Spedizione in abbonamento postale art.2 comma 20/b - L.662/96DC/DC/199/00/LE - Anno 8 - n.85 - Settembre 2011
Tumori in Salento e 1,00
Ecco come appare il cervello umano "studiato" da una Pet-Tc (indagine morfo-metabolica)
Paradossi, non sense, sprechi sulle spalle dei malati di cancro. In lista d'attesa come tutti
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l'EDITORIALE
DI MARIA LUISA MASTROGIOVANNI
L'odissea Pet Tac e il simbolo di una politica sorda A rileggere l'iter che da cinque anni a questa parte ha avviato il centro Calabrese di Cavallino per attivare la prima e unica Pet Tac del Salento, sembra di sentire l'eco dell'aneddoto che vede una regina Maria Antonietta sorda ai gorgoglii dello stomaco vuoto del suo popolo, che lei vorrebbe placare con le brioche. Se la fame si può placare con la pasticceria, allora fa bene la Asl a mettere in lista d'attesa i malati di cancro o a spedirli al Nord per fare la Pet. Tra i vergognosi paradossi che Roberta Grima è andata a scovare di cui sono vittima i malati di cancro, spicca quello per cui la Pet di Cavallino, dopo lunghe trafile di carte bollate, ora non si vede assegnare il tetto di spesa dalla Asl e a pagare, in senso letterale, sono i malati di tumore. Che, nella migliore delle ipotesi devono aspettare tre mesi per farla a Brindisi, la Pet Tac più vicina. Il problema è che un malato di cancro non ha tempo da perdere in chiacchiere e tre mesi significano la morte o la vita. Le ultime novità in questa odissea risalgono a quest’estate. Dopo aver ottenuto dalla Regione l’“accreditamento”, siccome non può esistere accreditamento senza budget, la Regione stessa aveva sollecitato l’Asl a procedere rapidamente all’atto dovuto dell’assegnazione del budget. Per cercare di sbloccare la procedura, Calabrese ha formalizzato la proposta di una tariffa molto conveniente in quanto inferiore di oltre il 25% a quella ministeriale e a quella applicata da altri centri d’Italia: 800 euro per Pet-Tc con Fdg (fluorodeossiglucosio) e 1.000 euro per Pet-Tc con fluorocolina. Una proposta da afferrare al volo ma che tuttavia non è bastata. Eppure la Pet-Tc costituisce allo stato attuale il più avanzato sistema diagnostico per le patologie oncologiche ed è considerata una prestazione con funzione “salvavita”. In Puglia sono solo quattro le Pet pubbliche. Poiché la Regione (regolamento regionale n. 14 del 30-6-09) ha pianificato che vi sia una Pet-Tc ogni 750mila abitanti, ne consegue che la struttura di Calabrese dovrebbe intercettare l’intera domanda dei cittadini appartenenti all’ambito dell’Asl Le. Ed è anche pronto per farlo, dal momento che il Centro Calabrese ha ricevuto il definitivo nulla osta per poter installare, con i propri soldi, la postazione tecnologica per la diagnosi precoce dei tumori, dopo lungo e tortuoso iter burocratico e giudiziario, il 13 luglio del 2010, quattro anni dopo la prima
domanda protocollata. E perché la Regione si pronunciasse sull’installazione della Tac-Pet, Calabrese – difeso da Gianluigi Pellegrino - ha dovuto rivolgersi al Tar, chiedendo l’istituzione di un commissario ad acta che valutasse la pratica, ferma sulle scrivanie dei funzionari. Da allora e fino al 31 dicembre scorso la PetTc Calabrese ha eseguito circa 800 esami. Da gennaio ad oggi, da quando cioè la Regione ha inspiegabilmente negato il rimborso delle Pet a Calabrese, solo 120 pazienti si sono rivolti al Centro, pagando di tasca propria. Gli altri o sono finiti nel calderone delle liste d’attesa a Brindisi o, se ricoverati, sono stati portati in ambulanza a San Giovanni Rotondo, con conseguente aggravio di costi e disagi. A causa dello scarso numero di strutture presenti sul territorio regionale e della necessità, come spiegato, di diagnosticare celermente la malattia, migliaia di pugliesi ogni anno sono costretti a spostarsi fuori dal proprio territorio, facendo lievitare i costi a carico del servizio sanitario regionale. Nel dettaglio: nel 2009, 4.975 persone sono andate fuori regione per la Pet-Tc, per un costo a carico delle casse pubbliche di quasi 6,5 milioni di euro; nel 2009, 1.100 pazienti provenienti dalla sola Asl-Le, cioè il territorio di riferimento di Calabrese, si sono rivolti alle altre strutture Pet-Tc presenti in Puglia, per un costo di circa due milioni di euro. La Asl, assegnando subito il tetto di spesa al centro di Cavallino, risparmierebbe il 25 per cento secco, a cui si aggiungerebbe l’'extra sconto' del 2 per cento imposto dalla Regione come contributo richiesto ai privati accreditati per sanare il buco. E, non stiamo qui a ripeterlo, eviterebbe ai malati la sofferenza dei lunghi spostamenti e la spesa della prestazione: pagherebbero infatti solo il ticket. La vergogna del 'caso Cavallino' è stata stigmatizzata da migliaia di cittadini; addirittura una raccolta firme, coordinata dal Tribunale dei diritti del malato, portò in Regione oltre 5mila nomi di cittadini che sollecitavano gli uffici a darsi “una mossa”. Anche Mingo e Fabio di Striscia si sono occupati del caso. Ma perché invece di accelerare, negli anni, l’iter si è impantanato sempre più? Fu proprio la giunta Vendola il 2 marzo 2006 a stabilire che in Puglia fossero necessari otto apparecchi Pet (cinque pubblici e tre privati) e, fornendo dati statistici estremamente accurati, la stessa Regione ha dimostrato che addirittura questo numero potrebbe rivelarsi insufficiente. Un grande enorme paradosso delle cui ragioni chiediamo conto a Vendola, lui così attento ai bisogni degli ultimi e dei deboli. Una politica talmente sorda da non udire il grido d'aiuto dei malati terminali, non è politica, è macchiavellica ragion di Stato. Ma Vendola non è un 'Principe'.
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Addio, Mesciu Ucciu Grande imprenditore e sognatore. Ha portato il nome di Casarano e del Salento in giro per il mondo, facendo del distretto calzaturiero di Casarano il primo produttore di scarpe d’Europa. E’ stato capace di costruire un’identità e una coscienza collettiva non solo nella sua città ma in tutto il Sud Salento, fungendo da esempio per centinaia di piccoli imprenditori. Con la scomparsa di Antonio Filograna, fondatore della Filanto, si chiude un capitolo “eroico” dell’economia e della storia di questo territorio.
