insieme al mulino rosso e lussurioso, i simboli più rinomati di Parigi sono certamente l’Arc de Triomphe, il Louvre, l’Opéra, gli Champs-Elysées e la Tour Eiffel. Tutti emblemi di un amore per la patria che si esprime nella proverbiale grandeur architettonica e nell’altrettanto caratteristico sentimen-
to definito col termine sciovinismo. Nonostante ciò, chiunque visiti Parigi può ritrovarsi nei più disparati angoli del globo e sentirsi a casa. Ci si può ritrovare in Russia, con la Cattedrale Ortodossa Alexandre-Nevsky in rue Daru; in Cina con la casa-pagoda Maison Loo; in Giappone con l’Annexe du Musée Guimet, padiglione di un giardino nipponico dove vengono regolarmente organizzate le cerimonie
FILM per conoscere
PARIGI
Un americano a Parigi (1951) Regia di Vincent Minnelli Jules et Jim (1962) Regia di François Truffaut Ultimo tango a Parigi (1972) Regia di Bernardo Bertolucci Il favoloso mondo di Amélie (2001) Regia di Jean-Pierre Jeunet Paris je t’aime – petites romances de quartiers (2005) Film collettivo
del tè… Parigi ha in sè tutte le città del mondo, ma è caratterizzata da un segno inconfondibile: una griffe elegante, superba, colta. Se volete fare un regalo davvero memorabile al vostro partner (e a voi stessi), concedetevi un weekend romantico nella maestosa Ville Lumière. E se, una volta lì, vi passerà la voglia di tornare, strappate pure il biglietto del ritorno.
CANZONI perconoscere
PARIGI
La vie en rose Edith Piaf Paris sera toujours Paris Maurice Chevalier La javanaise Serge Gainsbourg I love Paris Frank Sinatra I’m throwing my arms around Paris Morrissey
IL BIGLIETTO Bari-Parigi Beauvais, volo di sola andata a partire da 31,99 € (tasse incluse)
Pesci acrobati brillano al tramonto Arrivi a Peschici e ti guardi intorno. Non ci sono ancora i rumori dell’estate, tutto è come immobile. Le case bianche dai cui muri esce una traccia di scuro, i ciottoli grigi a terra e i negozietti con le porte colorate o no. Le stradine sono strette e non viene voglia di fermarsi, ma di camminare e scoprire come si vive qui da sempre. Il mare, qualche ristorante, nessun diversivo ed un’aria semplice, quasi sommessa. Bella, Peschici, ora che è fuori stagione. Non è semplice raggiungerla ma non importa, perché a girarla tutta ci metti mezza giornata o al limite una notte, dopo aver mangiato con amore. Guardi le cupole bianche
che si affacciano sul mare, ti inerpichi su per gli scalini e incontri uomini e donne con i cesti di pomodori e rosmarino mentre il profumo di mosto cotto t’inebria i sensi e l’anima. Le stradine hanno viste mozzafiato, i gabbiani volano e noi “turisti per caso” camminiamo senza meta. Fino ad arrivare in un ristorante che si chiama Porta Di Basso. Lo chef è Domenico Cilenti, con una faccia bella e simpatica ed una cucina fresca, appassionata e colorata. Il locale, in fondo, ha due tavoli contro le vetrate da cui vedi il cielo. Ti siedi lì e il fiato si blocca perché di lato hai lo strapiombo ed in fondo il mare, che si arriccia intorno agli scogli. Ti separa solo un vetro e ti senti sospesa nell’aria. Lui ti fa mangiare una julienne di seppie con gelato di Grana 24 e croccante di fave tenere, e il gusto è così morbido ed intenso insieme che quasi ti dispiace ingoiare. Vorresti restare così, con la bocca piena di questo sapore diverso eppure nostro, ad aspettare che cambino le tinte ed il sospiro del mare. Il polpo si mescola con le bietoline selvatiche, la cicoria con il branzino e poi un sorbetto all’arancia rossa ti lascia in bocca un retrogusto d’infanzia. Ed è a Domenico che chiedi dove dormire,
perché ti senti a casa e l’incanto deve continuare. Ti manda da Mario Ottaviano, che ha anche lui un ristorantino: Al Trabucco da Mimì, dove ascolti un indimenticabile jazz in riva al mare mentre ti arrivano nel piatto pietanze che parlano di oriente ma che hanno tutto il sapore garganico. E ora lui ha creato un B&B incredibile. Zia Nì, si chiama, e il primo impatto è di casa semplice, quasi un po’ scontata. Ma poi entri e trovi uno spazio appoggiato nel verde con divani qui e là e una piccola palestra, e mentre fai gli esercizi puoi contare le foglie degli
alberi o ripassare le favole. Il letto nella stanza è messo storto per guardare un po’ da una finestra e un po’ dall’altra. Ma questa è la sua stanza; le suite degli ospiti saranno pronte a breve, e saranno tutte in mezzo agli alberi. La cucina con il bancone lunghissimo di design parla di mondi lontani, dove lui ha vissuto e lavorato per poi tornare qui a Peschici, ad aspettare di raccontarti come può essere incredibile questo paesino quando ancora non è stagione, e portarti in giro per piazzette e piccole chiese dove sederti e chiedere: “Ma è così semplice essere felici?”.
