Davide Leoni - Brochure

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Davide Leoni


Clan Verdurin S. Pietro di Feletto (TV)


Pieve di San Pietro Apostolo S. Pietro di Feletto TV Nel dare avvio al cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, tutti siamo invitati a comprendere quanto l’habitat sia determinante per il nostro benessere fisico e psichico, per il nostro vivere e per leggere le quotidiane vicende del mondo, anche quelle ecclesiastiche. Con grande ottimismo Giovanni XXIII indisse il Vaticano Secondo e l’aprì solennemente l’11 ottobre 1962. Il Concilio doveva avere nel desiderio del Papa e dei padri conciliari il compito di riconciliare la Chiesa con la modernità. Come si sa, dopo i primi entusiasmi, esso non incontrò il favore di tutti: ci fu chi lo ostacolò, chi lo rifiutò, chi andò oltre. Letto nella linea della novità e non della continuità, il Vaticano Secondo nella sua “traduzione” nella vita di tutti i giorni creò marginalità, motivi di confronto e anche di scontro acceso. E non poteva essere altrimenti, perché era venuto meno in tanti il riconoscimento positivo alla società liberale, con la quale il Concilio voleva riconciliarsi. Papa Roncalli aveva vissuto in un periodo storico segnato dai due conflitti mondiali, aveva girato il mondo come nunzio apostolico, ma aveva conservato nel suo animo la bontà e la serenità apprese fin da piccolo, non solo in famiglia, ma pure dall’ambiente rurale in cui aveva vissuto la sua infanzia. Solo le menzionate caratteristiche della personalità di questo grande pontefice, imperturbabile di fronte ai grandi problemi dell’umanità perché profondamente fiducioso nella misericordia di Dio e nell’accoglienza da parte degli uomini di buona volontà, potevano far imbarcare la Chiesa Cattolica in un’avventura come quella del Vaticano Secondo. Tutte queste alterne vicende ecclesiastiche mi sembrano ben illustrate dalle opere di Davide Leoni, presenti nella mostra che oggi inauguriamo qui a S. Pietro di Feletto. Ordine, pace ed armonia sono dono del Creatore o si raggiungono, con il Suo aiuto, dopo un travaglio personale e comunitario, che non conosce se non pochi sprazzi di luce e tempi di breve respiro. Ammirando le opere qui esposte, si faccia memoria di quanto un ambiente sano stimoli al bene e all’impegno a combattere ogni forma di degrado. San Pietro di Feletto, 9 ottobre 2011 Il Pievano Don Giuseppe Gerlin

A Papa Giovanni XXIII Il Papa parla con la sua voce santa e contadina; ammutolisce il coro dei sapienti seduti al Tempio. Il Papa dice quasi sottovoce ma quel che dice è voce del Signore che arriva ovunque dove arriva il sole. Così Giovanni e tutti i puri in cuore non van dicendo mai solo parole ma dicon cose, come fà l’amore. Rodolfo Vettorello

