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l’EDITORIALE DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI
NON CHIAMATELI EROI Tra le tante incongruenze della politica economica italiana, spicca il caso dei feroci tagli alle forze dell’ordine e del contestuale mantenimento degli insostenibili stanziamenti per missioni militari internazionali. Mentre a carabinieri e finanzieri mancano i soldi per il proverbiale pieno di benzina, i colleghi delle forze armate costano tra primo e secondo semestre 2011 oltre un miliardo e mezzo di euro. Per non cadere nella demagogia va ovviamente valutato il ritorno in termini geopolitici di queste spese militari. Dal secondo dopoguerra ad oggi, l’Italia ha partecipato ad oltre cento missioni, conquistandosi nei decenni un ruolo centrale nella risoluzione delle controversie internazionali, specialmente in quelle con protagonisti i paesi islamici. L’elevatissima professionalità dei soldati italiani, l’umanità e competenza dei nostri uomini in uniforme è unanimemente riconosciuta ed apprezzata. Al “peacekeeping all’italiana” si è sempre affiancata una forte e autorevole politica estera, improntata sul pragmatismo e la capacità di dialogo; basti pensare ad alcuni leader del recente passato (Andreotti, Craxi, Prodi e D’Alema). Attualmente l’Italia è impegnata in 28 missioni con oltre 7 mila soldati sul campo. Il contingente più numeroso è in Afghanistan, seguono poi Libano, Balcani e Somalia. Il costo in vite umane dalla strage di Nassirya ad oggi è di 69 morti. A fronte di questo impegno, qual è oggi il ruolo dell’Italia e la sua credibilità internazionale?
Purtroppo è ai minimi storici. L’appiattimento del Ministro Frattini su posizioni atlantiste non ha giovato all’Italia, che si è accomodata alla fine della lunga coda dei filo-Americani, perdendo il rapporto privilegiato col mondo arabo. Agli investimenti per mantenere le truppe all’estero non corrispondono quelli per garantirne la sicurezza. Le ambiguità e le bugie nella vicenda dell’uranio impoverito, sono un coperchio ustionante sollevato sulla cattiva gestione del budget militare. “Disinvestire” nelle missioni militari non può quindi essere un tabù. Missioni che, va ricordato, sono solo formalmente rispettose degli stretti vincoli costituzionali che hanno nel «ripudio della guerra» un caposaldo spesso dimenticato.A livello locale, brillanti operazioni come “Augusta”, per smantellare le organizzazioni criminali mafiose che si stanno riorganizzando attorno ai traffici internazionali di droga, o “Sarafi”, per smembrare i nuclei criminali che trafficano esseri umani e che hanno la Puglia e il Salento quale epicentro degli affari, dimostrano che le spese militari necessitano di essere razionalizzate: attribuire maggiori somme da destinare alle indagini compiute da carabinieri e finanzieri, sarebbe come dare all’antimafia una bella maserati, anzi 4, nuove di zecca su cui volare verso l’obiettivo. Se l’Italia spedisce all’estero in braghette i suoi militari preoccupata di mantenere alta la reputazione internazionale, quale nuovo smalto darebbe all’immagine del Paese smantellare importanti pezzi delle nuove mafie?Obiettivo dichiarato, sì, salvo poi disattenderlo nei fatti.
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Dei fatti, il Governo lascia che se ne occupino i militari comuni, quelli che nessuno chiama eroi, a bordo di vecchie carrette, con stipendi inadeguati, senza straordinari retribuiti e togliendo tempo e denaro alle proprie famiglie. IL TACCO D’ITALIA Il mensile del Salento Anno VIII - n. 86 - Ottobre 2011 Iscritta al numero 845 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 27 gennaio 2004 EDITORE Dinamica Scarl REDAZIONE: piazza S. Giovanni Elemosiniere 5 73042 Casarano (Le) - Tel/Fax 0833/599238 redazione@iltaccoditalia.info DIRETTORE RESPONSABILE: Maria Luisa Mastrogiovanni HANNO COLLABORATO: Melissa Perrone, Salvatore Ventruto, Laura Leuzzi PUBBLICITà: Mario Maffei marketing@iltaccoditalia.info 939-9801141 STAMPA SPRINT (Maglie) DISTRIBUZIONE: Edicole, librerie ed altri punti vendita cerca l’elenco su www.iltaccoditalia.info ABBONAMENTI: 15,00 per 10 numeri IL PROSSIMO NUMERO 1° Dicembre 2011
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L’INCHIESTA
URANIO IMPOVERITO GLI EROI DEL SILENZIO SI AMMALANO DI GRAVI CARCINOMI MA NON POSSONO DIMOSTRARE CON CERTEZZA LA CAUSA. IL RIMBORSO DELLE COSTOSE CURE VIENE OSTACOLATO DA NORME kAFkIANE. UN MURO DI GOMMA E DI OMERTà CIRCONDA CENTINAI DI MILITARI CHE HANNO DENUNCIATO. MA CHE LO STATO, NELL’ANNO DEL CENSIMENTO, NON RIESCE A CENSIRE CON CERTEZZA Inchiesta di SALVATORE VENTRUTO
