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// L’Editoriale

L’Editoriale

di Maria Luisa Mastrogiovanni

L’ecLissi deLLa LegaLità

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Dai giornali e dall’esperienza quotidiana ciascuno di noi fa esperienza dell’eclissi della legalità nel nostro paese. E’ in aumento (fonte Dna, rapporto 2008) la criminalità organizzata, fornita di ingenti mezzi finanziari e di collusive protezioni, che spadroneggia in varie zone del Paese, impone la sua “legge” e il suo potere, attenta alle libertà fondamentali dei cittadini, condiziona l’economia del territorio e le libere iniziative dei singoli, fino a proporsi, talvolta, come Stato di fatto alternativo a quello di diritto. Non meno inquietante è poi la nuova criminalità così detta dei “colletti bianchi”, che volge a illecito profitto la funzione di autorità di cui è investita, impone tangenti a chi chiede anche ciò che gli è dovuto, realizza collusioni con gruppi di potere occulti e asserve la pubblica amministrazione a interessi di parte. Le risposte istituzionali sembrano spesso troppo deboli e confuse, talvolta meramente declamatorie, con il rischio di rendere la coscienza civile sempre più opaca. Manca quella mobilitazione delle coscienze che, insieme ad un’efficace azione istituzionale, può frenare e ridurre il fenomeno criminoso. Non vi è solo paura, ma spesso anche omertà; non si dà solo disimpegno, ma anche collusione; non sempre si subisce una concussione, ma spesso si trova comoda la corruzione per ottenere ciò che altrimenti non si potrebbe avere. Non sempre si è vittima del sopruso del potente o del gruppo criminale, ma spesso si cercano più il favore che il diritto, il “comparaggio” politico o criminale che il rispetto della legge e della propria dignità. La crescita di una più viva coscienza della legalità esige che la formulazione delle leggi obbedisca innanzitutto alla tutela e alla promozione del bene comune. Ma si deve rilevare, purtroppo, una sem-

pre maggiore marginalizzazione di un’autentica azione politica. Si è portati a coltivare più l’interesse immediato dei particolarismi che il bene comune, con una conseguente gestione riduttiva della politica. Così, lo Stato è divenuto sempre più debole: affiora l’immagine di un insorgente neo-feudalesimo, in cui corporazioni e lobbies manovrano la vita pubblica, influenzano il contenuto stesso delle leggi, decise a ritagliare per il proprio tornaconto un sempre maggiore spazio di privilegio. Tutto ciò ha portato ad elevare al massimo il potere ricattatorio di chi ha una particolare forza di contrattazione, ad aumentare il numero delle leggi “particolaristiche” (cioè in favore di qualcuno) e a ridurre invece drasticamente le leggi “generali”, vanificando così le istanze di chi non ha voce né forza. Per le stesse ragioni il parlamento corre il rischio di essere ridotto a strumento di semplice ratifica di intese realizzate al suo esterno, con il conseguente impoverimento della funzione delle assemblee legislative. Ecco, ho usato questi concetti per dare una chiave di lettura dei tanti episodi che dalle pagine dei giornali locali in quest’ultimo anno ci hanno shockato. Cito in ordine sparso, tanto per dirne alcuni: il “sistema Tarantini” e le escort, l’affaire di via Brenta, l’inchiesta sull’Università di Lecce e il sistema di favori e regalìe, la richiesta di rinvio a giudizio per il ministro Raffaele Fitto (mentre andiamo in stampa ancora non è stata emessa la sentenza), i possibili legami tra il clan mafioso Padovano e una decina di amministratori e politici. Ma non sono parole mie: sono dei vescovi italiani. E non sono neanche recenti. Sono di quasi 20 anni fa. E’ la nota sull’educazione alla legalità

della Cei del 1991. Tutti concetti che tanti degli imputati eccellenti nei processi citati, ferventi cattolici, dovrebbero conoscere. Io, laica, ne sono rimasta colpita. Per la loro lucidità e perché sono parole rimaste inascoltate. Leggiamole tutti e magari cominciamo a scardinare “il sistema”. Ciascuno nel proprio metro quadrato, ciascuno con il proprio “no, non ci sto”. Un augurio questo, di buon Natale a tutti e buon anno.

il mensile del salento Anno VI - n. 65 - Dicembre 2009 Iscritta al numero 845 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 27 gennaio 2004

EDITORE: Nerò Comunicazione - Casarano - P.zza A. Diaz, 5 DIRETTORE RESPONSABILE: Maria Luisa Mastrogiovanni HANNO COLLABORATO: Mario Maffei, Laura Leuzzi, Luisa Ruggio, Enzo Schiavano, Mario De Donatis, Andrea Morrone FOTO: Dove non segnalato archivio del Tacco d’Italia REDAZIONE: p.zza Diaz, 5 - 73042 Casarano - Tel./Fax: 0833 599238 E-mail: redazione@iltaccoditalia.info PUBBLICITÁ: marketing@iltaccoditalia.info - tel. 3939801141

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di MARIO DE DONATIS m.dedonatis@iltaccoditalia.info

Le ragioni deLLa LegaLità per generare “buona vita organizzata”

In guerra, a scenari compromessi, si aprono le porte dei penitenziari per non lasciare nulla di intentato o perché non si è più nelle condizioni di sostenere le ragioni della legalità. Siamo in guerra, coinvolti in un serrato confronto per le strategie che determineranno – nei nuovi contesti geopolitici – i futuri assetti dello sviluppo globale. Non ci sono eserciti da fronteggiare, ci sono equilibri economico-finanziari da sostenere, per la pace sociale. Tanto ha portato (capisco, ma non condivido) ad aprire, con la normativa che conosciamo, ai flussi finanziari rivenienti da “operazioni malavitose” che, se vogliamo, sono di più grande impatto, in termini di pericolosità sociale, di quelle riconducibili alla semplice “evasione fiscale”. La situazione è grave, molto grave, testimoniata, peraltro, dal fatto che gli stessi ambienti che, inizialmente hanno denunciato la posizione governativa si sono distinti, poi, nell’indicare le priorità per la destinazione d’uso dei proventi. Le ragioni dell’emergenza sociale hanno prevalso su quelle della legalità. Si è imposta la terapia per tenere sotto controllo la sintomatologia, che ha confer-

mato la propensione del Governo a sottovalutare il “quadro clinico” ed a differire, nel tempo, le riforme strutturali, per il superamento delle patologie. Di queste cose si è occupata, al contrario, la Banca d’Italia che, con il recente “Convegno sul Mezzogiorno” ha segnalato una propensione della classe politica a cogliere più le opportunità per mantenere inalterato il consenso che a spendere per le politiche di sviluppo, in un contesto caratterizzato da un “deficit di capitale sociale”. Ed è questo il merito della Banca d’Italia: aver acceso i riflettori sul deficit di “capitale sociale” nel Mezzogiorno, che impone una nuova strategia per lo sviluppo di quest’area. Una strategia che intervenga per consolidare la cittadinanza attiva, isolando i fattori del sottosviluppo culturale che hanno portato alla connivenza tra “malavita organizzata” e “colletti bianchi”; connivenze che non possono essere unicamente sconfitte dall’azione meritoria dell’Antimafia, ma da un profondo rinnovamento. Si impone un più forte raccordo tra cultura e politica per dar vita alla “buona vita organizzata”, presupposto ineludibile perché “capitale sociale” e “legalità” possano rivitalizzare lo “Stato di diritto”.

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Piero Montinari, il più giovane presidente nella storia di Confindustria Lecce, è stato riconfermato fino a gennaio 2012 dai 40 componenti della Giunta, in esecuzione alla disposizione transitoria dello statuto Piero Montinari dell’Associazione degli imprenditori che prevede la possibilità di rinnovo per altri due anni del presidente uscente, evitando il macchinoso ricorso ai così detti “saggi” e la relativa nuova campagna elettorale (quella del 2004 aveva visto contrapposi ben tre candidati: Montinari, Enzo Benisi e Paride De Masi). Per dare maggiore continuità di azione la maggior parte delle associazioni hanno optato sulla formula del 3+3 e anche Lecce si è adeguata portando a sei anni (4+2) l’incarico di Montinari. Un periodo sufficiente per continuare la sua incisiva azione di rappresentanza degli interessi datoriali e per realizzare pienamente, seppure in tempi di grave recessione, il suo ambizioso piano strategico. Urge però attivare nuovi canali di dialogo con il tessuto delle piccole imprese, guardando al Salento nella sua interezza, da Gagliano a Guagnano, e superando quella sensazione da club esclusivo che allontana una parte dell’imprenditorialità salentina.

adeLcHi riapre. anzi cHiude Adelchi Sergio, patron dell’omonimo calzaturificio tricasino, è l’altra faccia dell’imprenditorialità salentina. La crisi del manifatturiero ha colpito duro ma la sua cattiva gestione dell’emergenza occupazionale è Adelchi Sergio sotto gli occhi di tutti. Destinatario nei decenni di ingenti incentivi pubblici, con alcuni incidenti di percorso con la legge 488, vista la mala parata ha portato all’estero le sue aziende e ha rapidamente espulso dal processo produttivo gli operai italiani la cui protesta è stata seguita con continuità dalla web-tv de iltaccoditalia.net. La difficile vertenza degli ultimi anni, aveva trovato un delicato punto d’intesa negli accordi assunti innanzi al Prefetto il 7 ottobre scorso. Accordi spregiudicatamente disattesi da Sergio il quale non ha mantenuto l’impegno di far partire una singola manovia, con l’incredibile spiegazione di non disporre dei soldi necessari a comprare le materie prime. Ecco come profittare della crisi per difendere cinicamente i propri privilegi. Eppure non è così per tutti: diversi calzaturifici grandi, medi e piccoli, lottano tenacemente per mantenere vive le aziende e alto l’onore del fondatore, anche attingendo ai patrimoni personali costruiti in anni di lavoro.

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Montinari. e due

CHI SALE

BOLLETTINO DEI NAVIGANTI

// Opinioni dal Tacco


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// Opinioni dal Tacco

//Questione di LooK

L’aria cHe tira

una favoLa iMMoraLe

di LUISA RUGGIO l.ruggio@iltaccoditalia.info

C’era una volta un Paese, rimasto lontano lontano, e c’era una volta un impegno alla Robin Hood raggiunto dalla società civile attraverso la raccolta firme di un milione di cittadini a favore della legge sull’uso sociale dei beni confiscati alla mafia e alla loro restituzione alla collettività. Il divieto di mettere in vendita questi beni, un giorno, fu messo in discussione dai topolini del Senato che con un emendamento e con una certa abilità nell’uso della dialettica

INDOVINA CHI E’?

La soluzione a pag. 14

e del glissaggio decisero di aggiustare il tiro e vedere di sbarcare il lunario vendendo i beni confiscati che non trovano destinazione entro tre o sei mesi. I cattivi cattivoni ne furono notevolmente agevolati, si misero una calza in testa per simulare incipienti calviVengo anch’io, non tu no. Alla lettera di Blasi, Vendola risponde con zie, giacche e cravatte e una video-lettera. Se le mandano a dire e restano tutti sulla giostra. taschini pieni di biglietti da Col rischio che siano i cittadini a scendere o ad interrompere il visita e con sorrisi da pifferaio gioco. Portandosi via il pallone. magico fecero cantare una musichetta ai loro soldini riale che piacque molto ai cattivi cattivoni incantando i salvadanai a forma di porcello camuffati a dovere per andare al mercatino dei topolini ai quali non bastavano più le dell’usato a ricomprarsi i loro beni. Ma quella risorse recuperate col Fondo Unico Giustizia. erosione ulteriore non preoccupava più di Una melodia, un tale tintinnio di monetine, tanto i topolini seduti sazi com’erano sul loro che lo Stato si arrese all’ingiustizia e all’inbel pezzo di formaggio, la risonanza delle loro cultura dell’illegalità ai quali vennero educati idee era un suono monotono e costante che i bambini durante il doposcuola Degli dimostrava la povertà di un reame pronto a Espedienti, tutti cominciarono a dare feste barattare un riscatto sociale con un favore tematiche sui più efficaci imbrogli della storia all’illecito e alla violenza. del reame, un’operazione di marketing territo-

di ENZO SCHIAVANO e.schiavano@iltaccoditalia.info

poLi scoLastici “4x3” una proposta aL coMune Casarano. Il 6 novembre scorso la giunta guidata dal sindaco Ivan De Masi ha stabilito il riordino delle scuole dell’obbligo cittadine, riducendo da quattro a tre gli istituti comprensivi. Più volte, in passato, si era cercato di porre mano alla riorganizzazione ed alla ottimizzazione della rete scolastica di Casarano, ma quei tentativi fallirono perché si erano scontrati con le esigenze e gli interessi dei diversi dirigenti scolastici, degli insegnanti e dei genitori. Anche questa volta non sono mancate le polemiche, con accuse reciproche tra i poli, le proteste dei genitori e la nascita di comitati contro la proposta. Che cosa prevede il nuovo riordino? Sostanzialmente, il Polo 4 di piazza Bastianutti viene inglobato quasi per intero dall’Istituto Comprensivo di piazza San Domenico (Polo 3), lasciando quasi intatta la struttura degli altri. Solo la scuola dell’infan-

zia di via Tagliamento viene aggregata al Polo 1 di via Ruffano per compensare la “perdita” della scuola dell’infanzia di via Capuana, passata sotto l’amministrazione dell’Istituto Comprensivo di via Messina. Le ragioni che hanno portato a questa scelta sono state chiaramente spiegate nella relativa delibera (n. 296/2009) e solo chi ha competenza in materia ha ragione di commentarle. Noi ci facciamo carico di una proposta. Data la distanza notevole tra i plessi di piazza Bastianutti e piazza S. Domenico, forse la concentrazione dei due poli si potrebbe attuare soltanto trasferendo classi e uffici che si trovano attualmente nell’edificio di piazza S. Domenico in quello di Casaranello. In questo modo si otterrebbe un vero e proprio decentramento del Polo 3 con riflessi positivi su vari fronti. Intanto, si decentra un importante polo scolastico che da tempo si il tacco d’Italia

