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//L’Editoriale di Maria Luisa Mastrogiovanni

L’Editoriale

LA LIBERTA’ D’INFORMAZIONE NON E’ IN VENDITA continua dalla prima

confiscati alle mafia, la violenza sulle donne, le liste d’attesa nella sanità, le speculazioni edilizie, l’intreccio del sistema economico-politico-mafioso nelle stanze del potere e della pubblica amministrazione. All’aumento della riconoscibilità della testata “il Tacco d’Italia”, oltre che del consenso di lettori e inserzionisti, non è però coinciso una visibilità all’interno delle edicole, che hanno oramai perso la vocazione esclusivamente editoriale, riempiendo di mille diversi prodotti i propri espositori. Di qui la scelta di cambiare formato, aumentare la tiratura e diffondere gratuitamente nell’intero territorio il giornale, aprendo anche nelle altre province qualche avamposto. I lettori, anche quelli più attenti e interessati, stanno via via perdendo l’abitudine a recarsi in edicola e acquistare le riviste di approfondimento e anche i quotidiani perdono quote di mercato a vantaggio del web. La comodità e il costo zero della connessione ai portali di informazione modifica le abitudini di consumo dell’informazione giornalistica. Il rischio è un ulteriore appiattimento della qualità, con il proliferare dei social network e dei portali che aggregano notizie senza la verifica delle fonti. Invece noi siamo convinti che cambiano gli strumenti tecnologici per fare giornalismo ma non quelli deontologici e che la sfida dell’informazione generalista oggi vada vinta sul web e sulla gratuità. Per questo cambiamo tutto ma non la linea editoriale del Tacco d’Italia: ed è questa la vera scommessa. Noi continueremo a puntare sulle inchieste e sull’approfondimento, che sul web troveranno poi sponda aperta al dibattito. Sul mercato salentino esistono diversi esempi di free press. Il nostro ha l’ambizione di essere l’unico che non va buttato dopo la lettura ma conservato come

quando era in formato magazine. Colgo anzi l’occasione per salutare con affetto i collezionisti del Tacco che ogni tanto facciamo aspettare un po’ per la spedizione degli arretrati. Devo infine ammettere che ha pesato in questa scelta la recente drastica riduzione da parte del Governo delle tariffe postali agevolate per gli editori: la possibilità cioè di spedire a basso costo libri e giornali. Anche questo ha contribuito nella scelta di cambiamento: abbiamo puntato molto sugli abbonamenti gli scorsi anni ma adesso, con le tariffe quasi raddoppiate rispetto a poche settimane fa, diventerebbe necessario aumentare i prezzi. Insomma: tra edicole sature di giocattoli e ammennicoli e i costi in aumento, sia della carta sia delle spedizioni, l’informazione rischiava di rimanere imprigionata e non perché non ci sia richiesta, ma perché l’offerta non riesce a raggiungere fisicamente la domanda. Abbiamo preferito la filiera corta, insomma, all’insegna della più sostenibile delle avventure editoriali mai pensate nel Salento: dal produttore al consumatore. Liberi da legacci, monopoli distributivi, sgambetti lobbistici nascosti tra gli scaffali, siamo tra le persone, tra i nostri lettori, scendiamo per strada perché è sulla strada che consumiamo le scarpe cercando le notizie e lì ritorniamo. Cercateci in giro, nei punti di diffusione selezionati perché hanno scelto di sposare la nostra missione: la libertà d’informazione non ha prezzo, per questo ve la regaliamo! COMUNICAZIONE AGLI ABBONATI Caro Abbonato, il Tacco d’Italia ha cambiato formato e sistema di-

08 IL REGINA PACIS FANTASMA

INCHIESTA

16 DON CESARE TORNA ALLA SBARRA

UN PO’ DI LEGGEREZZA 20 CHI MI AMA MI SEGUA 23 IL PERSONAGGIO DEL MESE 27 30 GIORNI IN UNA PAGINA

14 QUELLA NOTTE AL REGINA PACIS

Il mensile del salento Anno VII - n. 72 - Aprile 2010 Iscritta al numero 845 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 27 gennaio 2004

EDITORE: Coop. Dinamica scarl - Casarano - P.zza A. Diaz, 5 DIRETTORE RESPONSABILE: Maria Luisa Mastrogiovanni

PUBBLICITÁ: marketing@iltaccoditalia.info - tel. 3939801141

18 QUELLO CHE VIDERO I MIEI OCCHI

10 QUEL CHE E’ STATO DEL REGINA PACIS POTI’: DA SETTE MESI HO CHIESTO IN12 DIETRO LA PROPRIETA’

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REDAZIONE: p.zza Diaz, 5 - 73042 Casarano - Tel./Fax: 0833 599238 E-mail: redazione@iltaccoditalia.info

OPINIONI DAL TACCO

REPORTAGE

COMUNICAZIONE AGLI ESERCENTI

HANNO COLLABORATO: Laura Leuzzi, Andrea Morrone, Mario De Donatis, Luisa Ruggio, Maria Buonsanto, Antonio Massari FOTO: Dove non segnalato archivio del Tacco d’Italia

SOMMARIO 05 BOLLETTINO DEI NAVIGANTI, CHI SALE CHI SCENDE 07 L’ARIA CHE TIRA, QUESTIONE DI LOOK

stributivo. Se lo vorrà, siamo quindi disponibili a restituire la quota residua del Suo abbonamento: è sufficiente una semplice richiesta via telefono o e-mail. Avendo mantenuto un prezzo figurativo di copertina di € 1,00 per copia, in virtù dei contenuti giornalistici sempre di alta qualità. Proponiamo a tutti i nostri abbonati, e soprattutto ai numerosi di fuori regione, di prolungare l’abbonamento nella proporzione 2 a 1 senza aggravio di spese. Ad esempio: se mancano 5 numeri alla scadenza dell’abbonamento Lei può richiederci indietro 7,50 euro oppure prolungare l’abbonamento per altri 10 numeri. In virtù dell’eliminazione delle agevolazioni postali per gli editori riportiamo le nuove tariffe di abbonamento: n°12 edizioni del Tacco d’Italia a € 15,00

CONTROCANTO 30 IL POSIZIONAMENTO DEL GIORNALISTA NELLA SCACCHIERA DEI POTERI

Unione Stampa Periodica Italiana Tessera n° 14705 STAMPA: MASTER PRINTING s.r.l. Via delle Margherite, 20-22 70026 Modugno (Ba) DISTRIBUZIONE: 1000 punti in tutto il Salento ABBONAMENTI: 15,00 Euro per 10 numeri c/c n. postale 54550132 - intestato a Nerò Comunicazione P.zza Diaz, 5 - 73042 Casarano - abbonamenti@iltaccoditalia.info IL PROSSIMO NUMERO 15 MAGGIO 2010


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di MARIO DE DONATIS m.dedonatis@iltaccoditalia.info

IL NUOVO INIZIO DI VENDOLA TRA PERSONALITA’ DI CHIARA FAMA E CITTADINANZE ATTIVE Vendola e la sua maggioranza dovranno assicurare quelle “sufficienti” che impongono di stemperare le tensioni alimentate dal duro confronto elettorale, anche per favorire la traduzione dei “sogni” nelle corrispondenti politiche di intervento. Tanto non può che essere affidato ad un esecutivo – con una solida cultura istituzionale – in grado di corrispondere agli impegni di ordine programmatico e legislativo per permettere alla Puglia di svolgere negli Organismi istituzionali - al livello nazionale, europeo ed internazionale – il proprio ruolo. Vendola ha, infine, la opportunità di dare voce a tutti, riproponendo il percorso delle “convergenze parallele” immaginate, da Moro, più che per “disegni tattici”, per creare, nel Paese e nel Mezzogiorno, le “condizioni per lo sviluppo” (nel significato più nobile e completo del termine) propedeutiche ad una più equa redistribuzione della ricchezza. Condizioni che, oggi, occorre ricreare partendo dalla “crisi italiana nel mondo globale” che richiede un più forte impulso nel valorizzare le diversità territoriali e la ricerca sistematica delle opportunità, nella dimensione nuova della “glocalizzazione” che imporrebbe di far precedere al “federalismo fiscale” quello “istituzionale”, per poter avviare il risanamento dei conti pubblici. E’ auspicabile un forte impegno del mondo politico – istituzionale perché sia privilegiato più lo “studio” che la “comunicazione”, più le “ragioni del dialogo” che quelle delle “divisioni”, per favorire processi decisionali programmatici, rivolti a sostenere le ragioni di un rinnovato “Patto costituzionale”, per rilanciare una idea di Paese, recuperando la cultura federalista, che non è dei nostri giorni. Anche perché solo in tale contesto potranno ricevere attenzione le “antiche e nuove povertà”, la ricerca del bene comune. Tutto questo è possibile se la politica riuscirà a recuperare la dimensione che le compete. Se Vendola e la sua maggioranza di governo saranno in grado di far percepire segnali nel senso auspicato, anche l’opposizione dovrà, necessariamente, prendere atto del “Nuovo inizio” e corrispondere, rinnovando la propria classe dirigente, alle sfide future, per il bene della comunità.

Da tre anni non ricopre alcun ruolo istituzionale dopo essere stato consigliere comunale e segretario cittadino dei DS a Lecce. Presidente di una cooperativa che si occupa di editoria scolastica, 44 anni. Un senso della legalità non comune lo ha portato a violente battaglie solitarie (via Brenta, Boc, Lupiae Servizi, filobus), e il centrodestra leccese ha tirato un sospiro di sollievo alla sua mancata riconferma a Palazzo Carafa. Ma anche all’interno del suo partito Salvemini non si è sempre fatto benvolere (ultimi fatti: l’adesione alla mozione Pd di Marino e per aver sostenuto senza se e senza ma Nichi Vendola, in dissenso con la linea del partito). A Lecce-città ha incassato un buon risultato personale: 1.566 preferenze con la lista “La Puglia per Vendola” contro le 1.344 di Rotundo sostenuto dal Pd. Insieme a Loredana Capone (2.043 preferenze in città) e l'assessore comunale PdL Roberto Marti (arrivato allo straordinario risultato di 3.743 voti) è il vincitore morale della competizione leccese. Un eccellente candidato sindaco se il centrosinistra riuscirà a far prevalere i meriti individuali rispetto ai giochi di segreteria di partito.

ALDO ALOISI, PORTE CHIUSE A BARI Non sono bastate ben 8.196 preferenze nella lista del PdL al consigliere uscente Aldo Aloisi per rientrare negli scranni di Via Capruzzi, battuto dall’esordiente avvocato gallipolino Antonio Barba. Il leader di Azzurro Popolare mastica amaro: già in questa consiliatura era rientrato solo nel luglio 2009 dopo le dimissioni per incompatibilità di Raffaele Baldassarre, eletto a Strasburgo. Nato a Sogliano Cavour nel 1955, Aloisi è stato consigliere regionale dal 1996 al 2005, presidente della commissione alla formazione professionale, capogruppo di Forza Italia e vicepresidente del Consiglio. Ha forse pesato nella mancata riconferma la vicenda Telepass che lo ha portato a una condanna a un anno e quattro mesi in primo grado per aver truffato la Regione Puglia con i rimborsi per alcune missioni istituzionali a Roma. In successivi accertamenti è stato appurato grazie al Telepass (il sistema di pagamento automatico delle autostrade) come il Consigliere si trovasse altrove rispetto agli scontrini esibiti per il rimborso. Una vicenda da poche centinaia di euro che però, nel malcontento diffuso contro la “casta”, può aver giocato un suo ruolo negativo.

CHI SCENDE

Vendola ha vinto. Non c’era partita tra “Nichi”, che ha personificato l’uomo di “lotta e di governo”, e “Rocco”, “uomo d’apparato”, imposto dal Pdl a conduzione salentina, che ha speso le proprie energie per salvaguardare, in via prioritaria, il proprio “sistema di potere”, insidiato da “ingressi” non desiderati. Tra questi, sicuramente, la Poli Bortone considerata, dall’asse Fitto-Palese, più pericolosa della stessa sconfitta elettorale alle regionali. Il risultato elettorale va ben oltre l’assegnazione della Puglia al centro-sinistra. Nulla sarà più come prima, perché le dinamiche interne al Pdl segnalano che lo stesso “monopolio dell’opposizione” è messo in discussione. E non è cosa di poco conto. Perché viene archiviata la politica di una classe dirigente, quella espressa dal centrodestra negli ultimi dieci anni che, tanto nelle responsabilità di governo, tanto nel ruolo di opposizione, non è riuscita a cogliere i fermenti nuovi della comunità pugliese, né a sostenere le ragioni della Puglia, prigioniera di un respiro corto, cadenzato dalle “esigenze” del consenso, che ha inciso sulla frattura tra potere e società. Lo scenario futuro? All’orizzonte c’è un “Nuovo inizio” in cui Vendola – forte delle esperienze maturate – ha la opportunità, nel nuovo contesto politico, di esprimersi coniugando le aspettative degli ambienti che lo hanno sostenuto con le aspirazioni di quanti non si sono espressi in suo favore. Senza omettere, soprattutto, di interpretare e dare voce al popolo degli astenuti. Tanto dovrebbe indurlo - sulla base di un “programma di governo” in grado di intercettare ulteriori consensi sia in aula sia tra i pugliesi - a riservare, nel proprio esecutivo, ruoli significativi ad alcune personalità, di chiara fama, percepite quali reali espressioni della cittadinanza attiva. Le attenzioni della maggioranza - riservate al mondo esterno alla politica ed alle aggregazioni partitiche che non si identificano con lo schieramento vincente - dovrebbero completarsi eleggendo il presidente dell’Assemblea ricercandolo, autonomamente, tra i Consiglieri della minoranza consiliare, per esaltarne il ruolo di garanzia. Oggi, il risultato elettorale che conosciamo, ha creato le condizioni “necessarie” per tessere una nuova tela per la Puglia. Domani,

CARLO SALVEMINI, gUERRIERO IN SOLITARIA

CHI SALE

BOLLETTINO DEI NAVIGANTI

// Opinioni dal Tacco


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// Opinioni dal Tacco //QUESTIONE DI LOOK

L’ARIA CHE TIRA

UNA NOTTE, EL INFIERNO

di LUISA RUGGIO l.ruggio@iltaccoditalia.info

Anche dopo, quando fu tirata fuori da lì dentro, ammise di non aver superato la cosa. Chiamava il Regina Pacis di San Foca el Infierno, dopo averci trascorso per sbaglio una notte. Era ecuadoregna, di Quito mi pare, una bellissima ragazza strana che non amava parlare troppo dei fatti suoi, perciò non ricordo con esattezza il posto che aveva lasciato per venire in Italia. Con uno sguardo da XVI secolo, aveva fatto il viaggio con i suoi documenti e quel che occorreva, insomma, per sentirsi in regola, in fuga da un marito violento - si lasciò scap-

INDOVINA CHI E’?

