syndicom - il giornale

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N. 7 10 luglio 2015

il giornale

www.syndicom.ch Il sindacato dei media e della comunicazione

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editoriale

Un no tutto ticinese

Il 14 giugno, grazie al voto della Svizzera romanda, è passata la nuova legge sulla radiotelevisone che regola anche la riscossione del canone. Già da un mese prima si immaginava il forte no che sarebbe arrivato dai cantoni svizzero-tedeschi in particolare quelli più conservatori, ma il voto del Ticino ha lasciato tutti a bocca aperta. Occupandomi di politica dei media ed essendo ticinese mi sono trovata a dover rispondere a più riprese alla domanda, in particolare da parte degli svizzeri tedeschi, del perché il popolo ticinese ha votato contro l’introduzione di un canone più generalizzato che coinvolgesse anche le imprese e di fatto alla riduzione del canone televisivo per i privati. Ho provato anche io come tanti a dare una spiegazione in particolare al fatto che in un cantone dove il tema lavoro è così delicato si sia dato un segnale che, come era stato ampiamente spiegato durante l’emissione RSI dedicata al tema elettorale, sarebbe stato letto da tutti come un no alla sovvenzione e conseguentemente si sarebbe tentato di utilizzarlo come via libera per uno smantellamento dell’attuale servizio pubblico della RSI con un forte impatto sul mercato del lavoro locale. Insomma per miopia, ignoranza, egoismo, emotività o indottrinamento politico che sia, di fatto i ticinesi hanno messo in gioco centinaia di posti di lavoro che tra l’altro sono in gran parte occupati da svizzeri o residenti. Le possibili motivazioni che ho elencato non sono a caso e neanche legate ad un mio desiderio di denigrare un voto popolare, ma frutto delle risposte che mi ha dato la gente comune quando a mia volta ho chiesto perché avesse votato no. La risposta più frequente che ho avuto è stata “io ho votato no contro una tassa che considero iniqua”. Detto altrimenti non si vuole pagare qualche cosa che non si consuma. Ma è poi veramente così, perché stando ai dati di consumo di prodotti radiotelevisivi sia pubblici che privati si può affermare che la stragrande maggioranza della popolazione residente nel cantone fa uso di questa offerta. Certo con modalità nuove, usando il replay, attraverso il pc o il telefono anziché i classici mezzi come la TV e la radio, ma il prodotto che viene consumato è pur sempre lo stesso. Interessante si fa il dibattito quando con coloro che hanno detto no cerco di approfondire il discorso. Lì ho dovuto rendermi conto nella maggior parte dei casi che › Continua a pag. 11

Posta

Flessioni sul mercato ci saranno ripercussioni sulle pensioni

skyguide

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In corso le trattative per concludere un CCL aziendale

Politica e società

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Ancora tutti in ostaggio di cliché discriminanti e sessisti › Pag. 12

dossier

Grandissimo fratello

Come e quando alle autorità è permesso leggere la nostra corrispondenza? Come proteggere la nostra sfera privata? Il Parlamento ha acconsentito alla revisione della Legge sulla sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni (LSCPT). Già si pensa a come resistere. › Pagine 2-3

CCL Industria grafica

Le trattative sono iniziate bene ma la lotta sarà dura

Il 24 giugno sono state avviate a Berna le trattative per il rinnovo del Contratto Collettivo di Lavoro (CCL) dell’industria grafica. Sono già stati ottenuti due primi risultati. Per raggiungere i nostri obiettivi e opporsi alle assurde richieste di Viscom sarà però necessario lottare duramente. Le trattative per il rinnovo del CCL dell’industria grafica sono formalmente iniziate lo scorso 24 giugno. A partire da questa data e fino al prossimo 4 novembre sono state pianificate cinque giornate durante le quali si cercherà di trovare un accordo che possa soddisfare le parti. Normalmente, durante il primo incontro, le delegazioni fanno

un’analisi economica del settore e illustrano le rispettive richieste. Questa volta e prima di entrare nel merito di questi due aspetti, si è voluto cercare subito un consenso per quel che riguarda il tema relativo al Decreto d’obbligatorietà generale del CCL (DOG) e il regolamento sulla formazione professionale e la formazione continua.

È stato compiuto un primo positivo passo La mattinata è stata positiva dal momento che l’accordo riguardante la formazione professionale e la formazione continua, che è e sarà gestita anche in futuro dal nostro sindacato per il tramite di Helias è stato sottoscritto. › Continua a pag. 7


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syndicom | N. 7 | 10 luglio 2015

Legge sulla sorveglianza e legge sul servizio informazioni

Monitoraggio preventivo a scapito Il mondo di Internet è su tutte le furie. E non a torto. A metà giugno il Parlamento ha approvato in rapida successione due nuove leggi grazie alle quali in futuro le comunicazioni dei cittadini svizzeri potranno essere sorvegliate in modo ancora più stringente. Si tratta della Legge sul servizio informazioni (LSI) e della Legge sulla sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni (LSCPT). Carlos Hanimann* A due anni dalle rivelazioni dell’ex analista della CIA Edward Snowden, la Svizzera imbocca una strada discutibile: invece di dare un giro di vite alle intercettazioni di massa, le incentiva. Diversi raggruppamenti politici, tra cui i partiti giovanili e le reti di attivisti, hanno già annunciato dei referendum in materia. Quando in autunno il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati approveranno le due leggi dopo aver appianato le lievi divergenze, la Svizzera si ritroverà nel bel mezzo di un acceso dibattito sullo stato di polizia.

il collegamento con la Legge sul servizio informazioni.

novità contestate

1. I trojan statali: i trojan statali, o più cripticamente “Govware”, come preferiscono chiamarli le autorità, sono programmi di cui polizia e pubblici ministeri si servono per entrare nei computer dei sospettati alla ricerca di prove. Gli argomenti dei fautori della legge: dal momento che oggigiorno telefoni ed e-mail non sono il mezzo di comunicazione preferito dai criminali, che prediligono programmi e servizi criptati come Skype o PGP, la semplice intercettazione di telefonate ed e-mail non porterebbe a nulla. Per questo sarebbe necessario hackerare direttamente i PC dei sospettati. La disposizione ha attirato critiche non solo perché consente alle autorità di perseguimento penale di insinuarsi nella sfera privata dei sospettati, ma anche perché questo processo tecnologicamente complesso lascia aperte numerose falle. Sussiste ad esempio il timore che con un trojan statale siano raccolte anche grandi quantità di dati irrilevanti ai fini del procedimento penale. A ciò si aggiunge il problema che i fornitori tecnologicamente in grado di programmare un trojan statale nel rispetto dei paletti di legge sono molto pochi. Per finire, un trojan causa carenze nella sicurezza che rendono il sistema informatico vulnerabile anche da parte di terzi. Per essere più espliciti, il loro impiego è paragonabile a un’azione in cui la polizia apre un varco nelle pareti di casa di un sospettato per irrompere nell’abitazione e perquisirla senza poi però richiuderlo.

Essenzialmente le novità introdotte dalla LSCPT che sono oggetto di contestazione sono cinque: l’impiego dei trojan statali che consentono di introdursi nei computer, la legalizzazione dei cosiddetti IMSI-Catcher, in grado di manipolare e identificare i cellulari presenti entro un certo raggio d’azione, il prolungamento dei tempi di conservazione dei metadati, quelli che forniscono cioè informazioni su chi ha telefonato o scambiato e-mail con chi, quando, da dove e per quanto tempo, l’ampliamento del campo di applicazione della LSCPT e infine

2. Gli IMSI-Catcher: gli IMSI-Catcher sono dispositivi che funzionano come degli aspirapolvere. Solo che invece di aspirare lo sporco aspirano dati. Sono infatti in grado di identificare un utente di telefonia mobile in un raggio compreso fino a un chilometro. Questi dispositivi, che adesso sono talmente piccoli da poter essere riposti in uno zaino, funzionano come un’antenna alla quale si agganciano i telefoni cellulari presenti nelle vicinanze. In questo modo è possibile iden-

Ma andiamo con ordine Era l’inizio del 2013 quando il ministro della Giustizia Simonetta Sommaruga presentò un progetto di legge per la revisione totale della LSCPT. Di divertente in tutto ciò c’era solo il nome della legge nella sua versione tedesca (Büpf). Dietro quel nome buffo si celavano infatti novità destinate a sollevare polemiche: il campo di applicazione della legge sarebbe stato ampliato, i dati sulle comunicazioni conservati per un periodo di tempo più lungo e le autorità di perseguimento penale avrebbero ricevuto in dotazione nuovi mezzi e apparecchiature per facilitare l’intercettazione delle comunicazioni via cellulare, telefono e Internet. Le critiche si erano già scatenate nella fase di consultazione del progetto. Tra tutti i partecipanti, circa un centinaio, solo quattro appoggiavano incondizionatamente la legge: i cantoni di Uri, Obvaldo e Ginevra e la Posta Svizzera. Tutti gli altri avevano espresso, in un modo o nell’altro, il proprio disappunto.

tificare il numero di registrazione internazionale univoco (International Mobile Subscriber Identity, IMSI) di ogni utente. In base all’equipaggiamento di cui si dispone, è possibile non solo identificare il numero IMSI, ma anche manipolare i cellulari e registrare le conversazioni. Gli IMSI-Catcher possono essere utili se impiegati nella ricerca di persone scomparse, ma contribuiscono certamente anche a un controllo a tappeto. Con un IMSI-Catcher è possibile, ad esempio, sorvegliare tutti i partecipanti a una manifestazione. Nell’ambito dei regimi autoritari questi dispositivi sono quindi particolarmente amati perché permettono di identificare i dissidenti e procedere contro di loro. Nonostante l’impiego degli IMSI-Catcher non sia stato finora ancora disciplinato dalla legge, la Polizia giudiziaria federale ricorre già al loro impiego. Anche la Polizia cantonale di Zurigo ne ha acquistati due l’anno scorso. Ma di che modelli si tratti e chi sia la società fornitrice è un segreto che la Polizia non intende rivelare. La conservazione dei meta3. dati: l’aspetto più criticato è l’estensione della conservazione dei cosiddetti metadati. I metadati consentono di sapere con chi, quando, per quanto tempo e da quale luogo un utente telefona o utilizza la posta elettronica. Già oggi le società di telecomunicazioni come Swisscom, Sunrise o Orange sono tenute per legge a conservare questi dati per un periodo di sei mesi. In futuro questo termine verrà esteso a un anno. Le autorità possono esigere questi dati nell’ambito di un procedimento penale. La principale critica sta proprio in questo: le informazioni vengono memorizzate senza che sussista un sospetto o una ragione, bensì nell’eventualità che in futuro qualcuno diventi perseguibile. In un’intervista in cui si è parlato di conservazione dei metadati, l’incaricato federale della protezione dei dati Hanspeter Thür ha dichiarato che si tratta di una questione spinosa dal punto di vista dei diritti fondamentali, perché così viene istituito il sospetto generale. Infatti,

no a uno stato di polizia ∙ È pronto il referendum contro la revisione della LSCPT. Si cominceranno a raccogliere le firme in primavera.

la conservazione dei metadati è una pratica diffusa come misura di sorveglianza preventiva, poiché i dati potranno essere valutati solo a posteriori e dopo che un giudice avrà emesso un provvedimento coercitivo. Il punto è che la sorveglianza non ha inizio nel momento in cui i dati vengono analizzati, ma già dalla loro raccolta. Diverse corti costituzionali in Austria e Germania e la stessa Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) hanno dichiarato la conservazione dei metadati una violazione gravissima dei diritti fondamentali giudicandola illegale. In Germania diversi tentativi di introduzione della conservazione dei metadati sono falliti sotto la pressione dell’ampio dissenso. Al momento il governo è in procinto di discutere una proposta che prevede la conservazione dei dati per un periodo di dieci settimane. Sebbene, in confronto alle leggi europee analoghe, la legislazione svizzera in materia di conservazione dei metadati tuteli maggiormente lo stato di diritto, Digitale Gesellschaft (Società Digitale), una realtà che riunisce reti di gruppi e attivisti politici, insieme al giornalista

e responsabile agli studi della scuola di giornalismo MAZ Dominique Strebel e al consigliere nazionale dei Verdi Balthasar Glättli, ha inoltrato al Tribunale amministrativo federale un ricorso contro la conservazione dei metadati. L’obiettivo è che venga dichiarato illegale non solo l’allungamento dei tempi di conservazione dei dati da sei a dodici mesi ma anche la conservazione dei dati in sé. Il ricorso è ora al vaglio del Tribunale amministrativo federale. I promotori dell’iniziativa hanno annunciato di essere pronti, se necessario, a portare la sentenza, attesa entro l’anno, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Balthasar Glättli si è battuto per anni nei tribunali affinché i metadati che lo riguardavano non fossero resi pubblici. L’anno scorso è stato lui stesso a metterli a disposizione del portale on-line watson.ch per dimostrare quanto i metadati svelino di una persona. Nonostante i contenuti delle comunicazioni non siano stati esplicitati, era comunque possibile seguire nel dettaglio gli spostamenti compiuti da Glättli nell’arco di sei mesi, sapere dove aveva dormito, con chi aveva parla-


Grandissimo fratello Dossier | 3

syndicom | N. 7 | 10 luglio 2015

Dal Parlamento

© KEYS TONE/PETER KL AUNZER

della sfera privata?

to e la frequenza e gli orari in cui si era scambiato SMS con la compagna. 4. L’ampliamento del campo di applicazione: mentre la LSCPT attuale concerne le sole società di telecomunicazioni, in futuro saranno interessati dai provvedimenti di legge anche i semplici provider di posta elettronica e reti WLAN. Questo significa che anche i ristoranti e gli hotel che mettono a disposizione una rete aperta potranno essere obbligati a rendere pubblici i dati sulle comunicazioni. E specialmente per i provider più piccoli le eventuali conseguenze economiche potrebbero essere davvero serie. 5. L’accesso ai dati da parte dei servizi segreti: in questo caso non si tratta tanto di una novità controversa introdotta dalla LSCPT, quanto di una conseguenza diretta della legge in questione. Parliamo del pericoloso collegamento creato tra la LSCPT e la Legge sul servizio informazioni. Nonostante il ministro della Giustizia Simonetta Sommaruga non abbia mai perso occasione per ribadire che la LSCPT non deve essere confusa con la Legge sul servi-

zio informazioni (LSI) e che nel caso della legge non si tratta di una forma di sorveglianza preventiva, i due strumenti legislativi sono strettamente correlati tra loro. Infatti, nel caso passassero entrambe le leggi sulla sorveglianza, in futuro anche i servizi segreti avrebbero accesso ai dati raccolti ai sensi della LSCPT. Sebbene questa intromissione nella sfera privata delle persone debba essere legalizzata anche ai sensi della Legge sul servizio informazioni e il Tribunale amministrativo federale la debba approvare, la legittimità di tale misura in termini di rispetto dello stato di diritto rimane altamente discutibile, dal momento che il sospettato non ha la possibilità di sapere se i servizi segreti lo stiano sorvegliando, né tantomeno di reagire presentando un ricorso.