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Dicembre 2009

tenta di spostare dal centro cittadino (forse non tutti sanno che l’edificio di via Sesia, attualmente occupato dal Liceo Scientifico, era stato costruito per trasferire l’ex scuola media di piazza S. Domenico). In questo modo, si eliminano i problemi di viabilità che ogni giorno, all’inizio e alla fine delle lezioni, si creano in un punto nevralgico del centro. In secondo luogo, l’edificio scolastico e i suoi importanti spazi esterni recintati tornerebbero nella disponibilità del Comune che li potrebbe utilizzare per altri scopi. In terzo luogo, la futura ristrutturazione della piazza rende inopportuna la presenza della scuola che viene vista come un elemento estraneo a tutto il contesto. Infine, il decentramento nella zona di Casaranello restituirebbe al Polo 3 quel legame con il proprio territorio-quartiere che non ha mai avuto.


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//Il personaggio del mese //Rocco Palese CARTA D’IDENTITÀ COGNOME: Palese NOME: Rocco NATO IL: 31 dicembre 1953 A: Acquarica del Capo OCCHI: castani CAPELLI: brizzolati STATURA: 1,69 m PESO: 67 kg TAGLIA: 44 NUMERO DI SCARPE: 40 STATO CIVILE: coniugato, con due figlie TITOLO DI STUDIO: laurea in Medicina e Chirurgia; specializzazione in Chirurgia generale ed in Chirurgia d’urgenza e Pronto Soccorso PROFESSIONE: medico CARICA POLITICA: consigliere regionale; capogruppo FI-Pdl in Consiglio regionale

Capricorno (22 dicembre 21 gennaio)

tre pianeti più il nodo lunare nel tuo segno ti rendono pienamente Capricorno. Ciò significa che sei un tipo molto pratico e molto diretto, che guarda agli obiettivi – anche ambiziosi – senza distogliere l’attenzione e senza perdere la concentrazione. Il tuo ascendente, l’Ariete, ti rende molto sicuro di te e, in alcune circostanze, anche piuttosto impulsivo. Non è un male: sei un tipo svelto che spesso si mette in mostra per la sua capacità di affermare le proprie idee. La tua vita è fatta di relazioni, che gestisci in maniera passionale, sia nella vita privata, dove in alcune circostanze ti capita di manifestarti come un po’ possessivo, sia nella vita lavorativa e politica. L’autorità che ti sei costruito negli anni, oggi ti consente di essere apprezzato per ciò che fai e considerato una figura vincente. Del resto, i tuoi successi sono alla storia. Ma più che al passato, questo è il momento di guardare al futuro. Forza, allora, perché le stelle saranno dalla tua parte. Si apre infatti per te un periodo molto fortunato, che toccherà il suo apice proprio all’arrivo della primavera. E’ dunque il momento giusto per fare progetti di ampio respiro. La tua voglia di affermazione sarà giustamente appagata. Organizza il ritorno, da leader, sulla scena. Il cielo è dalla tua.

I

TUTTO LAVORO E POLITICA Divano. Ha una nuova funzione, quella di contenere numerosissimi documenti. Meglio stare in piedi, quindi. Scrivania. E’ praticamente sommersa dalle carte Quadri. In stile surrealista, permettono di viaggiare con l’immaginazione e di allontanarsi per quanto possibile dalla quotidianità.

(per motivi di tipo familiare Rocco Palese non ha potuto aprirci le porte di casa nonostante la buona volontà dimostrata) Chiamarlo “comodino” è un po’ troppo. E’ lo studio di Rocco Palese a Bari. L’impegno in politica è talmente pressante, che lui ci trascorre l’intera giornata. Dappertutto ci sono faldoni e documenti accatastati.

Guida giuridico-normativa “Finanziaria 2008”. Da buon politico, questa guida è immancabile nella borsa di lavoro di Rocco Palese. Cartellina porta-documenti. Rigorosamente con il logo “Forza Italia”. Custodisce i documenti più urgenti.

Anche la borsa rischia l’esplosione, tanto è piena. Sempre a portata di mano sono la cartellina con il logo “Forza Italia” e la guida alla Finanziaria 2008.

SUL COMODINO E NELLA BORSA

L’OROSCOPO A CURA DI IULY FERRARI

UN MOMENTO FORTUNATO


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//Un po’ di leggerezza

a nataLe ti

perdono

SENTIMENTI POSITIVI SOTTO L’ALBERO. CHE COSA HANNO PERDONATO, E A CHI, I VOLTI NOTI DI CASA NOSTRA. ALLA RISCOPERTA, PIÙ O MENO SINCERA, DI UNA BONTÀ DIFFUSA di LAURA LEUZZI

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on è Natale senza buoni sentimenti. A volte sono solo la sottile strategia per tenere sotto scacco chi abbiamo intorno. Altre volte sono reali propositi che, tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, vengono disattesi una volta passate le feste. Uno di questi è il perdono. Puntualmente sotto l’albero ci ripromettiamo di praticarlo. A volte lo facciamo pure. Purché il torto da perdonare sia un peccato veniale e purché la persona in questione lo meriti veramente. Che cosa avete perdonato e a chi? Mentre ci pensate, ecco che cosa hanno perdonato i vip salentini. Che, guarda caso, sarà il Natale, addirittura perdonano senza legare al dito la buona azione.

Silvia Famularo, giornalista, Lecce Non perdono, dimentico. Pratico dunque una forma ancora più radicale di perdono. Considero questo lato del mio carattere una vera fortuna perché mi porta a non conservare nemmeno il ricordo dell’offesa subita. Ciò vale, naturalmente, solo per le persone a me care verso le quali non riesco a serbare rancore. Ma se subisco un torto da una persona alla quale non tengo poi tanto, allora preferisco chiudere il rapporto. Lo faccio senza continuare a nutrire sentimenti negativi. In tal modo non sento più nemmeno la ferita. Mi ritengo, tuttavia, una privilegiata perché non ho subito grossi torti tali da dovermi chiedere se perdonarli o meno.

l.leuzzi@iltaccoditalia.info

Simona Manca, vicepresidente Provincia di Lecce Non mi è mai successo di dover perdonare qualcuno perché uno dei miei limiti, purtroppo, è che dimentico subito il male ricevuto. In genere, però, faccio un po’ più di fatica a dimenticare gli atti di slealtà.

Marcello Moscara, artista, Galatina Non saprei individuare un unico grande “perdono” o una persona specifica a cui ho perdonato qualcosa. Penso che ogni giorno si perdoni qualcosa a qualcuno di piccolo o di un po’ più importante. E’ un processo mentale quasi naturale per vivere sereni.

Claudio Casciaro, consigliere di opposizione (Pdl), Casarano Nel corso della mia carriera politica e, dunque, di uomo impegnato nella società, mi è capitato spesso di essere bersaglio di maldicenza ed invidia. Non mi riferisco solo all’ultima tornata elettorale, ma ad una intera vita. Purtroppo, anche se non è una consolazione, a volte fa parte del gioco. In quei casi mi sono sforzato di ascrivere gli episodi di offesa nei miei confronti nell’ambito della competizione politica e, di conseguenza, di perdonare chi ne era stato l’autore. Come ho detto in un mio recente comizio, io ho un sogno: riuscire a sradicare la brutta pianta dell’invidia che getta solo fango su una società civile in cui tutti sono interessati al bene comune.

Ippolito Chiarello, attore, Corsano Ho imparato a perdonare, ma non per cristiana vocazione. Solo perché so, a mie spese, che l’uomo sbaglia e la donna altrettanto. Ha un bel gusto perdonare, perché apre porte nuove. E’ l’anticamera della ricerca della serenità nelle azioni. Ma non saprei dire che cosa e a chi ho perdonato. Sicuramente la prima volta che l’ho fatto è stata nel mio lavoro, ma non chiedetemi notizie più precise.


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Umberto Albanese, medico ed artista, Casarano Generalmente perdono tutti. Ciò che perdono con più fatica è l’arroganza anche se l’ho fatto, ed anche piuttosto spesso. Mi è capitato di recente di perdonare un collega che consideravo anche un amico. Anzi: io l’ho trattato da amico, mentre lui non ha fatto altrettanto. Infatti ho saputo che ha coltivato, e credo coltivi tuttora, sentimenti di invidia nei miei confronti che ha manifestato raccontando storie false sul mio conto. Probabilmente che gli davano fastidio i miei successi sul piano professionale e su quello umano ed il fatto che io sappia sfruttare al massimo le mie potenzialità. Oggi non provo più dolore per quanto successo ma ancora un po’ di delusione. Purtroppo l’invidia è un sentimento che non si può controllare e che non fa differenza d’età.

Sofia Elena Chiriatti, responsabile creativa di GPace, Calimera Io sono il miele in persona, uno zuccherino che non farebbe mai male a nessuno e perdona tutto a tutti. Infatti, nonostante la mia bontà d’animo capita che qualcuno mi faccia del male e, come si dice, si perdona ma certo non si dimentica. Sono sempre pronta a mettere da parte l’orgoglio per perdonare anche ciò che non mi garba per niente. Vi svelo un segreto che ho custodito per lungo tempo. Qualche anno fa la mia insegnante di danza mi aveva promesso che per rappresentare l’accademia che frequentavo mi avrebbe fatto partecipare ad un concorso, poi però cambiò idea e mi sostituì con un’altra allieva. Quando lo venni a sapere mi uscì fumo dalle orecchie e scappai fuori per la vergogna. Con tutto ciò, anche se non gliel’ho mai detto, le voglio lo stesso un gran bene e comprendo che forse ero ancora troppo piccola per affrontare un concorso così importante.

Salvatore Sava, Antonio Costa, docente di Economia aziendale, Matino Generalmente ho perdonato tutto, anche la presunzione e l’arroganza di qualcuno. Parto dal proverbio “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Preferisco pertanto perdonare molti dei piccoli torti subiti, in modo da essere perdonato per ogni eventuale mia manchevolezza. Come diceva Oscar Wilde: “Perdona sempre i tuoi nemici. Nulla li fa arrabbiare di più”. Il perdono può dunque essere la più sottile forma di vendetta. E poi in tema di proverbi non sarebbe male ricordarne un altro che fa comprendere come io non sia così tenero come si potrebbe pensare: “Perdona i tuoi nemici ma non dimenticare i loro nomi.” Ritengo tuttavia di essere molto fortunato in quanto se qualche nemico in passato ho avuto, poi ho anche avuto l’abilità di farmelo amico.

ricercatore artistico, Surbo Ho perdonato dei piccoli sgambetti tentati ai danni della mia carriera accademica. Più volte negli ultimi anni sono ricorso alle vie legali per far rispettare legalità e merito. Chi ho perdonato? Credo sia eccessivo fare anche pubblicità a quelle persone.

Daniele Amoroso, produttore musicale Partiamo dal presupposto che non sono tanto a favore del perdono, perché le regole della vita sociale sono poche e semplici. Ma un caso è capitato anche a me. Ho perdonato mia moglie di avermi convinto a sposarla (si sa che le donne sono manipolatrici e pratiche dell’ipnosi!), perché dopo un anno mi ha fatto conoscere il senso della vita: mia figlia. W tutte le donne e tutte le mogli!