La soluzione a pag. 14

pare una volta, mostrandomi sul display di un telefonino ultimo modello la fotografia di una bambina piccola che mi disse essere sua figlia, era rimasta laggiù, insieme alla sua famiglia d’origine, una famiglia benestante, mi disse che nessuno dei suoi era riuscito a distoglierla da quella voglia di andarsene via - per vie traverse era arrivata nel Salento, glissava sempre su questa parte della storia. Ma quell’istinto da ferita subita ingiustamente, le impediva di cucirsi la bocca del tutto e ogni tanto tornava sull’aneddoto di quella notte al Regina Pacis di San Foca, dove fu portata insieme ad altri cittadini stranieri dopo un rastrellamento serale, duro, durante il quale non poté difendersi per via di quella lingua italiana che ancora non masticava bene mentre tentava di dar conto delle sue carte durante quel trasporto, di peso, verso el infierno dove mi disse di aver trascorso le ore orribili della sua vita. Aveva visto cose che voi umani, aveva dovuto mantenere la calma, allora quel suo gesto grazioso e un po’ triste di passarsi una mano sulla linea dello sguardo suonava come una confessione tacita, si sarebbe fermata lì ogni volta quella confessione, non sarebbe andata oltre, non

Il Presidente della Repubblica firma la legge sul “legittimo impedimento”. Giusto in tempo per le prime udienze del ministro Raffaele Fitto; la prossima è in agenda il 22 aprile. La scommessa non è “se” ma “quale” sarà il suo legittimo impedimento. fino in fondo, per via della sconcertante facilità che aveva di cambiare discorso, dando spago a una diffidenza profonda nei confronti degli italiani, da quella notte in poi. A El infierno, mi aveva detto, aveva imparato a chiamarli figli di puttana.

Notizie non modificate geneticamente. Inchieste senza coloranti aggiunti. Opinioni con fermenti lattici vivi.

LEGGI COME MANGI


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// Reportage // Esclusivo

IL REgINA PACIS FANTASMA

di ANDREA MORRONE

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Da lì sono passate migliaia di persone in cerca di fortuna. Circa 60mila. Ma il calcolo esatto è impossibile. Lo Stato ha sborsato milioni di euro alla Curia per dare loro assistenza. Circa 30 milioni, ma il calcolo esatto è difficile. A volte hanno ricevuto sevizie, percosse, minacce. La giustizia ha fatto il suo corso e tra i responsabili degli orrori accaduti tra quelle mura, il direttore del Centro Regina Pacis, don Cesare Lodeserto, è in “missione” in Moldavia, dove probabilmente la giustizia italiana non riuscirà mai a raggiungerlo. Ora rimangono i conti da pagare: allo Stato, perché molti dei soldi ricevuti in realtà sono stati incassati illegittimamente, in quanto sono state rese meno prestazioni di quelle dichiarate e rimborsate dallo Stato (vd. pag. 14); alla Giustizia, perché ci sono 12 condanne in appello per lesioni aggravate e altri reati (vd. pag. 15); ai Salentini, che hanno creduto in un progetto di altruismo che invece si è rivelato un affare multimilionario (vd pag. 10). Rimane il Centro Regina Pacis, una palazzone spettrale, vandalizzato e sventrato, e il ricordo dell’eco degli applausi che il mondo intero rivolgeva al Salento, esempio d’altruismo e di un nuovo modello d’accoglienza. Quel Centro, realizzato su terreni di proprietà del Comune, con soldi pubblici e portato avanti con finanziamenti pubblici, ora che di fatto è di proprietà della Curia, sebbene vi sia un vincolo di destinazione per fini umanitari, apposto dal Comune come unico “tornaconto” al momento della donazione, rischia di essere venduto a privati per la realizzazione di un grande albergo di lusso, in quanto si erge su uno dei tratti di costa più suggestivi del Salento (vd pag. 12). Come dire, che con le proprietà dello Stato e i soldi dei cittadini, ci guadagnano i privati. Un sistema ricorrente. Qui abbiamo ricostruito la storia del Cpt più famoso d’Italia, che il 30 aprile prossimo sarà nuovamente alla sbarra: si aprirà infatti il processo d’appello, il secondo, contro monsignor Cesare Lodeserto, imputato a vario titolo e in concorso con altre tre persone, il nipote Giuseppe (detto Luca), Natalia Vieru e Armando Mara. Lodeserto è stato condannato già in primo grado con rito abbreviato a 5 anni e 6 mesi di reclusione per i reati di violenza, minaccia, ingiuria, sequestro di persona, estorsione e calunnia (vd pag. 16). Il 30 aprile - al processo d’appello - ci saremo anche noi. MLM


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C’era una volta il Cpt. Silenzioso, spettrale, fatiscente: quello che una volta era il Centro di permanenza temporanea Regina Pacis (il primo e il più grande in Italia) di San Foca, località balneare e vacanziera nel Comune di Melendugno, oggi è un luogo sinistro e completamente abbandonato, in balia di vandali, ladri e dell’azione corrosiva del tempo e degli agenti atmosferici. Sin dall’esterno l’edificio appare in rovina, con i muri scrostati e coperti di graffiti, lampioni semi abbattuti, finestre divelte e porte sfondate. Svetta ancora alta e solitaria, come una sentinella, l’antenna del centro di telecomunicazioni. L’aria è salmastra, il mare dista solo poche decine di metri e spezza, infrangendosi sugli scogli, il silenzio irreale del luogo. Proprio quel mare da cui sono arrivati tanti degli “ospiti” passati da San Foca. Su quello che una volta era l’ingresso principale, su cui campeggia ancora curiosamente intatta l’indicazione “Casa Regina Pacis”, un grosso lucchetto ossidato dal tempo e completamente arrugginito dimostra in maniera inequivocabile che da lì nessuno è mai entrato negli ultimi anni. Nella cassetta della posta, aperta, appare beffarda la notifica di un atto giudiziario, indirizzato proprio al Cpt salentino (foto 1). Un atto che Mohamed difficilmente potrà mai ricevere, tornato alla sua vita di migrante in cerca di fortuna nel dorato occidente. Poco più in là, in un cestino della spazzatura, tra lattine di birra e altri rifiuti, scorgiamo altre notifiche di deposito di atti. Alcuni sono stati aperti, come quello indirizzato a Boura Jamal, datato 23 aprile 2008. La raccomandata n. 7626618491-9, inviata dalla I sez. del Tribunale di Lecce, poteva essere ritirata entro sei mesi ma Jamal non lo saprà mai. E tanti altri come lui. Varcando l’ingresso principale sembra di tornare indietro nel tempo, quando da quel portone sono passate con orgoglio, nel corso degli anni, le massime cariche istituzionali e politiche, dal presidente della Repubblica Ciampi a D’Alema e Prodi, da Fini a Casini, dalla Iervolino a Mantovano, senza dimenticare l’Arcivescovo leccese Cosmo Ruppi, presidente della Conferenza episcopale italiana di Puglia, e di cui il direttore del Centro, don Cesare Lodeserto era segretario particolare. Di quello che era il Regina Pacis, comunque, non è rimasto più nulla. La maggior parte delle porte, i letti e pefino alcune piastrelle, sono state portate via. Ovunque vetri rotti, pannelli sradicati, fili elettrici strappati e devastazione. In una stanza, poco prima della rampa di scale che conduce a quelle che erano le camerate, una targa ricorda che lì c’era il “magazzino materiale igienico e sanitario”. (foto 2) Ammucchiati alla rinfusa, per terra,

centinaia e centinaia di biglietti da visita e buste del Centro, bollettini per versamenti di sostegno, quaderni su cui erano annotate le visite mediche, cartelle cliniche e locandine del “Progetto Marta”: un servizio agli indigenti per le strade della città di Lecce. (foto 3) Anche di quella che era la “sala cinema” non è rimasto più nulla, se non alcuni cassetti e vecchi mobili da cui spunta, sinistro, un cagnolino di peluche e qualche tubetto di dentifricio. In fondo alla sala troviamo una catasta di giocattoli abbandonati: bambole, racchettoni, libri di favole. Poco più in là una catasta di cuscini. La mensa appare come un cratere vuoto: non è rimasto nulla se non un condizionatore d’aria. In un’altra stanza ci sono alcuni cartoni di scarpe e, cosa assai singolare, del libro di Toti Bellone: “La carovana delle sirene”. Non mancano pacchi interi di minestrina Plasmon. Saliamo al primo piano, verso quelle che erano le camerate, ormai vuote e fredde come i sogni di chi le ha popolate. Qua e là qualche materasso e cuscino superstite, sfuggito alla razzia dei predoni dei nostri giorni. (foto 4) Semi distrutti anche i bagni, con i sanitari divelti e spaccati, le turche ormai inutilizzabili e i lavandini inservibili. (foto 5) L’unica porta ancora funzionante e chiusa a chiave è quella che conduce al terrazzo. Scendiamo al piano terra e ci aggiriamo per il cortile. Lo scenario non cambia, finestre che ci osservano come occhi dalle orbite vuote, macerie e cocci di vetro, pezzi di tende e tapparelle, perfino un’antenna staccata e lasciata ad arrugginire. (Foto 6) - (foto 7) Lasciamo quel resta del Regina Pacis con sollievo, un po’ perché allarmati da alcune auto che sembrano passare all’esterno in una sorta di ronda, quasi a controllare che nessuno venga a constatare lo scempio dell’ex Cpt. E poi, sarà forse la suggestione, ma ci sembra che questi muri e queste stanze trasudino dolore e sofferenza, miseria e sogni spezzati. Pare siano almeno 60mila gli immigrati transitati da qui (ma il calcolo esatto è impossibile), sospinti dal mare sino a questo crocevia delle loro storie e della loro speranza di vita migliore, naufragate chissà dove. Usciamo respirando a fondo l’aria che profuma di mare ripensando ai versi amari di una canzone di Fossati: “..soprattutto ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole, da una terra che ci odia ad un'altra che non ci vuole”. il tacco d’Italia

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// Inchiesta // Quel che è stato del Regina Pacis

A CONTI FATTI. IL MERCATO DI CARNE UMANA MA QUANTO RICEVE UN CPT PER OGNI IMMIGRATO E QUANTO COSTANO AI CONTRIBUENTI. SOPRATTUTTO, QUANTO CI GUADAGNA LA CURIA? CONTI ALLA MANO, I NUMERI, OSCURI, DELLA SOLIDARIETÀ CHE CONVIENE di MARIA BUONSANTO

Cpt Regina Pacis, un luogo di segregazione discutibile per efficacia, costi e metodi di gestione. Istituito dalla normativa Turco-Napolitano per identificare gli immigrati non in regola e permettere la loro espulsione, si è rivelato “un pasticcio” anche dal punto di vista economico. Sulla gestione del

Centro, infatti, c’è stata poca trasparenza, tanto che lo stesso Ministero degli Interni ha avuto non pochi problemi a riferire il dettaglio delle spese complessive. Quanto ci è costato dunque il Regina Pacis? Difficile a dirsi con esattezza, anche se parte delle spese sono ricostruibili.

IL RAPPORTO DELLA CORTE DEI CONTI Un primo aiuto ci viene dal rapporto di monitoraggio sulla spesa pubblica in materia di immigrazione e asilo da parte della Corte dei Conti. La relazione, relativa alla spesa in dettaglio per i centri di permanenza temporanea nell’anno 2001, ha contribuito a portare alla luce dati e informazioni che per i comuni mortali sono spesso irraggiungibili. Il rapporto, però, precisa che è difficile ricostruire i conti dei Cpt, a causa degli utilizzi promiscui degli accreditamenti e della difficoltà a ottenere dati certi, attendibili e significativi. Secondo quanto comunicato dal Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – nel 2001 gli oneri per la gestione del Regina Pacis sono stati di 6.682 mln di lire (pari a circa 3 milioni e mezzo di euro). 184 milioni di lire, invece, sono indicati come oneri per lavori e allesti-

mento a carico dell’ente gestore, vale a dire l’Arcidiocesi di Lecce. Dato confermato dall’allora direttore, Cesare Lodeserto, in un’intervista rilasciata a Report il 18 aprile 2004. Lodeserto, infatti, in merito ai costi del suo centro dichiarava: “Secondo me non potrà costare meno di 3 milioni e 500 euro l'anno. Chiaramente non può costare di meno”.Un “chiaramente” quello dell’ex direttore abbastanza dubbio, dato che nella stessa trasmissione Alfredo Mantovano, Sottosegretario al Ministero degli Interni, affermava “mi pare di ricordare che l'istituzione di un Centro costi tra i 7 e i 10 miliardi di lire e la sua gestione annua tra 1 e 2 miliardi di lire”. Il Regina Pacis, invece, nel 2001, come dimostra il rapporto della Corte dei Conti, costava oltre 6 miliardi e mezzo di lire. il tacco d’Italia

QUANTO “VALE”

Va però osservato che i Cpt brillavano per disomogeneità gestionali. Gli immigrati, infatti, “valevano un prezzo” diverso a seconda del Cpt in cui erano chiusi. È per questo che, per esempio, a Modena la convenzione era di circa 1 milione e mezzo di euro l'anno, a Bologna di 1 milione e 600 mila e a Lecce di 3 milioni e mezzo. A questi, come visto, vanno poi sommati i soldi erogati agli organi, alle associazioni che gestivano i Cpt. Fondi pubblici, fondi del contribuente che venivano investiti in un sistema tra l’altro scarsamente funzionante. Lo stesso Sottosegretario Mantovano ammetteva che “rispetto ai rintracciati le persone effettivamente identificate e quindi rimpatriate sono all’incirca 30.000 su 105.000, poco meno del 30%”. Miliardi di lire, poi divenuti milioni di euro, spesi per una struttura dalle mille faglie. D’altronde non è un mistero: la legislazione in materia di immigrazione e asilo e le conseguenti scelte di spesa sono state prioritariamente rivolte a contrastare gli ingressi e il soggiorno irregolare piuttosto che 10

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a garantire un inserimento sociale dignitoso dei cittadini stranieri nel nostro paese. Ricapitolando le voci di spesa rese pubbliche, il Cpt Regina Pacis dal 1998 al 2004 - tra istituzione e gestione - è costato al contribuente ben 30 milioni di euro. Una cifra approssimativa, se si conta che vanno aggiunti i soldi ricevuti da fondazioni, da istituti finanziari o da privati a titolo di donazione. Cifre, queste ultime, naturalmente non quantificabili. Le attività della Fondazione Regina Pacis, però, non si limitavano al Cpt di San Foca, ma includevano l’istituzione e la gestione di numerosi centri in Moldavia. Il paese, infatti, era ed è molto caro a Lodeserto che, sempre a Report, diceva“Ma sa quanti moldavi io ho trattenuto qui con il permesso di soggiorno? Inimmaginabile. Infatti i moldavi mi sono molto grati per questo. Io ho portato a casa 1.472 donne moldave”. Ci sarebbe da chiedersi se gli erano


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IL REGINA PACIS HA RICEVUTO 30 MILIONI DI EURO DALLO STATO DAL 1998 AL 2004. A QUESTI VANNO AGGIUNTI 95 MILA EURO DA PARTE DELLA PROVINCIA (GIUNTA PELLEGRINO), OBLAZIONI E DONAZIONI VARIE NON QUANTIFICABILI; ALTRI FINANZIAMENTI STATALI PER IL PROGETTO CONTRO LA TRATTA DELLE DONNE IN MOLDAVIA // I SOLDI RICEVUTI DALLO STATO 3,5 milioni di euro l’anno 30 milioni dal 1998 al 2004 400 milioni per le vittime della tratta complessivamente a: Regina Pacis, Caritas e Organizzazione Internazionale per le Migrazioni 95mila euro dal 2006 al 2008 dalla Provincia di Lecce (Giunta Pellegrino) per le attività in Moldavia

