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// L’Editoriale

L’Editoriale

di Maria Luisa Mastrogiovanni

L

Giù le mani dalla 194 contro il ritorno di mammane e ferri da calza

La legge 194 compie 30 anni e c’è chi vuole abrogarla. Fino al 1978, anno in cui la legge fu approvata in Parlamento, non vi era alcuna norma relativa alla “tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza”. La legislazione sull’aborto era regolata dal codice Rocco e, per evitare pesanti sanzioni, le donne abortivano in clandestinità. Ferri da calza e mammane provocavano morti atroci o infezioni con conseguenze irreversibili. Secondo i dati forniti dall’Istituto superiore di sanità, con la Legge 194 sono state evitate 3,3 milioni di interruzioni volontarie di gravidanza e un milione di aborti clandestini. Le interruzioni sono scese da 234.800 interventi (nel 1982) a 130mila (nel 2006). In particolare tra le italiane l’aborto è sceso del 60 per cento, mentre sul totale degli aborti, solo il 30 per cento interessa donne extracomunitarie. Questo significa che, se per le italiane la legge 194 è servita a garantire la “tutela sociale della maternità”, le extracomunitarie invece sono interessate da una importante sacca di clandestinità, frutto di una serie di concause fatte di emarginazione, solitudine, pregiudizio, sottomissione della donna, che lascia spazio a sfruttamento, dolore, speculazione. L’aborto viene

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eseguito, ma di nascosto, non in ospedale, non da medici. Si ritorna ai ferri e alle mammane. L’Italia non può permetterlo. Non si può permettere che la campagna ideologica fatta sul corpo della donna porti, per paradosso, ad incrementare il dolore e l’isolamento delle donne da un lato e il portafoglio dei disonesti dall’altro. Non avremmo mai pensato di dover ribadire principi che ci sembravano acquisiti dalla pubblica opinione, non solo dal Legislatore, sulla autodeterminazione della donna, sulla necessità che sia la donna a dire l’ultima parola su se stessa, sul proprio corpo, sulla maternità, su tutto ciò che la riguarda. In democrazia non può esserci una legge che decide al posto del cittadino dei suoi bisogni primari (e la procreazione attiene proprio a quest’ambito). Ci sembra di essere tornati indietro, al tempo della caccia alle streghe. Invece vogliamo ancora beneficiare degli effetti delle lotte delle nostre madri, che anche solo con una X, quella del referendum del 1981, con cui si confermò la legge 194, hanno difeso i diritti delle loro figlie. Ecco, il dato sulla diminuzione degli aborti da parte delle donne italiane e contemporaneamente dell’esiguo numero di extracomunitarie che si rivolgono alla struttu-

Sommario

IDEE DAL TACCO

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GOLEM, FOTOPROTESTA, LETTERE AL DIRETTORE TERZOGRADO PAOLA LAFORGIA di Francesco Ria, LINK BOLLETTINO DEI NAVIGANTI di Mario de Donatis LO STRANIERO di Guido Picchi ALL’INCROCIO DEI VENTI di Antonio Lupo LA CITTÀ INVISIBILE di Enzo Schiavano L’ERBA CATTIVA di Crazy cat & Mad linx L’ARIA CHE TIRA di Luisa Ruggio QUESTIONE DI LOOK, IPSE DIXIT, CURIOSITA’

CONTROCANTO ospita Paola Ancora: Giornalista e per giunta donna. Quando la scalata è in solitaria e controcorrente

VEDIAMOCI CHIARO

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COPERTINA // PARI OPPORTUNITÀ WONDER WOMEN SALENTINE di Laura Leuzzi ATTUALITÀ // QUANDO SALOMONE È DONNA di Giuseppe Finguerra ATTUALITÀ // CAMICI AI VERTICI. ROSA di Flavia Serravezza ATTUALITÀ // 102 ANNI DI RICORDI di Cesare Mazzotta

ra pubblica significa che ci sono, tra i tanti, almeno due motivi evidenti, non ideologici, perché la legge 194 non si tocchi: ha già funzionato sulle donne italiane; deve ancora lavorare molto per le future donne italiane, che sono quelle con il maggior rischio “abortività”, cioè le giovani (anche le minorenni) e le immigrate. La 194 deve essere ancora pienamente applicata, non abolita: serve maggiore cultura della contraccezione, potenziamento dei servizi sociali, maggiore capillarità nella prescrizione della RU 486 (la pillola del giorno dopo) come metodo alternativo all’aborto chirurgico (si veda a pag.45, “Come è andata a finire”). Non si usi strumentalmente la donna, buttandola sul piatto dei giochi della campagna elettorale.

il mensile del salento Anno V - n. 45 - Marzo 2008 Iscritta al numero 845 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 27 gennaio 2004

EDITORE: Nerò Comunicazione - Casarano - P.zza A. Diaz, 5

CULTURA&PERSONE

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COSTUME // MAMMI DI CASA NOSTRA di Laura Leuzzi CULTURA // MAGNIFICA PRO-RETTRICE di Francesco Ria CULTURA // CONCETTUALE INGRID di Antonio Lupo SPETTACOLO // LA VOCE DELLA TARANTA di Flavia Serravezza SPETTACOLO // BRAVA, GRAZIE di Margherita Tomacelli

PAESE CHE VAI

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LECCE E DINTORNI // NIETTA, PUGNO DI FERRO IN GUANTONE DA BOXE di Giovanni Di Stefano CASARANO E DINTORNI // VICE QUESTORE DI ROMA. CON PASSIONE di Enzo Schiavano GALATINA E DINTORNI // QUELLA FIAMMELLA CHE BRILLA IN EQUADOR di Valentina Chittano GALLIPOLI E DINTORNI // TAVIANO // IN PUNTA DI PIEDI di Irene Toma MAGLIE E DINTORNI // SUI BANCHI DI SCUOLA AD OGNI ETÀ di Margherita Tomacelli NARDÒ E DINTORNI // LA “SORELLANZA” CON RENATA FONTE di Francesco Ria TRICASE E DINTORNI // NON VOGLIO MICA LA LUNA di Irene Toma

DIRETTORE RESPONSABILE: Maria Luisa Mastrogiovanni HANNO COLLABORATO: Mario Maffei, Laura Leuzzi, Guido Picchi, Enzo Schiavano, Mario De Donatis, Antonio Lupo, Francesco Ria, Giuseppe Finguerra, Flavia Serravezza, Luisa Ruggio, Cesare Mazzotta, Margherita Tomacelli, Irene Toma, Giovanni Di Stefano, Valentina Chittano FOTO: Dove non segnalato archivio del Tacco d’Italia REDAZIONE: p.zza Diaz, 5 - 73042 Casarano - Tel./Fax: 0833 599238 E-mail: redazione@iltaccoditalia.info PUBBLICITÁ: marketing@iltaccoditalia.info - tel. 3939801141

Unione Stampa Periodica Italiana Tessera n° 14705 STAMPA: Stab. grafico della CARRA EDITRICE Z. I. - Casarano (Le) ABBONAMENTI: 15,00 Euro per 12 numeri c/c n. postale 54550132 - intestato a Nerò Comunicazione P.zza Diaz, 5 - 73042 Casarano - abbonamenti@iltaccoditalia.info IL PROSSIMO NUMERO IN EDICOLA IL 1° APRILE 2008


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// Opinioni dal Tacco GOLEM

LETTERE AL DIRETTORE

dice può cambiare l’affidamento condiviso e sostituirlo con l’affidamento esclusivo. Cade così quello che forse è l’unico punto di discriminazione in Italia che penalizza gli uomini rispetto alle donne. E paradossalmente questo deriva dalla collocazione tradizionalista che il Legislatore affida alla donna: quello di madre, unico soggetto deputato alla cura dei bambini nel nucleo familiare. Si discrimina l’uomo, quindi e la motivazione è che si discrimina la donna. L’augurio del Golem è che la parità riguardi anche il diritto dei bambini a crescere con entrambi i genitori anche ove questi non formino più una coppia, e che avvocate brave come la De Pace, possano contribuire a far sì che i bambini mai siano un’arma di ricatto in una disputa giudiziaria. E soprattutto che, quando l’amore finisce, questo dolore non spazzi via tutto e tutti.

Annamaria Bernardini De Pace

Annamaria Bernardini De Pace, 59 anni, l’avvocata matrimonialista più famosa d’Italia e suocera dell’attore Raul Bova, è di origine leccese (ma non ama molto ricordarlo). Per anni le donne separate hanno visto in lei un importante punto di riferimento per le sue sempre lucide e documentate posizioni a favore del coniuge debole. La sua notorietà si è rafforzata nelle cause di divorzio di diverse clienti vip: Romina Power, Simona Ventura, Patrizia Reggiani (Gucci), Katia Ricciarelli, Rosanna Schiaffino. Chissà che cosa ne pensa l’avvocata De Pace della recente sentenza della Corte d’appello di Firenze che, applicando la legge sull’affidamento condiviso, ha condannato una ricercatrice di 39 anni a risarcire l’ex marito (avvocato quarantenne), e soprattutto il figlio di 10 anni, per aver loro impedito di trascorrere insieme le vacanze e altre occasioni di tempo libero. “La condotta della donna – sentenzia la Corte – arreca implicitamente danno alla corretta crescita della personalità del minore, ledendo anche il rapporto del padre con il figlio”. Abituati dalla cronache a padri pronti a qualunque espediente pur di sottrarsi ai propri obblighi morali e materiali, finiamo con l’ignorare il dramma dei tanti papà privati dei propri diritti-doveri nei confronti dei figli. Nel 2005 quattro sentenze di separazione su cinque affidavano i figli alle madri. Nel 2006, con l’introduzione della legge sull’affidamento condiviso (la “joint custody” del sistema anglosassone), si è affermato il principio della bigenitorialità: in caso di separazione il figlio minorenne ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori. In caso di trasgressioni a danno dei bambini, il giudice può sanzionare la parte inadempiente modificando la precedenza sentenza sull’affidamento: insomma nei casi più gravi il giu-

Il Tacco è un giornale d’inchiesta e ogni tanto pestiamo dei calli. Purtroppo alla civile, garbata e ironica “Fotopropotesta” dello scorso numero, in cui abbiamo pubblicato alcuni manifesti 6x3 del negozio “Ranch”, di Casarano, affissi su un muro senza alcuna plancia autorizzata apposta per la pubblicità, il proprietario del negozio ha ritenuto opportuno rivolgersi ai propri legali e rispondere per il tramite di questi, i quali chiedono addirittura il ritiro delle copie del giornale. Ci chiede anche una rettifica, in quanto il muro, dice, è di sua proprietà e “sono state adempiute tutte le formalità di legge per la loro regolare affissione al muro”. Forse il proprietario del negozio non sa che il lettore ha sempre diritto di replica, senza dover ricorrere alle raccomandate. Basta foto proteSta una semplice nota, purché abbia qualcosa da rettificare. Non è questo il caso: anche se il muro è di Gentile Direttore, sua proprietà, è necessario che l’affissione ho qui davanti a me, sulla scrivania, il suo mensia autorizzata da parte degli uffici compesile, che devo ancora finire di leggere. tenti del Comune e che il manifesto sia su Le scrivo per complimentarmi con lei e la redaun’apposita plancia, anch’essa autorizzata. zione per questa buona ed interessante iniziatiNel caso del negozio Ranch, ci fa sapere il va editoriale (un mensile peraltro molto bello). Comune di Casarano, non è stata rilasciata alcuna autorizzazione ed è stata già inviata Con i migliori saluti, alla società San marco, incaricata Le auguro tutto il successo che desidera. dall’Amministrazione di riscuotere le tasse di affissione, apposita comunicazione. Tanto Dott. Francesco Mariano dovevamo per dovere di cronaca. La lettera integrale del proprietario di Ranch e la nota dell’Ufficio tecnico di Casarano è on line nella rubrica LETTERE E LETTORI MLM LETTERE E LETTORI www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=4166

Il Tacco n. 44, febbraio 2008

il tacco d’Italia

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Marzo 2008

LETTERE E LETTORI www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=4167


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// Opinioni dal Tacco terzo Grado di FRANCESCO RIA f.ria@iltaccoditalia.info

commenti e opinioni da

www.iltaccoditalia.net

paola laforGia

Una donna presidente di un Ordine professionale. E’ stato più difficile di quanto sarebbe stato per un uomo? “Non credo. E’ stato un percorso naturale perchè da tre anni ero segretaria del consiglio dell’Ordine. In genere ho sempre goduto di molta simpatia, oltre che di stima. Naturalmente ho avuto anche oppositori, ma mai per il fatto di essere donna”. Nel corso della sua carriera, le è mai capitato di non ricevere fiducia a causa del suo genere? “Il giornalismo è un mondo di larghe vedute; non mi sono mai sentita sottovalutata. Non sono fisicamente imponente (la statura, in genere, aiuta con gli interlocutori) ma per fortuna, a conti fatti, vale di più la capacità di presentarsi come persona credibile”. Si dice che le donne siano più brave degli uomini nel mestiere di giornalista. E’ così? “E’ un complimento di cui usufruisco senza particolari meriti. Forse le donne si applicano di più, ma sia i pregi sia i difetti appartengono ad entrambi i generi. Certamente una donna fatica di più a fare breccia. Questo forse dipende dagli interlocutori, dagli editori, dal datore di lavoro in generale. Inoltre, a volte, le donne devono privilegiare alcuni aspetti della loro vita che vanno al di là della professione. Così, mentre gli uomini non hanno dubbi nell’intraprendere un lavoro, le donne si pongono infiniti interrogativi prima di fare scelte che le portino, ad esempio, lontano dalla famiglia”. Si dice anche che sia difficile essere il compagno di una giornalista. Conferma il luogo comune? “Non saprei. Mio marito ha un lavoro

INDOVINA CHI E’?

La soluzione a pag. 46

Forse non so ancora cos’è l’amore e non mi dispiace poi tanto visto che adesso mi sento “nuova” e pronta, proprio come un’adolescente. Però posso dire come vorrei che fosse… Vorrei che fosse una presenza costante, una certezza, come l’orologio: non mi serve guardarlo ogni cinque minuti, ma so che quando ne ho bisogno posso guardarlo ed avere una risposta. nonvale @ 16:4-12.2.08 http://www.iltaccoditalia.info/blog/commenti.asp?id=209 commento al blog “Sex and the city” di Laura Leuzzi L’alcool fa male al fegato, il fumo al polmone, il sale alla pressione, il dolce al diabete. Sembra proprio che tutte le cose che danno piacere provochino danni al nostro organismo (tratto da un libro di patologia clinica). aAora lasciatemi almeno accontentare del sesso, che a quanto pare non fa male a niente e nessuno... jack @ 21:7-19.2.08 http://www.iltaccoditalia.info/sito/commenti.asp?id=4081 commento a “Niente caos calmo per i giovani cattolici”, rubrica “Ivan il matto” di Francesco Ria Senza essere un “grilliano” (che oltretutto non significa nulla di sbagliato) io ho una ricetta abbastanza semplice, non semplicistica, per sanare questa situazione: azzerare davvero, senza eccezione alcuna, l’attuale classe politica e crearne una nuova composta da gente non superiore ai 35-40 anni, opportunamente “testati” secondo le capacità, la pulizia morale e l’accertata convinzione che dovranno essre al servizio dei cittadini e non invece servirsi dei medesimi! Un sogno? Non credo. Ivan @ 20:41-18.2.08 http://www.iltaccoditalia.info/sito/commenti.asp?id=4089 commento alla news “Italia a rischio sanzioni”

Paola Laforgia, presidente Ordine giornalisti Puglia

molto impegnativo, quindi nel nostro caso è difficile stare con entrambi. Mi ha sempre sostenuta nei momenti in cui volevo mollare. Se sia difficile stare con me in particolare non lo so. Sicuramente i giornalisti sono impegnativi ed hanno bisogno di compagni all’altezza”. Quali lati del suo carattere le sono stati utili nella professione e quanto la professione ha plasmato il suo carattere? “Il mestiere ha modellato il mio carattere. Un tempo ero molto timida; diventavo rossa anche solo nel rivolgermi ad una persona. La necessità di non dovermi mai fare indietro mi ha indotta a superare i miei limiti. La mia determinazione mi ha aiutata nei momenti in cui uscivo dalla redazione con un preciso ordine del direttore e mi imbattevo in una serie di imprevisti”. Quella dei giornalisti è una categoria maltrattata? “Penso proprio di sì. Da circa tre anni il nostro contratto non viene rinnovato per una precisa posizione degli editori. Subiamo gli attacchi del mondo politico che tenta di imbrigliare una professione che, per sua natura, sfugge alle briglie. Un esempio per tutti è il decreto sulle intercettazioni”. Quante altre donne, in Italia, sono a capo di un Ordine regionale dei giornalisti? “In Italia siamo solo in due, io e Letizia Gonzales, presidente dell’Ordine di Lombardia. Credo che il numero andrà crescendo. La proporzione uomo/donna nel mondo dei giornalisti, oggi, è quasi paritaria”.

il tacco d’Italia

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Marzo 2008

A sinistra. Prodi è caduto. Era ora ! A destra. “Se Berlusconi vuole tornare a palazzo Chigi, ci vada con Veltroni, con me ha chiuso”. Parola di Gianfranco Fini. Era il 21 novembre 2007, non dieci anni fa. Siete (a destra ed a sinistra) dei venditori di fumo e dei parassiti. Ma gli elettori non sono più così ingenui come credete. Prima o poi vi chiederanno il CONTO. Mauro @ 20:28-8.2.08 http://www.iltaccoditalia.info/sito/commenti.asp?id=4032 commento alla news “Ugo Lisi: un governo al Paese” Ad oggi assistiamo soltanto alla cementificazione del Salento, ecomostri legalizzati, abusivismo diffuso, distruzione del patrimonio ambientale, distruzione della costa, mercificazione di tutto. Salento in vendita. Quando si saranno spolpato tutto finirà anche la sua attrattiva, a noi resterà solo il cemento (tutto già visto). Per ora abbiamo visto solo la pioggia; per l’arcobaleno aspettiamo. Io sono di SX non ammetto ipocrisie soprattutto dalla mia parte politica. Quando alcuni esponenti della sinistra scelgono il compromesso al ribasso ne decretano la fine. Messapo @ 12:28-2.2.08 http://www.iltaccoditalia.info/sito/commenti.asp?id=3998 commento alla news “Sinistra arcobaleno”


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di MARIO DE DONATIS m.dedonatis@iltaccoditalia.info

la moGlie di ceSare deve eSSere e Sembrare oneSta. perché il conSenSo elettorale non cancella il reato

Le legge elettorale con la quale andremo a votare – che affida la responsabilità di nomina ai partiti – imporrebbe, almeno, liste elettorali composte da uomini e donne inattaccabili da un punto di vista penalmente rilevante. La mia generazione ha vissuto riservando alla politica e agli stessi luoghi della politica (in primis il Parlamento) un sentimento di autentica sacralità che, oggi, è difficilmente percepibile. Ma qualcosa sta cambiando.

A L L’ I N C R O C I O D E I V E N T I

Non siamo, ancora, al forte richiamo “che la moglie di Cesare non solo deve essere onesta, ma deve, anche, sembrarlo” (che, tradotto nell’ambito politico istituzionale, significa proporre alla guida dei livelli istituzionali uomini e donne di indiscussa onestà e trasparenza) ma, di certo, c’è una più forte attenzione all’opera della Magistratura ed alle censure attivate, anche se non in via definitiva.

Oggi, al corpo elettorale – a cui è stato sottratto il potere di scegliere le persone ed a cui è richiesto, unicamente, di manifestare la propria condivisione o meno dei programmi delle forze politiche – dovrebbero essere sottoposte liste con candidati di indiscussa onestà, di accertata professionalità (nei diversi campi in cui si esprime il lavoro umano) ed espressione di uno dei tanti mondi in cui è articolata la società civile. Tanto potrebbe concorrere a ridurre – anche se solo in parte – il deficit di democrazia che l’attuale sistema elettorale produce. Si tratta di operare scelte oculate per impedire che “l’intreccio multicolore”, che lega il mondo affaristico con i centri di spesa pubblici, possa, ulteriormente, rafforzarsi. Se la politica non è una professione, se una professione i politici o gli aspi-

di ANTONIO LUPO a.lupo@iltaccoditalia.info

Inviate i vostri inediti (poesie, racconti brevi) a Il Tacco d’Italia, p.zza Diaz 5 Casarano; oppure a redazione@iltaccoditalia.info e a.lupo@iltaccoditalia.info. Verranno selezionati da Antonio Lupo, docente di materie letterarie Ecco i versi magnetici e vibranti di Giustizieri.

DA STELLA A STELLA - A SUD DI LECCE di Eugenio Giustizieri Da stella a stella ti farò da guida, dalle nuvole al campo arato ci lasceremo cadere a quella solitudine di sole ci bagneremo in mezzo alle ombre.

A sud di Lecce brucia di perenne arsura il vento del sud che accarezza la luna e l’autunno degli anni. Orizzonti che si cercano all’infinito indicano la via sul lastrico bianco incontro a questo vento.

ranti candidati ce l’hanno, non dovrebbe essere difficile perseguire le richiamate indicazioni. In caso contrario apparirebbe, con chiarezza, il deficit di anticorpi di cui le forze politiche dispongono per contrastare il malaffare, unitamente a quella “ricerca spasmodica del consenso” che, prevalendo su ogni cosa, è in grado di cancellare “meriti professionali” e “riconoscimenti civili”. In tale contesto potrebbe prendere ancor più piede la “malapianta” che induce a pensare che il “consenso elettorale” sia in grado di cancellare reati, rinviare giudizi, fino a stravolgere lo stesso significato della “immunità parlamentare”, senz’altro da introdurre, quale presidio della democrazia e del pluralismo culturale, ma mai quale strumento per sottrarsi al giudizio della Magistratura. di GUIDO PICCHI g.picchi@iltaccoditalia.info

SPERANZA di Salvatore Cito - Galatina Quante volte t’ho incontrata nel grande regno del giardino dell’infanzia. Abilmente aggraziavi ogni cosa concedevi doni a iosa… Come un raggio di sole inesorabilmente e senza alcun rumore, mi seguivi passo dopo passo per ossigenarti alla fonte dell’innocenza. Allora non conoscevo il tuo nome non avvertivo la tua presenza, creavo i miei giorni con candide mani colme d’incoscienza.. Nel giardino dell’infanzia, da lungo tempo ormai, non m’è concesso d’entrare. Affannosamente ti cerco, ti chiamo tra le crepe del dolore.. Vien fuori anche l’anima, nell’infinito vaga affamata di te, mio vero nutrimento.