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//Controcanto

di ROBERTO MORRIONE*

daL governo un regaLo aLLa Mafia NELLA LEGGE FINANZIARIA CHE IL PARLAMENTO È CHIAMATO AD APPROVARE ENTRO FINE ANNO È CONTENUTO UN EMENDAMENTO CHE PERMETTE LA VENDITA ALL’ASTA DEI BENI CONFISCATI ALLE MAFIE. SAREBBE SEMPLICE PER LA MAFIA RIAPPROPRIARSENE

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n regalo alla mafia. Così è stato drasticamente definito l’emendamento del governo alla Finanziaria, emerso come un iceberg in una navigazione che non ne portava traccia e approvato dalla maggioranza al Senato. Mettere in vendita oltre tremila beni immobili confiscati alle mafie e non assegnati, significa consentire a Cosa nostra, Camorra,‘Ndrangheta e Sacra corona unita di rientrarne in possesso. Concordano su questo magistrati, amministrazioni pubbliche, associazioni della società civile e in particolare Libera, che all’ approvazione della legge 109 sull’uso sociale dei beni confiscati diede un contributo decisivo raccogliendo un milione di firme. Cittadini che sono ora i primi traditi dall’emendamento governativo. Come lo è la memoria di Pio La Torre, il dirigente comunista massacrato proprio perché aveva voluto quella legge. Come sono traditi i familiari delle centinaia di vittime innocenti cadute per mano criminale. Al di là dell’enorme responsabilità che lo Stato si è già assunto nel seminare di ostacoli burocratici e amministrativi il percorso operativo dell’assegnazione del bene confiscato, non costituendo ancora quell’agenzia nazionale più volte inutilmente richiesta e promessa. I controlli previsti nell’emendamento per evitare l’acquisizione dei beni posti all’asta da parte di interessi criminali sono risibili e facilmente superabili. Come è già avvenuto in alcuni casi in Sicilia e in Calabria, non mancano alle mafie i mezzi finanziari, né i prestanome societari o imprenditori amici attraverso cui operare. E, soprattutto, non si vede quali imprenditori onesti oserebbero farsi avanti in territori dominati dalla paura, contrapponendosi pubblicamente a un clan mafioso. Una vera sconfitta per lo Stato e il rafforzamento di un’egemonia illegale e spesso criminale che perdura in almeno quattro grandi regioni del Meridione, Puglia compresa, nonostante la positiva repressione da parte di magistratura e forze di polizia. E sarebbero infine traditi quei ragazzi che le

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cooperative di Libera Terra e di altre valide associazioni civili sottraggono alla disoccupazione e al precariato nel complesso percorso dell’assegnazione sociale, con l’aiuto di comuni bene amministrati. Libera sta moltiplicando i suoi impegni in questa direzione, che ha già permesso fra mille difficoltà, comprese le continue minacce e gli attentati da parte mafiosa, di realizzare valide cooperative in Sicilia, Calabria, Puglia, Lazio e, entro Natale, addirittura nel cuore dei clan della camorra più feroce, con una cooperativa che produrrà mozzarelle a Casal di Principe e Castel Volturno, mentre un’altra cooperativa è in fase avanzata a Catania. All’estendersi della penetrazione economica mafiosa nel centro e nord-Italia, con un potente riciclaggio nell’economia legale delle più ricche regioni del Paese, si contrappone inoltre la crescita delle iniziative sociali sui beni confiscati, con un primo significativo progetto di Libera sulla Cascina Caccia in provincia di Torino, intitolata al Procuratore che fu ucciso dalla ‘ndrangheta. Questo straordinario percorso verso la legalità subirà ora un duro colpo, se l’emendamento passerà anche alla Camera. Un colpo che coprirebbe di vergogna innanzi tutto un governo che a parole si dice grande nemico della mafia, ma nei fatti, come sta purtroppo avvenendo in altre vicende a partire dal mancato scioglimento dell’amministrazione di Fondi richiesto inutilmente dal prefetto, dà il via libera all’offensiva mafiosa. Le denunce della situazione si sono moltiplicate, con una grande raccolta di firme indirizzate a Montecitorio su iniziativa di Libera e delle amministrazioni aderenti ad Avviso Pubblico. Se non dovessero bastare, sarebbe davvero un vergognoso passo indietro per la nostra democrazia e un bel regalo sotto l’albero di Natale delle mafie che, dietro la patina di verde stesa da un sistema di silenziose complicità legali, è sempre impregnato del rosso del sangue e della paura.

CHI HA FIRMATO CONTROCANTO Vincenzo Magistà direttore “TgNorba” Rosanna Metrangolo caporedattore “Nuovo Quotidiano di Puglia” Marco Renna “Studio 100 Lecce” Mimmo Pavone direttore responsabile “Il Paese nuovo” Vincenzo Maruccio giornalista “Nuovo Quotidiano di Puglia” Tonio Tondo inviato “La Gazzetta del Mezzogiorno” Roberto Guido direttore “quiSalento” Lino De Matteis caposervizio “Nuovo Quotidiano di Puglia”, vicepresidente regionale Assostampa

Michele Mauri direttore editoriale L’ATV Antonio Silvestri addetto stampa Inps Lecce Dionisio Ciccarese presidente homepage Group, società di consulenza di comunicazione strategica ed editrice di grandi giornali e siti internet Nunzio Pacella addetto stampa Apt di Lecce Loredana Di Cuonzo giornalista pubblicista dirigente scolastico Istituto d’arte “G. Toma” Galatina-Nardò Giancarlo Minicucci direttore Il Nuovo Quotidiano di Puglia Vaileth Sumuni Luigi Russo giornalista, presidente CSV Salento

Renato Moro capocronista “Nuovo Quotidiano di Puglia”

Francesco Ria fisico, pubblicista

Gabriella Della Monaca coordinatore TG NORBA GRANDE SALENTO

Serenella Pascali giornalista di “Volontariato Salento”; esperta di Politiche sociali

Luisa Ruggio redattrice Canale8, scrittrice

Mario Vecchio direttore responsabile Tg L’ATV

Walter Baldacconi direttore responsabile Tg Studio 100

Stefano Cianciotta giornalista, esperto in lavori pubblici

Paola Ancora addetta stampa Ministero delle Politiche agricole

*giornalista, direttore di “Libera informazione”

indovina cHi è

“bestiario pubblico. ovvero: come nascono nuovi improbabili personaggi sulla scena”

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//L’inchiesta

Galatina. La villa confiscata al clan Coluccia è stata letteralmente sventrata nel giro di poche notti (ph: Dino Valente)

SONO 757 I BENI CONFISCATI ALLA MAFIA IN PUGLIA. DI QUESTI 101 SONO NEL SALENTO, CHE È LA TERZA PROVINCIA PER NUMERO DI BENI CONFISCATI. QUASI TUTTI SONO ABBANDONATI E IN UNO STATO DI TOTALE DEGRADO. MANCANO FONDI PER RECUPERARLI E IL PON SICUREZZA E “LIBERA IL BENE” NON BASTANO. PERCIÒ, IN FUTURO, MEGLIO VENDERLI. ALL’ASTA. E LA MAFIA RINGRAZIA

nessuno tocchi “cosa nostra”

di MARIA LUISA MASTROGIOVANNI

Conversazione 1 Funzionario comunale: “Nel nostro Comune? Assolutamente no, non ci sono beni confiscati alla mafia”. Giornalista: “Ma veramente a noi risulta che ce ne siano tre”. Funzionario comunale: “Beh, se è così, non ne siamo a conoscenza”.

Chiede dettagli al funzionario comunale: “Vorrei sapere a quale clan è appartenuta e quando è stata sequestrata”. Funzionario comunale: “Una villa confiscata alla mafia e sventrata nella notte? Si, ne ho sentito parlare, ma sono leggende metropolitane”.

Conversazione 2 La giornalista ha le foto in mano di una villa confiscata alla mafia e sventrata nel giro di un paio di nottate (le pubblichiamo qui in alto e a pag. 5).

Conversazione 3 Giornalista: “Che cosa farete del bene destinato al vostro Comune”? Funzionario comunale: “Probabilmente non lo acquisiremo al patrimonio. Non sappiamo che farcene”.

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icostruire la mappa dei beni confiscati alla mafia in Salento significa scontrarsi a 200 all’ora su un muro di gomma: sono pochi quelli che ne parlano volentieri. Come il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Casarano, Andrea Carrozzo, o la responsabile dell’ufficio legale del Comune di Taurisano, Betti Cascione, che con un sorriso fiero ci fanno sapere di aver seguito un corso per la gestione dei beni confiscati e di essere degli esperti. Ma per la maggior parte dei Comuni si tratta di patate bollenti di cui liberarsi in fretta. Il modo migliore per farlo sembra essere quello di lasciare la patata in un angolo a raffreddare e poi a marcire in attesa che tutti si dimentichino della sua esistenza. Accade così che i cittadini vengano tenuti all’oscuro di questa fetta di patrimonio statale, perché è di questo che si tratta, di patrimonio dello Stato, negando di fatto il diritto di associazioni, fondazioni, cooperative di utilizzarli per scopi sociali. Tra il momento della confisca da parte della magistratura e quello della “destinazione” ai Comuni, passano anche 15 anni e in

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alcuni casi l’iter non si concluderà mai: i beni sono spesso gravati da ipoteche, sono occupati abusivamente o vi abitano i parenti dei condannati. Racconta don Raffaele Bruno, responsabile regionale di Libera, che Cosimo Screti, il cosiddetto cassiere della Scu (si legga a pag. 12) commentasse così la confisca di terreni e immobili di sua proprietà: “Peccato, a saperlo prima…avrei ipotecato anche la casa. Così oltre alla terra mi sarei ricomprato anche la villa”. Chiaro, no? Le proprietà sono gravate da ipoteche e la pratica della confisca non può essere perfezionata. Vengono messe all’asta e indovinate chi è a ricomprarsele? I vecchi proprietari, tramite prestanome. E’ difficile dunque renderli disponibili e vi sono Comuni che decidono di non acquisirli al proprio patrimonio, perché non vogliono entrare in contrasto con il clan mafioso (si legga a pg. 4-9). I beni confiscati diventano così beni di nessuno, in un limbo potenzialmente eterno, che sottrae chi li occupa a qualunque obbligo fiscale: sono “destinati” al Comune ma non sono “acquisiti” al suo patrimonio, quindi rimangono in un terreno neutro, un limbo appunto, dove se ci sono gli uomini giusti nei posti giusti, è possibile che dell’esistenza di quel bene ci si dimentichi per sempre. Oppure può succedere che quando alla fine di un iter lungo e tortuoso come solo in Italia si sanno concepire (durante il quale sono affidati in gestione all’Agenzia del demanio) i beni sono finalmente “destinati” al Comune di appartenenza, qui inizia un altro estenuante calvario: il bene che è stato del mafioso deve prima essere “acquisito” al patrimonio del Comune, cioè deve avere la sua “carta d’identità” in quanto bene della collettività e poi finalmente può essere “assegnato” ad un’associazione, una cooperativa purché lo utilizzi per finalità sociali. Il Comune può anche decidere di assegnarlo a se stesso, e farne uffici, centri di ritrovo, anche appartamenti per emergenze abitative o famiglie indigenti. Ma i Comuni, tranne rari casi che vi raccontiamo come punte di diamante in una situazione altrimenti opaca (si legga a pag. 12), non assegnano i beni tramite bando pubblico, ma “aumma aumma”, come dice don Raffaele Bruno, responsabile regionale dell’associazione fondata da don Ciotti, “Libera”. Insomma, su quelle case, su quei terreni, addirittura su quelle fabbriche, raramente si accende un fascio di luce fatto di cittadini orgogliosi e partecipi di un processo di riscatto sociale collettivo. Perché, una volta acquisiti al patrimonio dei Comuni, sprofonderanno nuova-

mente nell’ombra, assegnati come favore ad associazioni vicine all’amministrazione comunale o che garantiscono un bagaglio di voti significativo. Strappati dallo Stato al sistema mafioso ritornano allo Stato in un sistema in cui l’illegalità o l’aggiramento della legge contribuisce ad alimentare il sostrato culturale delle nuove mafie (si legga intervista a don Raffaele Bruno, pag. 13). Le associazioni assegnatarie del bene dopo più di un decennio dal sequestro, si trovano in mano, nella totalità dei casi, catapecchie o terreni incolti e abbandonati. Lo stato di abbandono è tale che servono ingenti risorse per consolidarne anche la staticità e i beni sono così definitivamente rimossi dalla memoria collettiva. Con loro è dimenticata la lunga e faticosa attività di uomini delle forze dell’ordine e della magistratura che sono riusciti a scardinare un tassello del potere economico della mafia, rappresentato da quella che oggi ormai è una catapecchia. // LIBERA IL BENE A questo degrado ha cercato di dare una risposta il bando della Regione Puglia “Libera il bene”, attraverso il quale sono stati stanziati 6.5 milioni da destinare ai Comuni che vogliano riappropriarsi di un patrimonio che è veramente “cosa nostra”. I comuni possono presentare progetti entro il 30 marzo 2010. Info: www.regione.puglia.it e http://bollentispiriti.regione.puglia.it. Quest’inchiesta è il tentativo di rimuovere la polvere accumulata sulla coscienza collettiva da anni di abbandono dei beni confiscati. Si tratta di un vero e proprio monitoraggio, ad oggi inedito, fatto sul campo e incrociando più fonti, per poter fornire anche una lettura critica della situazione dei beni confiscati in Puglia e nel Salento. Di alcuni di questi beni abbiamo voluto aprire le porte, abbiamo pubblicato le foto, perché ogni bene confiscato rappresenta una vittoria sulla mafia e dietro ognuna di quelle porte, ci sono cittadini che ne hanno subito la violenza.