utilitÀ non comprovata La consigliera federale Sommaruga spiega che l’innovazione tecnologica ha reso necessaria l’introduzione di adeguamenti di legge. E che Internet non può essere lasciato in balia dei criminali. I sostenitori di una sorveglianza più serrata adducono sempre gli stessi reati che, a loro dire, senza un apparato di sorveglianza

sviluppato non possono essere indagati. L’avvocato Martin Steiger, specializzato in tematiche digitali, ha definito questi reati i “cavalieri dell’apocalisse” di Sommaruga: traffico di stupefacenti, pornografia infantile, terrorismo e crimine organizzato. Nel 2013 la rivista WOZ ha analizzato per la prima volta le statistiche sugli ordini di sorveglianza emessi in tutta la Svizzera, scoprendo che di questi quattro crimini, tre avevano rivestito un ruolo molto marginale. Nel 2012 le sorveglianze ordinate per traffico di droga costituivano circa il 40%. Degli oltre 10.000 ordini di sorveglianza complessivi, 41 casi appena riguardavano la pornografia infantile, 79 la criminalità organizzata e 239 il terrorismo. Persino un sostenitore della linea dura come il procuratore capo del cantone di San Gallo Thomas Hansjakob, fervente promotore della LSCPT, in occasione di una tavola rotonda all’Università di Zurigo ha dichiarato che saranno stati all’incirca un centinaio di casi (circa 50 di pornografia infantile, e circa altrettanti di reati economici) sui quali, nella peggiore delle ipotesi, non sarebbe stato possibile indagare. Nulla di grave, secondo Hansjakob, il quale ha aggiunto di infuriarsi al pensiero che i dati, pur essendo stati conservati, non fossero accessibili. Questa affermazione mette in luce un problema di fondo nel dibattito sull’ampliamento del campo di applicazione della sorveglianza, e cioè che è dettato da desideri e avidità invece che da necessità ed efficacia. Pertanto l’indispensabilità di introdurre questo ampliamento non è comprovata. L’istituto tedesco Max Planck, dopo aver analizzato l’efficacia dei metadati, è arrivato persino alla conclusione opposta. Uno studio pubblicato nel 2010 sostiene che, in un confronto con la situazione tedesca, non esistono prove che la memorizzazione dei metadati attuata in Svizzera da circa un decennio abbia contribuito in maniera sistematica al miglioramento delle indagini. Per questo nel dibattito sulla LSCPT si preferisce far leva sulle affermazioni dei gruppi di interesse. Naturalmente i pubblici ministeri apprezzano il fatto di ricevere più informazioni, avere accesso a raccolte di dati più ricche e disporre di mezzi di sorveglianza più efficaci. Ma tutto questo è davvero necessario? E giustifica una violazione di tale gravità della sfera privata di tutti i cittadini e tutte le cittadine?

* Carlos Hanimann è redattore alla WOZ .

Nullaosta politico allo spionaggio sul web Durante la sessione estiva, il Parlamento ha esaminato due leggi relative alla sorveglianza. La Legge sulle attività informative (LAIn) costituisce la base giuridica del Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC). Con 37 voti contro 2 e tre astenuti, l’11 giugno il Consiglio degli Stati ha accettato di accordare più mezzi, già non trascurabili, di investigazione e antiterrorismo. Se la sicurezza interna o esterna dovesse essere considerata in pericolo o dovessero essere minacciati importanti interessi nazionali, il SIC potrà sorvegliare comunicazioni (posta, telefono, posta elettronica), localizzare persone, posizionare microfoni in luoghi privati o ancora installare “cavalli di Troia” nei computer considerati sospetti (art. 25) e anche utilizzare dei droni. Il SIC potrà incaricare il servizio responsabile dell’esplorazione della rete cablata di registrare i segnali trasmessi attraverso la rete filare che attraversa la Svizzera (art. 38). Ciò che la legge ribattezza allegramente “esplorazione della rete cablata” altro non è che la massiccia sorveglianza di tutte le comunicazioni elettroniche (contenuto integrale delle comunicazioni elettroniche come le e-mail, le ricerche o la telefonia via Internet). Il SIC ottiene così il potere di mettere preventivamente sotto sorveglianza tutta la comunicazione elettronica poiché oggi tutte le comunicazioni elettroniche varcano le frontiere. Il 17 giugno, per controbilanciare questa estensione di mezzi, gli Stati hanno anche accettato la creazione di un’autorità di sorveglianza indipendente ope-

rante in coordinamento con la delegazione parlamentare incaricata dal SIC. La sinistra è divisa su questa legge. «Noi sacrifichiamo la libertà sull’altare della sicurezza e, a dispetto della questione delle schede e delle rivelazioni di Snowden, andiamo verso dei servizi delle attività informative che sorvegliano tutto come la NSA» afferma Paul Rechsteiner (PS/SG). Un altro partito della sinistra, che ha discretamente modificato il testo in commissione, ritiene che il progetto sia equilibrato. Il Nazionale esaminerà presto le restanti divergenze. Potrebbe essere lanciato un referendum. Il 17 giugno anche il Consiglio nazionale si è pronunciato sulla revisione della Legge sulla sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni (LSCPT). Con 104 voti contro 80, ha seguito il Consiglio degli Stati e accettato di prolungare il periodo di conservazione delle informazioni postali, telefoniche e Internet da sei a dodici mesi. Con 115 voti contro 31 e 35 astenuti i deputati hanno approvato che software spioni detti “Government software” (GovWare) e IMSI-catcher possano essere utilizzati nell’ambito di procedure penali. Temendo, nonostante la presenza di alcune protezioni, l’attuazione di uno Stato ficcanaso, i Verdi, sostenuti da una parte dei socialisti e qualche UDC hanno tentato invano di opporsi alla legge. La Camera del popolo ha deciso che i dati telefonici e Internet debbano essere obbligatoriamente conservati in Svizzera. L’oggetto viene rimesso al Consiglio degli Stati. (red)

Gli USA fanno un passo indietro, la Francia in avanti 14 anni fa, in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti si sono dotati del «Patriot Act» che ha concesso larghissimi poteri alle organizzazioni antiterroristiche e ha permesso alla NSA di attuare il suo vasto sistema di sorveglianza – Prism – la cui entità è stata rivelata dall’ex-spia e gola profonda Edward Snowden. Il 4 giugno scorso, il Senato americano ha adottato l’«USA Freedom Act» che limiterà alcuni poteri di sorveglianza della NSA, contrariamente al prolungamento del «Patriot Act» nel resto del mondo. Il giorno stesso, mentre gli americani moderano, con una certa timidezza, i loro impeti di sicurezza, in Francia veniva aperta la discussione sul progetto di legge francese sulle attività informative. Al termine di una procedura con effetto di rullo compressore che ha reso quasi impossibile qualsiasi dibattito democratico sereno, i senatori il 23 giugno e i deputati il 24 giugno hanno adottato definitivamente il progetto di legge sulle attività informative. Le rivelazioni, tra i due, di Libération, Mediapart e WikiLeaks sullo spionaggio di tre presidenti da parte dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (NSA) americana, tra il 2006 e il 2012 almeno, hanno avuto l’effetto di un fulmine a ciel sereno senza però perturbare il tenore delle discussioni nel Palazzo Borbone. Questo testo molto controverso prevede un’estensione inedita dei mezzi devoluti ai servizi delle attività informative ed è la copia conforme di tutto ciò che, negli Stati Uniti, ha dato origine a queste derive. La legge è ormai nelle mani del Consiglio costituzionale che ha un mese per esprimere il proprio parere. La decisione è attesa per il 24 luglio. (YS)



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syndicom | N. 7 | 10 luglio 2015 Rapporto annuale Postcom

Distribuzione a domicilio: c’è margine di miglioramento Anche nel 2014 il gigante giallo ha raggiunto gli obiettivi posti dall’autorità federale di sorveglianza. Risultano esserci però alcune problematiche. Sicuramente migliorabile la distribuzione a domicilio. Il mercato postale in Svizzera pare funzionare tutto sommato bene stando a quanto annunciato in conferenza stampa il 15 giugno a Berna dalla Commissione federale della posta (PostCom). Si sottolinea però anche che sicuramente può essere fatto di meglio a livello di distribuzione a domicilio. Stando ai dati il postino non passa più in 897 domicili. Si tratta di 69 abitazioni in meno rispetto al 2013. Un’erosione di piccoli numeri ma costante di anno in anno. Al proposito sono stati presentati cinque reclami da parte di privati. PostCom osserva con attenzione questa tendenza da parte della

Posta di sopprimere gradualmente la consegna della posta a case isolate. «Di fatto però non si vuole fare un discorso generico ma un’analisi specifica di caso in caso per analizzare se le alternative proposte dalla Posta sono praticabili o meno» ha sottolineato Georges Champoud, vicepresidente dell’autorità di sorveglianza.

Diminuiscono sempre più gli uffici postali Il rapporto rileva anche che gli uffici postali nel 2014 erano 1.562, ossia cento in meno rispetto al 2013. La chiusura degli uffici postali è stata rimpiazzata con

Inchiesta Swisscom: 2.000 partecipanti Il 9 e 10 giugno syndicom ha svolto un’inchiesta tra i lavoratori e le lavoratrici di Swisscom per avere una valutazione sulla nuova struttura data dal progetto Claire e il processo che vi ha portato. La partecipazione è stata di oltre 2.000 dipendenti. I risultati hanno presentato diverse sfaccettature che syndicom discuterà con con la dirigenza Swisscom. In occasione degli appuntamenti di settore i risultati verranno presentati anche ai/alle dipendenti.

le ormai famose agenzie presso i negozi di paese. In Ticino gli ultimi due uffici finiti sulla lista della chiusura sono Mendrisio Borgo e Chiasso Boffalora. Qui la Posta pensa di sostituire il servizio con un’agenzia presso la Migros.

al via Una Ricerca di esperti PostCom ha deciso di avviare una ricerca scientifica di esperti al fine di analizzare le condizioni di lavoro nel settore nella sua totalità. Terminato ormai il periodo per adeguarsi ai nuovi regolamenti, le aziende che non osservano i parametri devono aspettarsi che PostCom avvii una procedura di sorveglianza e in base ai risultati di investigazione prendere se del caso le misure previste agli articoli 24 e 25 LPO. Per syndicom questa sarebbe la giusta direzione da seguire anche se si tratta di un passo ancora troppo timido. syndicom si aspetta che PostCom abbia un ruolo più attivo. (red/ats)

Ancora scioperi in Germania Dal 9 giugno in Germania i postini hanno dichiarato guerra alla Deutsche Post. Sostenuti dal sindacato ver.di lo sciopero ha visto punte di 24.000 dipendenti. Ad aver scatenato la sospensione del lavoro le modifiche strutturali e salariali previste da quando la posta tedesca è diventata privata. Alla filiale Delivery sono previsti infatti tagli di circa il 15% degli attuali stipendi. Lunedì, dopo una trattativa serrata durata 3 giorni, lo sciopero è stato revocato in quanto è stato raggiunto un accordo valutato soddisfacente dal sindacato ver.di.

Una giornata con Cablex Durante tutta una giornata syndicom ha accompagnato una squadra di Cablex nel suo lavoro per poter fare una fotografia della quotidianità di questo settore. Il ritrovo è fissato alla sede Cablex di Gümligen il 26 maggio di primo mattino. All’accoglienza Urs Nyffenegger (dirigente del progetto di rete/ servizio) ci indica il programma della giornata e ci assegna a diverse squadre. Il primo incarico ha permesso di vedere come viene posto un cavo di rete. Da una bobina è stato tirato un tubo di plastica, fatto scendere in un pozzo. Ad un certo punto si è introdotto nel tubo un cavo elettrico di distribuzione. Ho fin da subito notato come il lavoro venisse svolto con una comunicazione non verbale. Ogni mossa è ben definita e ognuno nel team sa cosa gli spetta fare. Ognuno dei componenti della squadra ha infatti una certa esperienza professionale che permette al gruppo di lavorare in armonia. Queste prime impressioni si sono poi rivelate fondate anche negli incarichi successivi. La giornata di lavoro è poi terminata con un bilancio decisamente positivo soprattutto dal punto di vista umano. (FD)

Cassa pensione della Posta

Flessione del rendimento: effetti sulle rendite Visto l’andamento dei mercati finanziari, la Cassa pensione della Posta si attende in futuro un rendimento al ribasso. Al fine di poter garantire il corretto finanziamento delle rendite future, a decorrere dal 1° gennaio 2016 la cassa pensione abbasserà sia il tasso d’interesse tecnico che i tassi di conversione. Per ammortizzare gli effetti delle flessioni e poter mantenere il livello di prestazioni odierno, le delegazioni impegnate nelle trattative di Posta, syndicom e l’asso-

ciazione del personale transfair hanno trovato un accordo sui seguenti provvedimenti: • La flessione dei tassi di conversione verrà in gran parte compensata con i depositi sui conti di risparmio individuali degli assicurati attivi. • I contributi di risparmio del datore di lavoro e del dipendente vengono incrementati di un punto percentuale ciascuno.

Maggiori informazioni all’indirizzo www.pkpost.ch.