Sulla libertà Dice il saggio: “Essere liberi implica la consapevolezza delle conseguenze di ogni azione che non essendo controllabili impongono l’assenza di ogni gesto, lo scegliere di NON scegliere”. (M. Ancestrale) Per come e quanto subiamo l’imperativo economico, la libertà non è più solo una mistificata illusione ma la “stessa” droga che ci rende schiavi. L’unica, misera, libertà che ancora possiamo esercitare è quella di spendere. Senza tener in alcun conto necessità e qualità ogni acquisto si trasforma in un appagamento temporaneo che non risulta risolvibile perchè l’unica cosa che induce è la ripetizione. Come diceva Cibi citando Oscar Wilde, il massimo piacere è la sigaretta che finisce lasciandoti insoddisfatto. Stiamo facendo la fine della mucca pazza, ingozzata di ciò che non LE SERVE si “trasforma” portandosi all’autodistruzione. La NATURA prevale e prevarrà sempre.

LO STRANIERO

BOLLETTINO DEI NAVIGANTI

// Opinioni dal Tacco


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l’aria che tira punto di non ritorno e punto a capo. buona fortuna, donna Mi sembra che la nostra sia l’unica provincia d’Italia dove la moglie persegue la via del suc- di LUISA RUGGIO cesso sociale, impreziosendo l’ar- l.ruggio@iltaccoditaredamento del salotto di casa. La figlia non sempre è il prodotto di quel salotto e qualche volta provvidenzialmente si salva dal ristretto inferno domestico di una stanza che non è mai stata di nessuna utilità. Se non fosse che da noi le case sono molto più spaziose che altrove e costano meno anche se comunque di questi tempi nessuno se le può comprare. La preoccupazione primordiale di marzo è quella di dimenticare che nonostante passi avanti sostanzialmente buoni, la donna salentina ha una vita sostanzialmente mancata. E che in qualche modo ha dovuto patteggiare, tra la famiglia e la carriera. La donna salentina è un luogo comune, tranne quella percentuale minima costituita da signore che per, vari fattori combinati bene, sono riuscite a chiamare colore al banco da gioco dell’esistenza. Ogni tanto faccio un gioco senza scopo e senza senso, penso a una serie di parole che mi fanno venire la pelle d’oca e che nella mia mente si chiamano tra loro, chissà perché: pari opportunità, liste rosa, epidurale, aborto, contratto a progetto, ricevimento, remissività, opportunismo. Potrei andare avanti e fare la fortuna degli psichiatri. E non è che ce l’abbia con le solite mimose, a parte il puzzo che fanno, solo che è spossante pensare ai soliti discorsi da piagnucolare una volta all’anno come se questo possa mitigare in qualche modo il gap nella scissione che i miei trent’anni mi hanno messo dentro. E’ una cosa che scatta a trent’anni secondo me, sto indagando e ormai sono giunta a questa conclusione. E’ come quando i replicanti di Blade Runner, che non sono stati programmati per sentire le emozioni, cominciano a provare dei sentimenti. Se l’unica realtà è la sensazione, senza scomodare i filosofi, potrei dire che la donna salentina media sembra uscita da quel film di Ridley Scott, ha un difetto generazionale minuziosamente classificato dalla

Il rapporto presentato dalla Provincia di Lecce sulla raccolta differenziata nei Comuni salentini non lascia adito a dubbi: la Puglia non è come la Campania, ma neanche noi ce la passiamo tanto bene. Dal 2006 al 2007 la raccolta differenziata è passata dall’8,53 al 10 per cento, con situazioni drammatiche, come Neviano, all’1 per cento. Se a questo si aggiungono gli scioperi reiterati del personale addetto alla raccolta (è quanto succede nel Comune capoluogo) e il fatto che la Regione Puglia non versa i finanziamenti dovuti ai Comuni dell’Ato Le/2 per la corretta gestione dei rifiuti, ai salentini non resta che prendere esempio dai napoletani e… invocare il Santo patrono.

società in cui vive con l’abito da cerimonia o col tailleur, pur dando numerosi punti di sutura ai passi falsi sottoponendosi alla tortura mentale del come fare a far quadrare i bilanci. Qui non si tratta più di lasciare il Salento per vivere meglio, siamo al punto di non ritorno, bisognerebbe al massimo lasciare l’Italia. Tanto vale restare e ingoiare la pallina della roulette russa senza aver paura di riflettere su

L’ERBA CATTIVA

// Opinioni dal Tacco

che cosa abbiamo trasformato in un oggetto da museo. Perfezionando la meccanica dei nostri strumenti di emancipazione, spalmandoci su una geografia che finge di non essere povera, tenendoci stretto il cuore per non sentirgli dire che ora abbiamo pure voglia di fare un figlio. Ma non è ancora possibile. Buona fortuna, donna.

di ENZO SCHIAVANO e.schiavano@iltaccoditalia.info

polemiche ferme. alla fermata del buS Casarano. Dopo quattro anni, l’amministrazione comunale ha annunciato che il periodo di sperimentazione del servizio di trasporto pubblico locale è finito. Palazzo dei Domenicani ha giudicato il servizio in modo positivo, ritiene opportuno continuare a fornirlo alla cittadinanza ed ha avviato le procedure di gara per l’aggiudicazione definitiva del servizio. Il governo cittadino non si è curato delle polemiche e delle forti contrapposizioni politiche, provenienti sia dall’interno della maggioranza che dall’opposizione – “Con i nostri soldi si finanzia un servizio che non utilizziamo” (Forza Italia); “E’ un fallimento perché in un anno si incassa meno di 5.000 euro” (il consigliere comunale diessino, Rocco Greco) – ed ha deciso di spendere per i prossimi anni una cifra importante del bilancio comunale (circa 200 mila euro all’anno).

Il sindaco, Remigio Venuti, una volta ha affermato che “non è una questione di entrate ed uscite, ma di utilità sociale del servizio”, ricordando come i bus urbani siano importanti per gli anziani e per le persone che vivono da sole. Le due posizioni sono entrambe condivisibili: non bisognerebbe sprecare denaro pubblico, ma allo stesso tempo è doveroso garantire servizi per la fasce più deboli della popolazione. E allora perché non trovare una soluzione che soddisfi entrambe le posizioni? Tra l’altro, il ritorno dei bus urbani in città non ha certamente disciplinato la viabilità generale, uno dei problemi più gravi di Casarano. Il considerevole volume di traffico veicolare non sembra diminuito, ma al contrario la percezione comune è che sia notevolmente aumentato il numero delle auto in circolazione. il tacco d’Italia

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Il servizio di trasporto pubblico urbano doveva, tra le altre cose, disincentivare l’uso delle auto per migliorare la viabilità. E’ chiaro che questo obiettivo è fallito. I motivi sono diversi, il più importante credo che sia da ricercare nei lunghi tempi di attesa alle fermate. Se, per esempio, un cittadino decide di andare in ufficio con il bus, non ci può mettere mezz’ora per arrivare a destinazione. Bisognerebbe studiare, inoltre, un programma di incentivi per usare i mezzi pubblici e lasciare le auto in garage. Non è trascurabile nemmeno l’idea di istituire un servizio intercomunale. Non dimentichiamo che il 32% delle auto circolanti ogni giorno in città provengono dai paesi vicini. Le soluzioni ci sono. Basta un po’ di buona volontà.


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Wonder Women Salentine di LAURA LEUZZI

l.leuzzi@iltaccoditalia.info

A conciliare lavoro, famiglia, tempo per sé stesse, aggiornamento professionale, interessi culturali, a volte ci si sente cappelai matti, come il celebre personaggio della favola “Alice nel paese delle meraviglie”. Sempre di corsa, sempre di fretta. Si dovrebbe essere Wonder Woman per riuscire a fare tutto. Il dedicarsi al lavoro viene vissuto come un tempo sottratto ai figli. L’essere ambiziose viene guardato con biasimo dalla società del Sud (si veda a pag. 28 l’intervento della protettrice Alessandra Chirco). All’indomani della chiusura dell’anno europeo delle pari opportunità, che fissa al 60 per cento il tetto da raggiungere entro il 2010 per l’occupazione femminile, la percentuale di donne che lavorano in Italia è poco più del 45 per cento, in Puglia supera di poco il 30 e in Salento si abbassa al 30 per cento esatto. Siamo a metà del guado e, considerando l’anda-

mento in negativo per il lavoro delle donne, analizzato dalla responsabile dei Centri per l’Impiego della Provincia di Lecce, Adriana Margiotta (a pag. 17), possiamo cominciare ad essere pessimisti. Tuttavia segnali sorprendenti provengono proprio dalla voglia (o dal bisogno) di autoimpiego della donne: la Provincia di Lecce è all’undicesimo posto nella classifica nazionale per numero di aziende con titolari donne (fonte: Comitato per l’imprenditorialità femminile della Camera di commercio di Lecce) con un aumento, in un anno, pari al 2,5 per cento: un punto in più della media nazionale e regionale (1,5 per cento). Si tratta di un dato incoraggiante, se si pensa che la provincia di Milano è al quinto posto della classifica (crescita del 3,3 per cento), mentre quella di Roma è all’ottavo posto (3 per cento). Ma in Italia più di una donna su dieci lascia il lavoro con la nascita del figlio. Il 40 per cento delle donne che non lavora, lo fa per prendersi cura dei figli. A tutto questo si aggiunga la discriminazione sul piano retributivo: gli uomini continuano a percepire un salario più alto delle donne, a parità di ruolo. La media delle retribuzioni delle donne è circa la metà di quella degli uomini, la disparità delle retribuzioni costa alle lavoratrici a tempo indeterminato 3.800 euro netti all’anno in meno in busta il tacco d’Italia

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paga, mentre la differenza sale a 10mila euro in meno per le lavoratrici autonome. Abbiamo chiesto perciò a quattro “tecniche”, quattro donne che si occupano di lavoro femminile e che a loro volta nel loro campo hanno raggiunto posizioni apicali, di partire dalla propria personale esperienza per raccontare, da “tecniche”, appunto, la condizione della donna nel Salento. Le ringraziamo di cuore, perché ci hanno aperto il cuore, a beneficio dei lettori, come solo le donne sanno fare. M.L.M.

La copertina di questo numero del Tacco d’Italia è una rielaborazione da un fumetto anni 70. Ecco l’immagine originale da cui è tratta


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“femminile plurale”. per Svoltare STEFANIA MANDURINO, AMMINISTRATRICE UNICA ELIOS TOURS, COMMISSARIA APT PROVINCIA DI LECCE, PRESIDENTE DEL “COMITATO FEMMINILE PLURALE” DI CONFINDUSTRIA-PUGLIA Non so se sono una donna “di successo”; ho certamente voluto persistere, con molta forza, in ciò che facevo. Oggi, oltre ad essere amministratrice unica di Elios tours, un’azienda che si occupa di servizi turistici, e commissaria dell’Azienda di promozione turistica della Provincia di Lecce, ricopro diversi ruoli di rappresentanza: sono presidente del “Comitato femminile plurale” di Confindustria-Puglia, componente la giunta nazionale Federturismo e Assotravel; membro del gruppo Pari opportunità della Commissione lavoro del Cnel. Sono soddisfatta di ciò che ho raggiunto con il mio impegno e delle relazioni che ho stretto. Le donne vivono in condizioni di contesto minori rispetto a quelle di un uomo; mi piace usare l’espressione “condizioni di contesto” perché mi fa pensare a tutto ciò che un’impresa richiede al territorio per poter essere sostenuta nell’operare. In Italia la donna patisce l’assenza di infrastrutture ma anche un’accezione culturale che le attribuisce incombenze che riguardano il lavoro di cura. Questo ha comportato da parte mia un impegno nell’organizzazione della mia quotidianità maggiore rispetto a quello dei miei colleghi uomini. Questo mi ha portata spesso trascurare la mia vita privata.

1890. Le “suffragette” americane invitano a votare per le donne

Quali discriminazioni e quali difficoltà? “Ho fronteggiato ostacoli di carattere culturale e di contesto, appunto. Non ho avuto difficoltà nel rapportarmi con i colleghi, fossero uomini o donne, ma è stata una condizione che ho conquistato con attenzione, fatica e con una buona dose di tatto, facendo finta, in certi momenti, di non capire che c’erano piccole discriminazioni in atto. Ciò è avvenuto soprattutto in contesti associativi, in cui mi trovavo ad essere l’unica donna o in condizioni estremamente minoritarie”. Quali assi nella manica? “Ho cercato di mettere in gioco la capacità che noi donne abbiamo di tessere relazioni personali. Questo mi ha consentito di avere degli alleati nei miei percorsi di crescita. L’attenzione al piano di comunicazione personale che ho cercato di impostare, lavorando in Azienda di Promozione turistica, ad esempio, è forse inconsueta per un ufficio pubblico, e consiste nel creare rapporti di armonia sul posto di lavoro. Il mio asso nella manica è una capacità di governance tipicamente femminile. Io credo che la donna possa avere il ruolo di portatrice di valori sani, perché l’ha sempre avuto. Se, però, non ha aiuto dalla sua famiglia, rischia di danneggiare sé stessa. Il salto culturale importante che dobbiamo compiere è riconoscere alle donne un ruolo di primo piano anche nella gestione delle realtà al di fuori del nucleo familiare, ma sostenendole allo stesso tempo perché possano mantenere l’importante ruolo che hanno nella famiglia”. Qual è la presenza femminile nel settore in cui lei opera? “Nel campo del turismo si registra una buona percentuale femminile, circa il 20 o 30 per cento delle presenze totali. In un quadro generale, invece, le donne devono compiere diversi passi in avanti perchè le percentuali di presenza sono nettamente a favore degli uomini soprattutto negli ambiti di rappresentanza. Nelle nuove generazioni di salentine noto maturità e tenacia, che le spingono ad attrezzarsi da un punto di vista tecnico e delle competenze: fanno percorsi di studi il tacco d’Italia

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Stefania Mandurino

eccellenti ed hanno spesso un bagaglio culturale più valido di quello dei colleghi uomini. Inoltre non vogliono trascurare la sfera privata e la difendono con più forza di quanto facessimo noi della mia generazione. L’associazione degli industriali è purtroppo una realtà maschile. Nel consiglio direttivo non è presente neanche una donna; in giunta siamo in due. D’altro canto, noi imprenditrici abbiamo costituito il “Comitato femminile plurale” che è stato ben accettato dai colleghi; sono convinta che questo comitato, che ha chiesto che la sua presidente (Stefania Leuci, avvocata, ndd) sia, di diritto, componente degli organi statutari dell’associazione, ovvero di consiglio direttivo e giunta, possa fare in modo che ci sia una maggiore rappresentanza femminile. La presenza delle donne nella giunta nazionale di Federturismo è molto cresciuta con le ultime elezioni raggiungendo quasi il 50 per cento di presenze. Invece se analizziamo la presenza rosa nelle Aziende di promozione turistica della nostra Regione, su cinque commissari, io sono l’unica donna”.

SPESSO, IN CONTESTI ASSOCIATIVI, HO FATTO FINTA DI NON CAPIRE CHE CI FOSSERO PICCOLE DISCRIMINAZIONI IN ATTO. L’ASSOCIAZIONE DEGLI INDUSTRIALI È PURTROPPO UNA REALTÀ MASCHILE. NEL CONSIGLIO DIRETTIVO NON È PRESENTE NEANCHE UNA DONNA; IN GIUNTA SIAMO IN DUE


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una miSSione laica per “l’impieGo” ADRIANA MARGIOTTA, RESPONSABILE COORDINAMENTO CENTRI PER L’IMPIEGO, LECCE Adriana Margiotta

L’evento che ha cambiato la mia vita professionale si è verificato nel 1988. Un funzionario del Ministero del Lavoro ebbe un incidente e in 48 ore la Direzione generale dell’Impiego doveva sostituirlo per una missione di 40 giorni in Gran Bretagna. Capii che dovevo cogliere quell’occasione. Avevo già due figli, di dieci e quattro anni. La mia famiglia di origine e mio marito resero possibile la realizzazione di quest’esperienza. Nell’88 la Gran Bretagna era investita da un processo di deindustrializzazione e dall’estromissione di operai dal mercato del lavoro (come nel film “Full mounty”). La percorsi in lungo e largo, visitando i nuovi Servizi per l’Impiego il cui compito era quello di assistere i disoccupati in cerca di lavoro, ponendo a disposizione gli strumenti fuori dalle logiche burocratiche, nello spirito di quelle che vengono delineate come “Politiche attive del lavoro”. Non esistevano i telefoni cellulari e il mio inglese non era perfetto. Enormi difficoltà da affrontare; sensi di colpa per essermi allontanata dalla mia famiglia. Nei Job Center e nei Job Club feci razzia di opuscoli, manuali che ho tradotto e valutato con calma, una volta rientrata in Italia, perché non volevo che mi sfuggisse nulla di quel “cambiamento” dove concorrevano soggetti pubblici e privati alla realizzazione di moderni Servizi per l’Impiego. Con dodici anni di anticipo, avevo osservato l’evoluzione che, con il decentramento, avrebbe investito in Italia le Sezioni Circoscrizionali per l’Impiego. Personalmente, avevo compreso che bisogna avere l’umiltà di considerare il proprio “status professionale”, come un punto di partenza e mai d’arrivo. Da quel momento ho sempre intercettato percorsi di formazione e stage (la Provincia di Lecce non lesina opportunità) che mi hanno aiutata a crescere e ad introdurre costanti innovazioni nei servizi erogati dai Centri per l’Impiego. Tracci un bilancio della sua vita professionale. “Mi ritengo una donna che ha la fortuna di fare un lavoro stimolante, anche se so che in molti approfittano della mia moti-

vazione per “sbolognarmi” ciò che richiede pazienza e organizzazione. L’attitudine al problem solving è diventata una specie di boomerang. Mi fa piacere pensare di essere utile a chi opera nel mercato del lavoro locale. Una specie di missione laica”.

IN 30 ANNI DI ATTIVITÀ ALMENO TRE EPISODI DI DISCRIMINAZIONE. INOLTRE, UN GRAVE EPISODIO DI MOBBING SUL LAVORO HA INCRINATO LA MIA SALUTE PER CIRCA UN ANNO. LE PERSONE ZELANTI, SOPRATTUTTO SE DONNE, DANNO MOLTO FASTIDIO E VANNO NEUTRALIZZATE Discriminazioni? “In 30 anni di attività almeno tre episodi. Peccato che me ne sia accorta solo successivamente! Inoltre, un grave episodio di mobbing sul lavoro ha incrinato la mia salute per circa un anno. Le persone zelanti, soprattutto se donne, danno molto fastidio e vanno neutralizzate. Sono riuscita ad uscirne. Per il resto, ho condotto vertenze di lavoro, con centinaia di operai senza mai sentirmi discriminata. Ho circa 160 collaboratori con cui ho confronti paritari. I pochissimi che non sono stati in grado di confrontarsi con me in maniera limpida il tacco d’Italia

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non hanno trovato di meglio che attaccarmi sul piano privato, in maniera subdola, diffondendo maldicenze, com’è scontato che sia”! Rimpianti? “Il non aver imparato bene la lingua inglese! Questo mi ha impedito di lavorare in contesti che mi avrebbero fatto crescere ancora di più”. La più grande fatica che ha dovuto affrontare? “La competizione elettorale. Mi sono candidata due volte, una volta con discreto successo. Mi è costata tanta fatica, ma sentivo che era mio dovere. Le donne sono quasi assenti dai luoghi della politica, ma non è giusto pensare che debbano essere “le altre donne” a mettersi in gioco”. Amarezze? “Mi ritornano nella memoria immagini dei miei figli lasciati la mattina davanti ai cancelli ancora chiusi della scuola, per giungere in orario al lavoro e i terribili ritardi con cui arrivavo per riprenderli dalle palestre o dalle lezioni di musica”. Quale asso nella manica? “Cambiare in continuazione settore di lavoro. Ricominciare daccapo da una forte carica. Cambiando colleghi e contesti, mi rimetto sempre in discussione”. Una grande soddisfazione? “Aver cresciuto i miei figli inculcando loro un alto senso di responsabilità, con la presunzione di pensare che, se sono due ragazzi in gamba, è anche merito mio”.