i beni confiscati in Puglia Bari Brindisi Foggia Lecce Taranto Totale

278 214 77 101 87 747

L’emendamento inserito neLLa Finanziaria E’ in questi giorni al vaglio del Parlamento un emendamento alla legge Finanziaria 2010 che rischia di riaprire le porte dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Si tratta di un emendamento che permette la vendita all’asta dei beni confiscati se l’Agenzia del demanio non procede entro 90 giorni alla loro destinazione. Contro quest’emendamento e contro il “processo breve” ha fatto un appello lo scrittore Roberto Saviano, autore del best seller Gomorra, scrivendo direttamente a Berlusconi. All’appello di Saviano di sono aggiunti più di mezzo milione di cittadini italiani. il tacco d’Italia

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ecco tutti i beni toLti aLLa scu saLentina Ugento. Villa Scarcella, in località “Fontanelle”. Una villa dotata di ogni comfort, persino di piscina e di varie dependance. Quasi 4mila metri quadrati. Abusivi. Ed il Comune non si è mai accorto di nulla

MAPPA DELLE PROPRIETÀ CONFISCATE ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NELLA PROVINCIA DI LECCE. IMMOBILI E TERRENI CHE SI APPRESTANO A RINASCERE A NUOVA VITA. PER FARLO HANNO BISOGNO IN MOLTI CASI DI CONSISTENTI INTERVENTI DI RECUPERO. POI, AD OGNI FRUTTO RACCOLTO, RACCONTERANNO LA VITTORIA SULL’ILLEGALITÀ

Comuni rischiano di diventare l’anello rotto di una catena che dovrebbe portare dalla confisca dei beni al loro riutilizzo sociale. Lì, nei paesi dove tutti conoscono i fatti di tutti, e tutti conoscono via morte e miracoli dei compaesani, disinteressarsi di quelle case confiscate può rappresentare la sottoscrizione di una sorta di muta solidarietà o almeno un non dichiarato consenso espresso con un’alzata di spalle: “Non lo so, non sono fatti miei”. Eppure è proprio “l’antimafia sociale” richiamata dal

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giudice Tanisi l’arma più efficace per isolare e sconfiggere la mafia. Un’arma che, nei Comuni del Salento, è senza ombra di dubbio spuntata. Chi e perché spunti quell’arma, interrompendo il processo di riutilizzo dei beni confiscati, sono risposte che il lettore potrà trovare nel monitoraggio che abbiamo effettuato, paese per paese, sullo stato dell’arte del recupero di quei beni che, in troppi casi, rischiano di essere dimenticati per sempre da tutti, tranne da chi ne è stato il proprietario.

// CASARANO. NELLA CASA DEL MAFIOSO L’ARCHIVIO COMUNALE

intervento di ristrutturazione ha in mente di partecipare al bando “Libera il bene”. Gli altri beni sequestrati nel territorio di Casarano sono in fase di acquisizione da parte del Demanio ma non ancora trasferiti al Comune che ha già manifestato il suo interesse all’acquisizione. Erano tutti e tre di proprietà di Augustino Potenza. Oggi sono nelle disponibilità dei familiari del prevenuto per i quali l’Agenzia del Demanio ha intrapreso la procedura di sfratto in via amministrativa.

trasferito al patrimonio comunale. Per poterlo dare in gestione il Comune ha bisogno di ristrutturarlo notevolmente.

Casarano. Via Vittorio Emanuele II

Uffici comunali nell’abitazione appartenuta al clan Giuseppe Scarlino-Luigi Giannelli. Nell’immobile di via Vittorio Emanuele II il Comune di Casarano collocherà l’archivio comunale. Per poter realizzare il necessario

// CASTRIGNANO. URGE RISTRUTTURAZIONE C’era la firma di Giuseppe Scarlino di Taurisano anche nell’unico immobile sequestrato alla criminalità organizzata nel Comune di Castrignano del Capo: un appartamento già il tacco d’Italia

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// CAVALLINO. I BENI AI GIOVANI Cavallino parteciperà al bando “Libera il bene” per l’appartamento di via Spadolini appartenuto a Remo Pantaleo. L’immobile verte in condizioni precarie e va necessariamente ristrutturato prima di poterne affidare la gestione per finalità sociali; l’Amministrazione ha previsto un centro polivalente per i giovani. Finalità sociali invece per la struttura che si trova in agro di Cavallino, denominata “Masseria Ussano”. Verte in condizioni di manutenzione pessime; sarà assegnata ad associazioni di volontariato operanti sul territorio, ancora non individuate.


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GaLatina. in attesa dei Primi Frutti Noha, via Bellini - angolo via Nievo. L’immobile sequestrato quand’era in costruzione (ph Dino Valente)

Due dei beni sequestrati alla criminalità organizzata nel territorio di Galatina sono stati già trasferiti al Comune. Appartenevano entrambi al clan Coluccia. Il primo si trova in località Roncella a Noha ed è un terreno di 8.018 metri quadrati già assegnato in gestione alla cooperativa “Terre di Puglia – Libera terra” di Mesagne che quest’anno dovrebbe avere il primo raccolto dai campi coltivati.

Questo terreno tuttavia sembrava vivo anche quando ufficialmente non lo era. “Iscritto nel patrimonio del Comune sin dal 2001, nel 2008 non era ancora stato affidato in gestione - riferisce Roberta Forte, assessora comunale alle Politiche giovanili della Giunta Antonica -. Mi recai pertanto a fare un sopralluogo e rimasi sorpresa da ciò che vidi: il terreno era perfettamente curato, con albe-

Lo strano caso della villa sparita in tre notti Una villa di lusso smontata in tre notti. Ridotta allo stato rustico, svuotata della mobilia ma anche privata delle porte, addirittura degli intonaci. Con i muri sfondati in segno di sfregio, il tetto divelto, e gli alberi di ulivo tagliati a metà. La villa era quella abitata da esponenti della famiglia Coluccia. Sequestrata da diversi anni non è ancora passata nel patrimonio demaniale né in quello comunale. Sembra un bene intoccabile. Era la villa del boss. Il paese ne conosce la storia ma non la vuole raccontare. Si fa fatica a reperire informazioni. Le abbiamo chieste più volte presso gli uffici comunali ma ci è stato risposto che, sì, gira ph Dino Valente

voce dello “smontaggio”, ma è solo una leggenda e che il Comune non sa bene nemmeno dove sia ubicata. Invece non si tratta di una leggenda. La villa si trovava, e si trova tuttora pur essendo irriconoscibile, in contrada Roncella, a Noha, dove i Coluccia erano proprietari di altri beni, tra immobili e terreni. Il perché di un tale atto di violenza verso l’immobile lo spiega ancora Roberta Forte. In occasione della scorsa Pasquetta, ci dice, l’amministrazione aveva organizzato una manifestazione pubblica nel terreno poi dato in gestione alla cooperativa “Terra di Puglia - Libera terra”, anch’esso in località Roncella. “Nel paese si era diffuso l’equivoco che il luogo scelto fosse invece villa Coluccia. Pochi giorni prima dell’evento la villa venne totalmente smontata. Fu quello il modo della criminalità organizzata per far sentire la propria presenza sul territorio comunale”. Poco distante da villa Coluccia si trova l’azienda agricola che tutti conoscono come “Masseria Roncella”, appartenuta allo stesso clan. Oggi è chiusa ed inattiva. Anche in questo caso, il Comune sembra essersene dimenticato.

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ri regolarmente potati ed erbacce sradicate. Non sembrava un campo abbandonato da anni. Probabilmente la mafia non aveva mai smesso di considerarlo come suo”. Il secondo bene è un immobile sequestrato quand’era in costruzione e rimasto, dunque, allo stato rustico. Anche questo si trova a Noha in via Bellini – angolo via Nievo. Per poterlo rendere fruibile alla cittadinanza il Comune ha bisogno di terminarne la costruzione; ha così avanzato una domanda di finanziamento per il Pon Sicurezza ed affidato la redazione del progetto a Libera che, a sua volta, ha incaricato Francesco Capone e Brizio Montinaro. Familiare, quest’ultimo, di vittima di mafia: il fratello Antonio faceva parte della scorta di Falcone. Il progetto (che ammonta a 981.558 euro) trasforma l’immobile in un centro per l’ospitalità giovanile, una sorta di ostello della gioventù con finalità turistico-culturali di promozione del territorio e della cultura della legalità; è attualmente al vaglio ministeriale. Per altri beni presenti sul territorio la procedura di acquisizione è tuttora in corso; sono stati sequestrati e sono entrati nella proprietà dell’Agenzia del Demanio ma non sono stati trasferiti al Comune; non è stato ancora emesso il provvedimento di assegnazione.

ph Dino Valente

IL COMUNE NON SA NEMMENO DOVE SI TROVI. COSÌ CI HA DETTO, RIFERENDOCI CHE LA STORIA DEL SUO “SMONTAGGIO” È SOLO UNA VOCE DI PIAZZA. PURTROPPO NON LO È. ECCO LA STORIA DI UNA VILLA SFARZOSA RIDOTTA ALLO STATO DI RUSTICO IN POCHE ORE


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// LECCE. NESSUN BENE AFFIDATO IN GESTIONE I beni confiscati ed acquisiti dal Comune di Lecce serviranno a dare risposta all’emergenza abitativa di famiglie indigenti o avranno finalità sociali: saranno utilizzati, dunque, come alloggi popolari o diventeranno sedi di associazioni impegnate nel sociale. E’ quanto ha stabilito il Comune che tuttavia non ha ancora assegnato alcun bene in gestione ad associazioni. Inoltre: “Per nessuno degli immobili sequestrati è stato indetto un bando di gara pubblico - ci hanno spiegato dal Comune -. Semplicemente il Comune sceglierà il progetto e l’associazione più idonei al singolo caso”. Alcuni immobili saranno adibiti a struttura socio-sanitaria, come Pronto soccorso o consultori familiari. A questo utilizzo erano destinati anche i due presenti nella marina di Casalabate che poi sono stati invece assegnati per emergenza abitativa. Ai 13 beni già acquisiti dal Comune se ne è aggiunto recentemente uno, acquisito al patrimonio comunale negli ultimi mesi. Ubicato in via Melica 4, era stato del boss Filippo Cerfeda, come il resto del complesso sportivo denominato “ex Cedas” cui è annesso. La destinazione d’uso dell’immobile, non ancora dato in gestione, non è stata ancora determinata e dipende dalla possibilità da parte del Comune di acquisire anche il resto della struttura sportiva, anch’essa confiscata, per la quale ha espresso interesse; in tal caso potrebbe realizzare una struttura polivalente sportiva per la cittadinanza da affidare in gestione ad una o più associazioni. Il Comune ha intenzione di partecipare al bando “Libera il bene” e di richiedere il finanziamento del Pon Sicurezza ma non ha ancora stabilito per quali beni concorrere. Altri 26 beni confiscati non sono stati ancora acquisiti a patrimonio comunale. Agli uffici comunali non ne risulta neppure l’esistenza.

