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// L’Editoriale

L’Editoriale

di Maria Luisa Mastrogiovanni

istruzioni per l’uso per amare il salento

Q

Questo è il nostro numero 50. L’autocelebrazione è d’obbligo e me ne scuso, perché non posso proprio esimermi dal ripercorrere brevemente il percorso tracciato fin qui. Non fosse altro per il rispetto verso i tanti lettori (450mila al mese per il quotidiano on line; 6000 copie al mese per il magazine) che ci hanno seguito fin dall’inizio delle nostre pubblicazioni, cinque anni fa; degli inserzionisti, che hanno sostenuto un giornale giovane, fatto da giovani e troppo spesso scomodo; dei collaboratori che su questo giornale hanno avuto sempre spazio aperto per coltivare la loro intelligenza e custodire la loro libertà; dei colleghi, che di mese in mese hanno voluto testimoniare la loro stima per questa testata, firmando il “Controcanto” a commento delle inchieste. Celebriamo i nostri primi 50 numeri e cinque anni con un’edizione tutta turistica, in cui facciamo vedere il volto bello di questo Finibus terrae. E’ una bellezza fatta di luoghi mozzafiato abitati da persone generose e storicamente tolleranti. Eppure questa è una terra in cui ancora oggi si muore per un’idea: Peppino Basile, consigliere dell’Italia dei valori, della Provincia e del Comune di Ugento, personaggio sopra le righe, insofferente al “sistema”, è stato barbaramente trucidato a coltellate meno di due mesi fa, per strada, di fronte a casa, e nessuno ha visto e sentito nulla. L’opinione pubblica se ne è già scordata ed è crudele da dire, ma la sua morte non ha scosso le coscienze: è stata più efficace la voglia di normalizzazione della comunità, tradotta in un’azione di rimozione del problema, attraverso l’abrasione del ricordo. Questa è una terra in cui non ci si può permettere il lusso di spostare il fuoco dalla visuale condivisa: il rischio è l’isolamento o la morte. La morte fisica di una persona, di un’idea imprenditoriale, di una carriera. Purtroppo esperienze a noi troppo vicine testimoniano in silenzio quest’isolamento. Ed è un isolamento che riguarda anche il nostro Tacco. Non si accettano le voci fuori

dal coro, perché nella claustrofobica comunità di questo Finis terrae, anche la cultura riesce ad essere normalizzata dal “sistema”. E quando anche chi dovrebbe essere espressione dell’avanguardia culturale parla, invece, con una sola voce, quella della cultura dominante, significa che il “sistema”, si è fatto strada nel tenero, nel cuore di una società, nelle intelligenze e nelle espressioni artistiche che tradiscono così il loro provincialismo piccolo piccolo. Perché per campare la cultura ha bisogno dei soldi della politica e la politica in cambio chiede asservimento, appartenenza alla corte, condivisione e accettazione del sistema di privilegi, è “normale”. E’ lo stesso meccanismo per cui la voglia di normalizzazione porta a far passare un ecomostro in pieno parco naturale come “posti di lavoro in più” e ad accettare di pagarne il prezzo. Anzi, a ritenerlo equo (a che serve la bandiera nera di Legambiente data alla Ugento srl, la società che ha costruito l’ecomostro Orex, a Ugento? Legambiente ne era a conoscenza più di due anni fa, quando i lavori potevano essere fermati e ha fatto ben poco). E’ la voglia di normalizzazione o l’appartenenza ad un “sistema” che, quando un quotidiano e una televisione chiudono, dall’oggi al domani, non fa porre domande sulla loro genesi, sulla correttezza della loro conduzione, sul trattamento riservato ai giornalisti. Il sistema dominante ha bisogno di una cultura di sistema e di un’informazione su misura. Qui, in Salento, fare domande ed esigere risposte è un lusso, perché tutto viene ricondotto ad una chiacchiera da caffè, magari in un salotto, magari in un salotto bene, dove si fanno gli affari veri. Ma una larga fetta della società salentina, che rifugge i salotti, che lavora in silenzio, che produce risultati, che non scende a compromessi, che guarda alla qualità, che teme la mediocrità, che dialoga col mondo, che cerca il confronto, c’è, c’è. C’è del buono nel Salento, c’è del buono nei Salentini. Un esempio per tutti: 23 ragazzi che si

sono “annusati” su fliker.com per circa un anno, tra gli oltre 700 iscritti al gruppo “Salentu, lu sule lu mare lu ientu”, e che poi si sono costituiti nell’associazione “Obiettivi”. Qua e là su questo numero troverete alcune loro foto, dichiarazioni d’amore declinate secondo quattro elementi, acqua, aria terra, fuoco. A chi, come loro, crede che un mondo diverso sia possibile, a chi come Peppino, combatte tutti i giorni nel suo piccolissimo metro quadrato, a modo suo, senza preoccuparsi di essere deriso, frainteso, considerato un rompiballe, pagando tutti i prezzi delle sue scelte, ma non si considera un eroe, dedico questo cinquantesimo numero.

il mensile del salento Anno V - n. 50 - Agosto 2008 Iscritta al numero 845 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 27 gennaio 2004

EDITORE: Nerò Comunicazione - Casarano - P.zza A. Diaz, 5 DIRETTORE RESPONSABILE: Maria Luisa Mastrogiovanni HANNO COLLABORATO: Mario Maffei, Laura Leuzzi, Antonio Lupo, Francesco Ria, Flavia Serravezza, Cesare Mazzotta, Irene Toma, Valentina Chittano, Angela Leuzzi, Giuseppe De Filippi, Marco Sarcinella FOTO: Dove non segnalato archivio del Tacco d’Italia COPERTINA: Per gentile concessione di Lupo Editore, immagine tratta dalla copertina del libro " La Pizzica scherma di Torrepaduli". Si ringrazia inoltre l'autore Ermanno Inguscio e gli studi fotografici di Gianclaudio Nuzzo, Ruffano, Giovanni Gnoni, Ruffano, e Paolo Guido per l'elaborazione ed il fotoritocco. REDAZIONE: p.zza Diaz, 5 - 73042 Casarano - Tel./Fax: 0833 599238 E-mail: redazione@iltaccoditalia.info PUBBLICITÁ: marketing@iltaccoditalia.info - tel. 3939801141

Unione Stampa Periodica Italiana Tessera n° 14705 STAMPA: Stab. grafico della CARRA EDITRICE Z. I. - Casarano (Le) DISTRIBUZIONE: Italian Services Group - Lecce 0832.242214 - 348.0039271 ABBONAMENTI: 15,00 Euro per 10 numeri c/c n. postale 54550132 - intestato a Nerò Comunicazione IL PROSSIMO NUMERO IN EDICOLA IL 1º OTTOBRE 2008



ph: Rocca



Acqua

Torre San Giovanni, marina di Ugento

ph: Rocca


//Acqua //Itinerari insoliti //Monumenti all’acqua ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET La ex cava di bauxite, a sud est di Otranto. Il rosso intenso delle collinette, residuo degli scavi per l’estrazione della bauxite, contrasta con il verde della vegetazione e con il blu del mare. Al centro del cratere generato dagli scavi, si è formato un laghetto che assume sfumature che lasciano senza fiato

di CESARE MAZZOTTA c.mazzotta@iltaccoditalia.info

cqua, acqua, siamo arrivati all’acqua”. Era il grido di esultanza dei puzzari salentini, quando nei primi decenni del secolo scorso cominciarono a praticare le prime perforazioni su scala artigianale-professionale per costruire un pozzo profondo, alla ricerca dell’acqua abbondante, potabile ed inesauribile. Un grido che lanciava lu zoccaturu, ossia il picconatore, che per primo aveva affondato la punta di acciaio temperato nella platea argillosa della falda profonda carbonatica. Viene alla mente il grido di gioia e di speranza (“terra, terra” !!) della vedetta arrampicata in cima alla coffa delle navi portoghesi, quando avvistava la terraferma, dopo mesi e mesi di sofferenza in mare aperto. In entrambi i casi c’era la soddisfazione di aver raggiunto la meta del viaggio: poter garantire la disponibilità di acqua alla comunità; poter disporre dell’elemento che per la natura è vita. Dove c’è acqua c’è vegetazione, ci sono abitazioni, animali e quindi la vita. Nella penisola salentina, per la maggior parte in pianura, non vi sono corsi d’acqua in superficie, fiumi, torrenti o ruscelli. Nonostante tutto, non si parla di Salento sitibondo. Nella provincia di Lecce, l’acqua c’è, anche abbondante. Ne sono testimonianza i numerosi insediamenti nella storia; dai messapi ai bizantini, dai greci ai romani. Solo che si trova nel sottosuolo, dove si accumulano le acque piovane. Un enorme forziere che anche l’Acquedotto pugliese ha pensato di sfruttare a dovere.

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// LA PREISTORIA DELL’ACQUA

le profo

Nella geografia dell’acqua individuiamo insediamenti preistorici e direttrici sul territorio più recenti. Arneo aveva il significato di acqua, come il fiume Arno, dalla radice antica “arnis”, come Arnesano nella lingua dei Messapi. Tutta la fascia antichissima che costeggia lo Ionio, da Taranto a Nardò, Ugento, Alezio, Patù, era la strada dell’acqua. Anche la strada San Cataldo, Lecce, San Cesario, Galatina, Ugento, Leuca è una delle più antiche, preistoriche e non è sorta a caso. Vicino a Soleto c’è Lago Rosso. Ecco perché sono sorti San Donato, Soleto, Galatina e numerosi casali. “Un’altra strada antichissima – spiega Antonio Costantini, studioso ed esperto di storia del territorio, responsabile della sezione leccese di Italia Nostra e profondo conoscitore di masserie e di insediamenti antichi – è la strada “circumsallentina” antica, che scendeva da Brindisi verso Lecce, Otranto, Gallipoli, Taranto. Un itinerario lungo il quale, ogni 45 km si trovavano pozzi a cielo aperto: come a San Cataldo, Acaya, Otranto. Pozzi di il tacco d’Italia

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dell’

epoca romana, profondi 60 – 70 metri, dall’imboccatura di 1,5 – 2 metri, scavati a mano per la necessità di spostare gli eserciti e le guarnigioni”.

ph: Associazione Obiettivi


ph: Roberto Rocca

ARSO DAL SOLE EPPURE NON ASSETATO. PERCHÉ L’ACQUA, NEL SALENTO, COME ACCADE PER OGNI BENE PREZIOSO, BISOGNA CERCARSELA. NEL SOTTOSUOLO. TRACCE DI PIETRA, OGGI, TESTIMONIANO LE VIE D’ACQUA SOTTERRANEE CHE NEI SECOLI HANNO TRACCIATO LA MAPPA DEGLI INSEDIAMENTI DELL’UOMO. UN ITINERARIO INEDITO, FRUTTO DI UNO STUDIO APPROFONDITO E APPASSIONATO

nde vie

’acqua

APPROFONDIMENTI www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=5015

tri, a distanze più o meno ripetitive. Erano pozzi a cielo aperto, scavati nella dura roccia, che si vedono ancora oggi lungo queste strade antiche. E poi ci sono una serie di abbeveratoi. Nei secoli successivi, attorno a quei pozzi sono sorte le masserie o i casali. Il centro abitato e le civiltà si sono sempre sviluppate attorno a una pozza d’acqua. Mentre sulla costa c’era il pericolo dei Turchi e della pirateria, la malaria, zone paludose, nell’entroterra era più facile organizzarsi con le case a corte. Un sistema abitativo più sicuro, che permetteva di stare insieme e aiutarsi l’un l’altro. La vita in masseria. La masseria viveva con i cisternoni. Il proprietario, il massaro, non poteva scavare un pozzo per mancanza di mezzi. Era più facile costruire degli stanzoni, 6 metri per 5 metri, dei cisternoni, dei grandi lacquari che durante l’inverno si riempivano. Li facevano nei punti più bassi; la pioggia veniva incanalata. Servivano anche per abbeverare le bestie. E’ facile trovare ancora oggi le diciture, “masseria con lacquario”, “masseria con pilacci”. Ancora oggi vi sono cisternoni enormi, come quello di masseria Brusca, nei pressi di Nardò, 350 – 500 metri cubi. Quando pioveva per diverso tempo, l’acqua che vi si raccoglieva era sufficiente per tutta l’estate. Da tenere conto che nelle masserie abitavano tre-quattro famiglie e gli animali. Ogni famiglia aveva 12 – 13 figli, c’era perciò la necessità di fare due, tre cisterne. Guai a sprecare l’acqua. Spesso ci si lavava con la stessa acqua, dentro la stessa pila. E con l’acqua da buttare, dopo essersi lavati, si innaffiava la pianta ornamentale vicino casa. Ecco perché il salentino ha sempre avuto un culto particolare per l’acqua, quasi un approccio religioso.

Allu laccu. Un suggestivo scorcio dell’antico quartiere di Casarano. Sullo sfondo, il pozzo che serviva decine di famiglie

// QUANDO GLI ESERCITI ROMANI ANDAVANO PER POZZI I romani, lungo i loro spostamenti scavavano dei pozzi. Avevano tracciato direttrici di marcia che si materializzavano come vere e proprie strade. Come la Traiano Calabra, che scendeva da Brindisi, per Valesio (città messapica a ridosso dell’attuale Cerano), Lecce, Otranto. E poi c’era l’altra, lungo lo Ionio, che era la via Sallentina, che da Taranto scendeva fino al Capo di Leuca, passando per Nardò, Alezio, Ugento. Poi c’erano le strade trasversali che univano la costa adriatica alla costa ionica. Il porto di Roca vecchia era unito da una strada al porto di Gallipoli, a quello di Porto Cesareo. I pozzi realizzati lungo queste direttrici servivano all’esercito, ma anche al successivo traffico commerciale. Un sistema di sorprendente ingegneria idraulica. Troviamo pozzi ogni 4-5-6 chilome-

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// ACQUA D’ARTE

leggere, una sorta di acqua minerale. Ancora oggi esiste la ‘fonte Angelico’, autorizzata dal ministero”. Ma si trova ancora acqua pulita? “Lontano dai paesi - dice Costantini -. A Veglie, in località la Zanzara, 3 kilometri lontano dall’abitato, l’acqua è buona, senza tracce di inquinamento”. Quando si riusciva a trovare l’acqua in condizioni di facile utilizzo (abbondante e a pochi metri di profondità), si faceva un pozzo importante, che veniva dedicato alla Madonna. Non sono rari toponimi come “La madonna del pozzo”, “La madonna del pozzino”.

// POZZELLE ALLA GRECA

ph: Associazione Obiettivi

Nel Salento non ci sono sorgenti superficiali. Esistono acque sorgive nel sottosuolo e il fenomeno delle “polle”, in mare nei pressi della costa, che rappresentano la foce dei fiumi sotterranei, di natura carsica. I pozzi artesiani invece, scavati a 80 – 90 metri, sono stati costruiti di recente e forniscono un’acqua ottima e abbondante. Nell’antichità però erano in pochi a potersi permettere di scavare. I romani erano riusciti a scavare fino a 60 – 70 metri. Quando si individuava una vena d’acqua “copiosa e saporita”, il proprietario vi faceva un monumento intorno; conferiva al pozzo una sacralità e un rispetto dovuti. Solo i grandi feudatari potevano scavare un pozzo per le necessità proprie e della servitù, sotto il palazzo baronale. Potevano scendere fino a 70 – 80 metri per raggiungere la falda profonda, come nel caso della Scrasceta e della Brusca a Nardò. L’acqua, fresca e potabile, veniva protetta con ogni mezzo; il pozzo veniva chiuso con un coperchio. L’esempio viene dalla masseria Scrasceta, dove il pozzo è bellissimo. Alcuni pozzi monumentali sono opere di architettura; se ne vedono soprattutto nella zona di Nardò, dove le masserie hanno pozzi artistici, pari a quello di Alezio e quello di Cerrate, in cui la fantasia degli scalpellini si è sbizzarrita in forme e dimensioni: a baldacchino, a confessionale, a trono, a tempietto, come un altare da adorare. Nella masseria Tramacere, a Lequile, il pozzo artistico è ancora intatto. Alcuni pozzi risalgono al ‘600 e al ‘700 ed hanno sagomature bellissime. “Nella mia masseria, ‘Casa Porcara’ a Veglie – fa sapere Costantini - c’è un pozzo a cielo aperto di 70 metri, scavato piano piano, con le mine. Vi si attingeva acqua potabile e ricca di sali. E’ potabile anche adesso, se non si trova una vena inquinata. Purtroppo – aggiunge - molti pozzi nei paesi sono stati trasformati in fogna nera e quindi sono stati inquinati, attraverso i “capi ientu” (logotipo popolare per indicare una via di facilitazione dell’acqua nel sottosuolo). Fino a 20 anni fa la gente veniva a Monteroni con le damigiane e prendeva l’acqua, considerata fra le più

Lontano dalle coste, la falda superficiale è molto più profonda. La Grecìa salentina si è formata dove l’acqua di falda era inaccessibile alle prime popolazioni che si erano trasferite dalla vicina Grecia. Viene perciò da chiedersi: come mai attorno a Martano c’è un fitto affollamento residenziale, anche se l’acqua non è di facile prelievo? “In questa zona c’è stato un rapporto diverso fra l’uomo e l’acqua – spiega Costantini –. I primi colonizzatori greci hanno preferito insediarsi ai crocevia della grande viabilità esistente. Non trovando l’acqua a pochi metri, hanno rimediato con il sistema delle ‘pozzelle’, che perciò esistono solo in quell’area”. Le pozzelle sono laghetti e fossi, dove si accumulava l’acqua piovana e sopra ai quali veniva scavato un pozzo. Con cerchi concentrici, a piramide capovolta (a campana). Dopo le abbondanti piogge, bastava un avvallamento del terreno perché si formasse un lago. “Erano depressioni naturali del terreno, abbastanza diffuse – conferma Costantini -; nella cartografia storica sono riportate come laghi: sulla strada via vecchia Soleto c’è il lago Rosso, vicino a Torre Pinta c’è ‘lu Laccu’, vicino a San Donato c’è il

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lago del Capraio. Fra Zollino e San Donato c’è questa grande depressione e a ridosso, c’è la Madonna del Lago. Al confine con San Cesario c’è la Madonna ‘te lu Laccu’, che diventa, in altri posti, delle Pozzelle, la madonna di Pozzino a San Pietro in Lama; a Soleto la madonna delle pozzelle”. L’imboccatura del pozzo veniva coperta da una vera, un grosso coperchio in pietra, con un foro al centro. Sotto il terreno è argilloso e quindi impermeabile, idoneo a conservare l’acqua. Dal momento che il fondo era impermeabile, si formava il lago e l’acqua rimaneva in superficie. Conservata nelle pozzelle l’acqua non evaporava. Se si osserva la sezione trasversale dei pozzi, si nota una corrispondenza con il classico trullo interrato. A volte sul coperchio vi era il nome del proprietario: in quel caso, poteva attingere acqua solo lui, perché la pozzella era privata. Così era a Martano, dove si è conservato il Parco delle Pozzelle, nei pressi delle scuole elementari; dove un tempo c’era una conca, oggi c’è una villa che conserva l’antico nome. Ma esistevano anche le pozzelle pubbliche, da cui tutti gli abitanti potevano prendere l’acqua. Si trovavano a Martignano, dove sono state restaurate. L’acqua vi entra ancora ma non viene più usata. Però esiste il parco delle pozzelle, la cui acqua può essere usata per l’irrigazione.