Comunemente nota come “pillola del giorno dopo”, il suo nome è RU-486 e da settimane tiene banco sulle vetrine mediatiche e nelle tribune politiche. Ma come funziona la “pillola della discordia”? E come si è arrivati, il 7 aprile scorso, al primo trattamento in regime di ricovero ordinario? Sushi Focus non vi propone un viaggio nelle corsie degli ospedali tra liste d’attesa e moduli da compilare, ma una breve 34
cronistoria per ricostruire una vicenda tutta italiana e fare chiarezza, innanzitutto, su un tema che riguarda la vita e la salute di migliaia di donne. QUANDO È il luglio 2009 quando l’Agenzia Italiana per il Farmaco autorizza la commercializzazione della RU-486 anche in Italia. Il 10 dicembre 2009, con la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale, la RU-486 entra a far parte dei farmaci utilizzabili nel nostro paese. In realtà la sperimentazione del farmaco era già partita nel 2005 in diverse regioni italiane tra cui la Puglia, dove dal 2006 sono stati praticati circa 200 aborti farmacologici. COME FUNZIONA Il ricorso all’aborto tramite RU-486 rappresenta per la donna che decide di porre fine ad una gravidanza indesiderata, una possibilità in più – meno invasiva e rischiosa – rispetto al tradizionale aborto chirurgico. RU-486 è il nome commerciale del mifepristone, farmaco che si somministra nell’interruzione di gravidanza post-coito e che si lega ai recettori per il progesterone (l’ormone chiave della gravidanza) inibendone l’attività. Se assunto nelle prime settimane di gravidanza, venendo meno l’azione trofica dell’ormone sulla mucosa uterina, determina il distacco dell’embrione e quindi l’interruzione della gravidanza. Due giorni dopo la somministrazione di mifepristone, la paziente assume una seconda sostanza, una prostaglandina, in genere il misoprostolo, che inducendo la contrazione uterina agevola l’espulsione dei tessuti embrionali. È necessario che la gravidanza non abbia superato la VII settimana (il 49° giorno dall’ultimo ciclo mestruale). Quindi per il suo meccanismo d’azione tale farmaco non deve essere considerato un contraccettivo né un’alternativa alla contraccezione stessa. IN PUGLIA Dopo il primo trattamento al Policli-
nico di Bari il 7 aprile 2010, sono giunte da tutta Italia centinaia di richieste di donne in cerca di ulteriori informazioni e della possibilità di sottoporsi a tale tipo di aborto assistite dal dott. Nicola Blasi, unico medico non obiettore di coscienza di questa struttura ospedaliera, responsabile della sperimentazione con RU-486 partita nel 2006. Nei primi giorni, Blasi ha denunciato la mancanza di personale medico disposto a collaborare suscitando immediatamente una vera e propria mobilitazione d’opinione, e da allora non è più solo. È stato inaugurato un ambulatorio dedicato solo alle donne che decidono di ricorrere ad una interruzione farmacologica di gravidanza e insieme al Dott. Blasi ora opera un piccolo gruppo di collaboratori per rispondere alle numerose richieste pervenute. Inoltre pochi giorni fa è stato attivato un numero verde per facilitare le operazioni di prenotazione. Tutto questo rappresenta un’importante ausilio per una scelta difficile, talvolta dolorosamente indispensabile.