1993. Somalia.
Missione Restore hope. I nostri soldati combattono ferocemente sul campo. Si conteranno in tutto nove morti e diverse decine di feriti. Tra le vittime civili, la giornalista del Tg3 Ilaria alpi e il cameraman Miran Hrovatin: stavano indagando su un traffico di rifiuti tossici tra l’Italia e la Somalia. Un sottotenente dei parà, Gianfranco Paglia, rimarrà gravemente ferito nella “battaglia del pastificio” a Mogadiscio e costretto sulla sedia a rotelle; il partito di Forza Italia lo farà eleggere alla Camera e il Presidente della Repubblica gli appunterà sul petto la Medaglia d’oro al Valor militare. Oggi è passato al Fli. Ma i nostri soldati si sarebbero accorti, ben presto, di essere privi, a differenza degli alleati americani, di qualunque misura di protezione. Loro, gli yankees, con occhiali, maschere, guanti e tute quotidianamente lavate alla fine delle operazioni. Noi in calzoncini e canottiera. Qualche anno dopo inizieranno a circolare notizie di gravi patologie tra i soldati che avevano partecipato a quella missione, caratterizzata dall’utilizzo di quello che gli americani chiameranno, da quel momento in poi, il “metallo del disonore”: l’uranio impoverito, sottoprodotto
delle centrali nucleari. Utilizzato per rafforzare gli armamenti, oltre che per essere caratterizzato da una forte economicità, sarebbe stato adottato per raggiungere due obiettivi: rendere più efficienti le armi e disperdere nell’aria le scorie nucleari che sarebbe stato difficile e costoso smaltire. Il primo caso sospetto in Italia è del 1994 e corrisponde al nome del Maresciallo Marco Mandolini. Di ritorno da Mogadiscio, gli venne ufficialmente diagnosticata una “rarissima malattia tropicale”. Sorse, però, subito il dubbio che potesse trattarsi di un’affezione dovuta a contaminazione da uranio impo-
Il primo militare si ammala nel 1994. Si pensa ad una rara malattia tropicale, ma non è così. Verrà assassinato. Stava indagando su emoderivati infetti usati dall’esercito verito. Nel 1995 venne assassinato, in circostanze ancora tutte da chiarire, alla Scogliera del Romito in provincia di Livorno. Sembra fosse venuto a conoscenza di scottanti verità riguardanti l’ambiente militare, anche in riferimento al probabile utilizzo di emoderivati infetti. La contaminazione raggiunse in Somalia anche il paracadutista Gianbattista Marica al quale venne diagnosticato un linfoma di Hodgkin. Nei due anni che contraddistinsero la missione a Mogadiscio i nostri militari avrebbero tentato più volte di richiamare l’attenzione sul fatto che gli americani potessero contare su efficaci strumenti di protezione. Ma dai loro superiori avrebbero ricevuto solo silenzi. 1999. Balcani. Missione SFOR. Al ri-
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La missione Restore Hope Unified Task Force (UNITAF) fu una missione sancita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite allo scopo di stabilizzare la situazione in Somalia a fronte di un crescente stato di anarchia e di grave carestia. Unitaf, conosciuta anche come Operazione Restore Hope, avvenne sotto il controllo Usa, ma anche col supporto di personale di altre nazioni, tra cui l’Italia. l contingente italiano operò in particolare nell’area di Mogadiscio e nella zona di Balad. Morirono nove militari italiani. Tra le vittime civili di Restore Hope, la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi, che insieme con il suo operatore Miran Hrovatin, fu uccisa in un agguato da miliziani perché stava indagando sul traffico di rifiuti tossici dall’Europa alla Somalia.
entro dalla Bosnia, muore per una leucemia acuta Salvatore Vacca, caporalmaggiore del 151° reggimento della brigata Sassari. Le operazioni belliche, sotto l’egida della NATO nella ex Jugoslavia avrebbe fatto letteralmente “esplodere” la problematica dell’uranio impoverito nel nostro paese. Anche in questo caso, nessuna notizia circa l’applicazione e il rispetto di protocolli di protezione. Di contro, si sarebbero moltiplicate le testimonianze di militari che, una volta tornati in Italia, avrebbero denunciato gravi condizioni di salute, nonché l’inizio di un periodo di totale abbandono psicologico ed economico da parte delle Istituzioni. Le pressioni dell’opinione pubblica, dei ragazzi ammalati e delle loro famiglie diventano sempre più forti, al punto che il Ministero della Difesa dopo anni di smentite è costretto ad ammettere l’utilizzo di 10.000 proiettili all’uranio impoverito. Viene istituita, il 22 dicembre 2000, una commissione di indagine presieduta da Franco Mandelli, professore emerito di Ematologia dell’Università "La Sapienza” di Roma, allo scopo di accertare tutti gli aspetti medicoscientifici inerenti gli innumerevoli casi di patologie tumorali riscontrati nel personale militare impiegato in Bosnia dal dicembre 1995 al gennaio 2001. Tali studi, nonostante fossero inficiati dal non aver preso in considerazione la popolazione civile residente nei Balcani, sicuramente sottoposta ad una esposizione meno sporadica rispetto ai
militari, rilevarono un numero, statisticamente significativo, di militari affetti da linfoma di Hodgkin. Un dato che indusse la commissione Mandelli a ritenere necessaria una più “attenta analisi”, nel tentativo di verificare il possibile nesso diretto fra tali risultanze e l’inalazione e l’ingestione delle radiazioni alfa e beta emesse dall’uranio impoverito, correlazione che non era stato possibile identificare sulla base delle conoscenze, fino a quel momento, disponibili. La stessa commissione puntualizzò, inoltre, di “non aver esaminato altre cause oltre a quella dell’uranio impoverito”, facendone così supporre l’esistenza di altre. Sarà questo un passaggio di notevole importanza, per gli sviluppi futuri delle indagini. Sarebbe iniziata a questo punto una stagione interminabile: quella dei silenzi assordanti, dell’omertà, delle verità nascoste. Una stagione che avrebbe fatto da sfondo a nuove ed innumerevoli denunce: quella del Maresciallo Stefano Melone, 40 anni, del Sergente Maggiore Andrea Antonaci, di Martano (primo caso nella provincia di Lecce), di Salvatore Carbonaro, 24 anni, in forza alla Brigata Garibaldi, del Caporalmaggiore degli Alpini Corrado Di Giacobbe, 24 anni, del Carabiniere Rinaldo Colombo, 31 anni, uno dei primi a partire per la Bosnia nel 1995, dei Caporalmaggiori Valery Melis e Luca Sepe di 27 anni. Tutti deceduti dal 2000 al 2004, anno in cui sarebbe stata istituita la prima Commissione parlamentare d’inchiesta. Se da un lato, tale commissione, escluse la presenza di qual minimo elemento
L’Uranio impoverito L’uranio impoverito è ottenuto come scarto del procedimento di arricchimento dell’uranio. Nel ciclo attuale del combustibile nucleare, a partire dall’uranio purificato, si ottengono il combustibile arricchito ed una grande quantità di uranio impoverito di scarto. Oltre che in applicazioni civili, l’uranio impoverito viene usato nelle munizioni anticarro e nelle corazzature di alcuni sistemi d’arma. Nel 2001 Carla del Ponte, allora a capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia affermò che l’uso di armi all’uranio impoverito da parte della NATO avrebbe potuto essere considerato un crimine di guerra.
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che potesse far credere ad una diretta correlazione tra le patologie riscontrate nei militari e la contaminazione da uranio impoverito, dall’altro ricondusse l’esistenza di un “rischio significativo per la salute dei militari all’inalazione delle nanoparticelle prodotte dalle alte temperature che si creano nel momento in cui i proiettili all’uranio colpiscono il bersaglio”. Veniva, pertanto, già nel 2006, riconosciuta la potenziale pericolosità delle nanoparticelle, le quali sarebbero state oggetto di ulteriori approfondimenti da parte della successiva commissione, presieduta dalla senatrice Menapace. Tale commissione avrebbe raggiunto un risultato importante decidendo di sostituire il nesso diretto di causalità (tuttora quasi impossibile da provare) con un criterio probabilistico, secondo cui “il verificarsi dell’evento morboso avrebbe costituito, per il personale militare, motivo sufficiente per ricorrere agli strumenti indennitari ed assistenziali previsti dalla legge”. Un’impostazione, questa, che trovò, come vedremo in seguito, accoglimento anche in sede normativa. Ma la burocrazia non aveva ancora espresso tutto il suo devastante potenziale.