Nell’entroterra, dove l’acqua si trovava a molti metri di profondità, i salentini inventarono il sistemA delle ‘pozzelle’, ovvero lAghetti e fossi, dove si accumulava l’acqua piovana e sopra ai quali veniva scavato un pozzo Martignano. Le pozzelle

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// DOVE LA DEPRESSIONE È VITA In mancanza di corsi d’acqua superficiali, la gente salentina utilizzava le acque piovane per alimentarsi. Del resto, l’intera area dove l’acqua era più superficiale, prendeva il nome corrispondente. Valle della Cupa (San Cesario, Lequile, San Pietro in Lama, Monteroni, Arnesano), si chiama così perché vi è una grande depressione. Arnesano è a 18 metri sul livello del mare e l’acqua si può attingere a 10 - 12 metri; a Lequile 8 metri. Quando piove i pozzi si riempiono. A San Cesario, in località “lu puzzieddhru” l’acqua è a 5-6 metri e gli agricoltori hanno coltivato per decenni le varietà di verdura che hanno venduto sui banchi della “chiazza cuperta” a Lecce. L’altra depressione è vicino a Galatina; Cosimo De Giorgi parla di “fertile anfiteatro di Galatina”. Qui si coltiva la cicoria di Galatina e la patata sieglinda. Vicino a Taviano c’è un’altra depressione. Anche lì troviamo la Cupa e le Cupole. A Racale, Taviano, Melissano, tutta una zona di depressione che l’accumulo di acqua rende fertile, consente di praticare coltivazioni intensive, come i fiori. E Casarano? “Casarano esce un po’ fuori dall’area degli avvallamenti – dice Costantini -. Le aree tipiche sono la Cupa intorno a Taviano, la valle di Galatina, con la valle dell’Asso, il canale dell’Asso dove passa il fiume, fino a Nardò. Galatina, Noha, Aradeo sono paesi vicinissimi”.

// CISTERNE, CISTERNONI, LACQUARI In campagna. Ancora più preziosa era l’acqua in aperta campagna. Bisognava tirare fuori tutto l’ingegno per garantirsi il liquido vitale. Nascono così le cisterne, grossi contenitori interrati, alimentati dalle acque piovane, dalla superficie interna resa impermeabile da una mano di intonaco. Fungevano da serbatoio. Nelle masserie per esempio, custodivano gelosamente tutte le acque raccolte dai terrazzi e da qualunque spianata, che venivano convogliate attraverso canaletti e “imbreci” (dal latino imber, pioggia). Acqua che doveva soddisfare gli usi potabili, sia delle persone, sia per abbeverare gli animali.

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Anche le masserie e le case a corte usavano le cisterne. tramite i terrazzi, gli spioventi e gli imbrici, ogni singola goccia di acqua piovana veniva AccumulAtA e poi utilizzAtA per uomini e bestiAme

E in caso di necessità anche per innaffiare le colture. Sulle pareti interne si metteva il latte di calce, a base di cloro, (Ca e Cl) per disinfettare. Ma l’ingegno si spingeva oltre. Per rendere l’acqua ancora più potabile, la cisterna veniva divisa in due ambienti da un muro verticale, un setto separatore realizzato con fette di tufo da 8 centimetri, al centro della “stanza” piena d’acqua. Il tufo filtrava l’acqua da una parte, che veniva utilizzata per bere perché era più pulita, avendo trattenuto le impurità. Nelle case a corte. Al centro delle case a corte c’era una cisterna alimentata dai terrazzi delle abitazioni a corona. Come a Maglie, dove nella corte Sant’Antonio hanno coabitato fino a 18 famiglie. In una sola stanza vivevano anche otto persone, con la cisterna al centro del cortile. A Casarano e paesi in “altura” l’acqua veniva presa a valle, utilizzando cisterne e cisternoni. Intatto e suggestivo il quartiere “lu Laccu”, che etimologicamente rimanda al

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lago, appunto, dove si possono ancora ammirare piccole case contadine cinquecentesche e una maestosa cisterna con pozzo, che serviva l’intero quartiere, e le sue numerose case a corte. Anche le masserie e le case a corte usavano le cisterne. Bastava utilizzare i terrazzi, gli spioventi e gli imbrici. Ogni goccia di acqua piovana veniva accumulata. Nelle case a corte vi erano anche due cisterne, nelle masserie due, tre pozzi, ma sono cisterne e “lacquari”; dei pilacci molto grandi con i canali che escono a cascata. Pensiamo anche al cisternone del seminario di Lecce, dove l’acqua si trova a 60-70 metri di profondità. I seminaristi, tra il ‘600 e ‘700 erano forse più degli abitanti. E prendevano l’acqua dal pozzo del seminario, che era una cisterna, non un pozzo. Anche al convento degli Olivetani, nel cimitero, ci sono i cisternoni. Nei dintorni, in particolare a Lequile, è facile trovare anche acqua sorgiva, a circa 40 – 50 metri. Come si scavava. I “puzzari” scavavano piano piano con i picconi e tiravano su con i verricelli. Hanno lavorato fino agli anni ‘50 e ’60. Costruivano i pozzi e scendevano anche per pulirli. Ramaglie, residui, cianfrusaglie, carogne di animali. In tutte le masserie, dove ci sono pozzi a cielo aperto, si vedono ancora le tacche vicino ai muri, per scendere e per arrampicarsi. Ma quest’acqua si beveva con tranquillità? “Non c’erano alternative – dice Costantini - non c’era l’acqua minerale. C’erano ovviamente anche problemi sul piano sanitario, ma non c’era l’inquinamento di oggi. Nei giardini delle case a corte c’era la fossa del letame dietro le case e la cisterna davanti. Ma nessuno si poneva questi problemi. D’altronde, anche le cose che si mangiavano erano concimate con il letame delle stalle degli animali. Un inquinamento naturale, non chimico come quello di oggi”.


//Fra terra cielo e mare //Di faro in faro //Da San Cataldo a Sant’Andrea ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET Il faro della Palascia, ad Otranto. 126 scalini nel punto più ad est d’Italia; venne acceso per la prima volta nel 1867

APPROFONDIMENTI www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=5014

A destra: in alto, il faro di Santa Maria di Leuca, eretto nel 1866; in basso, il faro di San Cataldo, recentemente restaurato (foto di Leonardo Scorrano; per gentile concessione del Comune di Lecce)

ph: Associazione Obiettivi

di ANTONIO LUPO ph: Associazione Obiettivi

osteggiando il perimetro della litoranea, di faro in faro, doppiamo il capo di finisterrae tra lidi sabbiosi, dune e scogliere, sotto lo sguardo delle torri costiere, custodi-sentinelle di un passato che viveva delle risorse, ma anche delle paure, del mare. Di tanto in tanto fermiamoci per ammirare un paesaggio di parchi e riserve naturali, di boschi d’ulivo, di serre e di pietre. Da una grotta preistorica all’altra, da un pajarune all’altro, la tipica architettura rurale in pietra a secco con i suoi “gradoni” tronco-piramidali o tronco-conici, fa da tramite verso l’entroterra, dove resti della civiltà megalitica e siti di origine messapica si alternano a cripte e chiese medioevali, o a monumenti di inconfondibile stile barocco.

C

a.lupo@iltaccoditalia.info

le sentinelle dell’infinito OLTREPASSATO IL FARO DI SAN CATALDO, L’ESTREMA PUNTA DEL SALENTO È SEGNATA DAI FARI DEL TRIANGOLO OTRANTO-LEUCA-GALLIPOLI, INTERESSANTI ESEMPI DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE. BIANCHE E SNELLE TORRI OTTAGONALI, POETICAMENTE DEFINITE “SENTINELLE DELL’INFINITO” O “ MINARETI SULL’ACQUA”, SVETTANO SOLITARIE COME “TEMPLI MEDITERRANEI” NEL CIELO DEL SUD DEL SUD… DAL MARE ADRIATICO ALLO IONIO il tacco d’Italia

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Innalzati nel periodo post-unitario, i fari costituivano l’unica fonte di luce che poteva contrastare “l’eclisse”. La sicurezza di chi navigava era infatti affidata alla vegliosa delle lampade ad olio, provenienti da ditte francesi e custodite dal “capofanale”. Prima che venissero eretti, la costa salentina era segnalata soltanto dal fuoco di fiaccole e torce o dalle lucerne ad olio delle torri sul mare, in mancanza delle quali, il buio totale poteva segnare il destino di chi andava per mare. Allora le torri marittime, nella loro ininterrotta sequenza, erano abitate da una sola sentinella che aveva a sua disposizione il tipico armamento di artiglieria (cannone, caicco, palle di ferro, falconetto di bronzo, ecc.). Nel passaggio dalle torri ai fari, il guardiano rimarrà, con la sua vita solitaria, occasione narrativa di tanti racconti e leggende, in una struttura che somiglia - è stato notato - ad un monastero laico (P. Mayvejevic). Oggi “ gli uomini della luce” sono sostituiti dall’automazione e dai GPS, ma rimangono i fari, segnacoli della luce, fra terra cielo e mare. La loro storia è legata a quella dei porti più antichi. A partire dal faro di San Cataldo (1863), a 12 km da Lecce, dove sono stati ritrovati i resti del molo di origine romana (età adrianea). Qui, nei secoli seguenti, avrebbero attraccato le navi dei numerosi mercanti provenienti da ogni dove. Più a sud, nei pressi dei ruderi della prestigiosa abazia medioevale di Casole, centro

Minareti sull’acqua, templi mediterranei, monasteri laici. la spiritualità di questi fari incanta e stupisce. san cataldo si affaccia sui resti del porto romano; la palascìa, punto più orientale d’italia, contempla i monti Acrocerauni e corfù; il faro di finibus terrae guarda la calabria. ERANO ABITATI DAGLI UOMINI DELLA LUCE di diffusione della cultura manoscritta ed a poca distanza dal santuario neolitico di Porto Badisco (Grotta dei cervi), si innalza il faro otrantino, detto della Palascia, il cui fanale fu acceso per la prima volta nel 1867. Trait-d’union con l’Oriente, dall’alto dei suoi 126 scalini, mette la vista in collegamento con i monti Acrocerauni, e Corfù. Pur essendo “di quart’ordine”, come quello di San Cataldo, conserva la prerogativa del punto più a sud-est d’Italia. Subito dopo, ricomincia la piccola serie di torri: S. Emiliano, Minervino, Specchia, ecc fino al porto di Tricase. Giunti alla splendida insenatura di Novaglie, siamo già vicini al promontorio di Leuca, dove nel 1866 fu eretto il faro di “discoverta di prim’ordine”, atto all’illuminazione notturna con il suo fascio di luce che arriva fino a 50 Km. Proteso verso il mare “infinito”, si erge a 102 metri sul livello del mare, in un’area che risale all’età del Bronzo, come testimoniato dalla abbondante ceramica rinvenuta nell’originario e arcaico villaggio, lì dove in seguito

l’isola

delle

meraviglie di ANTONIO LUPO

ph: Associazione Obiettivi

a.lupo@iltaccoditalia.info

sarebbe stato eretto il tempio di Minerva. Alto 47 metri, ha una scala a chiocciola di ben 254 gradini. Da qui è ora possibile ammirare il versante occidentale: siamo di fronte alla costa disegnata dai monti calabresi! Passiamo ora alla costa dello Ionio, scandita dalle torri che da Torre Marchiello giungono fino a Torre San Giovanni detta “la Pedata”, a Gallipoli. Tra le dune e la macchia (Li Foggi, Torre del pizzo, Baia verde, Punta suina) si dilunga il Parco naturale, recentemente istituito con legge regionale. Copre un’area di grande interesse per l’aspetto naturalistico-ambientale e paesaggistico. Qui, nella zona retrodunale, nidifica ancora il pendolino e vi dominano varie specie arboree e vegetali. Pannelli didascalici segnalano ai visitatori e ai bagnanti l’avifauna della macchia retrodunale e della pineta: dal verzellino al piro-piro, al cavaliere d’Italia, ecc. Percorriamo dunque il tratto di litorale ionico che ci separa dal faro di Gallipoli: questa volta dovremo approdare su un’isola!

isola di Sant’Andrea (Gallipoli) e il parco di Punta Pizzo: un prezioso habitat naturalistico. Sito di notevole interesse botanico e faunistico, è abitata da straordinari esemplari di avifauna come il chiurlo, gli aironi, il fenicottero, il gabbiano reale che vi nidifica in primavera, ospita una assoluta rarità: il gabbiano corso, presente solo in poche aree del Tirreno e del Mediterraneo

L’

Sono soltanto tre gli isolotti del Mare Ionio: le Cheradi (S. Pietro e S.Paolo, nel golfo di Taranto) e Sant’Andrea, a un miglio marino a sud-est di Gallipoli (1800 metri circa). Un lembo di terra affiorante sul mare per un’altezza media di due metri, ed estesa per un’area di oltre 48 ettari che equivale al doppio di quella della città vecchia. Abitata da straordinari esemplari di avifauna come il chiurlo, gli aironi, il fenicottero, il gabbiano reale che vi nidifica in primavera, ospita una assoluta rarità: il gabbiano

corso, presente solo in poche aree del Tirreno e del Mediterraneo. Non meno interessante la comunità vegetale che vi abita, come lo statice iapigio, assoluta peculiarità endemica dell’isola, o ancora la poco appariscente Valentia hispida, una rara specie di nicchia, ed altri più comuni ma non meno interessanti esemplari floreali (papavero di sabbia, halimonium,) che la rendono una preziosa area naturalistica, quasi una “speciale” isola delle rarità, da trent’anni oggetto di studi specifici.

L’Isola di Sant’Andrea. Per la presenza di specie faunistiche e vegetali rare, è una preziosa area naturalistica



un mosaiCo di HaBitat marini e palustri CHe affasCina i rari visitatori Sotto il faro, tra distese di salicornie, papaveri di sabbia e alimonie, spuntano cespugli di giunco, col quale un tempo si costruivano le nasse dei pescatori. Qui, hanno nidificato nelle prime settimane di aprile i numerosi gabbiani reali (circa 220 nidi) ed il più appartato e raro gabbiano corso, un particolare uccello dal becco rosso, il piumaggio bianco, specie protetta inserita nella lista Rossa dell’Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) degli animali in via di estinzione. Snello ed elegante lo si riconosce per il volo veloce e per la sua vita esclusivamente marina: a differenza degli altri gabbiani non si avvicina mai alla costa e si nutre soltanto di molluschi e pesci. Percorrendo la stradina di accesso al faro, la cosiddetta vicinale rialzata e sostenuta da piccole arcate, poiché l’isola si inonda d’acqua durante le mareggiate, la vista è attratta dalle saline e dalla grande e arcaica pietra quadrata (la pietra “fenicia”) che sormonta la sorgente di scirocco. Conforta l’idea che tutto intorno, nei fondali marini abitati da straordinarie conchiglie e (un tempo?) dalla cozzapenna vi domini il coralligeno e la prateria di posidonia, indispensabile antidoto all’erosione della costa. Il fascino di tale ecosistema (roccia-sabbia-cave-laguna-sorgenti) e della biodiversità e dei micro-habitat presenti sull’isola non finisce qui: su questo lembo di terraferma si possono ammirare una sola specie di orchidea e garzette, aironi cenerini, fenicotteri, e tante altre autentiche meraviglie della natura come lo statice iapigio, presente solo nel tratto tra Gallipoli e Porto Cesareo, o il chiurlo, uccello limicolo qui nidificante. Insomma un’isola-avamposto militare con secolari segni di presenza, oggi diviene possibile studiare l’isola sull’isola: parco naturalistico funzionale alla didattica, ha sostenuto Giorgio Cataldini, professore genius loci, che da 30 anni vi conduce importanti ricerche. Tali studi specifici sono stati indispensabili per l’istiuzione del parco regionale. Da tempo in contatto con esperti della ricerca scientifca per la salvaguardia di specie in via di estinzione, attualmente sta curando l’istituzione del museo del mare, sezione del museo civico di Gallipoli. Gli chiediamo che cosa è cambiato dalla sua prima visita sull’isola e quali le prospettive di fruizione pubblica. “Un’isola da studiare sempre di più. In tutti questi anni abbiamo mantenuto proficui rapporti con la capitaneria di Porto e tutte le Forze dell’Ordine impegnate nella salvaguardia dell’ambiente. Vi è una maggiore presa di coscienza delle problematiche ambientali dell’importanza naturalistica del sito. Un tempo era considerata una inospitale e arida terra, oggi è apprezzata per la riscoperta della ricca biodiversità che la rende particolarmente singolare. Per questo l’ambiente isolano è un raro esempio di laboratorio didattico a disposizione della popolazione studentesca salentina e