Commento

Riduzioni delle rendite? Non con noi! Solo delle commissioni dei lavoratori forti presso i consigli di fondazione delle casse pensione e sindacati solidi evitano riduzioni delle rendite per i futuri beneficiari! Non si tratta di qualcosa campato per aria. La dimostrazione di tutto ciò è stata ottenuta in occasione delle trattative con la Cassa pensione della Posta per ammortizzare il calo del tasso d’interesse tecnico al 1° gennaio 2016. Siamo intervenuti nelle trattative con la richiesta di «una vita dignitosa nel corso della vecchiaia». E il risultato è evidente: si è potuto mantenere il livello delle rendite e gli incrementi dei contributi per i dipendenti sono moderati. Ciononostante, la previdenza professionale (LPP) in Svizzera è una «costruzione sbagliata» e si basa semplicemente sul fatto che la crescita proseguirà sempre in questo modo. Tuttavia, proprio in periodi d’incertezza, i mercati finanziari registrano andamenti «folli». Anche la fatale decisione della Banca nazionale svizzera (BNS) di abolire il tasso minimo per l’euro e di introdurre interessi negativi ha delle ripercussioni notevoli. Tale decisione interessa ancora una volta le casse pensione che, per garantire i pagamenti delle rendite, devono detenere grandi quantitativi di liquidità. Tuttavia, non sono certo i miliardari in Svizzera a risentire di queste crisi. No, sono i normali dipendenti a dover trangugiare questo «amaro calice». Alla paura di perdere il posto di lavoro si associa il timore di dover vivere con una rendita nettamente inferiore nel corso della vecchiaia, e questo in uno dei paesi più ricchi del mondo. Grazie all’iniziativa «AVS plus» dell’Unione sindacale svizzera (USS), oggetto di una votazione l’anno prossimo, i sindacati cercano altresì di correggere gli andamenti errati nell’ambito della previdenza di vecchiaia in Svizzera e di procedere a passaggi dal secondo al primo pilastro. In questo modo creiamo una maggiore sicurezza sociale. Fritz Gurtner, responsabile settore Logistica

Conferenza aziendale

Cablex, promesse non mantenute

A dicembre erano stati dati tre mesi all’azienda per intervenire su diverse tematiche. Il termine era poi stato prolungato. Ora è tempo di agire. L’anno scorso presso Cablex sono emersi diversi attacchi alla legge sul lavoro e al contratto collettivo di lavoro che hanno fatto discutere molto. Il rimborso parsimonioso delle spese e degli abiti di lavoro, così come certi toni bruschi adottati nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici hanno in molti casi fatto deteriorare l’ambiente di lavoro. A dicembre in occasione di una conferenza aziendale il personale sindacalizzato ha deciso di accordare

a cablex tre mesi di tempo. Alla conferenza di marzo sono stati constatati alcuni miglioramenti per cui è stato dato un ulteriore termine per fine giugno per valutare il successivo procedere. Il 3 luglio ha avuto luogo un’altra conferenza durante la quale ci si è dovuti rendere all’evidenza che Cablex non ha mantenuto le promesse fatte. Diversi colleghi hanno infatti riferito che la penuria di personale ha portato negli ultimi mesi a dei tem-

pi di lavoro molto lunghi come mai in precedenza. I dipendenti sono però disposti a dare al nuovo CEO Daniel Binzegger una possibilità di cambiare la situazione. La Conferenza di settore ha dunque deciso di formare una delegazione di colleghi e colleghe delle diverse regioni che affiancherà syndicom al tavolo d’incontro con il Ceo di Cablex. Lo scopo è di trovare al più presto delle soluzioni in uno spirito collaborativo. (SF)


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VISITA A SKYGUIDE

I cavalieri del cielo

il cuore di Skyguide ∙ La stanza di controllo monitora costantemente.

Per entrare a skyguide bisogna avere tutte le carte in regola. Come per una cipolla, ci sono diversi strati – garitte, portelli, e poi la presentazione di un badge – per raggiungere finalmente il cuore: le sale macchine e di controllo. L’esempio di pirateria informatica che a fine giugno ha paralizzato l’aeroporto di Varsavia per cinque lunghe ore dimostra la serietà delle minacce. A Ginevra, solo una piccola parte del personale – incaricata degli atterraggi e dei decolli – lavora nella torre di controllo. La maggior parte del personale di skyguide lavora in un altro edificio, a qualche passo, e si occupa di tutto ciò che concerne il proseguimento del volo e gli aerei che attraversano la Svizzera senza farci scalo. Daniel Ferretti, rappresentante della sezione controllo aereo e membro di syndicom, ci fa da guida in questi luoghi che egli conosce come le sue tasche. Nel seminterrato si trovano delle infrastrutture per generare energia di soccorso e di climatizzazione. Il pianoterra è dedicato agli equipaggiamenti tecnici, ovvero agli oltre 60 sistemi informatici necessari per il controllo aereo e i loro sistemi ridondanti (comunicazione, navigazione, sorveglianza radar, integrazione e visualizzazione dei dati). Nelle file di server informatici lampeggiano migliaia di piccoli bottoni multicolore. Appassionato di aviazione e d’informatica, Ferretti conosce tutti i trucchi del mestiere al quale lui è approdato ben prima dell’arrivo dei computer. «Il mio ruolo? Sapere se i 60 sistemi funzionano, e se

© YVES SANCEY

250 velivoli sorvegliati in simultanea

dipendenti Skyguide ∙ Daniel Ferretti, socio syndicom e rappresentante della sezione Sicurezza dei voli (a sinistra), e Roger Gaberell, responsabile della comunicazione presso Skyguide (a destra).

c’è un guasto poterli commutare e riavviarli. Bisogna sapere come interagiscono tra loro tutti i sistemi ed essere in grado di dare dei buoni consigli al caposala in caso di avaria, e la cosa più difficile è stimare il tempo che ci vuole per la riparazione!». La sala di controllo, dove egli ha la sua postazione, è situata al primo piano ed essa ospita varie équipe suddivise a seconda della diversa altitudine degli aerei. «In media, ci sono dai 15 ai 25 aerei per settore. E ci sono 10 settori. Dunque Ginevra può controllare simultaneamente fino a 250 aerei con un massimo di 18 persone. E il loro lavoro è contornato da numerose reti di sicurezza tecnica» spiega Ferretti. Al secondo piano si trova l’amministrazione.

Benessere fisico e psichico Per affrontare una tale sfida, è importante che questo personale altamente qualificato possa lavorare a delle buone condizioni. «skyguide dà molta importanza al benessere fisico e psichico dei suoi lavoratori. Delle buone condizioni di lavoro sono anche una buona motivazione per del personale al quale si chiede molto» commenta Roger Gaberell, responsabile per la comunicazione. «Mirando a questo obiettivo, noi favoriamo lo sviluppo del personale, offrendo delle condizioni di lavoro vantaggiose e promovendo la salute e forme flessibili di lavoro».

«Un recente sondaggio tra il personale evidenzia bene il nostro clima di lavoro: l’87% si dichiara soddisfatto della professione soprattutto in rapporto al contenuto lavorativo» continua Gaberell. La fluttuazione del personale (ca. 2%) è molto bassa e l’anzianità del personale si aggira mediamente sui 13 anni. Per fidelizzare i dipendenti, la cui formazione costa relativamente tanto, e per compensare il lavoro notturno e domenicale, l’azienda offre degli ottimi stipendi, del tempo di recupero dopo un servizio di picchetto, dei perfezionamenti, delle possibilità di fare carriera e una buona cassa pensione. «Inoltre difendiamo una cultura aperta. Se una persona non sta bene, se ha fatto un errore o vuole riferire di altri problemi, essa può chiedere un colloquio senza alcun timore. Ci prenderemo a cuore la questione senza che quella persona debba temere per il proprio posto» ci tiene a precisare Gaberell. Skyguide ci tiene molto al partenariato sociale. Lo testimoniano i frequenti incontri con i sindacati, specialmente in seno alle commissioni CCL. «C’è un’ottima intesa con syndicom» sottolinea Roger Gaberell. Ferretti conferma che i negoziati per il rinnovo del CCL per marzo 2016 si stanno svolgendo in un clima molto costruttivo. «Skyguide è un buon datore di lavoro, grazie anche al lavoro e

© SKYGUIDE

Garantire una gestione sicura, fluida ed economica del traffico nello spazio aereo svizzero e nello spazio dei paesi limitrofi, ecco qual è il mandato di skyguide, un’azienda di diritto privato a scopo non lucrativo con sede a Ginevra e per il 99,9% in mano pubblica. In un anno, 1.400 persone sorvegliano oltre 1,1 milioni di voli – di cui circa 500.000 arrivi e partenze – gestiti su 14 basi, di cui anche Lugano, ma soprattutto distribuiti sui due centri di Ginevra e Kloten/Dübendorf. Siccome nei nostri cieli centro-europei c’è un denso intreccio di vie aeree, la gestione dello spazio aereo in Svizzera si presenta particolarmente complessa. Dietro ogni punto sui monitor di controllo si celano dalle 200 alle 300 persone la cui vita è in mano ai dipendenti di skyguide.

© YVES SANCEY

Ogni giorno 26.000 aerei sorvolano l’Europa, e di questi 3.150 sono gestiti da skyguide. La redazione si è recata sul luogo di lavoro per capire meglio la posta in gioco a livello di sicurezza nei cieli e per conoscere un po’ più da vicino i lavoratori di quest’azienda. Quale partner sociale, syndicom sta negoziando proprio in questo periodo il CCL.  Yves Sancey

sullo schermo lo spazio aereo ∙ Possono essere controllati fino a 250 aerei da un massimo di 18 persone.

alla collaborazione con syndicom. È importante che i nostri dipendenti si appoggino ad un partner sociale così affidabile» ribadisce Gaberell.

Nubi nere all’orizzonte Tuttavia la sorveglianza aerea svizzera potrebbe dover affrontare grosse sfide ovvero subire dei forti scossoni nei prossimi anni a causa del concetto di «Cielo unico europeo» al quale la Svizzera e skyguide sono associati mediante gli accordi bilaterali. La Commissione europea vuole ottimizzare il traffico aereo in Europa per renderlo più efficace, più sicuro e meno nocivo per l’ambiente. Dal 2006, la Svizzera partecipa al progetto FABEC, che riunisce sei Stati (Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svizzera) per creare un blocco funzionale di spazio aereo comune e soddisfare le esigenze del Cielo unico europeo. Per Daniel Ferretti, si tratta di una «pura logica finanziaria che non ha niente a che vedere con l’aviazione». I criteri di performance applicabili al secondo periodo (dal 2015 al 2019), ancora in corso di trattativa, hanno suscitato dei dibattiti accesi in tutt’Europa. «Le trattative del CCL dovranno tenere conto di queste norme europee di abbassamento dei costi quando oggi abbiamo dei salari che aumentano automaticamente e indipendentemente dall’evoluzione economica» avvisa Roger Gaberell. «Insieme ai partner

sociali troveremo soluzioni soddisfacenti per tutti» assicura. Tutto questo potrebbe passare attraverso l’introduzione di un centro virtuale (Virtual Centre) che mira ad armonizzare e a modernizzare gli strumenti e i metodi di lavoro tra Ginevra e Zurigo. «La fusione virtuale e graduale di queste due basi permetterà soprattutto di migliorare la sicurezza, la flessibilità e la produttività del controllo aereo» informa Gaberell. Questo comporterà dei risparmi ma anche degli investimenti. «Questi risparmi arriveranno soltanto a lungo termine, perché all’inizio bisognerà raggiungere una complessità enorme per ottenere l’interoperabilità dei due centri e servirà più personale per realizzarla e mantenerla» aggiunge il Ferretti. «Questo fornisce uno splendido obiettivo a tutto il personale ed evita una guerra tra Ginevra e Zurigo. È un progetto comune. Per la vita dell’azienda, indipendentemente dai costi» sorvola. Come anche indipendentemente dalla conclusione di un buon CCL, mi permetterei di aggiungere.

trattative ccl syndicom è partner sociale e nelle trattative per il CCL rappresenta i lavoratori e persegue quindi gli interessi degli affiliati. (red)


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© NINA SCHEU

ccl industria grafica

Le trattative sono iniziate bene ma la lotta sarà dura Continua da pagina 1

Da anni syndicom si impegna a fondo per offrire ai propri membri la possibilità di seguire corsi legati alla loro professione e non solo. Ma un passo altrettanto positivo riguarda il regolamento per l’applicazione e il controllo del CCL necessario per poterlo decretare d’obbligatorietà generale (DOG). Processo questo che, ricordiamo, Viscom aveva purtroppo interrotto nel corso dello scorso anno venendo meno agli accordi sottoscritti. In questo regolamento viene definito il sistema di controllo nelle aziende, le sanzioni in caso di mancato rispetto del CCL e il suo finanziamento. E Viscom ha già sottoscritto e non mette quindi più in discussione il fatto che se ci sarà un CCL alla fine delle trattative questo sarà dichiarato DOG. La perseveranza e la ferma volontà del nostro sindacato e di Syna nel voler assolutamente

concludere questo aspetto burocratico ma comunque importante nel processo per il DOG prima dell’inizio delle trattative ha quindi avuto successo. Certo, manca l’ingrediente principale ovvero avere un CCL ma, come detto, ora nulla più si oppone alla realizzazione di questo importante obiettivo che da tempo il nostro sindacato si prefigge. Avere un CCL che valga per tutte le aziende e non solo quelle che fanno riferimento a Viscom. Ed è proprio sull’onda di questi primi risultati positivi che dobbiamo continuare a lottare per avere delle buone condizioni di lavoro anche in futuro.

Viscom vuole condizioni di lavoro cinesi? Al momento di prendere la parola prima di presentare le loro richieste, il direttore di Viscom, facendo riferimento al nostro articolo apparso su syndicom il giornale nell’edizione del 15 maggio, ha affermato che la sua

associazione non vuole introdurre delle condizioni di lavoro cinesi nell’industria grafica. Ma è davvero così? Si perché portare a 42 ore settimanali l’orario normale di lavoro in tutto il settore, quindi anche nella stampa di giornali, ridurre il supplemento per il lavoro notturno al 50% anche per questi colleghi dopo averlo già fatto per le tipografie commerciali, eliminare il supplemento per chi non può lasciare il posto di lavoro durante la pausa, eliminare l’indennità pasto, eliminare il salario minimo per il personale non qualificato, ridurre le indennità in caso di malattia, introdurre un articolo di crisi e altro ancora come vorrebbe Viscom cosa vuol dire allora? E se a ciò aggiungiamo il fatto che la nostra sola richiesta – il pensionamento anticipato – è stata giudicata una buona cosa, ma troppo costosa e quindi irrealizzabile, ecco che se non siamo in Cina siamo assolutamente ai suoi confini. Non c’è ombra di dubbio che Viscom, con queste rivendicazioni, sta smantellando l’attuale CCL. Una cosa che non possiamo assolutamente accettare!