IL TACCO D'ITALIA Il mensile del Salento Anno VIII - n. 85 - Settembre 2011 Iscritta al numero 845 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 27 gennaio 2004 EDITORE: Dinamica Scarl REDAZIONE: piazza S. Giovanni Elemosiniere 5 73042 Casarano (Le) - Tel/Fax 0833/599238 redazione@iltaccoditalia.info DIRETTORE RESPONSABILE: Maria Luisa Mastrogiovanni HANNO COLLABORATO: Roberta Grima, Laura Leuzzi, Alessandro Matteo, Luigi Peccarisi PUBBLICITA': Mario Maffei marketing@iltaccoditalia.info 393-9801141 STAMPA: Centro Stampa - Taurisano (Le) DISTRIBUZIONE: Edicole, librerie ed altri punti vendita cerca l'elenco su www.iltaccoditalia.info ABBONAMENTI: 15,00 Euro per 10 numeri IL PROSSIMO NUMERO 1° Ottobre 2011
L'INCHIESTA
Tumori? Tutti in fila, prego Discesa agli inferi per i malati di tumore nel Salento. In lista d'attesa come gli altri, spediti al Nord o invischiati nella burocrazia per mancanza di aghi. A meno che non si abbia la raccomandazione DI Roberta Grima
Uno screening che fatica a partire, come quello contro
il tumore al colon, perché il Governo non sa come distribuire alla popolazione individuata, il blister per la raccolta feci. Un servizio che rischia di essere sospeso, come quello del trasporto domiciliare per i malati neoplastici, per mancanza di fondi. Sono solo alcuni dei tanti paradossi dell’oncologia salentina che conta 7.707 nuovi casi di cancro, tra il 2003 e il 2004. Sono i dati più aggiornati, pubblicati nel registro dei tumori dall’Asl di Lecce nel 2010. Più precisamente l’incidenza di neoplasie sul territorio è risultato pari a 430 casi ogni 100mila abitanti per quanto riguarda gli uomini, 300 invece per il sesso femminile. Complessivamente su una città come Lecce si conterebbero circa 700 persone affette da tumore. Numeri che se da un lato fanno ben sperare perché indicano un rischio di ammalarsi di cancro nella provincia di Lecce inferiore rispetto alla media nazionale, dall’altra però rischiano di peggiorare con il tempo, se le autorità competenti non intervengono laddove possibile, per migliorare le risposte ai pazienti. Questi denunciano sopra ogni cosa la difficoltà enorme per ottenere le prestazioni
specialistiche nei tempi utili. Quello che dovrebbe essere il diritto alle cure, sancito dalla Costituzione, diventa troppo spesso un privilegio. Tanto che l’Associazione Italiana Malati di Cancro, nel vademecum del malato oncologico, stilato in collaborazione con l’Istituto Superiore della Sanità e con il Ministero delegato, ha dovuto ricordare un principio elementare, quale è il diritto alla salute, evidentemente non così scontato.
Il sito della Asl dice che i malati di cancro non devono aspettare più di cinque giorni per effettuare gli esami ma l'attesa va dai tre mesi ad un anno. La colpa? Il servizio Cup è impreparato
Il calderone delle liste d’attesa “Anche noi affetti da neoplasie – dichiara un ragazzo all’uscita della Radioterapia di Lecce - entriamo nel caos delle liste d’attesa”. “Un calderone che nega alle persone più fragili percorsi preferenziali afferma un oncologo leccese, che preferisce mantenere l’anonimato –. Al centro unico di prenotazione (Cup) – continua il medico – accedono oltre ai cittadini asintomatici, quelli neoplastici che, come tali, dovrebbero avere un accesso a parte”. Il risultato di questa mancata distinzione nelle prenotazioni, tra casi urgenti e non, fa sì che appuntamenti richiesti per semplici controlli di routine, vengano fissati senza lasciare lo spazio per chi ha più necessità. Questo spiega perché i malati oncologici faticano tanto per trovare posto. Sono innumerevoli i casi di prenotazioni inappropriate. Il più recente, quello di un uomo con sospetto cancro al fegato, al quale il medico ha prescritto una risonanza magnetica all’addome, entro un mese. Il Cup (centro unico di prenotazione) ha fissato l’esame, a distanza di otto mesi. L’operatore
Sedersi ed aspettare il proprio turno. A tu per tu con la preoccupazione e con la malattia. E' il Day Hospital oncologico dell'ospedale "Francesco Ferrari" di Casarano. Superaffollato, come di prassi, nel Salento
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ha consigliato al paziente di mantenere l’appuntamento, sperando in una disdetta da parte di qualcun altro. Troppo rischioso per l’uomo che, non potendo aspettare, ha deciso di andare fuori regione, dove le risposte sono più immediate. Stessa sorte per una giovane donna, alla quale lo specialista ha riscontrato un nodulo sospetto al seno, da controllare entro tre mesi. Impossibile, stando a quanto dichiarato dal centro prenotazioni senologico, che indica la prima disponibilità a distanza di un anno. La paziente è costretta ad adeguarsi alla tempistica con i rischi che ne possono conseguire. Eppure tra le Faq (le domande più frequenti) indicate sul sito internet dell’Asl, appare l’informazione che in caso di sintomatologie o sospetto diagnostico, la paziente ha diritto ad ottenere la prestazione entro cinque giorni nel centro che preferisce. Peccato che questa informazione non sempre passi dagli sportelli dell’Asl. Gli operatori del Cup senologico quindi, dovrebbero essere informati e preparati per dare tutte le notizie utili alle cittadine con problemi di salute. Ruolo fondamentale degli addetti del servizio di prenotazione è soprattutto quello di fungere da filtro e distinguere chi ha priorità, da chi invece può attendere. Accade spesso che, nelle fasce orarie destinate ai controlli tri o semestrali, vengano invece prenotate donne che possono aspettare, perchè richiedono una visita di routine, effettuabile di norma ogni anno o due. Viene da pensare che alcuni addetti allo sportello senologico, pensando di abbattere le liste di attesa, alla richiesta del cittadino, prenotino la prima disponibilità, senza tener conto della differenza di patologie, della loro gravità e, di conseguenza, delle rispettive priorità. Non è un caso che nella Conferenza Stato-Regioni del 29 aprile 2010, è scritto che nelle procedure di prenotazione delle prestazioni ambulatoriali specialistiche, il medico che fa la richiesta al paziente, deve prevedere nella ricetta, l’uso sistematico di indicazioni quali: - U (Urgente), che sta ad indicare che la prestazione è da eseguire nel più breve tempo possibile e comunque entro 72 ore; - B (Breve), da effettuare entro dieci giorni; - D (Differibile), da eseguire entro 30 giorni per le visite o 60 giorni per gli accertamenti diagnostici; - P (Programmata) entro 180 giorni. Un semplice schema di codici, che aiuta gli operatori a fare un distinguo come
avviene per esempio nell’Asl di Belluno (ma anche in altre lombarde, toscane, emiliane ecc.), che sul sito internet indica i codici, come la procedura adottata per prenotare con la tempistica corretta, in base alla gravità dei casi. Accanto quindi alla funzione filtro del Cup che va in tal senso formato, occorre la collaborazione del medico curante che, al momento della compilazione della ricetta, deve per primo rispettare la distinzione tra chi ha più necessità e chi invece deve limitarsi a semplici controlli. Non solo, ma nell’efficienza del servizio sanitario, gioca una parte decisiva lo stesso utente che molto spesso “pretende” un esame o una visita, avanzando la richiesta al proprio medico, che sentendosi “obbligato”, accontenta il suo assistito, pur di non perderlo. Sono emblematiche in tal senso le parole del direttore sanitario Franco Sanapo (da settembre passerà le consegne ad Oronzo Narracci): “E’ frequente l’abitudine di noi italiani, e ancor più meridionali, a fare il medico di noi stessi. Quando si ha un banale mal di testa, si pensa subito a sottoporsi ad una prestazione specialistica, chiedendo la ricetta. Si allungano così le liste di attesa con prenotazioni inutili. Il cittadino non è responsabilizzato, come avviene invece in altri Paesi”. Bisognerebbe dunque incanalare i pazienti nei percorsi giusti, creando un sistema diverso dove il medico di Medicina generale non venga stipendiato in base al numero degli assistiti, ma faccia parte di un’organizzazione per cui si senta più libero nella sua attività e venga piuttosto premiato per la capacità di eliminare richieste inutili dall’ospedale, educando i cittadini ad un corretto atteggiamento. La già citata Asl di Belluno, ad esempio, pone attenzione al comportamento civico degli utenti, che devono comunicare al Cup l’eventuale disdetta, perché, come è scritto sul sito aziendale, quel posto può rappresentare una prenotazione preziosa per qualcun altro. C’è da dire che l’utente salentino non sempre è corretto. Non solo; come racconta un’operatrice Cup, è prassi che la persona che fa richiesta di una prenotazione, rinunci se la prima disponibilità viene assegnata in un centro diverso da quello che vorrebbe. “Sono numerosi i casi in cui i cittadini si rivolgono a noi con richieste urgenti che poi evidentemente non sono tali - commenta l’addetta allo sportello -, perché quando diamo l’appuntamento in tempi brevi, in un ospedale differente da quello prescelto dal richiedente, egli lo rifiuta, preferendo piuttosto aspettare, pur di ottenere la prenotazione laddove preferisce. Il servizio sanitario è pub-
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Lecce. Il Polo Oncologico “Giovanni Paolo II”, nato sette anni fa Franco Sanapo, direttore sanitario della Asl leccese: “La medicina territoriale è la grande assente”. Da settembre passerà le consegne ad Oronzo Narracci
blico - continua l’operatrice -; l’Asl ha l’obbligo di dare risposte nella tempistica giusta, ma non di darle dove dice l’utente. Se dobbiamo seguire le preferenze dei cittadini, questi allora dovrebbero pagare il servizio”.