occasione di studio e indagine porto con le barche a remi. Non scientifica da parte di ricercatori. mancano le abitazioni dei fanalisti Dalla prima volta che approdai all’interno del faro, che svolgevano sull’isola, a circa sette anni di i loro turni di otto ore e, poco età, non è cambiato sostanzialdistante un’aula scolastica dedimente il paesaggio e le modificata ai loro figli. Il faro, situato a che sono quelle dovute al passaovest dell’isola, è stato da qualche re del tempo ed alla forza della anno automatizzato ed alimentato natura che si sta riappropriando con energia solare. della sua terra, laddove al posto L’isola di S. Andrea si impone del catrame sta ricomparendo la ad una maggiore attenzione e vegetazione e tra i ruderi delle cura, quando viene inserita come costruzioni o dei bunker o nelle area protetta nel censimento cave si stanno instaurando “Rete Natura 2000”, secondo le microhabitat davvero particolari. direttive europee. Ciò nonostante Od ancora nella laguna dove Giorgio Cataldini nel 1996 si trova nell’elenco dei sopravvive una rarità botanica, la beni vendibili a privati da parte del Zostera nolti, una pianta marina ministero della Difesa, “per soppeassai simile nell’aspetto alla Posidonia ocea- rire con i ricavati della vendita, alle esigenze nica. E’ tra le sue foglie infatti che si riprodu- della Difesa”. Un’amara sorpresa che mette cono tante specie marine come i nudibranchi subito in agitazione cittadini e associazioni particolari molluschi dalla livrea coloratissi- naturalistiche di Gallipoli ed enti scientifici ma. Per questo la laguna diventa un sito di nazionali, enti pubblici e associazioni di cateproduttività primaria indispensabile all’econo- goria. In sinergia scendono in campo, qualche mia biologica del sistema Isola. E’ quindi un tempo dopo, la Provincia di Lecce che proimperativo categorico a carico di tutta la muove un sit-in sull’isola, il Comune di comunità salentina, e gallipolina in particola- Gallipoli e l’Università di Lecce. A questo re, vigilare affinché questo bene comune periodo risalgono i lavori di ricerca per una rimanga realmente tale e non ad esclusivo mappa archeologica del sito già precedentevantaggio di interessi particolari”. mente segnalato alla Soprintendenza, intorno alla metà degli anni Cosimo Pagliara, docente dell’Università del Salento. Diversi frammenti tra le dune e la maCCHia: di anfore insieme ad altri reperti arcaici attestano la vitalità dell’isola e le sue stratificazioBaia verde, li foggi, ni storico-archeologiche dal VII sec.a. C. fino al punta suina, torre del pizzo XIII d.C. In particolare gli archeologi distinguono due fasi: quella dell’età del Bronzo finale e Il Parco naturale, recentemente istituito quella di età romana tardo-imperiale. con legge regionale, si estende per un lungo Frammenti di ceramica, oggetti metallici e tratto da Punta pizzo a Gallipoli e copre un’a- monete documentano la storia dell’isola fino rea di grande interesse naturalistico-ambien- all’età medioevale. E accrescono ulteriormentale. Qui, nella zona retrodunale, nidifica anco- te il valore storico-culturale dell’isola. ra il pendolino nelle prime settimane di aprile Dichiarata nel 2004 riserva naturale della e vi dominano varie specie arboree. Regione Puglia insieme alla duna costiera che Da quest’anno è segnalata ai visitatori e arriva a Punta Pizzo. E’ oggi possibile visitarla, ai bagnanti con pannelli didascalici l’avifauna per motivi di studio, dietro autorizzazione della macchia retrodunale e della pineta: dal della Capitaneria di Porto di Gallipoli. verzellino al piro-piro, al cavaliere d’Italia, ecc.

da “Bene vendiBile” a Bene protetto: la storia reCente dell’isola Considerata antichissima area di interesse archeologico, la messapica Achotus (roccia), deve probabilmente il suo nome alla devozione dei pescatori gallipolini per S. Andrea, al quale in passato era stata dedicata una cappella. Nella seconda metà dell’800, la Marina militare vi innalza un faro alto 45 metri, che rimarrà attivo dal 1866 al 1973. Un lungo periodo durante il quale vi si costruisce anche la sede della caserma della Guardia di Finanza, circondata da un prezioso muretto a secco circolare, sulle rovine della “reale stazione idrofonica”, eretta sui ruderi dell’antica chiesa di S. Andrea. Poco lontano, tra la laguna e la costa lu stazzu, con il suo inusuale caminetto, ricovero temporaneo di fortuna per i pescatori, che vi passavano la notte quando erano impediti dal maltempo a tornare in il tacco d’Italia

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La pietra “fenicia”, una arcaica pietra quadrata che sormonta la sorgente di scirocco. Intorno, cespugli di giunco, tipici dell’isola di S. Andrea



Aria

Porto Badisco, marina di Otranto

ph: Rocca


//Aria //L’idioma locale //Istruzioni per una conversazione verace ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET

se ti esCe l’oCCHio a cura di ANGELA LEUZZI*

on ci si sente completamente a proprio agio in un posto, non lo si vive al 100 per cento se non si conosce, ma a fondo, l’idioma locale. E la lingua salentina dà bel da fare al “forestiero” (ovvero chi proviene da oltre il confine del Salento) che approda in terra d’Otranto senza un minimo di preparazione. Pensando a tutti coloro che vivono momenti di panico quando, sdraiati comodamente in spiaggia, si sentono rivolgere domande del tipo “Non ti cali?”, abbiamo realizzato un manuale di sopravvivenza per “forestieri” in Salento. Per fare ciò, abbiamo chiesto aiuto ad Angela Leuzzi, specializzanda in “Linguistica italiana” presso la facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università del Salento, che da mesi studia i pittoreschi comportamenti e le singolari forme di comunicazione dei salentini di ogni età e ed estrazione sociale. Nel nostro manuale sono riportate quattro situazioni-tipo nelle quali il turista può facilmente incappare.

N

per il salento

I dialoghi sono inventati, ma sono assolutamente verosimili. I riferimenti a cose ed abitudini non sono puramente casuali. I dialoghi riportati si svolgono in italiano regionale: il codice usato è infatti l’italiano, eppure se una persona di qualunque altra regione d’Italia provasse a decifrarlo, probabilmente avrebbe serie difficoltà a capirci qualcosa. Si tratta di una varietà di italiano fortemente influenzata dal dialetto, che gli esperti chiamano, appunto, italiano regionale. Le aree di diffusione dei fenomeni di italiano regionale variano a seconda dei casi: a volte interessano l’intero meridione, a volte regioni molto più limitate, a volte, addirittura, località isolate o singoli Comuni. E’ probabile che le maggiori difficoltà di comprensione si verifichino tra italiani, piuttosto che nel contatto con gli stranieri, dal momento che espressioni o vocaboli che nello standard sono usati comunemente assumono significati completamente diversi nell’italiano regionale. il tacco d’Italia

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// IN SPIAGGIA A: “La prima volta è che scendi a mare, quest’anno”? B: “Sine, che gli altri giorni non mi collava proprio… finchè scendi le borse, l’ombrellone, le sedie…” A: “Che poi quanto pare che ti cali e già si è fatta l’ora”. B: “Che mo io mi sono portata questa borsa grande e lo stesso non mi caccia niente. Volevo portare, non sai?, un pochino di sagna, due percochi…” A: “Io mi volevo portare due bruni, ma quando li netti…” B: “None, non ne hai niente… Meglio due fette di melone di pane”. A: “Beh, tu non ti cali”? B: “Bo, non lo so, che mi sta gelando”. A: “Ca allora… Pure a me mi noia l’acqua fredda”.

“Gli altri giorni non mi collava proprio… finchè scendi le borse, l’ombrellone, le sedie…”


ph: Roberto Rocca

A COLPI DI TACCO www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=5018

COME NON SMARRIRSI NEI MISTERIOSI MEANDRI DELLA LINGUA SALENTINA. OVVERO, INEDITO MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER DECRIPTARE LE CONVERSAZIONI IN CUI SI PUÒ INCAPPARE, SOTTO L’OMBRELLONE, DAL DROGHIERE, IN DISCOTECA I salentini vanno al mare per fare il bagno. Le salentine vanno al mare per chiacchierare. Niente di nuovo: le donne vanno dappertutto per chiacchierare. Ma al mare le conversazioni assumono una forma obbligata: la lamentela. Ci si deve lamentare di tutto: del marito, dei figli, del caldo, di aver appena finito di cucinare, di ritrovarsi sulle spalle le responsabilità della famiglia, di aver girato per negozi un giorno intero senza aver trovato le scarpe da abbinare al vestito nuovo. In genere queste chiacchiere si svolgono sotto l’ombrellone. Nota bene: in molti casi gli ombrelloni sono due e vengono disposti in posizione strategica per ottenere un’ombra che sia più estesa possibile (naturalmente il rituale del loro posizionamento spetta al capo-famiglia); l’ombra rappresenta il territorio di riferimento del gruppo in questione, che all’interno di quei confini trascorrerà l’intera giornata. Solo i bambini più temerari si arrischieranno oltre quel confine, raggiungendo il bagnasciuga. Fornendo, naturalmente, nuova occasione di lamentela alle mamme.

// AL SUPERMERCATO A: “Ne tieni lacerto”? B: “None, mo mo si è finito. Tengo il macinato per le braciolette”. A: “Mai sia! Che domani deve venire la Maria e da quando è uscita incinta le schiacciatine gli stuffano”. B: “E allora domani che stai facendo”? A: “No, pasta fatta in casa; che proprio oggi ho fatto due bottiglie alla manta, che mi erano rimasti due pumi. Mo, domani, per il sugo quanto pare che aggiungo cacioricotta grattugiato e ricotta forte e me ne scuscito. Giacchè, a quanto li dai i pezzetti”? B: “Vengono a otto euro; na, te li faccio a sette e 50 e stai andando bene”. A: “Attento, sia mai sia! Meh, me ne sto andando che devo prendere ancora la candedina e i piatti spasi. Anzi, senti, dove stanno le cappette per le robbe”?

ph: Fabrizio Cirfiera

Il supermercato o il piccolo “alimentari”, coloratissimo e piccolissimo spaccio dove si trova di tutto di più, è il luogo di ritrovo preferito dal salentino, che davanti al bancone può condividere con occasionali confidenti gioie e turbamenti dell’animo. Spesso è il luogo dell’aggiornamento, dove si accumulano conoscenze (attenzione, il salentino non spettegola, si informa!) sui conoscenti o anche sugli sconosciuti (le informazioni apprese possono sempre tornare utili in successivi pit stop davanti al banco frigo, davanti alla cassa, ecc). Anche in questo caso, c’è differenza nell’atteggiamento di uomo e donna al supermercato. Il primo segue con scrupolo la lista della spesa preparata dalla moglie e al commesso si limita a chiedere indicazioni su dove si trovino i prodotti in scaletta. La donna ha un rapporto più intimo con il banconista, con il quale scambia segreti in cucina, ricette all’ultimo grido ed anche preziose indiscrezioni sugli ospiti attesi per pranzo/cena.

“Proprio oggi ho fatto due bottiglie alla manta, che mi erano rimasti due pumi. mo, domani, per il sugo quanto pare che aggiungo cacioricotta grattugiato e ricotta forte e me ne scuscito” // IN DISCOTECA A: “Uei, bella”. B: “…”. A: “Non balli”? B: “…”. A: “Mena, vieni”. B: “No, me ne scorno”. A: “Ci beviamo una cosa”? B: “Ma tu non sei legittimo. Senti, non mi insultare, sai”? A: “Non ti ho vista più a mare e mi è uscito l’occhio. Mo ai monti stai andando”? B: “Che ne vuoi da fare”? A: “Mena, non vieni più ai Pali”? B: “None, sto andando con gli amici miei di Casarano, che ti pensi”? A: “Sai?, mi sono comprato la macchina nuova. Ti faccio un giro”? B: “Pocca, tu non stai proprio bene”. A: “Stai bene tu! Vedi se ti calmi, anzi”!

Il salentino ha l’abbordaggio nel sangue. Vero esperto di tecniche di approccio, potrebbe dare lezioni a chiunque. La salentina è maestra di costumi virtuosi. Con lei le collaudate tecniche di abbordaggio del salentino spaccone non funzionano. Il salentino ha atteggiamento fiero e sicuro di sé. La salentina ha atteggiamento snob di chi guarda dall’alto in basso e non si gira agli “ps ps” del primo arrivato; alla gente del suo stesso paese, preferisce le amicizie strette in paesi diversi, meglio se centri più grandi del suo (Casarano, per esempio). Lui è insistente. Lei è una che non si lascia convincere.

“Non ti ho vista più a mare e mi è uscito l’occhio. mo ai monti stai andando”?

il tacco d’Italia

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// IN ALBERGO A: “Meh, a che state con le valige”? B: “Signora, datti canza, mo le saliamo”. A: “No, perché ho girato dappertutto e non ci stanno”. B: “Allora mo dico al cameriere così fa in fretta. Signora, devi entrare la macchina nel garage dell’albergo”? A: “No, devo ancora andare alla farmacia. Che gira e volta si fa tardi e trovo chiuso”. B: “Mannaggia, che ti senti”? A: “Mi gira lo stomaco. Ho paura sia è un infiammo. Ma guarda e vedi se mi devo sentire male in vacanza! A che ora è la cena”? B: “Nove-nove e mezzo”. A: “Non so se scendo, che non mi sto sentendo molto. Semmai mi mangio una cosa leggera in camera, pure una frisella. Veramente mi sono pure portata un po’ di lampagioni in un boccaccio”. B: “In caso, a che ora vuoi essere telefonata domani mattina per la sveglia”? A: “No, non te ne curare. Quanto pare che mi dici quando è la gita che prima tengo delle visite da fare vicino alla villa, non sai”? B: “Non dimorare che si parte presto”. A: “Sì, vado e vengo”.

Una delle tre bagnarole superstiti di Santa Maria di Leuca (ph: Attilio Caputo)

“Mi gira lo stomaco. Ho paura sia è un infiammo. ma guarda e vedi se mi devo sentire male in vacanza” I salentini in vacanza amano avere da ridire su tutto: sul servizio, sul personale dell’albergo, sui tempi di attesa, sul menu. E proprio per non rischiare di ritrovarsi nel piatto una portata non gradita, mettono in valigia un po’ di Salento: almeno una frisella (un tipico pane biscottato) e relativo condimento (pomodorini, olio e sale), e vari stuzzichini e prodotti della terra pronti al consumo. Perché, dicono, come si mangia a casa propria non si mangia da alcuna altra parte. Il rischio è sentirsi male, proprio in vacanza!

voCaBolario

salentino-italiano

UNA VELOCE GUIDA PER FORESTIERI (“STRANIERI”; IL CHE SIGNIFICA SEMPLICEMENTE “NON DEL POSTO”) IN TERRA SALENTINA A che stai?: a che punto sei? Andare a mare: andare in qualche lido, ma anche nelle località di mare. Ad esempio, “vado a mare a guardare un po’ di vetrine”; la località balneare, se termina con –i, si considera plurale (ad es. “andare ai Pali” significa “andare a Torre Pali”) Andare bene: guadagnarci Boccaccio: vasetto di vetro a chiusura ermetica Bottiglia: salsa di pomodoro in bottiglia; “fare le bottiglie alla manta”: fare il sugo in casa, coprendo le bottiglie con una coperta (un particolare tipo di preparazione del sugo) Bracioletta: polpetta di carne dalla forma larga e schiacciata Bruno: prugna Ca allora: è vero (per confermare l’affermazione di un altro) Cacioricotta: ogni formaggio si chiama “cacio”; per cui “cacio ricotta” è il formaggio ricotta

Calarsi: entrare in acqua Candedina: candeggina; è un modo per rendere più delicato il termine Cappetta: molletta per stendere i panni ad asciugare (le “robbe”) Che ne vuoi da fare?: che cosa ti interessa? Collare: avere voglia di; ad esempio “non gli colla di fare niente” per “non ha voglia di fare niente” Curarsi di qualcosa: preoccuparsi di qualcosa Darsi canza: calmarsi, avere pazienza Dimorare: far tardi Entrare: portare dentro Fare un giro: portare in giro con la macchina Farsi l’ora: essere ora di andar via Frisa/ frisella: piatto tipico, una sorta di pane biscottato Gelare: aver freddo (“mi sto gelando” per “ho molto freddo”) Gira e volta: è un’espressione prati-

camente intraducibile; significa che occupandosi di più faccende, una dopo l’altra, si perde tempo Girare: cercare Infiammo: infiammazione Insultare: infastidire; “mamma, mi insulta!” Lacerto: il filetto, la parte magra della carne Lampagioni/ lamponi: particolare tipo di cipolla Mai sia/ sia mai sia: che non sia mai! Melone di pane: il melone; contrapposto all’anguria ( il “melone di acqua”) Mena: presto Mi gira lo stomaco: ho lo stomaco sottosopra Mo: adesso; “mo mo”: proprio adesso Monti: scogli Noiare: dare fastidio, essere antipatico; “mi noia” per “ mi sta antipatico” Non averne niente: non avere alcun guadagno; “non ne hai niente che lo rimproveri”, per “Non guadagni niente a rimproverarlo” Non essere legittimo: non essere in sé Non sentirsi: non sentirsi in forma Non stare bene: dare di matto Percoco: albicocca Piatto spaso: il piatto piano (si può chiamare anche “piatto lato”) Pocca: è vero/non è vero per niente

(ha entrambi i significati, a seconda del contesto in cui viene pronunciato); può essere un’affermazione che appoggia un’affermazione precedente oppure che la smentisce totalmente Pumo: particolare modo di riporre i pomodori e metterli da parte per l’inverno; una sorta di treccia alla quale si appendono i pomodori Quanto pare che: appena il tempo di Ricotta forte: una particolare ricotta acida dal sapore “forte”; si può dire anche “ricotta scanta” Sagna: lasagna Salire: portare su Scendere: “portare giù”; ma anche “andare al mare”, che si suppone sia ad un livello più basso rispetto alla città Schiacciatina: vedi “bracioletta” Scornarsene: provare vergogna Sine/ none: sì/ no Stuffare: nauseare; “la carne mi stuffa” significa “la carne mi dà nausea” Uscire: portare fuori Uscire l’occhio: avere desiderio di vedere qualcuno, dopo tanto tempo che non lo si vede Villa: giardino comunale * specializzanda in “Linguistica italiana”



//Aria //Contemplazione //Una serata particolare

un’estate Col naso di GIUSEPPE DE FILIPPI*

e notti salentine assomigliano a quelle africane. E il cielo dà il meglio di sé lontano dalle luci della città. Giove, per esempio, è rintracciabile ad occhio nudo anche nel centro abitato, ma per chi desidera osservarlo indisturbato, è preferibile una zona lontana da luci: la campagna aiuta a cogliere i particolari del Pianeta gigante. Otranto offre alture lodevoli per gli astro-appassionati. L’evento simbolo dell’estate, si svolgerà il 12 agosto, ad opera delle Perseidi, ovvero quelle che comunemente chiamiamo “stelle cadenti” o “lacrime di San Lorenzo”. In realtà, non si tratta di stelle che cadono, ma di detriti disseminati nello spazio dalla cometa Swift-Tuttle, nei suoi passaggi intorno al Sole. Quella scia che noi chiamiamo “stella cadente” in realtà si chiama “meteora”. Le Perseidi sono popolarmente note come “lacrime di San Lorenzo” in quanto anticamente il picco della loro visibilità era intorno al 10 agosto, ma per effetto della precessione degli equinozi si è spostato nel corso dei secoli di circa due giorni in avanti. Buona consuetudine e tradizione è allontanarsi in quei giorni dalla luce artificiale cittadina e sostare in una delle tante spiagge affollate.