Scoperto nei primi anni ’80, il mifepristone, prodotto sotto forma di pillola, viene commercializzato in Francia con il nome Mifégyne e negli USA come Mifeprex. Durante le prime sperimentazioni venne usata la sigla RU-38486, abbreviata poi in RU486 dall’azienda produttrice, la Roussel Uclaf. Attualmente la pillola abortiva è usata in tutti i paesi europei ad eccezione di Irlanda, Polonia e Lituania. 35
Non ci vuole molto per spazzar via secoli di evoluzione. Viviamo attaccati alle macchine, come Tecnominotauri metà uomini, metà computer /smartphone/iQualcosa. È sufficiente dover essere costretti a farne a meno per un po’ per ripiombare nel impiegare di nuovo del tempo per permedioevo dei sensi; e riscoprire che sul correre migliaia di chilometri e vuol comodino c’era un libro, che esistono dire mettersi in fila. Al check in e dopo ancora i francobolli il vulcano. “Signori, e che quasi non vi preghiamo di riusciamo più a avere pazienza, Viviamo attaccati stiamo tenere in mano una lavorando alle macchine, penna. È sufficiente per voi”. Chi più, come che la Natura faccia chi meno. Quaggiù, Tecnominotauri il suo corso, e che ad esempio, si stacmetà uomini e un vulcano dal cano costoni interi metà nome impronundi montagne, e computer/smart- dopo appena un ciabile (a meno che non sappiate l’isphone/iQualcosa. mese si inizia a penlandese o non siate, sare che forse, se voi stessi, islandesi) questa frana sta dia sfogo alla sua attività bloccando dividendo in due l’Italia, se per arrivare con una nube di cenere i cieli di mezza da Roma a Bari ci vogliono sette ore (e Europa. Il medioevo dei cieli manda in nessun mulo viene impiegato come crisi il turista abituato a scavalcare il mezzo di trasporto), se questa frana ha continente in due ore, lo pone di riportato il Mezzogiorno al più basso fronte alla inaspettata constatazione di dei suoi medioevi, forse è il caso di dare non essere il centro del mondo, e di un’occhiata. Ma con calma. dover aspettare. Aspettare vuol dire Il Rinascimento può attendere. 36
Nintendo Wii: giochi senza barriere La terza consolle ludica più venduta al mondo si chiama Nintendo Wii e ha cambiato la vita dell’“utilizzatore finale” dei videogames. Una rivoluzione apportata al modo di giocare, “legata” all’assenza di fili e cavi di collegamento tra questo aggeggio e i giocatori. La natura wireless del gioco ha facilitato l’accesso a questa piattaforma e ha avvicinato alla dimensione dei videogames anche persone uscite dalla pubertà da parecchio, compresi i nostri nonni. Non a caso, una delle strategie vincenti per la diffusione della Wii è stata quella di proporla come uno strumento per il fitness e per la ginnastica dolce: una valida alternativa ai tornei di briscola e di bocce per gli arzilli ottuagenari. A proposito di giocatori agé, gli amanti dei videogiochi anni ’80 saranno felici di sapere che il leggendario Super Mario è arrivato anche sulla Wii a bordo di un mezzo altrettanto vintage: Super Mario Kart è disponibile da aprile 2010 sul Canale Wii Shop. Restando nella rete, negli scorsi giorni Nintendo e Google hanno dato inizio a una collaborazione interessante proponendo Ando Kensaku, un gioco che per ora sarà distribuito in Giappone al prezzo di 4.800 yen: nel gioco i concorrenti si sfidano a una sorta di Trivial Pursuit, partendo dai termini di ricerca web più popolari. Ma la Wii è
soprattutto azione: se amate lo squash, il badmington, il ping pong e magari anche il beach tennis, un titolo che non vi deve mancare è Racket Sports Party. La casa produttrice UbiSoft mette a disposizione della giocabilità una webcam che trasporta il giocatore su campi da gioco immaginari: su una nave da crociera, in un loft nel centro di New York e perfino in fondo all’oceano. Ma attenti a non farvi prendere la mano dall’agonismo: potreste distruggere oggetti e suppellettili intorno a voi. E per tutti quelli che vogliono una console a loro immagine e somiglianza, è indispensabile trovare il gadget giusto per personalizzarla: c’è chi è riuscito a brutalizzare la Wii non soltanto in senso estetico (le cromature sono il non plus ultra del kitsch) ma anche modificando i controller e trasformandoli in telecomandi per periferiche di altre tecnologie (lettori dvd, televisori, monitor tv).