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IN SCENA UN NUOVO AVVERSARIO: IL “CRITERIO PROBABILISTICO”
Il criterio probabilistico
è il nuovo “nemico” di questi sfortunati ragazzi in divisa. Si tratta di una modalità giuridica che sarebbe stata assorbita, dal punto di vista normativo, dalla legge n. 222/2007, con la quale sarebbero stati stanziati 175,72 milioni di euro per il biennio 20072008 e 3,2 milioni a decorrere dal 2009 e dalla legge finanziaria del 2008 che avrebbe previsto lo stanziamento di altri 30 milioni di euro per il triennio 20082010. La politica sembrava, per una volta, aver operato nell’interesse del personale militare e civile che, impegnato in teatri di conflitto particolarmente difficili, avesse contratto infermità connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle tossiche. Tuttavia, in sede di attuazione della normativa, attraverso un decreto del presidente della Repubblica (dpr n.37/2009), si sarebbe ristretto fortemente il margine di applicazione della stessa, subordinando la concessione dei benefici alla dimostrazione del nesso causale diretto tra infermità o patologia tumorale contratta e uranio impoverito. Sarebbe stata così innalzata una barriera invalicabile essendo quasi impossibile, ancora oggi, dimostrare tale nesso. Le difficoltà, però, non si sarebbero limitate a questo aspetto. Nello stesso decreto sarebbero stati posti infatti anche dei limiti temporali che obbligavano il personale militare interessato, a presentare l’istanza
di risarcimento entro sei mesi a decorrere dal 7 maggio 2009 (data di entrata in vigore del suddetto dpr n. 37/2009) e, per gli eventi successivi a tale data, entro sei mesi dalla manifestazione della malattia e comunque non oltre il 31 dicembre 2010. La Direzione generale della previdenza militare (Previmil) avrebbe avuto il compito di istruire le domande e di verificare, presso i comandi dei reparti, le circostanze di tempo e luogo indicate dall’interessato come cause di insorgenza della patologia, nonché l’accertamento di dipendenza della stessa da causa di servizio. Il Comitato di verifica delle cause di servizio (direttamente dipendente dal ministero delle Finanze e del Tesoro) avrebbe dovuto fornire un parere motivato e vincolante sulla effettiva dipendenza da contaminazione da uranio impoverito della patologia riscontrata e dare, conseguentemente, il via libera al provvedimento di concessione o di negazione del beneficio. Previmil avrebbe eventualmente licenziato la pratica entro trenta giorni dall’acquisizione del parere dal Comitato. Il risultato prodotto da tale meccanismo è purtroppo sotto gli occhi di tutti: solo in sei casi il Comitato si sarebbe pronunciato per la contaminazione da uranio impoverito. Mentre si partoriva questo mostro di burocrazia il Tribunale di Firenze, il 17 dicembre 2008, avrebbe riacceso le speranze di molti ragazzi e delle loro famiglie obbligando il ministero della Difesa a risarcire, con la somma di 545 mila euro, i familiari del paracadutista Gianbattista Marica. Nella storica sentenza veniva accertato “un atteggiamento non ispirato ai principi di cautela e responsabilità da parte del ministero della Difesa, consistito nell’aver ignorato le informazioni in suo possesso circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari no-
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La norma subordinava la concessione di benefici economici alla dimostrazione del nesso causale fra patologia e esposizione del militare all’uranio impoverito nostante l’adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani”. Un anno dopo sarebbe stato il tribunale civile di Roma ad assegnare ai familiari del galatinese Alberto Di Raimondo, deceduto, anche lui, per linfoma di Hodgkin contratto dopo una missione nei Balcani, un risarcimento di 1,4 milioni di euro. “Il militare, pur volontario, non era stato messo al corrente dei rischi connessi alle operazioni nelle zone in cui sarebbe stato presente l’uranio impoverito” si legge nella sentenza. Poco tempo dopo anche i tribunali civili di Roma e Cagliari avrebbero rispettivamente condannato il Ministero al risarcimento dei familiari di Salvatore Vacca, prima vittima della cosiddetta “Sindrome dei Balcani”, e di Valery Melis. In riferimento a quest’ultimo “si deve ritenere, si legge nella sentenza emessa lo scorso 13 agosto che il linfoma di Hodgkin sia stato contratto a causa dell’esposizione ad agenti chimici e fisici potenzialmente nocivi durante il servizio militare nei Balcani, atteso che proprio i detriti reperiti nel suo organismo hanno ben più che attendibilmente causato alterazioni gravi alle cellule del sistema immunitario come rilevato con frequenza di gran lunga superiore alla media per i militari rientrati dai Balcani. Inoltre, prosegue la sentenza, nonostante l’Esercito Italiano fosse stato preavvertito da altro comando alleato di tale situazione non aveva fornito alcuna informazione del pericolo e non aveva adottato alcuna misura protettiva per la salute dei nostri giovani militari”.
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IL CENSIMENTO DEI MALATI I DATI DEL PREVIMIL E DEL COMITATO DI VERIFICA NON COINCIDONO. NON SI SA qUANTI SIANO DAVVERO I MILITARI AMMALATI. POI LA SVOLTA DEL 14 SETTEMBRE
Sul piano civile, quindi, sono stati raggiunti dei
risultati importanti, mentre sul piano politico la vicenda uranio non è riuscita a “ritagliarsi” quello spazio che meritava. Per lo meno fino allo scorso febbraio quando, attraverso l’approvazione di un emendamento al decreto legge n. 228 di proroga delle missioni internazionali, sono stati estesi alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati (quindi anche al personale militare e civile che, partecipando a missioni internazionali di pace, avesse contratto gravi patologie tumorali dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali ed operative) i benefici riconosciuti alle vittime del terrorismo e della criminalità. Tra questi l’assistenza psicologica a carico dello Stato, l’esenzione ticket per le prestazioni sanitarie, la corresponsione di un assegno vitalizio e di una speciale elargizione. Più precisamente è stata nuovamente superata la necessità di dimostrare il nesso di causalità diretto tra il verificarsi di stati morbosi e l’uranio impoverito (come stabilito nel dpr n. 37/2009) per ritornare al criterio probabilistico assorbito dalla legge finanziaria del 2008. Un risultato, questo, importantissimo, il cui merito deve essere attribuito all’attuale commissione d’inchiesta, istituita il 16 marzo 2010 e presieduta dal senatore salentino Rosario Giorgio Costa, impegnata negli ultimi mesi in una vera e propria corsa contro il tempo, al fine di evitare che le risorse previste per il triennio 2008-2010 destinate alla “problematica uranio” (circa 30 milioni di euro) vadano per l’ennesima volta perdute. A tal proposito, i commissari hanno più volte contemporaneamente audito esponenti della Direzione generale della previdenza militare e del Comitato di verifica delle cause di servizio al fine di giungere ad una precisa definizione del numero di richieste di risarcimento presentate dal personale
militare. L’obiettivo e stato quello di stabilire, in modo definitivo e sulla base della nuova normativa, quante di esse possano essere accolte, quante debbano essere respinte e quante necessitino di una integrazione dell’istruttoria ovvero di ulteriore e più approfondita documentazione. Ciò al fine di pervenire il prima possibile alla quantificazione della spesa e alla redazione del relativo piano di riparto. Dopo una iniziale ed imbarazzante non coincidenza tra i dati in possesso di Previmil e quelli annunciati dal Comitato di verifica delle cause di servizio, nella seduta del 14 settembre scorso il direttore generale di Previmil, Teodoro Bilanzone, hanno riferito “di 355 domande presentate, alle quali potrebbero aggiungersi altre 74 richieste che, seppur già esaminate e respinte, potrebbero essere riammesse nei termini in virtù della modifica legislativa intercorsa. Delle 355 domande precedentemente menzionate, 317 sono state
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Su 355 domande presentate da militari ammalati solo 50 sono state accolte. Molti restano in silenzio. Preferiscono non denunciare
inoltrate al Comitato di verifica delle cause di servizio che ne ha accolte 50 e respinte 154. Di queste 154, 17 sono state respinte definitivamente mentre per le restanti 137, dopo aver inviato agli interessati un avviso di diniego, si è in attesa dell’invio di ulteriori controdeduzioni finalizzate alla richiesta di un loro riesame. Restano all’esame del Comitato 28 pratiche mentre per ulteriori 85 domande è in corso l’integrazione dell’istruttoria”.