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Un evento visibile anche dalla finestra di casa sarà l’eclissi parziale di Luna del 16 agosto. L’eclissi avrà inizio alle ore 19.30, avrà culmine alle ore 22 quando l’80 per cento della superficie lunare sarà coperto dal cono d’ombra terrestre e terminerà all’1.00 del 17 agosto. Ultima fermata, le congiunzioni. Si tratta di piccoli eventi durante i quali più corpi celesti hanno più o meno le medesime coordinate astronomiche. Ad agosto, quattro date sono da appuntare in agenda: il 3 (congiunzione Luna–Saturno), il 4 (Luna–Marte), il 7 (Luna–Spica), il 13 (Giove e Venere-Saturno). Per assistere alle congiunzioni, le spiagge buie sono l’ideale. Le spiagge del litorale ugentino, ma anche Torre Pali e Torre Vado, spostandosi verso il Capo di Leuca, sono le migliori. Per chi andasse alla ricerca della perfezione, le scogliere da Leuca a Otranto offrono punti di osservazione molteplici. Per prenotare una “serata osservativa” gratuita, presso l’Osservatorio astronomico di Casarano, telefonare al 328.8356836. *responsabile dell’Osservatorio Astronomico “San Lorenzo” di Casarano e di www.astronomiacasarano.it

all’insù La testa tra Le nuvoLe. I pIedI per terra e per mare per chi volesse rendere ancora più suggestiva l’osservazione del cielo stellato, “stargate”, associazione di nociglia che si occupa di promozione turistica e del territorio (presidente giuseppe miggiano), organizza escursioni “alternative”. trekking, barca a vela o a motore, alla ricerca di bellezze spesso sconosciute della terra salentina (www.stargatevacanze.it; 348.4780033 e 334.1021632).





Terra

Felline

ph: Rocca


//Terra //Acquisti doc //Produzioni tipiche ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET ph: Associazione Obiettivi

di FLAVIA SERRAVEZZA f.serravezza@iltaccoditalia.info

Bere,fare, mangiare UN TOUR PER FIERE, MERCATINI, SAGRE, SPACCI AZIENDALI. PERCHÉ ACQUISTARE PRODOTTI MADE IN SALENTO VUOL DIRE PORTARSI DIETRO UN PEZZO D’ESTATE. UNA GUIDA COMPLETA PER I “FORESTIERI” (È COSÌ CHE VENGONO APPELLATI I TURISTI, GLI “STRANIERI” IN VISITA IN TERRA D’OTRANTO) CHE VOGLIONO CONOSCERE IL TACCO D’ITALIA COME LE PROPRIE TASCHE. SENZA PERÒ TORNARE A CASA CON LE TASCHE…VUOTE

I

taliani e stranieri hanno scoperto lu sule, lu mare e lu jentu, e il Salento è diventato la nuova Toscana, meta glamour di tantissimi vip – da Michele Placido a Diego Abatantuono, Serena Dandini e tantissimi altri habitué delle vacanze nel Leccese – e in generale degli amanti delle vacanze all’insegna del relax ma anche dei giovani alla ricerca di un divertimento low cost. A te, forestiero in Terra d’Otranto, il Tacco d’Italia ha pensato di regalare un prontuario dei prodotti tipici della provincia, per invitarti a gustare gli indimenticabili sapori della tradizione nei “posti giusti” e a scovare i più bei souvenir di un soggiorno indimenticabile.


a tavola

Il vino in dialetto si dice “mieru”,

dal latino merum, che vuol dire “schietto” ph: Associazione Obiettivi

Minervino, la tavolata di S. Giuseppe. In alcuni Comuni salentini, tradizione vuole che il 19 marzo, i devoti di S. Giuseppe, che dal santo hanno ricevuto una grazia o che hanno in mente di chiederla, offrano ai più poveri tavolate di numerosissime portate. La cerimonia ha inizio a mezzogiorno; le case dei fedeli restano aperte a chi voglia entrarvi. Intanto, però, viene predisposta una tavola imbandita da offrire ai santi (da un minimo di tre ad un massimo di 13, a seconda dell’entità della grazia)

// LE VIE DELL’OLIO

// LE VIE DEL VINO

Caro forestiero approdato in terra salentina, il nostro percorso alla scoperta dei prodotti tipici della provincia parte dai sapori della tradizione culinaria che non potranno non sedurre il tuo palato. Ebbene, il re della cucina salentina è l’olio extravergine di oliva. Ovvero quell’“oro del Salento” che si ottiene dalla spremitura delle migliori olive (verdi e nere), ideale soprattutto da gustare crudo come condimento, per esaltare il sapore delle preparazioni tradizionali ma anche nella cottura dei cibi per i fritti croccanti e leggeri, e ancora, come elemento conservante, capace di valorizzare qualunque prodotto dell’orto. Sono tipici della zona, infatti, i “sott’oli”: verdure (carciofi, pomodori, zucchine, melanzane, funghi, lampasciuni, e altro) ma anche olive e pesce (tonno e alici) conservati in vasetti di vetro ripieni di olio. Tra le aziende leader nella produzione di extravergine di oliva salentino è “Primoljo” di Casarano (sulla via provinciale per Supersano) che propone anche olio biologico e “Dop Terra d’Otranto”. Sempre a Casarano, è possibile fare scorta del gustoso olio salentino “Cinniri” prodotto dalla Cooperativa ortofrutticola casaranese (attiva dal 1970) attraverso la tecnica di estrazione a freddo dal frantoio sociale, che consente di mantenere intatte le proprietà nutrizionali del prodotto. Per un viaggio nella produzione dell’olio, a Cutrofiano, l’associazione Pro Loco del Salento organizza visite guidate agli uliveti secolari siti nella zona, con alberi di almeno 500 anni di vita. Il tour prosegue in un antico frantoio ipogeo recentemente restaurato dove è allestita una mostra di oggetti legati alla molitura delle olive. Qui, con l’aiuto di alcune diapositive, si possono conoscere le tecniche di raccolta delle olive e di estrazione dell’olio. La visita termina in un altro frantoio dove si può gustare l’olio salentino sulle tradizionali “friselline” (pane biscottato). Nel cuore del Salento, a Martano, si trova invece la storica Cooperativa agricola “Nuova Generazione” (via provinciale per Borgagne) che vanta una storia trentennale nella produzione dell’olio extravergine di oliva. Presso l’azienda si possono acquistare anche altri prodotti tipici, come olive e paté di olive, pasta artigianale, sughi, sott’oli e creme vegetali.

Accanto alla tradizione millenaria dell’olio d’oliva, c’è quella del vino. Nel dialetto salentino, il vino si chiama mieru che vuol dire “schietto”. Un aggettivo certamente dovuto al carattere vigoroso e intenso del vino prodotto in questa terra che portò i Romani a definirlo merum cioè “vero”, in contrapposizione a quello greco più leggero e annacquato. La tipologia più diffusa in provincia è il vino di colore rosso granata, corposo, piacevolmente amarognolo, asciutto, ottenuto da uve della zona (Negroamaro, Malvasia nera, Aleatico) come il Rosso del Salento, il

Negrino di Salice, l’Aleatico di Puglia. Vengono anche prodotti vini rosati brillanti e bianchi delicati, da utilizzare a fine pasto per accompagnare dolci e dessert. Tra le più antiche cantine vinicole del Salento c’è la Cantina cooperativa del Matino, nata nel lontano 1899. L’azienda riunisce i produttori di vino doc ottenuto dai preziosi vitigni Negroamaro e Malvasia Nera e si trova a Matino, in via Vittorio Veneto, 44. A Leverano, invece, si può far visita a una delle più qualificate cantine pugliesi, la Cantina sociale cooperativa “Vecchia Torre” (in via Marche), dove si producono il

Leverano Doc bianco, rosso e rosato, il Briosello (bianco frizzante), il Gardner (rosso amabile), il Lacrima, il Fiore D’Autunno (vino novello), il Primitivo e lo Chardonnay. La Cantina ha predisposto un adeguato locale per la degustazione e l’acquisto di questi vini, sia sfusi che imbottigliati. Per le visite è consigliata la prenotazione allo 0832.925053. Entrambe le cantine offrono un ottimo rapporto qualità-prezzo, come l’azienda agricola “Conti Zecca”, sempre a Leverano, in via Cesarea. Lo stabilimento dispone di un’enoteca aperta dal lunedì al venerdì (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19; sabato, solo dalle 9 alle 13; chiuso la domenica). Previa prenotazione, gli enoappassionati potranno visitare la cantina e i vigneti di proprietà dell’azienda, conoscere l’intero processo produttivo del vino e scoprire il lavoro che si nasconde dietro ad ogni singola bottiglia. La frisa

// SOTTOLI, SOTTACETI E CONDIMENTI

// L’AROMA DEL SALENTO Unico, indiscusso sovrano del chicco nero nel Salento, è il caffè Quarta. L’omonimo gruppo aziendale nasce a Lecce, agli inizi degli anni Cinquanta, in una piccola bottega dedita alla torrefazione e alla degustazione del caffè. Ancora oggi conserva il suo gusto inconfondibile e incredibilmente ricercato da chi, venendo in vacanza nel Leccese, non vuole più farne a meno. E’ vera prelibatezza per gli amanti del caffè. Oggi lo si può degustare in moltissimi bar della provincia e trovare in vendita nei supermercati. Una volta assaggiato, si torna a casa con la scorta.

Salsine che seducono il palato, dal gusto che va dall’agrodolce al piccante. E ancora sughi, creme, condimenti a base di verdure, ortaggi ed erbe aromatiche. Per assaporare questi gustosi prodotti tipici della tradizione gastronomica salentina, il forestiero in Terra d’Otranto non ha che da recarsi da “Pralina”, a Melpignano (nella zona industriale). Anche a Casarano, “Pullo Sottoli” offre una vasta gamma di prodotti alimentari caserecci, come salse di aglio e peperoni, carciofi grigliati sottolio, sottaceti, e tante altre prelibatezze.

alle ulie”, il tradizionale pane alle olive nere (una volta “azzannata”, si consiglia vivamente di fare attenzione ai noccioli). A Casarano, si può trovare al panificio “Coti”, in via Maglie, o nello storico biscottificio “Preite” (in via Pascoli), famoso anche per la produzione artigianale di biscotti caserecci, pasticceria secca, crostini, e altri prodotti da forno tipici della provincia, come le “frise” di grano e di orzo. A Lecce, si può consumare un pranzo veloce nel panificio “La Puccia” di piazza Mazzini dove, ad un prezzo non eccessivo, il tipico pane salentino può essere imbottito a proprio gusto.

// LA “PUCCIA” E LE “FRISE” Non è concesso al forestiero in vacanza nel Salento l’andar via senza aver assaggiato la “puccia Pucce e pane tradizionale



// IL PASTICCIOTTO Tra le dolci tipici salentini, il pasticciotto la fa da padrone. Questa delizia nasce nel 1745 a Galatina, nella tipica bottega pastic-

ciera della famiglia Ascalone, durante le festività di San Paolo, guaritore delle tarantate. Nicola Ascalone si arrovella per inventare una novità che possa risollevare la critica situazione economica della bottega e tra una torta e un dolce si ritrova un impasto e un po’ di crema che non sono sufficienti per cuocere un’altra torta. Decide allora di utilizzare questi resti ponendoli in un piccolo recipiente di rame facendone una piccolissima torta di crema che lui stesso definisce un “pasticcio”, ma lo mette ugualmente nel forno e poi lo regala ancora caldo

Andrea Ascalone

ad un passante. I complimenti e le lodi si sprecano. Il pasticcio è veramente ottimo e l’uomo ne vuole qualcuno da portare in famiglia. Nasce così il “pasticciotto de Lu Scalone”. Il successo è immediato e la voce si sparge in provincia. Sono passati ben 263 anni e il pasticciotto è ormai il dolce-simbolo del Salento. Lecce lo ha riconosciuto come dolce tipico della città. E il forestiero in Terra d’Otranto può ancora oggi recarsi a Galatina in via Vittorio Emanuele, al numero 17, per gustarlo nella storica pasticceria Ascalone. Per fortuna, si trovano ottimi pasticciotti anche in moltissimi altri posti, come la pasticceria Natale, a Lecce, in via Trinchese e a Gallipoli, nell’antica pasticceria Porta Terra, sul lungomare Cristoforo Colombo.

Quella verace si trova presso il panificio De Marco a Mancaversa (marina di Taviano). E’ simile al muzzazzolo, anch’esso al cioccolato, ma si differenzia per la forma, più grande e schiacciata, e la consistenza, più morbida. Inoltre le mandorle nella mustazzera sono intere. Da veri intenditori.

ph: Associazione Obiettivi

ph: Roberto Rocca

ph: Roberto Rocca

feste in piazza

// LA MUSTAZZERA

//SAGRE, A CIASCUNO LA SUA È in occasione delle sagre e delle feste patronali che si incontra il Salento più autentico. È nell’atmosfera della festa popolare, che si può cogliere nell’anima salentina un misto di sapienza, cordialità e vivacità. Sono innumerevoli le sagre paesane dove il forestiero in Terra d’Otranto può gustare gli antichi sapori della cucina salentina e al tempo stesso prendere parte a una cerimonia unica e suggestiva, scandita dal ritmo della pizzica e dei suoi tamburelli. Da non perdere è la Festa della “municeddha” (lumaca) organizzata a Cannole dalla Pro loco Cerceto sin dal 1985. Quest’anno, la sagra è giunta alla sua 24esima edizione e si svolgerà dal 10 al 13 agosto. Durante queste quattro magiche serate, si respira aria di festa popolare con l’immancabile ritmo della pizzica. Naturalmente il piatto principale è la municeddha, che viene preparata in vari modi: soffritta, arrostita e al sugo. Accanto ai 40 quintali di municeddhe, si trovano altri sapori come pane di grano cotto nel forno a legna, olio d’oliva, peperoni, melanzane con aglio, peperoncino e menta, peperonata, alici e ricotta forte, spiedini di carne, con fiumi di

Lecce piazza Duomo

birra e tanto buon vino locale. Circa 70mila presenze ogni anno giungono a Cannole per gustare la genuinità dei prodotti e divertirsi. Forestiero amante del buon gelato artigianale, nel Salento c’è una delizia che fa al caso tuo: lo spumone. Trattasi di gustoso lingotto circolare di gelato alla nocciola, pan di spagna, cioccolato e nocciole. Per assaggiare i migliori spumoni, è bene fare una capatina in una delle tante gelaterie di Tuglie, oppure aspettare la Festa dello spumone artigianale che si svolge a Scorrano il 17 e 18 agosto. Tra le grandi sagre di fine estate, invece, c’è la Festa te lu mieru di Carpignano salentino. Uno storico appuntamento giunto alla sua 34esima edizione (si veda a pag. 35).

Lo spumone. Da non perdere la festa in suo onore il 17 e il 18 agosto a Scorrano

// FESTE PATRONALI, FIERE E MERCATINI

di San Rocco a Ruffano. Istituita nel 1862, si svolge il 15 e il 16 agosto (si veda pag. 42). Nel percorso del forestiero in Terra d’Otranto, infine, non può mancare la tappa a Melpignano, il piccolo centro griko ormai più conosciuto al mondo, in occasione del concertone della Notte della Taranta che quest’anno si terrà il 23 agosto (si veda pag. 41). Per una full immersion nella tradizione musicale salentina, l’ideale è infine la Notte della pizzica di Ugento, che si svolge tra il 14 e il 15 agosto.