Lecce. L’ospedale “Vito Fazzi”. La Risonanza magnetica funziona a mezzo servizio e mancano i rianimatori
'Prima la trafila, poi la raccomandazione' D’altra parte è anche vero che per molti malati, la nostra è ancora una realtà dove un diritto come quello della salute, non è sempre accessibile e spesso diventa un favore. Succede ad un giovane salentino trentenne, affetto da carcinoma ai testicoli e che combatte da un anno contro la malattia. “La guerra più difficile però - dice sua madre - è quella contro un sistema male organizzato, che nega a mio figlio, come a tanti malati oncologici, dei percorsi in grado di semplificare l’iter terapeutico, piuttosto che complicarlo ulteriormente. Non dimentichiamo che si tratta di persone particolarmente fragili in quanto già provate dal tumore. Periodicamente – racconta la donna – mio figlio deve necessariamente sottoporsi a controlli presso l’Istituto nazionale dei tumori di Milano; lì il professore che ci segue, prescrive gli esami di routine, oltre all’ecografia addominale e alla radiografia al torace. Per ottenere queste prestazioni, puntualmente trovo enormi difficoltà”. L’ultimo episodio risale al periodo pasquale, quando la mamma del ragazzo si é attivata per prenotare i raggi e l’ecografia, da eseguire prima della visita di controllo fissata a metà luglio. La signora si è recata personalmente al Cup con la richiesta del medico, attestando che si trattava di un paziente affetto da carcinoma e nonostante ciò, l’addetto allo sportello non ha trovato un posto libero prima della visita a Milano. “Solo dopo mezz’ora di discussione e urla da parte mia – asserisce la signora - è stato possibile prenotare la radiografia, ma per l’ecografia mi è stato dato un appuntamento successivo al giorno del controllo, quando invece a me serviva prima, in modo da poter portare il referto all’oncologo milanese”. La soluzione è stata raggiunta tramite un favore chiesto alla direzione dell’Asl. Ma questa situazione si ripete ogni anno, tutte le volte che la donna deve prenotare un esame per i controlli del figlio. A novembre scorso, si verificò la stessa inefficienza. In quell’occasione, la signora prenotò telefonicamente le prestazioni, da effettuare entro la prima metà di gennaio, perché subito dopo era previsto il controllo a Milano. In quel caso, la radiografia al torace sarebbe slittata al 29 aprile 2011. Salvo poi reclamare all’Urp, che ha demandato la questione alla direzione sanitaria dell’ospedale Fazzi. Che, a sua volta, ha indirizzato la signora direttamente al reparto di Radiologia, dove finalmente è stato possibile ottenere le prestazioni nel tempo previsto.
Tutto risolto? Nient’affatto. Perché il problema si ripresenta per la prossima visita. “Non si può tutte le volte combattere contro una burocrazia mal funzionante che lascia trascorrere tempo vitale per mio figlio”.
Solo dopo sette anni, il Polo Oncologico del Fazzi ha le necessarie macchine per immunoistochimica. La risonanza? Solo fino alle 14 La corsa contro il tempo La tempistica per i malati oncologici è fondamentale, ma spesso viene ignorata come è accaduto al Vito Fazzi di Lecce dove, sino all’anno scorso, gli esami di immunoistochimica cui i pazienti oncologici sono spesso costretti a sottoporsi, venivano regolarmente spediti dall’ospedale leccese al Molinette di Torino, con ritardi anche di mesi e conseguenti costi per la pubblica amministrazione, ma soprattutto danni ai pazienti. E’ il caso di una donna affetta da sarcoma della regione glutea, una forma di neoplasia muscolare, che aveva necessità di riscontrare l’effettiva efficacia della chemioterapia, sottoponendosi ad un esame di immunoistochimica. Ha dovuto aspettare tre mesi prima di avere l’esito: troppo tardi per lei, che dunque si è vista costretta ad un intervento chirurgico demolitore, con l’asportazione di gran parte del gluteo. Sono passati tanti pazienti, prima che l’Asl dal 2003 ad oggi ponesse fine a questo dramma. Oggi i prelievi vengono eseguiti a Lecce senza più lunghe attese. L’Asl ha dotato di attrezzature e reagenti il laboratorio dell’ospedale, che può così garantire il servizio. Ci sarebbe da chiedersi perché nel capoluogo, dove c’è un Polo Oncologico da circa
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sette anni, non si sia intervenuti prima per evitare costi enormi da parte dei contribuenti, oltre alle gravi conseguenze per i malati oncologici.
Risonanza part time Il ritardo con cui l’Asl ha fornito il laboratorio si ripete anche per altri centri terapeutici, fondamentali per i pazienti neoplastici. Per loro sarebbe opportuno un intervento immediato per il potenziamento di risonanze magnetiche. Apparecchiature frequentemente utilizzate da chi è affetto da un tumore accertato o sospetto. Il problema è che le strumentazioni sono insufficienti rispetto alla domanda. “Nell’Oncologico leccese – asserisce un radiologo - la risonanza magnetica come la Tac, funziona sino alle 14, dopo si spegne. Se le macchine si utilizzassero anche nelle ore pomeridiane, forse saremmo in grado di soddisfare più richieste”. Il problema dipende anche dalla carenza di rianimatori, indispensabili per eseguire le prestazioni diagnostiche con il contrasto. “Di fatto – conclude il radiologo - non riusciamo a rispondere agli utenti e le liste di attesa si allungano, a discapito sopratutto di chi ha più urgenza”. Sino a qualche anno fa l’Asl dava un incentivo al personale perché lavorasse ore in più; ma in questi tempi di magra, in cui l’azienda sanitaria conta oltre 88 milioni di debito con una Regione che blocca le assunzioni, causa deficit di oltre 300 milioni, è impensabile che gli amministratori facciano queste scelte. Una valida alternativa potrebbe essere un filtro che distingua gli esami più urgenti dalle numerose richieste spesso inutili come gli stessi operatori sanitari confermano. “Ci arrangiamo come possiamo – prosegue il primario della Radiologia leccese Massimo Torsello -; noi facciamo una risonanza al novantenne che ha male al ginocchio, che è spesso perfettamente inutile, perché non verrà mai operato a quell’età, e non riusciamo a rispondere alle richieste più urgenti di una persona con carcinoma, che quindi si trova nella stessa lista di attesa della persona che non ha alcuna urgenza.