// LIZZANELLO NON SA CHE FARSENE “Probabilmente non coglieremo l’invito della Prefettura ad acquisire il bene – dice Andrea Mocavero, vicesindaco del Comune di Lizzanello - perché non sapremmo che farcene”. Il bene di cui parla Mocavero è un terreno di 330 metri quadrati nella frazione di Merine. Il Comune è venuto a conoscenza della sua esistenza solo poche settimane fa, per comunicazione della Prefettura, ma non è interessato ad acquisirlo perché “è troppo piccolo per essere utilizzato o per costruirci un immobile da destinare ad associazioni”. Lizzanello pertanto non parteciperà a “Libera il bene”. A chi è appartenuto? Non lo sanno. “Non ce ne siamo interessati”.

masseria Ghermi. un milione di euro perso Un milione di euro perso e la possibilità di dare un’adeguata collocazione abitativa ai rom presenti sul territorio comunale svanita. E’ l’epilogo della lunga e controversa storia che ha riguardato masseria Ghermi, un bene strappato alla criminalità organizzata leccese ed ancora inutilizzato. Il progetto elaborato nel 2006 dal Comune, dal Ministero dell’Interno dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (che ammontava ad un milione di euro, appunto) prevedeva di trasformare la masseria in un campo di accoglienza per i nomadi dotato di quei confort che avrebbero garantito dignità alla popolazione di extracomunitari. “Avevamo previsto – spiega Francesca Mariano, ex assessora alle Politiche sociali – non dei prefabbricati senza vita dove sistemare i nuovi inquilini, ma della strutture più confortevoli ed anche spazi che i rom avrebbero potuto attrezzare a piccole botteghe. Sarebbe stato un intervento davvero importante che purtroppo non si è realizzato per l’opposizione del Comune di Surbo”. Masseria Ghermi sorge infatti in agro di Lecce ma è

// MARTANO. APPENA ALL’INIZIO Il Comune di Martano non ha ancora deciso se trasferire nel suo patrimonio i due beni acquisiti dall’Agenzia del Demanio a luglio 2009. Sono attualmente in corso degli studi in merito. Ancora non si conoscono i nomi dei prevenuti.

// MATINO. SEQUESTRATO CON I MOBILI DELL’INQUILINO Apparteneva a Giuseppe Scarlino e Luigi Giannelli anche l’immobile di Matino, intestato al figlio di Giannelli (Marco Antonio Giannelli). Questi conservava in quella casa mobilia ed effetti personali ma non ci viveva. Le pratiche di sequestro si sono quindi protratte più a lungo del solito e si sono concluse solo pochi mesi fa, quando il Comune è entrato in casa con la forza e l’ha acquisita al proprio patrimonio, cambiandone poi la serratura. Attualmente si sta decidendo che uso fare delle suppellettili presenti. L’immobile è stato affidato in gestione all’associazione Augusto Del Noce, che opera nel ramo dell’assistenza sociale, e al circolo musicale Papadia che si occupa di turismo e cultura, ma non è ancora utilizzato. Verte in condizioni di conservazione pessime e necessita di un consistente intervento di ristrutturazione. il tacco d’Italia

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molto vicina al territorio di Surbo, che ha presentato ricorso al Tar ritenendo tale vicinanza lesiva ai suoi interessi. Non voleva i rom come vicini di casa. Il Tar ha rigettato il ricorso ma l’iter di assegnazione si è comunque arenato. Risultato: il progetto non è mai stato realizzato; il finanziamento è andato perso; il Comune ha visto sfumare l’opportunità di rimettere in piedi la masseria e trovare casa ai nomadi presenti nel territorio. Ma Masseria Ghermi è interessata da un nuovo progetto di recupero presentato prima dell’estate. Prevede di creare nella struttura un centro per il ricovero dei senzatetto; sarebbe la prima esperienza del genere in Italia. Se, almeno stavolta, nessuno penserà di mettere i bastoni tra le ruote alla sua realizzazione. Abbiamo cercato di sapere di più su questa storia chiedendo informazioni a Paolo Perrone, sindaco di Lecce che, quando scoppiò il “caso Masseria Ghermi” era vicesindaco di Lecce oltreché assessore al Bilancio. Pur sollecitato più volte, il sindaco non ci ha mai risposto. E’ molto grande ed strutturato su due piani; in due stanze è crollato il solaio. Il Comune ha in mente di partecipare al bando “Libera il bene”, ma ancora non sono stati realizzati progetti di riqualificazione. Matino, via Enrico Fermi, 41


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Porto cesareo. dune saLve

// SQUINZANO. DALLA MAFIA ALLE FORZE DELL’ORDINE

I terreni dunali confiscati a Porto Cesareo, nell’area tra Riva degli Angeli e Punta Prosciutto (ph Libera)

Ancora non siamo riusciti a ricostruire il prologo di questa paradossale vicenda che vede un clan mafioso entrare in possesso di un pezzo di costa con tanto di spiaggia, sabbia bianca e finissima, macchia mediterranea di elevato interesse naturalistico. Mare e dune tra le più belle del Salento. Private. Di più: di proprietà del clan dei Tornese. Non escludiamo quindi di ritornare sull’argomento. Intanto possiamo raccontare l’epilogo. E cioè che finalmente la duna è ritornata di tutti. Corrispondono ad un terreno dunale e ad uno retrodunale i due beni confiscati al clan Tornese e recentemente trasferiti al Comune di Porto Cesareo che in queste settimane sta studiando le modalità per la partecipazione al bando “Libera il bene”, considerando l’obbligo per l’Ente di contribuire per il 10% al finanziamento previsto. I due terreni, di elevato pregio ambientale, si trovano tra Riva degli Angeli e Punta Prosciutto, in un lembo di duna tra due stabilimenti bal-

// SALVE. LAVORI IN CORSO Acquisito dal Comune ma ancora non trascritto tra i beni comunali (la procedura è in corso), l’immobile che ricade nel Comune di Salve apparteneva a Giuseppe Scarlino ed eredi. Sarà dato in gestione, ma ancora non è

neari che si è preservato dall’abusivismo degli anni Ottanta e Novanta. In passato il Comune, per proteggerlo, vi aveva realizzato una staccionata in legno ed una passerella che consentiva ai bagnanti di oltrepassare la duna arrivando direttamente sulla battigia. Oggi i due terreni sono stati dati in comodato d’uso alla cooperativa “Libera terra” di Mesagne. Su quei beni è stato siglato un accordo di programma tra Comune, Libera e Area marina protetta; questa ha elaborato un progetto di videosorveglianza dell’area di 300mila euro finanziato dal Pon Sicurezza. “L’Area marina protetta – spiega Attilio Chimenti, di Libera - ha realizzato su quell’area un campo di lavoro, ‘Amici dei parchi’: hanno pulito la spiaggia ed organizzato azioni di sensibilizzazione e di ricerca sull’ambiente. Ma abbiamo in mente di intraprendere attività di ricerca e di laboratorio per avvicinare i ragazzi ai temi della tutela del territorio e della legalità”.

stata individuata l’associazione che se ne occuperà. Attualmente è chiuso e in stato inutilizzo e necessita di ristrutturazione. Per questa ragione il Comune ha intenzione di partecipare al bando “Libera il bene” o di chiedere un finanziamento con il Pon Sicurezza. il tacco d’Italia

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L’iter di acquisizione a patrimonio comunale è già stato completato per cinque beni che saranno destinati a caserma. Proprietari erano Gaetano Giangrande e Oronzo Levante. Per la ristrutturazione del complesso il Comune ha ottenuto un finanziamento di circa 750mila euro da parte dell’Unione europea. Il progetto prevede la realizzazione di garage e depositi nello scantinato (236,80 metri quadrati); al piano terra sarà collocata la caserma (223,94 metri quadrati); al primo ed al secondo piano (230,98 metri quadrati e 229,55 metri quadrati) gli alloggi per il comandante ed il vicecomandante. I due locali in via San Francesco d’Assisi 24 sono stati assegnati al Comune ma non ancora acquisiti. Appartenevano a Candido Giangrande e a Maria Teresa De Clemente. In passato erano stati dati in affitto ad un partito politico e ad un’attività artigianale. Sono stati confiscati per il 48,86 per cento della superficie totale. Il Comune ha intenzione di acquisirli e di affidarli in gestione ad associazioni onlus. Per il capannone in via Mazzini, l’iter di acquisizione è appena all’inizio. L’immobile non è ancora stato acquisito dall’Agenzia del Demanio. Se la procedura di acquisizione a patrimonio comunale dovesse concludersi per tempo, il Comune parteciperà al bando “Libera il bene” per poterlo ristrutturare.

// SURBO. FARE LEZIONE NEI BENI DELLA MAFIA I due beni, un appartamento ed un garage, sequestrati a Giorgilorio al clan Cerfeda sono stati già dati in gestione dal Comune alla scuola Adsum che vi realizza attività di formazione anche in collaborazione con l’Università. L’immobile di via Martiri d’Otranto, che era di Antonio Carlà, è già stato assegnato al Comune; attualmente è in corso la procedura di trasferimento. Il Comune ha ricevuto numerose richieste da parte di associazioni interessate a gestirlo; probabilmente sarà assegnato alla Protezione civile, ma solo dopo un lieve intervento di restauro. Nella foto: il capannone in agro di Salve. Lì aveva sede la “Confezioni Marta Srl”, di Ivano Paiano, di Presicce, che lavorava per conto della Chicco. Paiano aveva ottenuto da Scarlino nell’89 un prestito di 29 milioni di lire in cambio del quale aveva firmato un assegno di 30 milioni; ma gli Scarlino miravano ad impadronirsi dell’intera fabbrica per un prezzo di 60 milioni. Paiano minacciò di riferire delle estorsioni alle forze dell’ordine e dopo un avvertimento (una rosa spezzata fuori dal cancello del capannone) finì murato in un pozzo


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// TAURISANO. IL GIRO DEI PRESTANOME

viLLa scarceLLa: 4miLa metri abusivi. e iL comune non Lo saPeva Villa Scarcella ad Ugento, località Fontanelle

Taurisano, via Garibaldi, 18

La procedura di sequestro ed acquisizione è stata piuttosto difficoltosa per il Comune di Taurisano, dove gli immobili confiscati erano tutti intestati a prestanome. I beni sono stati tutti acquisiti e solo recentemente trasferiti al Comune ma non ancora destinati in gestione. Appartenevano tutti al clan capeggiato da Giuseppe Scarlino, detto Pippi Calamita. Sono tutti immobili non di pregio, che vanno necessariamente ristrutturati prima di essere utilizzati. Verranno dati in gestione ad associazioni e non a singole persone. Il Comune ha intenzione di partecipare a “Libera il bene” e di chiedere anche altri tipi di finanziamenti, come quello previsto dal Pon Sicurezza, che possano permettere di sistemarli.

// TREPUZZI VAGLIA “LIBERA IL BENE” Tutti i beni confiscati alla criminalità organizzata nel Comune di Trepuzzi sono già stati trasferiti al Comune. Quello ubicato in via Tahon de Revel (appartenuto a Mario Tornese) sarà utilizzato per scopi istituzionali: il Comune vi organizzerà attività socio-culturali. Gli altri tre beni, tutti in contrada Imbrogni e tutti collegati tra loro, appartenuti a Gaetano Giangrande ed Oronzo Levante, verranno dati in gestione ad associazioni per il reinserimento lavorativo. La partecipazione al bando “Libera il bene” è attualmente al vaglio del Comune.

Trepuzzi, contrada Imbrogni (ph Libera)

ERA LA RESIDENZA DEL BOSS. DIVENTERÀ UN CENTRO POLIVALENTE ESTIVO PER BAMBINI DISAGIATI. MA LA PRATICA SI È ARENATA E LE CONDIZIONI DELL’IMMOBILE PEGGIORANO. IL FINANZIAMENTO RICHIESTO PER RIMETTERLO A NUOVO POTREBBE NON ESSERE SUFFICIENTE In paese e nel circondario tutti l’hanno sempre conosciuta come “la villa del mafioso”. E ancora oggi girano al largo da lì. Non c’è cittadino ugentino o che frequenti abitualmente le caraibiche spiagge del parco naturale di Ugento che non sappia dell’esistenza di quella villa. Perché è immensa e situata in una strada molto frequentata che conduce ai villaggi turistici Robinson e Victor e alla pineta comunale attrezzata. Da maggio a settembre centinaia di migliaia di persone fanno su e giù per quella strada, vigili e carabinieri perlustrano la zona in lungo e largo. Eppure il Comune di Ugento si è accorto che la villa ubicata in zona “Fontanelle” era abusiva solo in seguito alla segnalazione da parte della comunità Emmanuel, che, una volta concluso l’iter di confisca e acquisizione al patrimonio comunale, l’aveva ricevuta in gestione proprio dal Comune. L’immobile con piscina, un fabbricato principale con porticato, era appartenuto al clan Scarcella che aveva in Ugento e nei Comuni limitrofi la propria zona di influenza. Una superficie totale di 3.825,29 metri quadrati e nessuno si era mai accorto che fosse nata senza le necessarie concessioni edilizia e sanitaria. “Ci siamo resi conto che la villa non aveva i permessi – spiega Daniele Ferrocino, vicepresidente della comunità Emmanuel - quando abbiamo dovuto redigere il progetto per la gestione dell’immobile; abbiamo chiesto dei documenti presso gli uffiil tacco d’Italia

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ci comunali ed abbiamo constatato, con sorpresa, che quei documenti non esistevano”. Attualmente sono in corso le procedure per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria con il paradosso che il Comune, che ha acquisito il bene al proprio patrimonio, dovrà pagare i costi di sanatoria a se stesso. “Abbiamo chiesto all’Agenzia delle entrate di poter evitare di pagare - dice Massimo Lecci, vicesindaco – e siamo in attesa di risposta”. All’interno della villa sarà realizzato un centro polivalente destinato a minori in condizioni di disagio; potrà ospitare circa 15 bambini alla volta provenienti da comunità di accoglienza residenziali o da famiglie in condizioni di indigenza. Sarà strutturato come un campo scuola estivo. Il progetto è stato sottoposto a richiesta di finanziamento presso il Ministero dell’Interno nell’ambito dell’iniziativa Pon Sicurezza per un totale di 150mila euro. “Abbiamo ricevuto in gestione l’immobile da circa due anni e ancora non abbiamo potuto iniziare la nostra attività – continua Ferrocino -. Se i tempi si allungheranno ulteriormente il finanziamento richiesto potrebbe non essere sufficiente; da quando abbiamo presentato il progetto, il solaio di alcune stanze è crollato e le condizioni di manutenzione continuano a peggiorare”.