Primo ‘900. Marie Curie, premio Nobel per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911


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il SeGreto è nella conoScenza SERENELLA MOLENDINI, CONSIGLIERA DI PARITÀ, PROVINCIA DI LECCE Mi sono laureata pur essendo già sposata ed avendo un figlio. Inoltre lavoravo, perché volevo fortemente la mia indipendenza economica. E’ stato molto faticoso crescere un bambino a 19 anni, perché ho dovuto rinunciare a tante cose. Però è stata un’esperienza importante. Ho sempre studiato per conquistare nuove competenze; ho anche insegnato Filosofia e Pedagogia negli istituti magistrali e nei professionali femminili. Ero una donna giovane che insegnava ad altre ragazze, le quali mi prendevano a riferimento. Questo è stato determinante per il mio modo di relazionarmi con le giovani donne, perchè mi ha avvicinata molto alla politica femminile. Lo studio è sempre stato una mia passione. Anche il cambiamento che ho spesso fatto nell’ambito del lavoro mi ha aiutata molto a diventare ciò che sono. Nel 1990, infatti, ho lasciato l’insegnamento per sostenere il concorso per lavorare nell’ambito della progettualità e della formazione a docenti e dirigenti presso il Provveditorato agli studi di Lecce. Mi sono occupata di problematiche relative al disagio. Allora, ebbi l’intuizione di riunire attorno ad un tavolo tutte le istituzioni che si occupano di disagio minorile. E’ stato uno dei momenti più esaltanti della mia carriera: ho avuto riconoscimenti che mi hanno permesso di entrare in gruppi nazionali al Ministero della Pubblica istruzione. Lì l’esperienza di Lecce era un esempio da seguire. Quali difficoltà nella scalata? “Nel conciliare lavoro e famiglia ho potuto contare sulla collaborazione del mio compagno. Quando, a fine anni 80, ho deciso di dedicarmi alla seconda figlia, ho ridotto molto le mie attività lavorative. Ad un certo punto, invitata da Loredana Capone, attuale vicepresidente della Provincia, ho presentato la mia candidatura come consigliera di parità. Anche in quel caso, la mia competenza sul tema è stata premiata”. Quali discriminazioni? “Non ho mai sofferto di discriminazioni determinate dal mio genere; credo, però, che sia importante sapersi mettere nelle condizioni di essere valorizzate.

Da parte maschile ho sempre avuto grande apprezzamento per il mio lavoro ed un caloroso incitamento ad andare avanti. Ho sempre cercato di rincorrere un’ambizione sana, che mi portasse a crescere senza danneggiare gli altri. Ho lavorato il doppio per veder riconosciute le mie competenze. Questo dipende anche da un mio difetto, l’incapacità di dire di no, caratteristica tutta femminile. Se problemi ci sono stati sul luogo di lavoro, sono sorti con l’elemento femminile; noi donne dobbiamo ancora crescere quanto a capacità di riconoscere le competenze e il ruolo altrui”. Quali assi nella manica e quale bagaglio si è portata dietro nel percorso? “Il mio asso nella manica è stato l’essere riuscita a condividere la mia storia personale con quella della mia famiglia e l’essermi sempre dimostrata disponibile verso gli altri. Il bagaglio che mi porto dietro è la capacità di far crescere conoscenze e competenze; oggi sono estremamente aggiornata”. Qual è la condizione della donna nel Salento? “La donna salentina ha fatto dei consistenti passi avanti, ad esempio compiendo percorsi di studio molto regolari e, in genere, ottenendo voti più alti rispetto ai colleghi uomini. Nonostante questo, trova molti più ostacoli ad inserirsi nel mondo del lavoro. Inoltre, ogni anno si registrano una massiccia messa in mobilità di donne over 45 anni con basso titolo di studio ed almeno 200-250 dimissioni dal lavoro in seguito a maternità. Nelle nostre città mancano i servizi: siamo circa al 3 per cento di servizi per l’infanzia rispetto al 33 per cento che l’Unione europea ci chiede di raggiungere entro il 2010. Oggi, la donna si deve accollare la cura non solo dei figli ma anche dei genitori anziani. Dopo aver conciliato questi impegni, dovrebbe anche trovare il tempo per sé, che non esiste. Così, lascia il lavoro credendo di poterci ritornare più in là. Ma il reinserimento nel lavoro al Sud è quasi impossibile. Fortunatamente, di contro, sono cresciute la consapevolezza dell’importanza dell’istruzione e la voglia di fare imprenditoria. Da questo punto di vista, la provincia di Lecce è la più attiva della Puglia”. il tacco d’Italia

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Serenella Molendini

SIAMO CIRCA AL 3 PER CENTO DI SERVIZI PER L’INFANZIA CONTRO IL 33 PER CENTO CHE DOVREMMO RAGGIUNGERE ENTRO IL 2010, SECONDO L’EUROPA. LA DONNA SI DEVE ACCOLLARE LA CURA DEI FIGLI E DEI GENITORI ANZIANI. COSÌ, LASCIA IL LAVORO CREDENDO DI POTERCI RITORNARE PIÙ IN LÀ. MA IL REINSERIMENTO NEL LAVORO AL SUD È QUASI IMPOSSIBILE

Anni 60 del ‘900. Mary Quant, stilista inglese, inventa la minigonna, rivoluzionando la moda femminile


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orGanizzare i tempi. ma la città non aiuta ANTONELLA PERRONE, SEGRETARIA CONFEDERALE CGIL Mi ritengo una donna che con il suo impegno nel sociale tenta di venire incontro ai bisogni di altre donne per il riconoscimento di una parità reale. La mia prima esperienza lavorativa in un’azienda del settore turistico è stata molto precaria; ho incrociato la Cgil spinta dalla voglia di difendere il mio posto di lavoro. Da quel momento la mia vita personale si è intrecciata con il sindacato. Lì ho conosciuto Pinuccio Giuri, allora sindacalista della categoria Filcams - Turismo, che è diventato il mio più caro amico. Quella battaglia per la difesa dell’occupazione fu un’esperienza talmente positiva che decidemmo di estenderla ai servizi e ad altri lavoratori. Ci riuscimmo; e poi ci battemmo anche per il rispetto delle condizioni dei contratti collettivi di lavoro. La Cgil mi piaceva sempre di più, perchè era il luogo della discussione. Mi ritrovai a far parte della segreteria della Filcams, che si occupa di commercio, turismo e servizi e, quindi, di donne. Mi sentii subito a mio agio perchè il rapporto uomodonna era paritario. Ad un congresso di categoria conobbi Carlo Benincasa, sindacalista della Cgil, all’epoca segretario confederale. Con lui ho messo su famiglia.

E’ STATO DIFFICILE CONCILIARE I TEMPI DEL LAVORO CON I BISOGNI DELLA FAMIGLIA; UN SINDACALISTA NON HA ORARI. PER UN PERIODO HO RALLENTATO IL MIO IMPEGNO SINDACALE PER DEDICARE PIÙ TEMPO A MIO FIGLIO E SOLO QUANDO HO SUPERATO LA FASE CRITICA DEI SUOI PRIMI ANNI DI VITA, MI SONO PERMESSA PIÙ LAVORI CONTEMPORANEAMENTE Quali difficoltà nella scalata? “E’ stato difficile conciliare i tempi del lavoro con i bisogni della famiglia; un sindacalista non ha orari. Per un periodo ho rallentato il mio impegno sindacale per dedicare più tempo a mio figlio e solo quando ho superato la fase critica dei suoi primi anni di vita, mi sono permessa più lavori contemporaneamente. Le difficoltà che ho incontrato sono legate ad un’organizzazione delle città che non aiuta le donne che lavorano. La società è cambiata e sono necessari nuovi modelli organizzativi. Un intervento in materia di diritti e di servizi alla persona aiuta, infatti, non solo la donna che ne usufruisce direttamente, ma l’intera famiglia”. Quali discriminazioni? “Lo statuto della Cgil ha una norma antidiscriminazione, che garantisce la presenza, all’interno di ogni organismo, dei due generi. Forse anche grazie a questa norma ho potuto essere una segretaria confederale. Credo, di contro, che un eccesso di tutele a volte possa nuocere alla parità”.

Bologna. Una manifestazione femminista dei nostri giorni

Quali assi nella manica per sfondare? “Mi sono fatta apprezzare per le mie qualità professionali, dunque sono stata trattata il tacco d’Italia

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Antonella Perrone

con pari dignità dei colleghi uomini. Un asso nella manica è stata la mia capacità di organizzare i tempi ma, nello stesso tempo, la fortuna di poter gestire in maniera elastica il lavoro in Cgil”. Qual è la condizione della donna nel Salento? “Sono ancora troppe le donne in cerca di prima occupazione, ma anche quelle che, non più giovani, sono state espulse dal settore produttivo del Tac. Molte interrompono gli studi dopo la terza media e sono portate a cercare lavoro nelle piccole fabbriche che vedono come il luogo dell’emancipazione. A questo si lega il bisogno economico delle famiglie che traggono vantaggio economico dall’avere un membro in più impegnato nel lavoro. E’ necessario puntare su un livello di conoscenza più alto e su un grado di scolarizzazione più specifico. Se guardiamo alla presenza femminile nel sindacato, possiamo trarne un bilancio positivo, dal momento che questa tende a crescere sempre di più. In segreteria confederale, che è il massimo organismo a livello provinciale, c’è una donna, io, su quattro componenti. Nella Filcams, categoria del commercio, turismo e servizi, la segretaria generale è una donna e, nella segreteria composta da cinque membri, le donne sono due. Un’altra segretaria generale si trova in una categoria importante come la FLC, la Federazione dei lavoratori della conoscenza, che si occupa di scuola, Università, formazione e ricerca; circa il 40 per cento dei membri della segreteria di questa categoria, sono donne. Nello Spi, sindacato dei pensionati, la segretaria generale è una donna. Anche nella segreteria della Filtea, impegnata nel settore tessile, ci sono due donne. Facendo un rapporto complessivo la presenza delle donne è garantita al 40 per cento. Poi, in alcune categorie, è donna anche la segretaria generale”.


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//Copertina //L’intervento //Esclusivo

Se il lavoro (nel Salento) non è donna di ADRIANA MARGIOTTA*

IN ANTEPRIMA I DATI DELL’OCCUPAZIONE FEMMINILE SALENTINA ALL’INDOMANI DELLA CHIUSURA DELL’ANNO EUROPEO DELLE PARI OPPORTUNITÀ. UN BILANCIO TUTT’ALTRO CHE ROSEO I dati sull’occupazione femminile della provincia di Lecce per l’anno 2007 sono espressione della questione che divide l’Italia: al nord sono in linea con il resto dei Paesi dell’Unione europea, mentre nel sud siamo al penultimo posto. Al costante aumento dell’afflusso delle donne nell’Università - dove si laureano in numero maggiore degli uomini e con risultati accademici migliori - dopo la formazione universitaria, lavorano meno e vengono pagate peggio di loro. Il tasso di occupazione delle donne in ambito Ue, registra un distacco con gli uomini di oltre il 24,2%, che sale al 32% nel Mezzogiorno. L’inattività è dovuta per lo più a motivi familiari o a scoraggiamento. Lo stereotipo culturale che vede la donna a casa e l’uomo al lavoro è consolidato anche nelle logiche culturali del contesto salentino. L’inadeguatezza delle strutture di conciliazione famiglia/lavoro come asili nido e la forte incidenza della responsabilità di cura familiare, impediscono di fatto alle donne l’ingresso nel mercato del lavoro. L’Istat pubblicherà solo il 20 marzo i dati nazionali sull’occupazione e conseguentemente manca un aggiornato quadro di riferimento da porre in relazione con i dati delle occupate in provincia di Lecce. Invece i dati dei Centri per l’impiego, elaborati dal Servizio Statistica della Provincia ci forniscono delle rilevazioni attendibili. Da una prima valutazione d’insieme, persiste una situazione di diffusa sofferenza riguardo alle disoccupate in cerca di lavoro nel Leccese. Rispetto infatti al 31.12.06 che contava 146.782 disoccupati (Uomini 60.325 Donne 86.547) al 31.12.07 risultano iscritti ai Centri per l’Impiego 154.724 unità (Uomini 63.468 –Donne 91.246).

Oltre il 50% delle disoccupate è concentrato nella fascia di età tra i 30 e i 49 anni. Delle 91.246 donne, 59.322 sono disoccupate che hanno perduto il lavoro, pari al 65%, mentre 31.942, corrispondenti al 35%, sono inoccupate. Osservando poi la distribuzione territoriale nei singoli Centri per l’Impiego dei livelli di disoccupazione femminile, è possibile osservare come la percentuale più bassa sia quella della sezione decentrata di Poggiardo pari al 5,9%, seguita da Gallipoli col 6,5%, Martano al 6,6%, Maglie al 7,7%, Galatina all’8,5%, Tricase al 9,6%, Nardò col 10%, Campi Salentina col 10,1%, Casarano al 16,5% e Lecce al 18,7%. Per quanto riguarda poi l’andamento occupazionale, nel 2007 si rileva che: gli avviamenti al lavoro di donne, complessivamente, sono stati inferiori a quelli degli uomini – 76.852 contro 88.384. Per gli avviamenti a tempo determinato – 123.793 unità - le donne (62.487) superano di poco gli uomini (61.306). La prevalenza degli avviamenti maschili risulta ancora più evidente per quanto riguarda i rapporti a tempo indeterminato: infatti il 64,6% dei rapporti di tale natura iniziati nel 2007 ha riguardato uomini, contro il 35,4% delle donne. Questo dato, pur nella sua schematicità, rispetto al passato è meno marcato, ma conferma la maggiore flessibilità/preca-

AUMENTANO LE DISOCCUPATE E SI ASSUMONO PIÙ UOMINI; NELL’ASSUMERE UNA DONNA SI PREFERISCE IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO; NEL SETTORE TAC SONO LE DONNE A PERDERE DI PIÙ IL LAVORO il tacco d’Italia

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rietà dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile. Se da un lato la maggior parte delle persone in cerca di occupazione è costituita da donne (il 59,0% di 154.724 disoccupati al 31.12.07), dall’altro gran parte degli avviamenti concretizzatisi nel corso del 2007 hanno coinvolto uomini: infatti degli avviamenti registrati nel corso del 2007, il 53,5% ha riguardato uomini, mentre il 46,5% le donne. La prevalenza maschile sul complesso degli avviamenti, specie se a tempo indeterminato, sembra tuttavia ridursi: basti pensare, infatti, che nel 2006 riguardava gli uomini il 59,5% degli avviamenti complessivi, ed il 66,4% degli avviamenti a tempo indeterminato. Nel 2007 le percentuali diminuiscono. Dallo scenario salentino emerge un altro fenomeno di rilievo: la prevalenza delle donne tra i disoccupati di lunga durata, mentre gli iscritti in cerca di lavoro da meno di un anno si distribuiscono in maniera esattamente paritaria tra i sessi, con una percentuale del 50%; le donne costituiscono il 60,6% dei disoccupati di lungo periodo. Per concludere la valutazione sul panorama delle disoccupazione femminile del Salento, si può confermare che nel processo di estromissione dal mercato del lavoro con procedure di mobilità, che da tempo sta investendo il Settore del Tac, sul totale di 3.590 unità (al 18.09.07), ancora una volta sono le donne in numero maggiore 1.998 – rispetto agli uomini – 1.592 – a perdere il lavoro, beneficiando poi di ammortizzatori sociali di lunga durata. *Esperta di problemi Occupazionali e mercato del lavoro del Salento Responsabile Centri per l’impiego, Provincia di Lecce


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Quando Salomone è donna N

Una personificazione della giustizia

di GIUSEPPE FINGUERRA g.finguerra@iltaccoditalia.info

el 1791 Olympe de Gouges pubblicò la Dèclaration des droits de la femme et de la citoyenne, poiché, nel 1789, i rivoluzionari francesi si erano dimenticati, opportunamente, di menzionare i diritti delle donne nella Dèclaration des droits de l‘homme et du citoyen. L’istanza portata avanti dalla de Gouges, ossia che la donna dovesse godere degli stessi diritti che spettavano all’uomo, era troppo sovversiva anche per i colleghi rivoluzionari. Per cui, il buon Robespierre recise sul nascere la questione, portando al patibolo la turbolenta sanculotta. Olympe de Gouges morì ghigliottinata nel 1793. Da allora, le donne non si sono perse d’animo ed hanno lavorato per l’affermazione della parità di genere. Anche in Italia la parità di genere va lentamente affermandosi. Le donne impegnate in lavori di elevata responsabilità e competenza divengono ogni giorno più numerose. Tuttavia, ancora troppo poche. Un problema sottolineato anche dalle due magistrate e dalla direttrice del carcere Borgo san Nicola, che abbiamo incontrato.

“ho Scelto tra carriera e famiGlia” FAUSTA PALAZZO CONSIGLIERA DI CASSAZIONE CON FUNZIONI DI CONSIGLIERA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI LECCE Qual è la sua storia professionale? “Attualmente sono Consigliere di Cassazione con funzioni di Consigliere di Corte d’Appello. Ho vinto il concorso per l’accesso in Magistratura nel 1983. Ho iniziato a lavorare presso il Tribunale di Cosenza, occupandomi da subito del settore penale. Sono arrivata nella sede calabrese insieme ad altri cinque giovani magistrati, poiché vi erano degli organici sguarniti, come spesso accade nelle realtà più disagiate. La realtà era dura, ma l’esperienza è stata molto formativa, perché ho lavorato su processi di ‘ndrangheta. In particolare mi sono occupata di vicende criminose in cui era implicata la cosca “Cosenza vecchia”. Ritornata in Puglia, ho lavorato per diciotto anni a Brindisi in tutti i settori del civile. Infine, da tre anni sono a Lecce e svolgo le funzioni di Consigliere di Corte d’Appello nella Sezione Promiscua, che si occupa sia della materia penale e sia di quella civile. Inoltre, sono giudice per i minori in grado d’appello”.

Una magistrata ha le stesse opportunità professionali di un collega? “Oggi le donne accedono in magistratura in un numero superiore rispetto a quello degli uomini. Quindi, ogni barriera per impedire alle donne di divenire giudici o pubblici ministeri è stata rimossa. Tuttavia, esiste il problema delle difficoltà che incontrano le donne nella progressione professionale. Infatti, vi sono moltissime donne ai livelli più bassi dell’amministrazione giudiziaria, ma ve ne sono inversamente poche nei posti direttivi. Questo fatto si riscontra anche in altri settori della Pubblica Amministrazione. La causa del problema non è in un atteggiamento maschile che tende a privilegiare i colleghi uomini, ma nella difficoltà oggettiva che incontra la donna nel trovare un equilibrio tra la posizione familiare e la posizione lavorativa. Faccio degli esempi concreti. Un magistrato può ambire a far carriera se ricopre livelli direttivi sempre più elevati o segue corsi di formazione e di aggiornamento normativo. Ciò comporta una disponibilità a muoversi verso luoghi lontani dalla propria il tacco d’Italia

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Fausta Palazzo

sede famigliare. Io, tre anni fa, ho avuto l’occasione di poter presiedere il Tribunale di Paola, in Calabria. Ciò mi avrebbe permesso di fare un ulteriore progresso nella mia carriera. Tuttavia, vi ho dovuto rinunciare, poiché, allora, mia figlia frequentava il Liceo ed ho ritenuto di rimanerle ancora vicina. È stata una mia scelta, non indotta da nessuno. Però è una scelta che fanno molte donne che danno prevalenza alla famiglia piuttosto che al lavoro. Dopo la mia rinuncia a divenire Presidente del Tribunale di Paola, il posto è stato assunto da un collega uomo. Lo stesso problema esiste per i corsi di formazione, che si seguono a Roma e sono frequentati in prevalenza da uomini”. È possibile risolvere il problema? “È stato proposto di creare delle corsie preA COLPI DI TACCO www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=4162


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ferenziali per incentivare le donne a partecipare ai corsi di formazione o agli incarichi direttivi. Lo strumento ideale è quello delle quote rosa, ossia di un determinato numero di posti riservato alle donne. Anche l’organo di autogoverno della magistratura, ossia il Csm (Consiglio superiore della magistratura), dovrebbe prevedere quote rosa. Ma non bastano le norme a garantire le pari opportunità. Occorre che nella società si compiano pienamente dei cambiamenti culturali. Le

donne che lavorano sono tante e spesso più preparate degli uomini. Ma accedono con difficoltà ai gradi superiori e direttivi del lavoro. Le difficoltà a superare gli ostacoli sono tanto maggiori, quanto meno evidenti e più sottili sono i problemi. Se la donna è il soggetto più vicino ai più piccoli ed agli anziani della famiglia, allora occorre che la società offra degli strumenti di supporto che le consenta di cogliere le opportunità migliorative della propria carriera”.