Mettiamo pressione La nostra delegazione è uscita da questo primo incontro con un sentimento certamente positivo ma anche con la convinzione e la voglia di lottare. In primo luogo per difendere l’attuale CCL da questo duro attacco e in secondo luogo per cercare di portare a buon fine anche il progetto di pensionamento anticipato. Viscom ha individuato nel per-

come il Ticino, Ginevra, Giura, Basilea campagna o San Gallo. Così come l’introduzione delle 42 ore settimanali quale orario di lavoro normale significherà dare luce verde ai licenziamenti per quelle tipografie commerciali dove il lavoro è appena sufficiente per garantire le 40 ore settimanali. È perciò necessario unirsi e mettere tutta la pressione possibile al fine di impedire

«Non c’è ombra di dubbio che Viscom, con queste rivendicazioni, sta smantellando l’attuale CCL. Una cosa che non possiamo assolutamente accettare!». sonale che lavora di notte, ma in particolare presso i centri per la stampa dei giornali il terreno sul quale sferrare un incredibile attacco. Eliminare il salario minimo per il personale non qualificato spalancherà le porte al dumping salariale in tutto il settore dell’industria grafica, in particolare nelle regioni periferiche. Ci possiamo immaginare già oggi cosa potrà succedere in cantoni

tutto questo. Abbiamo davanti a noi mesi intensi, ma d’altro canto questo è il compito del sindacato. Lottare per garantire buone condizioni di lavoro. Noi ci siamo. Ora mettiamo la pressione.

Angelo Zanetti, segretario centrale industria grafica e imballaggio

nzz print

Gli ultimi giorni di Schlieren

Le rotative potrebbero ancora andare avanti giorno e notte da quante commissioni ci sono. Invece ora la tipografia viene chiusa e tutto il personale mandato a casa: la nostra ultima visita alla stamperia della Neue Zürcher Zeitung.  Adrian Riklin L’iscritto a syndicom Thierry Grandchamp sembra di ottimo umore questo venerdì sera. Mi saluta all’ingresso laterale dell’edificio della NZZ a Schlieren, situato proprio accanto alla ferrovia. Grandchamp è uno dei 125 lavoratori che devono svuotare il proprio armadietto per la fine di giugno. Da quando a febbraio di quest’anno è arrivata la decisione della direzione NZZ di chiudere la stamperia, gli incarichi sono vieppiù diminuiti.

Dipendenti molto stimati Come molti dei suoi colleghi,

il 44enne Grandchamp lavora a Schlieren da molti anni. Nel 1988 ha cominciato alla NZZ Print come apprendista. In tutti questi anni ha vissuto da vicino lo sviluppo delle varie procedure di stampa rotativa, dalla stampa di alta qualità alla stampa offset, contribuendo alla sua conformazione. Questa sera comincia il quart’ultimo turno del tecnologo di stampa – così oggi vengono chiamati i tipografi qualificati. Nonostante tutto, Grandchamp, nei sindacati da quando è apprendista (prima presso l’Unione svizzera dei Litografi, poi a comedia

e dal 2011 a syndicom), in qualche modo si sente sollevato: salvo quattro persone, 33 colleghi si sono fatti prepensionare, e gli altri 73 dipendenti della produzione hanno tutti trovato un nuovo impiego: «Questo dimostra che i dipendenti della NZZPrint godono di un’ottima fama nel settore. Anche tra i lavoratori non qualificati quasi tutti hanno ritrovato lavoro in un’altra tipografia». Lo stesso Grandchamp ha trovato lavoro in un’azienda di imballaggio e rotocalco a Volketswil, solo a pochi minuti di auto da casa sua.

Una certa nostalgia Giorno dopo giorno l’atmosfera si fa sempre più cupa nei corridoi di Schlieren. Sino alla fine di giugno, quando verranno stampati gli ultimi fogli e l’aria si farà ancora più spettrale.

Un cattivo segnale verso il settore La protesta di molti dipendenti NZZ (e il sostegno di molti operatori media e alleati solidali) contro l’annuncio a novembre della chiusura della stamperia sembra aver fatto abbastanza colpo sulla direzione fino a costringerla

a negoziare con i partner sociali un piano sociale passabile. Altrimenti lo smantellamento non sarebbe avvenuto in maniera così pacifica: era troppo alto infatti il rischio di uno sciopero e di un danneggiamento mediatico perenne dell’immagine di tutta l’azienda. Non dimentichiamoci che la metà del personale è iscritta al sindacato. «Con le indennità di buonuscita piuttosto alte la direzione ha voluto garantirsi la pace del lavoro. Ecco perché la resistenza contro la chiusura è stata tiepida», › Continua a pag. 8


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ritratti di dipendenti della tipografia di schlieren

Gli ultimi giorni di Schlieren Continua da pagina 7 commenta Dominik Dietrich, segretario regionale del sindacato dei media syndicom. A seconda degli anni di servizio sono state versate diverse mensilità e in più le indennità di turno. «È il miglior piano sociale degli ultimi vent’anni nell’industria grafica», conferma anche Grandchamp. «Ma questo non significa che condividiamo la chiusura, anzi», ribadisce Dietrich, che ha lavorato lì per anni come tipografo e che ha lottato duramente insieme con syndicom a favore di una continuazione della produzione nell’ambito di una procedura di consultazione finché è arrivata la decisione definitiva della chiusura a febbraio. Nel suo rapporto a gennaio, la commissione aziendale ha esposto in maniera dettagliata perché una chiusura fosse «economicamente inutile e strategicamente sbagliata». «Ma non è

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servito a nulla. La direzione del gruppo era ed è interessata soltanto a massimizzare i profitti», ecco le parole del Dietrich. «Il prezzo però lo paga l’intero settore: questa chiusura rappresenta un pessimo segnale verso l’industria grafica». Dominik Dietrich si rallegra del fatto che quasi tutti i dipendenti abbiano trovato un impiego alternativo: «Chi ha faticato di più a trovare un altro lavoro sono stati i lavoratori non specializzati». Il bilancio di Dietrich

cambia il fatto che è assolutamente irresponsabile a livello imprenditoriale chiudere un’attività del genere. La strategia che si nasconde dietro a questa decisione è altrettanto semplice quanto cinica: l’obiettivo è migliorare il risultato operativo del gruppo «dell’ammontare milionario» sacrificando la stampa di giornali. «Da anni non veniva licenziato nessuno alla NZZ Print. I tanti lavoratori di lunga data formavano una squadra perfetta

«Chi ha faticato di più a trovare un altro lavoro sono stati i lavoratori non specializzati». Il bilancio di Dietrich è che alla fine alla NZZ Print «ce la siamo cavata con un occhio nero». è che alla fine alla NZZ Print «ce la siamo cavata con un occhio nero». Sostanziose indennità, contributi al perfezionamento e il sostegno nel trovare un altro impiego, tutto questo non

e molto affiatata. E l’identificazione con l’azienda era oltre la media», riferisce Grandchamp. Egli dà un’occhiata all’orologio. Mancano pochi minuti al suo turno di notte. Soltanto ora, in questi ultimi frammenti di

silenzio, si percepisce la tristezza. «Quello che mi mancherà di più è l’atmosfera della nostra équipe» racconta Grandchamp. «Un’intesa così... oggigiorno è molto rara, è come se smembrassero una famiglia». Otto meno cinque. Thierry Grandchamp tende la mano verso la maniglia. «Ogni settimana ci sono lacrime di addio», commenta. E ride. «Siamo un allegro gruppetto multiculturale», dice salutandomi. «Qui un australiano, là un americano – e guarda: là arriva un argoviese!». Ed ecco che il tipografo è già sguizzato via nel fabbricato. Poco dopo si sente un gran rombo provenire dallo stabile. E mentre la macchina ad alta velocità, che pesa 120 tonnellate, che è lunga 68 metri e alta 13, ruota all’infinito spingendo le 124 000 copie verso le bobine e le torri di stampa attraverso la Wendestrasse negli apparati di piegatura, ecco che regna di nuovo, forte e chiaro, come se fosse eterno, il presente. Qui va tutto a gonfie vele.


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Dietro ai numeri, uomini e donne

“Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, si espresse Max Frisch nel prologo del documentario di A. J. Seiler Siamo Italiani. E dietro ai milioni guadagnati dai proprietari delle tipografie e dei giornali svizzeri, ci sono degli esseri umani con le loro vite, i loro sogni e delle passioni che non si fermano, neanche dopo un licenziamento collettivo. 7

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Questa serie di ritratti di 16 dipendenti della tipografia NZZ Print di Ursula Häne, fotografa alla Wochenzeitung, è apparsa sulla WoZ due settimane dopo l’annuncio della chiusura definitiva in febbraio. Questa decisione, che non mira ad altro che alla massimizzazione dei profitti, poiché la tipografia lavorava a pieno regime, lascia “a piedi” 125 persone. Questi piccoli ritratti sono un omaggio a tutti/e loro, senza i/le quali l’economia non girerebbe, i nostri giornali non sarebbero stampati e le tasche degli azionisti resterebbero perdutamente vuote. 1 Rita Pally (62), impiegata · «Adoro le piante». Rita Pally lavora a Schlieren da 25 anni. Siccome è cresciuta nella Curaglia romancia, parla tutte e quattro le lingue nazionali. In estate si fa prepensionare. Poi trascorrerà ancora più tempo nel suo orto a Oberengstringen e si dedicherà ancora più intensamente ai collage con i fiori pressati.

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2 Christian Möller (38), meccanico per gli impianti di produzione· «La famiglia dà un senso alla mia vita». Da sette anni il meccanico specializzato 12 raggiunge Schlieren sulla sua Honda. Là il turingio fa i turni per avere più tempo per la famiglia. Suo figlio Jan ha tre mesi, e l’altro figlio Carl ha nove anni. Fa parte della famiglia anche Lemmy (a sinistra in basso), battezzato con il nome del cantante dei Motörhead. 3 Noah Schamberger (25), tecnologo di stampa · «Sapere che l’industria tipografica non ha prospettive ti toglie letteralmente l’entusiasmo al lavoro». Schamberger lavora a Schlieren dal 2006, dove ha anche assolto il suo apprendistato. Cosa ne sarà del suo futuro professionale sta scritto nelle stelle. Sulla sua bicicletta autocostruita, con una marcia sola e senza freni, egli assapora la sensazione di libertà.

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4  Giuseppe Bufalino (60), aiuto stampatore · «Abitiamo in un vero paradiso». Giuseppe Bufalino di Thalwil lavora a Schlieren da ben 27 anni. Ora ha chiesto il 14 pensionamento anticipato. Presto il siciliano di nascita, che ha giocato a calcio per 50 anni e che è un Interista sfegatato «dalla nascita», avrà più tempo per la sua nuova passione: lunghe passeggiate con agli amici. 5  Jasmin Kündig (22), cuoca · «Il nuoto mi fa sentire bene», dice la Kündig, che da ragazza ha addirittura vinto la medaglia d’argento ai campionati regionali della Società Svizzera di salvataggio. Cuoca e panettiera/pasticciera dal 2011 cucina per il personale di Schlieren. Attualmente è alla ricerca di un nuovo impiego.

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6 Christof Goetschi (53), caposquadra stampa · «Aeromodellismo: ecco il vero riposo per me». Questo appassionato pilota di aereo-modellini approfitta di ogni minuto libero per dedicarsi al suo hobby. A partire dall’estate questo stampatore offset specializzato, che lavora alla NZZ Print da ben 22 anni, frequenterà 16 qualche corso di computer in più. 7 Marco Meyer (30), tecnologo di stampa · «Cambiare posto di lavoro può essere anche un’opportunità». Marco Meyer lavora alla NZZ come tecnologo di stampa dal 2010. L’appassionato di skateboard spesso si reca al suo posto preferito a Nuolen sul lago di Zurigo. Sul suo skateboard, ricevuto in dono l’anno scorso per il suo matrimonio, figurano le 24 firme dei suoi colleghi di lavoro. 8 Ostoja Spasojevic (58), aiuto stampatore · «L’anno scorso ho raccolto quasi cinque chili di fichi». Dopo 25 anni come aiuto stampatore presso la NZZ di Schlieren Ostoja Spasojevic in estate verrà prepensionato. Poi si cercherà un impiego part-time. Accanto al lavoro trascorre molto tempo a curare il suo giardino e non vede l’ora di raccogliere i frutti del suo albero preferito.

9  Thierry Grandchamp (44), tecnologo di stampa · «Ho dovuto cercarmi un altro lavoro». Thierry Grandchamp lavora a Schlieren dal 1992, dove ha anche fatto l’apprendistato. Per molto tempo l’appassionato tennista (ex campione junior della Svizzera orientale) ha organizzato il torneo NZZ. Potrebbe anche pensare di andare a lavorare nel sociale. Ora ha trovato lavoro in un’altra tipografia. 10 Oktay Bülent Serdaroglu (43), conduttore di macchine · «Io spero di ritrovare un buon clima di lavoro come quello che lascio – se possibile in una tipografia». Oktay Bülent Serdaroglu lavora a Schlieren dal 2004. Cresciuto a Istanbul, nel 1993 ha raggiunto la Svizzera da Trabzon. Spesso passa del tempo con suo figlio Mehmet nel locale dello Zenozena a Baar. Entrambi tifano l’FC Trabzonspor. 11  Jasmina Stankovic (21) e Petra Kneubühl (22), tecnologhe di stampa · «Sulle nostre bici stacchiamo la spina», dicono Jasmina Stankovic (a sinistra) e Petra Kneubühl. La Stankovic in estate finisce il suo apprendistato come tecnologa di stampa e poi vuole recuperare la maturità; la Kneubühl parallelamente al suo lavoro si sta perfezionando in Economia e management dei media. 12 Felix Tabulong (48), conduttore di macchine «Mi piace lavorare di notte perché così mi rimane molto tempo durante il giorno per allenarmi». Felix Tabulong lavora alla tipografia NZZ da 25 anni. Nei suoi giorni liberi questo signore, padre di due figli adulti, vive la sua voglia di movimento facendo jogging, nuoto e diverse arti marziali. 13  Jason Dähler (26), conduttore di macchine · «Nella thai-box posso scaricare l’energia in eccesso». Jason Dähler lavora alla tipografia NZZ da quasi quattro anni e lì è responsabile per la riparazione dei guasti a diversi impianti. Tre volte la settimana raggiunge il paese vicino di Dietikon per allenarsi. 14 Franko Brajkovic (48), manovratore di macchine · «la decisione della direzione di chiudere la tipografia per fine giugno è stata una pugnalata al cuore». Franko Brajkovic lavora alla tipografia NZZ da quindici anni. Egli manovra e sorveglia macchinari per l’indirizzamento e l’imballaggio. Egli apprezza il buon clima di lavoro. Nel tempo libero si dedica alla sua passione, la danza, al momento soprattutto salsa. 15 Marcel Keller (43), conduttore di macchine · Il meccanico specializzato di macchine lavora a Schlieren da quattro anni. «Se vedo qualcuno che legge il giornale sul tram mi rallegro – mi piace contribuire alla diffusione delle conoscenze»: egli è responsabile che le riviste allegate (anche quelle della WOZ) vengano inserite correttamente. Inoltre è un fotografo appassionato. www.flickr.com/photos/radical_overflow. 16  David Pierlot (33), responsabile turno attrezzatura con qualifica di meccanico per automobili · «Mi piace fare i turni perché così ho molto più tempo per Estelle e Maxime». Come capoturno organizza il lavoro di spedizione e sorveglia la produzione: «Sempre nuove sfide, questo lavoro è pane per i miei denti».