IL COMUNE NON SI ERA MAI ACCORTO CHE LA VILLA LUSSUOSA DI PROPRIETÀ DEL CLAN SCARCELLA FOSSE ABUSIVA. L’HA SCOPERTO LA COMUNITÀ EMMANUEL, CHE HA AVUTO L’IMMOBILE IN GESTIONE. IL PARADOSSO È CHE ORA IL COMUNE DEVE PAGARE LE SPESE DI SANATORIA A SE STESSO


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Eugenio Ozza

// UGENTO. OTTO BENI ACQUISITI

sindaco di Ugento

ozza: “PaGheremo La sanatoria, se serve aL sociaLe” Eugenio Ozza, sindaco di Ugento, conferma le difficoltà di un iter di acquisizione degli immobili troppo lungo. “Lo abbiamo rispettato”, dice. Come mai il Comune non si era mai accorto che la villa in località Fontanelle fosse abusiva? Domanda difficile, risposta affidata alla nota farraginosità burocratica: “Colpa degli Uffici”. Ma è disposto a pagare i costi di sanatoria se ciò accelererà l’insediamento della comunità Emmanuel nell’immobile e l’inizio delle attività previste. Qual è la sua opinione sull’emendamento alla finanziaria che prevede che i Comuni possano vendere all’asta i beni immobili di proprietà dell’Ente per fare cassa? “Questa è una novità, ma se il fine dell’emendamento è fare cassa, credo che si stia stravolgendo il senso della normativa che prevede di mettere i beni confiscati al servizio della collettività e, in particolare, per attività a sfondo sociale”. Fino ad oggi si è corso il rischio che i beni confiscati ritornassero nelle mani dei mafiosi? Attraverso quale meccanismo? “Credo di no, perché la legge prevede un iter molto lungo e complicato. Se i beni dovessero essere messi all’asta, però, è un rischio da mettere in conto, se non si istituiranno degli uffici preposti alla vigilanza ed al controllo. Per quanto ci riguarda applicheremo la legge facendo molta attenzione a queste eventualità”. Da un nostro monitoraggio risulta che la maggior parte dei beni confiscati sono in totale abbandono. Secondo lei perché: per incompetenza nel seguire un iter anche piuttosto difficile o per paura di possibili ritorsioni? “L’iter è davvero lungo e complicato; noi abbiamo cercato di rispettarlo in ogni suo punto ed in maniera meticolosa. I ritardi si creano necessariamente quando si ha a che fare con questo tipo di pratiche”. Perché i cittadini non vengono informati dell’esistenza di questi beni sul territorio comunale? “Ne hanno parlato tanto i giornali,

abbiamo fatto incontri e conferenze dei servizi. Se non ne sanno è perché non si sono informati”. Ha incontrato particolari difficoltà legate all’iter di acquisizione dei beni, come minacce, avvertimenti o simili? “Assolutamente no”. I beni confiscati devono essere iscritti al patrimonio del Comune ma o i tempi di iscrizione sono lunghissimi o l’iscrizione non arriva mai. Perché? “Domanda difficile. E’ proprio nella natura della pratica”. In località Fontanelle c’è una villa data in gestione alla Comunità Emmanuel. Il Comune ha scoperto tramite segnalazione che era abusiva. Che cosa succede? Il Comune pagherà a se stesso la sanatoria? “Ci stiamo informando. Data l’importanza di recuperare il bene e di dare avvio all’attività della comunità, siamo anche disposti a farci carico delle spese, purché l’iter di gestione riprenda nella maniera più veloce possibile”. Come è stato possibile non accorgersi che un immobile di dimensioni così consistenti fosse abusivo? “Dovrebbe essere compito degli uffici. E’ una domanda alla quale non so rispondere”.

“SE IL FINE DELL’EMENDAMENTO ALLA FINANZIARIA È FARE CASSA, SI STA STRAVOLGENDO IL SENSO DELLA NORMATIVA. VILLA SCARCELLA? DATA LA SUA IMPORTANZA SIAMO ANCHE DISPOSTI A FARCI CARICO DELLE SPESE PURCHÉ L’ITER DI GESTIONE POSSA RIPRENDERE. ABUSIVO? SPETTAVA AGLI UFFICI CONTROLLARE” il tacco d’Italia

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Cinque beni confiscati nel territorio ugentino appartenevano al clan degli Scarcella; altri tre al clan ScarlinoGiannelli. Sono stati tutti acquisiti a patrimonio comunale. Nella grande villa, in zona Fontanelle la comunità Emmanuel realizzerà campi scuola estivi per ragazzi bisognosi; il progetto è candidato ad avvalersi del finanziamento “Pon Sicurezza” (150mila euro); sul bene in località “Paduli” il Comune, di intesa con il Dipartimento “Giustizia Minorile” del Ministero della Giustizia, ha redatto un progetto di educazione alla legalità dal titolo “Centro di gestione e info-educazione del parco naturale regionale Litorale di Ugento”, anch’esso sottoposto a richiesta di finanziamento con il Pon Sicurezza (124.702,89 euro). Uno degli appartamenti di via Tirolo a Lido Marini sarà destinato a sede del distaccamento della Polizia Municipale; l’altro sarà sede dell’ufficio informazioni ed assistenza turistica. Il bene in via Tasso ad Ugento diventerà un centro diurno per anziani. Per questo bene il Comune si sta attivando per partecipare al bando regionale “Libera il Bene”; l’importo dei lavori previsto dal progetto è di 250mila euro. Nell’immobile in zona “Trappeto” ad Ugento, di intesa con l’associazione Guide Scout Cattolici Italiani (Agesci) – Gruppo Scout Ugento, sarà realizzata una base attrezzata per campi estivi. Il progetto è in fase di elaborazione.

// VERNOLE NON PARTECIPERÀ AL BANDO Nonostante le pressioni da parte della Prefettura e di Libera, il Comune di Vernole non ha ancora acquisito i due beni presenti sul proprio territorio perché sono attualmente abitati dalla moglie e dai tre figli del prevenuto, Daniele Ingrosso, di Merine, attualmente in carcere. Non parteciperà pertanto al bando regionale “Libera il bene”. “Siamo d’accordo in linea di principio ad acquisire i beni ed a darli in gestione a chi li sappia valorizzare e far rinascere – ci spiega il sindaco Mario Mangione - ma non possiamo mandare via chi attualmente li abita. Il giorno dopo ci ritroveremmo queste persone in Comune che ci chiedono un posto dove andare a dormire”.


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Le mani suL saLento

Quotidiano d’epoca. Dieci anni fa, le pagine della cronaca della maxi retata che mise in ginocchio la Scu nel Basso Salento

CHI SI SPARTIVA IL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI LECCE NEGLI ANNI OTTANTA E NOVANTA. I NOMI DEI CLAN, IL GIRO D’AFFARI E LE AREE DI INFLUENZA l Salento criminale degli anni Ottanta-Novanta era in mano a sei uomini: Giovanni De Tommasi, Mario Tornese, Giuseppe Scarlino detto “Pippi Calamita”, Luigi Giannelli, Salvatore Padovano detto “Nino Bomba” e Claudio Conte. Tutti personaggi con una lunga storia da raccontare, leader influenti di clan composti anche da centinaia di persone.

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// IL CLAN SCARLINO-GIANNELLIPADOVANO Il clan Scarlino è stato uno dei clan storici del basso Salento. Si occupava di traffico di stupefacenti, estorsioni, usura, omicidi. Furono numerosi quelli perpetrati all’interno della stessa organizzazione per la supremazia sul territorio. Il gruppo al completo era costituito dall’alleanza Giuseppe Scarlino-Luigi GiannelliSalvatore Padovano. Sul clan Scarlino sono state condotte indagini importanti, la più significativa delle quali è quella conosciuta come operazione “Viribus unitis”, chiamata così perché portata avanti congiuntamente da polizia e carabinieri, conclusasi con circa 90 arresti, tutti nel basso Salento, tutti nel il tacco d’Italia

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clan egemone, negli anni ‘98-‘99. Nel gruppo vi erano anche Fernando Scarlino, detto “Lu porcu”, che era riuscito ad evadere dal carcere di Lugano in Svizzera, e la moglie di Giannelli, Anna De Matteis detta “Morte”; questa fece ammazzare una bambina di tre anni assieme alla madre che era diventata l’amante del marito, e ritenuta dalla “Morte” pericolosa perché, essendo tossicodipendente, poteva raccontare fatti che conosceva da vicino alle forze di polizia. Uccisa la madre, la bambina venne colpita da due uomini ma poi, rimasta in vita, venne sbattuta contro degli alberi fino alla morte. L’omicidio venne riferito alla polizia da Luigi De Matteis, cognato di Giannelli. Scarlino e Giannelli, che erano compari tra loro, avevano a loro volta contatti con il


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gruppo di Mario Tornese di Monteroni, ed operavano dunque indisturbati un po’ in tutta la Provincia. Il basso Salento era interamente loro fino alla zona di Maglie, regno dei Coluccia. Altra ristretta zona che sfuggiva al loro controllo era quella di Racale-Taviano dove c’era il clan di Vito Paolo Troisi, collegato a gente di Nardò-Copertino riunita sotto Marcello Dell’Anna, a sua volta referente di Giovanni De Tommasi di Campi Salentina. La zona attorno a Racale non era una zona franca, tutt’altro. Era terreno di guerra. I rapporti di contrasto finirono a metà degli anni 2000 quando i clan si resero conto che le guerre di mafia non determinavano altro che un’attenzione maggiore da parte delle forze di polizia verso le organizzazioni criminali. Che quindi decisero di fare affari senza calpestarsi i piedi. E da quel momento avvenne proprio questo: i clan si spartirono il territorio.

// GLI SCARCELLA Il 16 dicembre 1995, per l’operazione denominata “Santa Claus” vennero eseguite 45 ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di altrettanti indagati facenti capo al boss Michele Scarcella. Responsabili a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata principalmente al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche all’immigrazione clandestina e agli omicidi. Il campo d’azione del clan Scarcella era il basso Salento, ma non era così esteso come quello del clan rivale sullo stesso territorio, quello di Scarlino-Giannelli-Padovano.

// IL CLAN COLUCCIA La zona di Noha e Galatina era in mano ai Coluccia, un gruppo familiare nel quale si inserivano altri personaggi. I presunti collegati a questo clan erano circa 40. Il gruppo era dedito al traffico di stupefacenti; in un solo blitz vennero sequestrati contanti pari a 3 miliardi di lire, tutti proventi dell’attività illecita. Il clan Coluccia lavorava un po’ con tutti gli altri clan nel settore della droga senza guerre di potere, solo con l’intento del fare soldi, pertanto non ha vissuto problemi connessi al controllo del territorio o a contrasti particolari con altri gruppi. C’è stato tuttavia un periodo, sul finire degli anni Novanta, in cui una serie di episodi fece pensare ad un tentativo di impossessarsi dell’area: un omicidio in particolare, in pieno giorno a Galatina, quello di Raffaele Papadia, affiliato ad un altro gruppo galatinese che stava tentando di emergere, venne ricondotto, ma senza prove certe, alla mano dei Coluccia.

// AUGUSTINO POTENZA Si occupò di droga, omicidio e rapina, ma non ebbe mai un ruolo di capoclan. Con Tommaso Montedoro facevano parte della banda di Vito Di Emidio, detto “Bullone”, che

ha partecipato anche alla strage della Grottella (il 6 dicembre 99 tre vigilantes vennero uccisi e tre feriti per un assalto ai furgoni portavalori della Velialpol sulla CopertinoSan Donato; trucidati con colpi di kalashnicov ed esplosivo ad altissimo potenziale. Il colpo fruttò due miliardi di lire). Augustino Potenza non fu tra gli imputati di quel processo solo perché quel giorno per pure occasione, non si trovava lì dove avrebbe dovuto essere. Potenza era legato sia ai GiannelliScarlino sia ai Troisi.

