GASPARINI E “IL TEATRO ALLA MODA” Breve guida all’ascolto de “Il vecchio avaro” di Francesco Gasparini
di Fernando Greco La nascita dell’Intermezzo
Due rappresentazioni del personaggio della serva
“Parti buffe pretenderanno l’onorario eguale alle prime parti serie e tanto più se nel cantare si servissero d’intonazioni, trilli, cadenze da parte seria … Faranno per ogni paese gl’intermezzi pretendendo, con gran ragione, che i cembalisti siano accordati a comodo loro. Se qualche intermezzo non avesse applauso, avvertano di dar sempre colpa al paese, che non l’intende”. Nel gustoso volume Il Teatro alla moda, pubblicato nel 1720, Benedetto Marcello si concentra nello stigmatizzare usi e costumi del teatro d’opera, prendendo di mira aspetti ben determinati del fare musica al suo tempo. Non risparmiando dunque gli esecutori di Intermezzi, Marcello storicizza, ancor prima del massimo sviluppo di tale forma, una prassi musicale nata agli albori del Settecento. Gli Intermezzi erano brevi rappresentazioni, in genere di argomento farsesco, inserite fra un atto e l’altro di uno spettacolo drammatico per occuparne l’intervallo. Il fortunato sviluppo e l’immediata comunicativa di tale genere operistico raggiunge l’apice di gloria, a Napoli nel 1733, con la rappresentazione de La Serva Padrona di Pergolesi presso il Teatro San Bartolomeo. Modellata ad arte su libretto di Gennaro Antonio Federico, fu composta come intermezzo all’opera seria Il prigionier superbo dello stesso Pergolesi, destinata a non raggiungere neppure lontanamente la fama de La Serva Padrona. Il resto è storia nota. La popolarità di Pergolesi si allargò a macchia d’olio, acquisendo rapidamente quel respiro europeo che, nel 1752 a Parigi, lo mise al centro della storica Querelle des Buffons fra i sostenitori della tradizione italiana rappresentata da Piccinni e la ventata di riforma nutrita dallo spirito polemico di Gluck.
Francesco Gasparini e il suo tempo Francesco Gasparini
Effettuate le dovute premesse, occorre fare qualche passo indietro e, per dirla con Dulcamara, “quel che non sapete né potreste saper” va ricercato in personalità minori, ma fondamentali per lo sviluppo storico-formale del genere dell’intermezzo. I più recenti studi musicologici hanno di gran lunga ridimensionato l’importanza di Pergolesi nei confronti dei più meritevoli Vinci, Leo e Hasse, riportando alla luce una vera e propria miniera sconosciuta, ovvero la copiosa produzione musicale di Francesco Gasparini (1661-1727). Secondo di cinque figli, studiò a Roma con Bernardo Pasquini e Arcangelo Corelli. Trasferitosi ben presto a Venezia, Gasparini incontrò i più grandi compositori presenti all’epoca nella città lagunare, da Alessandro Scarlatti a Giovanni Legrenzi e ancora Antonio Lotti, Carlo Francesco Pollarolo e Antonio Vivaldi, del quale era collega presso l’Ospedale della Pietà. Considerato come uno dei migliori compositori del suo tempo, si dedicò fin da subito al melodramma e fino al 1713 scrisse ventiquattro opere, soprattutto per il Teatro San Cassiano, inaugurato nel 1637, degno di nota per essere il primo teatro d’opera pubblico del mondo. L’edificio, che prende il nome dal quartiere in cui era situato, la Parrocchia di San Cassiano in prossimità di Rialto, era di proprietà della famiglia Tron e fu definito “pubblico” perché per la prima volta era gestito da un impresario che organizzava spettacoli per un pubblico pagante piuttosto
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i protagonisti
che esclusivamente per i nobili. A seguito della lunga esperienza veneziana, Gasparini decise di tornare nei luoghi della giovinezza. Durante il tragitto sostò in varie città italiane per mettere in scena i propri lavori teatrali e arrivato a Roma entrò dapprima al servizio del marchese Francesco Maria Ruspoli, subentrando ad Antonio Caldara, successivamente fu a servizio della famiglia Borghese ed infine, dal 1725 fino alla morte, fu operativo come direttore della Cappella di San Giovanni in Laterano. Peraltro fu maestro di di una gustosa burletta. Storicamente, l’affacciarsi Benedetto Marcello. dell’Intermezzo sui palcoscenici più disparati venne valutato come un fenomeno passeggero, di facile e breve consumo, destinato a non durare; tuttavia, Il vecchio avaro: l’ampliarsi della struttura formale, pur conservanagli albori dell’Opera Buffa do l’originale freschezza e l’inconfondibile comuNell’arco della sua lunga carriera, Gasparini compose circa ses- nicativa, avrebbe determinato in maniera diretta la santa lavori per il teatro d’opera, per lo più drammi dal tono alti- nascita dell’Opera Buffa, di argomento goliardico, sonante come Olimpia Vendicata (1686), La costanza nell’Amor ora in netta contrapposizione all’Opera Seria per Divino (1695), Gli Imenei stabiliti dal caso (1702), La Ninfa storia, progresso ed affermazione propria, concerd’Apollo (1710) e il più grande successo, Ambleto (1706) su li- nente determinate caratteristiche musicali e testuali, bretto di Zeno, variante dell’Amleto di