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“IO, AMMALATO, MUTO” LA STORIA DI UN GIOVANE MILITARE DI CARMIANO, CHE DAL 2002 COMBATTE CON IL CANCRO A CAUSA DELL’URANIO IMPOVERITO. MA CHE PREFERISCE NON DENUNCIARE
Dopo anni caratterizzati da forti difficoltà nel
reperimento dei dati si inizia ad avere un quadro più definito o, per lo meno, si sta operando in quella direzione. Ma quanti sono però i militari che, una volta scoperta la malattia, sono costretti a rimanere in silenzio? E’ il caso, ad esempio, di un ragazzo di Carmiano che ha partecipato a quasi tutte le missioni internazionali di pace degli ultimi anni: Kosovo, Iraq, Albania poi ancora Kosovo. “Nel 2002 – dice il militare- mi è stata riscontrata una neoplasia maligna che mi ha costretto in poco meno di dieci anni a sottopormi a dieci interventi chirurgici. Sono vittima del dovere e mi è stata riconosciuta la causa di servizio ma non ho ancora ricevuto alcun aiuto economico perché non ci sono i soldi. La mia malattia è molto seria – continua - e mi sottopongo a continui cicli di chemioterapia recandomi spesso nel Nord Italia. Sono ancora in servizio a Lecce e per questo non voglio rivelare le mie generalità. Potrei -
“Se denunciassi avrei problemi col mio comandante. Perché sono in servizio a Lecce. Voglio continuare a lavorare”
conclude il militare - avere ritorsioni e problemi con il comandante e in questo momento non voglio aggiungere nella mia vita altre complicazioni”. Il Presidente Costa avrebbe più volte sottolineato, in questi mesi, “la necessità di concludere al più presto la ricognizione delle pratiche e l’intera procedura concessiva al fine di adottare tutte le misure idonee a scongiurare il rischio che le risorse, faticosamente conservate per l’esercizio finanziario in corso, vadano poi in economia”. La Ragioneria dello Stato, sulla base della vi-
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gente legislazione contabile, avrebbe espresso forti contrarietà sull’ipotesi di mantenimento dell’iscrizione in bilancio di tali risorse anche per il 2012 (circa 24 milioni di euro), alla luce soprattutto del fatto che, allo stato attuale, sono solo cinquanta le pratiche sulle quali è stato espresso un parere definitivamente favorevole. Dopo la bocciatura del decreto di impegno generico e le numerose riserve, tuttora esistenti, in merito ad un ipotetico “trascinamento” delle risorse al 2012, nella seduta del 21 settembre scorso il generale Del Sette, capo dell’Ufficio legislativo del Ministero delle Difesa, ha annunciato, in vista della presentazione del disegno di legge di stabilità, “la predisposizione di una proposta per il trascinamento della parte residua delle somme già iscritte in bilancio allo stato di previsione del 2012”. Indiscrezioni dell’ultima ora riferiscono, invece, della previsione, sempre all’interno della legge di stabilità, di un nuovo stanziamento.
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UN MICIDIALE COCkTAIL DI VELENI NEL SANGUE DEL PILOTA SALENTINO Un esempio di inaccettabile
pressapochismo dell’apparato burocratico militrare è quello che ha dovuto subire sulla propria pelle un militare che aveva prestato servizio in Bosnia nel 1996, effettuando varie operazioni di intervento e assistenza sanitaria a favore di militari ma anche della popolazione civile. Questo soldato, un ufficiale superiore peraltro, risultava iscritto nel Ruolo d’Onore ed inserito nell’elenco delle vittime del dovere. Insomma: per l’Esercito era morto! Accanto al nome del militare era riportata la data del decesso: 30 ottobre 2007. Fortunatamente, invece, l’uomo era vivo e combatteva coraggiosamente, giorno per giorno, non soltanto contro la malattia che lo aveva colpito in servizio ma anche contro l’indifferenza. Eppure per lo Stato già non esisteva. È la storia del Colonnello dell’Esercito Carlo Calcagni, 43 anni, di Guagnano (Lecce). Reduce dalla missione internazionale di pace in Bosnia, nel 2002 durante un ricovero in ospedale per accertamenti, apprese di essere rimasto contaminato da metalli pesanti, generati dall’esplosione di ordigni all’uranio impoverito. La massiccia presenza di queste terribili scorie nel suo organismo (un cocktail terrificante camposto da alluminio, cadmio, piombo, antimonio, arsenico, bario, cesio, mercurio, nichel, rame, tallio, stagno, zinco e tungsteno) avrebbe prodotto una mutazione genetica e sviluppato una grave forma di Mcs (Sensibilità Chimica Multipla) a
150 sostanze, oltre a rendere necessario un trapianto allogenico di midollo osseo. Una situazione di salute talmente grave che portò al congedo per riforma dall’Esercito. È il 2007 e i referti medici sarebbero stati molto chiari: Carlo aveva contratto numerose patologie, tra le quali linfomielo-displasia con citopenia refratta-
I due fronti del calvario del colonnello Calcagni, gli intoppi e gli ostruzionismi della burocrazia sanitaria e militare e le terapie.