// FILIPPO CERFEDA E LA SCU LECCESE Filippo Cerfeda è l’atto finale di una serie di passaggi di testimone nell’ambito della Scu di Lecce città. All’inizio degli anni Novanta Lecce era controllata da un gruppo che faceva capo ad Alessandro Macchia, legato a Giovanni De Tommasi. L’area di influenza di De Tommasi coincideva con buona parte del Nord Leccese e Lecce città. A metà degli anni Novanta emerse la figura di Giuseppe Lezzi, detto Peppino, poi ammazzato in Olanda. Cerfeda crebbe all’ombra del rapporto con Lezzi. Insieme avevano fatto delle rapine in Calabria. Tutti i soggetti criminali salentini infatti nascono come rapinatori. Attorno al 2001 quella sorta di pax che i clan si erano autoimposti per agire indisturbati ed evitare che le sentenze dei processi si inasprissero (l’incarico di stabilire l’ordine era stato portato avanti da Dario Toma, uscito dal carcere, uomo di De Tommasi) si incrinò e si susseguirono una serie di guerre che portarono ad una serie di omicidi ed all’arresto di Toma che venne così soppiantato da Cerfeda. Lezzi era intanto latitante in Olanda, venne arrestato, poi fatto fuggire dal carcere e nell’ottobre 2001 ammazzato per mano dello stesso gruppo Cerfeda. Che così assunse le redini dell’organizzazione avendo la possibilità di mantenere rapporti anche con il Sud Salento: da un lato con Remo Pantaleo di Andrano, che a sua volta era legato a Giuseppe Scarlino; dall’altro con altri soggetti che operavano nel Gallipolino. Simone Cerfeda, fratello di Filippo, durante un blitz venne arrestato pro-

prio a Gallipoli. Quando nel marzo 2003 Filippo Cerfeda venne arrestato in Olanda, il suo posto venne preso da Franco Fabio, la cui latitanza si concluse il 3 febbraio 2004 in Brasile. Anche Fabio era referente del clan Tornese. Dall’arresto di Cerfeda fino all’omicidio di Salvatore Padovano, il 6 settembre 2008, non ci sono più stati fatti eclatanti legati alla Scu. Ma dall’inchiesta condotta dalla pm Elsa Valeria Mignone, che ha portato all’arresto del fratello di Salvatore Padovano, presunto mandante del suo omicidio, sembra aprirsi uno scenario finora solo ipotizzato con rari riscontri nella realtà: un saldo legame tra Scu, pubblica amministrazione, politica, economia. Quel “sistema” di cui ci parlò la pm Mignone nell’intervista contenuta nell’omonimo libro (“Il sistema”, M. Luisa Mastrogiovanni, ed. Il tacco d’Italia 2009).

// ANGELO VINCENTI Cugino dei Vincenti che operavano nella zona di Surbo, Angelo Vincenti, detto Angiulinu, non era un vero e proprio affiliato, ma si occupava comunque di droga, rapine ed estorsioni. E’ colui che ha ideato i due attentati al Tribunale di Lecce, del 21 novembre e del 5 dicembre del 1991. E’ l’autore anche dell’attentato alla linea ferroviaria Lecce-Bologna del 5 gennaio 1992. La sua azione aveva una duplice motivazione. Non essendo colpito dai provvedimenti che negli anni ’88-89 avevano messo in ginocchio la Scu e non essendo interessato dal processo per associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di droga ed altro istruito a Lecce a carico di Giovanni De Tommasi più 133, pensò di scuotere le acque in modo da inasprire le sentenze nei confronti degli imputati del processo. Così fu. La seconda motivazione era una generale ribellione nei confronti delle istituzioni che avevano fatto arrestare i figli ed i generi per detenzione di armi. A metà del 93 Vincenti venne arrestato, fece un lungo periodo di carcere e poi morì. Il figlio Giuseppe prese le redini del gruppo, poi entrò in contrasto con Toma, venne colpito da provvedimenti cautelari, diventò latitante e venne arrestato nel 2002 in Venezuela.

GLi aLtri deLLa scu Remo Pantaleo. Arrestato nel 2004, diventò collaboratore di giustizia. Si occupava di droga e rapine. Il clan Giangrande. Composto da Candido e Gaetano, rispettivamente padre e figlio. Non era un clan composto da tanti membri. Non erano uomini d’azione, erano uomini di mente. Si occupavano di riciclaggio, sofisticazioni vinicole, reimpiego di capitali illeciti ed avevano influenza nella zone di Squinzano. Oronzo Levante era legato a loro per gli stessi reati. Sono stati arrestati tutti e tre insieme alla metà degli anni 90. Cosimo Screti. Detto Mimino, era di Brindisi. Era legato ai Levante e ai Giangrande. Era il cassiere della Scu brindisina; divenne collaboratore di giustizia per un certo periodo. Adesso è a San Pietro Vernotico. Giuseppe Matarrelli. Arrestato nell’ambito delle indagini con Cerfeda. E’ un personaggio di spessore minore all’interno del clan. Raffaele Capoccia. Contrabbandava sigarette nella zona Lecce-Surbo attorno alla metà degli anni 90. Vincenzo Rizzo. Detto Enzo.Operava nella zona di San Cesario, legato al clan Tornese. E’ stato arrestato nel ’94. Daniele Ingrosso. Di Merine di Lizzanello. Il suo territorio era la fascia costiera della zona attorno a San Foca.


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QUEI 30 ETTARI ERANO IL FEUDO DEL CASSIERE DELLA SACRA CORONA. OGGI I RAGAZZI DELLA COOPERATIVA “TERRE DI PUGLIA” PRODUCONO VINO, OLIO, GRANO, TARALLINI E SOTTOLII BIOLOGICI di ANDREA MORRONE

La “Libera terra” che dà buoni Frutti esagne, città natale di Pino Rogoli, storico fondatore della Sacra Corona Unita, a partire dagli anni Ottanta diventò la roccaforte della mafia salentina e fu travolta da un vortice di violenza che sembrava dovesse inghiottirla. Soltanto tra il febbraio 1988 e il novembre 1990 ci furono 18 omicidi, oltre ad un numero altissimo di agguati, ferimenti e attentati dinamitardi. Qui, nel centro storico del comune brindisino, a pochi passi da piazza IV novembre e dalla celebre Porta Grande, si trova oggi la cooperativa Terre di Puglia, una delle concessionarie del marchio e del sistema Libera Terra. Un progetto importante, che offre non solo una concreta opportunità di riscatto, ma anche di responsabilizzazione per un’intera comunità. “Libera Terra – ci spiega il presidente Alessandro Leo – è la concretizzazione pratica del percorso culturale di Libera. La nostra è una cooperativa sociale fondata nel gennaio 2008 da giovani pugliesi per il riutilizzo dei beni confiscati alla Sacra Corona Unita. Il nostro lavoro è improntato al recupero e alla riconversione dei beni confiscati secondo la legge n. 109/96”. Un iter farraginoso. Pochi giorni prima della Pasqua del 2006, nove anni dopo la confisca definitiva, infatti, i terreni vengono finalmente destinati e assegnati a Libera Terra. Lunghi anni di vicende oscure e strane lungaggini burocratiche: “C’è stato un lungo periodo di amministrazione giudiziaria – continua Alessandro Leo – in cui l’amministratore (ormai scomparso), riconducibile alla moglie di Screti, ha letteralmente abbandonato al loro destino i vigneti. Ci sono tanti punti oscuri su questa vicenda, sappiamo soltanto che c’è voluto tanto tempo per ottenere quelle terre che qualcuno, sospettiamo, era già pronto ad acquista-

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re. Aspettavano semplicemente che fossero messi all’asta per acquistarli”. Chi era il cassiere della Sacra corona unita. La confisca definitiva dei vigneti1 un tempo appartenuti a Cosimo Antonio Screti è avvenuta nel 1997. Personaggio di spicco della Sacra Corona Unita, originario di San Pietro Vernotico, a Screti fu affidata, secondo quanto ricostruito nei lunghi anni di indagini e processi, la gestione degli enormi flussi di denaro derivanti dalle attività illecite come racket, droga e contrabbando. Un ruolo che gli procurò la definizione di “cassiere della Scu” da parte della Direzione Investigativa Antimafia. Personaggio davvero singolare don Tonino. Finito nelle maglie della giustizia a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta per associazione a delinquere di stampo mafioso, Cosimo Screti inizia a collaborare con la magistratura brindisina nel gennaio del 1993, mentre è in corso di svolgimento un processo che lo vede imputato con altre 28 perso-

IL BUSCETTA PUGLIESE VIVEVA NELLA VILLA NEL BEL MEZZO DEI TERRENI CONFISCATI. ORA TUTTO È DI PROPRIETÀ DELLO STATO

ne tutte legate alla criminalità organizzata pugliese. Dichiarazioni le sue ritenute inizialmente particolarmente importanti dagli inquirenti, tanto da attribuirgli il soprannome di “Buscetta pugliese”. Screti è, infatti, il primo elemento di spicco della Scu a collaborare con la giustizia e a tracciare, con precisione e dovizia di particolari, autori e mandanti degli omicidi che hanno insanguinato la provincia di Brindisi fra il 1989 ed il 1990. Ben presto la figura del superpentito viene messa in discussione e si finisce per ritenerlo poco attendibile, tanto da rimuoverlo dal programma di protezione. La villa confiscata è occupata dal mafioso. Nel bel mezzo dei vigneti confiscati a Screti vi è una villa a lui confiscata e assegnata al Comune di Torchiarolo nel 2002. Un bene che racchiude in maniera emblematica i problemi delle confische: chi doveva essere destinatario della villa non si è fatto mai vivo, vuoi perché era ancora abitata dallo stesso Screti e poi perché era soggetta ad ipoteca. Una moda che si è diffusa moltissimo sui beni a rischio sequestro o confisca, che consente di ottenere liquidità attraverso mutui di cui successivamente deve gravarsi lo Stato. “L’assurdità di questa villa – commenta con un sorriso amaro Leo –, è che si trova proprio al centro dei vigneti confiscati e assegnati a noi. E guarda caso Screti, dopo che la moglie o la figlia erano diventati custodi giudiziari della villa, ha ottenuto gli arresti domiciliari proprio lì. Questo ha comportato di dover convivere con la sua presenza per oltre due anni, fino al maggio-giugno di quest’anno. In seguito del caso si è interessato il prefetto di Brindisi, Domenico Cuttaia. La villa ha rischiato di andare all’asta per ripagare la banca: così non è stato grazie all’intervento della Regione. Noi abbiamo presentato dei progetti di sviluppo che sono in fase di vaglio e – speriamo – successiva approvazione”. In agro di Mesagne la cooperativa gestisce circa venti ettari coltivati a grano, un tempo appartenuti a Carlo Cantanna, alias “U Barone”, altro nome storico della Scu. Da quel grano si producono e vengono commercializzati i tarallini marchiati “Libera Terra”. Nel marzo del 2008 si è aggiunto anche un piccolo uliveto in Contrada Roncella a Noha. Vi sono inoltre nove ettari di terreno a Cerignola, dove l’obiettivo è produrre l’oliva da mensa denominata “La bella di Cerignola”, un prodotto Dop unico nel suo genere. Quest’anno la produzione si aggirerà attorno ai 500 vasetti. Nonostante i numerosi attacchi, ostruzionismi, intimidazioni - gli incendi a ridosso della stagione del raccolto - e la difficoltà di reperire manodopera, i ragazzi di Libera Terra vanno avanti. 1

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Il sequestro e la successiva confisca si devono al lavoro dell’allora sostituto procuratore della Repubblica di Brindisi (dal 1990 al 1995) e oggi sindaco di Bari, Michele Emiliano. Il magistrato barese è stato, con i colleghi Piacente e Leone De Castris, uno dei più attivi nella lotta alla Sacra Corona Unita nel brindisino.


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“iL nuovo business deLLa maFia: Le enerGie rinnovabiLi”

Don Raffaele Bruno, responsabile regionale “Libera”

on sta fermo un attimo. I suoi calzari, sandali da trekking che indossa anche d’inverno, a piedi scoperti, lo portano di fretta a far la spola tra il carcere di borgo san Nicola, dove è il cappellano, i gruppi biblici di preghiera e riflessione, le riunioni con i volontari di Libera, di cui è responsabile regionale e quelle con gli amministratori dei Comuni dove sono stati confiscati beni alla mafia. Amministratori che supporta, consiglia, incoraggia. Nella sua testa la mappatura degli interessi passati e futuri della Sacra corona unita.