Lecce. Il reparto di Radiologia dell’ospedale “Vito Fazzi”
Occorrono delle priorità – continua -; per ora ci limitiamo a forzare le agende e laddove ci rendiamo conto che si tratta di un caso grave che non può aspettare, cerchiamo di ‘infilare’ la visita anche se già tutto prenotato. Una scelta, della quale ovviamente ci assumiamo la responsabilità”. “In effetti l’offerta è insufficiente – ammette il direttore sanitario dell’Asl Franco Sanapo –: abbiamo tre risonanze magnetiche sull’intero territorio; se la Regione ci darà l’ok potremo acquistare nuove apparecchiature con i fondi Fes”. C’è da dire che il governo pugliese ha previsto categorie di utenti che devono avere la precedenza su altri, ovvero gli anziani, le donne in gravidanza, i pazienti oncologici. Quello che serve sono ambulatori dedicati
sul territorio. La medicina territoriale però resta ancora una delle grandi assenti, ma rimane la soluzione migliore per svuotare gli ospedali da tutte le richieste inutili o non gravi che intasano le corsie e che forse non avrebbero neanche tanta attesa, se venissero affrontate fuori dai nosocomi. Così come coloro che hanno bisogno di terapie ospedaliere, troverebbero disponibilità di posti letto, di apparecchiature, sale operatorie; tutto sarebbe destinato solo alle vere urgenze programmate e immediate. La speranza è che le case della salute che dovrebbero sorgere al posto dei piccoli ospedali chiusi, fungano da centri territoriali con punti anche di emergenza e chirurgici per gli interventi più banali. Oggi invece l’unica alternativa in loco è il privato, dove però la prima cosa che vien chiesta al paziente è se paghi il ticket. I tempi di attesa infatti cambiano se si paga o meno la tassa sanitaria. La struttura privata infatti dà la precedenza all’utente che paga, che quindi non ha ancora necessariamente una diagnosi di neoplasia, ma può presentare un tale sospetto. In questo caso, dietro pagamento, questi ottiene tempestivamente la prestazione. Chi invece è già affetto da un tumore e quindi esente da ticket per patologia, viene paradossalmente messo in attesa. Il malato
Massimo Torsello, primario del reparto di Radiologia dell'ospedale "Vito Fazzi" di Lecce
oncologico che volesse accelerare i tempi dietro pagamento, dovrebbe pertanto rinunciare all’esenzione, ma poi potrebbe trovarsi nella condizione di non disporre delle risorse necessarie per pagarsi un esame, che può costare diverse centinaia di euro. Ne sa qualcosa un uomo con una grave forma di tumore. Il medico chiede un riscontro per verificare se la terapia effettuata ha prodotto i benefici sperati. L’uomo è allergico allo iodio e per questo non può sottoporsi alla Tac con il contrasto. Anche la risonanza è “off limit” per lui, a causa della presenza di una protesi metallica che il paziente ha da un precedente intervento. L’unica possibilità resta la Pet Tac, per ora disponibile in Salento solo privatamente (leggete l’editoriale a p. 3 sull’odissea Pet a Cavallino).
Tac. La Asl le acquista già vecchie
Alla gara hanno partecipato quattro ditte: una con offerta relativa a Tac di fascia bassa, a 16 strati (slice); la seconda, con offerta per Tac di fascia media (40 strati); Macchinari all’avanguardia possono le due restanti, con offerta relativa a Tac contribuire a ridurre le liste d’attesa. Per di fascia alta. Contrariamente a quanto questo, dopo cinque anni di insistenti ci si sarebbe aspettati, la Asl ha preferirichieste da parte dei presidi ospedato la Tac di fascia media per un importo lieri del territorio, nel luglio 2010 la Asl complessivo di un milione 850mila euro. ha deciso di puntare al rinnovamento Contro la decisione dell’azienda si sono tecnologico bandendo una gara per scagliati i medici degli ospedali interesla fornitura di quattro Tac “aggiornate sati dall’acquisizione che in una lettera all'ultima generazione” per gli ospedali alla direzione hanno spiegato che la Tac di Casarano, Scorrano, Lecce e Gallipoli, di fascia media non risultava conveniendove la strumentazione attuale è vecchia te neppure dal punto di vista economico di 15 anni. Da notare che la "vita" di una in quanto, seppure meno costosa di tac si ritiene chiusa dopo 7-10 anni. quelle di fascia alta - un milione 850mila euro, rispetto ad un milione 990mila Essere all'avanguardia, nell'ambito euro – avrebbe richiesto manutenzione della tecnologia Tac, significa due cose: più frequente. realizzare una scansione accurata e realizzarla in tempi brevi. Sulla base di La Asl ha pubblicamente smentito la questa doppia caratteristica (precisione ricostruzione dei medici, dichiarando e velocità), le Tac vengono infatti classi- che tutti i primari dei reparti interessati ficate in varie categorie, identificate dal al bando si erano detti d’accordo nel numero di sezioni anatomiche (slice, ritenere la macchina da 16 slide idonea fette) che riescono a "fotografare" ad alle necessità. Sarà. Ma intanto una ogni scansione: di fascia bassa (fino a 20 delle due ditte partecipanti al bando con slice), media (fino a 40 slice), alta (fino a offerta per Tac a 64 strati ha portato il 64 slice). Quelle attualmente in dotacaso in tribunale, presentando ricorso al zione ai quattro ospedali interessati dal Tar. La prima udienza è fissata per il 7 bando sono tutte ad una sola slice. settembre.
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Oncologia pediatrica: l'impegno non basta Qui anche l’équipe medica è in attesa: della proroga dei contratti e di una seria programmazione DI Roberta Grima
I danni provocati dalle lungaggini di un sistema
Anche i più piccoli subiscono i danni di un sistema sanitario lento e male organizzato Lecce, reparto di Oncoematologia pediatrica del “Vito Fazzi”
sanitario lento nel fornire le
cure necessarie sono ancora più seri quando in gioco c’è la vita di bambini affetti da neoplasie, nonostante il reparto di Oncoematologia pediatrica del Vito Fazzi di Lecce, dove sono ricoverati, sia, a dire dei genitori, un valida struttura da potenziare e non abbandonare. Il timore di mamme e papà, è infatti quello di vedere affossato un servizio ed abbandonati i pochi medici e la responsabile Assunta Tornesello. Il reparto è da anni in attesa di una équipe medica stabile, è privo da tempo di una seria programmazione da parte delle autorità sanitarie. Attualmente ci sono due nuovi medici specializzati in Oncologia pediatrica, ma alla fine del mese vedranno scadere il contratto, mentre ad ottobre si concluderà il rapporto di lavoro della stessa responsabile. “Abbiamo atteso – ha asserito Franco Sanapo – una deroga della Regione Puglia, che ci ha consentito di deliberare, solo lo scorso 5 agosto, l’indizione di un concorso per primario. Siamo in attesa di poter prorogare i contratti agli altri professionisti incaricati”. Nel frattempo i bambini ammalati possono contare sulla dedizione del personale medico che rinunciando a ferie, malattie, sta al loro fianco giorno e notte. Dal 2009 ad oggi, sono state tante le battaglie dell’associazione Agop (Associazione genitori oncologia pediatrica) affinché l’Oncoematologia pediatrica continuasse a stare in piedi. I volontari hanno fornito il reparto delle risorse necessarie: dal personale specializzato agli arredi che potessero rendere gli ambienti meno tristi per i bambini, ai libri ed ai giochi per far sembrare meno lungo il tempo in degenza; tutto è stato donato dalla onlus. “Persino – sottolinea una mamma - letti e materassi nuovi. L’Azienda sanitaria ha
messo solo i muri – continua -. La prossima battaglia sarà quella per avere un personale definitivo e competente, visto che l’organico, che in passato ci ha fornito l’Asl, era composto da semplici pediatri, che hanno creato più problemi che altro”. “Qui non si scherza – ha dichiarato la responsabile qualche mese fa –; abbiamo bisogno di gente preparata nel settore oncologico, non basta la specializzazione in pediatria”. Una posizione ferma e chiara quella della dottoressa Tornesello, accusata di avere un caratteraccio solo perché vuole lavorare bene e garantire un servizio di alto livello ai suoi piccoli pazienti. “Abbiamo paura che una volta sbloccati i concorsi – aggiunge un giovane padre di una bambina affetta da un tumore cerebrale - l’Asl assuma gente senza esperienza, come è già accaduto in passato con enormi danni per noi e i nostri figli”. I medici che nel corso degli anni hanno affiancato la
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Assunta Tornesello, responsabile del reparto di Oncoematologia pediatrica dell'ospedale "Vito Fazzi" di Lecce