Shakespeare. Tuttavia, il destinata alla gloriosa stagione siglata dalla Scuola Gasparini non disdegnò di comporre su una forma tanto popo- Napoletana e portata ai massimi livelli dal genio del pesarese Gioachino Rossini. lare quanto redditizia come quella dell’intermezzo, presentando nel 1720, a Firenze, Il vecchio avaro. L’immediata freschezza comunicativa della musica mista alla spontaneità del libretto di Antonio Salvi, decretò uno dei massimi successi per Gasparini, che utilizzò abilmente le sfumature caratteristiche della vena farsesca servendosi di ogni mezzo formale. All’idealizzata astrattezza dei personaggi metastasiani, Il vecchio avaro oppose personaggi reali, concreti, protagonisti di vicende assai più vicine alla vita quotidiana, contrappose al virtuosismo vocale imperante dei castrati la nascita di nuovi tipi vocali, i cosiddetti “buffi” o “brillanti”, snodando sul palcoscenico uno spettacolo dinamico e graffiante, incalzato da un ritmo sempre vivace. Come in numerosi esempi coevi, resta immutata la prassi di affidare a due parti solistiche l’intero svolgimento dell’azione: un ruolo femminile, generalmente di umili origini, che con scaltra maestria riesce a raggiungere l’alto scopo prefissato e un personaggio maschile, di solito attempato e danaroso, segnato dalla sorte quale destinatario
L’allestimento “Il vecchio avaro”, rappresenta l’ultima proposta dell’associazione “Mimus minuscolo Musiktheater” fondata e diretta dalla regista Annemette Schlosser Bernardelli, che da ben dieci anni svolge un’ampia attività nella ricerca di opere da camera sconosciute al grande pubblico per farle poi rivivere in palcoscenico, strizzando l’occhio all’attualità. I panni di Pancrazio sono indossati dal basso-baritono Angelo De Leonardis, fasanese, rinomato nel repertorio buffo, con all’attivo numerosi concerti e partecipazioni a Festivals nazionali e internazionali. Il cantante ha inoltre partecipato alla monumentale incisione delle partiture scritte dai musicisti depor-
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tati nei campi di concentramento nazisti. Il frizzante mezzosoprano Deborah De Blasi, laureato in Pedagogia e diplomato in pianoforte al Conservatorio di Pesaro, vive con “Il vecchio avaro” la sua prima esperienza di cantante dopo il successo ottenuto in qualità di attrice. L’Ensemble Concentus, quartetto d’archi fondato dal contrabbassista Maurizio Ria, si compone di musicisti che da molti anni sono in piena attività, ottenendo sempre lusinghieri consensi in Italia e all’estero. Al clavicembalo Antonio Papa. Direttore Valerio De Giorgi, titolare della cattedra di pianista accompagnatore al Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce. Bozzetto per Ficchetto
La Trama Fiammetta, ragazza furbetta e procace, è sola e senza lavoro, perciò comincia a corteggiare il vecchio Pancrazio nella speranza di diventare sua moglie e quindi la padrona di casa. L’impresa si rivela più difficile del previsto perché l’avarizia del vecchio non ha limite … Prender moglie? Neanche per sogno! – lui ribatte – le mogli mangiano bene, vogliono vestirsi bene, insomma spendono e spandono!.. Peraltro, Pancrazio ha appena licenziato il suo unico servo per continuare a risparmiare denaro. La donna però, sapendo che il vecchio tiene nascosto nel giardino uno scrigno con seimila scudi, si inventa un fratello gemello, per puro caso appena tornato dalla Francia, un ragazzo modesto, senza pretese e dalle buone maniere... Pancrazio lo vorrebbe conoscere? Ma sì, se mangia poco e lavora per pochi quattrini! Fiammetta fa presto a trasformarsi in Ficchetto, giovane servo bravo ed efficiente al punto che a Pancrazio viene voglia di sposare sua sorella Fiammetta, che già non gli dispiaceva. Davanti alla sperata proposta di matrimonio, Fiammetta fa anche una bella sorpresa a Pancrazio: non solo ella mangia pochissimo, non beve, non ha il vizio del gioco, non veste abiti lussuosi, e tutto ciò, alla fin dei conti, farà guadagnare al futuro marito circa diecimila scudi risparmiati ogni anno. In più gli porterà una dote di ben seimila scudi in contanti! Pancrazio non sta nella pelle dalla gioia. Viene chiamato all’istante il notaio per l’atto di matrimonio. Fiammetta consegna al vecchio la presunta dote, consistente in nient’altro che nei seimila scudi che lei ha rubato in giardino, ma poi manifesta dei dubbi sul fatto che Ficchetto possa continuare a vivere in casa loro, ora che sono sposati... Alla fine potrebbe rivelarsi un poco di buono, chissà cosa combinerebbe... Forse è già tornato in Francia? Pare proprio di sì, perché adesso questo fratello gemello è introvabile! Dulcis in fundo, Pancrazio scopre il furto e si dispera, sospettando che Ficchetto sia fuggito con il suo denaro. Fiammetta, senza perdersi d’animo, riesce a consolare suo marito: perché piangere e lamentarsi? Il denaro di lei sostituirà quello rubato! E così, con l’astuzia, la scaltra donna ha raggiunto finalmente il suo duplice obiettivo: procurarsi una dote e trovare un buon partito!