Carlo Calcagni in tuta da volo. Pronto per una delle sue tante missioni in Bosnia. Al ritorno in Italia nel 2002, sottoponendosi ad alcuni accertamenti, apprese di essere rimasto contaminato da metalli pesanti (tra questi cadmio, piombo, alluminio, mercurio, nichel) generati dall’esplosione di ordigni all’uranio impoverito.
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ria, encefalopatia tossica e una grave forma di insufficienza respiratoria che lo avrebbe costretto ad ossigenoterapia per diciotto ore al giorno, nonché a dormire con un apparecchio per la respirazione assistita. Da quel momento tutto sarebbe cambiato. La malattia lo avrebbe periodicamente costretto a recarsi a Londra in un centro di altissima specializzazione, il Breakspear Hospital, per sottoporsi a cicli di terapie durissimi e molto costosi. Ma i suoi nemici non sarebbero stati solo i molteplici metalli presenti nel suo organismo. Anche le Istituzioni gli avrebbero, ben presto, voltato le spalle, soprattutto quel Ministero della Difesa che, come un padre fa con i suoi figli, dovrebbe avere a cuore la salute e la vita dei suoi dipendenti, dei suoi ragazzi. All’inizio sarebbe riuscito a sostenere le spese per le cure (cinquanta mila euro per ogni ciclo di trattamento da effettuarsi a cadenza trimestrale) ma dopo, in gravissime difficoltà economiche, sarebbe stato costretto a fare ricorso a prestiti bancari, di amici e familiari. Carlo, appena nominato consulente dell’attuale Commissione d’Inchiesta, avrebbe denunciato durante la sua prima audizione, “l’aggiramento della previsione legislativa che stabilisce l’addebito, all’amministrazione di appartenenza, di tutte le spese di assistenza (ricoveri, cure, medicinali e quant’altro) per i militari che in missione internazionale di pace abbiano contratto una invalidità permanente derivante da causa di servizio”.
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DOPPIA FATTURA. E IL MURO DI GOMMA è SERVITO UN SEMPLICE CAVILLO MA INSUPERABILE. DUE FATTURE IDENTICHE, IN ORIGINALE, NON SI POSSONO EMETTERE. MA LO STATO LE RICHIEDE PER IL RIMBORSO
Il Colonnello Carlo Calcagni in Bosnia. Durante la missione effettuò centinaia di operazioni di intervento ed assistenza sanitaria a favore di militari e della popolazione civile.
Il 21 luglio 2009 è una data che Carlo Calcagni e
gli altri ragazzi non avrebbero dimenticato. Quel giorno la Direzione generale della Sanità militare ha emanato una circolare che ostacolerà palesemente l’applicazione delle norme inerenti il rimborso delle spese sanitarie e di assistenza, introducendo una procedura a dir poco macchinosa. I nostri ragazzi sarebbero stati traditi, ancora una volta, da chi avrebbe dovuto tutelare i loro diritti e la loro salute. “Il ricovero presso strutture di altissima specializzazione non solo è subordinato alla concessione dell’autorizzazione da parte della Sanità Militare (dopo apertura dell’istanza da parte del diretto interessato) - affermerà Calcagni nella stessa audizione - ma la documentazione da presentare, ai fini dell’ottenimento della stessa, è abnorme e di difficile reperibilità”: la copia del decreto di riconoscimento della causa di servizio, le dichiarazioni, da parte delle strutture sanitarie pubbliche e militari, di impossibi-
lità a fornire la prestazione richiesta, le certificazioni di un medico militare e di un medico civile che attestino l’urgenza e la non eseguibilità in Italia della medesima prestazione, il parere della Asl di appartenenza, nonché la disponibilità della stessa a contribuire alle spese nella misura dell’80 per cento”. Il Ministero della Difesa, con quest’ultima disposizione avrebbe in pratica trasferito alle Asl l’onere e la competenza della rimborsabilità delle spese sanitarie facendo ricorso alla ratio contenuta nel decreto del ministero della Salute del 3 novembre 1998 secondo cui si prevedeva, per ogni cittadino italiano, che si trovasse in situazioni di salute particolarmente gravi, la possibilità di curarsi all’estero e ottenere il rimborso delle spese dalle Asl, nella misura dell’80 per cento. Un ulteriore ostacolo burocratico per l’ottenimento del rimborso sarebbe stato l’obbligo di produrre, in formato originale, una doppia fattura da parte della struttura ospedaliera ospitante (nel caso di Calcagni il Breakspear Hospital),
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La trafila burocratica è svilente e umiliante. Ogni ciclo di cure costa 50mila euro per 15 giorni. Finché il Tribunale di Brindisi impone il rimborso una da indirizzare alla Asl di appartenenza, l’altra alla Direzione Generale della Sanità Militare. E’ chiaro che questa disposizione avrebbe ulteriormente complicato le cose. “I miei ricoveri, – afferma il Maggiore Calcagni - vengono stabiliti di volta in volta. All’atto delle dimissioni mi assegnano la terapia da effettuare tutti i giorni in Italia e mi fissano la data del successivo ricovero. Tra le terapie sono previste sei punture di vaccini da effettuare ogni mattina, appena sveglio. Ogni vaccino-cocktail contiene 25 sostanze. Quindi, complessivamente, tutte le mattine mi inietto gli antidoti per le 150 sostanze che potrebbero produrmi delle reazioni anche gravi come blocco respiratorio, shock anafilattico, fibrillazioni cardiache. Ogni giorno, oltre alle 4-5 ore di flebo, mi sottopongo, attraverso l’utilizzo di particolari macchine a radiofrequenza, a trattamenti di ipertermia volti ad innalzare artificialmente la temperatura corporea. Tale trattamento è molto utilizzato nella cura delle patologie oncologiche”. La vita di Carlo non è solo lotta quotidiana contro la malattia. È anche battaglia giudiziaria finalizzata al riconoscimento dei propri diritti e di tutti coloro che hanno servito lo Stato. Una battaglia che ogni giorno si rivela doppiamente difficile perché condotta
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non solo contro il Ministero della Difesa ma anche contro la Asl di Brindisi. Quest’ultima, dopo aver autorizzato i primi ricoveri a Londra avrebbe negato le successive autorizzazioni convinta che la cadenza trimestrale degli stessi fosse troppo ravvicinata. Da qui il ricorso di Calcagni al Tribunale di Brindisi che, in data 12 luglio 2011, si è pronunciato favorevolmente, dichiarando “ il diritto del ricorrente a essere curato presso il Breakspear Hospital di Londra secondo le modalità e le tempistiche stabilite dallo stesso centro ospedaliero, con rimborso delle spese a carico della Asl di Brindisi secondo quanto previsto dall’art. 6 del Decreto del Ministero della Salute del 3 novembre 1998”. Contro questa sentenza la Asl di Brindisi ha presentato ricorso chiedendo l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti del ministro dell’Interno, del ministero della Difesa e del ministero dell’Economia sulla base di quanto previsto nel decreto del presidente della Repubblica n. 243 del 7 luglio 2006. Il dpr in questione stabilisce, infatti, a favore delle vittime del dovere (e Calcagni lo è) “l’esenzione del pagamento del ticket per ogni tipo di prestazione sanitaria”. Il Tribunale però, lo scorso 16 agosto, ha respinto il ricorso precisando che “i benefici previsti nel dpr 243/2006 in favore delle vittime del dovere sono cosa ben diversa dal diritto del colonnello Calcagni, disciplinato dal decreto del ministero della Salute del novembre 1998, di essere cu-
rato presso il centro ospedaliero londinese. Un diritto che spetta a tutti i cittadini che si trovino nelle condizioni di salute previste, indipendentemente dall’essere vittima del dovere o meno”. Le disposizioni che attribuiscono alla Asl di appartenenza la copertura dell’80 per cento delle spese sanitarie sono contenute nel decreto del ministero della Sa-
riabilitazione presso centri di altissima specializzazione all’estero), degenza e cura. Inoltre, nelle more del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, l’Amministrazione garantisce non solo la partecipazione, ma anche l’anticipazione delle spese di degenza e di cura in relazione agli importi non corrisposti dal Servizio Sanitario Nazionale”.