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syndicom | N. 7 | 10 luglio 2015 giornalista agricola

“Un giornalismo da pollice verde”

A febbraio Eveline Dudda ha rassegnato il suo mandato come redattrice capo presso la rivista Freude am Garten. Non voleva più accettare che l’editore mischiasse contenuti redazionali e pubblicità. Ecco il ritratto di una che non molla. Suleika Baumgartner* regole fondamentali, una di queste è quella di non ingannare il lettore ad esempio rendendo ben differenziato un contenuto giornalistico da uno di carattere pubblicitario cosa che nella conduzione della testata sembrava una battaglia impossibile da vincere, motivo per il quale Eveline Dudda suo malgrado si trova a dover rinunciare all’incarico e il sindacato l’ha aiutata ad ottenere quanto le spettasse.

Dalla consulenza sul compost al giornalismo agricolo Per difendere la propria professionalità bisogna avere le idee in chiaro e queste spesso si hanno a dipendenza del percorso di vita. Eveline Dudda vive da 14 anni con il suo partner in una casa con orto e giardino, colombaia e frutteto nella periferia di Altstätten/ SG. Dal suo accento si direbbe che proviene dal Vorarlberg austriaco, invece è originaria di Stoccarda. Siccome voleva fare qualcosa che avesse un senso per lei, ha studiato agronomia. Ma già durante il praticantato è rimasta incinta. Quando a 21 anni ha iniziato gli studi, aveva messo al mondo già due bambini. Ragazza madre si è finanziata la sua formazione distribuendo giornali e facendo la commessa al mercato ortofrutticolo. Già allora viaggiava regolarmente per le montagne svizzere: «Attraversare la valle del Reno in treno era come arrivare a casa».

Eveline nel suo giardino a Hinterforst, nella valle del Reno sangallese.

Poi il trasferimento nei Grigioni, dove prima ha condotto una casa vacanza insieme ad altri, poi ha lavorato all’ufficio della gestione ambientale di Coira. Dopo aver diretto una campagna nazionale a favore del compostaggio decentrato, ha cominciato a dare dei corsi. Nel 1993 si è messa in proprio come consulente di compostaggio. Dopo sette anni ha

provato a fare qualcosa di nuovo: ha assolto una formazione come webpublisher e ha lavorato per una ditta start-up. Esperienza però che non è andata a buon fine.

Tematiche ambientali, un ampio settore Negli ultimi dieci anni si è affermata come “giornalista ambienta-

© SABINE ROCK

«Più volte mi è capitato di essere davvero contenta di poter contare sull’appoggio di syndicom», ci racconta Eveline Dudda. Il mondo del lavoro infatti è diventato sempre più una giungla e «io di episodi spiacevoli ne ho da raccontare». Una volta ad esempio si è trovata un suo articolo pubblicato più volte su diverse testate della “Südostschweiz” senza che la redazione ne avesse discusso con lei e senza che l’uso diffuso le venisse riconosciuto e retribuito. «In situazioni del genere per una giornalista freelance è davvero utile che il sindacato fornisca le giuste argomentazioni e che dia una consulenza giuridica». La storia poi è finita con un riconoscimento economico da parte della casa editrice. «In seguito i miei articoli sono stati sempre ben pagati», commenta Dudda, anche se ha visto sparire la “Südostschweiz” dalla lista dei suoi committenti. Purtroppo anche a febbraio 2015 si è trovata a bussare nuovamente alle porte di syndicom. Un anno prima la 56enne aveva assunto l’incarico di caporedattrice alla rivista “Freude am Garten” (Piacere nel giardino). I primi mesi sono stati dedicati a dare una nuova linea alla testata: «Volevo creare una rivista che offrisse di più che solo belle foto. In fin dei conti gli amanti del giardino sono persone come tutte le altre». Per ottenere un prodotto di qualità per un giornalista ci sono alcune

le”: «In nove casi su dieci le redazioni acquistano le mie proposte». Il suo vantaggio: «Non esistono molti giornalisti che dispongono delle necessarie competenze specifiche. Io invece ce le ho. E poi adoro analizzare le statistiche». E proprio nella politica agraria, dove le cose si fanno sempre più complesse, diventa davvero un’arte scrivere in maniera semplice e comprensibile. Attualmente Eveline Dudda sta lavorando a un libro sull’orticultura: «Finora non esiste nessun libro di giardinaggio che considera le caratteristiche tipiche della Svizzera». Per questo il suo libro conterrà anche dei consigli su come e quando piantare, suddiviso per regione. Inoltre Eveline Dudda è convinta che sul mercato ci sia ancora spazio per una nuova rivista di giardinaggio. Il progetto è già pronto, ora manca solo la casa editrice. Secondo la sua opinione, una rivista di giardinaggio dovrebbe essere talmente interessante da appassionare anche gente che non ha il pollice verde. Inoltre vuole tematizzare argomenti come praticare giardinaggio in città o nuove forme di distribuzione come l’agricoltura contrattuale e rivolgersi soprattutto alle giovani famiglie che sono un potenziale per il futuro della nostra società.

* Suleika Baumgartner è giornalista freelance a Zurigo.

punto e dirit to

Recupero dell’indennità di disoccupazione

La legge prevede, all’art. 25 LPGA, che le prestazioni indebitamente percepite debbano essere restituite. Tuttavia un’assicurazione sociale non può recuperare delle indennità giornaliere o delle rendite versate. Devono infatti sussistere motivazioni correlate a revisioni o riconsiderazioni. Ciò significa che l’ottenimento delle prestazioni dev’essere stato senza ombra di dubbio indebito o che, dopo il pagamento, sono emerse nuove prove o nuove fattispecie consistenti che giustifichino un recupero. Nel tuo caso, dopo l’ottenimento delle indennità giornaliere di disoccupazione, e anche dopo la disiscrizione dalla cassa di disoccupazione, è emerso che

tu, mentre percepivi l’indennità di disoccupazione, stavi portando avanti un’attività professionale con cui hai conseguito un reddito. Fondamentalmente un’attività professionale mentre si percepiscono delle indennità giornaliere è possibile, anzi è qualcosa di auspicabile. Tuttavia occorre dichiarare l’occupazione presso la cassa di disoccupazione. Poiché occorre tenere conto di un cosiddetto guadagno intermedio per l’ammontare delle indennità giornaliere. Laddove non venisse comunicato questo guadagno, viene violato il proprio obbligo di comunicazione. Un guadagno intermedio è opportuno da un punto di vista finanziario, e quindi non ci si dovrebbe

sottrarre dall’obbligo di comunicazione. Il salario conseguito, unitamente alle indennità giornaliere – seppur ridotte – è maggiore della sola indennità di disoccupazione. Per via della mancata comunicazione, il fatto che tu abbia lavorato mentre percepivi le indennità giornaliere è stato accertato dalla cassa di disoccupazione solo durante il controllo annuale di routine per conto della Segreteria di Stato dell’economia SECO con l’estratto dal conto individuale. Ecco perché la disposizione di recupero è stata presentata solo ora. Ciò è ammissibile e rientra nei termini di prescrizione. Una prestazione può essere infatti recuperata entro un anno da quando

si viene a conoscenza della fattispecie, al massimo però entro cinque anni dal percepimento. Dal momento che, per via della violazione dell’obbligo di comunicazione, è emerso che erano state ottenute troppe indennità giornaliere solo dopo il percepimento delle prestazioni, è consentito un recupero. La cassa di disoccupazione deve successivamente calcolare il guadagno conseguito come guadagno intermedio. Ciò determina una correzione delle indennità giornaliere che sono state versate in eccesso. La cassa di disoccupazione può quindi chiederti il rimborso di tale importo. Per i recuperi di prestazioni esiste la possibilità di presentare una richiesta di esonero. Nel

© Z VG

Due anni fa ho perso il posto di lavoro. Mi sono iscritto alla cassa di disoccupazione e ho ricevuto delle indennità giornaliere di disoccupazione. Durante la disoccupazione ho collaborato per un paio d’ore alla settimana presso un’azienda. Dopo un anno ho ottenuto in tale azienda un impiego a tempo pieno e mi sono disiscritto dalla cassa. Ora ho ricevuto una disposizione in cui compare che devo rimborsare le indennità giornaliere di disoccupazione. Per quale motivo?».

Olivia Kaderli, Master of Law, collaboratrice servizio giuridico

caso in cui le prestazioni fossero state percepite in buona fede e il rimborso rappresentasse qualcosa di molto oneroso, si può rinunciare, in tutto o in parte, al recupero. Una richiesta di questo tipo dev’essere presentata entro 30 giorni dal passaggio in giudicato. Occorre verificare la sussistenza delle premesse per un esonero. La cosa migliore da fare è rivolgersi al proprio segretariato regionale competente per una verifica più precisa.


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syndicom | N. 7 | 10 luglio 2015 editoriale

Un no tutto ticinese Continua da pagina 1

la scelta del voto si era fermata al primo stadio ossia quello della pancia, dell’emotività, del credo politico populista che vende la solita facile ricetta “meno tasse per tutti” o “quelli di Comano tutti scalda sedie di sinistra”. Pochissimi hanno in realtà pensato che il no sarebbe servito da ariete contro il servizio pubblico in generale o che avrebbe potuto portare effettivamente ad uno smantellamento dell’attuale offerta mediatica radiotelevisiva e conseguentemente al taglio di posti di lavoro, diretti o indotti. Beh, oramai questa votazione è andata. Noi rimarremo con le nostre pseudorisposte sociologiche sul perché del voto ticinese e la speranza che la dirigenza SSR voglia continuare a utilizzare la chiave di riparto delle entrate

COMMENTO zione finale, il Consiglio nazionale ha approvato il progetto con 109 voti contro 85. Ad opporsi sono stati soprattutto i gruppi UDC, Verdi liberali e buona parte del PLR. Durante le settimane prima della votazione si è scatenata una campagna mediatica in particolare della stampa scritta, contro la legge radiotv. Le testate ad aver utilizzato il mezzo di informazione per una campagna a dir poco parziale sono quelle che fanno capo appunto alle forze politiche citate, fatta qualche debita eccezione dovuta ad altri interessi. Ad esempio il “Corriere del Ticino” che nonostante la forte posizione del no iniziale ha dovuto ricordarsi che del loro gruppo fanno parte anche emittenti che usufruiscono di quei soldi “tanto iniqui” come Teleticino e Radio 3i e ha giocoforza dovuto raddrizzare il tiro durante lo scorrere delle settimane. Oltre dunque all’abuso del mezzo d’informazione per la propaganda dei propri interessi privati, il giorno

«Nella votazione finale, il Consiglio nazionale ha approvato il progetto con 109 voti contro 85. A opporsi sono stati soprattutto i gruppi UDC, Verdi liberali e buona parte del PLR». del canone con un prelievo circa del 4% dal Ticino e una ridistribuzione che dà al Ticino più del 20%. Rimane per me però importante spendere due parole su questo tema osservandolo da un altro punto di vista. Nella vota-

dopo i risultati delle urne, l’associazione stampa svizzera nella sua declinazione romanda, svizzero-tedesca e ticinese ha rilanciato per rivendicare quel principio a sé tanto caro ossia di uno smantellamento totale del servi-

zio pubblico d’informazione per dare maggiore campo all’economia privata. In poche parole secondo questi partiti che mettono al primo posto gli interessi di alcuni a scapito dell’interesse pubblico, l’offerta audiovisiva pubblica dovrebbe abbandonare completamente la sua attività sia di informazione locale, di dibattito politico che di intrattenimento se in questi campi i media privati possono assolvere questo compito. Insomma chissenefrega se domani dovremo pagare per vedere la tv non i 400 franchi odierni ma ad esempio gli 864 euro annui che paga un abbonato sky in Italia e che questi soldi vadano a rimpinguare imprenditori che si trovano un rafforzamento di un mezzo che oltretutto loro utilizzano senza dover rendere conto a nessuno, senza dover rispondere al rispetto delle minoranze linguistiche ad esempio, senza fornire un servizio per non udenti, facendosi un baffo di norme deontologiche o condizioni di lavoro di qualità. Se i cittadini e le cittadine non si rendono conto che è in atto una vera e propria strategia di smantellamento del servizio pubblico da parte delle grandi forze economiche del paese, che toccherà nei prossimi tre anni sicuramente l’informazione, la posta e le telecomunicazioni e che in futuro potrebbe coinvolgere anche sanità, istruzione e trasporti, beh mi viene da dire questo popolo sovrano si merita le conseguenze che ne verranno.