Report del 18 aprile 2004

CHE COSA SONO I C.P.T. Istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco Napolitano (art. 12 della legge 40/1998), i Centri di Permanenza Temporanea, oggi denominati Cie (Centri di identificazione ed espulsione), sono strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. In base all’art. 14 del T.U. 286/1998, come successivamente modificato dalla legge Bossi Fini (L. 189/2002), il trattenimento nei Cpt viene dispo-

E” UN IMMIgRATO altrettanto grate anche quelle donne moldave per cui Lodeserto è stato condannato in primo grado a cinque anni di reclusione. Tra le altre accuse, quella di sfruttamento. Ventuno ragazze hanno, infatti, denunciato di esser state costrette da Lodeserto a lavorare irregolarmente per 3 euro l’ora (vd pag. 16). E pensare che, tra i programmi previsti per il recupero delle vittime di tratta, finanziati sempre con i soldi pubblici, c'era anche quello dell'inserimento nel mondo del lavoro. A quanto pare, però, si trattava di un lavoro irregolare e in cui, per di più, si taglieggiava sulla paga. Anche le attività della fondazione Regina Pacis in Moldavia hanno, tuttavia, ricevuto finanziamenti pubblici. Il Ministero dell’Interno prevedeva nel 2001 un finanziamento di 400 mln, sul cap. 2321, denominato “Cooperazione internazionale per attività di prevenzione a favore delle vittime della tratta” di nuova istituzione, per il pro-

getto “prevenzione tratta”, realizzata in Albania e Romania dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dalla Fondazione Caritas Italiana in Ucraina e dalla Fondazione Regina Pacis in Moldavia. A questi, vanno poi sommati i finanziamenti stanziati dalla Provincia di Lecce: 60mila euro nel 2006 e 35mila euro nel 2008 a favore del “Cenacolo Regina pacis” con sede a Chisinau. Veniamo ai nostri giorni. Cosa succede adesso che il Regina Pacis ha smesso di operare tanto come Cpt che come centro di accoglienza per donne vittime di tratta? Cosa succede a quella struttura ormai in disuso, preda di atti di vandalismo? L’Arcidiocesi sembra poco intenzionata a restituirla ai legittimi proprietari, vale a dire i cittadini di Melendugno. Questo a detta del loro sindaco, Vittorio Potì. Sorge, quindi, legittima una domanda: sarà forse che la Curia leccese intende ricavarci altro denaro, vendendo al migliore offerente una struttura posta in uno dei tratti più belli della costa salentina? il tacco d’Italia

sto dal Questore per un tempo di 30 giorni, prorogabile di altri 30. Nonostante i cittadini stranieri si trovino all’interno dei Cpt con lo status di trattenuti o ospiti, la loro permanenza nella struttura corrisponde di fatto ad una detenzione, in quanto sono privati della libertà personale e sono sottoposti ad un regime di coercizione che, tra le altre cose, impedisce loro di ricevere visite e di far valere il fondamentale diritto alla difesa legale. I Cpt inaugurano in Italia lo stato della detenzione amministrativa, sottoponendo a regime di privazione della libertà personale individui che hanno violato una disposizione amministrativa, come quella del necessario possesso di permesso di soggiorno, violazione che non è equiparata a reato. Il funzionamento dei Cpt è di competenza del Prefetto; le forze dell’ordine presidiano lo spazio esterno delle strutture e possono entrare nelle zone dove vivono i detenuti solo su richiesta degli enti gestori in casi eccezionali e di emergenza. Ad amministratori di enti pubblici, giornalisti, operatori di organizzazioni per i diritti dell’uomo e garanti per i diritti delle persone detenute è vietato l’accesso ai Cpt. Solo deputati e senatori, previa autorizzazione prefettizia, possono visitare i Cpt. I Cie attualmente in funzione sono 12, e si trovano rispettivamente a: Bari, Bologna, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Gradisca d’Isonzo, Lamezia Terme, Lampedusa e Linosa, Milano, Modena, Ragusa, Roma, Torino, Trapani. A questi si aggiungano quelli chiusi: Agrigento: ASI/Contrada San Benedetto; Lecce: San Foca, Regina Pacis. 11

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Autrice: Se lei ci abita saprà dirmi quanto costa questo posto. Che finanziamento avete? Don Cesare Lodeserto - direttore Cpt Regina Pacis: Noi non abbiamo nessun finanziamento. Quando si parla di convenzioni bisogna usare i termini giusti. Ci sono 10 immigrati, viene erogato un servizio per 10 immigrati e lo stato paga un servizio per 10 immigrati. Quindi non esiste il finanziamento. Bisogna usare i termini giusti perché altrimenti si creano dei meccanismi perversi e si dà dell’informazione completamente errata. Autrice: Lo stato paga un servizio giornaliero per ogni immigrato, che si chiama retta. Quante persone ci stanno qui dentro? Don Cesare Lodeserto: La presenza qui é di 180 soggetti così come é stata quantificata dalle autorità competenti. Autrice: E qual é la retta? Don Cesare Lodeserto: La retta é di 43 euro per immigrato accolto ogni giorno. Autrice: Quindi se voi avete circa 180 immigrati i conti sono presto fatti. Sono sei sette miliardi... Don Cesare Lodeserto: Ma noi non abbiamo 180 immigrati. Ogni giorno gli immigrati possono essere 10, 180, 20, 140. Ogni giorno varia e perciò non ci sono i conti belli e fatti. Autrice: Ma ci sono delle persone che lavorano qua dentro. Saprà quanto le pagate? Per esempio i medici? Don Cesare Lodeserto: Lo stipendio lo paga la Asl. Non chieda a me stipendi che non sono di mia competenza. Autrice: E la Asl chi la paga? Don Cesare Lodeserto: La Asl la paghiamo noi. Autrice: E quindi dovrebbe sapere quanto gli date? Don Cesare Lodeserto: Si, si, sono circa 380mila euro l’anno che noi paghiamo alla Asl perché eroghi questo servizio. Autrice: Senta ma me le dica allora queste cifre perché le sa. Non é possibile che io non riesca a sapere una cifra di un Cpt? Don Cesare Lodeserto: Mah, il Cpt lo ha detto lei. La cifra di un Cpt, quanto potrà costare? Secondo me non potrà costare meno di 3 milioni e 500 euro l’anno. Chiaramente non può costare di meno.


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// La testimonianza // Il Sindaco di Melendugno

POTì: “DA SETTE MESI HO CHIESTO INDIETRO LA PROPRIETà” COSTRUITO SU TERRENO PUBBLICO, CON SOLDI PUBBLICI, SUL REGINA PACIS ESISTE UN VINCOLO DI DESTINAZIONE PER SCOPI BENEFICI PER L’INFANZIA

Sindaco, come nasce il rapporto tra il Comune di Melendugno e la diocesi di Lecce in merito al terreno su cui è sorto il Regina Pacis? “Anzitutto è bene precisare che il rapporto inizialmente era tra il Comune di Melendugno e la parrocchia di Lizzanello retta da don Alfonso Cannoletta. Nel 1956 il Comune ha dato in uso il terreno su cui oggi sorge il Regina Pacis alla parrocchia di Lizzanello per la realizzazione di una colonia per i bambini più bisognosi. La cessione era, quindi, una cessione condizionata al vincolo d’uso, cioè legata al fatto che la destinazione non fosse mutata”. È stata quindi la parrocchia di Lizzanello a realizzare la struttura poi divenuta Cpt Regina Pacis? “La struttura fu realizzata con gli interventi dello Stato. Si trattò di uno dei cosiddetti ‘cantieri di lavoro’ realizzati con fondi concessi dal Ministero del Lavoro ai Comuni, alle provincie ed anche alle parrocchie. La parrocchia di Lizzanello realizzò sul terreno del Comune di Melendugno la struttura, avvalendosi proprio di questi fondi . Solo in un secondo momento l’edificio è tran-

sitato nei beni della diocesi leccese, che ne è attualmente titolare della gestione”. I fatti di cronaca mostrano chiaramente che l’utilizzo fatto della struttura come Cpt ha violato il vincolo di destinazione. Come mai il Comune di Melendugno non ne ha chiesto la restituzione? “Si è trattato di una trasformazione graduale. Da colonia per minori è divenuta prima un centro per l’accoglienza degli ugandesi, quando ci fu la crisi in Uganda, e poi per quella degli albanesi, quando iniziarono gli sbarchi sulle nostre coste. Il Comune ritenne di non far valere le sue ragioni perché in fondo si trattava pur sempre di attività di solidarietà internazionale”. Col tempo però la situazione è mutata ed il Centro di accoglienza si è trasformato in Cpt. Poi nuovi cambiamenti fino a giungere allo stato attuale: una struttura abbandonata ed in degrado. Cosa pensa di fare il Comune? “Adesso la situazione è decisamente mutata. È una situazione non più tollerabile perché non solo l’edificio, ormai in disuso, è oggetto di vandalismo - si rubano porte, finestre e sanitari – ma siamo venuti a sapere che la diocesi ha intenzione di venderlo”. Com’è venuto a conoscenza di questa ipotesi di vendita? “In maniera del tutto informale. È venuto qualche operatore a chiedere il destino urbanistico della struttura e lì ci siamo resi conto dell’intenzione della diocesi”. Quali provvedimenti sono stati presi? “A settembre ho scritto una lettera alla diocesi e ho incontrato personalmente il tacco d’Italia

OGGI RISCHIA DI ESSERE VENDUTO DALLA CURIA A PRIVATI PER FARNE UN ALBERGO DI LUSSO. MA IL SINDACO DI MELENDUGNO, VITTORIO POTÌ, CHIEDE CHE VENGA RESTITUITO AL LEGITTIMO PROPRIETARIO: I CITTADINI l’arcivescovo D’Ambrosio chiedendo di non vendere la struttura e di reintegrare il Comune di Melendugno della sua proprietà. Anche perché c’è un precedente. Quando il Comune di Melendugno voleva comprare i terreni dell’area archeologica di Roca vecchia, interamente di proprietà della diocesi leccese, l’aspettativa era che i suddetti ci fossero donati. La diocesi, invece, ce li ha fatti pagare a prezzo di mercato.

In altre parole, gli affari sono affari”! Qual è lo stato attuale della vicenda? “Non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta, quindi, la struttura continua ad essere gestita dalla Curia leccese. Certo è, però, che non si può vendere senza il consenso del Comune di Melendugno”. M.B.

LA PETIZIONE POPOLARE Di quella struttura di proprietà del Comune di Melendugno, con una petizione popolare si era chiesta anche la restituzione ai cittadini e la creazione di un centro polifunzionale per l’infanzia. Centinaia di persone firmavano “dopo anni in cui i salentini hanno dimostrato cosa significasse vivere e sostenere l’accoglienza degli immigrati che sono sbarcati a milioni sulle nostre coste per più di 10 anni, sono arrivati gli affari attraverso i fondi pubblici e privati (milioni e milioni di euro) che sono stati equamente spartiti tra le realtà del cosiddetto “non profit” che si erano assunte l’onere di gestire concretamente le politiche dell’accoglienza dei profughi nel Salento… Al primo cittadino di Melendugno, l’avvocato Roberto Felline, chiediamo di fare quanto nei suoi poteri per ottenere la restituzione immediata dell’area di proprietà della Curia arcivescovile 12

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di Lecce, per inadempienza rispetto agli accordi che anni fa permisero la donazione. Tutto ciò perché gran parte della società civile salentina (e pugliese) ha diritto di ritornare a vedere e a godere delle splendide marine di San Foca, chiudendo anche visivamente una pagina nerissima, una vera e propria vergogna, che si è consumata con le attività della Fondazione Regina Pacis”. La struttura, invece, non è mai stata restituita al Comune, ma per lo meno ha smesso di essere un Cpt. La fondazione Regina Pacis, infatti, allo scadere del termine del 31/12/2004 decise di non rinnovare più la convenzione con lo Stato italiano. Decisione presa dalla stessa Curia e non - come sarebbe stato più logico aspettarsi dal Governo, che anzi decise di prorogare la convenzione fino al 31 marzo 2005 per dare il tempo alla Curia di ripensarci.


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LA CURIA NON RISPONDE Per dare un’informazione quanto più completa possibile abbiamo provato a parlare con Monsignor Cosmo Francesco Ruppi e con Monsignor Domenico Umberto D’Ambrosio. Obiettivo era avere un confronto con il primo in merito ai fatti che videro coinvolta la Curia leccese nello scandalo del Regina Pacis e col secondo sulla questione – ancora aperta – della restituzione della struttura dell’ex Cpt al comune di Melendugno. Raggiunto telefonicamente, Ruppi ha rifiutato di rispondere in merito a qualunque domanda concernente il caso “Regina Pacis”, affermando di non voler invadere il campo di competenza dell’attuale vescovo. A nulla è valso rammentare al Monsignore che la lunga gestione del Cpt avveniva sotto la giurisdizione del suo vescovado e

non di quello di D’Ambrosio. Quanto a quest’ultimo, non abbiamo avuto alcuna possibilità di un confronto diretto. A rispondere per la Curia leccese è stato don Antonio Bruno, che ha ribadito l’estraneità dell’attuale vescovo ai fatti in questione e, quindi, l’inopportunità di un’eventuale intervista. In merito al futuro della struttura Regina Pacis, infine, don Bruno ha affermato – a dispetto di quanto dichiarato, invece, dal sindaco Vittorio Potì - che si tratta di una questione mai affrontata. Queste sono le domande che abbiamo rivolto a Cosmo Francesco Ruppi, Arcivescovo di Lecce all’epoca dei fatti contestati dalla Procura a don Cesare Lodeserto, e a Domenico D’ambrosio, suo successore. Le domande, inviate via fax, sono ad oggi senza risposta.