“TRE ANNI FA POTEVO PRESIEDERE IL TRIBUNALE DI PAOLA, IN CALABRIA. MA MIA FIGLIA FREQUENTAVA IL LICEO, E VI HO RINUNCIATO. È STATA UNA MIA SCELTA, NON INDOTTA DA NESSUNO. PERÒ È UNA SCELTA CHE FANNO MOLTE DONNE”

maGiStrata, 24 ore al Giorno MARIA RITA VERARDO PRESIDENTE DEL TRIBUNALE PER I MINORI DI LECCE Quando ha iniziato il suo lavoro? “Sono entrata in magistratura nel 1967. Appena due anni prima vi era stato il primo concorso in cui hanno potuto partecipare le donne laureate in giurisprudenza, era il 1965. Fino ad allora il lavoro del magistrato era destinato all’esclusivo appannaggio degli uomini. Nella società prevaleva il pregiudizio che le donne non avessero le qualità per svolgere funzioni di responsabilità. Il principio della parità di genere, sancito dalla Costituzione del 1948, era stato disatteso per quasi venti anni. Oggi la situazione è mutata. Le donne preparate non hanno ostacoli ad accedere alla carriera di magistrato. Infatti, in magistratura le donne sono più numerose degli uomini”. Come si è svolto nel tempo? “Oggi sono magistrato di cassazione dichiarata idonea alle funzioni direttive. Sono presidente della Associazione nazionale dei magistrati per i minori e la famiglia. A Lecce ho espletato funzioni di giudice presso la Sezione Penale dal 1978 al 1985”. Quali impegni affronta quotidianamente? “Innanzitutto, svolgo il mio lavoro d’ufficio giornaliero. Inoltre, dedico le ore in cui sono a casa alla stesura di provvedimenti, sentenze, ordinanze e decreti, allo studio dei fascicoli delle cause, all’aggiornamento giurisprudenziale e normativo. Succede ad ogni magistrato di lavorare anche quando non è presente in ufficio e di sottrarre moltissimo al tempo libero. Una donna magistrato spesso è costretta al sacrificio di sottrarsi al ruolo familiare e di privilegiare a volte il lavoro. Sta all’equilibrio della persona di contemperare, secondo un ordine

di priorità, i bisogni della famiglia con il dovere del magistrato”. Come si è evoluto il principio della parità di genere nel diritto? “La Costituzione ha ormai 60 anni. Il Costituente ha indicato chiaramente che tutti i cittadini, indipendentemente dal genere, devono avere delle pari opportunità. A partire dagli anni Settanta, una rivoluzione culturale e legislativa ha condotto alle riforme del diritto del lavoro e della famiglia. In particolare, nel diritto della famiglia molta strada è stata fatta nel raggiungimento di una concreta parità tra i coniugi genitori. Però gli ostacoli ci sono ancora e si riflettono sul modo di essere donna e madre. Così come, se guardiamo alla donna che lavora, non tutti gli ambienti lavorativi sono rispettosi delle sue prerogative. In molti ambienti la parità della potestà genitoriale, che dovrebbe essere esercitata allo stesso modo da entrambi i genitori e con lo stesso impegno, viene spesso affidata e caricata sulle spalle della donna. Tale situazione determina un influenza negativa sull’impegno lavorativo della donna. Ciò è evidente nel lavoro operaio ed impiegatizio. In tali contesti la donna è ancora penalizzata se intenda assolvere al suo ruolo di madre. Quindi, è costretta ad operare la scelta di sottrarsi alla famiglia, oppure deve rinunciare alla carriera”. Esistono problemi di ordine culturale? “Il fatto che la responsabilità della conduzione famigliare sia accollata sulla donna può incidere sull’armonia della famiglia. In molti casi la latitanza dell’uomo, sotto il profilo della responsabilità educativa o della conduzione del ménage famigliare, crea uno stato di isolail tacco d’Italia

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Maria Rita Verardo

mento o di solitudine della donna. Ciò accade quando l’uomo è completamente preso dalla sua carriera, oppure quando escluda dai suoi momenti ludici la coniuge. Tali comportamenti divengono, a lungo andare, causa di dissesto nell’armonia famigliare. Per questa ragione, una donna che lavora o che deve condurre da sola la casa e l’educazione dei figli può decidere di separarsi o di divorziare”. Totale avvocati Prov. Lecce

3951

donne

1670

uomini

2281

Distretto di Corte D’appello (Lecce, Brindisi e Taranto)

Totale

184 (19 scoperti)

Donne giudicanti

72

Donne requirenti

19

Totale donne

91

Totale uomini

74

Fonte: Ordine degli avvocati di Lecce, dati aggiornati al 26/01/2008


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//Attualità //Amministrazione della giustizia //Chi dirige Borgo San Nicola

“all’inizio Sono Stata diScriminata in Quanto donna” ANNA ROSARIA PICCINNI DIRETTRICE DELLA CASA CIRCONDARIALE DI LECCE BORGO SAN NICOLA Qual è il suo percorso lavorativo? “Agli inizi degli anni Ottanta, conseguita la laurea in giurisprudenza, ho iniziato il consueto iter del dottore in legge, frequentando uno studio per la pratica forense e conseguendo l’abilitazione professionale. Nel contempo, ho insegnato diritto in diversi Istituti superiori. Nel 1983 ho partecipato al concorso pubblico per l’assunzione di vicedirettori degli istituti carcerari, spinta dal grande fermento culturale determinato dalla riforma dell’ordinamento penitenziario. A quei tempi si dibatteva molto sulla funzione che dovesse avere la detenzione. L’applicazione della pena è una occasione per rieducare il condannato al rispetto dei valori della convivenza sociale e non meramente per affliggerlo. La nuova legge sulle carceri parlava, per la prima volta, di trattamento del detenuto, attraverso il lavoro di figure professionali come gli educatori, gli psicologi, ecc.. Per queste ragioni ho pensato che la direzione di una Casa Circondariale potesse essere un lavoro confacente alle mie aspettative”. Ha incontrato difficoltà a lavorare in un luogo tradizionalmente “maschile”? “Ricordo che, 25 anni fa, il mio primo approccio non è stato tra i più entusiasmanti. Il direttore del primo penitenziario in cui ho lavorato mi riservava lo svolgimento di un lavoro prettamente burocratico, nell’area amministrativa contabile. Il fatto di essere in prova e di essere, inoltre, una donna, non mi ha consentito di avvicinarmi all’aspetto trattamentale. Non ero reputata in grado di affrontare un più stretto contatto con i detenuti. Molti condannati erano uomini, mentre la sezione femminile era piuttosto ridotta. Quindi, in tale circostanza

si esplicitò nei miei confronti un pregiudizio in quanto donna. Inoltre, i rapporti con il personale di custodia non sono stati improntati ad una sufficiente disponibilità nei confronti della donna. Vi era l’abitudine a rapportarsi solo con figure gerarchiche maschili. Non di rado gli atteggiamenti nei miei confronti erano paternalistici. Oppure vi erano remore a mettermi a conoscenza di problematiche particolari che vi possono essere tra i detenuti. Dopo pochi anni ho assunto le funzioni di direttore ed ho potuto autoregolamentarmi. Da quel momento ho dato piena applicazione al mio modo di concepire la gestione di un istituto di pena ed il trattamento dei detenuti”. Qual è, oggi, la condizione delle donne detenute? “Vi sono inevitabilmente delle specificità nella detenzione delle donne rispetto a quella degli uomini. Innanzitutto la donna vive con un senso di colpa maggiore il distacco dalla propria famiglia, dal coniuge o dai genitori. Poiché non è più in grado di curare gli affetti famigliari a causa della inevitabile limitazione della propria libertà. Tale senso di colpa è acuito nella ipotesi della madre che è distaccata dai propri figli. I rapporti mantenuti attraverso gli strumenti di comunicazione offerti dalla corrispondenza epistolare, dalle conversazioni telefoniche o dai colloqui periodici sono insufficienti a mitigare la separazione. Per questa ragione abbiamo pensato a dei progetti di valorizzazione della genitorialità in carcere. In occasione di alcune festività, le madri detenute hanno la possibilità di trascorrere interi pomeriggi insieme ai figli, assistendo a spettacoli o partecipando ad

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Anna Rosaria Piccinni

altre forme di intrattenimento e socializzazione. Un discorso a parte riguarda la prole di età inferiore ai tre anni. In questi casi la legge prevede la facoltà della madre di avere con sè il figlio. Io ho delle perplessità sulla utilità di una tale norma. È vero che la madre ed il bambino hanno la possibilità di vivere insieme. Tuttavia, la costrizione entro le mura del carcere incide negativamente sulla vita del bambino, che è scandita dagli orari di apertura di un cancello e ne limita la libertà di movimento”.

25 ANNI FA IL DIRETTORE DEL PRIMO PENITENZIARIO IN CUI HO LAVORATO MI RISERVAVA LO SVOLGIMENTO DI UN LAVORO PRETTAMENTE BUROCRATICO. NON ERO REPUTATA IN GRADO DI AFFRONTARE UN PIÙ STRETTO CONTATTO CON I DETENUTI, QUASI TUTTI UOMINI. DOPO POCHI ANNI HO ASSUNTO LE FUNZIONI DI DIRETTORE ED HO POTUTO AUTOREGOLAMENTARMI


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//Attualità //Sanità //Top manager in ospedale ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET

camici ai vertici. roSa

direttrice Sanitaria. determinazione ed elaSticità l camice rosa più importante della sanità leccese è indossato dalla dottoressa Gabriella Cretì. Da cinque anni è la direttrice sanitaria dell’ospedale “Francesco Ferrari” di Casarano. Originaria di Muro Leccese, dove attualmente vive, ha 50 anni, è sposata e ha due figli. Al Tacco d’Italia ha detto: “Le presenze femminili sono destinate ad aumentare anche nei ruoli dirigenziali della Asl di Lecce. Determinazione ed elasticità sono la marcia in più delle donne”.

I

Partiamo dall’inizio. Quando è nata in lei l’idea di diventare medico? “Quando frequentavo gli ultimi anni del liceo classico e abbiamo iniziato a studiare anatomia umana. Mi sono Gabriella Cretì appassionata sin da subito, era la branca delle scienze che più mi incuriosiva”. Dopo il liceo? “Mi sono iscritta alla facoltà di Medicina all’Università di Perugia. All’epoca, non occorreva mica superare test terrificanti come oggi. Quando ho sostenuto gli esami di Microbiologia e di Igiene, ho deciso che al termine degli studi avrei preso la specializzazione in Igiene e tecnica ospedaliera. Mi sono laureata nel 1986 e due mesi

dopo mi sono sposata. Un anno dopo la laurea ho superato l’esame di abilitazione alla professione, poi mi sono specializzata a Bari e nel frattempo ho avuto anche il primo bambino”. Quali sono le tappe principali della sua carriera professionale? “Ho iniziato come medico di base, poi ho lavorato come guardia medica per molti anni in provincia di Lecce. I primi incarichi in ospedale li ho svolti al pronto soccorso di Scorrano, all’Ufficio di Igiene di Martano e altre Usl, poi all’Utic, l’unità coronarica di Scorrano. Pur essendo alle prese con il cosiddetto lavoro di trincea, continuavo a tenere sott’occhio i concorsi per direttore e vicedirettore sanitario. Nel 1993 è arrivata la svolta, quando ho vinto il concorso e sono stata assunta come vice direttore sanitario a Galatina. Nel maggio del 1995 avevo già assunto le funzioni superiori di direttore del presidio di Galatina prima e poi di Nardò, dei quali mi sono occupata fino al ‘99. In seguito ho partecipato ad un altro concorso e mi sono spostata a Copertino. Per finire, nel 2003, sono stata nominata dirigente sanitario dell’ospedale di Casarano e di Gagliano”. Per curiosità, suo marito è un santo? “Decisamente. Senza di lui non avrei potuto mai dedicarmi alla mia carriera e contemporanea-

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di FLAVIA SERRAVEZZA f.serravezza@iltaccoditalia.info

LAUREATA NEL 1986, SPOSATA DUE MESI DOPO. UN ANNO DOPO SUPERA L’ESAME DI ABILITAZIONE ALLA PROFESSIONE: “POI MI SONO SPECIALIZZATA A BARI E NEL FRATTEMPO HO AVUTO ANCHE IL PRIMO BAMBINO. E’ IMPORTANTE AGGIORNARSI”. PER QUESTO OGGI STA STUDIANDO PER ESSERE AMMESSA ALLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN MEDICINA LEGALE mente essere e sentirmi presente in famiglia. Il suo sostegno è stato ed è ancora oggi fondamentale, visto che sto studiando per superare i test di ammissione alla scuola di specializzazione in Medicina legale. Aggiornarsi è necessario per il lavoro che svolgo e io ci tengo a dare un valore aggiunto alla mia formazione”. Lei è una donna che occupa un ruolo di vertice in una sanità dominata dal sesso forte. Nessun problema? “Oggi non più. Solo all’inizio della carriera, quando ho assunto il ruolo di direttore sanitario dell’ospedale di Galatina, ho notato un po’ di diffidenza, o meglio, di sufficienza nell’atteggiamento generale dei colleghi nei miei confronti. ‘37 annidonna-giovane, che vuoi che ne sappia’, avranno pensato. E per un po’ di tempo mi sono sentita messa alla prova. Avevo di fronte un organico di soli uomini, quindi ho solo potuto stringere i denti e andare avanti. Il rispetto da parte dei colleghi, però, non è mai mancato. Anche oggi i camici rosa che occupano posizioni apicali nella Asl di Lecce sono davvero pochissimi. Una cosa è cambiata: A COLPI DI TACCO www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=4163


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negli ospedali non c’è più lo stesso scollamento tra direzione e reparti che c’era una volta. Si lavora di più in sinergia per far crescere la struttura. Ma ci vuole sempre un capo carismatico, che promuove la coesione tra i medici e gli altri operatori”. A che cosa ha dovuto rinunciare per essere dov’è oggi? “Rinunce poche, salti mortali tanti. È un problema di tutte noi donne quello di voler conciliare lavoro, casa, famiglia e interessi. La mia fortuna è che

sono sempre stata molto determinata: anche le piccole sconfitte mi stimolano a fare sempre meglio”. I camici rosa aumentano nella Asl di Lecce ma sono decisamente lontani dai vertici. Come mai? “È una cosa che mi rammarica. I camici rosa sono destinati ad aumentare se guardiamo alla forte presenza femminile nei corsi universitari di Medicina di tutta l’Italia. Io credo che nel Salento

primaria, con la curioSità di Scoprire il mondo Il Tacco d’Italia ha incontrato la Maria Grazia Serra, direttrice dell’Unità operativa di Medicina interna dell’ospedale “Cardinale Giovanni Panico” di Tricase dal 1998. È uno dei pochi camici rosa a ricoprire un ruolo di vertice della sanità leccese.

questo non è mai stato un gran problema, i rapporti sono ottimi. D’altronde il top management dell’ospedale di Tricase è in mano alle donne e i camici rosa importanti non sono così pochi come in altri presidi. In Ematologia, ad esempio, che è un reparto abbastanza nuovo, c’è una netta prevalenza di medici donne. E ci Quando ha deciso di diventare sono camici rosa anche in medico? Ortopedia o in Chirurgia, reparti “Fin da piccola, in realtà, avevo che tradizionalmente vedono la una grande passione per l’arpresenza di soli uomini”. cheologia. Sentivo dentro l’esiHa mai rinunciato a qualche Maria Grazia Serra genza di scoprire il mondo che suo interesse per la carriera? mi circondava. Sui banchi di “No. Tant’è che nel 1968 mi sono scuola però mi sono trovata ad dedicata anche alla politica orientare la mia curiosità per il mondo verso lo entrando nei Collettivi universitari. Da sempre studio della scienza medica”. sostengo la politica a favore delle donne e parteQuali scuole ha frequentato? cipo alla vita sindacale della Cgil Medici. Ho fatto “Ho una formazione decisamente ‘classica’. Ho parte anche del Centro di documentazione e culfrequentato le Marcelline fino al quinto ginnasio e tura delle donne di Bari, dove mi occupavo del poi mi sono iscritta al liceo classico ‘Palmieri’ di settore Donne e scienza”. Lecce dove ho conseguito il diploma”. La sua giornata tipo? Dopo il liceo? “Esco di casa intorno alle 7.30. Vivo a Lecce e “È partita la scommessa con me stessa e con i ogni giorno devo fare un bel po’ di strada per arrimiei genitori. Da un lato mi sarebbe piaciuto stuvare a Tricase. Esco dall’ospedale quando ritengo diare Lettere classiche all’Università di Lecce ma di aver terminato il programma della giornata. poi ho scelto di affrontare il test di medicina per Difficilmente riesco a staccare dal lavoro prima entrare all’Università ‘Cattolica’ di Roma. Posso delle 17”. dire di aver vinto la ‘sfida d’ingresso’. Dopo due Un ruolo di vertice in sanità allunga molto la mesi, però, sono ritornata in Puglia perché il disgiornata lavorativa. Forse è anche per questo tacco dai miei genitori è stato abbastanza traumotivo che molte donne rinunciano in partenza? matico. Mi sono poi iscritta alla Facoltà di “Non credo. Io non sono sposata ma molte mie Medicina e chirurgia dell’Università di Bari e mi colleghe che dirigono strutture complesse al sono laureata nel 1972. Un anno dopo ho iniziaPoliclinico di Bari, ad esempio, riescono perfettato a lavorare al Policlinico di Bari in Medicina mente a conciliare lavoro, famiglia e altri interesinterna dove sono rimasta fino al 1998. Nel fratsi. Le donne, se vogliono, sanno come organizzartempo mi sono specializzata prima in Nefrologia si in ogni situazione. Ecco perché sono perfette e successivamente in Malattie infettive”. per i ruoli dirigenziali. Oltre alle capacità, hanno Quando è arrivata al “Panico” di Tricase? elasticità, determinazione e dinamicità: tutte “Per pochi mesi ho lavorato all’ospedale di qualità necessarie per gestire al meglio un grupGalatina e il 1º marzo del 1998 (festeggia il po di lavoro”. decennale da primario. Auguri! Ndd) sono stata Pensa che in futuro ci sarà più spazio per le nominata primario di Medicina interna all’ospedonne nei “posti-chiave” della Asl di Lecce? dale di Tricase dopo aver vinto il concorso. “Non sono molto ottimista per il fatto che vedo All’inizio dirigevo un insieme di varie strutture, crescere un senso di sfiducia generale che penadenominato ‘Dipartimento di Medicina’, che poi lizza ancor più le donne in tutti i settori professiovia via sono diventate indipendenti”. nali. Chi occupa un ruolo dirigenziale in sanità ha Nell’Unità operativa che dirige ha a che fare con un po’ quella ‘voglia di cambiare il mondo’ che molti colleghi uomini? oggi si sta perdendo. E se manca la determinazio“Decisamente sì. Su cinque medici, c’è solo una ne all’inizio, difficilmente si possono raggiungere donna in reparto, oltre a me naturalmente. Ma certi obiettivi”. il tacco d’Italia

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le donne tendano molto spesso ad accontentarsi. Non raggiungono i livelli più alti perché ci credono poco. Preferiscono un lavoro di seconda linea, magari che non le soddisfa dal punto di vista personale ma che è perfetto per assicurare una tranquilla gestione familiare. Ci vuole uno sprint in più, bisogna sgomitare un po’, ma con la giusta determinazione anche le donne possono arrivare ad occupare i cosiddetti posti-chiave. Io stessa sono un esempio”.

IL TOP MANAGEMENT DELL’OSPEDALE DI TRICASE È IN MANO ALLE DONNE E I CAMICI ROSA IMPORTANTI SONO PIÙ NUMEROSI CHE IN ALTRI PRESÌDI. PREVALENZA DI DONNE IN EMATOLOGIA. MOLTE DONNE-MEDICO IN ORTOPEDIA E CHIRURGIA, REPARTI CHE TRADIZIONALMENTE VEDONO LA PRESENZA DI SOLI UOMINI Primo ‘900. Maria Montessori fu la prima donna ammessa alla facoltà di Medicina in Italia e la prima ad essere abilitata alla professione

QUANTE DONNE AI VERTICI (dati forniti dall’Area Gestione del personale della Asl di Lecce)

Nella Asl di Lecce ci sono otto donne dirigenti medico di struttura complessa (donne primario, per intenderci) su un totale di 147 posti (in queste rientra Maria Grazia Serra). In totale, i dirigenti di struttura complessa (si intendono dirigenti medici, amministrativi e sanitari) della Asl di Lecce sono 183. Di questi solo 23 sono donne.


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// Costume //Tendenze //Uomini nuovi ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET

1965. Dean Martin e John Waine alle prese con i fornelli

mammi di casa nostra

IN EVIDENZA www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=4165

di LAURA LEUZZI l.leuzzi@iltaccoditalia.info

SFIDANO I LUOGHI COMUNI CHE LI VOGLIONO PIGRI PANTOFOLAI DAVANTI ALLA TV. I SALENTINI DEI NOSTRI TEMPI NON TEMONO LE FACCENDE DOMESTICHE. ANZI: AFFRONTANO A TESTA ALTA ANCHE IL CAMBIO DEL PANNOLINO dispetto di chi crede ancora che i salentini siano uomini all’antica, il Tacco propone dei profili di “uomini nuovi”. Ovvero coloro che, tra un impegno e l’altro, non disdegnano di indossare guanti e grembiule, impugnare l’aspirapolvere e dedicarsi alle faccende domestiche. Oppure di esibirsi, a fine giornata, nell’elaborazione di un piatto da

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novelle cousine. Non conta l’età anagrafica. I “mammi” di casa nostra dimostrano apertura mentale ad ogni generazione. Costretti dalla condizione di single (spesso in questi casi, i “mestieri” si limitano allo scongelamento di piatti pronti), oppure semplicemente ben organizzati nell’ambito del ménage familiare, i salentini di oggi non perdono di mascolini-

tà anzi danno prova di affrontare, da uomini, compiti sempre nuovi. Come quelli che, da sempre, toccano alle donne. Così, c’è chi preferisce occuparsi di apparecchiare-sparecchiare la tavola, chi prendersi cura dei figli (il che include anche cambiare i pannolini, somministrare le medicine, fare la spola da casa a scuola e ritorno), chi non rinuncerebbe

per nulla al mondo a stirarsi le camice da sé. Risultato: il cosiddetto sesso forte acquisisce dinamismo e fantasia; si propone, accetta le sfide e non si ferma di fronte agli insuccessi. In occasione del mese di marzo sono questi gli uomini che vogliamo celebrare. E, in barba ai luoghi comuni, che sorpresa!, sono salentini.


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Antonio Rotundo, consigliere di opposizione Comune di Lecce, Cursi Francesco Mignogna, coordinatore Udu Lecce, Statte (Ta) “Da buon universitario, vivo a Lecce con altri tre ragazzi e sono costretto a sbrigare le faccende domestiche. La cosa a cui tengo di più è la pulizia del bagno; lo pulisco almeno due o tre volte alla settimana e cerco di farlo sempre nella maniera più accurata possibile. Non sopporto un bagno sporco. Con i miei coinquilini facciamo la spesa insieme e cerchiamo sempre di comprare anche prodotti specifici per la pulizia del bagno. Me la cavo bene anche in cucina; amo preparare le insalatone; ci metto di tutto. Per la pasta ho in genere poco tempo, quindi mi arrangio evitando ricette troppo elaborate. Mi piacciono molto la pasta con panna e salmone e la pasta con le rape; dal momento che per prepararle ci vuole un po’ di tempo, cerco di farlo nei week end. In genere quando sono alle prese con una ricetta mai sperimentata, chiamo mia madre per chiederle dei consigli. Sono negato per la preparazione dei dolci. Quindi, se vieni a pranzo da me, il dolce lo porti tu”.