Stiamo assistendo alle discussioni intorno alla votazione sull’effettiva revisione tecnica della Legge federale sulla radiotelevisione (LRTV). Il passaggio a un’imposta per le economie domestiche indipendente dagli apparecchi è riuscito, seppur di stretta misura. I manager, che usano toni bellici, parlano di una battaglia persa, ma di un esito della guerra ancora aperto. Il quadro potrebbe sembrare eccessivo, ma l’affermazione di fondo è vera. Poiché quelle forze politiche che avevano ottenuto con la forza una costosa votazione con il referendum, non staranno con le mani in mano nemmeno dopo questa decisione. La loro missione prosegue. Infatti, il loro obiettivo consisteva nel ridimensionamento del servizio pubblico in generale e della SSR in particolare. Una ragione sufficiente, anche dal punto di vista sindacale, per occuparsi nuovamente in modo approfondito della questione su quale servizio pubblico vogliamo nei media e su cosa ci attendiamo dalla SSR. È chiaro che i media esercitano un ruolo sociale, culturale e politico e che la funzione di servizio pubblico della SSR per la Svizzera continua a essere importante: grazie all’informazione deve fornire un contributo alla libera creazione delle opinioni, allo sviluppo culturale, alla formazione e all’intrattenimento. In questo senso deve promuovere la comprensione, l’unione, lo scambio tra le parti in tutto il paese e la coesione sociale. Anche molti media privati contribuiscono al servizio pubblico offerto dai media. A differenza della gran parte delle case editrici e delle emittenti private, la SSR non lavora però per perseguire degli utili. Le cose funzionano in modo diverso. Programmaticamente può fare molto in tutta indipendenza, ma l’offerta dev’essere diversa da quella dei media commerciali, proponendo di più per la comunità. Dev’essere valutata in riferimento a tutto questo, e ne deve rendere conto. Stephanie Vonarburg, segretaria centrale divisione Stampa e media elettronici

Barbara Bassi

libertÀ di informazione e pluralismo all’epoca dei conflit ti

I giornalisti visti come traditori della patria

© Z VG

Il conflitto in Ucraina, dall’inizio del quale sono morti almeno otto giornalisti “sul campo”, è anche una guerra mediatica. Roman Berger*

Istantanea dal teatro di guerra dell’Ucraina orientale: un giornalista giace a terra. Sebbene indossa un giubbetto antiproiettile con la scritta “Press”, viene perseguitato da un combattente armato. Dallo scoppio della guerra civile nell’Ucraina orientale, 14 mesi fa, almeno otto giornalisti hanno perso la vita durante l’esercizio della loro professione. Nel conflitto ucraino i giornalisti non sono solo vittime di violenza, ma vengono anche strumentalizzati in una guerra mediatica. Entrambe le parti in conflitto

combattono a colpi di propaganda e di incitamenti all’odio. Alla televisione russa controllata dallo Stato si dice: «L’Ucraina è controllata da una giunta nazi-fascista». Dall’altro lato il governo ucraino conduce una «operazione antiterroristica» contro i ribelli. Gli abitanti delle “Repubbliche popolari di Lugansk e Donezk” sono indignati: «Siamo dei cittadini ucraini e non dei terroristi». La guerra civile in Ucraina e la nuova tensione tra est e ovest sono state occasione di una conferenza di due giorni a Vienna intitolata: “La sicurezza dei giornalisti. Libertà mediatica e pluralismo all’epoca dei conflitti”. La conferenza è stata realizzata dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). «È peggio che ai tempi della guerra fredda», sostiene il giornalista ucraino Yevhen Fedchenko. Il governo russo ha trasformato

l’informazione in un’arma. Attraverso il canale televisivo di lingua inglese RT (Russia Today) e il portale di notizie in 30 lingue Sputnik, Mosca è riuscita a scatenare una guerra mediatica globale. Paula Slier, una collaboratrice di RT, controbatte: «Era più che mai ora che l’Occidente ascoltasse oltre a CNN, BBC e Voice of America anche altri punti di vista». Lo specialista mediatico britannico Aidan White ricorda l’immagine offuscata dei principali media americani. Avendo questi ultimi avallato la propaganda del governo Bush finalizzata alla legittimazione della guerra in Iraq, molti americani sono ancora oggi convinti che Saddam Hussein disponesse di armi di distruzione di massa e che sia lui il responsabile degli attentati dell’11 settembre. «Evidentemente le bugie hanno un effetto a lungo termine, anche in paesi con mezzi di comunica-

zione liberi», sostiene White. Mikhail Zygar è redattore capo dell’unica emittente televisiva russa indipendente Doschd (pioggia). «Proprio perché siamo costretti a combattere contro la propaganda diffusa dalla televisione di Stato, in Russia ci sono ancora dei media indipendenti con un elevato livello giornalistico». Dopo che l’emissione ha rischiato la sospensione definitiva delle trasmissioni a causa delle pressioni del Cremlino, Doschd raggiunge nuovamente il 15% del ceto medio urbano: «Fintanto che continueremo a lottare, il regime non ci potrà annientare». Il formatore di giornalisti Boro Kontic di Sarajevo ricorda le guerre in Jugoslavia negli anni 90: «I giornalisti che allora in Bosnia Erzegovina volevano scrivere la verità venivano licenziati o dovevano mettere in conto la possibilità di morire». In tempi di guer-

ra l’opinione pubblica si aspetta dai giornalisti che si schierino come patrioti. Il rappresentante dei media per l’OSCE, Dunja Mijatovic, tenta, secondo le sue parole, «quasi l’impossibile». Intende fungere da mediatrice tra le associazioni di giornalisti di Russia e Ucraina. A Vienna le associazioni hanno pubblicato un manuale che contiene suggerimenti per i giornalisti in situazioni di conflitto. Ma nel loro paese rischiano di essere bollati come «quinta colonna» e traditori della patria poiché si intrattengono con il «nemico». All’insegna del motto “Due paesi, una professione” le associazioni dei giornalisti invitano alla solidarietà. Con la consapevolezza che, nel contesto di una guerra dell’informazione che si fa sempre più aspra, da soli non potranno salvare il giornalismo.

* Roman Berger è giornalista RP.


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Politica e società

Siamo ancora ferme al 1900?

Dalle elezioni di aprile è uscito in Ticino un governo di cinque uomini. In Gran Consiglio i seggi occupati da candidate sono invece aumentati. Uno spunto per interrogarsi sull’evoluzione della nostra società.  Barbara Bassi All’indomani delle elezioni cantonali che ci hanno regalato un Consiglio di Stato declinato al maschile, tutti i commenti esprimevano rammarico e stupore per la mancanza di una donna in governo. Rammarico tardivo e anche un po’ ipocrita, perché lo sapevano anche i paracarri che l’esito sarebbe stato questo, con buona pace di chi ha tirato in ballo la “sensibilità femminile” e il “punto di vista diverso” sui problemi. Dispiacere accantonato in fretta per gingillarsi con il numero di seggi (22) andati a candidate donne in Gran Consiglio, una percentuale del 24,4% che finalmente sfiora la media svizzera (25,5%). Un risultato positivo, ma forse non sufficiente per accantonare la riflessione sulle pari opportunità in politica. Di fatto, i 30 seggi aggiunti in Gran Consiglio nel 1971, dopo il diritto di voto alle donne, proprio per far loro posto anche sui banchi del parlamento, non sono ancora occupati da granconsigliere.

Serve più impegno dei partiti I legislatori che ci hanno preceduto erano senza dubbio ottimisti, credevano nell’essenziale apporto in politica di tutti – e dunque anche delle donne – e probabilmente avevano ben in mente che parte dell’elettorato era composto da donne. In Tici-

no le donne sono il 54% del corpo elettorale, ma pare sia una “quantité négligeable”. Ma tornando ai commenti post elezioni, nessuno che abbia detto una cosa elementare e semplice: se i partiti non candidano le donne e non credono fino in fondo nelle loro candidature, anche per posizioni di vertice, è molto difficile che le donne vengano elette. I partiti su questo punto hanno pronta la loro ricetta auto assolutoria: colpa delle donne che non votano le donne e colpa delle donne che non vogliono candidarsi.

La vit toria dei cliché A parte il fatto che la colpa non sta mai da una sola parte, le donne che si candidano sono poche, è vero, ma qualcuno si è dato la pena di chiedersi perché? La risposta si è avuta in campagna elettorale: una giovane candidata al Consiglio di Stato alla prima esperienza politica è stata derisa in modo vergognoso per la sua avvenenza; un’altra è stata mal sopportata perché ha voluto profilarsi come avrebbe fatto un uomo determinato a vincere. Insomma l’hanno fatta da padrone due triti cliché: se una è bella deve essere per forza un’oca, se una è volitiva è senza dubbio un’isterica rompiscatole. Considerazioni che non si fanno

su candidati uomini: il belloccio in lista funziona e nessuno si chiede se abbia anche sale in zucca, il risoluto è uno che sa il fatto suo anche se è alle prime armi e nessuno si sogna di dargli del saputello. Le donne non hanno questo lasciapassare. Se poi sono giovani e belle, apriti cielo, diventano subito materia di satira, come di fatto è stato. Satira che dovrebbe far riflettere e che è massima espressione di libertà. Chi ne paga però il prezzo sono quasi sempre le candidate e politiche donne. Troppo facile dire che se una scende nell’arena politica deve mettere in conto alcune cose, deve informarsi su quello a cui va incontro. Credo che neppure riflettendoci davvero bene, una candidata con una storia e una professione di tutto rispetto possa essere preparata a confrontarsi con una caricatura a sfondo sessuale che esalta le forme su un giornale satirico senza aver ancora mosso un dito per la politica del cantone. Un privilegio, questo sì, che sembra riservato solo alle donne. Un sindaco in mutande mentre taglia l’ennesimo nastro si è mai visto? O un Beltra-torace? Una vecchia battuta femminista dice che la parità sarà raggiunta quando una donna incapace otterrà un posto di

potere. Applicandola alla politica, ciò accadrà quando una donna bruttina e impacciata sarà eletta. Perché in politica siamo tutti, anche le donne, vittima di un modello di perfezione che però si applica solo alla minoranza, proprio perché numericamente meno rappresentata. Agli occhi dell’elettorato e anche dei media, la candidata donna deve essere super perfetta e rientrare nell’immagine stereotipata che abbiamo tutti e tutte verso il femminile: carina, dolce, remissiva, con la gonna non troppo corta ma non vestita da uomo, con una giusta attenzione al look ma senza essere frivola, intelligente e capace, ma non troppo brillante, con scarpe femminili ma non con il tacco 12, deve sapere le cose ma non troppo altrimenti è una maestrina, non deve mettersi troppo in mostra sennò è un’arrivista... Quale uomo riuscirebbe a passare questo esame? Quale politico uomo risponde a tutti questi requisiti? Quale persona, quale essere umano, può vincere contro un ideale? Nessuno presta attenzione alla brutta cravatta di un politico, alla pancia del candidato che deborda dalla cintura, ai suoi calzini corti, alle sue scarpe scoordinate, alla sua forfora sulla giacca. Se poi fa anche

qualche gaffe nessuno sta lì a ricordargliele a vita... Pensate a quanti uomini così abbiamo eletto senza neppure ferirli con la satira e che fanno comunque bene il loro lavoro.

Un cambiamento di prospet tiva necessario Lo potrebbero fare altrettanto bene anche le donne, dare il loro contributo, arricchire le discussioni, scompaginare carte e pensieri con l’apporto della diversità. Invece ci rinunciano. A ragione. Perché se al rischio di non essere prese sul serio, di subire una smodata pressione sull’aspetto esteriore, di sgobbare il doppio per dimostrare le loro capacità si aggiunge la fatica di coordinare l’impegno politico con quello professionale e familiare, è evidente che il piatto della bilancia salta e una donna si dica “ma chi me lo fa fare?”. Perché non proviamo a rispondere a questa domanda e a mettere in atto qualche contromisura? Alla fine si capirà che di un cambiamento di prospettiva e di visione ne abbiamo bisogno tutti. In politica e anche altrove. E non si tratta di femminismo, si tratta di correggere una stortura, di trovare una nuova rotta che migliorerebbe il nostro modo di fare politica e di trovare soluzioni.

Cat tivo gusto e volgarità

Quando lo zucchero diventa amaro Una banale bustina di zucchero che, nelle intenzioni di quella mente eccelsa che l’ha ideata, dovrebbe fare ridere a crepapelle. Una banale bustina di zucchero che veicola un messaggio davvero sublime: “Che differenza c’è tra una donna e il cane? Il prezzo del collare”. Una banale bustina di zucchero che circola nei locali pubblici del cantone che rende drammaticamente omaggio al livello culturale di questo paese, che spesso considera satira gli insulti e le più avvilenti manifestazioni di sessismo. Forse nel regno delle barzellette di Pierino – quelle che si scam-

© FRANÇOISE GEHRING

Una collega entra in un bar e ordina un caffè. Riceve anche una bustina di zucchero con su una barzelletta. Di regola è un divertente momento di chiacchiere tra colleghi e colleghe. Questa volta però quella bustina di zucchero proprio non va giù a nessuno dei presenti, né donne né uomini. Così è nata una denuncia pubblica per discriminazione. Gruppo Donne USS Ticino e Moesa

biano quando si è adolescenti ma che sono sempreverdi nelle menti bacate di chi continua a

considerare la donna un oggetto o una Barbie da esibire con il suo pony color pastello – “bat-

tute” di questo tipo trovano una certa fortuna. Il che è già deprimente di per sé. Ma che ora un caffè debba essere indigesto perché negli esercizi pubblici circolano bustine di zucchero con scritte sessiste, è francamente penoso. E di sicuro non addolcisce il caffè. Certo, ci si può dire: “Embè, quante storie, non si< può neanche più ridere… se ti dà fastidio non mettere lo zucchero nel caffè”. Oppure: “Abbiate più senso dello humour. E magari cercate di fare anche un pizzico di autoironia: chi si prende troppo sul serio finisce per stufare...”. Il punto non è rovesciare la

situazione e fare circolare bustine del caffè con affermazioni del tipo: “Che differenza c’è tra il cervello di un uomo e un guscio di noci? Nessuna, perché entrambi sono vuoti”. Qualche volta ci sentiamo dire che va bene fare una battuta sessista se corrisponde alla verità oppure se è divertente (ma divertente per chi?). Quello di cui alcuni non si rendono conto è che le battute sessiste espongono sempre al ridicolo il genere femminile. Non serve nemmeno fare prima una battuta sessista sugli uomini e poi una sulle donne, per garantire una sorta di “par condicio” del cattivo gusto.