Domande senza risposta a Cosmo Francesco Ruppi, già arcivescovo di Lecce

Domande senza risposta a Domenico D’ambrosio, attuale arcivescovo di Lecce

- Monsignor Ruppi, perché la Curia leccese decise di far venir meno il vincolo di destinazione legato alla struttura del “Regina Pacis”, convertendo la suddetta struttura in un Cpt? - Quanto fruttò alla Curia la convenzione stipulata con il Governo per la gestione del Cpt? - Quali furono i controlli effettuati dalla Curia rispetto al funzionamento della struttura “Regina Pacis” come Cpt e all’operato di don Cesare Lodeserto? - Il 16 febbraio scorso è arrivata la condanna in Appello per don Cesare Lodeserto. Qual è il suo parere sulla vicenda e sulle attività di Lodeserto quale direttore del Regina Pacis? - Come mai la Cei decise di affidare a don Cesare Lodeserto – a dispetto dei numerosi processi a suo carico e nonostante l’interdizione perpetua dai pubblici uffici - la direzione dei Centri per la prevenzione della tratta in Moldavia? Per di più, essendo Lodeserto accusato proprio di sfruttamento delle donne vittime di tratta? - Monsignor Ruppi, quale fu il peso della sua carica di Presidente della Cei Puglia in questa decisione? - Quali provvedimenti crede debba prendere la Cei rispetto alle attività di Lodeserto in Moldavia? 13 Aprile 2010

- La cessione del terreno su cui sorge il Regina Pacis fu sottoposta a un vincolo di destinazione: la costruzione di un centro per l’infanzia. Il vincolo nel corso del tempo è chiaramente venuto meno. La Curia vanta ancora dei diritti sulla struttura? - L’edificio versa ormai da anni in una situazione di abbandono. I cittadini ne chiedono la restituzione per poterlo riconvertire in una struttura di pubblica utilità. Qual è la risposta della Curia? - Il sindaco di Melendugno, Vittorio Potì, ha affermato di aver ricevuto delle visite di periti interessati a capire il possibile utilizzo della struttura del Regina Pacis. Il Sindaco ha interpretato quanto accaduto come un segnale dell’intenzione della Curia di vendere, guadagnando soldi che semmai spetterebbero ai melendugnesi. Si tratta di pure supposizioni o c’è del vero? - Il sindaco ha anche dichiarato di aver sollecitato la restituzione dell’edificio ai cittadini di Melendugno, inviando una lettera alla Curia, ma di non aver ancora ricevuto alcuna risposta. A cosa è dovuto questo silenzio?

COSI’ LA PROVINCIA FINANZIO’ IL REGINA PACIS IN MOLDAVIA

Trasformata in Centro polivalente per l’immigrazione, la fondazione ha affidato a Lodeserto, con mandato e stipendio della Cei, la gestione di una serie di centri in Moldavia, comprese delle attività a Tiraspol, in Transnistria, la repubblica auto-proclamatasi indipendente nel '92 che non è riconosciuta da nessun governo al mondo. Un Paese descritto per anni come un paradiso dei traffici. Un’attività, quella in Moldavia, finanziata non solo dalla Cei e dallo Stato, ma anche dalla Pubblica amministrazione provinciale. Giovanni Pellegrino, ex presidente della Provincia di Lecce, durante il suo mandato, fra il 2006 e il 2008 ha sostenuto con 95 mila euro le attività del Regina Pacis in Moldavia. A tal riguardo nel marzo 2009 il consigliere Donato Margarito interrogava il Consiglio riguardo gli interventi della Provincia di Lecce in favore del ‘Cenacolo Regina Pacis’ in Chisinau. Nel verbale della riunione si legge la risposta “In proposito il presidente Pellegrino ha sostenuto l’opportunità e la legittimità di tali interventi in un quadro di attività che la Provincia svolge in numerosi Paesi per l’integrazione e l’assistenza sociale nel nome di un Salento, luogo di dialogo, d’incontro e di pace”. Pelle-

grino, infatti, affermava “queste iniziative sono in realtà tessere che si inseriscono armonicamente in un mosaico molto più ampio…il mancato inserimento avrebbe avuto il sapore per me di una ingiusta discriminazione…se facciamo una scuola in Marocco, se facciamo le iniziative in Palestina, se abbiamo finanziato cooperative palestinesi, sarebbe stato discriminatorio dire : ‘ No, dei bambini di Chisinau non ci occupiamo perché a don Cesare Lodeserto gli stanno facendo qualche processo’”. Sulla vicenda del finanziamento in più rate da parte della Provincia di Lecce, deliberato sin dal 2006, anche i deputati radicali del Pd Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci e Zamparutti hanno depositato un’interrogazione parlamentare urgente nella seduta n. 127 del 5 febbraio 2009 in cui chiedevano al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro per i Rapporti con le Regioni, al Ministro dell'Economia e delle Finanze “se fossero a conoscenza dell'ammontare nazionale dei fondi stanziati per gli enti locali che vengono a loro volta devoluti a enti religiosi che operano all'estero, i quali in quanto «enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, istituti religiosi e seminari» già beneficiano di un regime di finanziamento stabilito dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985”. La risposta non è mai arrivata, ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha addirittura inserito il Regina Pacis tra gli organismi contro la lotta alla discriminazione. Mentre la Provincia, dal canto suo, ha promosso addirittura iniziative come le «giornate della Moldavia», un'idea pensata assieme alla Curia sulla scorta dell'esperienza moldava. il tacco d’Italia


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// Il primo processo // La ricostruzione dei fatti

QUELLA NOTTE AL REgINA PACIS IL RACCONTO DI QUELLO CHE ACCADE TRA IL 21 E IL 22 NOVEMBRE 2002, ATTRAVERSO I VERBALI DEL PROCESSO E DEGLI INCIDENTI PROBATORI: SEVIZIE E UMILIAZIONI NEL CPT DI SAN FOCA. IN APPELLO LODESERTO CONDANNATO A 12 MESI PER LESIONI AGGRAVATE di MARIA BUONSANTO

L’immigrazione clandestina è anche un affare. Un mercato della carne umana in cui a guadagnarci sono non solo scafisti e trafficanti di esseri umani, ma anche organizzazioni riconosciute dallo Stato italiano e da questo finanziate. Anche in questo il Regina Pacis passerà alla storia, perché tra le tante accuse, la prima è del 2005 per simulazione di

reato, monsignor Cesare Lodeserto, direttore del Cpt, vanta anche quella di aver «distratto» 1 miliardo e 900 milioni di lire. Se dalle accuse di peculato è stato assolto, sorte diversa è toccata in altri processi. La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, a luglio 2009 lo ha condannato a rimborsare allo Stato 133.651 euro - la metà di quanto riil tacco d’Italia

chiesto dal procuratore - avuti per maggiori prestazioni a favore degli immigrati rispetto a quelle effettivamente rese. Arriviamo al 16 febbraio 2010. Dopo una serie di rinvii, si è concluso con una condanna il processo d’Appello contro l’ex Centro di permanenza temporanea “Regina Pacis” ed il suo direttore, Cesare Lodeserto: 12 mesi di reclusione per lesioni aggravate. Già in primo grado, il 22 luglio 2005, la Corte si era espressa con una pena di 16 mesi per Lodeserto. Oggi, a otto anni dai fatti, il processo è finalmente giunto al suo epilogo. I mesi, però, sono stati ridotti a 12 ed è caduto un capo d’accusa, quello di violenza privata. Ricostruiamo la vicenda. Nella serata del 21 novembre 2002 un gruppo di magrebini trattenuti in attesa di espulsione nel Centro “Regina Pacis” di San Foca, fondato e retto dalla Curia salentina, tentarono la fuga. Alcuni riuscirono a disperdersi nelle campagne circostanti, per poi essere rintracciati nei giorni seguenti. Altri vennero bloccati dai carabinieri di14

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staccati presso il Centro e riportati all’interno. Per tutti furono adottate le stesse modalità di repressione: violenza, sevizie e umiliazioni. A porle in essere, il direttore, don Cesare Lodeserto, il nipote Giuseppe Lodeserto, Natalia Vieru, Paulin Dokaj e alcuni carabinieri assegnati al Cpt. “Le forze dell’ordine mi hanno steso a terra e hanno incominciato a colpirmi con il bastone ai piedi e mentre stavo a terra cercavo di coprirmi il viso – racconta uno dei magrebini, Ben Slama Lofti, nell’udienza del 3 marzo 2003 - subito sono arrivati Luca (Giuseppe Lodeserto) e Natasha (Natalia Vieru) e con la mano mi hanno colpito al viso” (verbale incidente probatorio udienza 3.3.03). La cosa sarebbe già grave così. Ma a rendere ancora più inumano il trattamento riservato a Ben Slama Lofti e agli altri, arriva la costrizione a ingoiare della carne di maiale cruda, in sprezzo alla loro religione. “Mi hanno costretto a mangiare carne di maiale – continua Lofti Una delle guardie mi ha detto ‘o mangi questa carne di maiale o ti colpisco’ e io l’ho mangiata”( verbale incidente probatorio udienza 3.3.03). In tutte le testimonianze rese dalle vittime, risuonano le stesse parole. Crude e raccapriccianti. Abedhadi Mohamed, escusso nell’udienza del 19 marzo, racconta che, bloccato dai carabinieri prima di riuscire a fuggire, fu portato nel corridoio davanti l’ufficio di Lodeserto. Dopo esser stato picchiato da alcuni impiegati del Centro e dai carabinieri, la mattina seguente venne obbligato a ingerire carne di maiale. Non solo si trattava di carne di maiale, ma l’obbligo a ingoiarla giungeva di Ramadan, periodo dell’anno in cui i precetti coranici vietano ai musulmani di mangiare durante il giorno. A nulla valsero le sue proteste. Questa la diretta descrizione di Mohamed: “…è venuto un carabiniere, è entrato in cucina…ha portato un piattino dove c’era della carne… si è seduto sopra sulla pancia e mi ha detto ‘mangia’ e ho detto ‘io di Ramadan non mangio di mattina, di giorno’…mi ha aperto la bocca stringendo con le mani sulla guancia, poi mi ha messo un pezzetto di carne in bocca e poi con il manganello ha spinto in modo che la ingoiavo” (verbale incidente probatorio udienza 19.3.03). A quei migranti che cercavano di fare resistenza, infatti, la carne fu fatta ingoiare a forza con l'aiuto dei manganelli di ordinanza. “Ha preso il pezzo di carne di maiale e mi ha messo il braccio sotto il mento e mi ha spinto in modo di alzare la testa e mi ha infilato la carne di maiale in bocca – racconta Louro Anis - Poi ha preso il manganello che lo teneva lungo la


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gamba, io ho cercato di fare resistenza, di non ingoiare la cosa e con il manganello mi ha spinto il pezzo di carne in bocca” (verbale incidente probatorio udienza 19.3.03). L’implicazione di Lodeserto, applaudito da tanti governi come il creatore di “un eroico modello di accoglienza”, risulta chiara dalle testimonianze. Il ricordo di Souiden Montassar è vivido. Questi alcuni passaggi significativi: “… è arrivato il direttore (don Cesare, ndr), mi ha preso dal ciuffo dei capelli davanti e mi ha sbattuto due volte sul muro la testa di dietro; dopo mi ha girato e mi ha preso dalla parte da dietro e mi ha sbattuto la faccia al muro… Dopodiché mi ha rigirato e ha preso il manganello dei carabinieri e mi ha colpito col manganello sulle labbra, alla bocca. Poi mi ha colpito due denti superiori… Ho cercato di coprire il viso con la mano, mi sono girato il viso verso il muro per impedire che vengo colpito su quella parte e a quel punto mi hanno cominciato a colpire sulla gamba, sulla gamba sinistra con i calci e con i manganelli” (verbale incidente probatorio udienza 19.3.03). A questo punto della vicenda si inserisce un piccolo giallo. Montassar, stremato dalle violenze subite e con i denti rotti, fu condotto da alcuni impiegati del Regina Pacis in ospedale. Questi spiegarono al personale medico che le ferite erano dovute al tentativo di fuga messo in atto dall’uomo, che nel frattempo tentava di spiegare a gesti - come ricorda durante il processo il medico che lo curò - che si era trattato di percosse. Poiché Mon-

SOUIDEN MONTASSAR: “… È ARRIVATO IL DIRETTORE, MI HA PRESO DAL CIUFFO DEI CAPELLI DAVANTI E MI HA SBATTUTO DUE VOLTE SUL MURO LA TESTA DI DIETRO; DOPO MI HA GIRATO E MI HA PRESO DALLA PARTE DA DIETRO E MI HA SBATTUTO LA FACCIA AL MURO”… tassar non parlava italiano fu il personale del Cpt a fornire le sue generalità. Ed ecco il giallo: per motivi non conoscibili, ma facilmente ipotizzabili, furono forniti i dati di un altro ospite del Centro. Questo non è l’unico episodio ai limiti del raggiro che coinvolse il Regina Pacis in quei giorni. Altro fatto è quello relativo al cosiddetto “foglio delle firme”, diffuso tra gli ospiti del Centro con la finalità di raccogliere l’adesione ad una dichiarazione di dubbia natura e certamente non compresa dai cittadini magrebini trattenuti. Nel foglio, datato 21 dicembre 2002, il direttore

ABEDHADI MOHAMED: “È VENUTO UN CARABINIERE, HA PORTATO UN PIATTINO DOVE C’ERA DELLA CARNE MI HA DETTO ‘MANGIA’ E HO DETTO ‘IO DI RAMADAN NON MANGIO DI MATTINA, DI GIORNO’…, POI MI HA MESSO UN PEZZETTO DI CARNE IN BOCCA E CON IL MANGANELLO HA SPINTO IN MODO CHE LA INGOIAVO” redigeva in nome e per conto di questi la richiesta di rimanere presso il Regina Pacis e di non essere trasferiti in altra struttura di accoglienza, come stabilito dall’autorità giudiziaria. Il testo era seguito dai nomi delle persone che avevano sporto denuncia per i fatti accaduti in novembre e dalle rispettive sottoscrizioni. Una serie di dubbi possono sorgere in ordine all’intenzione di Lodeserto di far sottoscrivere una richiesta di tal fatta il giorno immediatamente precedente all’espletamento dell’attività di indagine, previsto il 22 dicembre 2002. I dubbi crescono, poi, se si guarda alle dichiarazioni rese dai firmatari. Quel che appare con certezza è che non avevano compreso affatto il contenuto del testo. La traduzione dello stesso, infatti, fu fatta da Makram e Taha, persone integrate nella struttura organizzativa del Regina Pacis. Benhsine Mohamed racconta di aver firmato il foglio per poter lasciare il Centro. Gli era stato spiegato, riferisce, che l’unico modo per uscire dal Cpt fosse di apporre la propria firma. Dello stesso tenore le altre testimonianze. I firmatari erano tutti convinti che quel foglio rappresentasse il lasciapassare per abbandonare quel luogo di soprusi. Del resto la semplice considerazione che si sono trovati di fronte ad una traduzione assolutamente non esaustiva dello stesso e che i traduttori erano due persone integrate nel Cpt, già induce a ritenere che la vicenda abbia tratti decisamente oscuri. La lettura delle dichiarazioni testimoniali offre anche un quadro esaustivo dell’atteggiamento adottato dal Direttore. Benhsine Mohamed e Louro Anis parlano chiaramente di trattamento di favore loro riservato al fine di indurli a rimettere la querela, trattamento consistito in fornitura più frequente di schede telefoniche e sigarette, talvolta con richieste esplicite, talaltra con velati e minacciosi riferimenti alla possibilità di non uscire dal Regina Pacis per lungo tempo. Benhsine, nel corso dell’incidente probatorio, riferisce al Giudice per le indagini preliminari che don Cesare gli aveva fatto presente che se non avesse perdonato gli autori del pestaggio, le conseguenze non sarebbero tardate a venire: “mi ha detto: Se non perdoni, se non lasci perdere questa cosa rimani là quattro, cinque, sei mesi, rimani al Centro, non esci” (verbale incidente probatorio udienza 19.3.03). Dello stesso tenore le dichiarazioni di Souiden Montassar. Anche quest’ultimo aveva compreso il tacco d’Italia

che la sottoscrizione comportasse la possibilità di lasciare il Cpt. Aggiunge, inoltre, di aver ricevuto da don Cesare la richiesta di non essere coinvolto nella denuncia. Queste le parole di So-

uiden: “E’ venuto il Direttore (don Cesare, ndr) da noi sopra e ha chiamato la gente e gli ha detto: ‘io non vi ho colpito, i Carabinieri sono che vi hanno colpito! Se volete fare la denuncia fatela ai Carabinieri’, sono entrato io e gli ho detto: ‘questa chi me l’ha procurata?’ e ha continuato a parlare con uno che parlava l’italiano là e gli ha detto di comunicarlo ‘io la mando anche ad un medico privato alla mia spesa e gli aggiusto anche tutti i denti’. Questo è successo” ( verbale incidente probatorio udienza 19.3.03).