“In cucina sono un aiutante modello. Il mio contributo non si limita a passare gli ingredienti a mia moglie (mansione nella quale sono bravissimo), ma anche nell’occuparmi di alcune basilari operazioni: metto l’acqua sul fuoco, calo la pasta, cucino le ‘fettine’ per le mie figlie; non mi lancio ancora, devo ammetterlo, nella preparazione dei sughi. Poi sparecchio e, dopo aver sciacquato i piatti, carico anche la lavastoviglie. Credo che, al giorno d’oggi, sia necessario dare una mano in casa. Io aiuto anche fuori: ad esempio accompagno sempre mia moglie a fare la spesa; facciamo insieme tutti gli acquisti, tranne quelli isolati, che sfuggono alla lista; in quelle occasioni mi chiamano e mi dicono: ‘Visto che sei fuori, quando torni, prendi il pane’. Non c’è che dire, sono un perfetto uomo di casa”.

Ippolito Chiarello, attore, Corsano “Quando sei single e vivi da solo non hai scelta: o te la cavi o te la cavi. Quindi le faccende di casa devi imparare a farle per forza. E infatti io me la cavo abbastanza bene. L’unica cosa che ancora non ho imparato a fare è la lavatrice. Non sono ancora riuscito ad entrare nei suoi meccanismi di funzionamento. E, allora, per il momento cerco di risolvere il problema portando i vestiti da lavare a casa dei miei o in lavanderia. E, semmai, butto ciò che non riesco a smacchiare. Ma dovrò, prima o poi, fare il grande passo di acquistare una lavatrice. Altri elettrodomestici sono invece miei fedeli alleati. Il forno a microonde, ad esempio, è un mio grande amico. Perché, quando deve mangiare, un single che fa? Scongela. Ed io, infatti, scongelo. Il fedele microonde mi viene incontro nei momenti di ‘singletudine’. Il resto dei lavori di casa non rappresentano un problema. Sosto a casa poco tempo perché sono spesso in viaggio. Però, quando ci sono, mi piace dedicarmi alle pulizie”.

Livio Romano, scrittore, Nardò

Claudio De Masi, Comunicazione Italgest, Casarano “Con i miei figli ho un rapporto materno. Credo di essere l’unico uomo al mondo ad avere un legame così morboso con i suoi figli. Loro sono molto più legati a me che alla mamma. Mangiano con me, dormono con me; mi sono sempre occupato io di cambiare i pannolini, fare la pappa, far prendere le medicine. Credo di poter rappresentare un modello di uomo differente dal solito. Cioè non sono l’uomo in mutande e ciabatte. Mi piace molto prendermi cura di me stesso, fare le lampade, usare le creme. Ho uno spiccato spirito femminile. Per questo credo di essere portato anche per le faccende domestiche. Amo dilettarmi in cucina. E anche se devo ammettere che il sugo e le polpette della mamma sono imbattibili, anche io ottengo buoni risultati, soprattutto nelle ricette a base di carne. Se non fossi già sposato, sarei un marito da sposare”.

“In virtù di un rapporto assolutamente paritario tra me e mia moglie, in casa non esistono lavori da uomo e lavori da donna. Ciò significa che mia moglie cambia le ruote della macchina, imbianca la casa, fa senza problemi quei lavori tradizionalmente ritenuti da uomo. Altrettanto faccio io. Proprio pochi giorni fa mi sono lanciato in un veloce calcolo: avendo tre figlie, avrò cambiato circa 10mila pannolini. Il cambio del pannolino è stato un campito del quale mi sono occupato quasi sempre io. Anche in cucina vige la più ferrea divisione dei compiti, ovvero: del pranzo si occupa mia moglie; della cena io. Non siamo la tradizionale famiglia mediterranea, per cui i nostri pasti sono molto frugali. A cena, in genere, preparo il secondo con contorno. Ho sempre fatto il bagnetto alle bambine; ultimamente ho anche imparato ad asciugare loro i capelli; uso il metodo professionale, servendomi di spazzola e phon. Purtroppo ancora non ho imparato a fare le trecce, per cui quando mia moglie è fuori per lavoro, le bimbe vanno a scuola con degli splendidi capelli sciolti. Per quanto riguarda il bucato, ognuno fa il suo. Anche gli acquisti li faccio da solo. Non sopporterei che nessuna donna mi comprasse neppure una camicia. Ci sono cose personali che amo fare da me”.

Leonardo Mangia, direttore divisione banche Links Spa, Corigliano d’Otranto “Non ho alcun problema a dichiarare di essere un perfetto ‘uomo nuovo’, sia nella sfera professionale, sia in quella domestica. Mi occupo con buoni risultati della cucina e degli onori di casa, quando ci sono amici a cena. E’ una specie di accordo con mia moglie: in caso di ospiti, spettano a me il vino, il dolce, gli antipasti, tutto ciò che è accessorio alla cena, sennò niente ospiti. In quelle circostanze, mi occupo anche di caricare la lavastoviglie. Finalmente ho capito qual è la strategia politica da usare: chiedere il permesso a mia moglie prima di fare qualunque cosa. Ad esempio: ‘Cara passo l’aspirapolvere?’. Se lei dice sì, allora l’aspirapolvere va passata. Se non le chiedi il permesso, allora non va passata. Sono un esecutore; eseguo pari pari gli ordini di mia moglie. Inoltre, è vero che ancora non ho figli, quindi non posso definirmi un buon mammo, ma è vero anche che ho due splendidi nipoti, quindi nessuno può togliermi la carica di zio tutto-fare”.


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Piero Montinari, presidente Confindustria Lecce “Purtroppo ho pochissimo tempo per stare in casa e, di conseguenza, mi è praticamente impossibile dedicarmi anche alle faccende domestiche. In più, l’8 marzo è anche il mio compleanno quindi vengo particolarmente coccolato proprio in occasione della festa delle donne. Ciò che cerco di fare quando sono a casa è stare con i miei figli. Ho due bambini di tre e sei anni. Dal momento che li vedo poco, dedico loro tutto il mio tempo libero”.

Sergio Blasi, segretario provinciale Pd, sindaco Melpignano “Non è che sappia sbrigare tante faccende domestiche. Anche perché, in genere, tutti preferiscono tenermi lontano dai fornelli e dai lavori di casa per evitare che combini uno dei miei disastri. Una cosa della quale mi occupo sempre io è accendere il fuoco. E poi stare con i bambini, perché è qualcosa che mi dà tanto piacere, quindi lo faccio anche per me stesso”.

Nandu Popu, membro Sud Sound System, Trepuzzi “Sono abbastanza domestico. Aiuto mia moglie Angela in tutto. Anzi in cucina siamo in vera e propria competizione. Qualche giorno fa, ad esempio, ho preparato una cenetta coi fiocchi: pasta con il sugo di palamita e, per secondo, tranci di palamita al forno con pane grattugiato. Ma non mi occupo solo di cucina; mi piace anche spolverare la casa. Vedo la vita insieme nell’ottica della divisione dei compiti. In un anno di matrimonio ho capito che è tutta una questione di organizzazione. La differenza tra uomo e donna esiste solo nell’intimità”.

“Sono un ragazzo padre di due figli per cui devo necessariamente sbrigare da solo le faccende di casa. Questo non mi pesa, anche perché sono stato molti anni all’estero dove ho imparato a cavarmela da solo. Io cucino ogni giorno e, modestamente, con risultati piuttosto buoni. Non ho un cavallo di battaglia in cucina. Preparo i primi, i secondi, senza alcun problema. Ma non mi limito a cucinare, perché lavo, stiro, faccio le faccende. E’ una cosa che mi piace, anche perché sono fuori tutto il giorno e, almeno a sera, ho piacere a stare con i miei figli e prendermi cura di loro. Durante il giorno mi faccio aiutare da una figura professionale. Ma di sera preferisco pensarci io. Non ho mai ritenuto che ci fossero lavori da donna e lavori da uomo; ho sempre sbrigato tutto da me”.

Xlavio, alias Fernando Schiavano, artista, Casarano “Non so cucinare, non so lavare i panni, non so stirare. Non so fare alcun lavoro domestico. Devo fare ammenda: sono un pigro. Ciò non significa che faccio mancare la mia presenza alla famiglia perché, ad esempio, tengo molto all’educazione dei miei figli (ne ho tre) quindi cerco di essere molto presente in casa. Preferisco dire che sono un tradizionalista e che sono stato abituato bene. Viziato, se proprio devo confessare. Ma credo che mia moglie mi impedirebbe anche di intromettermi in cucina; non accetterebbe l’intrusione nei suoi spazi”.

Rosario Giorgio Costa, senatore Forza Italia, Matino “Da buona casalinga qual era, mia madre mi ha insegnato a sbrigare tutte le faccende domestiche. Molte volte mia moglie resta impressionata dalla mia abilità. Mi piace molto offrirle il mio aiuto. Metto in ordine, spolvero, spazzo per terra. C’è una cosa, anzi, che so fare ancora meglio di mia moglie perché ho una tecnica segreta: piegare le lenzuola. Seguendo gli insegnamenti di mia madre, faccio in modo che il lato esterno resti penzoloni quando le piego; in tal modo, evito che assumano false pieghe. Sono un perfezionista”.

Roberto Cingolani, direttore Laboratorio Nanotecnologie, Università del Salento, Milano

Andrea Lisi, avvocato, Lecce “Ho fatto pratica durante gli anni dell’Università quindi oggi posso dire di essere completamente autosufficiente. Il mio aiuto in casa è, però, relativo quasi esclusivamente alla cura di mia figlia Ludovica, che ha due anni. La vedo poco quindi, appena posso, cerco di stare con lei. So farle la pappina, il bagnetto, cambiarle i pannolini. In questo sono molto bravo. E’ una pratica ormai collaudata. In questo senso do il mio contributo in casa: mentre mia moglie si occupa di cucinare o fare le faccende, io sto con mia figlia. La suddivisione dei compiti non è tanto netta; noi abbiamo vissuto insieme anche a Milano da universitari, quindi ci siamo adattati bene l’uno all’altra. Un pasticcio che mi succede con una certa regolarità è bruciare la moka per il caffè. In realtà, è da un po’ che non mi capita… me lo devo aspettare da un giorno all’altro”.

Remigio Venuti, sindaco Casarano “Non dovrei rispondere a questa domanda perché mia moglie, poi, mi accusa di fare dichiarazioni non vere. Non può comunque negare che in casa me la cavo. Se c’è bisogno di aiuto, posso fare quasi tutto. Mi adopero e mi arrangio a modo mio, ma riesco a fronteggiare le necessità. So girare il sugo, ritirare i panni stesi ad asciugare, fare quelle piccole cose per venire incontro a mia moglie”.

Ludovica Lisi, figlia di Andrea, dopo il bagnetto, intenta a lavare i dentini


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//Cultura //Università //Alessandra Chirco

magnifica pro-rettrice ALESSANDRA CHIRCO, “ORDINARIA” DI ECONOMIA POLITICA PRESSO L’UNIVERSITÀ DEL SALENTO, DIRETTRICE DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E MATEMATICO–STATISTICHE. DAL MAGNIFICO RETTORE DOMENICO LAFORGIA È STATA NOMINATA PRO-RETTORE CON DELEGA ALLA RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA DELLO STESSO ATENEO

di FRANCESCO RIA f.ria@iltaccoditalia.info

Già nella campagna elettorale si discuteva sulla possibilità di avere un Pro-rettore donna. Se l’aspettava questa nomina? “Non me lo aspettavo. Non c’era stato un colloquio su questo. Credo che durante la campagna elettorale sia emerso, con l’attuale rettore, un interesse reciproco, un’attenzione reciproca, una comunione di intenti su alcuni aspetti e che questo lo abbia indotto a fare questa scelta”. Ha scalato tutti i gradi della carriera accademica. Si è sentita svantaggiata dal fatto di essere donna? “Non ho mai avvertito di avere più difficoltà di un uomo. Sarà che nel mio settore la competizione è talmente forte e dura, proprio perché è un settore molto aperto alla competizione internazionale, che il problema di essere un uomo o una donna è secondario. Io però mi sono trovata in una situazione organizzativa della mia vita che ha reso questo particolarmente semplice. Un marito che fa lo stesso mestiere ti aiuta. Nella mia famiglia di origine è sempre stato dato per scontato che io lavorassi esattamente con gli stessi obiettivi, gli stessi impegni, gli stessi diritti e doveri che aveva mio fratello”. Dunque lei è stata fortunata. Ma per le donne in genere è più difficile? “Forse sì. Ma questo dipende dal fatto che non tutti hanno le condizioni di contesto, probabilmente ideali, che ho avuto io. Ho studiato a Bologna negli anni Settanta, ho studiato all’estero, dove le differenze tra uomini e donne si sentono molto meno. Mi rendo conto che non è la stessa cosa per tutti”. Per questo in Italia non ci sono donne a capo di Università? “Il problema del rapporto tra le donne e le posizioni di “potere”, fare il rettore, o fare l’attività politica, cosa che da giovane ho fatto a lungo, è un problema differente rispetto a quello della car-

NON BASTANO GLI ASILI NIDO PERCHÉ LE DONNE DIVENTINO PRESIDI O RETTORI. CI VUOLE UNA CONSAPEVOLEZZA SOCIALE DIFFERENTE, MENO BIASIMO SOCIALE PER LA MAMMA CHE VUOLE AVERE SUCCESSO riera accademica, perché il rapporto con il potere, secondo me, crea per le donne qualche problema in più”. Cioè? “Credo che le donne abbiano, in generale, un approccio alla conduzione delle organizzazioni che è diverso rispetto a quello degli uomini. Penso che ci sia un modo femminile di concepire la gestione delle organizzazioni, la politica, il potere, e che questo ci ponga in una qualche difficoltà. Nella visione corrente, l’esercizio del potere richiede una componente di determinazione aggressiva, di capacità di tollerare e reggere il conflitto, e penso che le donne abbiano in questo maggiore difficoltà. C’è invece un modo, mi passi la parola, ‘affettivo’ di gestire le organizzazioni. Un modo che è molto attento alle esigenze delle persone evitando il conflitto forte. Pur nel rigore e nell’intransigenza. Io credo in questo modo. Allora i casi sono due: o noi immaginiamo che le organizzazioni siano meglio gestite da uomini che sanno meglio gestire il conflitto, oppure immaginiamo che ci possa essere un modo diverso, più femminile, di gestire le cose”. Quindi non è solo un problema di “condizioni di contesto”? “Non credo che dobbiamo diventare come gli uomini e avere lo stesso atteggiamento, per esempio, nei confronti del potere. Questa è in realtà una vecchia battaglia delle femministe degli anni ’70 di cui, ahimè, facevo parte in passato: non sono le donne a doversi trasformare, piuttosto sono i modi di esercizio del potere, della politica, del governo in senso ampio che devono cambiare. E poi, non bastano gli asili nido perché le donne diventino presidi o rettori. Ci vuole una consapevolezza sociale differente: la società deve accettare, apprezzare, valorizzare, donne che fanno una scelta diversa dalla media. Se pensiamo che una donna che sceglie un’intensa vita il tacco d’Italia

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professionale sia una cattiva madre, allora dobbiamo capire che nessuno può reggere, oltre alla fatica di fare il manager, oltre alla fatica di fare la mamma, anche il biasimo sociale di essere una cattiva mamma. Questo non accade nei paesi del nord Europa”. Esiste la discriminazione nei confronti delle donne? “Esiste, ma tra tutte le forme di discriminazioni, quella verso le donne è la minore. Si pensi al terribile episodio della lista di proscrizione di 169 docenti universitari accusati di appartenere ad una lobby ebraica: se avessi la forza di organizzarlo, vorrei fare un documento nel quale i docenti universitari chiedono di essere iscritti a quella lista. Io vorrei trasformare i comitati pari opportunità delle donne in veri comitati pari opportunità. Usiamo l’otto marzo, usiamo qualunque circostanza per combattere contro la discriminazione di qualunque forma”. E lei, si è mai sentita discriminata? “Sinceramente, mai. Certamente non come donna. Io ho due figlie, a loro, alle mie studentesse, dico che devono loro per prime non percepire questo non-problema. Sei una donna? Una ragazza? Devi avere chiarissima la percezione che hai il mondo aperto esattamente come ce l’ha il tuo collega, come ce l’ha tuo fratello. Puoi fare quello che veramente desideri. La vita è nelle tue mani, nelle tue capacità. E che non ti verrà fatto nessuno sconto. Non devi immaginare che la soluzione della tua esistenza sia che un giorno troverai una brava persona che ti manterrà. Però alle ragazze bisogna dirlo. Bisogna dirlo che si può andare a Harvard, che si può studiare in California, far ricerca nelle basi dell’Antartico, che si può dirigere un’impresa in Cina. Si può fare. E qui devono essere le mamme, i papà, i fratelli, i professori, i parroci, loro glielo devono dire. Tu sei una persona libera e verrai valutata come tuo fratello”.


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//Cultura //Salentini d’elezione //Ingrid Simon ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET

concettuale ingrid di ANTONIO LUPO

a.lupo@iltaccoditalia.info

IL LINGUAGGIO DELLA FOTOGRAFIA ACCANTO A QUELLO DELLE PAROLE NELL’ARTE DI UN’ARTISTA POLIEDRICA, CHE CREA IN UN LUOGO SOSPESO NEL TEMPO, A GAGLIANO DEL CAPO

Acqua. “San Cesario”

LA PRIMA OCCASIONE CHE L’HA PORTATA DA QUESTE PARTI È STATA QUELLA DI UNA CASUALE VACANZA; POI, DAL 1995, HA DECISO DI RESTARE QUI, VIVENDO SEMPRE PIÙ INTENSAMENTE LA REALTÀ DEL SALENTO, COME LUOGO DELLA NATURA E DELL’ANIMA ngrid Simon, artista di origine viennese, vive nei pressi di Novaglie, sulla scogliera che si affaccia dove i due mari si fondono, tra muretti a secco e macchia mediterranea. La prima occasione che l’ha portata da queste parti è stata quella di una casuale vacanza; poi, dal 1995, ha deciso di restare qui, vivendo sempre più intensamente la realtà del Salento, come luogo della natura e dell’anima, dimenticando, a stretto contatto con la bellezza del mare, i ritmi urbani ai quali era ormai abituata. “Stare qui, è significato per me scoprire un’altra dimensione. Ho sentito maggiore coesione tra la mia vita quotidiana e il lavoro, mi è accaduto di sentirmi più in sintonia con le cose che faccio, come se le mie opere fossero più legate al mio vissuto, a ciò che mi circonda.” Da quel momento non ha più sentito la mancanza di Vienna, dove comunque, con spirito diverso, ritorna due volte l’anno. Prima di arrivare nella sua casa, quasi incastonata nella roccia di Marina Guardiola (Corsano) sulla scoscesa costa adriatica, e di cominciare a lavorare nel suo studio a Gagliano del Capo, Ingrid aveva già realizzato diverse esperienze artistiche, oltre ad alcune mostre nella capitale austriaca, città nella quale aveva portato a termine gli studi accademici. Aveva poi soggiornato qualche mese a Parigi, per apprendere presso l’Atelier 17 di S.W. Hayter, un maestro surrealista di origine americana, una particolare tecnica di incisione su metallo, ed in seguito, grazie al con-

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seguimento di una borsa di studio, si era dedicata alla serigrafia. Ritornata a Vienna, si era occupata di scenografie per cortometraggi sperimentali e della traduzione in lingua tedesca di vari testi di teoria dell’arte, continuando a coltivare il suo particolare interesse per l’arte concettuale. Proprio il rapporto tra parola e immagine l’aveva impegnata, fin dalla tesi di laurea, con ricerche specifiche, confluite in un saggio pubblicato nel 1994. Arrivata in Puglia con l’idea di continuare i lavori di serigrafia e con un libro da tradurre, è stata però completamente presa da tutt’altri progetti. Da questo momento si profilano infatti per lei due diversi percorsi che si susseguono nel tempo in mostre personali e collettive. Dapprima è la fotografia a catturarla, un linguaggio e un modo di esprimersi che sente più congeniale, poi comincia ad impegnarsi per interventi che la vedono collaborare ad iniziative di creatività, aperta e dinamica, in grado di incidere sulla realtà del territorio. Fortemente attratta delle inesplorate potenzialità della dimensione subacquea, uno spazio vuoto e astratto, la sua ricerca trova un felice esito in una serie di dodici fotografie in bianco e nero dal titolo Sans objet (2000), nelle quali riprende figure immerse e sospese sott’acqua, individualmente o in relazione. Il linguaggio e la gestualità del corpo, “studi di una specie”, sono accostati, in dittici, a pannelli che riportano brevi testi, costituiti da sequenze di verbi transitivi coniugati nelle il tacco d’Italia