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responsabile, non erano preparati per affrontare pazienti fragili e complessi come i bambini di Oncoematologia. Ne sanno qualcosa Alice, Antonio, Giorgio, i tanti bimbi anche di pochi mesi, colpiti da varie forme tumorali e che hanno pagato le conseguenze di una carenza di organico. “Vogliamo – aggiunge il giovane papà che ci sia trasparenza nell’arruolamento di organico e che anche chi sarà chiamato a valutare la preparazione del personale, sia all’altezza. Ci auguriamo che i concorsi vengano eseguiti nella maniera più corretta”. Adesso si aspetta che i due medici specializzati e assunti dall’Agop, vengano confermati dall’Asl, così come la dottoressa Tornesello, che attende dal 2009 di poter partecipare al concorso per primario, che si sarebbe già dovuto svolgere. Una storia vecchia che l’ha vista messa in aspettativa dal Policlinico Gemelli, fiduciosa delle promesse fatte dalla direzione dell’Asl leccese, che le assicurava che entro due anni si sarebbe bandita la selezione. “Abbiamo atteso – ha asserito Franco Sanapo – una deroga della Regione Puglia, che ci ha consentito di deliberare, solo lo scorso 5 agosto, l’indizione di un concorso per primario. Siamo in attesa di poter prorogare i contratti agli altri professionisti incaricati”. Questo spiega perché vistisi alle strette, i volontari dell’Agop hanno deciso di assumere i medici idonei per i loro figli, sino a giugno scorso, quando allo scadere dei contratti, il numero uno dell’Asl Valdo Mellone ha confermato gli incarichi con una proroga sino alla fine del mese. Mai come in questo caso l’assunzione del personale medico rappresenta una ricchezza sia economica sia sanitaria. Significherebbe un notevole risparmio per le casse della Puglia, già provate dal grave deficit, evitando i costi della mobilità passiva, ovvero i viaggi dei pazienti fuori regione, a spese loro e dei contribuenti, visto che la nostra Asl, paga all’azienda sanitaria di fuori le cure che i bambini neoplastici non hanno trovato in loco. Avere personale in Oncoematologia comporterebbe soprattutto più benefici per i piccoli pazienti. Lo sottolineano con forza alcune
mamme incontrate nel reparto, come Nadia. E’ sorprendente come lei si dica fortunata, per aver evitato i viaggi della speranza. “La mia – dice – è una famiglia risparmiata, perché ho trovato le cure a Lecce per mio figlio e non voglio che questo beneficio si fermi con me, perché manca personale idoneo. Tutti hanno diritto a risposte per i loro figli, senza lasciare casa affetti, scuola, momenti del quotidiano. Un reparto sguarnito di medici, o con professionisti a tempo, che sono presenti per qualche mese e poi vanno via, vuol dire spezzare in due le famiglie dei bambini malati. E’ per questo che è importante che il reparto di Oncoematologia venga potenziato”.
Il paradosso: servono medici specializzati, ma non esiste un concorso ad hoc. Così l’Agop ha assunto i medici e donato persino i materassi Erano i primi di dicembre di due anni fa, quando Nadia ha scoperto una ghiandola ingrossata a suo figlio Alex (nome di fantasia). “Sono andata al Pronto Soccorso – racconta – dove mi dissero di stare tranquilla perché si trattava solo di una risposta delle difese immunitarie del bambino, verso qualche infiammazione. E’ stata la pediatra a sottoporre ad accertamenti mio figlio, dopo che anche la seconda ghiandola sottomandibolare, era diventata grande quanto un kiwi. Fu diagnosticata una mononucleosi, fino a quando ho fatto per la seconda volta gli esami di controllo, dai quali venne fuori che il bimbo aveva 100mila globuli bianchi in più e fu quindi individuata una leucemia linfoblastica per la quale fu necessario il ricovero di mio figlio in Oncoematologia pediatrica. Quando ti succede
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una cosa del genere – spiega Nadia – la prima cosa che pensi è di andare fuori, andare dove c’è il meglio per tuo figlio. I medici di Lecce ci hanno lasciato liberi di scegliere; non so perché, ma ho guardato dritto negli occhi la dottoressa Tornesello e ho scelto di rimanere qui, capendo che era il meglio per Alex. I due o tre giorni di viaggio che avrei perso per andare via da Lecce sarebbero stati vitali per mio figlio. Qui mi sono sentita garantita dalle risposte che potevo avere senza perdere ore preziose, ma soprattutto dalla consapevolezza, da parte della responsabile, dei limiti di questa struttura. E’ determinante questo atteggiamento da parte dei medici che hanno il coraggio e l’umiltà di dire a noi familiari, di andare fuori perché qui certi esami non si possono effettuare”. Accade per alcune prestazioni, non sempre erogabili perché non ci sono professionisti esperti. Un bambino come Alex e purtroppo come molti altri, vive per anni con cateteri venosi centrali da inserire e pulire di tanto in tanto, e non sempre c’è stato lo specialista in grado di eseguire questo tipo di prestazione, che è vitale per la terapia dei bambini con neoplasie. Tempo fa veniva un medico da Bari per farlo, ma per lungo tempo i genitori dei piccoli ricoverati non l’hanno più visto. “Sono stata costretta – aggiunge Nadia ad andare fuori Lecce per il catetere di Alex. Nel reparto della Tornesello ci sono bambini anche di 15 mesi, che arrivano a dover fare 27 prelievi in 48 ore e non è possibile se non con un catetere venoso.” Il medico di Bari costava molto all’Asl, che così ha cercato di formare qualcuno del territorio, affiancandolo al noto chirurgo Paradies. “Uno dei migliori - come dice Franco Sanapo -, che purtroppo abbiamo perso dall’ospedale di Casarano, perché trasferitosi al nosocomio pediatrico di Bari, Giovanni XXIII.” Il rischio però per i bambini neoplastici, è che l’esperienza sul campo venga eseguita direttamente su di loro, da chi è meno esperto. E’ il sospetto di alcuni genitori che hanno riscontrato molti problemi con i cateteri. C’è chi è andato a Roma per curare le infezioni dovute alla mala applicazione, chi
ha cambiato per quattro volte di seguito il catetere, tutti disagi altamente rischiosi per la vita dei bambini. Tanto che l’Asl ha stipulato una convenzione con Paradies specializzato nel settore come confermato dalla direzione sanitaria.
Il contratto di due medici specializzati scadrà alla fine del mese, ad ottobre si concluderà il rapporto di lavoro della responsabile Assunta Tornesello Alex: 'Babbo Natale, voglio fare colazione con i fratellini’ “Sino ad oggi l’Asl ha fatto ben poco per i nostri figli – continua Nadia - adesso credo sia giunto il momento per la direzione
di assumersi delle responsabilità. Prevedere per esempio percorsi preferenziali per bambini affetti da tumore”. Quello che si chiede alla direzione dell’Asl è soprattutto di evitare i viaggi della speranza e poter curare i propri bambini in loco. Il tumore mette subito chi ne è affetto e la sua famiglia davanti alla cruda realtà. “Io ho lasciato la mia libera professione – dice Nadia - per stare giorno e notte con Alex, mentre mio marito lavorava, facendo straordinari e accudendo gli altri due figli a casa. Un percorso duro, ma che se affrontato nella propria città, può dare un equilibrio. Sono in ospedale, ma quando mi reclamano gli altri figli, mio marito mi dà il cambio e la sera posso farli addormentare dando loro la buonanotte”. Così Alex, che a Natale ha chiesto di poter fare colazione con i fratelli, ha visto il suo desiderio realizzarsi, perché loro sono venuti in reparto e hanno mangiato assieme a lui. Adesso è a letto in compagnia della maestra che gli dà lezioni. Un servizio che fortunatamente offre l’istituto scolastico quando ha i fondi; diversamente le lezioni si sospendono. Se fossi andata a Roma, tutto questo non sarebbe stato possibile e la mia famiglia si sarebbe letteralmente
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spezzata in due per sei lunghi mesi o forse più”. Lo stesso vale per Antonio (nome fittizio) che a giugno scorso è stato costretto a partire per la capitale, per sottoporsi ad trapianto midollare, una pratica che a Lecce, dove c’è un polo oncologico, non viene eseguita. Tre lunghi mesi in ospedale a poco più di dieci anni, perché manca la cura giusta nella propria città. “Prima di partire – racconta la madre Antonio era nervoso, arrabbiato, non per la malattia, ma perché avrebbe voluto vedere questa estate, la prima uscita al cinema di Harry Potter 2011, con suo fratello. Sono piccole cose che danno la forza di trovare un equilibrio, nella lotta quotidiana contro la malattia. Non è il cancro a far sentire un bambino malato, sono piuttosto le rinunce a semplici gesti quotidiani, alle attività giornaliere che a volte le stesse istituzioni sanitarie obbligano a fare, seppure indirettamente”. Le mamme e i papà di questi piccoli pazienti, aspettano un sistema sanitario efficiente che metta i medici nelle migliori condizioni di lavorare, aspettano l’istituzione di protocolli standard, con linee guida e percorsi preferenziali per i bambini colpiti dal tumore.