LE CONDANNE: IN TUTTO 12 ANNI E 14 PERSONE Don Cesare Lodeserto: 12 mesi Giuseppe Lodeserto (il nipote), Natalia vieru, Paulin Dokaj, Vito Alberga: 8 mesi Armando Mara, Sen Ramazan: 6 mesi Francesco D’Ambrosio: un anno e due mesi I carabinieri Michele Coscia, Vito Mele, Mario Di Pierro, Giovanni Fumarola: 12 mesi I medici Giovanni Roberti, Anna Catia Cazzato: nove mesi Una vicenda oscura quella del Regina Pacis. Un raccapricciante esempio di violenza, abusi e umiliazioni. Il 22 luglio 2005, a due anni dalle indagini preliminari, arrivò il verdetto di primo grado. E dato che in Italia non esiste il reato di tortura, la condanna sancì “violenza privata e lesioni aggravate” per il prete e gli altri. Un anno e quattro mesi la pena da scontare per don Cesare Lodeserto. Il processo però, arrivato in Appello, ha visto una riduzione dei capi d’accusa. Il 16 febbraio scorso, dopo un lunga camera di consiglio 15

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durata oltre nove ore, infatti, i giudici della Corte - presidente Rodolfo Boselli, a latere Roberto Tanisi e Andrea Tronci – pur confermando la condanna, hanno cancellato il reato di violenza privata, riducendo la pena da un anno e quattro mesi a un anno. Condannati a 8 mesi il nipote di don Cesare, Giuseppe Lodeserto, Natalia Vieru e Paulin Dokaj. Sei mesi, invece, per Armando Mara e Sen Ramazan; un anno e due mesi per Francesco D'Ambrosio; otto mesi per Vito Alberga. Confermata la condanna ad un anno di reclusione per i carabinieri appartenenti all'XI battaglione "Puglia" e responsabili del servizio d'ordine presso la struttura: Michele Coscia, Vito Mele, Mario Di Pierro e Giovanni Fumarola. Confermata la condanna a nove mesi anche per i due medici Giovanni Roberti ed Anna Catia Cazzato, accusati di aver prodotto false attestazioni sulle ferite presenti sui corpi dei fuggiaschi, dovute a detta loro al tentativo di fuga messo in atto dai magrebini e non alle percosse subite. M.B.


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// Il secondo Processo

DON CESARE TORNA ALLA SBARRA

CALUNNIA, SEQUESTRO DI PERSONA, VIOLENZA, MINACCE: IL 30 APRILE INIZIA IL PROCESSO D’APPELLO di ANDREA MORRONE

Minacce, insulti, umiliazioni, prevaricazioni, calunnie e violenze psicologiche. E’ questo ciò che emerge dalle oltre 250 pagine di sentenza del giudizio abbreviato, su quello che era il Centro di primo trattamento Regina Pacis. Una sorta di luogo a sé, al di fuori di ogni legge, con un gruppo ristretto di persone a decidere le sorti degli immigrati “ospiti” della struttura. Una struttura, è bene ricordarlo, di fatto detentiva, in cui venivano reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. A fare le spese di questo trattamento, deducibile per i giudici “da un malinteso senso della disciplina e al fine di reprimere e punire sistematicamente i comportamenti scorretti”, numerose ospiti del Centro, ragazze per lo più di nazionalità moldava, rumena e albanese, arrivate al Regina Pacis in ragione di programmi di protezione e reinserimento sociale. Un incubo senza fine il loro, proseguito anche all’interno di quella mura imbiancate a calce, dove cre-

devano di trovare riparo da una vita fatta di miseria e di strada, di abusi e prostituzione. A dettare legge all’interno del Centro, per il Gup Nicola Larriccia, la figura di don Cesare Lodeserto, direttore del Regina Pacis, trasformatosi in una sorta di padre e padrone capace di decidere del destino delle ospiti. Una sorta di direttore-carceriere, pronto a contrastare in ogni modo la volontà di chiunque decidesse di allontanarsi definitivamente dal Centro. Un diniego assoluto, tanto da privare le giovani donne del passaporto o del permesso di soggiorno, arrivando perfino a strac-

UNA 21 RAGAZZE DELL’EST ACCUSANO IL SACERDOTE DI COSTRINGERLE A LAVORARE IN NERO UN MOBILIFICIO A 3 EURO L’ORA ANCHE PER NOVE ORE AL GIORNO il tacco d’Italia

ciarlo. Il tutto accompagnato da insulti come “puttana” e altre offese, sino ad arrivare, secondo le vittime (in realtà la circostanza non è stata ritenuta valida dal giudice), a schiaffeggiarle o colpirle. Un vero e proprio terrore che avrebbe spinto alcune ospiti, come Irina Dejan, Nadia Bocioanca, Monika Jasnos e Anna Lojek, “ad atti di autolesionismo come tagli sulle braccia ed in altre parti del corpo”, pur di fuggire via dalla loro prigione. Appare evidente, nelle pagine degli atti del procedimento e della sentenza, l’importanza che le cittadine immigrate rivestivano per l’ex direttore del Cpt. Già, perché le ospiti rappresentavano una sorta di forza lavoro a bassissimo costo ma di grande produttività, da impiegare in alcune fabbriche della zona. Un business da cui sono scaturite le ipotesi di reato più gravi a carico di Cesare e Giuseppe Lodeserto e Natalia Vieru, quelle di estorsione e sequestro di persona. Al centro della vi16

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cenda “il rapporto di lavoro a nero delle ospiti con il mobilificio Soft Style di Pino Quarta a Novoli”. Un lavoro spesso estenuante, per otto o nove ore al giorno, dal lunedì al sabato, per cui le immigrate ricevevano un compenso giornaliero di 25 euro. E’ una delle vittime, e parte civile nel processo, Valeria Adina Campeanu, a raccontare il lavoro nel mobilificio: “Dovevamo raffinare i mobili, però alla fine facevamo di tutto, alzavamo i mobili, a me specialmente mi mandavano a fare la verniciatura e il colore, a scaricare e caricare i camion, e non ce la facevo più”. Spesso quello di recarsi al lavoro era l’unico modo di uscire dal Centro, come spiega la stessa Campeanu: “Se una ragazza lavorava e un giorno non andava a lavorare in quel giorno non poteva uscire”. In caso di controlli da parte delle forze dell’ordine, il da farsi era chiaro. Innanzitutto bocche cucite e poi nascondersi. “Ci dovevamo nascondere dietro, dove si facevano le sedie”. Inoltre, per chi si ribellava o si rifiutava di recarsi al lavoro, magari perché non in condizione di farlo, scattavano le minacce, le offese e le punizioni, fino ad arrivare ad impe-

IN CASO DI CONTROLLI DA PARTE DELLE FORZE DELL’ORDINE, IL DA FARSI ERA CHIARO. INNANZITUTTO BOCCHE CUCITE E POI NASCONDERSI. “CI DOVEVAMO NASCONDERE DIETRO, DOVE SI FACEVANO LE SEDIE dire di uscire da Regina Pacis, anche per lunghi periodi, sequestrando i passaporti e stracciando i permessi di soggiorno. Rappresentativo il caso di una cittadina polacca, Monika Jasnos, costretta ad accettare il lavoro pur di uscire dal Centro, in cui era stata rinchiusa per tre mesi. Il lavoro doveva quindi continuare, il tutto a vantaggio economico degli imputati.


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Vi sono altri episodi emersi nel corso del processo, non tutti però accertati o punibili. Nel clima di terrore, che secondo i testimoni e le parti offese si respirava all’interno del centro, chiunque osava opporsi andava colpito. E’ il caso del dottor Refolo, uno dei medici in servizio al Cpt, pronto a testimoniare sulle presunte colpe di don Cesare in relazione ad un altro processo. Lo stesso sacerdote avrebbe cercato pertanto di convincere un’ospite della struttura, Valeria Campeanu, con cui il medico aveva una relazione, ad accusare il suo compagno di violenza sessuale. Un’accusa da cui l’ex direttore è stato assolto perché il fatto non sussiste. Condannato invece, nell’ambito della stessa vicenda, Armando Mara, uno degli uomini di fiducia di don Cesare, che avrebbe minacciato il dottor Refolo dicendogli: “Te la facciamo pagare, noi ti diamo fuoco alla casa”. Chi ostacolava il progetto degli imputati diveniva un nemico, in ogni caso, anche se indossava una divisa. E’ in questo contesto che si inserisce la condanna per calunnia nei confronti dell’ufficiale dei Carabinieri Elio Dell’Anna, falsamente accusato dal sacerdote, per il gup, di concussione. Accuse che don Cesare avrebbe riferito all’allora comandante provinciale Luigi Robusto. Il tutto per screditare Dell’Anna, impegnato nelle indagini sul mobilificio in cui lo stesso don Cesare avrebbe inviato le sue “ospiti” a lavorare “in nero”. Pesanti le condanne comminate, al termine del processo di primo grado svoltosi, come detto, in giudizio abbreviato, dal gup Nicola Lariccia: 5 anni e 6 mesi di reclusione per don Cesare; 3 anni e 2 mesi per Giuseppe Lodeserto; 2 anni e 8 mesi per Natalia Vieru. Pena assai più lieve per Armando Mara, condannato a 30 euro di multa. Assolto, invece, con sentenza divenuta ormai irrevocabile, Paulin Dokaj. Questi e altri episodi saranno al centro del processo dinanzi ai giudici della Corte d’Appello, che si aprirà il prossimo 30 aprile a Lecce. Processo in cui don Cesare Lodeserto, ex direttore del Cpt Regina Pacis di San Foca, sarà imputato a vario titolo e in concorso con altre tre persone, il nipote Giuseppe (detto Luca), Natalia Vieru e Armando Mara, per i reati di violenza, minaccia, ingiuria, sequestro di persona, estorsione e calunnia. I giudici dovranno verificare e analizzare la vita all’interno di quello che era il più importante dei Centri d’accoglienza, oggi chiuso e abbandonato. Numerose le persone offese, quasi tutte ex ospiti del Cpt. Donne che non hanno dimenticato e che continuano a chiedere giustizia.

OPERAZIONE “NOTTETEMPO”: gLI ANARCHICI CONTRO IL CPT ACCUSATI DI “ASSOCIAZIONE SOVVERSIVA CON FINALITÀ DI EVERSIONE DELL’ORDINE DEMOCRATICO”, FURONO CONDANNATI IN PRIMO GRADO GLI ANARCHICI di ANDREA MORRONE

cuni paesi dell'hinterland, erano già comparse le scritte contro carceri, “Regina Pacis”, “Benetton”, e così via, ed erano state organizzate anche le manifestazioni di protesta davanti ai cancelli del centro di accoglienza, con l'intento, secondo gli investigatori, di istigare gli immigrati alla sommossa. Poi era stata la volta delle minacce telefoniche fatte giungere agli operatori della struttura ed all'allora direttore don Cesare Lodeserto, il religioso attualmente agli

UN ATTENTATO INCENDIARIO AL DUOMO DI LECCE E UNO ALLA CASA DELLA MAMMA DI DON CESARE, VARIE MANIFESTAZIONI CONTRO IL REGINA PACIS E DANNEGGIAMENTI A BANCA INTESA E AD UNA STAZIONE DI SERVIZIO

Un’impronta importante, quasi fondamentale, nella storia di quello che era il Centro di permanenza temporanea “Regina Pacis” di San Foca e sulle denunce che hanno portato negli anni alla chiusura della struttura e a celebrare una serie di processi, si è avuta grazie a diversi enti, tra cui il Lecce social forum. Numerosi negli anni, a partire dal 2002, le proteste e le azioni di protesta dei cosiddetti anarchici leccesi contro il Cpt di san Foca. L’undici marzo del 2005 don Cesare Lodeserto viene arrestato vicino Mantova e condotto nel carcere di Verona. Due settimane dopo l’ex direttore ottiene i domiciliari presso un centro religioso in provincia di Bari. A metà giugno torna in libertà. Nel frattempo, il 12 maggio 2005, scatta l’operazione “Nottetempo”: perquisizioni in tutta Italia, 5 anarchici leccesi vengono il tacco d’Italia

arrestati, altri 13 indagati a piede libero. Per tutti l’accusa è di “associazione sovversiva con finalità di eversione dell’ordine democratico” (art. 270 bis C.p.). Il 6 agosto uno degli arrestati ottiene i domiciliari e un mese dopo uno delle persone ai domiciliari viene liberata con l’obbligo di dimora. Dopo due mesi di isolamento Salvatore Signore, 34 anni di Casarano, viene trasferito da Salerno a Sulmona. Il 9 novembre si celebra l’udienza preliminare in cui due degli indagati vengono prosciolti da tutte le accuse, mentre altri proscioglimenti riguardano alcuni reati specifici. La data di inizio del processo è fissata al 19 gennaio 2006. Tra gli episodi di cui vengono accusato gli anarchici, vi sono l'attentato incendiario contro il portone d'ingresso del Duomo. Prima di quell'episodio, in città ed in al17

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arresti domiciliari nell'ambito dei presunti maltrattamenti agli ospiti del centro. Ed ancora ai danneggiamenti dei bancomat di BancaIntesa, rea di avere acceso i conti correnti del «Regina» e dei tubi di gomma delle colonnine di carburante del distributore Esso di Galatina, per colpire la multinazionale del petrolio con interessi economici in Iraq. Ma ciò che aveva fatto precipitare la situazione ed evidenziare ancora di più l'allarme sociale, era stato l'attentato incendiario contro l'abitazione della mamma di don Cesare Lodeserto. Il processo di primo grado si conclude con cinque condanne: Salvatore Signore a 5 anni, Saverio Pellegrini e Cristian Paladini a 3 anni, Marina Ferrari ad 1 anno e dieci mesi. Il processo d’Appello è in corso di svolgimento. Don Cesare Lodeserto, una delle parti offese nel processo, come detto vive oggi in Moldavia, dove dirige l’omonima fondazione Regina Pacis. A.M.