Il Salento è terra di fervente religiosità. Le feste patronali sono la mas- //I MERCATINI sima espressione della devozione reli- DELLE MERAVIGLIE giosa ma anche della cultura aggreAl forestiero in Terra d’Otranto colgante degli abitanti di questa terra. Da qui l’invito a non perdere le fiere, i fuo- lezionista o semplice appassionato di chi d’artificio, le luminarie, gli addobbi oggetti antichi, si consiglia di curiosare e le immancabili bande musicali che tra tantissime bancarelle del mercatino animano le feste in onore dei santi delle pulci di Casarano (il terzo sabato del mese) oppure di visitare il piccolo e patroni delle città salentine. suggestivo borgo fortifiBestiame, attrezzi agricoli e merce di ogni ph: Associazione Obiettivi cato di Acaya, a pochi chilometri da Lecce, tipo – vestiario, accessodove si tiene il Mercatiri, piante, prodotti tipici no dell’antiquariato e e altro ancora – si posdel modernariato (prima sono trovare nella fiera domenica del mese). Da che si svolge a Lecce, non perdere, infine, in dal 24 al 26 agosto, in agosto “Mancaversa in onore di Sant’Oronzo, fiore” (piazzetta delle patrono della città. rose), la mostra dei belMa la fiera più lissimi fiori coltivati a conosciuta e suggestiva Taviano. del Salento resta quella



artigianato

ph: Associazione Obiettivi

// PIETRA LECCESE, CRETA, CARTAPESTA, LEGNO D’ULIVO E GIUNCHI La ricchezza dell’artigianato salentino nasce da materiali poveri. Carta, legno, creta, e pietra da sempre sono utilizzati per creare oggetti d’uso quotidiano, trasformati oggi in preziosi souvenir. Il forestiero in Terra d’Otranto che vuole affacciarsi, per curiosità o interesse, alla pietra leccese, si accorgerà subito che già allo stato grezzo è

ph: Roberto Rocca

ph: Associazione Obiettivi

una vera e propria piccola opera d’arte. Con la sua eccezionale malleabilità, vecchi artigiani eredi di una tradizione secolare, ne forgiano oggetti mirabili. Un vasto assortimento di orologi, sculture, vasi e lampade realizzati con questa pietra si può trovare a Taurisano, presso “La Pietra Taurina” (via XXIV Maggio, 8). Oppure si può fare una visita all’azienda dei fratelli Pitardi di

Melpignano che estrae e lavora la pietra leccese dal 1963. I proprietari rispondono efficientemente ad ogni richiesta degli utenti, eseguendo lavorazioni standard e su commissione. I più svariati oggetti in pietra leccese si trovano in tantissime botteghe disseminate nel centro storico di Lecce, ma anche a Otranto, Gallipoli e in molti altri paesi della provincia.

dotti, si può far visita all’azienda dei fratelli Colì nella zona industriale di Cutrofiano. Per assistere alla creazione delle tradizionali statuine in cartapesta, invece, si può visitare il laboratorio artigianale di Carmen Rampino a Lecce (piazzetta Riccardi) o il laboraMolte sono anche le aziende arti- torio di Riccarda Graziali in via degli giane che lavorano la creta con finitu- Ammirati. re manuali, utilizzando il tornio a pedaPer acquistare oggetti realizzati le, la modellatura e la pittura. I cencon il legno d’ulivo, profumato e ben tri produttivi più interessanti per la tornito, l’ideale è rivolgersi a una delle ceramica sono a Cutrofiano (città tante botteghe presenti a Parabita, della creta) e Lucugnano, dove dove si trovano riproduzioni dei tratipica è la produzione dei dizionali utensili di lavoro dei con“fischietti” in terracotta. tadini, ma anche ciotole, coppe, Nella zona si può visitare la vassoi, quadri a intarsio. Infine, i storica Mostra dell’Artigiatipici cesti o “panari” di vimini nato figulo cutrofianese, realizzati con la faticosissima che quest’anno si terrà tecnica dell’intreccio, si dal 7 al 28 agosto. possono acquistare nelle Qui si espongono tante fiere estive oppure manufatti in terracota Bagnolo del Salento, ta e altri prodotti artipresso “Cancelli Vimini” gianali. Per la vendita al (via Roma). ph: Roberto Rocca dettaglio di questi pro-

spacci aziendali // SCARPE, VESTITI, JEANS Il Salento non è tutto “sole, mare e vento” ma è anche terra delle buone occasioni per acquistare abbigliamento e calzature di qualità a prezzi convenienti. Cutrofiano è senz’altro il centro salentino più famoso per i suoi spacci di scarpe, valigie, capi di abbigliamento griffati e scontati. C’è l’imbarazzo della scelta. A Casarano, ottimi affari si possono fare visitando lo spaccio aziendale di calzature della nota azienda

“Filanto” (zona industriale, via provinciale per Maglie). Jeans e altri capi di prima e seconda scelta firmati “Meltin’Pot”, una delle griffe più amate dai giovani, si possono trovare a prezzi scontatissimi nello spaccio aziendale “Romano”, nella zona industriale di Matino. E per diventare salentino al cento per cento, è obbligatorio acquistare una maglietta col marchio “lu sule, lu mare e lu jentu” che si può trovare, insieme a tantissimi altri capi, nello spaccio aziendale di Matino. Gli appassionati di calcio, invece, possono fare visita allo store ufficiale dell’Unione sportiva Lecce dove acquistare la mitica maglia

il tacco d’Italia

del tifoso doc con il marchio “Salento 12”. Altri spacci aziendali molto convenienti si trovano a Lecce, in viale Aldo Moro, dove “Lecce moda” è famoso per la vasta gamma di capi di abbigliamento e accessori vari (ingrosso grandi firme); poi, nella zona indu-

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striale di Nardò, lo spaccio aziendale del marchio locale “Barbetta” mette in vendita capi di abbigliamento casual per uomo e donna (ottimo rapporto qualità-prezzo). Per la pelletteria, “Marek Pelle” in via Messapica a Ugento.

A COLPI DI TACCO www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=5017


//Terra //Città del vino //I giusti abbinamenti ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET

Mieru llallà di IRENE TOMA i.toma@iltaccoditalia.info

Scegliere tra la corposità

APPROFONDIMENTI www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=5012

del rosso, la femminilità del rosato e la vivacità del bianco, magari con l’aggiunta del brio delle bollicine, è impresa ardua. Anche perché il Salento offre infinite tappe al visitatore che voglia percorrere le strade del vino. Per aiutarlo nella scelta abbiamo selezionato quattro di queste tappe, quelle corrispondenti ai quattro Comuni (Galatina, Neviano, Novoli e Salice Salentino) iscritti all’associazione nazionale “Città del Vino” con sede a Siena. L’associazione mira a valorizzare le risorse dei Comuni iscritti organizzando eventi, convention e manifestazioni di promozione del proprio prodotto.


Ogni zona doc produce vini bianchi, rossi, rosati e la riserva. Doc e igt sono denominazioni Gustare al meglio il vino non legate alla geografia del territoè così semplice. rio. Fino a pochi anni fa – contiAlla ricerca di “dritte” ci nua Fracasso – il Salento preferisiamo lasciati guidare da Andrea va il vino rosso, rigorosamente Fracasso, casaranese di 33 anni, consumato a temperatura sommelier, vice delegato Ais ambiente. Oggi si assiste ad una (Associazione italiana somme- rivalutazione del rosato e alla diflier) per la sezione di Lecce. fusione della tendenza a bere il “In provincia di Lecce – ci rosso freddo. Il rosato è un vino spiega - esistono circa sette vini tipico del territorio dal più facile doc (denominazione origine con- consumo, soprattutto nella statrollata) importanti, come gione estiva, quando può fare da ‘Copertino’, ‘Salice’ e ‘Galatina’ e alternativa al cocktail”. alcuni igt (indicazione geografica Ma quale sarà il vino salentino tipica) come “Igt Salento”. più famoso al mondo? E come fare per scegliere il giusto vino? // Il sommelier consiglia “Il Salice SaAperitivo e antipasto: lentino rosso è il più conosciuto a livello rosato con piatti a mondiale. Di norma, base di frutti di mare il vino dev’essere e verdure grigliate contrapposto al ciPrimo piatto: rosato bo, cioè deve avere con pasta al sugo o caratteristiche conzuppa di pesce trarie agli alimenti Secondo piatto: per consentire di rosso di Salice con pulire il palato tra un secondo di carne un boccone e l’alDessert: passito biantro. In realtà la scelco o rosso (in Puglia ta del vino è qualconon esiste il Passito sa di più profondo e rosato) con il tipico Andrea Fracasso, poetico. Meglio ladolce “divino amore” sommelier, vicedelesciarsi guidare daldi Gallipoli. gato Ais Lecce l’istinto”.

// I SEGRETI DEL BICCHIERE

// DIMMI DOVE LO BEVI Un evento da non perdere nel Salento è “Calici di stelle”, organizzato per la notte delle stelle cadenti, il 10 agosto, che apre le porte del vino ai turisti e a tutti gli appassionati del bicchiere. Promotore di questo e altri eventi come “Benvenuta Vendemmia”, che si tiene a settembre in tutta Italia e “Cantine Aperte”, che si svolge l’ultima domenica di maggio, è l’associazione “Turismo del Vino”. Tra le feste di carattere più popolare, la “Festa te lu mieru” di Carpignano è la regina incontrastata. “La nostra festa nasce da uno scambio culturale tra la popolazione e l’Odin Teatret di Eugenio Barba - precisa Antonio D’Ostuni, presidente della festa e dell’omonima associazione - che nel 1974 venne a Carpignano per realizzare delle ricerche di teatro. Quell’anno venne organizzata una serata per promuovere i prodotti tipici come il vino e l’anno dopo, nel 1975, fu realizzata la prima edizione della “Festa te lu mieru”, una delle prime feste non religiose”. Da allora la festa si è mantenuta sempre fedele a se stessa. In occasione dell’edizione 2007, l’associazione di D’Ostuni ha contato circa 50mila persone per ogni serata ed un totale di circa 40 quintali di vino consumati.

Nobile Palmieri

//ETERNO ROSSO // Lo chef consiglia Antipasto: vino bianco barricato con insalata di gamberi, fichi e finocchi Primo piatto: vino rosato con bocconcini di scorfano o vino rosso con pesce rombo Secondo piatto: salsa di vino rosso con tonno Dessert: passito con dolce alle mandorle Luigi Perrone, chef, presidente Unione regionale dei cuochi salentini (organo ufficiale della Fic, Federazione italiana cuochi), presidente Ristoratori Confcommercio, executive group Patria Palace Hotel, Lecce

“Nonostante io abbia avuto il piacere di lavorare in paesi come America, Giappone, Australia e Argentina, non ho mai dimenticato le mie radici. Mi ritengo un creativo della cucina mediterranea preferendo piatti a base di verdure, pasta e pesce, tutte specialità che rendono vincente l’arte culinaria del Salento. Negroamaro e Malvasia sono i vini più presenti sulle tavole di terra d’Otranto; il rosso non tramonterà mai. Negli ultimi tempi, si sta affermando addirittura la tendenza a berlo in abbinamento a piatti di pesce”.

// 80 ANNI DI SAGGEZZA

Nobile Palmieri, di Taviano, 80 anni, contadino da sempre, ci ha spiegato le tradizionali tecniche di preparazione. “Dopo aver raccolto i grappoli tagliati dalla vite sotto il sole di settembre, che è ancora tanto caldo – racconta - l’uva viene trasportata ai palmenti. Qui viene pulita della raspa; gli acini sono così pronti per la spremitura dalla quale si otterrà il mosto. Prima si faceva tutto con le mani ed i piedi. Spesso – continua - la vinificazione dell’uva avviene usando anche la cosiddetta vinaccia, cioè parti come la buccia dell’acino. Questo avviene principalmente per il vino rosso. Successivamente il mosto viene fatto fermentare (a volte si usano recipienti chiamati ‘fermentini’) e poi viene lasciato macerare. Questo processo può durare diversi giorni”.

Proverbi salentini Sette su li meju muccuni: carne, pesce e maccarruni, acqua frisca e vinu puru, fimmina beddhra e giovane puru; Nu bonu bevitore te vinu prima prova l’acqua e poi lu vinu; Lu mieru bonu ete lu bastone te li vecchi; Meiju puzzare te mieru ca te oju santu

//LE CANTINE

Da sx: Elio Minoia, enologo; Luigi Vallone, titolare; Ezio D’Oria, consulente organizzativo azienda agricola Valle dell’Asso, Galatina

Ezio D’Oria, 54 anni, consulente organizzativo azienda agricola Valle dell’Asso: “L’azienda è associata al “Movimento turismo del vino” e nell’ambito delle attività organizziamo degustazioni e visite guidate in cantina e nei vigneti. Valle dell’Asso ha una lunga tradizione che nasce nei primi anni del 1900, attualmente è un’azienda agricola con 75 ettari di vigneto; produciamo ogni anno 250mila bottiglie, ovvero il 30 per cento della totale produzione di vino. La nostra capacità di imbottigliamento è ben più alta ma attualmente questi quantitativi rispettano la richiesta del mercato. Il Piromafo è certamente la colonna portante dei nostri vini con i maggiori riconoscimenti internazionali. Il nome scelto è utilizzato per individuare una tipologia i terreno e pietra, deriva da piro (fuoco), macos (combattente) ovvero che combatte il fuoco. Il vino Piromafo è ottenuto da uve Negroamaro al 100% e viene lavorato in aridocoltura e in regime di certificazione biologica delle uve”.



mai circa 10mila quintali di vino ogni anno grazie all’impegno di circa otto persone nel periodo della vendemmia. La nostra punta di diamante è il doc Salice Riserva Falco Nero. È un vino molto strutturato, intenso nei colori e nei profumi, con elevato grado alcolico. Ha tutte le qualità del Negroamaro con un piccolo taglio di Malvasia nera”. Andrea De Filippo, 26 anni, responsabile Azienda vitivinicola Andrea De Filippo, San Simone (Frazione di Sannicola zona Alezio-Neviano)

“La nostra azienda rientra nella zona doc Alezio-Neviano e nasce grazie a mio nonno che nel dopoguerra decise di acquistare alcuni terreni con vigneto. Dopo di lui se ne occupò mio padre e da questo la mia passione per l’attività agraria. È un’azienda giovane. Sono solo tre anni che imbottigliamo il vino. Durante la vendemmia si lavora con una dozzina di persone e riusciamo a produrre intorno ai 500 litri di vino all’anno. Il nostro vino di punta è il Primitivo, classificato come IGT Salento. Ha una capacità di invecchiamento di tre anni, ha un colore rubino con riflessi granati ed un profumo di garofano e violetta”. Piernicola Leone De Castris, 47 anni, titolare azienda vitivinicola Leone De Castris, Salice Salentino

Gabriele De Falco, 30 anni, responsabile Cantine De Falco, Novoli; nella foto con il padre Salvatore

“Le Cantine De Falco hanno origine con l’attività di mio nonno, venuto nel Salento da Napoli, suo paese natale, alla fine della Seconda guerra mondiale per poter produrre vino da vendere in Campania. I figli hanno proseguito questo lavoro e negli ultimi dieci anni c’è stata una svolta nell’azienda, realizzando l’imbottigliamento di vino con marchio proprio e precise caratteristiche. Si producono ora-

“La storia della Leone de Castris, viaggia parallelamente a quella del vino in Puglia, poiché da oltre tre secoli da ogni sorso del suo vino si sprigiona la forza e l’orgoglio della nobiltà della sua tradizione. Nel 1665 il duca Oronzo Arcangelo De Castris dei Conti di Lemos, fonda la Cantina a Salice Salentino, proprio dove oggi sorge lo stabilimento. L’azienda è stata la prima in Puglia ad unire alla lavorazione e trasformazione del prodotto anche l’imbottigliamento. Attualmente sono occupate circa 50 persone e vengono imbottigliate ogni anno circa due milioni e 300mila bottiglie. Verso la metà del 2008 sarà inaugurato in azienda il Museo del Vino e della Storia della Leone de Castris. Il vino di punta è il Donna Lisa Rosso Salice Salentino doc Riserva, ottenuto da uva Negroamaro. Vino dal colore rosso rubino e dal profumo vanigliato”.

//Il consiglio Relax e mangiar bene.

La locanda

del fu Giovanni

di pasta brevettata in formati Una lunga tavolata imbanparticolari) – è il padrone della dita. Il personale che serve in serata; può fare della locanda costume d’epoca, ovvero in ciò che vuole. Per questa ragioabiti popolari di fine ne preferiamo comitive corpoSettecento. La possibilità, per gli ospiti, di vestire quei costu- se, che riescano a ricreare un mi antichi e di farsi fotografare ideale clima di spensieratezza. usufruendo di speciali set foto- Noi portiamo i piatti a tavola (le portate vengono servite in grafici. grandi piatti unici, dai quali Sono questi gli elementi ogni commensale si serve), ma che contribuiscono a creare non poniamo alcun limite ai l’atmosfera familiare che si nostri clienti”. E’ respira nella proprio per l’e“Locanda del fu strema libertà che Giovanni”, di garantiscono agli Adriana De ospiti, che questi Lorenzis e sono principalNicola Dimola, mente professioche sorge, da nisti alla ricerca di qualche anno, un luogo nel all’interno della quale trovare masseria Palla, a pieno relax. In Casarano (congenere, chi fretrada Palla, straquenta la locanda da per Maglie). sa bene che cosa Una locanda vuole mangiare: i in piena regola, Da sx in alto: Nicola Dimola, piatti di un organizzata come le locande Franco Meraglia, Alessandro De tempo, preparati del Settecento. Marco, Beatrice Arcano, Elena con ingredienti Dove agli avven- Valente, Adriana De Lorenzis e semplici e autentici. tori era conces- Carlotta Rossi Chi è il “fu sa piena libertà Giovanni” che dà il nome al di gestire la serata come locale? Un fantasma diurno che meglio credessero. “Chi viene abita la masseria chissà da a mangiare da noi – spiega quanto tempo. Tranquilli, è Adriana, già da molti anni nel uno spirito buono. Ma attenti a campo alimentare (un tempo stargli antipatici… si diverte a gestiva l’azienda “Le 12 lune”, fare dispetti agli ospiti! specializzata nella produzione

el fu La “Locandai”dpropone Giovann o Rustico lucan iola za iz p la Pittule al dori “scattarisciati” re con pomo h d d te za Caz a Olimpia Ziti alla donn e caciocavallo) e m la sa (friggitelli, te allo stecco Polpet alla locandiera Alette di polloitti “a scapece” Peperoni fr ta di pane, pomodori ” (insala “Acqua e sale e cocomeri) caramellata na con frutta Crema catala le, aranciata e acqua Vino loca prenotare E’ necessario 3.8226354); 33 ; 12 (389.05241 io della cena, costo med



Fuoco

Morciano di Leuca

ph: Rocca


//Fuoco //Comuni tarantati //Morsi di passione ENTRA ANCHE TU NELLA COMMUNITY DEL TACCO D’ITALIA E DISCUTI DI QUESTO ARGOMENTO SU WWW.ILTACCODITALIA.NET

dove ti pizzica la taRanta

TEMA DEL MESE www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=5016

di VALENTINA CHITTANO

Un particolare della tela conservata sull’altare della cappella di San Paolo. Dal recente restauro sono emersi, oltre alla tarantola, anche un serpente ed uno scorpione, segno che San Paolo fosse protettore dal morso di ogni animale velenoso In basso, le sorelle Farina. Nella tela, esse sono raffigurate accanto al santo. La tradizione narra che fossero dotate dello “sputo guaritore” dal veleno della taranta

uoco di passione. Quella per la pizzica, che d’estate invade il Salento e lo attanaglia, finché non lo lascia, stremato, alle porte dell’autunno, già nostalgico delle recenti ronde. Una volta che la taranta ha “pizzicato”, è difficile liberarsi dall’effetto del suo veleno. Si può scegliere tra due strade: chiedere la grazia al santo (San Paolo o San Rocco) visitando in segno di devozione i luoghi del suo passaggio, oppure ci si può abbandonare all’euforia che il morso comporta. E ballare, suonare, scatenarsi per tutta la notte. Proponiamo un percorso a tre tappe, per i Comuni più “tarantati”, ovvero Galatina, Melpignano e Torrepaduli (Ruffano). Ognuno di essi vive il morso a suo modo, tra tradizione ed innovazione, mondanità e senso religioso autentico.