Attualità Ticino | 13

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Salario minimo e altre misure per il Ticino

Pensionati: appuntamento sul Monte Lema

Il 14 giugno è arrivato un segnale importante da parte della popolazione ticinese, che ha accolto con il 54% dei voti l’iniziativa costituzionale “Salviamo il lavoro in Ticino”. Tutti i lavoratori devono essere retribuiti con salari dignitosi che permettano di vivere nel cantone, questo è il messaggio che passa con questa votazione. Ed è proprio questo l’aspetto indubbiamente molto positivo: la maggioranza del popolo ticinese ha capito che la strada da seguire per combattere il dumping è il miglioramento delle condizioni di lavoro, a cominciare dalla determinazione di un salario minimo garantito. Sulla base di quanto è accaduto nei Cantoni di Giura e di Neuchâtel, il salario minimo dovrebbe raggiungere i 3’500 franchi mensili. Questa soglia permetterebbe di migliorare le condizio-

ni di molti lavoratori impiegati nel nostro cantone, tuttavia sulla sua applicazione sussistono ancora dei dubbi. È ovvio che prima di dare un giudizio definitivo bisognerà comunque attendere come questa iniziativa sarà concretamente applicata. Non dobbiamo però farci false illusioni, in ogni caso i problemi del mercato del lavoro non si potranno risolvere attraverso l’introduzione di una sola misura (come forse l’iniziativa lascia intendere), bensì attraverso una serie di provvedimenti concreti. Al riguardo l’USS ticinese ha consegnato il 19 maggio un documento alla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) con un elenco di misure che, una volta applicate, potrebbero permettere un cambio di rotta dall’attuale degrado del mondo del lavoro. Esse vanno dalla “facilitazione del conferimento dell’obbligatorietà generale ai contratti collettivi di lavoro”, a una migliore protezione in caso di licenziamento abusivo, a una percentuale massima d’impiego di lavoratori interinali nelle aziende, a una serie di miglioramenti concreti dei diritti dei dipendenti sui posti di lavoro. Si propone inoltre uno stanziamento maggiore di fondi per permettere dei controlli più frequenti soprattutto nelle regioni di confine e si indi-

cano delle modalità per sanzionare gli abusi con un reale effetto deterrente. Sempre in questo documento per la prima volta si dimostra, statistiche alla mano, la diffusione del dumping salariale in Ticino. Le persone maggiormente toccate sono quelle con le retribuzioni medio-basse. Anche la SECO nel suo undicesimo rapporto del 23 giugno riguardante le ripercussioni della libera circolazione delle persone sul mercato del lavoro in Svizzera, ha per la prima volta riconosciuto l’esistenza del dumping salariale in Ticino. La SECO ammette anche l’importanza di applicare misure d’accompagnamento adattate per le regioni di confine. L’introduzione di un salario minimo e il riconoscimento, seppur tardivo, da parte della SECO dell’esistenza del dumping salariale in Ticino, sono segnali di cambiamento che vanno nella giusta direzione e che devono essere quindi salutati positivamente. C’è comunque ancora molto da fare, è un momento difficile per il lavoro nel nostro cantone, come ha riconosciuto anche la SECO. Non possiamo quindi abbassare la guardia ma dobbiamo continuare a lottare insieme alle lavoratrici e ai lavoratori per garantire delle buone condizioni di lavoro per tutti.

Castagnata in compagnia delle… stelle! È fissata per domenica 18 ottobre 2015 la castagnata annuale che quest’anno si terrà in uno scenario speciale: ci ritroveremo infatti sul Monte Lema dove potremo visitare l’Osservatorio astronomico. Il ritrovo è fissato a Miglieglia (717 m.s.m.), località da raggiungere con mezzi propri, per le ore 13.30. Poi con la moderna funivia in soli 10 minuti supereremo il dislivello di 849 metri per ritrovarci alla stazione d’arrivo sul Monte Lema. Il programma prevede la visita all’Osservatorio con l’accompagnamento di una guida. In seguito ci ritroveremo al Ristorante Ostello Vetta Monte Lema per la castagnata accompagnata da un aperitivo. La partecipazione è aperta anche ai famigliari. Per il rientro, l’arrivo alla stazione di Miglieglia è previsto verso le ore 18.15 circa. Costi: soci syndicom fr. 15.- (prezzo della funivia). Aperitivo e castagnata sono offerti. Famigliari, non soci fr. 20.- tutto compreso. Numero massimo di partecipanti 45. Iscrizioni entro il 18 settembre 2015 (fa stato l’iscrizione in ordine cronologico) al Segretariato di syndicom telefonando allo 058 817 19 61 oppure scrivendo all’indirizzo e-mail: ticino@syndicom.ch

Pensionati: visita all’esposizione di fermodellismo

© GALLERIA BAUMGAR TNER

© BB

Il 14 giugno è arrivato un segnale importante da parte della popolazione ticinese, che ha accolto con il 54% dei voti l’iniziativa costituzionale “Salviamo il lavoro in Ticino”.   Marco Forte

La pagina Web dei Pensionati ha un nuovo indirizzo

All’attenzione di tutte/i le/i colleghe/i pensionate/i Vi segnaliamo che abbiamo un nuovo indirizzo della pagina Web per accedere al sito dei Pensionati. È quello che trovate qui di seguito: http://www.syndicom.ch/it/gi/ pensionati/gruppo-regionale L’indirizzo attuale http://it. pensionierte.info rimane comunque ancora attivo ma d’ora in poi non verrà più aggiornato. In caso di domande o altro potete scrivere all’indirizzo e-mail ernesto.fenner@bluewin.ch o telefonare allo 091 857 30 88. Ringraziamo per la vostra cortese attenzione. Ernesto Fenner, responsabile sito web Pensionati

Trenini… che passione! Se è vero che nel nostro immaginario collettivo i treni hanno un ruolo simbolico importante, allora la visita all’esposizione di fermodellismo alla Galleria Baumgartner a Mendrisio può rappresentare una opportunità da non lasciarsi sfuggire. L’esposizione offre la possibilità di ammirare ferromodelli, plastici ferroviari in tutte le scale, modellismo navale e automobilistico di varie epoche. L’appuntamento è in calendario per martedì 22 settembre 2015 dalle ore 15. Il programma prevede il ritrovo alle ore 14.30 sul piazzale FFS di Mendrisio (da raggiungere con mezzi propri, posteggi disponibili di fronte alla Galleria). La durata della visita sarà di circa 1 ora e 30 minuti e si sarà accompagnati da una guida. La partecipazione è gratuita e aperta anche ai famigliari (massimo complessivo 40 persone). Iscrizione obbligatoria entro il 22 agosto telefonando al Segretariato al numero 058 817 19 61 oppure tramite e-mail a: ticino@syndicom.ch.


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storie di confine

Simone Cantoni a Como

Mario mascet ti

La sua famiglia era originaria di Caneggio, in Val di Muggio. Da qui e dalle valli attigue, giunsero, nei secoli, notevolissimi artisti e decoratori, tutti espressione di una lunghissima tradizione artistica che risaliva ai “magistri cumacini”. Detto Cantòn Grigo, fu uno dei maggiori eredi di questa corporazione di artigiani costruttori e uno dei più grandi architetti neoclassici in Italia. Mario Mascetti Simone Cantoni (1739-1818), il grande architetto neoclassico nativo di Muggio (formatosi a Roma e a Parma) fu senza dubbio, a suo tempo, il più apprezzato professionista tra le nobili famiglie comasche, che – si può dire – fecero a gara nel ricercare la sua firma, anche per picccole opere, mettendo in ombra i pur degni capomastri-architetti locali come Antonio Nolfi o Antonio Donegana, che occupavano come impresari la piazza cittadina. Il Donegana aveva pure concorso con un progetto per la cupola del Duomo; mentre il Nolfi aveva progettato, tra l’altro, la chiesa del Crocifisso. La prima incursione dell’architetto Cantoni da Milano, dove si era stabilito, verso Como, fu nel 1779 per progettare la nuova chiesa di S. Vito a Lomazzo, completata con la facciata nel 1795. Fu questo il suo primo progetto di chiesa; ne seguirono svariati altri, tra cui, nel Comasco, quello del 1798 (non realizzato) per la chiesa di S. Michele a Bregnano e quello del 1806 (realizzato) per il completamento della chiesa di Civello, commissionato dai Mugiasca. Disegnò pure la cassa dell’organo per la chiesa del Crocifisso in Como. L’approdo a Como di Simone Cantoni avvenne nel 1784, con la progettazione e la fabbrica di Casa Somigliana (ora sede della Camera di Commercio), seguita nel 1785 dai progetti per la grande “mole Odescalca”, voluta dal marchese Innocenzo Odescalchi sul luogo dell’antica casa degli Umiliati in riva al lago, dopo il Borgo Vico: Villa Olmo, ora di proprietà comunale. La costruzione era stata iniziata da Innocente Regazzoni nel 1782, ma il capomastro di Balerna già aveva fatto un disastro nel 1779 a Besazio, dove la volta del coro della chiesa da lui progettata e costruita crollò, provocando quello che da allora da queste parti si chiamò un “besàsc”. Altri problemi c’erano stati qualche anno prima per le chiese di Rancate e di Novazzano. Ora, anche per la fabbrica di Villa Olmo, il Regazzoni non appariva all’altezza delle aspettative del committente. Il marchese Odescalchi si rivolse, perciò, al Cantoni, per quel rifacimento che ha dato a Como la più grandiosa delle ville neoclassiche in riva al lago. Il Regazzoni continuò, tuttavia, a lavorare con il Cantoni, ma solo come impresario, anche per altre opere. Il marchese Odescalchi affidò all’architetto anche il rifacimento della villa di Fino (1802) e da altri Odescalchi nel 1795 gli fu chiesto un progetto di ristrutturazione di Castel Carnasino, verso Monte Olimpino, e di una casa in città. Il Cantoni conquistò l’ammirazione e la fiducia dei nobili comaschi, che gli conferirono, uno dopo l’altro, incarichi a catena. Nel 1787 i Mugiasca gli fecero ristruttura-

Laureato in Lettere, è stato insegnante di scuola media e assessore alla Cultura della provincia di Como. È autore inoltre di vari volumi di storia locale.

re la casa in Via Volta; nel 1790 il conte Giambattista Giovio gli chiese un nuovo progetto per la villa di campagna di Lissago a Breccia, già frequentata nel Cinquecento dal giovane Paolo Giovio. Nel 1791 il marchese Raffaele Raimondi gli affidò la ristrutturazione della casa lungo la stessa Via Volta, seguita da quella della villa di Birago; nel 1796 gli fece progettare la villa di Minoprio. Nel 1792 i Mugiasca lo richiamarono per intervenire su Villa Pizzo a Cernobbio e gli fecero progettare la bella villa di Mosino a Villa Guardia. Nello stesso anno il marchese Agostino Cigalini gli affidò la ristrutturazione della villa di campagna a Bernate; nel 1794 il Giovio lo chiamò di nuovo per riadattare gli interni e la facciata del suo palazzo cittadino (ora sede del Museo Civico). Ed ecco nel 1804 un incarico pubblico: la ristrutturazione del monastero di S. Cecilia per realizzare il Liceo della città. Nella facciata il Cantoni reimpiegò otto colonne romane di marmo cipollino, che stavano sul fronte del battistero di S. Giovanni in Atrio, in piazza S. Fedele. Per il Liceo disegnò anche gli scaffali della biblioteca. Nel 1808 il vescovo Giuseppe Rovelli lo incaricò della progettazione del Seminario, mediante la ristrutturazione dell’ex-monastero dell’Ascensione. Per seguire tutti i cantieri aperti, il Cantoni era costantemente impegnato in sopralluoghi, revisioni di progetti, fornitura di istruzioni per l’esecuzione delle opere, intesa con gli impresari e i pittori decoratori… La sua consulenza professionale non si limitava alle opere architettoniche murarie, ma si allargava alle decorazioni, agli infissi, ai camini, agli arredi mobili, ai giardini… Lo documentano i suoi taccuini, che danno conto, oltre che dei pagamenti ricevuti, anche di altri interventi, di cui non si hanno i disegni tra quelli conservati nell’Archivio Cantonale a Bellinzona, come la sistemazione dell’appartamento in casa del marchese Canarisi, compresi gli arredi, per il matrimonio del figlio; o come la visita a Casanova nella casa dei Somigliana, o a Cassina Rizzardi nella villa del conte Porro Lambertenghi, o all’Acqua Negra per progettare un “Casino all’Olandese” per il marchese Cigalini… «ma io lo farò alla Romana». Tra gli architetti neoclassici che hanno operato a Como e dintorni (Pollack, Cusi, Soave, Tatti, Amati) la parte del leone è decisamente presa dal “ticinese” Simone Cantoni, che – morto nel 1818 – fu sepolto a Gorgonzola, nel cimitero da lui progettato nel 1775.

nelle immagini A centro pagina: • Villa Olmo a Como Qui a sinistra: • Scorcio su Villa Cigalini Rosales a Bernate • La chiesa di S. Vito a Lomazzo, la prima progettata da Simone Cantoni