Ministero della difesa e Asl si rimpallano la patata bollente, scaricandosi le competenze dei rimborsi. E Calcagni ogni 15 giorni ripercorre il suo Calvario lute del novembre 1998 e sono state assorbite nella circolare emanata il 21 luglio 2009 dalla Direzione generale della Sanità militare. La storia di Carlo è stata anche oggetto di alcuni atti di sindacato ispettivo presentati in Commissione difesa dal senatore dell’Italia dei Valori Giuseppe Caforio. Il 6 luglio 2010 il sottosegretario alla Difesa Cossiga, rispondendo ad uno di questi atti, sosteneva che “ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 221, della legge n. 266/2005 e dell’articolo 1, comma 555, della legge n. 296/2006, l’Amministrazione della Difesa provvede al rimborso delle spese sanitarie a favore del personale militare, la cui infermità sia stata riconosciuta dipendente da causa di servizio. In particolare sono rimborsabili tutte le spese per prestazioni sanitarie (tra cui la
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A questa risposta però non è stata mai data concreta attuazione. Allora chi deve rimborsare queste spese? Il Ministero della Difesa o la Asl di Brindisi? Una storia infinita, quella di Carlo, ancora in attesa che sia riconosciuto un suo sacrosanto diritto, ennesima vittima della tecnica dello scarica barile, adottata dalle Istituzioni ogniqualvolta ci sia una situazione urgente da risolvere. Tanti ragazzi che vivono in silenzio il loro dramma e non hanno la “fortuna”, come lui, di far conoscere la loro condizione subiscono quotidianamente l’indifferenza dello Stato e delle Istituzioni. Altri ancora, a causa di questa indifferenza, ci hanno già lasciato. “Mai arrendersi” ripete, quasi ossessivamente Carlo. E intanto, di ritorno da Londra, disfa l’ennesima valigia.
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E SE FOSSERO I VACCINI? DAL 1996 AD OGGI SONO 2624 I MILITARI AMMALATI DI PATOLOGIE COME qUELLE PROVOCATE DALL’URANIO. MA NON SONO MAI PARTITI IN MISSIONE. L’IPOTESI è SOTTO LA LENTE DELLA COMMISSIONE. MA GIà CI SONO I PRIMI RISULTATI NON UFFICIALI
Andrea Rinaldelli è il
padre di Francesco, morto a 24 anni per un linfoma di Hodgkin dopo aver prestato servizio come pattugliatore presso l’ex stabilimento chimico di Porto Marghera. Francesco, nativo di Potenza Picena, non è mai uscito dall’Italia e non ha mai partecipato ad alcuna missione internazionale di pace. Eppure non c’è più. Durante l’audizione in Commissione del 15 marzo 2011 Rinaldelli, accomunando la vicenda di suo figlio a quella di molti altri militari, indicava le vaccinazioni come comune denominatore delle innumerevoli patologie tumorali riscontrate nei militari. “Il 24 febbraio 2004, dice Andrea Rinaldelli, che incontriamo a Roma nel settembre scorso, a Francesco viene somministrato, secondo quanto riportato nel libretto vaccinale, il vaccino antitetanico, l’antitifico (Vivofif), nonostante l’avesse già fatto poco prima, l’antimeningococcica (Mengevax). Nello stesso libretto viene indicata, a penna e senza precisare la data, la somministrazione del Morupar (vaccino contro morbillo, rosolia e parotite), ritirato qualche anno fa dal mercato in quanto tossico. L’antitifica, continua il signor Rinaldelli, è costituita da 3 compresse che vanno somministrate a giorni alterni (e ciò è correttamente riportato sul libretto vaccinale) ma altri ragazzi e compagni di Francesco mi hanno spiegato che in alcuni casi queste tre compresse venivano date ai militari senza che ad essi fossero spiegate le modalità di somministrazione. Quindi alcuni le avrebbero prese tutte insieme ed altri giornalmente”. Nella stessa seduta del 15 marzo di fronte alla Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito, Andrea Rinaldelli ha parlato di forti discrepanze tra quanto scritto sui libretti vaccinali e quanto riportato nei certificati vaccinali: “Qual è allora la verità? A
Un padre e una madre coraggiosi, contro tutto e tutti, analizzano liquido seminale e cellule staminali dei figli defunti. Sono contaminati. Ma non erano in missione quali vaccinazioni è stato sottoposto Francesco”? La problematica sulle vaccinazioni multiple è stata anche sottolineata nella relazione finale del Progetto Signum, illustrata il 19 gennaio scorso in Commissione. In questa relazione veniva stabilito che “l’ossidazione cellulare del Dna, riscontrata nei militari appartenenti allo stesso campione era da collegare allo stress psicofisico e alle vaccinazioni multiple”. E proprio su tali risultanze Andrea Rinaldelli, rafforza la sua tesi secondo cui: “la tossicità dei vaccini sommata alla loro errata somministrazione crea uno squilibrio a livello immunitario, aumentando la probabilità di contrarre malattie”. E continua: “Nel momento in cui indossi una divisa, lo Stato è tenuto a mettere in atto per questi ragazzi tutte le precauzioni possibili. Io voglio arrivare a scrivere sulla lapide di mio figlio che è morto per lo Stato e non per colpa dello Stato”. Andrea Rinaldelli è in rete con tante famiglie che, contando sul prezioso sostegno del Comitato nazionale danneggiati vaccini (Condav), stanno conducendo questa importante e difficile battaglia. Raffaele Finessi e Santa Passaniti sono i genitori di Francesco Finessi, deceduto il 1 dicembre 2002 all’ospedale