F

sputo e danza nella teRRa del Rimoso LÌ DOVE SAN PAOLO SI FERMÒ PER RIFUGIARSI DAI PERSECUTORI, SORSERO I LUOGHI DI PURIFICAZIONE DAL MORSO DEL RAGNO VELENOSO famose crisi delle “tarantate” sembrano aver abbandonato “la terra del rimorso” rimanendo intrappolate in un passato folkloristico. In eredità ci hanno però lasciato i luoghi dei loro tormenti e dei riti di guarigione, insieme a punti interrogativi affascinanti. Così la cappella di S. Paolo, nella sua penombra, dona ancora oggi particolari suggestioni: chi era stata morsa dal ragno correva intorno a quel piccolo altare, sorseggiava l’acqua miracolosa del pozzo, si arrampicava sui cornicioni, si sedeva sul tabernacolo, si sdraiava a terra, imitando il comportamento dell’avvelenato, sia che l’imi-

mpresa ardua pensare di poter scovare ancora a Galatina qualcuno di quegli sguardi persi, teneri e macabri allo stesso tempo, che nella notte tra il 28 ed il 29 giugno si nascondevano nei capelli arruffati e inseguivano minacciosi i curiosi per piazza S. Pietro. Le

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tazione fosse del tutto indipendente da una reale sindrome tossica (avveniva nella maggior parte dei casi), sia che si innestasse in un episodio iniziale di aracnidismo. La forma estrema di questa imitazione era la caduta improvvisa dei tarantati al suolo con il respiro “talora affannoso, talora gemente, spesso immobili ed esamini”. Il tarantismo è un fenomeno storico religioso che affonda le sue radici nel Medioevo e che trascina con sé nei secoli una formazione prevalentemente contadina caratterizzata proprio dal simbolismo della tarantola che morde e avvelena e della musica, della danza, dei colori che purificano dal morso. Al veleno delle tarantole “non si trova altro medicamento che ‘l suono de’ musicali stromenti, sfogando gli morsicati col ballo quel pestifero umore”, sosteneva il domenicano Arcudi. Ma è importante sottolineare come a Galatina mancasse una vera e propria terapia musicale e ci si soffermasse soprattutto sulla facoltà risolutrice attribuita all’acqua del pozzo della cappella, sita in quelle case che, secondo un anonimo, ospitarono prima S. Pietro e poi S. Paolo. Il recente restauro della tela che si trovava sull’altare della cappella ha però anche rivangato la tradizione dello sputo guaritore.


Nel quadro infatti, accanto alla figura di S. A Galatina mancava la tradizione Paolo, ci sono due donne, presumibilmente le sorelle Farina, proprietarie del complesso della “terapia musicale”, delle cosiddette “case di S. Paolo”. È il palazquindi ci si affidava soprattutto alla facoltà risolutrice zo Tondi-Vignola, poi Congedo, oggi MarraTedesco, di cui è parte integrante la cappella dell’acqua del pozzo della cappella, sita in quelle case che pare ospidi S. Paolo. Queste due donne sono quelle che tarono prima S. Pietro e poi S. Paolo l’Arcudi indica come dotate dello sputo risanatore. Quello che la tradizione Il pozzo di San Paolo. Oggi accorata nostalgia”. Si arrivava a constatare chiuso. Chi vi beveva, guaritramanda ci viene esplicitache in casi come questi il simbolo del taranva dal morso velenoso della to dal medico Nicola Caputi tismo non operava affatto, suoni e colori non taranta nel 1741: “È fama presso i sortivano effetto ed il tarantato si aggirava cittadini (di S. Pietro in nel perimetro cerimoniale come se cercasse Galatina, ndr) che l’apostoinvano di immettersi in una vicenda che gli Al centro dell’attenzione. Una lo S. Paolo, dopo la predirestava estranea. Rimangono comunque affatarantata si dimena in piazza per cazione di S. Pietro, mentre scinanti tutte le fasi del rito che si sviluppava liberarsi dall’effetto del veleno navigava verso i nostri mari, già dalla piazza antistante la cappella. Nel qui (a Galatina, ndr) giunse corso delle indagini etnografiche, sempre di in incognito per timore dei De Martino, sono venuti a galla particolari persecutori, fermandosi per per qualcuno inediti, come il rituale della una sola notte in una casa fune immaginaria alla quale qualche tarantaproprietà di un uomo pio. I to fingeva di reggersi durante il ballo, quasi a galatinesi raccontano varie mimare il ragno appeso alla ragnatela. storie su questa visita ma, L’esorcismo musicale del tarantismo utilizzaciò che è più importante, va anche nastri multicolori, spade, specchi e affermano che S. Paolo tanti altri oggetti che erano messi a disposiabbia chiesto a Dio che a quell’uomo pio, per tà cattolica, fino alla fine del Settecento non zione del pizzicato intorno al perimetro ceriricompensa alla sua pietà, fosse concesso a aveva ancora un luogo fisico dove poter essemoniale. Si parla anche di vasi di basilico, re esercitato. Tra quelle mura si assisteva a suo favore e a quello dei suoi discendenti di cedrina, menta e ruta come stimolo olfattivo. sanare tutti quelli che fossero morsi da ani- scene sfrenate, a volte troppo libertine, tanto Oggi di tutti quei gesti e quei simboli che si procedette alla scomunica della capmali velenosi…”. Nella tela, grazie all’opera di restauro di cui si è interessato il museo pella (nonostante oggi, nel giorno di S. Paolo, rimangono le mani sui tamburelli di tutti Castromediano di Lecce, sopra la firma di vi si celebri ancora la messa). L’orizzonte sim- coloro che vogliono evocare i ritmi di quei Francesco Saverio Lillo sono venuti alla luce bolico del tarantismo non prevedeva però particolari suoni dal valore terapeutico; anche un serpente, uno scorpione ed una solo tarantate ballerine e canterine. C’erano rimangono dei nastri appesi agli strumenti a tarantola ad indicare forse proprio quella tra- anche quelle “tristi e mute”, associate a stati ricordare come allo stimolo dei suoni facesdizione che vuole S. Paolo protettore contro d’animo depressi. L’antropologo Ernesto De se riscontro quello dei colori; rimane un ogni animale velenoso e non solo contro il Martino spiega che “per quanto di norma pozzo chiuso ma ancora in grado di avere il celebre ragno. spettasse al ritmo della tarantella sciogliere sapore del passato; restano immagini in La cappella di S. Paolo in Galatina è la la componente depressiva variamente affio- bianco e nero di una tradizione che, affasciforma stabilmente visibile di un culto che, rante, i tarantati occasionalmente non gradi- nando la gente, mescolava abilmente sacro caso quasi unico nell’orizzonte della religiosi- vano tarantelle ma musiche improntate ad e profano.

FaRsi pizzicaRe a melpiGnano C’È CHI NE CRITICA L’ASPETTO MODAIOLO E MEDIATICO. EPPURE PER CHI VOGLIA RESPIRARE A FONDO IL PIACERE DI BALLARE AL RITMO DELLA PIZZICA E TIRAR TARDI, LA NOTTE DELLA TARANTA È UN APPUNTAMENTO DA NON PERDERE diventato l’appuntamento più atteso dell’estate, forse dell’intero anno. “La Notte della Taranta” è un “concertone” capace di calamitare, dal 1998, adulti e giovani in una bolgia di musica e ballo unica nel Salento (e non solo). Il nome dell’evento si lega alla tradizione dei famosi morsi del ragno facendo venire in mente i luoghi che maggiormente sono legati ai riti purificatori per i tarantati. Così il tour della taranta passa da paese in paese per tutto il Salento (quest’anno dal 7 al 21 agosto) fino a concludere il suo cammino a Melpignano con l’evento finale che quest’anno si svolgerà il 23 agosto. Tra gli ospiti di questa edizione, gli attesissimi Caparezza, Après la Classe, Sud Sound System e Radiodervish. L’intuizione di trasformare i ricordi del passato in un presente festoso che col tempo si è sempre più allontanato da ciò che la pizzica rappresentava per divenire stimolo per grandi collaborazioni artistiche e coinvolgere i più grandi interpreti della musica non solo italiana, si deve all’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina e all’istituto Diego Carpitella di cui è socia fondatrice la Provincia di Lecce. Alcune settimane fa, Sergio Blasi, sindaco di Melpignano, ha ricevuto il premio Heracles giunto alla sua XXV edizione e promosso dal-

È

il tacco d’Italia

La Notte della Taranta. Il pubblico balla al ritmo della pizzica

l’amministrazione comunale di Cariati “Città della tarantella”. L’effige dell’Ercole adolescente di Cariati, scelta come immagine simbolica, storica ed istituzionale della città, ambisce a rappresentare il massimo riconoscimento tributato dalla comunità di Cariati e dal territorio in tema di testimonianza e promozione della cultura e della legalità, dell’educazione civica, del dialogo interculturale e con le nuove generazioni e della valorizzazione e comunicazione dell’identità. Sembra un vero e proprio plauso a Blasi per aver creduto fin dall’inizio in un evento importante per tutta la Puglia. E a chi ha tentato più volte di criticare l’aspetto eccessivamente “trendy” che ha assunto quest’evocazione del passato, Blasi risponde che è da snob parlare così di un’operazione di riesumazione di un fenomeno che ormai era morto: “Ogni anno grazie a questa festa si produce qualcosa di nuovo, si produce cultura nel gioco dinamico del recupero e dell’innovazione”.

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//Fuoco //Comuni tarantati //Torrepaduli ph: Gianclaudio Nuzzo

Attacco, difesa, finte. Le tre fasi della lotta delle spade di Torrepaduli. Un tempo i duellanti si ferivano davvero; oggi si limitano ad evocare i movimenti della lotta

nea Santu vitimu Roccu di LAURA LEUZZI l.leuzzi@iltaccoditalia.info

tamburelli, le zacareddhe (nastrini colorati portafortuna), le litanie. I canti via via più energici, i vestiti che ondeggiano assecondando i movimenti del corpo. La gente che guarda, che si abbandona alla musica, le ronde, i coltelli. I profumi, i colori, l’aria calda di metà agosto. Le persone, le migliaia di persone curiose, appassionate, incantate. La festa di San Rocco è una festa da vivere, almeno una volta, per intero, nella piazza di Torrepaduli (frazione di Ruffano) dedicata al santo, presa d’assalto dai turisti e dai devoti, dal pomeriggio dal 15 agosto fino all’alba del 16. Bisogna essere lì per respirare quel senso di mistero che si ricrea, ogni anno, fuori dal santuario. Perché se è vero che i media nazionali ed internazionali negli ultimi anni hanno portato questa festa alla ribalta, determinandone la diffusione fuori dai confini provinciali entro i quali essa si muoveva un tempo, è pur vero che l’atmosfera magica che si percepisce va assaporata in prima persona. La festa di San Rocco non è una festa “alla moda”. Essa conserva ancora oggi quello spirito devozionale che l’ha caratterizzata dalla sua nascita. Ancora oggi i credenti giungono in pellegrinaggio a piedi dai paesi vicini fino al santuario; ancora oggi, anche se meno

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NON È UNA FESTA “ALLA MODA” EPPURE È SEMPRE IN VOGA. MERITO DEL PURO SENSO DEVOZIONALE E DELLA VOGLIA DI BALLARE E “DUELLARE”FINO ALL’ALBA

La festa di San Rocco era, anticamente, l’unica occasione in cui contadini e zingari potevano incontrarsi. I primi per acquistare la carne che i secondi vendevano. Durante la festa, inoltre, tramite la danza dei coltelli,

SI “RISOLVEVANO”LE CONTROVERSIE SORTE DURANTE L’ANNO frequentemente di un tempo, percorrono la navata in ginocchio fino alla statua del santo, chiedendo una grazia o ringraziando di averla ricevuta. Ancora oggi, baciano quella scultura con la commozione di trovarsi davanti a San Rocco in persona, accarezzandola con il fazzoletto che poi si passano sul volto. E’ questo l’aspetto intimo della festa. L’aspetto magico. Che non si è perso, nonostante abbia avuto grande diffusione l’altro aspetto, quello più spettacolare, dei balli, delle ronde, del duello. Il ballo che tiene svegli tutta la notte si chiama “pizzica-scherma”. E’ un tipo particolare di pizzica, un tempo detta anche “il ballo degli zingari”. Non ha valenza catartica dal morso della taranta o funzione taumaturgica dall’effetto di altri animali velenosi; si caratterizza, invece, solo per il suo essere finalizzata al divertimento sociale. La danza è costituita da un rituale accompagnato dal suono di armoniche e tamburelli. I movimenti mimano un combattimento con il tacco d’Italia

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i coltelli. Scopo della danza è cercare di sfiorare l’avversario tramite le fasi fisse di provocazione, attacco, difesa, finte, colpi proibiti. I presenti fanno cerchio intorno ai suonatori e ballerini, formando le “ronde”. Le origini di questo ballo sono da ricercare nel fatto che la festa in onore di San Rocco era, anticamente, l’unica occasione in cui contadini e zingari potevano incontrarsi. I primi per acquistare la carne che i secondi vendevano, proprio nel corso della festa. E proprio durante la festa si tentava di risolvere eventuali controversie che erano sorte nei periodi precedenti. “Ne vitimu a Santu Roccu”, si diceva (“Ci vediamo il giorno della festa di San Rocco”). Ancora una volta, la danza con i coltelli (un tempo ci si feriva davvero, oggi la danza è solo evocativa del duello) decretava il vincitore. E il motivo del contendere era dimenticato. Fino all’anno successivo. Quando, la notte di San Rocco riproponeva il teatro per una nuova lotta.


//Fuoco //Comuni tarantati //L’intervento ph: Associazione Obiettivi

oltRe de maRtino QUANDO LA RINASCITA DELLA PIZZICA INCARNA LA RINASCITA CULTURALE DI UN INTERO TERRITORIO di PIERPAOLO DE GIORGI* a recente costituzione della Fondazione La Notte di San Rocco risponde ad un’esigenza primaria nell’attuale momento storico attraversato della cultura salentina. Si fa sempre più necessario tutelare e valorizzare le tradizioni popolari e i saperi collettivi che, a vario titolo, orbitano attorno alla celebre Notte di San Rocco. La Notte di San Rocco, però, si trova ad essere continuamente minacciata da contaminazioni di ogni tipo e occorre diventare tutti più consapevoli dei suoi significati e dei valori connessi. Nel Salento contemporaneo si è avuto un incremento delle manifestazioni sulla nostra antica cultura, ma poche di esse si sono basate e si basano su dati scientifici certi. La Fondazione La Notte di San Rocco intende lavorare allo scopo di incrementare l’indagine scientifica sul patrimonio tradizionale della nostra terra e divulgare le acquisizioni già ottenute e quelle da ottenere. Molti sentono l’esigenza di superare le vecchie impostazioni di ricerca emblematicamente rappresentate dal celebrato volume La terra del rimorso di Ernesto De Martino. Il mio personale contributo è soprattutto quello di predisporre il terreno e favorire la riflessione

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Torrepaduli. Le zacareddhre portafortuna

E’ DIVERSA RISPETTO ALLA “PIZZICA TARANTATA” MA ANCHE RISPETTO ALLA “PIZZICA DE CORE”. E’ IL RITO AUTENTICO DELLA “DANZA DELLE SPADE”, IN CUI LA RONDA È IL CERCHIO MAGICO CHE RAPPRESENTA L’UNITÀ AL SUONO RITMICO DEL “DIVINO” TAMBURELLO E SAN ROCCO È IL SANTO TAUMATURGO CHE SI MANIFESTA AL SEGNO DELLA CROCE

la danza scHeRma

intorno ad una questione centrale: occorre muoversi “Oltre De Martino”, occorre abbandonare una visione del mondo che penalizza la cultura meridionale, che considera il sapere della gente come un sapere approssimativo, illusorio e limitato. E’ quanto mai urgente comprendere nella giusta prospettiva e valorizzare la spiritualità tradizionale e le conquiste collettive di Terra d’Otranto. E’ questo il senso del mio ultimo volume Il mito del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita (Congedo, Galatina 2008), che reca l’Introduzione di Paolo Pellegrino, docente di estetica presso l’Università del Salento, e nel quale cerco di delineare una traccia da seguire: noi salentini siamo eredi diretti della Magna Grecia, delle culture da essa influenzate e del relativo caleidoscopico mondo pitagorico, orfico e dionisiaco. Ma tutto questo si può e si deve dimostrare. I portati musicali, culturali e sociali di quella civiltà sono ancora oggi evidenti in una tradizione che non soltanto manifesta una “mentalità spirituale di rinascita”, ma incarna per tutti noi la possibilità concreta di un’autentica e grande “rinascita culturale”. Di tutto questo la rinascita della pizzica è solo un esempio.

IL COMPLESSO RITUALE DI PROVOCAZIONE, ATTACCO, DIFESA, FINTE, COLPI PROIBITIVI. IL TUTTO AL SUONO DELL’ARMONICA A BOCCA E DEI TAMBURELLI di ERMANNO INGUSCIO* a danza-scherma. Il turbinìo spontaneo delle “ronde” (gruppi di danzatori), davanti alla cappella-santuario di San Rocco, a Torrepaduli, nella notte tra il 15 e 16 agosto di ogni anno. Da epoche remote a oggi. È un evento unico nel suo genere. La “danza delle spade” è un complesso rituale, accompagnato dal suono di armonica a bocca e dai tamburelli, in cui i danzatori mimano con forte gestualità delle braccia e l’uso dell’indice e del medio, una sorta di duello rusticano: provocazione, attacco, difesa, finte, colpi proibitivi scandiscono la lotta. È un tipo di danza diversa dalla “pizzica tarantata”, dove la malattia provocata dal morso di una tarantola può essere guarita dalla musica, dalla danza e dai colori. Ed è altra cosa dalla “pizzica de core”, danza di corteggiamento tra uomo e donna.