Se è l'ago a mancare Dal 2008 il reparto Malattie infettive dell’ospedale di Galatina aspetta che gli aghi per la termoablazione dei tumori al fegato. Ne servono 50 e la gara è ancora in corso DI Roberta Grima
Aspettano anche i
malati di cancro al fegato.
va a pungere sino a 4 centimetri di profondità.
medici del reparto di Malattie infettive di Galatina. L’epatocarcinoma (cancro al fegato) infatti, deriva spesso dall’aggravarsi della cirrosi, patologia quasi sempre collegata ad infezioni croniche da virus B o C. Pur riconoscendo e apprezzando la dedizione degli infettivologi, molti pazienti sono costretti a rinunciare alle cure in loco e partire per altri centri fuori regione. Il servizio di assistenza e cura nell’ospedale “Santa Caterina Novella” è “impantanato nella melma” della burocrazia sanitaria. Mancano nel reparto gli ago-elettrodi, indispensabili per la termoablazione ecoguidata. Si tratta di una tecnica che permette di individuare tramite ecografia, i noduli tumorali, che vengono letteralmente “bruciati” grazie all’applicazione di onde elettromagnetiche trasmesse con gli aghi. La metodica è utilizzabile nella maggior parte dei casi in cui il tumore non è operabile o l’intervento chirurgico è controindicato per età avanzata o presenza di gravi patologie concomitanti. Si tratta di un trattamento oramai largamente diffuso perché considerato il più sicuro ed efficace nei casi di epatocarcinoma primitivo (cancro che ha origine nel fegato). Quasi sempre nel paziente ammalato di questa forma tumorale subentra, entro i tre anni, una recidiva che comporterebbe il ripetersi dell’intervento operatorio. Con la termoablazione tutto ciò viene meno, con maggiori benefici per i malati in termine di velocità di recupero (24 -48 ore) e soprattutto minori rischi di complicanze. Dal 2008 però, si è in attesa che l’Asl acquisti gli aghi per l’erogazione della prestazione specialistica, in maniera continuativa. E’ il caso di precisare che ogni ago per termoablazione costa dai 1.500 ai 3.000 euro; l’ago più costoso è il migliore perché permette incisioni con maggiore diametro; il più economico arri-
Oltre un anno fa è scaduto il bando di gara e i medici del “Santa Caterina Novella”, fecero richiesta all’Asl per l’acquisto di nuova strumentazione. In un primo momento la risposta fu quella di creare un gruppo di lavoro, con esperti al confronto, dal quale sarebbe dovuto emergere un provvedimento da adottare, uniformando la terapia contro l’epatocarcinoma. Il risultato è stato un nulla di fatto, con conflitti e rivalità tra i vari specialisti e incapacità dell’Asl a prendere in mano la situazione e decidere il da farsi, per il bene dei malati. L’Asl dovrebbe valutare due aspetti: se effettivamente la termoablazione sia Galatina, una terapia efficace e chi sia in il reparto grado di erogarla al meglio per "Malattie infettive" dell'ospedale il bene dei cittadini. Stando ai Santa Caterina Novella protocolli scientifici americani, la termoablazione ecoguidata, è un trattamento valido per i tumori primitivi, ossia quelli che carcinoma) - hanno continuato a lavorare nascono nel fegato, sono esclusi quindi sempre in emergenza, ottenendo di volta i casi di metastasi nell’organo, derivanti in volta tre, poi cinque, poi ancora altri da neoplasie localizzate altrove. Infatti due aghi al mese”. Uno stillicidio che ovsu un centinaio di pazienti neoplastici, viamente costa di più alle casse sanitarie seguiti a Galatina, appena cinque-sei al rispetto ad un ordine con quantità magmese sono quelli trattabili. Per loro però, giori, per le quali è prevista una riduzione non c’è sempre la certezza che ci sia la strumentazione sufficiente. A disposizione di prezzo, da parte del fornitore. Questa situazione paradossale è stata segnalata del reparto ci sono dai tre ai cinque aghi, dall’associazione all’assessore regionale per cui è sufficiente che uno sia difettoso Tommaso Fiore e alla direzione sanitaria o cada a terra, che un paziente rischia dell’Asl, perché intervenissero a favore di non poter accedere in tempi utili, alla dei pazienti ed evitassero loro di doversi terapia. Nonostante ciò l’attività però ha rivolgere altrove per ottenere l’accesso continuato a funzionare tra mille difficolalle terapie nei tempi programmati. A tà. “I medici – racconta Roberto Cazzato, maggio scorso è stata emanata la delibera presidente dell’associazione Prometheus, per l’attivazione della gara, partita a fine (la onlus che raggruppa i malati di epato-
Un centinaio sono seguiti dai
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Il paradosso dei 50 aghi Nel Salento ogni anno si contano 64 casi di tumore al fegato (dati aggiornati al 2004; gli ultimi pubblicati dall’Asl nel Rapporto sui tumori in provincia di Lecce). Nel 2011 a Galatina sono state seguite 100 persone affette da epatocarcinoma; di queste solo 40 all’anno vengono considerate idonee per la termoablazione. Gli aghi non sono stati fino ad ora sufficienti visto che in media ogni anno sono stati trattati solo 25-30 casi. Attualmente l’Asl ha previsto, tramite bando, l’acquisto di 50 aghi da utilizzare in 24 mesi. Di conseguenza, ogni anno, una decina di pazienti rischia di rimanere esclusa dal trattamento. Un ago costa da un minimo di 1.500 euro
luglio scorso, con procedura d’urgenza, per l’acquisto di 50 aghi. La gara però, è ancora in fase di espletamento. Eppure la direzione sanitaria, aveva sollecitato tramite lettera agli uffici preposti, di attivarsi d’urgenza per evitare eventuali disservizi e disagi ai malati. Questi però si sono visti obbligati a “migrare” fuori Asl, perché non potevano e non volevano aspettare i tempi dell’aggiudicazione della fornitura, che nel frattempo è rallentata. La selezione infatti di imprese fornitrici di aghi elettrodi per la termoablazione ha visto la partecipazione di tre ditte. A causa di una irregolarità, una di esse è stata scartata, per poi essere riammessa dall’Asl contro il parere del presidente della commissione. La procedura lascia perplessi i titolari delle altre due aziende partecipanti, che meditano azioni legali e ulteriori ricorsi. Ancora una volta si allungano i tempi per l’acquisto degli aghi e di conseguenza per ottenere un servizio costante ed efficiente per i pazienti affetti da tumore al fegato; servizio che esiste, ma non riesce a funzionare come dovrebbe. I medici non hanno la strumentazione, i pazienti sono disorientati, la soluzione resta per ora in mano all’iniziativa dei singoli professionisti che erogano la prestazione e che continuano a chiedere agli uffici della direzione generale, il favore di avere qualche ago per la cura dei loro malati. L’alternativa per essi è, spesso, andare via dal Salento. Una mobilità che costa molto di più rispetto a quella che potrebbe essere una fornitura efficiente e puntuale. Basti pensare che per questo rifornimento, l’Asl ha svolto già tre gare d’acquisto per comprare solo pochi aghi per volta nel 2009 e nel 2010.