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// Il ricordo // Donato Margarito

“QUELLO CHE VIDERO I MIEI OCCHI” DONATO MARGARITO, ALL’EPOCA DEI FATTI ASSESSORE AL LAVORO DELLA GIUNTA PELLEGRINO, VISITÒ IL CENTRO noi siamo entrati in delegazione, ovviamente autorizzata e preventivamente richiesta, ci hanno mostrato questa stanza. Abbiamo, però, visto che non era una stanza di torture. Non c’erano né segni né tracce di violenza. Naturalmente si possono dare mille spiegazioni in merito. Loro sapevano di dover ricevere una delegazione e poi - a dir la verità - ricordo che comunque rimanemmo più di un’ora ad aspettare fuori, prima di poter entrare”. Iniziamo dallo scenario di fondo: il 30 novembre 2002 una delegazione di 12 persone, tra cui Lei, fu autorizzata ad entrare nel Centro di Permanenza Temporanea “Regina Pacis”. Che situazione avete trovato? “Ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a dei gironi infernali. Sovraffollamento, condizioni molto provvisorie e a dir la verità un’umanità senza diritti, ferita, colpita nella sua dignità. Uscii da quel sopralluogo molto colpito - mi creda - perché una cosa è apprendere queste questioni leggendo i quotidiani o i libri oppure occupandosene come rappresentanti istituzionali, un’altra cosa è guardare questo spettacolo. Uno spettacolo di dolore individuale e collettivo dovuto non solo al sovraffollamento, ma anche alla sospensione totale dei diritti in una terra che, invece, deve garantirli”. Cosa vi è stato riferito dai migranti del Centro? “I dialoghi sono stati pochi anche perché noi non volevamo essere condizionati. Uno dei temi denunciati consisteva nel fatto che in una cameretta ristretta don Cesare Lodeserto invitasse alcuni migranti ad entrare e poi usasse maniere abbastanza violente nei loro confronti. Questa era la tesi dei migranti e ci indicarono anche la stanza dove avvenivano questi interventi. Quando

Lei è stato uno dei sei membri della delegazione firmatari dell’esposto presentato alla Procura di Lecce il 16 dicembre 2002. Come mai prese questa decisione? “Eravamo stati informati dai migranti che erano stati vittime di atti di violenza e quindi ci siamo assunti la responsabilità di fare un esposto in cui si chiedeva alla magistratura di appurare la verità. Ed io quello che mi aspetto oggi è proprio la verità”.

di MARIA BUONSANTO

bile la presenza dei migranti con una progettualità di sviluppo turistico di quei siti. E quindi entrava in polemica con la Curia. Questa sua polemica a noi faceva comodo e si incontrava con le nostre esigenze. Il Regina Pacis, però, poteva chiudere soltanto per una scelta unilaterale – io dico di ravvedimento – e, obiettivamente, non credo che il sindaco avesse mezzi cogenti per vincere questa battaglia contro il Regina Pacis e anche noi non avevamo una forza tale da contrastare quel mondo”. Il Regina Pacis, anziché chiudere, ha continuato ad operare per alcuni anni come Centro polifunzionale per l’immigrazione, retto sempre dalla Curia leccese. Come mai, nonostante i numerosi processi a carico del Regina Pacis, l’amministrazione pubblica ha continuato a sostenere finanziariamente le sue attività? “Noi di Rifondazione Comunista abbiamo fatto parte della coalizione di Governo durante la legislazione di Giovanni Pellegrino. Nelle piattaforme programmatiche sulle quali abbiamo costruito gli accordi di coalizione il nostro partito aveva posto delle condizioni politiche. Le condizioni erano queste: la finanza pubblica deve essere una finanza etica. Alla luce di questo principio, la prima condizione che abbiamo messo a Giovanni Pellegrino era che la Provincia non avrebbe mai dovuto assumere impegni né finanziari né patrimoniali per sostenere iniziative

Nonostante i procedimenti in corso, la Fondazione Regina Pacis ha continuato ad operare come CPT fino al 31 dicembre 2004. Successivamente si era parlato di una chiusura definitiva del Centro ed una sua trasformazione in Centro polivalente per l’infanzia. Lei è stato tra i firmatari della petizione con cui si chiedeva la restituzione dell’area, sita in San Foca, donata anni prima alla Curia. Perché l’iniziativa si arenò? “La nostra posizione e quella del sindaco di Melendugno, Roberto Felline, si incontrarono su comuni obiettivi: far chiudere il Regina Pacis. Però mentre le ragioni di una certa sinistra radicale erano quelle che ho spiegato in precedenza, se non ricordo male il sindaco di Melendugno poneva una ragione non del tutto nobile legata alle politiche turistiche del territorio. Lui riteneva incompatiil tacco d’Italia 18 Aprile 2010

provenienti dalla Curia leccese. Non perché in noi c’era un pregiudizio di tipo clericale. Il problema era la credibilità morale del soggetto richiedente. Se il soggetto richiedente è oggetto di indagine giudiziaria un’accorta e prudente maggioranza di Governo non dovrebbe procedere a sostenerlo, né finanziando progetti né concedendo in uso o in comodato d’uso il proprio patrimonio. Però, tra il centrosinistra, con in testa Pellegrino, e Rifondazione Comunista (oggi Sinistra e Libertà) c’è un punto di differenziazione irriducibile. Il pensiero di Giovanni Pellegrino, dell’esecutivo, della maggioranza e del Pd è questo: i progetti vanno valutati intrinsecamente, considerando prioritaria la finalità che si propongono di raggiungere. Per cui, ad esempio, se in Moldavia il Regina Pacis intende con le istituzioni del posto creare un centro per minori, la finalità è socialmente progressista e quindi va sostenuta finanziariamente. Indipendentemente dal fatto che il soggetto richiedente si trovi nei guai con la magistratura. Noi di Sinistra e

“SOVRAFFOLLAMENTO, CONDIZIONI MOLTO PROVVISORIE, UN’UMANITÀ SENZA DIRITTI, FERITA, COLPITA NELLA SUA DIGNITÀ. E’ QUELLO CHE VIDI IN QUEL LUOGO DI DETENZIONE”


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Moldavia. E sono queste ad essere state finanziate dalla nostra Pubblica Amministrazione. Che tipo di controllo c’è stato sui finanziamenti erogati, cioè su come sono stati effettivamente impiegati in Moldavia? “Io ho fatto un’interrogazione specifica su questo. Con alcune delibere sono state finanziate delle attività formative. Io chiedevo naturalmente una rendicontazione sulla contabilità e sugli atti amministrativi, le presenze degli allievi, le firme dei docenti, cioè una rendicontazione amministrativa e contabile di quello che era stato fatto. Mi è stato risposto che questi controlli erano stati espletati”.

Libertà non siamo d’accordo con quest’impostazione”. Una delle azioni principali della Fondazione Regina Pacis è costituita dall’insieme di attività svolte in

Ci sono atti che lo provino? “Io non sono riuscito a trovarli a dire la verità. Credo che i criteri di una buona Pubblica Amministrazione non sempre siano stati rispettati e che qualche forzatura probabilmente ci sia stata. La mia impressione è che il Pd leccese abbia una forma di sudditanza e di semi intesa, più o meno sotterranea, con la Curia leccese e che quindi quando governa il centrodestra il Pd su questi temi non faccia un’opposizione particolarmente motivata. Quando, invece, ha governato il centrosinistra, beh a Monsignor Ruppi all’epoca era difficile, era molto difficile dire di no.

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Quando il prof. Gigi Perrone dice che negli ultimi anni nella Curia leccese alcuni personaggi si sono trasformati in imprenditori della misericordia, dice una cosa fondata. È venuta meno di fatto la missione spirituale, che è poi la funzione peculiare di una Curia, del mondo cattolico. C’è stato un interesse per un’attività di tipo imprenditoriale”. Come si spiegano allora i finanziamenti stanziati dalla Provincia nel 2006, per un importo di 60.000 Euro, e nel 2008 per 35.000 Euro? “Sì, devo dire che in merito noi siamo stati soccombenti.

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Avevamo,come Partito, anche un assessore, Luigi Calò, che alla fine ha votato a favore di questi atti. Non ha avuto la forza di sottrarsi. Diciamo una piccola debolezza dovuta forse all’inesperienza, forse alla giovane età. Come partito non abbiamo mai ritenuto questa lacerazione dell’accordo programmatico sufficiente per rompere la coalizione e passare all’opposizione. Io in Consiglio ho sempre stigmatizzato la negatività di queste scelte fatte dalla coalizione, però poi ci siamo fermati lì e non siamo andati oltre”. M.B


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//Un po’ di leggerezza

CHI MI AMA mi SEGUA

CHE COSA LE VERY IMPORTANT PERSONS SALENTINE HANNO FATTO PUR DI SENTIRSI ACCETTATE di LAURA LEUZZI l.leuzzi@iltaccoditalia.info

La mia professione di medico della coppia quotidianamente mi porta ad utilizzare tutte le mie forze per essere accettato dai miei pazienti spesso in crisi per i motivi inerenti alla mia particolare specializzazione. Ricordo tuttavia un episodio che mi sta particolarmente a cuore. Quando io e mia moglie Annamaria eravamo studenti universitari a Parma, lei stava sempre sulle Lamberto Coppola, sue, ma io me ne ero innamorato sessuolo ed andrologo, alla follia. Una sera con altri amici direttore centro Tecnomed, Nardò ci siamo incontrati casualmente in centro e lei portava con sé un bagaglio a mio avviso pesante; l’abbiamo invitata in pizzeria ed io per fare il galante le ho preso il borsone che poi non era così pesante come pensavo, e me lo sono portato con me tutta la serata. Lei mi stava dietro come un cagnolino, mi parlava di tante cose, in pizzeria si è seduta accanto a me... pensavo: “E’ fatta, l'ho conquistata”. Macché! uando ormai l'avevo conquistata veramente, ma in altro modo, ricordando l'episodio mi ha confessato che quella sera mi seguiva perché sapendo dagli altri amici della mia esuberanza, aveva paura che io davanti a tutti aprissi quel borsone dove lei trasportava una busta contenente tra le altre cose la sua biancheria intima.

Q

uante volte vi è capitato di fare cose stupide pur di sentirvi accettati? C’è chi sceglie un determinato abbigliamento per sentirsi più giovane/più vecchio/più alla moda/più nel gruppo, chi si inventa un alter-ego al quale vorrebbe almeno un po’ assomigliare e poi interpreta quel ruolo, pur di risultare interessante agli occhi di qualcuno. I salentini no. Specie integerrima dai valori inossidabili, la gens salentina non scende a compromessi. Della serie “Meglio pecora nera” e, vista da un’altra ottica, “Chi mi ama, mi segua”. In barba al relativismo della personalità di marca pirandelliana, tra tutti i vip salentini che abbiamo interpellato per la nostra mini-rassegna alla scoperta del salentinismo, nessuno ha ammesso di aver forzato certi lati del carattere pur di piacere e di sentirsi accettato. La domanda che abbiamo posto loro è stata proprio questa: “Che cosa hai fatto per sentirti accettato”? Risposta: nulla. I salentini sono se stessi nel bene e nel male. A parte rare eccezioni che, evidentemente in via di estinzione, hanno confermato la regola. Ecco le loro risposte. Credeteci - alla maniera di Pirandello - se vi pare, considerando che anche il dichiarare di essere sempre stati se stessi può essere una “strategia” per piacere.

Gianni Carluccio, responsabile archivio Tito Schipa, Lecce

Filomena D’Antini Solero,

Quotidianamente mi si presentano occasioni per stare tra la gente; ciò mi capita quando tengo delle conferenze sull’archeologia o sulla figura e l’opera di Tito Schipa. Quando mi trovo in comitiva, cerco di comportami in maniera naturale, magari calcando un po’ la mano sulla simpatia. In genere è questa la mia strategia, l’unica che abbia mai usato. Non ho altre armi.

assessora provinciale alle Pari opportunità, Giorgilorio Non mi sono mai posta il problema di essere accettata, forse perché alcune caratteristiche del mio carattere, come la solarità e la spontaneità, mi hanno reso la cosa semplice. Ho sempre avuto riscontri positivi anche da parte di chi avevo appena conosciuto e, di conseguenza, non ho mai faticato per inserirmi in un gruppo. il tacco d’Italia

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Carla Guido, attrice, Melendugno Un tempo non mi passava neppure per la testa il pensiero di dover modificare il mio carattere per fare presa sugli altri. Quando sei giovane sei estremo. Ti piaccio? Bene. Non ti piaccio? Pazienza. Con la maturità ho acquisito una condizione psicologica diversa, che mi permette di sentirmi sempre in pace con me stessa e con il mondo e che potrei riassumere nel proverbio salentino “Tacca lu ciucciu ddhu ole lu patrunu” (lega l’asino lì dove vuole il padrone, ndr), cioè, in breve, dai agli altri ciò che vogliono da te. Non significa cedere a compromessi ma semplicemente aver trovato la ricetta per vivere senza troppi problemi. Negli anni ho infatti acquisito diplomazia, che per me era una illustre sconosciuta, ed ho imparato dalla saggezza dei contadini l’insegnamento giusto. Oggi non sento la necessità di essere accettata, anche se, da attrice, il positivo riconoscimento da parte degli altri, lo scroscio di un applauso, sono il fine al quale tendere.

Aurelio Gianfreda, consigliere regionale, Poggiardo Per non adeguarmi al conformismo risulto spesso antipatico. Non ho modificato il mio carattere per interessare l’interlocutore. Semmai l’età, il lavoro e l’esperienza politica mi hanno portato a smussare certi angoli, ma resto un impulsivo che non dice bugie e che non asconde mai la testa sotto la sabbia.

Nunzio Casciaro, fabbro ed inventore, Vignacastrisi Sono sempre stato un tipo estroverso e con il mio modo di fare aperto ho spesso fatto breccia nel cuore degli altri. Col tempo ho avuto modo di capire che la sofferenza alza le barriere della diffidenza e così oggi che, grazie all’attività di inventore, mi ritrovo a progettare prototipi di strumenti meccanici per i disabili e per chi ha bisogno, ho capito che devo sfruttare proprio la mia estroversione e la mia sensibilità per guadagnare presso queste persone la credibilità e la fiducia che merito.

Maria Lucia Seracca Guerrieri Portaluri, presidente Ande (associazione donne elettrici), Lecce, Maglie Che cosa faccio per farmi accettare? Per la verità, non so nemmeno se gli altri mi accettano, ma non faccio niente di niente per agevolare il processo. Entrerei in un discorso troppo filosofico, se spiegassi il perché, ma davvero non mi interessa più di tanto sentirmi accettata. La mancanza di diplomazia, lo riconosco, è una mia pecca. Se voglio fare qualcosa, la faccio. Che stia bene o meno agli altri. E se a qualcuno non sta bene, allora ci metto una bella croce sopra. Sono fatta così.

Maria Luisa Toto,

Alessandro Langiu,

presidente centro antiviolenza “Renata Fonte”, Lecce

scrittore, attore e regista, Taranto

Non ho mai fatto niente di più né niente di meno di ciò che avrei fatto. La mia generosità e la mia esuberanza mi hanno sempre aperto tante porte. E su quelle che non mi si sono aperte ho sbattuto i pugni con convinzione pur di non cedere alla tentazione di farmi cambiare dagli eventi. L’ho sempre considerata una violenza ed una forzatura ed io alla lotta alla violenza ho dedicato tutte le mie forze.