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*etnomusicologo, componente del Comitato scientifico Fondazione Notte di San Rocco

Su quello spazio consacrato dal pulsare ritmato dei tamburelli e dalla danza degli schermidori, vive il rito autentico della “danza delle spade”. La ronda è il cerchio magico che rappresenta l’unità al suono ritmico del “divino” tamburello. La presenza di San Rocco, santo taumaturgo, non è casuale nell’intero sistema. San Rocco, il santo venerato a Torrepaduli, è dotato di un potere taumaturgico, che secondo la tradizione si manifesta mediante il segno della croce. *socio fondatore Fondazione Notte di San Rocco, autore de “La Pizzica Scherma di Torrepaduli. San Rocco, la Festa, il Mito, il Santuario”, Lupo Editore, 2007

// IL MORSO SUL COLLO Per chi non si accontenta di “vivere” il morso della taranta per una sola sera, ma lo voglia portare sempre addosso, segnaliamo l’iniziativa di “Arte&Gioielli Panzeri”, una gioielleria di Collepasso (amministratore, Giorgio Panzeri, 34 anni), che ha inventato “tarantula”, il gioiello della Notte della Taranta. Sottoscrivendo un protocollo d’intesa con l’istituto Diego Carpitella, proprietario del logo “Notte della Taranta”, Panzeri ha ottenuto la possibilità di utilizzarlo in cambio di un contributo che sarà investito dall’istituto per attività di ricerca. Il gioiello in questione è un ciondolo in argento, di lavorazione artigianale (costo, circa 20 euro) ed è solo il primo passo per un’intera collezione di gioielli. Che verrà realizzata, chissà, al prossimo morso del ragno d’agosto. il tacco d’Italia

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Pizzica, tamburello

e scherma in ronde. Chiamatela Fondazione a cura di ALINA SPIRITO

“Notte di San Rocco” Obiettivo: valorizzare il patrimonio culturale salentino. Perché ferragosto non é ferragosto senza danza delle spade

ph: Fabrizio Cirfiera

La “danza delle spade” nel piccolo centro salentino di Torrepaduli è un fenomeno unico, che si ripropone in pieno ferragosto d’ogni anno in un turbine di luci, scenari suggestivi e note musicali della più antica tradizione del sud Salento. La Fondazione “Notte di san Rocco – Pizzica, Tamburello, Scherma in Ronde” si innesta a pieno titolo in uno scenario tanto antico quanto sempre vivo, le cui radici affondano nel territorio dei Comuni di Ruffano, Montesano Salentino, Miggiano e Specchia, che ritrovano nella storia centenaria del culto e della tradizione di San Rocco di Torrepaduli, con particolare riferimento alla “danza delle spade”, espressione saliente della propria cul-

tura. La Fondazione nasce per valorizzare l’identità dei luoghi e delle tradizioni che ruotano intorno al culto di San Rocco, recuperare, tutelare e conservare ogni manifestazione volta a salvaguardare il patrimonio delle tradizioni popolari del Salento intero, favorire sinergie tra Istituzioni e imprenditori per la creazione e fruizione di servizi integrati nel settore turistico-ricettivo, incentivare la creatività giovanile con l’istituzione di un premio di tesi di laurea. Una sfida culturale, insomma. Una sfida lanciata alle stelle di una delle più magiche notti salentine.


Una grande idea di cultura. Senza timori

Pasquale Gaetani, presidente Fondazione “Notte di San Rocco – pizzica, tamburello, scherma in ronde” Presidente, lei ha fortemente voluto la nascita della Fondazione “Notte di san Rocco – pizzica, tamburello, scherma in ronde”. E’ stato un iter difficile? “Per chi come me è nato a RuffanoTorrepaduli e vi ha svolto tutte le sue forme di impegno sociale e politico, è motivo di grande

La pizzica “scientificamente”

Vincenzo Corona, direttore generale Fondazione “Notte di San Rocco - pizzica, tamburello, scherma in ronde”

Direttore, la Fondazione è finalmente nata. Come si articolerà la sua attività? “La Fondazione deve essere soltanto il punto di partenza, e non certo di arrivo, degli impulsi e dei fermenti culturali dai quali ha preso vita. Del resto, l’articolazione operativa che il Consiglio di Amministrazione ha da subito voluto dare consente di guardare avanti con positività e propositività. All’azione operativa si affianca un altrettanto importante momento scientifico, di studio e di

orgoglio personale essere giunti, finalmente, alla costituzione della Fondazione Notte di San Rocco, che, lungi dalla retorica, rappresenta per la nostra collettività una vera e propria conquista. La Provincia di Lecce, nella persona del presidente Pellegrino, ha sempre sostenuto e supportato l’iniziativa, al di là di qualsiasi contrapposizione politica. Questo ci rende orgogliosi e ci fa convincere ancor di più che il cammino che abbiamo intrapreso è un cammino giusto, un cammino fondamentale per la crescita e lo sviluppo di Ruffano, un cammino di cui avverte il bisogno non soltanto il Sud Salento, ma l’intera nostra provincia e l’intero Grande Salento”. Quali obiettivi si prefigge la Fondazione Notte di san Rocco? “Tutelare l’identità culturale delle terre di Ruffano, Montesano Salentino, Miggiano e Specchia, che, con particolare riferimento alla ‘danza delle spade’, rappresentano antica espressione della tradizione popolare di tutto il sud-Salento. La neo costituita organizzazione vuole offrire contenuti complementari di assoluto fascino, promuovendo la salvaguardia della

nostra cultura, la nascita di servizi integrati in materia di turismo, d’impresa, di istituzioni, di socialità. La Fondazione potrà, tra l’altro, ideare e sostenere progetti ed idee utili allo sviluppo culturale, anche locale, in tutte le sue manifestazioni, con particolare riguardo agli aspetti formativi e pedagogici della medesima”. Come si pone la Fondazione Notte di san Rocco rispetto alla Notte della Taranta? “Mi fa sorridere, ma, talvolta, anche dispiacere, il tentativo di strumentalizzare la nostra iniziativa attraverso l’inutile contrapposizione con la Notte della Taranta, essendo la danza scherma altra cosa rispetto alla pizzica tarantata e alla pizzica de core. Di certo si può intravedere un comune tentativo di promuovere in maniera sempre più articolata il nostro territorio, per renderlo un calendario, sempre fitto, di eventi di grande qualità. Per intanto abbiamo cominciato a dare vita a questa grande idea di cultura senza farci intimorire. Attendiamo con ansia e partecipazione il contributo di tutti, privati e rappresentanti delle istituzioni e dell’imprenditoria. Per dar ancor di più linfa vitale alla Fondazione Notte di San Rocco e, quindi, al Salento”.

elaborazione culturale imperniati su un comitato scientifico di assoluto spessore che ha già in animo l’organizzazione di numerosi convegni e incontri tesi ad elevare il dibattito sul tarantismo. E poi c’è in animo l’idea di legare queste situazioni alla promozione del territorio, attraverso la creazione di itinerari turistici che, di concerto con gli operatori specializzati, possano attrarre vacanzieri dall’Italia e dall’Europa, innalzando al contempo la qualità della nostra offerta”. Esiste la competizione tra la Notte di San Rocco e la Notte della Taranta? “Non paragoniamo i giganti con chi è appena nato… Non esiste alcuna competizione, tutt’altro... Personalmente avverto l’obbligo di dire che ciò che è stato fatto nella Grecìa Salentina è una straordinaria azione integrata di marketing territoriale, come poche in Italia e in Europa. Bisogna darne atto a quegli amministratori, così lungimiranti e così perseveranti nella loro azione politica e amministrativa. Noi speriamo che, dal punto di vista contenutistico, l’evento di Torrepaduli, radicato nella storia delle nostre genti e nell’immaginario di tanti turisti che accorrono nei giorni della festa di San Rocco, possa trovare una veste di qualità, una matrice culturale ed una cornice d’accoglienza”.

Si accende, insomma, un’altra stella nel firmamento degli eventi salentini? “Già, pensavo proprio a questo… Notte della Taranta, Notte della Focara di Sant’Antonio, Notte Bianca…e adesso anche Notte di San Rocco. E’ come se si accendessero tante stelle nella notte salentina. Vorremmo per davvero dare un contributo importante alla crescita della quota culturale del territorio e crediamo che con la nascita della Fondazione, l’intero Basso Salento possa avere un punto di riferimento intorno al quale far ruotare iniziative, proposte e progetti”.

Pubbliredazionale a cura di

Pasquale Gaetani e Vincenzo Corona, rispettivamente presidente e direttore generale della Fondazione “Notte di san Rocco – pizzica, tamburello, scherma in ronde”, tracciano l’identità della fondazione e delineano le peculiarità della tanto attesa festa del 15 agosto.

UN PREMIO PER CHI STUDIA IL PATRIMONIO CULTURALE L’invito di Susanna Tornesello, storica d’arte “Siamo particolarmente orgogliosi della istituzione del premio annuale di laurea, un concorso dedicato a tutti quegli elaborati che approfondiscano i vari aspetti del patrimonio culturale salentino, dal punto di vista storico-antropologico, etnomusicale, artistico ed iconografico. Il bando verrà diffuso sul territorio nazionale entro giugno 2009: ai tre vincitori scelti dalla commissione verranno assegnati premi in denaro; il primo classificato verrà premiato anche con la pubblicazione della tesi. Inoltre, tutti i contribuiti inediti inviati alla Fondazione saranno archiviati in un fondo speciale aperto alla consultazione di studenti e ricercatori. E’ nostro desiderio che questo premio possa rappresentare un incoraggiamento a tutti i giovani studiosi che, tra mille difficoltà e spesso l’indifferenza delle istituzioni, decidono di dedicarsi alla studio e alla tutela del patrimonio artistico e culturale salentino. L’invito è aperto: ora attendiamo i vostri contributi”.

ph: Fabrizio Cirfiera


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Il “disco per l’estate” dei vip salentini. Tra un amore che sboccia ed un juke box che va

una rotonda sul mare,

il nostro disco di LAURA LEUZZI l.leuzzi@iltaccoditalia.info

Giuseppe Isernia, direttore sportivo Handball Italgest, Casarano “Tornerò” dei Santo California mi ricorda un’estate degli anni ’70; il brano in sé non era niente di particolare, ma il periodo in cui la ascoltavo era magico: erano i tempi dei primi incontri in spiaggia che sparivano al calar del sole. Non potrò mai dimenticare i falò con le chitarre e le canzoni di Roberto Vecchioni; la mia preferita era “Luci a San Siro”. Mi ricordo i tentativi disperati di noi ragazzi, appena 18enni, di cucinare qualcosa alla brace che poi rimaneva puntualmente cruda oppure aveva il sapore della sabbia.

che suona Pensieri e canzoni. Un juke box a gettoni, una gita in macchina, l’ultimo Lp sul giradischi. Pochi ingredienti e l’estate è fatta. I ricordi estivi hanno un sapore particolare, avvolti, come sono, da un misto di nostalgia e senso di libertà; accompagnati a braccetto da canzoni che non è facile dimenticare, quei motivetti che, a volte, non hanno un particolare pregio se non quello di riportare alla mente sensazioni care. Bastano le prime note di un ritornello per farle riaffiorare alla memoria. Spesso sono emozioni provate nell’età della spensieratezza, l’adolescenza, ma non solo: amori passati, durati il tempo di una vacanza, ma intensi come il solleone sotto il quale si sono consumati; viaggi alla scoperta di terre sconosciute; momenti semplici eppure indimenticabili come il primo concerto della vita. Abbiamo chiesto a volti noti salentini quale sia la colonna sonora della loro estate, ovvero la canzone che, ancora oggi, li porta indietro fino a quel ricordo estivo che custodiscono gelosamente. Questi ci hanno raccontato le memorie più diverse. Unico filo conduttore: quel misto di nostalgia e libertà, appunto, che solo l’estate si porta dietro.

Lisella Dal Porto, amministratrice Pralina Srl Melpignano, Modena

Antonella Perrone, segretaria confederale Cgil, Morciano di Leuca “Minuetto” di Mia Martini mi riporta all’estate dei miei 14 anni. Ho piacevolissimi ricordi legati a quella canzone: la spensieratezza, le prime amicizie, quel senso di libertà di fine scuola, le mie vacanze a Torre Vado, uno dei posti più belli al mondo, la sensazione di essere invincibile, i giri sui motorini, lo stabilimento storico di Lido Venere, che per me significherà per sempre rapporti umani autentici.

Ettore Bambi, presidente Commissione provinciale per l’emersione del lavoro nero, Lecce Due canzoni hanno contraddistinto le mie estati. La prima è “Piccolo grande amore” di Claudio Baglioni, che mi ricorda la mia prima storia d’amore “ufficiale”, a 14 anni. Fu un amore molto puro, legato ad una fase bellissima della mia vita, ai falò sulla spiaggia e alla spensieratezza di quell’età. La seconda canzone è “L’isola di Wight” dei Dik Dik, legata all’estate del 1972, quando, a 16 anni, attraversavo il mio periodo “figlio dei fiori”. Trascorsi quell’estate in Inghilterra ospite di una famiglia e tornai a casa completamente cambiato, con in testa le idee della contestazione.

A 18 anni andai in campeggio, per la prima volta, con delle amiche, a Cesenatico, poco lontano da casa. Era il 1970. Eravamo cinque donne in una macchina (solo la più grande di noi aveva la patente) ed in una tenda canadese da quattro posti! Nel juke box di quella spiaggia risuonava la canzone di Patty Pravo “Pazza idea”. Per me fu invece la colonna sonora di un incontro; infatti facemmo amicizia con i vicini di tenda, dei ragazzi di Genova, e da lì nacque una bella simpatia che andò avanti per i APPROFONDIMENTI dieci giorni di www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=5013 vacanza.


Antonio Marra,

Antonio

FABBIANO: “Un’amica inserì una monetina nel juke box scegliendo ‘Alba chiara’ di Vasco Rossi come colonna sonora di quel pomeriggio. Ci mettemmo a cantarla. E proprio quando arrivammo al ritornello, alle nostre voci

SI UNÌ QUELLA DI VASCO ROSSI IN PERSONA” Lamberto Coppola, sessuologo e fisiopatologo della riproduzione, Gallipoli Ho trascorso tutte le estati della mia giovinezza al Lido San Giovanni di Gallipoli. Due canzoni, in particolare, mi sono rimaste nel cuore. La prima è “Senza luce” dei Dik Dik. Erano i meravigliosi anni ’60 ed io avevo circa 18 anni; subii la partenza di un amore estivo, un distacco che mi faceva ancora più male dal momento che sanciva anche la fine dell’estate. A quei tempi si usciva a piedi e si tornava a casa all’una e mezza, anche d’estate. Un’altra canzone, “L’estate sta finendo” dei Righeira, mi riporta all’estate di qualche anno dopo, quando già lavoravo come medico; la associo alla sensazione di malinconia che caratterizza la fine del periodo estivo.

batterista “Notte della Taranta”, Melendugno Non dimenticherò mai l’estate del 1986: a 16 anni andai per la prima volta ad un concerto a San Siro. Era il primo concerto in Italia di Bruce Springsteen, ai tempi dell’album “Born in the Usa”. Fu un concerto “sudato” perché dovetti insistere a lungo prima di convincere i miei genitori a mandarmici; fu troppo forte l’emozione di prendere il treno assieme al mio amico, l’ansia durante il tragitto, l’avventura dell’acquisto del biglietto per corrispondenza, la fila estenuante al botteghino, l’attesa di dieci ore perché il concerto avesse inizio e poi la indescrivibile esplosione del concerto; quattro ore di pura emozione. Rimasi folgorato da quello spettacolo. Bruce Springsteen resterà per sempre la colonna sonora della mia estate.

Vincenzo Corona, direttore generale Fondazione Notte di San Rocco, Lecce “Bruci la città” di Irene Grandi è stata il leit motiv delle mie vacanze dell’anno scorso. Come al solito troppo brevi, anche se fortunatamente intense. Voglio tenermi stretta stretta quella canzone perché voglio considerarla la colonna sonora di un nuovo inizio, di una seconda possibilità di vita, di nuovi equilibri, di nuove armonie, di nuove consonanze. Non posso proprio dire perché, però posso dire che quella canzone mi ricorda tende bianche che prendono vento, brezze pomeridiane, semi di anguria incastonati in lunghe fette rosse.

Antonio Fabbiano, commercialista e consulente aziendale, presidente Acas, Associazione commercianti, artigiani e servizi, Casarano

Roberto Tanisi, magistrato Corte d’Appello, Taviano “The sound of silence” di Simon & Garfunkel, colonna sonora del film “Il laureato” con Dustin Hoffman, mi fa provare ancora oggi l’emozione per tutte le esperienze che, da adolescente, vivevo per la prima volta. Un’altra canzone che lego a bei ricordi è “Senza luce” dei Procol Harum. Avevo 14 anni quando la ascoltavo. Erano gli anni della contestazione giovanile, della voglia di affacciarsi alla vita, di vivere tutto quello che c’era da vivere, avendo la consapevolezza di trovarsi in un’epoca che sarebbe stata ricordata per sempre.

Marzia Farlò, ginnasta (campionessa italiana nel ’99; terzo posto al campionato nazionale del 2007), San Donato “Nuvole e lenzuola” dei Negroamaro mi ricorda la scorsa estate. L’ho trascorsa in giro con i miei amici per le spiagge di Torre Dell’Orso. Eravamo in spiaggia ogni giorno, respirando quelle sensazioni di libertà e di serenità che, con la giusta compagnia, diventano ancora più piacevoli.