ad un massimo di 3.000 euro, a seconda della capacità di distruggere tumori fino a 3-4 o 5-6 cm di diametro. Il rifornimento di aghi previsto dalla Asl (50 in 24 mesi) comporta dunque una spesa massima di 150mila euro, ma naturalmente non per tutti i pazienti è necessario l’ago più costoso. Se l’Asl nell’acquisto dei 50 aghi, ne prevedesse la metà da 1.500 euro e l’altra metà da 3.000 euro, avrebbe una spesa di 112mila euro. Per i dieci pazienti che ogni anno rischiano di non potersi sottoporre alla termoablazione e sono costretti a recarsi fuori regione, La Asl rimborsa, alle Regioni del Nord, 6.000 euro per ogni termoablazione. Se comprasse il migliore degli aghi, spenderebbe la metà, oltre ad evitare ai pazienti le spese di vitto e alloggio a loro carico.
Sale operatorie off limits A rendere difficile il trattamento terapeutico contro il tumore del fegato, non è solo la scarsa fornitura della strumentazione, ma anche l’enorme difficoltà degli ecografisti e radiologi interventisti, ad accedere con regolarità alle sale operatorie. La tecnica della termoablazione infatti, pur non essendo un intervento chirurgico, richiede per motivi di sicurezza, l’uso dell’anestesia generale e quindi l’utilizzo del blocco operatorio, che resta appannaggio solo dei medici di estrazione chirurgica. La difficoltà ad utilizzare le sale operatorie da parte dei professionisti non chirurghi nasce dalla carenza di anestesisti, che oltre all’assistenza agli interventi chirurgici, dovrebbero prestare la loro professionalità per i trattamenti meno invasivi. Un carico di lavoro che non sempre trova disponibilità da parte di alcuni rianimatori. Questi preferirebbero snellire l’attività con prestazioni extra, fuori dall’orario di lavoro. Il che vorrebbe dire per l’Asl incentivare economicamente le professionalità. Provvedimento difficile da adottare in tempi di crisi. Una soluzione l’aveva individuata il direttore sanitario dell’Asl, che per i pazienti oncologici che chiedevano interventi di termoablazione, aveva fatto dislocare lo specialista di Galatina, nelle sale operatorie di Maglie, dove c’era maggiore fruibilità degli ambienti. Con il nuovo piano ospedaliero però, il nosocomio magliese è stato convertito in centro di medicina territoriale, venendo dismesso da ospedale. Una conversione che rischia di sospendere anche il servizio di ter-
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moablazione, se la Regione non dovesse adottare una normativa che cataloghi la metodica, tra quelle ammesse nei day service territoriali. Non sono più fortunati i malati che invece richiedono altri tipi di interventi rispetto alla termoablazione, perché affetti da metastasi nel fegato. Spesso – spiegano gli addetti ai lavori - la migliore terapia in questi casi prevede oltre alla chemioterapia, l’intervento chirurgico. A Scorrano pur essendoci professionalità valide, non mancano le difficoltà per eseguire al meglio l’attività operatoria. Ci sono sale inadeguate per i trattamenti più complessi, come appunto quelli oncologici. Il medico avrebbe bisogno di strumentazioni migliori come i bisturi ad ultrasuoni, lampade scialitiche più potenti, per vedere meglio. Un bisturi monouso, per esempio, costerebbe 9mila euro, lo stesso importo che l’Asl paga all’azienda sanitaria di Bologna, dove molti pazienti di Scorrano si recano per interventi operatori.
Fra un mese scadrà il servizio gratuito di assistenza domiciliare e trasporto dei malati oncologici. Che sperano che la Asl trovi i soldi Una terapia senza rete Altra esigenza fondamentale per i malati oncologici, un iter terapeutico multidisciplinare. Si tratta di un’assistenza che vede più specialisti in collaborazione tra loro, che seguono insieme il paziente. Una persona con neoplasia richiede infatti, il parere dell’oncologo, ma anche del chirurgo o del radiologo, dell’ecografista, dell’internista, non ultimo dello psicologo. Questa rete di professionisti, che aiuterebbe il malato, manca del tutto. Non c’è "dicono da più parti gli operatori sanitari" un sistema e una rete di servizi multidisciplinare, una programmazione che non sia dell’iniziativa dei singoli, ma dettato dalla direzione generale, standardizzato, obbligando anche il medico restio a collaborare. Questo significherebbe: evitare al paziente di prenotare di volta in volta una prestazione specialistica, avere invece un unico percorso dove siano garantite le varie tipologie di assistenza. Un servizio che rende sicuramente più agevole la terapia al malato che ha già una vita resa difficile dalla malattia.
Le luci, nonostante C’è però da dire che in questo quadro dell’oncologia salentina, emergono anche degli aspetti positivi. Intanto la professionalità e la competenza di molti professionisti che permettono ormai da tempo, di sconfiggere i così detti “big killer”, ovvero le neoplasie più gravi e diffuse, dal tumore al seno a quello al colon sino al tumore del polmone, molto frequente nella popolazione. L’Asl ha compiuto dei passi importanti in termini di prevenzione, con l’attivazione già da diversi anni degli screening tumorali femminili, quello contro il cancro alla mammella e quello per la lotta al tumore all’utero, voluti fortemente dal direttore sanitario Sanapo. L’adesione è ancora a macchia di leopardo, ma vede il Sud Salento più virtuoso, nella prevenzione del cancro alla mammella. Ancora poche invece le giovani donne che si sottopongono al pap test che eseguono di più le signore di una certa età. Le adolescenti salentine hanno poi la possibilità di essere vaccinate gratuitamente, contro il papilloma virus, responsabile del cancro alla cervice uterina. Una forma preventiva rivolta alle 11 e 12enni e da poco anche alle 17enni, per arrivare alle 18enni. Positivo è poi il giudizio dei cittadini affetti da tumore, sul servizio che l’Asl ha messo a disposizione per il trasporto al polo oncologico. Una cinquantina di autisti oltre altrettanti operatori socio sanitari, sono distribuiti nei cinque distretti per prendere a domicilio il paziente, accompagnarlo per i cicli di radioterapia e riportarlo a casa una volta terminata la seduta. Un servizio che ha faticato a partire, ma che si spera continui con il finanziamento della Regione. Il trasporto a domicilio
rappresenta un valido aiuto non solo per chi è colpito dalla malattia, ma anche per la famiglia che si alleggerisce di un incarico che obbliga a numerose assenze dal posto di lavoro. Un’attività, soprattutto, pubblica e gratuita, che evita ai cittadini meno abbienti di pagare di tasca propria l’ambulanza (circa 50 euro ad andare e altrettanti a tornare) e che merita maggiore promozione. L’assistenza domiciliare ai malati oncologici scadrà il mese prossimo e l’Asl aspetterà direttive dalla Regione per confermarla o meno, a seconda delle risorse economiche disponibili. L’attesa dell’azienda sanitaria è anche per lo screening contro il cancro al colon, molto diffuso tra la popolazione maschile, ma che fatica a partire per una banalità. Il governo pugliese non avrebbe ancora stabilito come distribuire i blister per la raccolta delle feci. Deve valutare se spedire il dispositivo ai cittadini selezionati, se invitarli a ritirare l’attrezzatura dal proprio medico curante o dal farmacista della zona. Nel frattempo i pugliesi aspettano. Molto resta ancora da fare: aumentare gli hospice, fortemente carenti per i malati in fase terminale, così come le cure palliative. La figura dello psicologo, fondamentale per pazienti neoplastici, è stata del tutto dimenticata nell’assistenza sanitaria. La riabilitazione oncologica è ancora assente sul territorio che ha bisogno tra l’altro di migliorare il sistema di prenotazioni, sostenere le professionalità valide, fornendo loro attrezzature, personale, spazi. Manca ancora un’educazione dei cittadini ad un uso corretto delle prestazioni mediche. Soprattutto occorre creare dei percorsi preferenziali, per i malati oncologici che devono avere la strada spianata. Uno sforzo in questo senso è stato fatto con la
realizzazione di una “breast unite”. Un iter dove le donne già operate di tumore al seno presso il Vito Fazzi vengono seguite dagli specialisti dell’Oncologico leccese, compreso il personale del laboratorio di anatomia patologica, che invia l’esito del prelievo ad una commissione medica multidisciplinare, la quale stabilisce la procedura terapeutica post operatoria, che viene poi fissata nei giorni e negli orari prenotati da una addetta. Un servizio che sarebbe utile anche per chi è operato altrove o per la donna che ancora non è arrivata all’operazione, ma che deve eseguire comunque una terapia perché affetta da neoplasia o da un sospetto tumore. La strada è lunga per estendere tale attività, occorrono personale, ambulatori dedicati, competenza e formazione degli operatori sanitari. Non basta avere un ospedale attrezzato, per renderlo eccellente. L’eccellenza è determinata dagli uomini e dalle donne che hanno in mano la vita e la salute delle persone e che dovrebbero essere sostenuti per la validità scientifica della loro preparazione.