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Claudio “Greg” Gregori è “quello con gli occhiali”, Pasquale “Lillo” Petrolo è quello senza. O come spesso lo definiscono, “quello basso”. Li abbiamo incontrati a teatro, poco prima di andare in scena col loro nuovo spettacolo Sketch & soda: un cocktail di gag vecchio stile, esilaranti e intelligenti. Come nascono i vostri sketch? G: Dipende, alcuni li scriviamo insieme, altri separatamente… L: Alcuni sono un’idea di Greg che ho scritto io. Non abbiamo regole su niente, siamo uomini senza regole, anche un po’ bastardi. Ciononostante, in Telenauta 69 cele38
bravate proprio la tv “garbata” degli anni Sessanta... G: Sì, allora la tv era elegante e c’era molta più preparazione sotto ogni punto di vista, da chi scriveva i testi a chi li interpretava, fino alle coreografie. Invece da più di vent’anni a questa parte, sembra che i programmi siano
un po’ buttati lì a caso. L: …ma parecchio a caso! Anche per questo ci si vede meno in tv: molti dei programmi che ci sono adesso sono cose alle quali non parteciperemmo, non solo perché sono poco guardabili, ma perché non c’entrano col nostro stile. Quando capitano occasioni come Victor Victoria in cui le nostre cose non “stonano”, ci divertiamo a fare anche la tv. Ma sempre senza regole! Voi nascete come fumettisti: come avete capito che facevate ridere anche fuori dalle strisce disegnate? L: Quando è fallita la casa editrice per la quale scrivevamo e disegnavamo entrambi, abbiamo visto che a Roma aveva successo la nostra band comica Latte e i suoi derivati e così ci siamo lanciati in questo. G: Poi, al di là del lavoro, nei nostri gruppi di amici ciascuno ricopriva il ruolo del giullare, forse per mascherare la timidezza. Non eravamo “quello che acchiappa”, non eravamo “il figo”, e un ruolo dovevamo pur averlo. Ogni tanto sono stato anche lo sfigato che suona la chitarra ai falò mentre tutti fanno altro…
L: Anch’io! Pensa che avevo iniziato a suonare la chitarra proprio per rimorchiare: ma mi sa che fu un errore clamoroso. Ma ora che siete famosi, non va un po’ meglio con le donne? L: Certo, ora va molto meglio. Le donne si avvicinano, implorano “Ti prego sentiamoci domani!”. E mi chiamano a fare un falò. Allora torniamo ai fumetti. Quale superpotere vorreste avere? L: Quello dell’Uomo Ragno. Attaccarmi al muro e penzolare con le ragnatele. G: Io invece, anche se non lo amo come supereroe, vorrei avere i poteri di Superman: volare, essere immortale, invincibile, non è male. Quindi nulla di utile come saltare la coda alla posta… L: Ma l’Uomo Ragno lo fa! Si attacca al muro e scavalca tutti! G: Anche Superman, vola oltre le file o prende a cazzotti tutti quelli che stanno davanti… L: E poi per il solo fatto di essere famoso ti fanno passare. Infatti noi due capiremo di essere davvero famosi quando ci faranno passare avanti nelle code alla posta.
Jean François Gillet C’è solo un capitano. E quello del Bari è un giocatore e un uomo straordinario: Jean François Gillet, nato il 31 maggio 1979 in Belgio e recordman di presenze in biancorosso. Il portiere ha dimostrato grande talento tra i pali e grande umanità fuori dal campo, diventando testimonial di un progetto importante, patrocinato dall’AS Bari e dal Comune di Bari per l’affido familiare di minori meno fortunati. Lo abbiamo incontrato per voi.