Avevo 15 anni nel 1982. Nel lido Stella marina, nella marina di Ugento, c’erano ancora i juke box anni ’70. Una mia amica inserì una monetina scegliendo “Alba chiara” di Vasco Rossi come colonna sonora di quel pomeriggio. Insieme ci mettemmo a cantarla. E proprio quando arrivammo al ritornello, alle nostre voci si unì quella di Vasco Rossi in persona. Fu incredibile, eppure vero: quella sera, lui e la sua band avevano un concerto ad Otranto e, di passaggio da quel lido, sentirono il loro pezzo e si fermarono. A quei tempi Vasco Rossi si spostava su vecchie Volvo station wagon dai colori shocking targate “Reggio Emilia” tutte ammaccate e ricolme di strumenti musicali. Furono solo pochi minuti, ma sufficienti per dare senso ad un’estate intera.

Loredana Capone, vicepresidente e assessora alle Pari opportunità, Provincia di Lecce Tra le canzoni simbolo di estati passate quella che mi ha più colpita è stata “Gianna” di Rino Gaetano. Ciò sicuramente per l’età che avevo in quel momento, frizzante, piena di gioia, di amicizia e di tanta spensieratezza. Ma anche perché mi piaceva Rino Gaetano per la sua ironia giocosa. Che peccato la sua scomparsa!



Andrea Tinelli,

Stefania Semeraro,

ginecologo ospedale “Vito Fazzi”, Lecce La colonna sonora di una mia estate trascorsa è “But I still haven’t found what I’m looking for” (“Non ho ancora trovato ciò che sto cercando”), degli U2. Mi ricorda lo splendido periodo del 1993, quando frequentavo i corsi presso la “Cliniques Universitaires Saint-Luc”, facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Louvain, a Bruxelles, con il Progetto Erasmus. Assieme ad un gruppo di ricercatori e studenti andammo al concerto di Bono & Company, per il Zooropa Tour. Era da poco caduto il Muro di Berlino e il tour portava in giro come coreografia una enorme colonna di vecchie Trabant, auto di plastica dell’ex Unione Sovietica, dietro il palco. Noi finimmo sotto il palco, con 60mila persone alle spalle che cantavano e ballavano in un enorme parco fuori Bruxelles. Fu un concerto memorabile; Bono iniziò l’esibizione cantando “a cappella” assieme a tutti noi quella mitica canzone.

consigliera di amministrazione, Università di Lecce La mia estate 2007 è stata pervasa da “Ovunque proteggi” l’intero album di Vinicio Capossela... Del resto, sempre c’è stato da proteggersi e da proteggere, e sempre il sole è sorto su distese di terre tali da doversi indicare come “Ovunque”.

Antonio Lezzi, direttore Morgan School, Casarano Lego la canzone “Born in the Usa” ad un viaggio in Usa, durato due mesi, che ho fatto nel 2000. Quel viaggio oggi assume un senso ancor più importante dal momento che ho avuto il privilegio di vedere immagini che sono ormai precluse a molti: lo skyline di New York che, allora, includeva le torri gemelle. Oggi apprezzo, ancora più di allora, l’esperienza di essere salito sulle torri, di essermi fermato lì a pranzare e di aver ascoltato, intanto, quel pezzo di Springsteen. Ma c’è un altro ricordo musicale che mi ritorna spesso alla mente; era fine estate 1996; io ero appena arrivato a Londra, dove mi sarei trattenuto cinque anni per motivi di studio. Sentii per la prima volta in un pub inglese una canzone dei Beatles. Non ricordo di quale canzone si trattasse, ma da quel momento nacque in me la passione per il gruppo inglese.

Maria Teresa Merico, presidente Centro studi sul tarantismo, Galatina Tante canzoni mi ricordano bei momenti trascorsi in spensieratezza quando avevo 14 anni o poco più. Lucio Battisti era un must; ascoltavo con piacere “Ancora tu”, “Pensieri e parole”. Ma ci sono anche due canzoni dei Pooh, un gruppo che oggi detesto, che mi portano alla mente bei ricordi: si tratta di “Piccola Ketty” e “Tanta voglia di lei”. Inoltre ascoltavo (era sempre in radio!) “Piccolo grande amore” di Claudio Baglioni. Questa è la mia personale compilation delle estati da adolescente, ai tempi delle feste in casa, di sera tardi, quando l’intero condominio già dormiva. Noi amici ci mettevamo a suonare la chitarre ed i vicini ci mandavano via.

Fabrizio Marra, avvocato, segretario cittadino Pd, Lecce Ricordo con immenso piacere l’estate di due anni fa, la prima estate di mia figlia Alessia. Scandita dalle note della canzone “Estate” dei Negroamaro, che mi riporta alla mente anche quel senso di spensieratezza tipico del periodo estivo che purtroppo si va perdendo di anno in anno (le mie ferie durano al massimo due settimane!).

Roberta Mazzotta, amministratrice Roma Multiservizi, Lecce La canzone che fa partire la mia mente in vacanza con l’arrivo dell’estate è “Un’estate fa” di Califano cantata da Mina. “Un’estate fa non c’eri che tu... Ma l’estate somiglia a un gioco, è stupenda ma dura poco”. Era tutto un gioco, almeno così credevo, nell’estate del 2003; io ero l’amante dell’uomo che poi è diventato mio marito. Strana la vita vero?

Leda Schirinzi, medico, ufficiale sanitario, consigliera comunale “Casarano amica”, Casarano Il primo album di Franco Battiato, “On a solitary beach”, per me è l’essenza dell’estate; mi ricorda bei momenti trascorsi con chi non c’è più. Era l’estate dopo la laurea, l’anno in cui l’Italia vinse i mondiali. Con un gruppo di amici facevamo gite al mare a bordo di una Renault 4 color crema; cantavamo quella canzone tutti insieme a squarciagola; la mia amica, che conosceva a memoria tutte le parole, era stonata come una campana! Le spiagge di San Giovanni allora erano inesplorate, per cui nelle nostre gite vi era anche l’emozione della scoperta.



//Libri //Consigli //Letture sotto l’ombrellone MICHELE BECCARINI, DONNA DI SOLE, DI MARE, DI VENTO, LUPO EDITORE di MARCO SARCINELLA m.sarcinella@iltaccoditalia.info

WALTER SPENNATO, PICCOLI OMICIDI DEL CAZZO, BESA, 2008 Piccoli omicidi del cazzo è una mitragliata di storie brevi in forma di proiettili letterari, dove i disegni di Laurina Paperina, ispirati ad alcuni racconti, sono le divertenti ferite che continuano a sanguinare nella memoria remota del lettore. Nel titolo di ogni short stories è contenuta la piccola verità che seguirà; la sintesi della scena assurdamente reale che verrà letta. Tutte scene di ordinaria follia metropolitana. O necropolitana. Ci sono memorie immaginate, dialoghi futuribili, sillabe istantanee che inchiodano alla risata fulminea. Tutto si sdipana in un fluire microscopico delle vite altrui. Sono pezzi di mondi che rappresentano le visioni deliranti della società cui siamo stati prestati nostro malgrado. Gli acuti punti di vista dell’autore non tralasciano mai il velo di malinconia ridente che avvolge le esistenze dei suoi eroici antieroi. Piccoli omicidi del cazzo di Walter Spennato è dunque una raccolta di racconti che è la torta in faccia, invece che a fettine bene educate sul piatto con l’orlo d’oro. E – avverte Anna Mazzamauro nella prefazione – se cerchi di essere rassicurato dalla lettura, sarai invece provocato. Supponi di essere lui, e ti sentirai libero.

“Donna di sole, di mare, di vento” è un breve romanzo, edito da Lupo, in cui il giovane autore, Michele Baccarini, di origini emiliane ma adottato dal Salento, ripercorre i frammenti mnemonici di una intensa storia d’amore vissuta con una donna dai ricci neri. L’incontro sul treno del mattino dà avvio ad una relazione travolgente in cui il darsi l’uno all’altro assume i tratti della totalità, significando anche l’incontro con una terra lontana: quel Sud di cui lei è figlia e che le illumina il volto e le fa cambiare voce, espressione, intensità ogni volta che ne parla. La relazione si interrompe bruscamente, in un momento di debolezza, ma l’attrazione resta e con essa i rimorsi e la sensazione di essere ad un punto di non ritorno a cui però non ci si vuole rassegnare. I due si rivedono così a distanza di due anni dal loro primo incontro, ma la donna dai ricci neri ha costruito un muro intorno a sé, un muro basso, di pietre, come quelli che dividono i poderi nella sua terra e la durezza del suo negarsi rivela appieno il suo carattere senza mezze misure. “Se dovessi descriverla in una sola parola penso sceglierei femmina - scrive l’autore-. Femmina ha qualcosa di più…E’, soprattutto, avere un modo tuo, particolare, di riuscire a farti desiderare, di saper lasciare ad un uomo la sensazione che quando vuoi sai non concederti tutta, aumentandogli la voglia che ha di te. A lei questo, se l’uomo sono io, riesce bene”. Riflessioni come questa intercalano la memoria degli istanti vissuti, delle emozioni, delle piccole cose e dei piccoli gesti che riaffiorano con tutto il loro carico di nostalgie e rimpianti. L’amore si rivela in tutta la sua forza e nell’impossibilità di recidere un legame che sembra spingersi al di là del tempo, ed è proprio la sensazione che tutto sia cambiato da quell’incontro a spingere l’autore a intraprendere un viaggio al Sud, per scoprire i luoghi che lei tante volte gli ha descritto, ai quali è unita da un legame viscerale, per incontrare la sua anima, rinnovando la magia dei primi momenti.



// Opinioni dal Tacco teRzo GRado di FRANCESCO RIA

steFania manduRino

f.ria@iltaccoditalia.info

Lo scorso anno è stato forse quello migliore per il turismo salentino. Sarà possibile ripeterlo? “E’ ancora presto per dirlo. Il nostro sistema di rivelazione, però, indica come nei primi cinque mesi dell’anno ci sia una crescita di presenze e arrivi di circa il 5%. A giugno, invece, abbiamo registrato un più 3% rispetto allo stesso mese del 2007: in particolare continuano a tirare Otranto e il Comune capoluogo, Lecce”. Quindi sembra che la crisi economica non stia influendo più di tanto sul flusso di turisti. “Parlare di crescita confrontandola con i dati dello scorso anno e, soprattutto, con la crisi complessiva dei consumi, è una tendenza positiva di tutto rispetto. Ovviamente non possiamo sperare di ripetere il successo del 2007, ma la competitività con gli altri territori serve per migliorare la nostra offerta. Luglio e agosto sono i mesi di maggiore concentrazione: nel mese di agosto, infatti, abbiamo avuto circa il 50% degli arrivi e il 70% delle presenze, ma il Salento non è solo un “prodotto balneare”, si sta caratterizzando sempre di più come territorio culturale”. E la famosa destagionalizzazione tanto propagandata dalla politica? “Il alcuni mesi non di alta stagione, nel 2007, abbiamo avuto una crescita anche del 30-40%. E’ un percorso che sta avvenendo quello di destagionalizzare le presenze e il Salento piace sempre di più. In particolare sono molto apprezzati Lecce, Leuca, Otranto, ma anche i piccoli borghi dell’entroterra che sono belli da visitare in ogni mese dell’anno. E per questo stiamo lavorando tanto cercando di valorizzare il nostro patrimonio paesaggistico”. Ma due euro per un caffè in spiaggia non aiutano. Si ha come l’impressione che gli operatori approfittino per lucrare sui turisti. “Esiste anche questo problema, purtroppo. Tant’è vero che l’assessorato regionale sta attivando un osservatorio a tal proposito. Ma va anche detto che non siamo più cari degli altri: soprattutto per ciò che riguarda la ristorazione, ad esempio. O per pernottare esistono delle condizioni veramente vantaggiose. Certo, ci sono delle situazioni, in Italia e nel Mediterraneo, più convenienti, ma è vero anche che non possiamo pretendere di confrontarci con territori diversi dal nostro”.

Stefania Mandurino, amministratrice Elios tours, Commissaria Apt, componente giunta nazionale Federturismo, del consiglio direttivo Assotravel, del Cnel (Consiglio nazionale economia lavoro). E’ presidente del comitato femminile plurale di Confindustria Puglia

A che cosa si riferisce in particolare? “Le nostre strutture recettive sono di piccole dimensioni e non possono usufruire delle economie di scala che può avere una struttura con mille posti letto. Questa è una scelta che abbiamo fatto come territorio che pagherà in futuro. Anzi, sta già pagando”. Quindi meglio il parco naturale del grande villaggio turistico? “Si. Assolutamente penso questo. Anche se credo si debbano trovare, come sempre, i giusti compromessi. Faccio un esempio: in una classifica redatta da alcuni giornali inglesi tra le dieci spiagge al mondo più amate dagli inglesi non è presente nessuna salentina. Poi ho visto che l’unica località italiana in questa graduatoria è Rimini e tutte le altre sono comunque realtà da turismo di massa. E sono stata contenta di non comparire in questa classifica perché non è questo il nostro modello. Non ci interessano i turisti che si ubriacano a Corfù: il nostro è un modello più di nicchia, culturalmente rilevante”. il tacco d’Italia

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Agosto 2008


//Controcanto

di NUNZIO PACELLA*

i numeRi di un popolo di FoRmicHe. un “monitoR” sul tuRismo IN SALENTO IL TURISMO NON È SOLO QUESTIONE DI NUMERI, CHE PURE SONO POSITIVI. E’ TUTELA DEL TERRITORIO, VALORIZZAZIONE DEI CENTRI STORICI E ALLO STESSO TEMPO DEI LIDI, CHE NON SONO GLAMOUR, SECONDO LA CLASSIFICA DEL TIMES, MA SONO DORATI E ANCORA INTATTI

C’

C’è il gusto di parlare di turismo sotto l’ombrellone. C’è il piacere di percepire sensazioni su chi c’è e chi non c’è, chi è arrivato, chi arriverà. È un turista italiano o straniero. È lombardo o barese. È americano o giapponese. Chissà! Certo è che in troppi d’estate parlano di vacanze e sono pronti a scommettere sulle bontà della loro ricetta per far crescere i flussi turistici nel Salento. Accade così ogni anno che si danno i “numeri” quando i numeri, ancora, non ci sono. I numeri, quelli veri, sono dati dagli ospiti in vacanza registrati degli albergatori delle strutture ricettive, raccolti ed elaborati dall’Azienda di Promozione Turistica della Provincia di Lecce. Quei numeri arriveranno solo più tardi. Allora, la musica cambia. Le Cassandre del turismo si nascondono. Le cicale non cantano più. Il “popolo” delle formiche ha vinto ancora una volta. Nel business del turismo le parole contano molto poco. Conta piuttosto il movimento turistico espresso in arrivi e presenze degli aziende del settore ricettivo. Nel 2007 gli arrivi sono stati 662.630, le presenze 3.609.469. Gli italiani arrivati nel Salento sono stati 574.791 (+ 10,83%), gli stranieri 87.839 (+22,91%). L’incremento complessivo degli arrivi (italiani e stranieri) rispetto al 2006 è stato del 12,29% mentre quello delle presenze del 12,39%. Gli italiani sono arrivati nel Salento dalle altre province della Puglia (22,22%), Campania (11,42%), Lazio (11,37%), Lombardia (10,20%), Emilia Romagna ( 5,58%) e Veneto (3,85%); gli stranieri da Germania (3,43%), Francia (1,86%), Svizzera (1,33%) e Regno Unito (0.99%).

Il bilancio del turismo salentino nel 2007 è stato più che positivo. In Puglia, la performance salentina è di gran lunga superiore a quella delle altre province. Il Salento corre. Ha preso il largo. Naviga in acque tranquille. E quest’anno? Stessa spiaggia, stesso mare cristallino dove sventolano vele e bandiere blu. Certo, le spiagge salentine non sono glamour come quelle della classifica stilata dal Times, ma non sono sicuramente artificiali. Guai a toccare quella sabbia dorata. Allora, tutto come l’anno scorso? Le vacanze quest’anno sono più austere. Gli italiani tirano la cinghia e si accontentano di vacanze domestiche, come dire una “vacanza a casa” (staycation). Gli stranieri valutano le proposte e scelgono vacanze più a buon prezzo. I numeri per stimare una crescita anche nel 2008 ci sono. Il progetto “Monitor – Trend previsionale del movimento turistico nel Salento” elaborato dall’Apt di Lecce in collaborazione con gli operatori turistici che osserva la domanda turistica tendenziale nelle diverse tipologie di strutture ricettive in prossimità delle festività, dei “ponti” ed in altri periodi di rilevanza turistica come i mesi estivi, registra nel mese di giugno un incremento, non omogeneo a livello territoriale, che dovrebbe assestarsi tra il 3 e il 5%. Ottime le performance dei bed & breakfast del centro storico di Lecce, dei villaggi della costa otrantina, jonica e degli alberghi del Capo di Leuca e Santa Cesarea Terme. Il successo è in mano alle aziende del turismo che hanno migliorato il rapporto qualità/prezzo e valorizzato la politica di prodotto attenta ai servizi turistici e ad una maggiore efficienza. “Monitor” prevede un buon afflusso anche in luglio e agosto. *giornalista, addetto stampa Apt di Lecce il tacco d’Italia

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Agosto 2008

CHI HA FIRMATO CONTROCANTO

Vincenzo Magistà Direttore “TgNorba”

Rosanna Metrangolo Caporedattore “Nuovo Quotidiano di Puglia”

Marco Renna “Studio 100 Lecce”

Mimmo Pavone Direttore responsabile “Il Paese nuovo”

Vincenzo Maruccio Giornalista “Nuovo Quotidiano di Puglia”

Tonio Tondo Inviato “La Gazzetta del Mezzogiorno”

Roberto Guido Direttore “quiSalento”

Lino De Matteis caposervizio “Nuovo Quotidiano di Puglia”, vicepresidente regionale Assostampa

Renato Moro capocronista “Nuovo Quotidiano di Puglia”

Gabriella Della Monaca coordinatore TG NORBA GRANDE SALENTO

Luisa Ruggio redattrice Canale8, scrittrice

Walter Baldacconi direttore responsabile Tg Studio 100

Paola Ancora Addetta stampa Ministero delle Politiche agricole

Michele Mauri Direttore editoriale L’ATV

Antonio Silvestri giornalista, addetto stampa Inps Lecce

Dionisio Ciccarese Presidente Homepage Group, società di consulenza di comunicazione strategica ed editrice di grandi giornali e siti internet




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