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San Martino di Genova per un linfoma non Hodgkin. Anche a Francesco furono somministrati vaccini poi ritirati dal mercato (il Neotyf). “Francesco, afferma la signora Passaniti raggiunta telefonicamente, in data 26 settembre 2000 veniva vaccinato con il Mencevax, Morupar e Neotyf. Il successivo 2 ottobre sarebbe stato sottoposto al vaccino antitetanico pur essendo già coperto. Dopo circa una settimana si trasferisce presso il 16° Reggimento Alpini di Belluno. Nell’aprile 2001, a tre mesi dal congedo veniva rifatta la vaccinazione col Neotyf. Per quale motivo sarebbe stato somministrato nuovamente questo vaccino? Nel gennaio 2002 il ministero della Salute ha ritirato il Neotyf su richiesta della casa farmaceutica di produzione per “ragioni di mercato”. Con questo escamotage sarebbe stata evitata l’indagine della magistratura. “Al posto di un vero e proprio libretto vaccinale debitamente compilato, le vaccinazioni somministrate a mio figlio, continua la signora Passaniti, erano riportate su un foglio compilato manualmente ed anche approssimativamente visto che Francesco su quel foglio risultava, erroneamente, come contadino”. Nel 2004 la famiglia Finessi ha fatto esaminare da Antonietta Gatti, responsabile del laboratorio dei biomateriali dell’Università di Modena e Reggio Emilia, il liquido seminale e le cellule staminali di Francesco. Nei campioni osservati è stata riscontrata la presenza di corpi estranei micro e nano dimensionati contenenti piombo, zinco, rame, antimonio e cobalto. La stessa dottoressa Gatti il 30 luglio 2004 ha riportato sul referto che “la presenza di questi corpi estranei in sedi così interne del corpo umano (cioè nel liquido seminale e nelle cellule staminali) sta ad indicare una disseminazione in tutte le parti del corpo. Non sono tuttavia noti in lettera-
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temperature che si generano nel motura i possibili effetti tossici sintetici di dello, papà di Fabio - hanno provocato mento in cui il proiettile all’uranio impotali particelle”. La signora Passaniti ha la leucemia mieloide”. La nostra tesi verito colpisce il bersaglio. Questo si trova conforto negli studi compiuti dal commissionato alla dottoressa Gatti, vaporizza generando polveri sottilissime Massimo Montinari, specialista in chirursempre nell’estate del 2004, anche che, inalate o ingerite, sono in grado di gia pediatrica, e funzionario medico l’analisi di cinque vaccini, in quel mogenerare forme tumorali molto gravi”. della Polizia Di Stato. Quando enmento sul mercato, al fine di verificare Queste sono allo stato attuale le uniche trammo in contatto con Montinari questi la presenza o meno di corpi estranei al certezze”. ci informò non solo della tossicità di alloro interno. I risultati furono sorprendenti: nel vaccino antitifico Vivotif sono cuni vaccini che, nonostante fossero stati Anche Mauro Minelli, direttore del proibiti negli Stati Uniti e in altri paesi, state riscontrate particelle di piombo, Centro Imid di Campi Salentina, anin Italia si sarebbe continuato ad utilizferro e antimonio, nel Typhim (sempre ch’egli consulente dell’attuale commiszare fino al 2007, ma anche della corre- sione d’inchiesta, ha manifestato la antitifico) sono stati trovati detriti di lazione, comprovata da alcuni studi, ferro, zirconio, stronzio e bismuto, nel necessità di focalizzare l’attenzione della leucemia mieloide con alcuni meMencevax (somministrato a Francesco sulle nano e micro particelle. Tra l’altro talli quali alluminio e mercurio contenuti il Centro Imid, come sancito dalla Renel momento dell’arruolamento) alcune in alcuni di essi. particelle a base di zirconio e di ferro, gione Puglia con una delibera di nell’Anatetal alcuni detriti di ferro, Giunta, diventerà punto di riferimento Lo stesso Montinari, audito dall’attuale zolfo e bario, nel Morupar, ritirato dal importante per le patologie connesse alCommissione d’inchiesta lo scorso 6 mercato nel 2006, a causa delle innul’esposizione all’uranio impoverito e ai aprile, ha sottolineato la necessità di merevoli reazioni allergiche riscontrate, metalli pesanti, istituendo al suo indedicare maggiori attenzioni ai militari non è stato rinvenuto nulla. terno un biorepositorio, una vera e proche, pur non partecipando ad alcuna pria banca dati di cellule appartenenti missione internazionale e quindi non “Quale uranio? Usano l’uranio, afferma ai militari partecipanti alle missioni inessendo stati a contatto con l’uranio imla signora Passaniti, per coprire qualternazionali di pace, i cosa di più grande. Nel quali saranno sottoposti 2007 l’allora ministro della Fabio Mondello, di Gallipoli, muore per una a dei prelievi accurati Difesa Parisi alla commisnon solo prima della sione d’inchiesta presieduta leucemia fulminante. partenza ma anche al dal senatore Franco, prenAveva fatto massicce vaccinazioni momento del loro provdendo come riferimento il visorio o definitivo riperiodo 1996 – 2006, torno in patria. Ciò permetterà di parlò di 255 militari impiegati nelle mispoverito, avevano contratto neoplasie e monitorare l’alterazione genetica che le sioni internazionali che avevano conpatologie immunomediate. cellule potrebbero aver subito nel petratto malattie tumorali ma fece anche “La forma leucemica che ha colpito mio riodo di permanenza all’estero. Ma nel riferimento a 1427 militari che, nello figlio - continua Pietro Mondello – se periodo 1996 -2006 non si sono ammastesso periodo, pur non essendo impiegati fosse stata diagnosticata nella fase inilati o non sono deceduti solo i militari in missioni internazionali, si erano ugualziale, avrebbe permesso l’adozione temche hanno partecipato alle missioni inmente gravemente ammalati. Cifra pestiva di una terapia farmacologica, ternazionali di pace. Gravi malattie, quest’ultima che negli ultimi anni è ultetale da consentire a Fabio di poter soanche fatali, hanno colpito anche altri riormente cresciuta raggiungendo le pravvivere”. Ed è proprio sul ritardo giovani ragazzi che all’estero non ci 2624 unità. Questi ragazzi non possono della diagnosi che il Tribunale Civile di sono mai andati. Per questo il cerchio, essere accomunati ai militari dell’AfghaRoma ha basato la sentenza del 1 ottonistan, del Kosovo o dei Balcani. La loro bre 2008 con la quale si è disposto il ri- forse, non è ancora chiuso. storia è molto differente”. sarcimento economico a favore della famiglia Mondello. Nella stessa senStorie che si intrecciano, e su cui si initenza però si esclude ogni correlazione zia finalmente ad informare. Come tra la malattia e le vaccinazioni. L’amquella di Fabio Mondello, originario di ministrazione militare ha presentato, Gallipoli, deceduto il 26 settembre contro questa sentenza, ricorso in ap2001 a Roma presso l’Ospedale San Fipello. lippo Neri per una leucemia mieloide