I numeri dell’assistenza domiciliare (Ado) Lecce 0832 215282 Campi 0832 790430 Galatina 0833 529378 Martano 0836 577674 Poggiardo 0836 908371 - 0836 908372 Maglie 0836 420308 Nardò 0833 568417 – 0833 568419 Gallipoli 0833 270809 Casarano 0833 508111 – 0833 508528 Gagliano 0833 540553
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CONTROCANTO
DI Luigi Peccarisi
direttore editoriale “Salento medico”
Risparmiare = investire in risorse umane e attrezzature In un clima di crisi mondiale, che i vari Paesi patiscono in forma diversa secondo le capacità di reazione dei singoli governi, la solidarietà deve essere il valore di riferimento che caratterizza una civiltà realmente democratica. La tutela della salute, pur sancita dalla Costituzione, rischia di rimanere un valore solo sulla carta. La vita media, allungata grazie ai progressi costanti della medicina, evidenzia l’aumento del numero delle patologie croniche. Fra queste, inevitabilmente, sono da annoverare i tumori che richiedono l’impegno di capitali per la prevenzione e la cura. La mancanza di risorse, che i tagli miopi nella sanità aggravano, deve spingere a utilizzare al meglio l’esistente per non vanificare gli sforzi profusi nella perenne battaglia contro la malattia. E’ indispensabile stabilire la priorità degli interventi ed è utile indirizzare gli investimenti verso campi di maggiore richiesta. Uomini e mezzi devono essere utilizzati al meglio e formati per dare risposte alle innumerevoli richieste, da evadere celermente. Chi è ammalato di cancro non può essere anche aggiogato alla logica della cura e diagnosi garantita da conoscenze in campo sanitario e no. Eseguire una Tac, essere ammessi ad un programma di cura, dovrebbero essere un diritto garantito e non una spasmodica ricerca del favore di un benefattore di turno. Rifletto sull’organizzazione pisana per lo screening e la cura per le patologie della tiroide. La visita inizia all’alba e il percorso diagnostico termina nelle prime ore del pomeriggio con la previsione, quando richiesta, dell’intervento chirurgico programmato in tempi brevi. Un’organizzazione che molti medici pisani sperimentano sul nostro territorio in strutture private che diventano riserva di pazienti da trattare fuori regione. L’impressione è che il Sistema Sanitario Nazionale non sia più in grado di razionalizzare risorse e interventi per una richiesta sempre più crescente di Sanità appropriata. Se in un periodo di crisi si è appena in grado di garantire i Lea (livelli essenziali di assistenza) un primo rimedio è rappre-
sentato dal coinvolgimento dei medici di base per una selezione solidale degli accessi ai servizi. Un ostacolo a questo intento meritorio è la pressante richiesta di tutti i pazienti per i quali il caso personale è sempre prioritario rispetto alla collettività. Il medico è impedito nella sua opera di arbitro imparziale dal compenso che matura in base alla quota capitaria. Si è spesso ostaggio di chiunque minacci la ricusazione per un atteggiamento non confacente alle richieste.
In Salento le guardie mediche lavorano nei Sert, Pronto soccorso ed Hospice con contratti inadeguati Altra possibilità consiste nel fare funzionare le attrezzature senza soste garantendo costantemente la manutenzione e la presenza degli operatori, magari soddisfacendo le esigenze esterne durante la mattina e quelle dei ricoverati durante il pomeriggio e la sera. E’ indispensabile provvedere al censimento delle forze disponibili utilizzando gli specializzandi da formare direttamente sul posto di lavoro. A tale proposito sarebbe opportuno quantificare le mancanze e aumentare i posti di accesso nelle scuole di specializzazione nella consapevolezza che continuare a mantenere le “caste” non giova al sostegno della solidarietà che il momento richiede. Un cenno al numero chiuso all’accesso alla facoltà di Medicina nel momento in cui scarseggiano gli operatori in camice bianco; fra meno di un decennio si registreranno nuove mancanze che daranno il colpo di grazia al nostro malandato sistema sanitario. Per fare di necessità virtù è prioritario rimboccarsi le maniche e moltiplicare gli sforzi. Le istituzioni si assumano l’impegno di colmare i posti resi vacanti da qualche tempo assumendo nuovi medici e sosti-
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tuendo immediatamente chi va in pensione. Risparmiare significa soprattutto investire in manodopera e in nuova strumentazione per non essere finanziatori del Nord più progredito e più adeguato alle esigenze dell’utenza. Per fare fronte alla mancanza di medici in alcuni settori, nel nostro Salento si è rimediato realizzando il completamento dell'orario dei medici di guardia medica nei Sert, nei Pronto soccorso ospedalieri e soprattutto negli Hospice per i malati oncologici. Professionisti disponibili e preparati sono nelle corsie con un contratto che fa riferimento alla Convezione per la medicina territoriale, con compiti talora diversi dalle loro mansioni. A spegnere l’entusiasmo di questi colleghi si sta provvedono in queste ultime ore, negando il maggiore compenso che è stabilito dal contratto in alcuni periodi dell’anno; tutto ciò all’insegna del risparmio che, non a caso, si abbatte su sanitari poco sostenuti dal punto di vista sindacale. L’essere medici travalica meri interessi economici e per questo si continua ad assicurare il possibile, secondo scienza e coscienza. L’impegno dei singoli però non basta; l’interessamento delle istituzioni è primario per razionalizzare le risorse e garantire nuovi capitali per competere con le regioni del Nord. E' necessario coinvolgere, infine, le strutture private, alleate nel comune obiettivo, senza impegnare eccessive risorse ma senza, tuttavia, mortificare il lavoro di professionisti senza i quali il SSN non riuscirebbe a soddisfare le legittime richieste dell’utenza. In attesa di tempi migliori, che tutti auspichiamo essere prossimi, l’invito deve essere rivolto a medici e operatori sanitari per profondere il massimo dell’impegno e all’utenza con la speranza che possa utilizzare al meglio le risorse offerte. La priorità di accesso deve essere sempre garantita alle persone fragili e meno fortunate che richiedono di ritrovare un normale percorso di vita che liberi da drammi, che ci si augura possano rappresentare solo un periodo limitato della loro vita.
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