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sei persone, come citazioni da un libro di grammatica. Un’apparente sorta di “straniamento” ci porta a riflettere sulla realtà per così dire “surreale” delle sue immagini fotografiche, in una dimensione che può essere anche, letteralmente, capovolta, e sulle potenzialità dei concetti e delle categorie grammaticali che fanno da pendant o da supporto. Parole astrattamente memorizzate dischiudono una inaspettata riflessione su azioni che si possono realmente compiere. “Le foto subacquee, che richiedono tempi d’esecuzione molto rapidi, permettono di osservare di più, trasmettendo un senso di lentezza, la rivelazione di qualcosa che nel momento stesso della ripresa non c’è”, dice l’artista. Anche i suoi ritratti sott’acqua, foto sbiadite, a volte dentro ovali, appartengono a un’estetica senza tempo: i corpi emanano una luce che ricorda quella di dipinti rinascimentali. Sul tema dell’acqua, filo conduttore verso un altrove che è sotto i nostri occhi, l’autrice ritorna con continui e suggestivi stimoli che scaturiscono dalla sua ricerca fotografica. I contatori, i contenitori, le torri di deposito cilindriche o castelli d’acqua (Acquedotto pugliese), le cisterne sotterranee, il palombaro, ecc. sono al centro della sua documentazione e della sua ricerca estetica. Ancora su un insieme di immagine e testo scritto è composto Present Continuous (2001), un’opera decisiva nella produzione artistica di Simon,


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Ritratti. “Antonio”

esposta tra l’altro a Napoli, a Vienna e ad Alessano. E’ legata ad una serie di 13 toccanti immagini che suggeriscono presenze marginali, quelle degli sbarchi clandestini, attraverso gli indumenti lasciati a terra dagli immigrati sulle coste salentine, veri e propri “relitti di fuga”, ad indicare una (dis)speranza continua. La dimensione del “rimosso” o del “dislocato” sostanzia quindi i suoi interessi e le sue ricerche fotografico-multimediali con esiti di intensa efficacia comunicativa. Alle fotografie scattate lungo la costa adriatica, tracce di presenze vicine e lontane nello stesso tempo, sono accostati dei pannelli che riportano i dialoghi standardizzati di schede di conversazione di un testo di inglese per stranieri. Interrogativi, potenziali messaggi ideali, in un codice neutrale e spersonalizzante che può farci riflettere sui diversi e paradossali aspetti della realtà. Dopo le esperienze della sua originale produzione fotografica, negli ultimi anni un altro percorso artistico va delineandosi sempre più chiaramente

2003). nella attività dell’artista. “Col pasEsperienze che porteranno nel 2005 al gruppo sare del tempo, rispetto ai miei Starter, fondato insieme ad altri artisti residenti primi anni, più solitari, mi nel Salento (InLuogo, Matera, 2005, Giardino sono trovata coinvolta nel d’Ascolto, Casarano, 2006. Per questi ultimi evenclima culturale e nella ti vedi il Tacco, settembre 2006). partecipazione ad eventi “Adesso mi interessa la ricerca-azione su tutti e artistici locali, che sono due i piani. Ho bisogno tanto del lavoro solitario andati progressivamente in una dimensione più intima, quanto di una aumentando”, ci fa sapecomunicazione più direttamente aperta al territore. rio in tutte le sue dimensioni, che mi permette il Accanto al suo interesse lavoro con Starter.” crescente per la fotograDue percorsi e due pratiche artistiche che quindi fia “si sviluppano altre non possono escludersi. esperienze”, ci dice, come quelle che tendono alla Present Continuous. “Always” valorizzazione di spazi dotati di un senso da ritrovare perché dimenticati, secondo prospettive documentaristiche, attraverso work in progress realizzati con il coinvolgimento delle comunità del luogo. Seguono perciò numerose mostre collettive, accanto ad interventi che la vedono collaborare ad iniziative che consolidano il legame con il territorio. Coprotagonista di progetti di arte pubblica, lavora insieme a gruppi di altri artisti, pugliesi e non. Così dall’amicizia-collaborazione con l’artista salentino Antonio De Luca nasce il contatto con Stalker, storico gruppo romano di architetti-artisti-teorici. Sempre nell’ottica di progetti trans-disciplinari miranti all’interazione creativa con l’ambiente, APPROFONDIMENTI in questo periodo si sviluppa, tra www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=4161 l’altro, l’esperienza collettiva dell’Osservatorio nomade (Ecomuseo Cursi, 2002; Roma,


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//Attualità //Donne d’altri tempi //Maria Stajano

102 anni di ricordi CUGINA DI JÒ STAJANO, IL PRIMO TRANSESSUALE D’ITALIA. MARIA FU L’UNICA IN FAMIGLIA AD ACCETTARE LA SUA CONDIZIONE di CESARE MAZZOTTA c.mazzotta@iltaccoditalia.info

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osa desidera”? Mi accoglie così, con un interrogativo di sfida, Maria Stajano, classe 1906. La testa bassa, gli occhi chiari e vispi, le mani esangui raccolte sul grembo, seduta su una sedia a rotelle spinta da due assistenti della casa di riposo “Santa Rita” di Alezio. Una voce puntuta e metallica che non nasconde un’antica innata riservatezza. A maggio prossimo Maria Teresa Stajano compirà 102 anni. Un pezzo di storia non solo salentina. Uno scorcio di storia patria, essendo imparentata con quel conte Francesco Stajano di Sannicola, che aveva sposato Francesca (Fanny), la figlia prediletta di Achille Starace, il fedele braccio destro di Benito Mussolini, segretario del partito nazionale fascista dal 1931 al 1939. Il papà di Maria, Agostino Stajano, era primo cugino del conte Francesco. Ma tra le due famiglie non è mai corso buon sangue o, per dirla con le parole della signora Maria, “non c’è stata mai amicizia”. A causa, pare, di interessi e di una visione diversa della vita e della collocazione in società. Nella parentela si inserisce poi la vicenda umana e “particolare” di Jò Stajano, figlia del conte Francesco, al secolo Maria Gioacchina Stajano, contessa Briganti di Panico, il primo transessuale che ebbe il coraggio di dichiararsi pubblicamente negli anni ’50. Attore, pittore, scrittore e giornalista, trasgressivo e bohemienne, fece parlare di sé tutta Italia, per le sue trovate, a quel tempo ritenute eccentriche. Ma è meglio che ce lo racconti lei stessa. Signora Maria, quando è nata e in quale paese? “Sono nata a Sannicola il 2 maggio 1906. Sono la seconda di sette figli, cinque femmine e due maschi. Io però sono andata a vivere

con la zia Eugenia, sorella di mio padre, che non aveva prole. I miei fratelli sono morti tutti; quasi tutti in età avanzata. L’ultima, mia sorella, aveva 92 anni; un altro mio fratello, Giuseppe, ha raggiunto i 96 anni. Il marito della zia Eugenia era di Collepasso, Fedele Pomarico, un proprietario di terre. Io mi sono sposata nel 1929 e ho avuto due figli, Aldo di 76 anni che vive ad Aradeo ed Eugenia di 72 che abita a San Pancrazio salentino. Dopo sposata andai ad abitare ad Aradeo”. Ha conosciuto Achille Starace ? “Io personalmente non l’ho conosciuto. Era sempre a Roma e qualche volta veniva a Gallipoli. I miei familiari lo hanno conosciuto. Era amico di infanzia di mio padre; abitavano in piazza a Sannicola. In occasione della morte di una mia sorella, nel 2000, ho avuto modo di incontrare la nipote di Starace, figlia della figlia Fanny e del conte Stajano; Jò, che per me è sempre stata una donna, anche se ha fatto un intervento a Casablanca per diventare maschio, ho saputo che si è fatta suora. Era mortificata e io l’ho consolata, perché ero l’unica che aveva accettato la sua condizione. Le ho detto che non era colpa sua se la natura ha voluto così; e che non avevamo nessuna colpa se le nostre famiglie non sono state molto vicine; divise come eravamo dalla ruggine fra i nostri familiari”. Incomprensioni dovute a che cosa? “Il conte Francesco Stajano amava circondarsi di nomi altisonanti, di sangue blu, mentre mio padre, suo cugino, Agostino Stajano aveva sposato una di paese, che non aveva un nome. Loro invece ci tenevano ad essere riconosciuti come la prima famiglia di Sannicola. Una figlia del conte Stajano, era professoressa, sposò un Caracciolo di Napoli. Mio padre era molto orgoglioso e non guardava alle apparenze. La figlia di Starace, Fanny, sposò il conte il tacco d’Italia

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Francesco Stajano, padre di Jò, dal quale ebbe quattro figli. Jò era anche pittore, aveva un laboratorio in via Margutta ed era amico-amante dell’attore Rock Hudson. Comunque la famiglia ha fatto molto bene alla gente. Ho saputo di recente che il terreno dove sorge questa casa di riposo “Santa Rita” è stato donato da Starace. Un beneficio fatto ai cittadini, per la costruzione di un edificio, che doveva accoglierlo in età avanzata. Invece non è andata così”. (Starace morì a Milano, indigente, sotto i colpi di una mitragliatrice a due passi da piazzale Loreto, il 28 aprile del 1945 e portato accanto ai cadaveri del Duce e dei gerarchi, appesi alla pensilina del distributore della piazza – ndr). Come era la sua vita da signorina, negli anni venti? “C’era tanta povertà. Ma io ero stata cresciuta dalla zia Eugenia, sorella di papà, che era benestante e non ho mai sofferto disagi. Anzi; avevano terreni, gestiti dai coloni. Non ricordo quante orte di proprietà avevano. Con la zia sono stata nove anni a Collepasso. Si stava sempre chiusi in casa, perché per le signorine di buona famiglia era disdicevole farsi vedere in giro per il paese. Ho conseguito la quinta elementare e poi, ho proseguito gli studi a casa, dove veniva un’insegnante”. All’epoca avete avuto qualche riguardo o privilegio, per via della parentela con Starace? “Mai, nessun privilegio. Noi non abbiamo mai preso parte alla vita pubblica. Anzi, in un certo senso eravamo contrari”. Nel dopoguerra la signora Maria ha donato molti mobili, suppellettili e molto di ciò che rappresentava il passato. Aveva un forte spirito rinnovatore, una sorta di “rivoluzionaria” ante litteram. La zia Eugenia donò molti beni alla chiesa.


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//Spettacolo //Emergenti //Alessia Tondo di FLAVIA SERRAVEZZA f.serravezza@iltaccoditalia.info

la voce della taranta AVEVA APPENA 11 ANNI QUANDO LA SUA VOCE FOLGORÒ L’ITALIA. OGGI È IL SIMBOLO DELL’IDENTITÀ MUSICALE SALENTINA

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e nu te scerri mai delle radici ca tieni…”. Inizia così l’inno della terra salentina cantato dall’energica voce della piccola Alessia Tondo nell’intro della canzone “Le radici ca tieni” dei Sud Sound System. Era il 2003 quando quella voce così penetrante è stata incisa sull’album “Lontano” di uno degli attuali gruppi di reggae più famoso d’Italia. Alessia aveva appena undici anni allora, e non poteva immaginare che due anni dopo si sarebbe ritrovata a cantare quello splendido riff, insieme ai SSS, sul palco della trasmissione Rockpolitik di RaiUno condotta da Adriano Celentano. Oggi la piccola Alessia, originaria di Merine, ha 16 anni e frequenta il liceo scientifico a Lecce. È una giovane donna simbolo di quell’identità musicale e culturale salentina che si è affermata nel mondo grazie alla Notte della Taranta. Ormai presenza fissa tra le voci dell’Ensemble della magica notte di Melpignano, dove ha condiviso il palco con artisti del calibro di Francesco De Gregori, Franco Battiato, Gianna Nannini, Carmen Consoli e Massimo Ranieri, Alessia non vuole “chiudersi” nel genere popolare ed è in cerca della sua strada. In un’intervista al Tacco d’Italia, ripercorre le tappe del suo percorso artistico e umano, carico di soddisfazioni inaspettate. Come e quando sei entrata nel mondo della musica popolare salentina? “Da piccolissima ascoltavo le canzoni e le filastrocche che mi cantava nonna Immacolata e mi impegnavo ad impararle. A cinque anni cantavo e suonavo il tamburello con il gruppo di musica popolare della mia famiglia, i “Mera Menhir”. Anche la nonna e alcuni miei zii ne facevano parte. Col tempo però, il mio interesse si è spostato verso il reggae: mia madre adora Bob Marley e io e mia sorella siamo cresciute ascoltando le sue canzoni. Tanto ha influito anche la collaborazione con i Sud sound system”. La famiglia ti ha sempre sostenuto nelle tue scelte? “Sì, moltissimo. Ovviamente mamma e papà cercano sempre di consigliarmi per il meglio. il tacco d’Italia

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Sono i miei primi sostenitori. Poi c’è mia sorella Tamara con cui mi confido molto. Se ho qualche problema o anche un semplice dubbio, lei è la prima a saperlo”. Hai incontrato qualche difficoltà nella tua giovane carriera? “Non tante per la verità. L’età è un fattore che mi frena dal prendere decisioni affrettate. Soprattutto nei mesi estivi, ad esempio, il fatto di dover cantare toglie molto tempo a giochi, divertimenti, feste – io adoro le dancehall - e amici. Io ho alcune guide importanti: oltre alla mia famiglia, mi seguono molto i Sud Sound System e poi c’è il maestro Ambrogio Sparagna che, soprattutto negli ultimi anni, è stato fondamentale per me”. Hai mai pensato, in un momento di sconforto, di rinunciare alla musica? “Mai. Ho abbandonato lo studio del violino al Conservatorio, quello sì. Ma al canto e alla musica in generale non rinuncerei mai perché sono la mia passione. Diventare una cantante non è mai stato un obiettivo per me e non lo è tuttora. Le esperienze musicali che ho fatto sono arrivate per caso: il treno è passato e io l’ho preso al volo”. Cosa vuole diventare da grande Alessia Tondo? “Ancora è troppo presto per dirlo. Se tutto dovesse continuare così, però, sicuramente non mi dispiacerebbe diventare una brava cantante”. Per il successo ci vuole più fortuna o più sacrificio? “Entrambi. Ma i sacrifici sono la base di tutto”. Hai mai studiato o studi canto? “Non ho mai studiato canto. Ho preso qualche lezione e seguito alcuni stage per imparare le tecniche di respirazione”. Qual è stata l’esperienza musicale più emozionante che hai vissuto? “Senz’altro l’ultima. Agli inizi del 2008, ho avuto l’onore di aprire il concertone natalizio ‘La Chiara Stella’ all’Auditorium Parco della musica di Roma con l’Orchestra popolare italiana di Ambrogio Sparagna e artisti importanti come Lucio Dalla, Peppe Servillo, Simone Cristicchi e altri. Poi non potrò mai dimenticare l’esperienza con i Sud Sound System, un’emozione indescrivibile che mi piacerebbe rivivere”. Hai collaborato col gruppo Kumenei, con i SSS, di recente con i Radiodervish e soprattutto sei una delle prime voci dell’Ensemble La Notte della Taranta. Pensi di continuare a crescere nella musica popolare o pensi a nuovi generi? “Sinceramente spero di non chiudermi nella musica popolare. Il reggae è la mia vera passione ma non voglio scartare nessuna possibilità. I rapporti con i SSS sono molto stretti e mi piacerebbe ripetere con loro anche l’esperienza di Salento Showcase”. Con un brano scritto dai Radiodervish, hai anche partecipato alle selezioni di “Sanremo giovani 2008”. Com’è andata? “È stata un’esperienza nuova, non desideravo né un sì né un no. Sono stata scartata ma non mi è dispiaciuto più di tanto. Non amo la musica leggera e arrivare a Sanremo non è mai stato il mio sogno. Anche se stare su quel palco sarebbe stato comunque un traguardo importante”. Cosa ascolta Alessia Tondo quando è felice? “Reggae”. E quando è arrabbiata? “Sicuramente reggae”. Progetti futuri? “Il 10 marzo sarò di nuovo all’Auditorium di Roma con Ambrogio Sparagna per un festival molto importante che si chiama ‘Dialoghi’, dove saranno protagonisti voci e organetto”.

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//Spettacolo //Show girl //Maddalena Corvaglia di MARGHERITA TOMACELLI m.tomacelli@iltaccoditalia.info

Brava, grazie

I SUCCESSI E LE PAURE DELLA EX “VELINA BIONDA” DI STRISCIA LA NOTIZIA. QUANDO, COME INSEGNANO LA DE FILIPPI E LA VENTURA, È IL TALENTO CHE CONTA

vegliarsi e non vedere il sole, fuori dalla finestra, non è facile. Soprattutto per chi il sole ce l’ha nel sangue. Maddalena Corvaglia, ex “velina bionda” di Striscia la Notizia ed oggi showgirl a 360 gradi per tv e radio al cielo grigio di Milano non ha ancora fatto l’abitudine. Ha da poco sospeso il programma quotidiano su Radio R101 per condurre la trasmissione comica “Bravo, grazie” su Raidue e, sulla stessa rete, quella musicale “Scalo 76”. Da quando, per lavoro, vive lontana dal Salento, cioè da nove anni ormai, ha scoperto di essere meteoropatica: una giornata le può andare storta se al mattino non c’è un raggio di sole a darle il buongiorno. E’ questo che le manca della sua Presicce, oltre, naturalmente, alla vicinanza dei cari, da quando, per gioco e per sfida, decise di tentare la fortuna e partire. Con la maturità classica si era appena chiuso un anno di scuola molto impegnativo e Maddalena alle sfide è sempre andata incontro senza paura. “Dopo gli esami, farò qualcosa di totalmente differente”, promise a se stessa. Detto, fatto. Prese il treno per Milano; destinazione, il regno di Antonio Ricci. E quando era già sulla strada del ritorno, ricevette la telefonata che non si sarebbe mai aspettata: “Sei tra le dieci finaliste”.

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Maddalena, come è andata a quel punto? “Tornai a casa perché ero già in treno. Dopo poche ore mi rimisi in marcia per andare a sostenere il provino definitivo”. Che cosa ricordi di quel giorno? “Un episodio drammatico: quella mattina mi svegliai con un herpes mostruoso. Pensai che se non mi avessero cacciata via, mi avrebbe portato fortuna. E infatti andò bene”. La tua storia ha avuto inizio sulla scrivania di Greggio e Iacchetti e, dopo quasi dieci anni, è ancora tutta in salita. Che cosa piace di te alla gente? “Il fatto che sono una persona normalissima, con un lavoro insolito, ma solo perché porta notorietà”. Hai vissuto dei momenti difficili fino ad oggi? “Soprattutto i primi tempi mi capitava di trascorrere giorni di disperazione. Abituata al paese, ero stata catapultata in una città difficile come Milano. Non conoscevo nessuno e sentivo su di me le aspettative di un programma di grande rilevanza. Tutto mi faceva paura. Poi mi dicevo: ‘Se tante ragazze vogliono fare la velina, un motivo ci sarà. Devo solo aspettare’. Infatti col tempo ho raccolto i frutti”. Oggi ti senti inserita? “Non mi sento parte di un contesto particolare al di fuori del lavoro. Non sono tipo da vita mondana”. Facendo un bilancio di ciò che hai guadagnato e ciò che hai perso, scegliendo la strada dello spettacolo, quale resoconto puoi trarne? “Ho guadagnato la stima della gente, che un tempo mi vedeva come una bella ragazza ed oggi mi dice che sono anche brava. Ho perso la mia vita privata, ma non totalmente: devo solo stare attenta ad evitare obiettivi indiscreti; non sono mai troppo chiacchierata”. Quali sono stati i tuoi principali successi? “Vivo da sola da quando ero poco più che diciottenne e a 25 anni ho comprato una casa. Naturalmente, non mi sono presentata in agenzia con una valigetta di contanti, ma con un mutuo, proprio come fanno tutti. Però l’ho vissuto come una vittoria”. Credi che nel mondo dello spettacolo il fatto di essere donna possa essere una marcia in più o una debolezza? “Credo che non giovi né penalizzi. Un tempo l’uomo era il conduttore; la donna, al massimo, poteva aspirare a fare la valletta. Oggi la De Filippi, la Ventura e tante altre donne dimostrano che il talento viene premiato”. Parliamo del tuo carattere. Com’è dentro, Maddalena Corvaglia? “Sono fatta a strati; una contraddizione vivente. Impulsiva e razionale, riflessiva e illogica, vivace ed introspettiva; in relazione alle persone che ho accanto e al tempo. Vivendo a Milano, ho capito che la totale mancanza di sole compromette il mio umore per l’intera giornata”. Come si svolge, oggi, la tua giornata-tipo? “Non ci sono giornate-tipo; dipende molto dal programma al quale lavoro. Questo periodo è caratterizzato da impegni regolari: nelle giornate di mercoledì, giovedì e venerdì ho le prove e il sabato la diretta di ‘Scalo 76’, il programma musicale in onda su Raidue. Sono al fianco di Daniele Bossari e Paola Maugeri. Mi ci trovo benissimo”.

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Carta di identità Data di nascita: 12/01/1980 Altezza: 1,70 m Peso: 50 kg Misure: 93-61-90 Numero di scarpe: 39


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//Paese che vai //Lecce e dintorni

nietta, pugno di ferro in guantone da Boxe ANTONIETTA DETTA NIETTA, FU IL BUSTO DEL BUSTAIO: DAPPRIMA SORRESSE, QUASI SENZA CHE SE NE ACCORGESSE, IL LAVORO DEL PADRE. POI, NE FECE IL SUO LAVORO. FINO A FARE DELLE OFFICINE FEOLA UN’AZIENDA LEADER IN EUROPA NEL SETTORE ORTOPEDICO

di GIOVANNI DE STEFANO entre, in un giorno del 1927, Vincenzo Feola, artigiano in via Cairoli, a Lecce, imponeva tutta la sua attenzione su uno dei primi busti o plantari di sua produzione, avrebbe forse più facilmente immaginato che, di lì a poco, il grande tenore Tito Schipa sarebbe diventato suo cliente affezionato, piuttosto che una sua figlia femmina, che sarebbe nata solo di lì a una decina d’anni, avrebbe preso le redini di quel commercio che stava nascendo proprio allora. E che lo avrebbe trasformato in una realtà di proporzioni industriali, fino ad aprire un’intera clinica ortopedica che portò il suo nome, sulla strada per Monteroni.