Come mai sei testimonial di questa iniziativa per l’affido familiare? Perché sono l’unico giocatore straniero con la residenza a Bari e poi perché ho avuto la fortuna di essere stato educato da genitori che hanno fatto tanti sacrifici per me. Se non fosse stato per loro forse non sarei quello che sono. Il primo diritto dei bambini è quello al gioco. Tu a 30 anni continui a giocare. Ti ritieni fortunato? Facciamo un bel mestiere, anche se molto impegnativo. Siamo dei privilegiati. E quando ci sono queste iniziative, sono contento di poter essere utile, anche con piccoli gesti. L’iniziativa ha il patrocinio del comune di Bari. Possiamo dire che questa città ti ha adottato? Mi ha accolto a braccia aperte. E penso sia giusto ricambiare questo affetto. Sei un idolo per i ragazzini baresi. Cosa hai imparato da loro? A non mollare mai, a impegnarmi sempre al massimo per cercare di ricambiare l’affetto che dimostrano nei miei confronti. Sei nato in una realtà molto diversa da quella di Bari. Ti è mai capitato di giocare per strada quando eri bambino? Sono cresciuto giocando a calcio nei
giardini, per strada, e a scuola. Se hai la vera passione, giochi dappertutto. A Bari come in Belgio. Quando vedo i ragazzini giocare per strada, a volte mi fermo per fare qualche palleggio con loro ma mi piace di più guardarli, magari per scoprire giovani talenti. A chi ti ispiri nel gioco? Sono un portiere un pò atipico. A me, però, piaceva tanto Peruzzi. Hai avuto una carriera facile? All’inizio nessuno scommetteva su di me. Alla fine, però, mi ritrovo a Bari, in serie A. E ho conquistato anche la mia Nazionale. Questo può servire come esempio a tutti i ragazzi. Come sono i tifosi baresi? Siamo l’unica squadra di serie A che porta tanti tifosi in trasferta. Ricordo ancora i 12.000 accorsi a Roma... Cosa ti piace della cucina barese? Tutto. Devo contenermi e stare attento alla dieta, altrimenti è dura. Attore e la attrice preferita? L’attore è Denzel Washington, l’attrice non mi viene in mente. A proposito di donne: come consideri le ragazze baresi? Di ottimo livello! Giuseppe Vitucci e Micol Tortora 41
Ingredienti: 2 kg di carciofi 1 litro di aceto bianco di vino (circa) 1 litro di acqua (circa) 3/4 limoni sale grosso q.b. aglio prezzemolo o mentuccia (facoltativi)
È tempo di Primavera, è tempo di carciofini sott’olio. È tempo di pregare! Per noi che ci affidiamo alle ricette tramandate da generazioni, infatti, ricordarsi le preghiere per misurare i giusti tempi di cottura è fondamentale. La ricetta presenta quest’unica difficoltà; e se troppo cotti, i carciofini si ammolleranno irrimediabilmente. È buona norma quindi saggiarne la consistenza con la forchetta, e comunque non superare gli otto minuti di cottura. Pulite bene i carciofini, spuntandoli e togliendo le foglie dure. Strofinateli accuratamente con mezzo limone, e metteteli man mano in una ciotola piena d’acqua fredda con i limoni tagliati a spicchi. In una capiente pentola d’acciaio, por-
*Le delizie per gli occhi e per il palato di questa rubrica sono tutte sul blog:
http://ammodomio.blogspot.com
tate a lieve bollore la soluzione di acqua ed aceto; aggiungete il sale e calatevi i carciofi, lasciandoli cuocere mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno. Per averli della giusta consistenza, lasciateli in cottura per il tempo di recitare un Credo. Una volta cotti, scolateli con il mestolo forato, deponeteli su un canovaccio pulito e lasciateli asciugare. Appena saranno pronti li metterete nei vasi di vetro, senza premerli troppo, cercando di sistemarli nel modo più opportuno. Riempite di olio i vasi e teneteli in vista per qualche giorno: il livello dell’olio, infatti, tende a scendere e dev’essere di volta in volta rabboccato sino a coprire i carciofi. Chiudete i vasi e conservateli in dispensa al buio per tutta l’estate.
“Every night, I have to read a book, so that my mind will stop thinking about things that I stress about.” Trad. “Ogni sera devo leggere un libro, così che la mia mente smette di pensare alle cose per cui mi stresso.” Britney Spears, cantante.