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Guglielmo Minervini

Don Raffaele come è cambiato il volto della criminalità organizzata? “Il primo periodo di vita della mafia è stato caratterizzato dall’irruzione violenta della stessa sul territorio e dal contrasto aperto tra i vari clan che si andavano frantumando. Rispetto a questa condizione le forze dell’ordine e la magistratura hanno fatto tantissimo. Tuttavia il problema non è risolto sul versante culturale, dove persiste un modello fondato su elementi quali la presenza di un capo, l’obbedienza spesso acritica, il favore, la certezza che tutto si possa comprare con il denaro. Questo modello culturale, un tempo proprio solo dei clan criminali è diventato il modello diffuso del territorio. Ci siamo mai chiesti che fine fa il denaro accumulato dal crimine? La risposta è quotidianamente sotto gli occhi di tutti: l’economia legale diventa il ricettacolo del riciclaggio, del denaro acquisito in maniera estorsiva, con la violenza, con lo spaccio. Ciò avviene nei settori tradizionali che vanno dall’edilizia all’agroalimentare alla gestione del ciclo dei rifiuti. Oggi c’è poi un nuovo fenomeno legato alle cosiddette energie alternative, all’acquisizione di terreni per la realizzazione di impianti. E’ un fenomeno da tenere d’occhio”.

Esistono punti di contatto della mafia con la pubblica amministrazione? “I mafiosi che la magistratura e le forze dell’ordine “certificano” sono sempre troppo pochi rispetto ai cittadini. Come è possibile allora che possano avere un peso così consistente? Evidentemente senza un vuoto di cultura, non potrebbero esistere. I responsabili siamo noi, perché con il nostro modo di ragionare, di fatto offriamo quel vacillo di cultura necessario al radicamento del malaffare. Il bellissimo documento dei vescovi italiani, del 4 ottobre 1991, ‘L’eclissi della legalità’, è rimasto purtroppo una voce inascoltata eppure analizza in maniera puntuale i principi in base ai quali organizziamo la nostra vita: il favore, le tante leggi che garantiscono l’assenza di legge, eccetera. La borghesia mafiosa e massonica era pre-esistente ai criminali. Esprimeva i politici, i funzionari, gli uomini di potere. Questo sistema purtroppo non è cambiato. Sistemi bancari, economici, imprenditoriali, politici. Basti guardare alla storia recente della città di Lecce: sono stati al centro di inchieste la Chiesa, la Provincia, il Comune, l’Università, gli industriali con la legge 488. Come si chiama tutto questo: beneficienza o crimine organizzato”?

“BASTI GUARDARE ALLA STORIA RECENTE DELLA CITTÀ DI LECCE: SONO STATI AL CENTRO DI INCHIESTE LA CHIESA, LA PROVINCIA, IL COMUNE, L’UNIVERSITÀ, GLI INDUSTRIALI CON LA LEGGE 488. COME SI CHIAMA TUTTO QUESTO: BENEFICIENZA O CRIMINE ORGANIZZATO”? IL NUOVO BUSINESS DELLA MAFIA: LE ENERGIE RINNOVABILI

assessore alla Trasparenza e Cittadinanza attiva, Regione Puglia

dobbiamo sFiLare iL PortaFoGLi aLLa maFia Il lavoro di liberazione dei beni confiscati alla mafia spesso acquisisce una delicatezza particolare. Talvolta i beni, al momento del sequestro, sono ancora occupati dagli stessi esponenti della criminalità organizzata e pertanto affidare la loro liberazione alla buona volontà di un vigile o di un sindaco significa sovraesporre queste figure a rischi rilevanti. Col bando “Libera il bene” proviamo a mettere in campo un incentivo concreto, per colmare quell’ultimo miglio che molto spesso separa la buona volontà di riappropriarsi di un bene confiscato dai fatti. Quell’ultimo miglio spesso è intralciato da problemi di natura economica: riconvertire un bene significa intraprendere investimenti importanti che spesso si rivelano un ostacolo insormontabi-

le. Per cui a fronte del valore simbolico della restituzione del bene, c’è la beffa sostanziale dell’abbandono del bene in condizioni di degrado. E come dire che su quel terreno perdiamo la battaglia simbolica. La confisca dei beni è uno dei più efficaci strumenti di contrasto alle mafie. La mafia è infatti potere conquistato con l’esercizio della scorciatoia della violenza, utilizzata per dimostrare una sovranità del territorio alternativa a quella delle istituzioni e dello Stato. La mafia è potere economico, soprattutto. Sfilargli il portafogli è uno dei modi più incisivi per fargli male. Rimettere sul mercato i beni strappati

“RIMETTERE SUL MERCATO I BENI STRAPPATI ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NON COMPORTA SOLO IL RISCHIO CHE I MAFIOSI RITORNINO IN POSSESSO DI QUEI BENI” il tacco d’Italia

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alla criminalità organizzata come l’emendamento alla Finanziaria prevede, pertanto, non comporta solo il rischio che i mafiosi possano ritornare in possesso di quei beni, ma anche un rischio più grosso: perdere la partita sul terreno “rapporto di forza simbolico” con le organizzazioni criminali. “Libera il bene” serve a finanziare il recupero dei beni; la opportunità finanziaria dal nostro punto di vista è solo un pretesto. Ciò che ci interessa è che attraverso questa esperienza possa crescere la nostra democrazia e si possa radicare un rapporto nuovo tra i cittadini e le istituzioni e che queste opportunità siano vissute come uno spunto per riappropriarsi del proprio territorio. Ciò che la mafia sia era presa attraverso la violenza sul territorio, viene restituito alla fruibilità della comunità perché possa diventare veicolo di inclusione sociale, di nuova occupazione giovanile, strumento attraverso cui la comunità disegna percorsi importanti del proprio destino.


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La nuova maFia dei coLLetti bianchi e Le Future LeGGi che non La contrastano

oberto Tanisi è giudice d’appello e presidente dell’Anm (associazione nazionale magistrati) per il distretto di Lecce Brindisi e Taranto. A lui abbiamo chiesto un parere sull’emendamento della Finanziaria che permetterebbe di mettere all’asta i beni confiscati e di tracciare il profilo della mafia oggi in Salento.

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Dottor Tanisi, che cosa ne pensa dell’emendamento inserito nella prossima Finanziaria che permetterebbe la vendita all’asta da parte dei Comuni dei beni acquisiti al loro patrimonio? “Il mio giudizio è assolutamente negativo. Intanto perché si pone in aperta antitesi rispetto alla legge 646/82 (per la quale persero la vita il deputato regionale siciliano Pio La Torre ed il generale Dalla Chiesa), la quale per prima introdusse il principio che la mafia andava colpita nel portafogli, e poi rispetto alla legge 106/96, che ha introdotto il principio dell’utilizzo sociale dei beni confiscati. Io credo che sottrarre ricchezze alla mafia sia molto importante, ma non basti: occorre anche dare un segnale, pubblico, evidente, che la confisca di determinati beni segna, in un certo senso, la sconfitta della mafia e dei mafiosi e che quanto da loro accumulato, spesso con il sangue e sempre con il ricorso al crimine, è divenuto bene di fruizione pubblica. Evidente il significato implicito di tale messaggio: fare il mafioso non paga, neppure dal punto di vista economico. Come scrive Giancarlo Caselli: “L’antimafia delle “manette” (compito delle Forze dell’ordine e della Magistratura) è importante, ma lo è altrettanto l’antimafia sociale”.

Se i beni confiscati sono poi venduti, c’è il rischio che i vecchi proprietari li riacquistino, anche tramite prestanome? “Certo che è un rischio quanto mai concreto. E’ noto che i mafiosi godono di una disponibilità di denaro elevatissima. E’ normale, perciò, che possano, attraverso dei prestanome incensurati, tornare in possesso dei beni loro confiscati. D’altro canto, molto spesso i beni confiscati non è che appartenessero formalmente a questo o quel boss ma, almeno apparentemente, risultavano essere proprietà di “terzi estranei” (di qui l’estrema difficoltà di pervenire prima al sequestro di tali beni, poi alla loro confisca). Rimettendoli nel circuito economico si corre il rischio di tornare alla casella di partenza, come in un inutile gioco dell’oca” Alla luce delle ultime notizie di cronaca (caso Padovano e le indagini sulle presunte infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni locali), qual è il nuovo volto della mafia nel Salento? “Premesso che io non sono un grande esperto del settore (molto più di me ne sanno i colleghi della DDA, il procuratore Motta, i Sostituti Mignone, Bruno, ecc), credo di poter dire che la situazione nel Salento non sia del tutto omogenea. Così mentre in alcune zone, quelle più a nord della provincia, i sodalizi criminali fanno ricorso ai soliti canali di approvvigionamento di denaro (stupefacenti, estorsioni, usura), ma non risulta (almeno allo stato attuale delle cose) abbiano solide correlazioni col tessuto economico e imprenditoriale, nella zona di Gallipoli – ferme le solite fonti di approvvigionamento – negli ultimi tempi sono state rilevate dagli inquirenti inquietanti penetrazioni (o, meglio, tentativi di penetrazione) nell’economia, con la volontà acclarata di alcuni di questi capi di investire nel settore immobiliare (magari anche partecipando alle aste giudiziarie), nelle lottizzazioni di suoli edificatori, nell’acquisto di beni produttivi, nel turismo. Quello che è certo è che in questa fase manca una direzione unitaria (quella che volgarmente si definisce con nome di “cupola”) della SCU salentina e i gruppi criminali si muovono con una certa autonomia: il che può anche risultare pericoloso sotto altri profili, nel senso che il Salento può diventare “terra di il tacco d’Italia

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Dicembre 2009

conquista” da parte di cosche allogene, non salentine”. Quali mezzi sono a disposizione della Procura per combattere la mafia (in termini di uomini, finanze, norme)? “Qui si tocca una nota dolente. Fino ad oggi i mezzi in termini di uomini e di strutture per contrastare il crimine organizzato non sono mancati, anche se non si è dovuto far ricorso al sacrificio, anche personale. La situazione, tuttavia, non mi pare evolva al bello, quanto piuttosto al brutto. Gli stanziamenti nel bilancio della giustizia sono sempre esigui. Inoltre giacciono in parlamento disegni di legge che, se approvati, possono rivelarsi esiziali nella lotta alla mafia: penso al disegno di legge sulle intercettazioni che rischia di sterilizzare del tutto un importantissimo mezzo di ricerca della prova, da sempre largamente utilizzato nelle indagini di mafia (ultimo il caso Padovano); penso alle ipotizzate modifiche al codice di procedura penale, con la stravolgimento dei rapporti fra Pubblico ministero e Polizia giudiziaria (a mio parere palesemente incostituzionale); penso alla limitazione dei poteri di direzione del dibattimento da parte del giudice, e così via. Invece di una procedura più snella e meno farraginosa, si prevedono inutili appesantimenti che si tradurranno, alla fine, in un grosso favore alle cosche. Per non dire poi della ipotizzata elisione del concorso esterno in associazione mafiosa, essenziale per perseguire quella zona grigia, che si colloca al limite fra il “mondo per male” e il “mondo per bene”, fra la “società criminale” e la “società dei colletti bianchi e del potere economico”. Da ultimo, due parole sull’ultima delle riforme in cantiere: quella del cosiddetto “processo breve”. Senza entrare nel merito di un’ipotesi di riforma che non io, ma tutti i più grandi processualisti hanno definito largamente incostituzionale, mi pare di poter dire che anch’essa finirà con l’avere effetti distorsivi – e ovviamente largamente negativi – sui processi di mafia. Mi spiego: se si contingentano i tempi delle fasi processuali (due anni per grado) per taluni tipi di reati e per taluni tipi di imputati, è ovvio che i magistrati, per non far scadere i tempi, si vedranno costretti a privilegiare i processi per fatti meno gravi, rispetto a quelli i fatti più gravi (a meno che non vi siano imputatati detenuti). Con l’ovvia conseguenza che i processi per i fatti più gravi, anche di mafia (si pensi, per esempio, a quelli per concorso esterno in associazione mafiosa che, di solito, vedono alla sbarra i cosiddetti “insospettabili”), dovranno essere accantonati. Quanto di logico ci sia in ciò non è dato sapere, anche perché tale scelta legislativa va in direzione esattamente opposta a quella operata nell’estate 2008 (legge 125), che privilegiava la trattazione nei confronti degli imputati recidivi. Ma le mie, probabilmente, sono domande oziose, anche perché tutti ne conoscono le risposte. Anzi, la risposta”.


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