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Probabilmente Vincenzo non immaginò nessuna delle due possibilità, preso com’era da quei colpi di ago e filo, nella bottega di fronte alla vecchia sede del Liceo Palmieri. Eppure entrambe, e molte altre, si realizzarono, modificando il corso del destino come i suoi prodotti cambiavano la postura e, in definitiva, la vita ai suoi clienti: con un’invisibile fermezza. Quella figlia, Antonietta detta Nietta, fu il busto del bustaio: dapprima sorresse, quasi senza che se ne accorgesse, il lavoro del padre. Poi, ne fece il suo lavoro. Uscendo o rincasando – abitava in via Paladini ancora ragazzetta, non c’era una mattino o un primo pomeriggio, prima o dopo la scuola (che era il vicino, prestigioso Palmieri, scelta già di per sé scelta coraggiosa, per una fanciulla del 1936) senza dare un’occhiata sempre più incisiva tanto ai traffici - vivaci e chiassosi - dietro le vetrine del negozio, quanto a quelli pazienti precisi, dietro le quinte della bottega. Le due cose, rapporto schietto coi clienti e mano ferma in laboratorio, divennero le due metà dell’anima della sua idea di lavoro. Che non dimenticò certo quando, già divenuta amministratrice unica dell’azienda di famiglia, nel 1978 la trasfe-

rì nella sede attuale, in via Storella, cominciandola a dotare di strutture e macchinari sempre in aggiornamento ma, piccolo miracolo della gestione del personale, gli stessi fondamentali dipendenti che lavorano lì, con lei e per lei, ancora oggi.

cultura greca e vino, ed esoterismo e scienza; attento viaggiatore, cultore dell’Oriente e della classicità) assisteva paziente, per nulla turbato, al compimento di questo capitolo della storia sociale del Salento moderno, che avveniva proprio fra le sue mura domestiche.

L’azienda divenne un’altra famiglia di cui i suoi tre figli (Ludovica, medico; e Alessandra e Giuseppe, impegnati a loro volta, oggi, presso le Officine Feola) non seppero mai se essere più gelosi o orgogliosi. La prima segretaria tuttofare di Nietta, Giuseppina Giangrande, continua a fare tutto da quasi trent’anni, e solo una tirocinante sceltissima, da qualche mese, può minacciare la sua posizione, più ancora della pensione imminente, ma non tanto allettante. Lo stesso si può dire delle bustaie Saveria ed Elena, drittissime fuori e dentro di metafora, ancora in forze alla fabbrica di via Storella (cui nel tempo si sono affiancate filiali a Galatina e a Campi Salentina).

Perché Nietta, essendo una donna manager quasi ante litteram, fu anche una mamma molto avanti coi tempi, di conseguenza. Indipendente, ironica, perennemente multitasking, come si direbbe oggi. Lontana anni luce dalle mamme anni ’60, con la gonna un po’ lunga, cantate da Edoardo Bennato, era capace di condurre alla villa al mare (nel maggiolino blu d’ordinanza, ancora esistente) una dozzina di bimbi fra figli e amici dei figli, senza battere ciglio, e continuando a pensare alle sue cifre e alle sue scelte da capitana d’industria.

Oggi l’azienda di Nietta Feola produce intere linee di prodotti ortopedici e medici, dagli storici plantari e busti, fino a protesi e ortesi di qualunque arto. Collabora con cattedre di Ingegneria dei materiali italiane ed estere; e si aggiorna in continuazione, tranne che nella composizione del personale, ché i suoi collaboratori sono gli stessi da decenni, affezionatissimi. Con i clienti, ahimé, ma anche per fortuna, non può essere più come un tempo, perché i passanti di via Cairoli sono diventati Asl e cliniche di molte parti del paese. Nel costruirsi di tutto questo, fin dall’inizio di quest’avventura imprenditoriale e esistenziale (soprattutto se consideriamo i tempi in cui si è svolta), il marito Franco Della Tommasa, medico umanista di estrazione praticamente cinquecentesca (brillantissimo conferenziere sui temi fra

Fondò a Lecce l’Ande, l’associazione nazionale delle donne elettrici, entrandone nel Consiglio nazionale fino ad essere nominata, nel 2007, presidente onorario. Sono storia le riunioni che Nietta ha organizzato con le altre socie presso l’Hotel President di Lecce, che includevano sempre e solo candidati di tutti gli schieramenti disponibili, per politiche o amministrative, tutti intenti a fingere di andare quasi d’accordo per una sera. Molte altre associazioni femminili pugliesi la contano nei loro direttivi, fra cui Soroptimist e l’Associazione Mogli Medici Italiani, a Lecce molto attiva e radicata. Nel 2004 è responsabile della Commissione Sviluppo economico e Politiche comunitarie della Consulta regionale femminile. Moderna ma scaramantica (perché, come si sa, non è vero ma ci si deve credere), allegra ma non troppo, pugno di ferro in guantone da boxe, Nietta Feola è una delle prime e più straordinarie donne imprenditrici salentine.


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//Paese che vai //Casarano e dintorni

vice questore di roma. con passione

di ENZO SCHIAVANO e.schiavano@iltaccoditalia.info

ALL’INIZIO DELLA CARRIERA, QUANDO LAVORAVO IN SICILIA, CAPITAVA CHE QUALCHE ARRESTATO RIFIUTASSE DI PARLARE CON ME PERCHÉ ERO DONNA, E PARLASSE SOLO CON I MIEI ISPETTORI, UOMINI. OGGI MOLTE “DIFFICOLTÀ CULTURALI” SONO AMPIAMENTE SUPERATE. SI PUNTA ALLA POLIZIA DI “PROSSIMITÀ”

suoi concittadini l’hanno conosciuta due anni fa, in occasione del “Premio Casaranello”. Mariella Primiceri fu premiata per aver dato lustro alla sua città per il suo impegno profuso nella Polizia di Stato. I casaranesi si sentirono orgogliosi di avere una concittadina che svolgeva un mestiere così importante e difficile. Mariella Primiceri, 46 anni, avvocata, è vice questore aggiunto del Dipartimento di Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell’Interno. E’ poliziotta da 17 anni e nella sua carriera è stata per tre anni a Siracusa a capo del servizio volanti; poi a Firenze nella sezione omicidi e nella sezione reati sessuali della Mobile, occupandosi in particolare dei minori vittime di violenza; quindi, dal 2002, il trasferimento a Roma.

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Quando è maturata la scelta di entrare in Polizia? “La scelta è maturata dopo la laurea, come una delle possibili aree professionali in quell’ambito giuridico-penalistico che mi aveva interessato particolarmente negli studi universitari. Fui incoraggiata anche da una collega, pure lei leccese, che aveva superato il concorso per Funzionari nella Polizia di Stato qualche anno prima, e che era entusiasta della sua esperienza. Ho sempre condiviso quell’entusiasmo, anche perché una professione destinata a produrre la “sicurezza” quale bene fondamentale per la collettività, nonostante i sacrifici e l’impegno che richiede, è comunque appassionante”. L’ambiente in cui lavora è per tradizione maschile. Ha avuto delle difficoltà all’inizio per il fatto di essere donna? Oggi la situazione qual è? “Lavoro ormai da circa vent’anni e ho visto molti cambiamenti: l’impegno e la qualità del lavoro delle donne in tutti i contesti delle attività di polizia hanno consentito di superare le iniziali “perplessità” con cui eravamo guardate, retaggio di vecchi schemi di organizzazione del lavoro. Oggi sono maturati i tempi giusti dei nostri percorsi carrieristici da quando siamo state ammesse in tutti i ruoli, e possiamo dire di avere raggiunto la parità di accesso a tutti gli incarichi anche in quelli di vertice - sia nelle Questure, sia nelle strutture centrali del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Un analogo percorso sta interessando ora anche tutte le altre Forze di Polizia - Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato - nelle quali le donne sono state ammesse più di recente”. Come concilia la sua vita privata con un lavoro così impegnativo? “Molte professioni richiedono alle donne grandi capacità organizzatiil tacco d’Italia

ve, soprattutto quando è necessario conciliare le aspirazioni professionali con le esigenze familiari. Qualche volta bisogna imparare a rinunciare a qualcosa: dipende dalle priorità di vita di ciascuna di noi. Si può preferire di dedicarsi prevalentemente al lavoro o decidere di non privilegiare la carriera, soprattutto quando questo richiederebbe spostamenti di sede non sempre compatibili con i bisogni della famiglia”. Ci può raccontare un aneddoto curioso collegato al fatto di essere donna e poliziotto? “All’inizio della carriera, quando lavoravo in Sicilia, capitava che qualche arrestato rifiutasse di parlare con me perché ero donna, e parlasse solo con i miei ispettori, uomini. Oggi molte “difficoltà culturali” sono ampiamente superate, anzi possiamo dire che alcuni valori tipici femminili, quali le capacità di ascolto e di accoglienza, hanno giocato un ruolo fondamentale in un nuovo modo di “fare polizia” ispirato ai principi della polizia di “prossimità”. Il nostro lavoro - che in passato era appunto concepito solo come attività di repressione e controllo - si è arricchito di nuovi contenuti. Oggi fare polizia significa creare un rapporto con la collettività di fiducia, aiuto e tutela, in funzione dell’esercizio condiviso dei diritti di cittadinanza, assolvendo un ruolo di mediazione istituzionale necessario per la riduzione delle conflittualità sociali e generazionali. Ognuno di noi, uomo o donna, in qualunque ufficio e in ogni incarico, rappresenta un tassello dell’apparato di sicurezza interna del Paese e questo significa credere nell’etica delle proprie responsabilità professionali per l’affermazione della legalità quale principio fondamentale della convivenza civile”.

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//Paese che vai //Galatina e dintorni

quella fiammella che Brilla in ecuador

HA CONTRIBUITO A GETTARE LE BASI DELLA LEGGE 118 PER L’INSERIMENTO DEI DISABILI NELLA SCUOLA PUBBLICA. ERA IL 1971. NEL 1978 IL PRIMO VIAGGIO IN ECUADOR, IN MISSIONE. LÌ LOTTA PER SCOLARIZZARE I BAMBINI, STRAPPARLI A FAME E POVERTÀ

DALL’IMPEGNO POLITICO AI SERVIZI RIABILITATIVI, ALLE MISSIONI NEI QUARTIERI MALFAMATI DELL’AMERICA LATINA. L’IMPEGNO DI UNA “PICCOLA CANDELA” IN UN MONDO MALVAGIO di VALENTINA CHITTANO e è bastato solo accennare all’immagine della fiammella accesa a cui la associano i suoi ragazzi per richiamare alla mente un dolce pensiero di Shakespeare: “Come arrivano lontano i raggi di una piccola candela, così splende una buona azione in un mondo malvagio”. Maria Giovanna Mayo preferisce considerarsi al massimo quel debole alito che soffia per alimentare la candela non appena questa sembra perdere vigore; ma le sue azioni sono molto di più di una semplice luce. Sono una vera e propria lotta, spinta dal fortissimo desiderio di restituire all’uomo la sua dignità. Nei suoi 65 anni di vita l’assistente sociale di Caprarica ha visto tanto impegnando tutte le proprie forze per il prossimo. “Ho fatto esperienze di ogni tipo – spiega -; ho iniziato lavorando nei servizi riabilitativi giungendo ad un traguardo molto importante. Forse lo sanno in pochi ma è stata la mia caparbietà e quella di un ristretto numero di persone che insieme a me collaboravano con l’Aias (associazione italiana assistenza spastici) a Cutrofiano a gettare le basi della legge 118 del 30 marzo 1971: siamo stati noi i primi a sperimentare l’inserimento dei portatori di handicap nella scuola pubblica. L’idea di tentare è venuta grazie alle sollecitazioni di un ragazzo al quale

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prestavamo assistenza, che si è poi laureato in Pedagogia e Teologia”. Maria Giovanna è stata anche per cinque anni assessora ai Servizi sociali di Caprarica. “Il mio scopo era quello di dare attenzione ai poveri. Al povero non bisogna fare la carità. È necessario metterlo in condizione di liberarsi da solo dalla condizione di disagio. Mi faccio sempre guidare dall’idea evangelica, credendo fortemente che il grado di efficienza di un’amministrazione non si misuri dalle opere pubbliche che realizza ma dall’attenzione che presta agli ultimi”.

// MISSIONE ECUADOR Era piccola e leggeva il Messaggero dei ragazzi quando sentì crescere in lei il bisogno della missione. Poi nel ’78 concretizzò per la prima volta il suo desiderio e partì per l’Ecuador. “Stare a stretto contatto con i quartieri più malfamati, soffocati da anni di dittatura e di paura è stata un’esperienza cruciale – racconta Maria Giovanna –; se ora ho la possibilità di leggere in maniera diversa il sociale, andando alle radici delle incongruenze e dei disservizi, lo devo all’America Latina. Dopo la prima esperienza durata due anni sono tornata in Ecuador con cadenza regolare almeno una volta all’anno. Prima di partire ho seguito un

corso per apprendere il modo più efficace per poter essere d’aiuto. Un avvocato, mio amico, che è parte attiva degli organi di base lì in Ecuador, mi ha chiarito quale fosse il problema più urgente: la scolarizzazione dei ragazzi. Così mi sono impegnata a tamponare il più possibile questa ferita, insieme a quelle della fame e della povertà”. Maria Giovanna non ha parole per ringraziare, a tal proposito, don Fedele Lazari, parroco della Chiesa Madre di Galatina, che ha contribuito sempre con gioia a tanti progetti. “Furono distrutti i tetti delle case e don Fedele ha dato una mano; avevamo bisogno di albumina per combattere una grave infezione renale dei bambini e don Fedele si è subito mosso. È anche per lui che sento Galatina come la mia seconda città. Ma in Ecuador ho una casa speciale, quella dove ho imparato a lottare contro la politica delle multinazionali che hanno sempre cercato di rendere gli uomini ciechi, sordi, analfabeti e affamati. Noi abbiamo combattuto per restituire loro gli occhi, le orecchie, la cultura e per farli rialzare. Il mio amico avvocato dice sempre che i nostri nomi non appariranno mai nella storia dell’Ecuador, ma nel cuore sappiamo che se l’Ecuador sta risorgendo lo deve un po’ anche a noi. È per questa rinascita che voglio continuare a muovermi”.


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//Paese che vai //Gallipoli e dintorni //Taviano

in punta di piedi

SCARPE ARTIGIANALI SALENTINE ACCOMPAGNANO LE DANZE DI TUTTO IL MONDO. IL SEGRETO È CHE SONO FATTE COME UNA VOLTA: CON AGO E FILO

LA FLYING DANCE VENDE LE SUE PRODUZIONI IN ITALIA E ANCHE ALL’ESTERO, SOPRATTUTTO IN SPAGNA, SVIZZERA, GERMANIA, FRANCIA E FINLANDIA. HANNO INDOSSATO LE CALZATURE MADE IN TAVIANO CESARE VANGELI, BALLERINO DI TIP TAP, LE BALLERINE DELLA SCALA DI ROMA E LE RAGAZZE DI “NON È LA RAI” nsieme alla musica e al teatro è una delle arti sceniche più antiche che coinvolgono l’uomo. E’ la danza, arte che si manifesta nel tempo e nello spazio tramite movimenti del corpo semplici e complicati allo stesso tempo. Classica, jazz, funky o contemporanea poco importa; ciò che conta in questa disciplina è saper usare bene la testa, ma soprattutto i piedi. Questo lo sa bene chi, ormai da più di 20 anni, si impegna giorno dopo giorno a far “volare” i migliori ballerini professionisti attraverso le proprie creazioni. Scarpe da danza lavorate artigianalmente alla maniera tradizionale per soddisfare qualunque esigenza e benessere di cui necessita il piede, che si tratti di lavoro o di diletto. E per tutti i tipi di danza. È da questa passione che nasce a Taviano la Flying dance, azienda leader del settore riconosciuta in tutta Europa. Noi abbiamo incontrato Chiara Caputo, amministratrice contabile e responsabile di produzione a soli 29 anni. Anima femminile dell’azienda.

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di IRENE TOMA i.toma@iltaccoditalia.info Chiara Caputo, amministratrice contabile e responsabile di produzione Flying dance

Quando è nata l’azienda e ad opera di chi? “È stata fondata dai miei genitori nel 1982. In quegli anni una nostra parente, di professione ballerina, veniva dall’Australia e quando era nel Salento aveva la necessità di reperire scarpe da danza per il suo lavoro. Da qui l’idea di promuovere questo settore non troppo ‘frequentato’. Io sono entrata a far parte dell’organico dopo aver studiato Economia e Commercio. Dal 1999 gestisco la sezione contabile e la produzione”. Di che cosa si occupa, nello specifico, la Flying dance? “Produciamo scarpe da danza. È una nicchia del mercato delle calzature perché ricopriamo tutte le discipline del ballo. Il

nostro è un lavoro artigianale, che non ha risentito della crisi del Tac, ormai diffusa nell’intero Salento. Ci occupiamo personalmente di reperire la materia prima, ovvero il pellame, disegniamo i modelli e lavoriamo ogni singolo paio di scarpe a mano con ago e ditale. Questo comporta una maggiore scrupolosità nella selezione dei prodotti e certamente una migliore qualità del prodotto finale”. Hai una particolare passione per la danza o ti sei limitata a continuare una tradizione di famiglia? “Ho fatto pattinaggio artistico a livello agonistico da quando avevo cinque anni. In me è stata sempre presente la passione per lo sport in generale”.

Chi sono i vostri clienti? “Abbiamo clienti in tutto il territorio nazionale e anche all’estero. Vendiamo molto in Spagna, Svizzera, Germania, Francia e in Finlandia. Alcuni nostri clienti sono molto famosi come Cesare Vangeli, ballerino di tip tap e molte ballerine del Teatro della Scala di Roma. Inoltre partecipiamo a grandi eventi come “Danza in fiera” a Firenze e nel passato abbiamo anche sponsorizzato le ragazze di Non è la Rai”. Che cosa significa nella tua vita gestire un’azienda di tale rilievo? “È importante e conta molto soprattutto perchè ci lavoro da tanti anni. Sono grandi le soddisfazioni sia lavorative sia a livel-

lo personale ma non mancano le difficoltà. Gestire un’azienda infatti porta via molto di quel tempo che sarebbe piacevole dedicare a se stessi. Essendo una donna ho maggiore necessità di ritagliare dei momenti per la famiglia o per le mie esigenze personali”. Se fossi stato uomo che cosa sarebbe cambiato? “Forse nulla. Essere uomo o donna non è importante. Bisogna comunque saper lavorare bene. Probabilmente la differenza sta nel modo in cui si fanno determinate scelte. L’uomo è più istintivo mentre la donna è più razionale. Bisognerebbe saper calibrare bene le due qualità ma l’indole di ognuno non si può cambiare”.


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//Paese che vai //Maglie e dintorni 1905. Gustav Klimt, “Le tre età della donna”

sui Banchi di scuola ad ogni età CORSI DI STUDIO ED INIZIATIVE UMANITARIE NELLA CASA DI ALDO MORO di MARGHERITA TOMACELLI m.tomacelli@iltaccoditalia.info

n’Università non è solo luogo di studio. Può essere anche un punto di riferimento per chi si senta solo. Vi si possono trovare amicizia, calore, condivisione. E’ nata proprio con questa importante mission, ormai 20 anni fa, Unitre, l’Università delle tre età di Maglie. Fondata ufficialmente, e presieduta, da Romana Bortone De Giuseppe, docente di materie letterarie in istituti superiori ed in Ateneo; moglie di Giorgio De Giuseppe, senatore e stretto collaboratore di Aldo Moro. Oggi l’Università delle tre età, che sorge proprio nella casa di Moro, in piazzetta Caduti di via Fani, al civico 7, è l’unica associazione cittadina che cresca con regolarità. Gli iscritti aumentano di anno in anno e provengono da un bacino molto largo: non solo da Maglie, ma anche da numerosi paesi, limitrofi e anche più lontani, persino da Lecce. Abbiamo incontrato la presidente della scuola, alla quale abbiamo chiesto di parlarci in maniera un po’ più approfondita dell’attività dell’istituto.

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E’ NATA 20 ANNI FA CON 48 ISCRITTI, TUTTI ANZIANI. DALL’ANNO DOPO, L’UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ DI MAGLIE È DIVENTATA UNITRE, CIOÈ UNIVERSITÀ APERTA A TUTTE LE ETÀ. OBIETTIVO, OLTRE ALLO STUDIO, RINVIGORIRE I RAPPORTI DI SOLIDARIETÀ TRA GENERAZIONI Romana Bortone De Giuseppe, presidente Unitre

Professoressa, è soddisfatta della strada compiuta dalla Università da lei fondata? “Sono molto soddisfatta. L’Università delle tre età è l’unica associazione che abbia raggiunto traguardi importanti in una città, come Maglie, poco incline all’associazionismo. Nata come Università della terza età per soddisfare il bisogno intellettuale e fisico degli anziani, già dall’anno seguente si è trasformata in Università delle tre età, con lo scopo di favorire i rapporti tra le generazioni. Di strada ne abbiamo fatta tanta, sempre con impegno e dedizione e soprattutto perseguendo l’obietti-

vo primario di sviluppare diverse forme di volontariato sociale”. Quanti iscritti conta oggi Unitre? “Oggi conta 223 iscritti. Un buon risultato se si pensa che siamo partiti con un totale di 48 ‘studenti’. Il nostro bacino d’utenza è praticamente l’intero Salento”. Ci sono più iscritti uomini o donne? “La presenza degli uomini è del 30 per cento. Le donne sono in maggioranza, anche perchè spesso restano sole e, nella nostra Università, cercano, e trovano, uno sfogo alla loro condizione di solitudine. Unitre è infatti una vera accademia di umanità che promuove iniziative solidali oltre a lezioni vere e proprie. Tutti gli insegnamenti sono tenuti da professori universitari che prestano il loro contributo in maniera volontaria. Ma, oltre che tra gli iscritti, Unitre conta una buona presenza femminile anche all’interno

del consiglio direttivo. Questo è composto da 16 persone: sei uomini e dieci donne”. È stato difficile, da donna, avviare Unitre? “Non particolarmente. Ma è stato necessario essere più motivata di un uomo. L’unica difficoltà è stata riuscire a conciliare gli impegni di professionista con quelli familiari”. Si è mai sentita stretta nel ruolo di moglie di un politico? “E’ stato molto complicato avere un uomo politico accanto, assente per l’intera settimana perché impegnato in Parlamento e poi nel proprio Comune. Ho dovuto affrontare da sola molti ostacoli. Molte famiglie si sfasciano per questa ragione. Noi per fortuna siamo stati molto forti. Abbiamo avuto dei figli magnifici che sono orgogliosi del ruolo del padre e lo hanno sempre sostenuto”.