Antonio Buccoliero,

Ad undici anni ho fatto il chierichetto per amore. Volevo fare colpo su una mia compagna di classe che non mi guardava nemmeno. E siccome lei frequentava sempre la chiesa, decisi di farmi venire la vocazione e di seguirla. Lei non avrebbe potuto non notarmi, da quella posizione privilegiata. Tra l’altro da bambino era anche un po’ rotondetto, per cui approfittai della tunica per nascondere le mie imperfezioni fisiche. Poi lei ha smesso di andare in chiesa ed io ho smesso di fare il chierichetto.

consigliere regionale, Lecce

Maria Concetta Cataldo Giuri,

In me c’è, da sempre, un costante atteggiamento di apertura verso gli altri. Fin dalle prime amicizie nate nell’oratorio salesiano, ho sempre cercato di compiere, per primo, un gesto di apertura verso l’altro, accettando prima ancora di essere accettato. In questo particolare modo di fare non c’è mai stato un preciso calcolo, ma una consapevolezza: voler anticipare gli altri nell’accoglienza, nell’amicizia, dimostrando una predisposizione all’incontro e al confronto.

Mi sono sempre sentita accettata dagli amici, dalla famiglia e pertanto mi sono sempre posta in maniera positiva nei confronti degli altri. Dai quali ho sempre avuto conferme. Così sono stata io a cercare di includere il mio prossimo. Quando, ai tempi dell’ultima laurea lateranense, ero a Roma, ero a contatto ogni giorno con colleghi e docenti di tutte le etnie e di tutti i colori. Mi relazionavo con loro senza fare differenze di genere e di provenienza. La parità tra uomo e donne e tra culture è un insegnamento di mio padre di cui ho fatto tesoro.

vice-presidente Fidapa Lecce, Galatone


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//Il personaggio del mese // Antonio Barba CARTA D’IDENTITÀ COGNOME: Barba NOME: Antonio NATO IL: 18 aprile 1977 A: Gallipoli OCCHI: castano CAPELLI: castano scuro STATURA: 1,72 m PESO: 66 kg TAGLIA: 48 NUMERO DI SCARPE: 41 STATO CIVILE: celibe TITOLO DI STUDIO: laurea in Giurisprudenza PROFESSIONE: avvocato CARICA POLITICA: fino ad oggi consigliere comunale di Gallipoli, vicecapogruppo Pdl; consigliere regionale

Ariete (dal 21 marzo al 20 aprile

ei un “Ariete Ariete”. Sei nato con la Luna nuova ed hai Sole, Luna e Venere nel tuo segno. Ciò ti rende fortemente impulsivo e desideroso di ottenere subito i risultati che insegui. Quando intraprendi un’iniziativa, avverti subito un’irrefrenabile frenesia di giungere a conclusione. Con risultati positivi, ovviamente. Il tuo carattere è tutto creatività, foga, voglia di fare tutto e subito. Il tuo motto potrebbe essere “Chi si ferma è perduto”. E infatti non hai perso tempo in alcun campo della vita, negli studi come nell’attività politica, raggiungendo traguardi eccellenti nonostante la giovane età. Hai Marte e Saturno in opposizione; questa combinazione ti rende un po’ insicuro, soprattutto in quei campi che meriterebbero un pizzico di riflessione in più rispetto a quella che sei abituato a concedere. Ami agire d’impulso senza fermarti a pensare troppo alle conseguenze delle tue azioni. Invece la presenza di Giove in Gemelli indica che la tua fortuna è proprio nelle attività ben ponderate. Impara a farlo e ne trarrai vantaggio. Le stelle dicono che hai bisogno di trovare il giusto centro delle cose; per farlo puoi avvalerti del tuo innato senso di giustizia. Mercurio in Toro ti rende molto tenace e ti sollecita, qualora ce ne fosse bisogno, a realizzare imprese importanti che ti gratificheranno molto. Sei un amante della buona cucina e, in una città come quella in cui vivi, non poteva essere diversamente. Tuttavia per te il saper mangiare è anche un sapersi ricongiungere con la natura e con il sapore intimo delle cose: gustare il cibo ed il buon vino significa gustare il valore di ciò che ti circonda. Ok ad attività creative da svolgersi anche nell’ambito delle quattro mura domestiche, laddove non fosse possibile all’aria aperte. Bene, ogni tanto, per staccare la spina dopo una giornata di fitti impegni lavorativi o amministrativi, togliere le scarpe e camminare a piedi nudi. Servirà a ripristinare il contatto con l’io più intimo ed a ritrovare te stesso, se dovessi averlo temporaneamente perso di vista. Ciò ti permetterà di attingere ad energie nuove. Entro fine aprile avrai Giove su Marte, ed acquisterai grande determinazione nell’affrontare gli ostacoli.

S

MAI UN ATTIMO DI RELAx Netbook. Mai scollegato dal mondo. Il Netbook Acer ha un posto di primo piano sulla mensola-comodino di Antonio Barba. Color bianco fashion gli permette di aprire una finestra sul mondo in tempio reale. Libri. Per prendere sonno, la casa suggerisce “La società cooperativa” di Mosconi, “Finanza personale d’impresa: operatività e tecnica” di Masullo-Rota, “Guadagnare con i Covered Warrant” di Masullo-Pozzi, “Operare in borsa con successo” di Masullo-Sacchi-Vezzani.

Saranno l’entusiasmo e la freschezza della giovane età, ma il comodino di Antonio Barba non è un vero comodino. E’ piuttosto una mensola utilizzata all’uopo sulla quale, però, non sono collocati gli usuali oggetti che si trovano su un comodino, una sveglietta, ad esempio, o un abat-jour. Lavoro, solo lavoro. E, semmai, qualche lettura. Mica tanto rilassante. Organizer. Very professional. E’ l’agendina in pelle nera che non manca mai nella borsa del neo-consigliere regionale. Quotidiani. Nei “buchi” dai fitti impegni, per essere sempre aggiornato su ciò che accade. Mai iniziare (e continuare) la giornata senza aver dato una sbirciatina (e poi una più attenta lettura) ai quotidiani locali.

La borsa di Antonio Barba è di quelle “24 ore” in tela morbide dove mettere tutto ciò che si vuole, praticamente senza limiti di spazio. A metà tra una borsa da lavoro e una borsa da studente universitario. Sarà per la giovane età del nostro! Che non perde occasione per portarsi dietro i quotidiani del giorno ed una agendina per non perdersi un appuntamento. il tacco d’Italia

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SUL COMODINO E NELLA BORSA

L’OROSCOPO A CURA DI IULY FERRARI

TUTTO E SUBITO


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//La foto del mese ADDIO, IMPAZIENTE C’erano talmente tanti parenti, amici e colleghi, straziati e increduli, al funerale di Michele Frascaro, lo scorso 23 marzo, che la piccola piazza Margottini di Supersano, paese d’origine del giornalista, sembrava scoppiare. Difficile credere, era questa la sensazione che univa tutti i presenti, che un giovane combattente come lui, così pieno di vita, potesse non esserci più. Alla soglia dei 37 anni (li avrebbe compiuti il prossimo 8 maggio), il direttore de “L’impaziente” se n'è andato di fronte agli occhi della moglie Angela (all'ottavo mese di gravidanza) durante un incontro nell'oratorio di Supersano. Prima di sentirsi male, era tornato sull'argomento a lui più caro, quello delle lotte per il lavoro dei cassintegrati del Tac e, in particolare, degli operai dell'Adelchi di Tricase. Un lungo applauso ha accompagnato l'uscita del feretro di fronte alla gigantografia di Michele "L'Impaziente", esposta sul balcone di una casa dai colleghi della rivista da lui fondata e le note di una canzone dei Marlene Kuntz, uno dei suoi gruppi musicali preferiti.

MONSIgNOR gUERRIERO Aveva avuto modo di dire che la malattia lo aveva reso più forte perché gli aveva dato modo di avvicinarsi ancora di più a Dio, di non temere le sofferenze fisiche e di vedere più vicina la vita ultraterrena. Si è spento il primo giorno d’aprile, a causa di una malattia incurabile di cui soffriva da anni, presso l’ospedale “Panico” di Tricase, Vito De Grisantis, vescovo della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Alle 8.30 di quel giorno tutte le campane delle parrocchie appartenenti alla sua diocesi hanno suonato assieme. Il saluto si è così levato fortissimo verso quel cielo al quale De Grisantis non aveva paura di far ritorno. Ugento ha proclamato lutto cittadino. I messaggi di cordoglio sono stati numerosissimi, provenienti da uomini di chiesa, politici di ogni schieramento, fedeli, ma non solo. Tante persone comuni hanno voluto comunicare il proprio personale lutto e la propria vicinanza all’uomo ed all’ecclesiastico. Tutti lo hanno definito guerriero al fianco della gente, sacerdote al fianco dei bisognosi, uomo in cerca della verità e della giustizia. Tra i suoi personali impegni, quello di aver portato il papa a Leuca, il 14 giugno 2008.


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//30 giorni in una pagina ACCADDE UN ANNO FA

DA “SIgNOR NESSUNO” A “SIgNOR PRESIDENTE” Aprile e maggio dello scorso anno furono dedicati alla lotta per la conquista di Palazzo dei Celestini. E fu una lotta vera e propria. Prima la composizione delle liste, poi le strategie di partito e le strategie dei singoli candidati per strappare agli fino all’ultimo voto tennero banco incontrastati sulla stampa e nei discorsi dei frequentatori dei bar della piazza. Le elezioni che si tennero il 7 e 8 giu-

gno furono insomma “sentite” subito. In campo i contendenti erano tre: Antonio Gabellone, dai più maligni ribattezzato il “Signor nessuno”, sostenuto da una coalizione di centrodestra; Loredana Capone, vicepresidente provinciale uscente sostenuta da uno schieramento di centrosinistra; Adriana Poli Bortone, la vera sorpresa della tenzone, che in un batter d’occhio fondò il movi-

mento politico “Io Sud”, che si collocò (e colloca tuttora) come un terzo polo di centro e giocò (ma poi giocò mica tanto) a scombinare le carte in tavola agli altri due. E infatti. Il primo turno delle elezioni non sarà sufficiente a decretare il vincitore; si renderà necessario il ballottaggio, in occasione del quale rimarranno delusi tutti coloro si aspettavano che la indimenticata sindaca leccese avrebbe apertamente appoggiato Capone in una sorta di solidarietà poli-

tico-femminista. Forte dell’ampio consenso registrato, la nostra se ne rimarrà invece in poltrona a vedere la fine del film senza farsi passare per la testa la benché minima intenzione di influenzare i suoi elettori. Ed ecco che a dispetto delle proiezioni da palla di vetro del pre-partita, alla fine la spunterà proprio il Signor nessuno. Da allora il nostro indossa la fascia di Signor presidente e guai a chi non gliene renda il giusto merito.

COME E’ ANDATA A FINIRE

REgIONALI. HA VINTO LA POESIA

IPSE DIXIT // TUTTI GIÙ PER TERRA “Fitto non è l’unico colpevole”. Silvo Berlusconi, presidente del Consiglio Nuovo Quotidiano di Puglia, 2 aprile 2010, p.3 // “SEI” POLITICO “Ringrazio il presidente Silvio Berlusconi per la fiducia nei miei confronti e per la considerazione che ha manifestato per il mio operato nel governo”. Raffaele Fitto, ministro per gli Affari regionali Nuovo Quotidiano di Puglia, 2 aprile 2010, p.3 // PESCE D’APRILE “Ho consegnato al segretario generale la lettera di dimissioni perché, dopo il verdetto elettorale a Lecce e dopo la riunione delle scorse ore, ritengo di non aver più la fiducia della maggioranza”. Paolo Perrone, sindaco di Lecce Nuovo Quotidiano di Puglia, 2 aprile 2010, p.7 // QUANDO SI DICE “GIRO DI PAROLE” “Penso che Blasi abbia la sensibilità per interpretare la nuova missione del Pd come luogo degli innovatori, di quelli che stanno davvero provando a cambiare. Ma la sfida è una sfida comune ed è giusto che questo sforzo sia compiuto da un gruppo e non da una persona. Insomma, Blasi sta bene dove sta”. Guglielmo Minervini, assessore regionale Nuovo Quotidiano di Puglia, 11 aprile 2010, p.5 // PESSIMISMO COSMICO “La deliberazione del Consiglio dei ministri non avrà l’effetto di una bacchetta magica”. Francesco Boccia, Pd La Gazzetta del Mezzogiorno, 14 aprile 2010, p.2

E' stata una vittoria travolgente. Nichi Vendola, governatore uscente (centrosinistra), si è riconfermato sulla sua poltrona sin dallo spoglio della prima scheda. L’esito delle elezioni regionali in Puglia ha tutto sommato confermato i pronostici: il distacco da Rocco Palese, candidato del centrodestra voluto con forza dal ministro Raffaele Fitto (il quale tanto ha insistito presso il premier Berlusconi cui proprio non piaceva), si è mantenuto costante fino a notte. Quando la cautela ha lasciato il posto alla festa. "Il laboratorio di buon governo che abbiamo messo in campo in Puglia viene premiato dal consenso degli elet-

tori", ha commentato il presidente-poeta. A conteggi ultimati su tutte e 4.003 le sezioni, l’uscente si è riconfermato alla testa di Via Capruzzi con il 48,69% delle preferenze, Rocco Palese si è fermato al 42,25%, Adriana Poli Bortone ha conquistato l'8,7%, Michele Rizzi lo 0,3%. In provincia di Lecce, il risultato percentuale è stato: 45,0% per Nichi Vendola; 44,15% per Rocco Palese; 10,53 per Adriana Poli Bortone; 0,27% per Michele Rizzi.Il dato che ha fatto maggiormente riflettere è stato proprio questo: i 7mila voti che hanno costituito la "forbice" che ha diviso nella provincia salentina Vendola da Palese. Lo stesso divario, ma a parti invertite, registrato la scorsa estate in occasione del turno di ballottaggio delle Provinciali. Ma qualcosa è cambiato. Perché in quel caso vinse il centrodestra. Per il quale si apre, in questo caso, un intenso periodo di riflessione interna.

275. IL TAR BLOCCA L’ULTIMO TRATTO

L’ultimo tratto di 275 non si farà. E’ quanto ha stabilito il 14 aprile il Tar di Lecce accogliendo i ricorsi con cui la Regione, il Comune di Alessano, ex amministratori provinciali di vari schieramenti ed associazioni ambientaliste avevano chiesto di bloccare la gara d’appalto per la realizzazione delle quattro corsie nell’ultimo tratto di strada, quella che da Montesano porta a Santa Maria di Leuca. Ha espresso la sua contrarietà alla sentenza del Tar Antonio Gabellone, presidente della Provincia, preoccupato di perdere il finanziamento Cipe.

Nello specifico, l’ordinanza dei giudici della Prima sezione presieduta da Aldo Ravalli, “sospende l’efficacia del provvedimento impugnato limitatamente all’esecuzione dell’ultimo tratto della statale 275, a partire dalla intersezione con la strada provinciale 210”, “dichiara manifestamente infondato il regolamento di competenza proposto dall’avvocatura dello Stato nell’interesse del Cipe e dell’Anas” ed “ordina l’integrazione del contraddittorio nei riguardi dei Comuni attraversati dal tracciato della 275”. Giovanni Pellegrino, legale dei ricorrenti assieme a Valeria Pellegrino, ha commentato di accogliere la decisione del Tar “con pacata soddisfazione”, visto che potrebbe essere riformata dal Consiglio di Stato. “Mi auguro – ha aggiunto – che il mio successore Antonio Gabellone non accolga questo risultato come una sconfitta”.