Britney Jean Spears, che passò alla storia con il nome di Britania La Pazza, affermava con questa sua breve e intensa massima il ruolo preponderante che la cultura aveva nella sua vita. Donna schiva e pudica, Britania non si perdonò mai di aver scoperto soltanto in tarda età la magia dei libri; cioè che sono scritti anche dentro. Così iniziò a rifugiarsi in essi, appena ne trovò un paio che fossero grandi abbastanza da rifugiarvisi. Finalmente la Spears poté
non pensare più alle cose che la stressavano, quali la perdita delle extension, le smagliature e la piaga sociale del terzo millennio, che le costò più volte il ricovero in apposite cliniche di rehab: le doppie punte. Prof.ssa Adele Meccariello Docente Stagionale di Storia dello Stress Tricotico presso la Pia Università di Uppsala.
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Rievocazione GP Bari
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L’icona barese
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Demodè Rocks!
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Bari - Genoa
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Sfilata auto d’epoca
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Corteo Storico XIII Ed.
SAB Corso Vittorio Emanuele II (Bari)
SAB Mostra - Sala Murat (Bari)
SAB Dj Set - Demodè (Modugno)
DOM Serie A - Stadio San Nicola (Bari)
DOM Borgo Antico (Bari)
DOM (Bitetto)
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SanNicola I festeggiamenti, 7 8 e 9 Maggio a Bari
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Gigi Proietti
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48 Morto che parla
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Orch. Sinfonica
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Juke Box all’idrogeno
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Mostra: 1087
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S. Nicola
LUN Teatro Petruzzelli (Bari)
MAR Teatro Traetta (Bitonto)
MER Concerto - L.go Abate Elia (Bari)
GIO Teatro Traetta (Bitonto)
GIO Sala Murat (Bari)
VEN Corteo Storico - (Bari)
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Drum n' Bass night
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Goran Kuzminac Live
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Diaframma Live
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Udinese - Bari
SAB Le Macerie (Molfetta)
SAB + Upapun + djset Demodè
DOM Oasi San Martino (Acquaviva)
DOM Serie A - Stadio Friuli (Udine)
IreneGrandi in concerto il 26 Palatour Bitritto
15 White queen Live
SAB +Dj Set - Demodè (Modugno)
16 Beatlemaniacs
DOM Oasi San Martino (Acquaviva)
16 Bari - Fiorentina
DOM Serie A - Stadio San Nicola (Bari)
16 Giocoleria e burattini
DOM Spettacolo - P.co 2 Giugno (Bari)
13 Pelleas et Mellisande
18 Marco Mengoni Live
14 Pan Del Diavolo Live
19 Giochi della Gioventù
14 Radioluogocomune
19 Mondiali di aerobica
15 Marlene D.
20 Incontri culturali...
GIO Teatro Traetta (Bitonto)
VEN Oasi San Martino (Acquaviva)
VEN Demodè (Modugno)
SAB Teatro Abeliano (Bari)
MAR Paladisfida (Barletta)
MER Campo Bellavista (Bari)
MER Fino al 24 Maggio - (Conversano)
GIO ...al Castello Svevo (Bari)
20 Giochi della Gioventù
28 Giochi della Gioventù
21 “Villaggio Race”
28 Italia-Bielorussia
21 Il Maggio all’infanzia
29 Pallanuoto maschile
GIO Campo Bellavista (Bari)
VEN Campo Bellavista (Bari)
VEN Pallanuoto masch. - (Gioia d. C.)
VEN Per “Race for the cure” - (Bari)
VEN Teatro Kismet OperA (Bari)
SAB Europei - (Gioia del Colle)
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29 Fuori Dal Comune
22 Il Maggio all’infanzia
30 Hang The Dj Live
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30 Italia-Turchia
21 Nesli Live
VEN Demodè (Modugno)
SAB Teatro Kismet /Piccinni (Bari)
Carmilla E Il Segreto Dei Ciliegi DOM Oasi San Martino (Acquaviva)
23 Race for the Cure
DOM Maratona contro il cancro – (Bari)
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Irene Grandi
MER Palatour (Bitritto)
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SAB Finale - Demodè (Modugno)
DOM Oasi San Martino (Acquaviva)
DOM Pallanuoto masch. - (Gioia d. C.)
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Nesli in concerto il 21 Demodè Club