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//Paese che vai //Nardò e dintorni

la “sorellanza” con renata fonte

di FRANCESCO RIA f.ria@iltaccoditalia.info

CLAUDIA RAHO, DOCENTE DI LINGUE PRESSO IL LICEO MARCELLINE DI LECCE E AMICA DI RENATA FONTE, CI HA RACCONTATO DI UN LEGAME SPECIALE E TUTTO AL FEMMINILE. DI CHI IN POLITICA SI SENTIVA CHIAMATA “PER NOME E COGNOME” ALCUNI DICEVANO: FEMMINA ERA, SE L’È CERCATA, PERCHÉ NON È RIMASTA A CASA SUA? LO SPECIFICO DELL’OMICIDIO FONTE È LA CONDIZIONE DI DONNA SOLA. L’EROISMO DI RENATA STA NEI MOMENTI IN CUI SE NE USCIVA DI CASA CON IL PANINO CON LA COTOLETTA, PER ANDARE IN CONSIGLIO COMUNALE, DOPO AVER FATTO I COMPITI CON LA FIGLIA. L’EROISMO DI TUTTI I GIORNI PUÒ DAVVERO FAR CAMBIARE LE COSE

Come ha conosciuto Renata Fonte? “Ci siamo conosciute quando lei è tornata a Nardò, nel 1980, e riprese a frequentare i vecchi amici. Con Dolores Fonte (semplice omonimia con Renata Fonte, ndr) entrò nel gruppo dell’UDI, di Radio Nardò 1 e nel Comitato per la salvaguardia e l’istituzione dal parco naturale di Porto Selvaggio. Comitato sorto perché, pur essendoci già stata la destinazione del terreno a parco naturale, Regione e Comune si rimpallavano la responsabilità dell’effettiva istituzione del parco. Noi temevamo che quest’oblio sul parco favorisse qualche speculazione edilizia. Renata entrò nel comitato seguendo il partito Repubblicano, il cui leader locale era Pantaleo Ingusci, lontano parente per il quale nutriva grande ammirazione. Renata, arrivata a Nardò, non aveva un preciso orientamento politico. Le sue bambine erano già grandi e iniziò a frequentare gli amici di un tempo che militavano in politica e si trovò, oggi con nostro grande senso di colpa, coinvolta nelle vicende politiche cittadine. Lei repubblicana, Dolores socialista, io anarchica, altri del gruppo erano democristiani o comunisti: tutti avevamo punti di vista diversi, ma eravamo molto amici e sulle cose importanti ci ritrovavamo sempre”. Come vivevate quest’avventura politica? “All’inizio ci confidava le sue forti perplessità. Leggeva a Dolores e a me i suoi comizi prima di presentarsi davanti ai cittadini e ridevamo del fatto che venisse a chiedere consiglio ad un’anarchica e ad una socialista. La nostra era una complicità tutta femminile: la “sorellanza” come la chiamavamo allora”. Le femministe di vecchia guardia affermano come le quote rosa non servano a favorire l’accesso delle donne in politica, perché le donne hanno un modo differente di fare politica ed è la politica che deve cambiare. L’esperienza di Renata rientra in questo modo diverso di fare politica? “Allora: non la vicenda dell’omicidio. Perché questo rientra nella logica perversa della politica. Il suo modo di fare politica, indubbiamente sì. Perché eravamo appena usciti dal ’77 e si portava in politica il personale. I problemi del quotidiano le donne li vivono come problemi che il tacco d’Italia

riguardano, allora ancora di più, la necessità di conciliare la famiglia con l’impegno, lo studio, i figli, il marito e poi il territorio. Tutte queste cose rientrano nel modo femminile di fare politica e rientrano nelle caratteristiche di Renata. Ma vorrei sottolineare che il suo impegno non era presenzialismo. Il suo impegno derivava dal fatto che c’erano delle cose da fare e lei si sentisse chiamata per nome e cognome. Senza trascurare la casa. Magari faceva gli arrosti per la famiglia prima di un consiglio comunale e lei mangiava un panino per strada. Tutto entrava nel suo essere donna in politica. Responsabilità e passione per il quotidiano. Poi l’omicidio ha bloccato tutto… “Non è tanto l’omicidio che ha bloccato un processo. Dopo ci siamo trovati di fronte a due posizioni. Alcuni che dicevano: ma femmina era, se l’è cercata, perché non è rimasta a casa sua?. Altre posizioni, invece, la consideravano una morte “piccola piccola”. Secondo me, invece, è un fatto al di fuori dell’ordinario per una serie di motivi: a Nardò nessuno immaginava di vivere certi momenti. In secondo luogo venne eliminata una figura politica marginale. L’altra cosa riguarda il fatto che lei fosse una donna. E ogni anno questo va ricordato. Lei era una donna che stava tornando a casa a mezzanotte meno un quarto, non da una partita a carte con le amiche, ma da un consiglio comunale. Lo specifico dell’omicidio Fonte è la condizione di donna sola. La solitudine è la particolarità di questa storia. Il fatto di essere donna sola, in momenti cruciali, ti porta a rischiare, quale che sia la posta in gioco. L’eroismo di Renata, secondo me, sta nei momenti in cui se ne usciva di casa con il panino con la cotoletta, per andare in consiglio comunale, dopo aver fatto i compiti con la figlia. C’è un quotidiano di eroismo. Non bisogna far diventare queste persone un “santino”. Lei non aveva nessuna intenzione di diventare martire. Aveva tanta voglia di vivere. Va recuperata la dimensione privata e tutta femminile di Renata e avvicinarla alla realtà. Il suo essere permalosa, capricciosa, il suo voler avere ragione. Farla ridiventare una persona umana è il modo migliore per ridarle vita e per comprendere come l’eroismo di tutti i giorni, forse, possa davvero far cambiare le cose”.

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//Paese che vai //Tricase e dintorni

non voglio mica la luna I SOGNI DI GLORIA DI UN CAST TUTTO FEMMINILE PER UNA PELLICOLA CHE AVRÀ IL SALENTO

di IRENE TOMA i.toma@iltaccoditalia.info

COME LOCATION. NON SOLO: ANCHE LIORNI E MCVICAR PER PROTAGONISTI

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lzi la mano chi almeno per una volta nella vita non ha sognato di diventare celebre, di vivere un giorno da divo, di essere riconosciuto per strada dai fans. A volte accade davvero ma spesso rimane un sogno. Tutto parte da un semplice provino dove tra i candidati domina un’unica regola: l’importante non è vincere ma partecipare. E’ quanto pensano le ragazze che hanno partecipato il 16 e 17 febbraio a Tricase ai provini con cui CineSalento cercava volti per il film “Il cembalo della luna” che sarà girato a partire da maggio 2008 in Salento. Nel cast, per la regia di Salvatore Tuma, anche, udite udite, il bel Marco Liorni, direttamente dal Grande Fratello, e il fascinoso Daniel McVicar, alias Clarke di Beautiful. Anche il Tacco si è presentato ai provini. Ecco il cast che ha selezionato.

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1 - La cattiva Corinna Coroneo, 28 anni di Galatina, laureata al Damms-cinema. Vive e studia recitazione a Roma. Lavora come segretaria in uno studio legale. Ha avuto esperienze in teatro ma nessuna nel cinema. Si propone per il ruolo di Immacolata. “Sono mora e posso fare la cattiva”. 2 - La psicologa Maria Lanciano, 31 anni di Barletta, studia psicologia e recita in teatro. Si candida al provino per portare la sua esperienza teatrale in televisione. “Spero di colpirli con la mia preparazione”. 3 - Le infermiere Katia Rizzo viene dalla piccola Depressa (Tricase) e lavora come infermiera. Ha recitato tanto per le commedie del paese poi per amore dei suoi figli ha dovuto mettere da parte questa passione. Il provino è un modo per ricominciare. Elisabetta Panico, 35 anni, infermiera professionale. Anche lei come le altre tenta una nuova esperienza; prima di questa solo le recite delle scuole elementari. Elena Pedone, 37 anni di Spongano. Lavora presso una residenza sanitaria assistenziale ad Alessano. “È la prima esperienza. Per me è un’avventura”. Non sa se riuscirà a convincerli ma si sente allegra e solare.

4 - La sensuale Anna Luce di Bari si propone per il ruolo di Semele, la protagonista. Sa cantare e studia danza del ventre. “Non mi manca la sensualità ma bisogna essere semplicemente sfacciati per superare un provino”. Adesso è impegnata in un musical.

conoscere nuove persone e divertirsi. “Non aspiro a diventare attrice. La mia caratteristica è la spontaneità”. Gabriella Festa, 41 anni di Lecce. Partecipa al provino per divertimento anche se lavora nello spettacolo come show-girl e cantante di musica leggera.

5 - La convinta Chiara Molea, 24 anni di Brindisi. Studia al Dammscinema di Bologna. “È un approccio allo spettacolo non per fare l’attrice ma per lavorare nel casting director di un film. L’arma vincente è essere se stessi”.

8 - L’avventurosa Adriana Russo, 34 anni di Maglie. Lavora in una compagnia di assicurazioni e tenta il suo primo provino per fare una nuova esperienza. “Tenterò di ammaliarli con il mio sguardo”.

6 - L’audace Roberta Pezzuto, casalinga di 36 anni. Affascinata da tutto ciò che riguarda il canto e le tradizioni popolari. “Cerco una nuova avventura. Mi piacerebbe avere un importante ruolo nel film. Ho energia da vendere”.

9 - L’attrice Angela Monica Cacciotti, di Genova, ma vive a Roma. Lavora come attrice da quando aveva 14 anni. È nel Salento per il ruolo di Semele. “L’esperienza e soprattutto la fortuna sono determinanti. Bisogna stare al posto giusto nel momento giusto”.

7 - Le blond girls Bice Leuci, 48 anni di San Donaci (Brindisi). È una casalinga e per divertirsi partecipa a questo provino insieme alle amiche che la invidiano per le sue labbra carnose. Arianna Valentini, 41 anni di Lecce. Da sei anni lavora nel cinema e nella televisione. E’ un modo per

10 - L’aspirante attrice Maria Leuci di Monteiasi (Taranto) studia scienze dello spettacolo a Bari. La sua massima aspirazione è fare l’attrice o lavorare nel mondo dello spettacolo. Ha già partecipato ad altri provini e spera di convincere lo staff con la sua simpatia e determinazione.

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// Un mese in una pagina // questione di look “Chi ha qualcosa da dire in contrario, parli ora, o taccia per sempre”. La consacrazione di Sergio Blasi a segretario del partito democratico è avvenuta per acclamazione, davanti agli stati maggiori riunioni del nuovo partito. Gran sacetordessa, Loredana Capone, moderatrice dell’assemblea.

IPSE DIXIT “E’ giunto il momento per il Salento di rivendicare un’autonomia basata su differenze culturali e storiche”. Mario De Cristofaro, presidente movimento “Salento libero” Il Corriere del Mezzogiorno, p.7, 30 gennaio 2008 “Non ho mai preso parcelle da 50mila euro”. Domenico Laforgia, rettore Università del Salento Il Corriere del Mezzogiorno, p.6, 31 gennaio 2008 “Nichi, pensa alla Puglia. Qui abbiamo bisogno di te”. Michele Emiliano, segretario regionale Pd Il Paese nuovo, p.1, 3 febbraio 2008 “In molti versanti della vita pubblica, ci vergogniamo un po’ di molti compagni di viaggio. Sembra, talvolta, di far parte di una allegra brigata carnevalesca e di non essere affatto espressione della nuova classe dirigente che si dovrebbe offrire all’Italia”. Antonio Pellegrino, segretario Forza Italia Lecce La Gazzetta del Mezzogiorno, p.2, 21 febbraio 2008 “Caro Antonio è[Torricelli], siccome i termini della scommessa vanno rispettati fino in fondo, lascia stare il caffè e comincia a pensare di prenotare per una cena a me e a tutta la Commissione, così come avevamo stabilito. Magari, visto il periodo, una cena a base di pesce”. Paolo Perrone, sindaco di Lecce Il Paese nuovo, p.9, 27 febbraio 2008

SE NE PARLA SE NE PARLA SE NE PARLA Toghe rosa Non era mai accaduto prima d’ora: il consiglio direttivo dell’Ordine degli avvocati di Lecce non aveva mai fatto posto alle donne. Il 2008 ha segnato un’importante conquista per il gentil sesso, con ben tre elette. Dopo Roberta Altavilla, passata al primo turno con Luigi Rella, il ballottaggio di metà febbraio ha visto altri due nomi femminili guadagnarsi un posto tra i 13 rimasti disponibili nella stanza delle poltrone. Sono quelli di Laura Bruno e Anna Grazia Maraschio, le quali si sono piazzate rispettivamente seconda e quarta tra i “passati” a conferma che la giustizia si è tinta di rosa. In totale le donne sono state un quinto degli eletti. Nel fare gli auguri alle consigliere, ci auguriamo che, d’ora in poi, anche il mondo a volta troppo maschile dei togati capisca che sensibilità e pugno duro tipici delle donne possono essere quel valore aggiunto di cui un Ordine ha bisogno.

Difendersi a colpi di arti marziali Già il nome fa tremare. Se si pensa, poi, che il krav maga è un metodo di combattimento che riunisce le tecniche più letali delle arti marziali e che la Provincia ha messo gratuitamente a disposizione delle dipendenti (nonché di mogli e figlie dei dipendenti uomini), dei corsi teorico-pratici per l’apprendimento delle stesse, è chiaro che non si scherza. Secondo Serenella Molendini, consigliera di Parità, promotrice del progetto “Mai più vittime”, il corso aiuterà le donne a difendersi da una potenziale violenza ma, soprattutto, ad acquisire maggiore fiducia in se stesse. Tutto questo nell’attesa che diventino realtà il Centro provinciale antiviolenza, l’Osservatorio provinciale e il Forum permanente di contrasto della violenza sulle donne, la legge contro i maltrattamenti.

COME È ANDATA A FINIRE Aborto e RU 486. Ordine è (quasi) fatto

Novembre 2006. La copertina del Tacco nº 31

Dopo l’ok della Conferenza Stato-Regioni del 6 marzo diventerà operativo lo schema di accordo preparato da Livia Turco, ministra della Salute, sull’applicazione della legge 194/78 sull’aborto. La proposta della Turco si basa su alcuni punti fondamentali, tra cui la presenza di almeno un medico non obiettore in ogni distretto sanitario (che comprende Asl, ospedali e consultori familiari); maggiore rapidità tra la richiesta d’interruzione della gravidanza e l’intervento; disponibilità della RU 486 (la pillola del giorno dopo) come metodo alternativo all’aborto chirurgico. In particolare, questa dovrà essere prescritta non solo nei consultori, ma anche nelle strutture di pronto soccorso e dalla guardia medica. Le proposte della ministra Turco garantiscono il rispetto della libertà di scelta femminile e, finalmente, mettono ordine in una questione che ha da sempre diviso non solo gli ambienti della sanità, ma anche quelli della politica e della religione. Era questa la situazione che avevamo fotografato quando ci eravamo occupati di RU486 (Tacco d’Italia n.31, novembre 2006). Una buona vittoria, proprio in occasione dalla festa della donna.


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//Controcanto

di PAOLA ANCORA*

giornalista e per giunta donna. quando la scalata è in solitaria e controcorrente ma non si smette di sognare IN SALENTO LE CONDIZIONI DEL GIORNALISTA TELEVISIVO NON INTERESSANO AD ALCUNO. NON C’È POSSIBILITÀ DI CRESCITA, SE NON AVENDO ATTEG-

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GIAMENTI OSSEQUIOSI. UN CONTO CARO PER LA DEMOCRAZIA E PER LE DONNE. COSTRETTE A SCEGLIERE, TROPPO SPESSO, TRA UN FIGLIO E IL LAVORO difficile spiegare cosa significhi essere donna e giornalista nel Salento, come la direttora di questo mensile mi ha chiesto di fare, senza scadere in personalismi di dubbio gusto. Il primo impulso è infatti quello di cominciare raccontando quando, dopo il primo mese di lavoro, con giornate anche di dieci ore, ho percepito la bellissima somma di 135 euro, onnicomprensive, ovvio. Da lì è cominciata la mia faticosa scalata verso una paga più decente. Una scalata solitaria. Non ho mai incontrato infatti un ispettore del lavoro (esistono?), dell’Inps (dove sono?), dell’Inpgi (ma loro stanno a Roma, che ne sanno dei fatti salentini?). O potrei cominciare raccontando dei numerosi convegni sul lavoro nero nel Salento organizzati da istituzioni, politici o sindacati. Convegni cui ho assistito, per lavoro, senza che nessuno facesse mai caso a me ed ai tanti colleghi che erano là per intervistare i convegnisti; senza che nessuno si sia degnato di alzare lo sguardo sui lavoratori in nero, o in grigio se suona meglio, che avevano di fronte, col microfono in mano o la telecamera in spalla. Si è aperta così la mia esperienza di giornalista in questa fetta di Italia che amo e che può ancora soltanto inseguire i sogni di chi la abita, senza essere capace, ancora, di farli diventare realtà. Ho constatato che le condizioni di lavoro del giornalista televisivo non interessano poi molto ad alcuno. Non a chi lo offre, questo lavoro, spesso male o per niente pagato, senza tutele o prospettive di crescita che non passino da comportamenti ossequiosi che male si sposano con la professione che mi sono scelta e con l’aspettativa di un prodotto, l’informazione, libero e autorevole. Con un danno che non è solo per il lavoratore, ma anche e soprattutto per il livello e la qualità dell’informazione, e quindi per la qualità della nostra democrazia. Queste condizioni di lavoro, oscillanti fra precarietà e sfruttamento, non interessano alla politica ed ai politici, più preoccupati di guadagnarsi uno spazio di pochi minuti in tv che delle condizioni del giornalista che hanno di fronte.

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Ed il disinteresse per le difficili condizioni di chi lavora nel settore dell’informazione salentina, si traduce per le donne-lavoratrici in uno sfruttamento maggiore rispetto a quello dei colleghi uomini. Si traduce nel vuoto politico di proposte e atti concreti in favore del lavoro femminile, anche di quello giornalistico. Le giornaliste che ho incontrato e con cui lavoro mi sono da esempio, di passione, di cura, di entusiasmo per una professione che assorbe, quando è vissuta con spirito di servizio, tutto il tempo disponibile. E questo spesso significa profonda solitudine, quella che ho visto circondare tante brave professioniste che, per scelta voluta o forzosa, non hanno avuto figli. Oggi, quindi, mentre si torna sterilmente e strumentalmente a discutere della legge sull’aborto, sarebbe anche opportuno chiedersi perché tante donne rinuncino alla maternità o siano costrette a farlo. Oppure perché, soprattutto nel Sud e nel Salento, tante altre siano costrette a scegliere di fare soltanto le mamme, di non lavorare. E ci si dovrebbe chiedere perché, se la presenza di uomini e donne nel giornalismo è paritaria, come dicono i numeri dell’Osservatorio di Pavia, essa non lo è nelle posizioni più alte della gerarchia, come quella di direttore o caporedattore, ruoli ancora declinati tutti al maschile. Non so come possa, il mondo della politica, non vedere quello che è sotto gli occhi di tutti; come possa continuare pervicacemente a parlare di donne solo alla vigilia di ogni appuntamento elettorale, comprimendo la “questione femminile”, e con essa quella “del merito”, nello spazio angusto di una quota. Se si passasse dalle parole e dalle promesse ai fatti, se ci si impegnasse per creare nuovi servizi alle donne, come consultori e asili nido, forse parlare di quote non sarebbe più necessario. Solo allora, il Salento, e il Mezzogiorno, potrebbero contare sull’entusiasmo e l’energia dei tanti e delle tante che l’hanno abbandonato per poter guardare al futuro con più ottimismo. *Addetta stampa Ministero delle Politiche agricole

CHI HA FIRMATO CONTROCANTO

Vincenzo Magistà Direttore “TgNorba”

Rosanna Metrangolo Caporedattore“Nuovo Quotidiano di Puglia”

Marco Renna “Studio 100 Lecce”

Mimmo Pavone Direttore responsabile “Il Paese nuovo”

Vincenzo Maruccio Giornalista “Nuovo Quotidiano di Puglia”

Tonio Tondo Inviato “La Gazzetta del Mezzogiorno”

Roberto Guido Direttore “quiSalento”

Lino De Matteis caposervizio “Nuovo Quotidiano di Puglia”, vicepresidente regionale Assostampa

Renato Moro capocronista “Nuovo Quotidiano di Puglia”

Gabriella Della Monaca coordinatore TG NORBA GRANDE SALENTO

Luisa Ruggio redattrice Canale8, scrittrice

Walter Baldacconi direttore responsabile Tg Studio 100

indovina chi è

“Bestiario pubblico. ovvero: come nascono nuovi improbabili personaggi sulla scena”

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