Fotografie: Mario Mascetti


Solidarietà Mondo | 15

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© Z VG

terremoto nepal 25 aprile 2015

Dalla stabilità alle macerie un ticinese cerca, faticosamente, di ricominciare Il terribile terremoto del 25 aprile che ha messo in ginocchio il Nepal, causando più di 8.000 morti e distruggendo migliaia di edifici, ha suscitato commozione e partecipazione da ogni parte del globo, ricalcando tristemente la catena solidale formatasi per aiutare la repubblica di Haiti nel 2010 e il Giappone nel 2011, anch’essi colpiti da violente scosse sismiche pochi anni fa.  Elena Turienzo* A distanza di un mese dal tragico avvenimento siamo entrati in contatto con il ticinese Stefano Mancini, classe 1961, trasferitosi in Nepal dopo anni di viaggio, per aprire una piccola fabbrica di prodotti di cancelleria, andata definitivamente distrutta a causa del cataclisma. Stefano, impiegato di commercio e casaro di professione, dopo aver gestito per anni un caseificio nell’Himalaya indiano, ora passato al figlio più grande, si trasferisce in Nepal dove apre una cartiera per la produzione di articoli di cartoleria come classatori, buste, quaderni, scatole e cartellette, tutti realizzati con macchinari molto antiquati e rifiniti artigianalmente dalle 15 persone che vi lavoravano (fra loro due ragazze hanno perso la vita lo scorso 25 aprile, mentre si trovavano sul posto di lavoro, ndr). Prima del terremoto la vita di Stefano scorreva in assoluta armonia, con la sveglia alle cinque del mattino, una puja (offer-

ta di fiori, incenso, acqua, frutta e fuoco a Sri Krishna, avatar dell’Essere supremo Vishnu nella religione induista) accompagnata da una colazione rigorosamente vegetariana, le canoniche otto ore in ufficio, per poi trascorrere il resto della giornata nelle serre e nei campi dove, oltre a coltivare verdure, si occupa di allevare la mucca della sua compagna Radhika, per poi tornare a casa e dedicarsi alla lettura e al riposo. Ma il terremoto dello scorso 25 aprile ha distrutto completamente la vita di Stefano, che ora è costretto a risorgere dalle proprie ceneri come l’araba fenice. Di tornare in Svizzera neanche a pensarci. «Mi toccherebbe stare in assistenza» dice Stefano, «oltre al fatto che non ho più un posto dove stare. Ormai è questa la mia patria. In Ticino non rientro da cinque anni, da quando è morta mia madre». Il villaggio di Patibara, dove Stefano aveva la fabbrica, è molto piccolo: vi abitano 700 abitanti,

ma è solo una frazione del villaggio di Sundarijhal, che conta 4.000 abitanti ed è conosciuto per costituire la tappa iniziale del trekking dell’Helambu e Langtang, entrambi andati distrutti. Il villaggio di Patibara si trova all’inizio del Parco Nazionale dello Shivapuri, a 15 km da Kathmandu, ed è il luogo dove Stefano possiede la terra in affitto con la mucca, le serre e la fabbrica, ma oggi non c’è più nulla di tutto questo. «Le serre non esistono più» sottolinea Stefano. «Ho dato le plastiche ai locali per costruirsi dei ripari dopo il sisma». Il villaggio di Patibara è tipicamente agricolo, come tutto il Nepal rurale. Le montagne costeggiano il villaggio e il Parco Nazionale dello Shivapuri è abitato da numerosi animali selvatici, al suo interno si trovano ulteriori villaggi, boschi di piante secolari, erbe medicinali e un’ampissima varietà di funghi. Dopo il terremoto la ricostruzione del villaggio procede a ritmi

lentissimi. Gli abitanti vivono all’interno di tende e ripari di fortuna. Ma i nepalesi, e Stefano con loro, non si danno per vinti. «A seconda delle possibilità, che sono comunque molto scarse, siamo tornati parzialmente alle nostre attività: chi gestiva un alimentari, chi un locale per il tè, chi fa il contadino… Abbiamo persino un orfanotrofio, che ha retto al terremoto grazie alle solide basi in cemento. Ma la situazione è grave e abbiamo bisogno d’aiuto». Oggi questa terra, che pareva potesse convivere armoniosamente con l’elemento umano, si è rivoltata brutalmente contro i suoi abitanti, estirpando vite come fossero erbacce, radendo al suolo edifici e sogni al medesimo istante, costringendo i sopravvissuti a fronteggiare una sfida apparentemente più grande di loro. E Stefano, come il resto dei nepalesi, in questo contesto apocalittico ha un solo obiettivo: vivere. Con tutte le sue forze e con ogni mezzo a disposi-

zione. Tendendo la mano ai suoi fratelli, provando, tutti insieme, con coraggio e dignità, ad alzarsi e continuare a sperare.

* Elena Turienzo è grafica e presidente del comitato per la comunicazione visiva Visual project di syndicom.

solidarietà Per aiutare Stefano e gli abitanti del villaggio di Patibara potete contattarlo all’email omcheese@yahoo.com oppure fare una donazione tramite Western Union (senza commissioni) a STEFANO MANCINI, Village Sundarijhal Patibara, Passport number X2282903 (da avvisare via e-mail a versamento effettuato).

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ISSN 1664-8978

Il prossimo numero uscirà il 28 agosto 2015. La chiusura di redazione è fissata il 10 agosto.


16 | In chiusura

syndicom | N. 7 | 10 luglio 2015 corsi ecap

Formazione & Gioventù

Piccoli lavoretti estivi e diritto del lavoro L’estate è alle porte, e con essa le vacanze lunghe. Per tanti alunni, liceali e studenti è anche il tempo dei piccoli lavoretti che permettono di mettere da parte un po’ di paghetta, oppure, come accade molto spesso, per finanziarsi gli studi. Quando si accetta un impiego del genere, si diventa un salariato come tutti gli altri. E quando si dice salariato, si dice regole del diritto del lavoro, stipendio dignitoso e rispetto delle regole della sicurezza sul lavoro.  Véronique Polito* Da che età e per quale durata? Per fortuna non si possono far lavorare i bambini, non importa di che età. La legge sul lavoro (LL) lo autorizza soltanto dai 15 anni in poi, 13 per i lavori più leggeri, meno di 13 anni per le manifestazioni sportive e culturali, a delle condizioni specifiche e dietro autorizzazione di un’autorità cantonale (art. 30 LL, art. 7 OLL 5). In ogni caso, chi ha meno di 18 anni ha bisogno dell’assenso dei propri genitori per firmare un contratto di lavoro. L’ordinanza 5 della LL (OLL 5) precisa le regole che si applicano ai giovani lavoratori e lavoratrici al di sotto dei 18 anni. Essa precisa soprattutto il divieto d’impiegare i giovani per lavori pericolosi, in certi settori (discoteche, bar, cabaret, aziende cinematografiche, circo e mondo dello spettacolo - art. 4 fino a 6 OLL 5). Il lavoro domenicale lo possono svolgere soltanto i giovani che hanno finito la scuola dell’obbligo, al massimo una domenica su due e soltanto nella ristorazione (dove possono essere impiegati soltanto ragazzi e ragazze a partire dai 16 anni), per le guardie di animali e per chi lavora in un panificio (art. 13 OLL 5). Nelle zone turistiche, il lavoro domenicale è ammesso nelle aziende che coprono le esigenze dei turisti durante tutta la durata delle vacanze estive (art. 15 OLL 5, art. 25 OLL 2). Quanto al lavoro notturno, esso è vietato ai minori di 18 anni al di fuori di una formazione professionale (art. 12 OLL 5). La durata del lavoro dei minori di 13 anni non può eccedere le tre ore al giorno e le nove a settimana (art. 10 OLL 5). I giovani di oltre 13 anni che non sono ancora soggetti all’obbligo scolastico possono lavorare fino a 8 ore al giorno (40 ore a settimana) durante la metà della durata delle vacanze scolastiche, tra le 6 e le 18, con una pausa di almeno mezz’ora per ogni turno di lavoro di 5 ore e oltre (art. 11 OLL 5). Per tutti i giovani la durata del lavoro non dovrà superare quella degli altri lavoratori dell’azienda (massimo 9 ore al giorno) e il loro lavoro deve essere compreso in un lasso di 12 ore (art. 31 al. 1 LL). Essi hanno diritto a un riposo quotidiano di almeno 12 ore consecutive (art. 16 OLL 5). La sera, i minori di 16 anni possono essere impiegati soltanto fino alle ore 20, e chi ha tra 16 e 18 anni fino alle 22 (art. 31 al. 2 LL).

In caso di pericolo, io dico STOP! I piccoli lavoretti estivi spesso rappresentano l’occasione giusta per il primo approccio al mondo del lavoro. Purtroppo questo cela pericoli che non sempre sono visibili ad una prima occhiata. E il rischio d’incidenti sul lavoro è molto elevato al primo impiego, soprattutto nei primi giorni. Anche se si viene impiegati per un periodo molto breve, bisogna fare particolare attenzione alle prescrizioni di sicurezza. Prima di cominciare, bisogna stare molto attenti alle istruzioni del datore di lavoro e rispet-

tarle scrupolosamente, anche se in un primo momento possono sembrare esagerate o inutili. In ogni caso, i lavori pericolosi sono vietati ai minori di 18 anni. Se, malgrado tutto, vengo confrontato con un pericolo, devo osare a dire STOP e chiedere l’aiuto di un collega esperto. A volte, gli incidenti sono irreversibili.

Ben assicurat i! Trascurare le assicurazioni sociali nel caso di un piccolo lavoretto durante le vacanze può costare molto caro. Tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, indipendentemente dalla loro età, devono essere obbligatoriamente assicurati dal proprio datore di lavoro contro gli infortuni. Se essi lavorano meno di 8 ore la settimana presso lo stesso datore di lavoro, questa assicurazione copre soltanto gli incidenti professionali, oltre le 8 ore essa copre tutti gli incidenti. In caso d’incidente, il datore di lavoro deve avvertire i genitori (art 32 LL). Per i rapporti di lavoro di meno di 3 mesi, non c’è obbligo di pagare il salario in caso di malattia. Gli altri contributi sociali (AVS/AI/IPG) sono obbligatori soltanto a partire dall’anno in cui il giovane compie i 18 anni. Se il datore di lavoro non paga i suoi contributi, si tratta di lavoro nero e questo comporterà delle sanzioni.

(CCL) e i contratti normali di lavoro (CNL). Per i piccoli lavoretti durante le vacanze valgono soprattutto i CCL della ristorazione e industria alberghiera, dell’edilizia, delle pulizie, delle aziende del commercio al dettaglio (Coop, Migros), il CCL per il lavoro temporaneo e i CCL cantonali per l’agricoltura. La maggior parte dei salari minimi fissati per contratto sono visibili al sito www.service-cct.ch. Se non esiste un CCL o CNL che fissa dei salari minimi, i datori di lavoro sono tenuti a rispettare i salari usuali del settore e della regione. I salari d’uso possono essere consultati su www.salaire-uss.ch. L’USS raccomanda un salario minimo di 22 franchi l’ora.

E le vacanze ?

Salari minimi e salari d’uso

Infine, non bisogna dimenticare le vacanze, alle quali ogni lavoratore e ogni lavoratrice ha diritto, nonostante egli/ella occupi il suo tempo… durante le sue vacanze. Se la paga è oraria, deve essere pagato un supplemento di salario di 10,64% per i minori di 20 anni e di 8,33 % per i maggiori di 20 anni. Sul conteggio salariale questo supplemento deve essere identificabile come tale. Consiglio: la commissione gioventù dell’USS mette a disposizione dei giovani e dei loro famigliari un opuscolo contenente tutte le informazioni utili sul diritto del lavoro. Esso è scaricabile dal seguente sito: www.jeunesse-syndicale.ch.

Fino ad oggi non esiste un salario minimo legale. Il datore di lavoro è obbligato a rispettare i contratti collettivi di lavoro

* Véronique Polito è segretaria centrale per la Commissione gioventù dell’USS.

il sudoku di syndicom

Gruppo Interesse Pensionati Regione Ticino e Moesano Programma Corsi d’informatica 2015 Informatica per la Terza età Corso diurno per un approccio all’uso del PC e per tenere il passo con i tempi. DURATA: 30 ore COSTO: fr. 390.REQUISITI: nessuno SEDE: Lamone CERTIFICAZIONE: Attestato di frequenza Introduzione all’Informatica Il sistema operativo Windows e primi passi con i programmi Word ed Excel. DURATA: 30 ore COSTO: fr. 420.REQUISITI: nessuno SEDE: Lamone CERTIFICAZIONE: Attestato di frequenza Tutto sul computer di casa Corso teorico e pratico destinato a chi vuole apprendere a gestire il proprio PC di casa in modo ottimale (nuove periferiche, software, corretta manutenzione). DURATA: 32 ore COSTO: fr. 450.REQUISITI: conoscenze base nell’uso di un PC SEDE: Lamone CERTIFICAZIONE: Attestato di frequenza Informatica per mamme (e per nonne e nonni) Corso diurno per un approccio all’uso del PC e per tenere il passo… con i figli e i nipoti. DURATA: 30 ore COSTO: fr. 390.REQUISITI: nessuno SEDE: Lamone CERTIFICAZIONE: Attestato di frequenza Iscrizioni Salvo indicazioni diverse per attività formative organizzate in collaborazione con altri enti, l’iscrizione ai corsi ECAP Ticino UNIA avviene compilando e ritornando l’apposito formulario che si ottiene contattando il nostro Segretariato a Lamone: tel. 091 604 20 30 / E-mail: infoti@ ecap.ch / Cartolina postale: ECAP Ticino UNIA, via Industria, 6814 Lamone. Indirizzi Segretariato Centrale CP 6336 Monbijoustr. 33, 3001 Berna Tel. 058 817 18 18 • Fax 058 817 18 17 mail@syndicom.ch

In palio una borraccia offerta dal nostro partner assicurativo CPT. La soluzione (la cifra composta dai tre numer i der ivanti dalle caselle segnate di blu indicate nell’ordine da sinistra a destra) sarà pubblicata sul prossimo numero insieme con il nome del/della vincitore/vincitrice. Non è previsto alcuno scambio di corrispondenza sul concorso. Sono escluse le vie legali. Inviare la soluzione indicando il nome e l’indirizzo, entro il 18 agosto 2015 a: syndicom - il giornale, via Genzana 2, 6900 Massagno. Il vincitore del cruciverba pubblicato su syndicom - il giornale N. 6 è il signor Andrea Pacciarelli di Lumino.

condoglianze Silvio Degiorgi, Coldrerio, deceduto in data 6.1.2015 all’età di 81 anni. Membro della sezione Ticino e Moesano. Socio dal 1959.

Silvano Rotta, Gudo, deceduto in data 7.5.2015 all’età di 80 anni. Membro della sezione Ticino e Moesano. Socio dal 1958.

Segretariato regionale Massagno Via Genzana 2, 6900 Massagno Tel. 058 817 19 61 • Fax 058 817 19 66 ticino@syndicom.ch Orari: lu e gio 8.00 - 12.00 | ma-me-ve 13.30 - 17.30 Segretariato regionale Bellinzona Piazza Giuseppe Buffi 6A casella postale 1270, 6501 Bellinzona Tel. 058 817 19 67 Fax 058 817 19 69 • ticino@syndicom.ch Cassa disoccupazione Bellinzona Piazza Giuseppe Buffi 6A casella postale 1270, 6501 Bellinzona Tel. 091 826 48 83 • Fax 091 826 48 84 Orari: lu-gio 9.00 -11.30, pomeriggio chiuso Venerdì chiuso tutto il giorno. Gruppo pensionati Pagina web: http://www.syndicom.ch/it/gi/ pensionati/gruppo-regionale E-mail: ernesto.fenner@bluewin.ch castori.gabriele50@gmail.com


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