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//30 giorni in una pagina FITTO. DIMISSIONI, ANZI NO Una sconfitta così eclatante il ministro Raffaele Fitto non se la sarebbe mai aspettata quando, a fine febbraio, fece il nome di Rocco Palese quale candidato ideale del centrodestra per la presidenza della Puglia e tanto insistette perché Berlusconi desse il suo “placet”. Berlusconi alla fine lo diede, ma non ne fu mai troppo convinto. Poco telegenico, un tipo poco reality-show, forse. Fatto sta che il ministro magliese ebbe la meglio ed il Salento vide, nei giorni

CANNABIS CONTRO IL DOLORE. OK DELLA PUgLIA di campagna elettorale, lo stesso premier venire fin giù a mettere la sua buona parola per il dottore del Capo. Il quale ha toppato. E la sua sconfitta è stata la sconfitta di Fitto, in primis. Che, quando ancora non era stata scrutinata l’ultima scheda, il 29 maggio notte, ha deciso di salutare tutti e dimettersi da ministro, consegnando il suo “addio”a Berlusconi in persona. Per gli ambienti della politica (suoi amici e suoi nemici) sono state ore febbrili. Fino a che, puntuale come un pesce d’aprile, il primo del mese la storia è giunta al suo epilogo: in un Consiglio dei ministri al quale il “Principe” non aveva preso parte per discrezione, Silvio propone di rifiutarne le dimissioni. Non perché il succitato non avesse colpe, ma perché non era l’unico colpevole. Applausi a go-go. E Fitto è ancora lì.

Con uno degli ultimi atti del governo Vendola, la delibera di Giunta 308/10, firmata da To m m a s o Fiore, assessore alla Sanità, la Puglia ha dato ufficialmente il via libera all’utilizzo per i malati terminali dei farmaci a base di cannabis, che da oggi sono a totale carico del servizio sanitario regionale. I farmaci dovranno essere somministrati a pazienti in regime di ricovero o in day hospital o in regime di assistenza domiciliare integrata e do-

vranno essere importati dall’estero. Ciò significa che lunga trafila burocratica per l’approvvigionamento dei farmaci da fuori-Italia resta, ma saranno le Asl ad occuparsene, e poi a pagare anche il conto: 600 euro per ogni confezione di medicinale, sufficiente per un mese.La Puglia è la seconda in Italia, dopo la Toscana, ad “aprire” ai derivati delle cannabis per uso terapeutico. Potranno beneficiare del rimborso sanitario i malati terminali di cancro o i pazienti affetti da sclerosi multipla, in quanto l’utilizzo dei cannabinoidi è previsto come trattamento nella terapia del dolore. Si tratta di un palliativo, ma fondamentale per un esercito di oltre 58mila persone ammalate di sclerosi multipla in Puglia e di quasi 9mila malati terminali di cancro.

ABORTO CON PILLOLA, MAI CON LO ZUCCHERO Abortire non è mai c o m e bere un bicchier d’acqua, neppure se attraverso la pillola RU 486. Eppure attorno all’ultimo ritrovato della scienza in tema di interruzione di

gravidanza, utilizzabile in alternativa al tradizionale aborto chirurgico, si è acceso un dibattito che ha spaccato in due gli ambienti della medicina, della politica e della religione. Dopo un lungo periodo di somministrazione controllata ai fini di completare la sperimentazione della Ru486 (a Bari ma anche presso il “Vito Fazzi” di Lecce, dove la sperimentazione è terminata nel 2006), la pillola è a tutti gli effetti un trattamento abortivo consentito.

Lo è però solo negli ospedali in cui è possibile garantire il regime di ricovero ordinario per i tre giorni previsti; in pratica in Puglia solo presso il Policlinico di Bari. Con il paradosso che le donne possono comunque firmare sotto la propria responsabilità ed essere dimesse dopo poche ore dal trattamento, evitando il ricovero per i giorni successivi. A Lecce si dovrà attendere ancora circa un mese.

RINNOVABILI, STOP ALLA LEggE REgIONALE 31 La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge regionale pugliese 31/08 in materia di energie rinnovabili, a seguito del ricorso presentato dal Tar Bari e dal Governo Italiano. Gli ambientalisti di Italia Nostra Sud Sa-

lento, presieduti da Marcello Seclì, hanno espresso grande soddisfazione. "Si tratta della legge che ha reso la nostra regione l'eldorado delle rinnovabili in Europa, il luogo dove poter accedere ai lauti finanziamenti pubblici collegati alla produzione delle eco-energie, in maniera rapidissima, abbattendo i necessari e doverosi controlli e cautele, e semplificando ai minimi termini gli iter autorizzativi. Si son potuti realizzare così impianti industriali veri e propri da fonte eolica, fotovoltaica e da biomasse, fino a potenze di 1MW (MegaWatt), con una semplice DIA,

Dichiarazione di Inizio Attività, una sorta di auto-certificazione, presentata semplicemente al comune in cui si vuole realizzare l'impianto”. La 31/2008, andando in deroga alla legge nazionale (decreto legge 387/2003), aveva innalzato ad 1 MW le soglie massime di potenza per la realizzazione di impianti di produzione d'energia da fonti rinnovabili che, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale restano di 60 kW per l'eolico, 20kW per il fotovoltaico, 200 kW per la biomassa.

CASARANO. BIOMASSE SOTTO I RIFLETTORI Il progetto di centrale a biomasse a Casarano del gruppo Italgest è entrato nel vivo nelle scorse settimane, con l'avvio del procedimento volto ad ottenere la fatidica "autorizzazione unica" promulgata dalla Regione. La centrale denominata “Helianthos 2” è un impianto a ciclo combinato per la cogenerazione di energia elettrica e calore alimentata da oli vegetali con una

potenza di circa 25 megawatt, da realizzare nella zona industriale di Casarano (la centrale gemella "Heliantos 1" di Lecce si è invece arenata per un difetto di forma). Anche a Casarano la procedura si prevede tortuosa: la conferenza dei servizi in Regione è stata rimandata perché Asl, Arpa e Provincia di Lecce hanno chiesto ulteriori chiarimenti in merito a questioni di primo piano e su cui ruota la reale sostenibilità ambientale dell'impianto, ossia il "piano di approvigionamento degli olii", che, secondo quanto dichiarato dall'azienda in sede di conferenza di servizi, non è più a "filiera corta" come prevede la legge regionale (31/08), in

quanto il progetto è stato presentato prima dell'approvazione della legge stessa. Il Dr. Serravezza, presidente della Lega contro i tumori di Lecce ha scritto a Vendola e Giorgio Assennato (direttore Arpa), invitandoli a bloccare le emissioni industriali nocive e ha chiesto al gruppo Italgest di ritirare il progetto. Anche il gruppo consiliare del PD casaranese sembra smarcarsi della maggioranza e dalla linea del sindaco Ivan De Masi, fratello minore del presidente Italgest ma dimessosi da tutte le cariche aziendali nel momento della sua discesa in politica. Pende infine sull’intera procedura il referendum, il cui risultato però non è vincolante.

commenti e opinioni da

www.iltaccoditalia.net

Spostare l'attenzione dalle biomasse ai rifiuti significa cercare di deviare l'attenzione dell’opinione pubblica casaranese. I rifiuti Casarano li produce ed in un modo o nell'altro vanno smaltiti, le biomasse noi a Casarano non le vogliamo in quanto oltre ad essere nocive, a noi casaranesi non portano alcuna utilità. Vogliamo parlare poi dei costi dello smaltimento dei rifiuti??????? antonio aradeo@ 20:35-13.4.10 commento alla news “Casarano. ok all’impianto per il trattamento rifiuti” http://www.iltaccoditalia.info/sito/indexa.asp?id=10185#commenti_articolo In questo caso credo che ci vogliano le maniere forti... come dichiarare di non pagare tasse o qualcosa del genere... se non si ristabilisce la situazione, perché sinceramente di subire l'ennesima umiliazione del sud mi sono rotto. quindi politici pugliesi tirate fuori gli attr....... come fanno quelli della Lega.......e vediamo cosa succede!!!! stufo della situazione lecce-roma @ 11:413.4.10 commento alla news “treno lecce-roma. gabellone chiama bertolaso” http://www.iltaccoditalia.info/sito/indexa.asp?id=10183#commenti_articolo Io mi ricordo solo la presentazione della squadra dell’attuale presidente D'Odorico. Tutti in coro si gridava “D'Odorico sindaco D'Odorico sindaco”..... A Gallipoli nemmeno se viene Berlusconi è buono. Purtroppo se non ci sono soldi nessuno può mettere di tasca sua. Comunque ovunque forza Gallipoli fino alla morte. caddhipulino @ 23:28-11.4.10 commento alla news “d’odorico: ‘il gallipoli on fallirà’” http://www.iltaccoditalia.info/sito/indexa.asp?id=10152#commenti_articolo


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//Controcanto

di ANTONIO MASSARI*

IL “POSIZIONAMENTO” DEL gIORNALISTA NELLA SCACCHIERA DEI POTERI ERA NECESSARIO CHE PROPRIO UN SACERDOTE, DON CESARE LO DESERTO, GESTISSE IL CPT? DOV’È FINITA LA COERENZA CON LA PAROLA DI CRISTO? BASTEREBBE QUESTO A METTERCI DINANZI A UN BIVIO E PORCI L’OBBLIGO DELLA SCELTA

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l giorno in cui chiameranno questi eventi e questi luoghi con il proprio nome – ovvero: deportazione e lager – sarà entrato in gioco il motore della Storia. Soltanto il distacco dalle nostre responsabilità – considerata l’ipocrisia che governa la nostra società – consentirà a qualcuno di poter dire chiaramente che abbiamo recluso, con la violenza tipica e legittima dello Stato, uomini e donne senza alcuna colpa, se non quella di aver cercato un futuro migliore, qui, dove l’abbondanza trasuda dai marciapiedi, dai tubi di scarico delle automobili, dai ripetitori dei cellulari, dalle griffe – vere o false che siano – esibite sin dalla scuola materna. L’inchiesta che leggerete in queste pagine è un monito a ricordare: chi sa, è responsabile. Non è facile conteggiare flussi di persone e danaro. Quanta gente è transitata nel Cpt di San Foca: circa 60mila persone. Non è facile conteggiare 60mila persone: bisogna immaginarle, una per una, vederle entrare e poi uscire, e leggendo quest’inchiesta, comprendere in quali condizioni – psichiche e fisiche – sono entrate e poi uscite. Le cifre, nel giornalismo, non possono, non devono servire soltanto a riempire le tabelle di un grafico. Devono servire a strutturare la coscienza del qui ed ora. Sessantamila persone. Quando lo storico che verrà chiamerà tutto questo deportazione di massa, i

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nostri figli, i nostri nipoti, dovranno chiederci: dove eravate, quando accadeva? E in pochi potranno dire: c’ero e ho lottato perché non accadesse. La redazione del Tacco d’Italia affronta la questione punto per punto. Chi legge queste pagine saprà, e per questo motivo sarà responsabile, perché questo è il senso ultimo del giornalismo: offrire gli strumenti per assumere delle responsabilità sociali. E allora, quanto denaro è passato nelle casse del centro: circa 30 milioni di euro. Una cifra enorme. Per certi versi. Spiccioli, rispetto alla violenza che s’è celebrata, dietro quelle mura, e a prescindere dai processi tuttora in corso e dai reati. La violenza che si celebra in ogni centro di permanenza temporanea, oppure, come si chiamano oggi, centri d’identificazione ed espulsione: tutta la violenza possibile per lo Stato, che ha usato nei confronti degli immigrati clandestini – e usa ancora - la propria “legittima” forza, quella che gli promana dalle leggi che si dà, e che assomma nel concetto di “giustizia”. Ma lo Stato è lo Stato, e dovrà un giorno assumere le proprie responsabilità per questi orrori, e la Chiesa è la Chiesa. Questo è il confine che il Regina Pacis ha valicato, questa è la sua peculiarità, perché se oggi, finalmente, la Chiesa inizia ad assumere le responsabilità dei reati di pedofilia commessi nel mondo – spinta da una campagna

d’informazione – è lecito chiedersi: quando chiederà perdono per aver permesso la deportazione di 60mila persone senza alcuna colpa, se non quella d’essere sprovvista di un documento? Era necessario che proprio un sacerdote, don Cesare Lo Deserto, gestisse il Cpt? Dov’è finita la coerenza con la parola di Cristo? Basterebbe questo a metterci dinanzi a un bivio e porci l’obbligo della scelta. Ma siamo fortunati. Abbiamo altri elementi, che quest’inchiesta ci fornisce, per assumere ulteriormente le nostre responsabilità: gli atti processuali. I reati contestati a don Cesare. E non soltanto a lui. E ancora: il silenzio della Curia, che interpellata non risponde alle domande. Dopo aver visto le attuali fotografie del Regina Pacis, del suo disfarsi per mancanza di immigrati reclusi, è più semplice comprendere che quell’equazione – 30 milioni di euro, 60 mila immigrati clandestini – era l’equazione di uno squallido mercato fatto da merce umana. Il Regina Pacis potrà anche diventare un albergo a cinque stelle. E nell’immediato, ipocrita futuro che stiamo attraversando, un depliant potrà cassare urla e tormenti, e mostrare ai turisti i vantaggi d’una vacanza nella bella e accogliente struttura, sullo splendido litorale di San Foca. E tra quelle mura si udiranno le risa e il divertimento. Finché un giorno, lo sto-

rico immaginario, userà le parole giuste: fu un posto di deportazione, un lager, dove vennero rinchiuse 60mila persone, sotto gli occhi pigri e colpevoli dello Stato e dei suoi cittadini, della Chiesa e dei suoi fedeli. Quello storico immaginario, però, è già ciascuno di noi. Qui e ora. A patto di dargli voce. E l’editoriale che precede l’inchiesta si conclude così: “Il 30 aprile – al processo d’appello - ci saremo anche noi”. È la più bella, tra le promesse che un cronista, o un giornale, possano offrire ai propri lettori. È il “senso”, la “sostanza” del giornalismo. È promettere il “posizionamento” sulla scacchiera che vede procedere gli eventi – un processo, in questo caso – mentre si muovono i poteri. È una promessa ai lettori. E so bene che, per un giornalista e un direttore, la risposta più bella non è nella vendita delle copie. È nella corrispondenza con il lettore, perché è l’unico che può dar senso al nostro lavoro, perché ci dà forza e sostegno, non soltanto quando crede in quello che scriviamo, ma proprio quando prende posizione usando le nostre informazioni. Quando rende il giornalismo la storia di ogni giorno. * giornalista, “Il Fatto quotidiano”

INDOVINA CHI è

“Bestiario pubblico. Ovvero: come nascono nuovi improbabili personaggi sulla scena”


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