L’assenza di una causalità diretta viene acuta. Di stanza presso l’11° Reggiconfermata dalla dottoressa Antonietta mento Trasmissioni di Civitavecchia, Gatti, del Dipartimento dei Biomateriali Fabio fu sottoposto dal 3 luglio 2000 al dell’Università di Modena e Reggio 7 marzo 2001 a nove somministrazioni Emilia: “Le analisi effettuate sui vaccini vaccinali. In questo periodo gli furono somministrati per due volte l’antimenin- che la signora Santa Passaniti mi consegococcica (la prima volta l’Antimegnò nel 2004 produssero risultati non ningo, la seconda il Menomune), tre confortanti. Ma la tesi secondo cui i linvolte la vaccinazione associata antiepafomi riscontrati nel Finessi o in altri ratite A e B (Twinrix), una volta l’antipagazzi possano dipendere dalla rotite, morbillo e rosolia (Muropar), una somministrazione di quei vaccini non ha, volta l’antipolio (Antipolio), l’antitifoiallo stato attuale, alcun fondamento dea (Antitifoidea, 4 dosi) e l’antitetascientifico. La letteratura scientifica – nica (Antitet). “Le dosi non trascurabili continua la consulente – sostiene attualdi alluminio e mercurio contenute in mente la tesi delle nano e micro partiquesti composti - sostiene Piero Moncelle che si producono a causa delle alte
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CONTROCANTO
Giornalista
DI MELISSA PERRONE
DANNI COLLATERALI seguenze di questa esposizione ai fattori delle commissioni d’inchiesta e consuPer qualcuno è un po’ come con gli di rischio si ripercuotono anche sulle lenze, di parole ne sono state scritte fin UFO: c’é chi ci crede e chi no. Per successive generazioni, ma non siamo troppe. Neanche una però che potesse qualcun altro è invece qualcosa di sicuri che sia per colpa nostra. molto concreto, molto poco fantascienti- in qualche modo scrivere la parola fine Quindi…quindi? Certo è davvero diffifico, contro cui lottare quotidianamente. su questa lunga e triste vicenda. Ad cile cancellare il ricordo delle tante oggi, ancora, farsi riconoscere il danno Questa non è però una storia alla Spielvoci degli ammalati che raccontano (o e il relativo risarcimento è cosa alberg. Non affascinerebbe i bambini. É purtroppo raccontavano) di come loro – piuttosto un film dell’orrore, dove il nee solo loro del contingente italiano – asmico è invisibile e strisciante. Dove sistessero un po’ divertiti agli strani tral’eroe, classicamente giovane e bello, vestimenti da astronauti degli alleati… muore ingiustamente, lasciando nella Siamo, insomma, i soliti italianiarraffodisperazione più nera, e senza risposte, nignorantimadivertenti? O siamo di familiari e amici. Potrebbe, invece, asfronte ad un silenzio somigliare ad un serial tv colpevole e connivente? su genere ‘medical’, pecL’industria delle munizioni e delle armi Perché, nonostante tutti cato non ci sia però il è fiorente. Fermarla, non conviene i segnali di allarme, nei Dott. House di turno a ria nessuno, a costo di circondarla sei anni di missione tra solvere il caso e a salvare il ‘93 ed ’99 non sono da non dichiarati segreti di Stato le altre potenziali vittime. state rese note le norme Il nemico, in effetti, ha un di protezione? Perché, quanto difficile. La vicenda è indubbiamente paludosa. A conferma di ciò basterebbe scorrere, anche solo velocemente, le conclusioni delle varie commissioni d’inchiesta che in questi anni nome conosciuto, benché riduttivo: urasi sono avvicendate. L’unica costante è nio impoverito. E, credetemi, c’è davper il principio di precauzione, non è l’impossibilità di stabilire, sulla base vero poco da ironizzarci su. stato vietato l’uso delle armi all’uranio delle attuali conoscenze scientifiche, un Benché queste nano-particelle, tanto impoverito? I militari, i civili del Konesso diretto di causa effetto tra le patopiccole quanto insidiose, siano conosovo, l’equilibrio biologico del mar Melogie oggetto dell’inchiesta e i singolo sciute da tempo, ancora si fa fatica a diterraneo, gli abitanti della zona fattori di rischio (…) con particolare riparlarne. Sarà perché è un argomento intorno al poligono militare di Quirra ferimento agli effetti dell’uranio impovescomodo o forse perché di competenza sono poi cosa, in fondo? Non sarebbe rito. Detto in altri termini: i giovani di quell’universo a parte che è il mondo purtroppo la prima volta che le nostre militari si ammalano, muoiono, le conmilitare - fatto di segreti e misteri che coscienze sono costrette a fare i tanto piacciono agli italiani - sta di conti con i cosiddetti ‘danni fatto che tranne un gruppo di osticollaterali’. Anche perché, e nati indagatori dell’incubo, qualche scusate se è poco, voi in tempi giornalista-pitbull e le commissioni di crisi ve la sentireste di metd’inchiesta parlamentari, certo non tere in crisi l’unica industria se ne sa un granché. Eppure tra difiorente del nostro Paese? chiarazioni, perizie, conclusioni
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IL MOSTO DI PRIMOLJO. SAPORE DI SALENTO AUTENTICO DISPONIBILE IN ELEGANTI E RAFFINATE BOTTIGLIETTE DA 0,25 O DA 0,50 LITRI Chi ama il profumo ed il gusto dell’olio extravergine di oliva in purezza, non può perdere l’occasione di gustare il sapore del Salento autentico. Si chiama il mosto di Primoljo ed è l’olio extravergine di oliva non filtrato, imbottigliato dalle primissime olive frante. Unico per il suo sapore, ricco di sfumature, deciso nel colore, un giallo opalescente che gli deriva proprio dal suo non essere filtrato, ha straordinari effetti salutari e mantiene tutte le particelle che gli donano le caratteristiche organolettiche e nutrizionali che ne fanno un alimento eccellente per tutti i palati e tutte le età. Il Salento è la terra dell’olio di qualità e Primoljo ha volutamente mantenuto invariati i processi di raccolta e spremitura per conferire al suo prodotto quell’accento antico irresistibile, oggi come ieri. Il mosto di Primoljo è un’idea extravergine al 100% prodotta nel Salento presentata agli estimatori in eleganti e raffinate bottigliette da 0,25 o da 0,50 litri.
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