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Davide Leoni Una nuova visione, un messaggio Opere silenziose, senza tempo, immerse in una quiete solenne, dove tutto appare immobile e rigorosamente essenziale. Ma in questa essenzialità c’è l’immensità e l’eternità dell’esistenza. Sono opere che bloccano, fissano, perché loro stesse sono bloccate. Apparentemente, solo apparentemente, le opere di Davide Leoni, possono essere percepite come dei paesaggi minimalisti. La linea dell’orizzonte, definita da una barra, può ricordare una marina spazialista, vicina alle vedute veneziane di Virgilio Guidi, così, apparentemente, Davide Leoni potrebbe richiamare i paesaggi del suo paese: Pesaro. I suoi quadri potrebbero altrimenti offrirsi come immobili vedute, spazi che liberano verso montagne lontane, così come appaiono quando il cielo è terso, su cui le cime si stagliano con i loro potenti profili definiti. Tutto questo apparentemente. Perché questa lettura è solo la superficie, è solo la pellicola, l’evidenza, è la valenza estetica che cela un’arte densa, profonda, forte, che non è certo l’essenza dell’artista pesarese. Le opere di Leoni ci vengono incontro, ci affrontano con una barra, ci bloccano, non danno spiegazioni; ci stimolano piuttosto a cercare, ad andare oltre, a capire ed interrogarci. Se per gli spazialisti, nella loro rivoluzione artistica, l’orizzonte è stato spostato all’infinito, in Leoni l’orizzonte si propone potente nella nostra dimensione, nell’oggi ed ora, mentre, il prima e il dopo, dipendono da noi, li intravediamo, li ricordiamo, li immaginiamo. Sono opere enigmatiche e misteriose solo, ancora una volta, apparentemente. Sicuramente intriganti. Leoni indaga sul significato dello spazio, uno spazio illimitato e totale. Così lavora proponendo opere tridimensionali, sorta di bassorilievi dove la profondità viene accentuata dall’effetto della luce. Ma ecco che l’immobilità che ci aveva catturati al primo sguardo, era solo apparente. La luce muta, fa vibrare la superficie e l’opera è in perpetua trasformazione. Sono opere vive e in continuo movimento. Vive anche perché la barra è realizzata con un metallo che, se non protetto, con l’effetto di ossidazioni che lo vanno ad intaccare, sono destinate a mutare nel corso degli anni e dei secoli. Opere senza tempo. Ecco allora la ricerca dell’assoluto. Ecco un’arte che si sviluppa nel tempo e nello spazio. Evolvono, quindi, crescono, cambiano sotto l’effetto della luce, delle condizioni atmosferiche, del trascorrere della vita. Una mutevolezza che riflette gli stati d’animo dell’artista, ma che può anche rispecchiare, di volta in volta, le sensazioni di chi osserva. È espressione dell’evolversi e trasformarsi invocato dalla natura dell’uomo, nei cambiamenti psichici e morali e di tutte le relazioni e attività umane. La base, la tela, è una superficie, spesso quasi un monocromo. Yves Klein, artista francese, nel monocromo ritrovava l’assoluto, mentre le forme, linee, contorni, erano per lui come delle sbarre, come quelle poste sulla finestra di una prigione. Leoni ora compie il processo inverso. È lui a porre delle barre davanti all’assoluto, vuole nascondere una realtà diversa, talvolta misteriosa che proprio noi, con la nostra conoscenza, coscienza, intelletto, con la nostra anima, possiamo determinare. Metafora di ciò che è la vita dell’uomo: una ossessiva ricerca. Deve continuamente superare degli ostacoli, andare oltre, impegnarsi in scoperte, sostenuto da speranze e aspettative. L’osservatore viene catturato, si inoltra in un’avventura, in un mondo sconosciuto, un mondo che può essere esplorato solo da chi ha il coraggio di andare oltre quella barra, da chi, con tutte le forze, non fisiche ma intellettuali, vuole superare l’ostacolo. Oltre quella barra si rivela un’entità, che è fatta di idee, emozioni, sentimenti, una dimensione trascendentale che esalta l’uomo. Leoni con le sue opere supera l’astrattismo, il neoplasticismo, supera lo spazialismo e ci costringe ad una nuova visione. Con quella barra, indica la volontà di andare oltre la superficie, senza però rinunciare al campo d’azione artistica simboleggiato proprio dallo spazio della tela. Per questo si può parlare di una rinnovata classicità: se infatti classicità significa la capacità di ridurre la realtà, dell’arte e della vita, a unità, nel suo fare artistico troviamo questo intento. Alla ricerca della novità, interpreta la modernità senza per questo abbandonare la forma. Ma la poetica di Leoni va oltre, si eleva ad una sfera concettuale, l’estetica e la materia diventano gli strumenti per comunicare un messaggio. A San Pietro di Feletto, rende omaggio con un gruppo di opere a Papa Giovanni XXIII. In questa occasione affida 4


il suo messaggio al Papa buono. Il gesto del Pontefice pone l’attenzione sulla barra, una barra che rappresenta il mondo, il pianeta per cui non abbiamo più alcun rispetto, quel mondo quasi distrutto dalla civiltà dei consumi, dalla televisione, dai partiti arrivisti, da un progresso senza morale in cui è buono solo ciò che fa soldi. Il Papa ammonisce, interroga: il futuro della terra dipende da noi. Ci pone di fronte all’eterno problema dell’esistenza umana: il bene e il male. L’uomo, è l’unico fra gli esseri del creato a possedere totale libero arbitrio e, di conseguenza, la piena responsabilità morale di fronte a scelte. Così Dio, attraverso Mosè, si espresse agli uomini: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male ... Scegli dunque la vita...!” Virtù e vizio dipendono da noi. Leoni riprende il tema e lo propone in chiave moderna, facendo riferimento a uno dei problemi che maggiormente ci assilla nel nostro secolo. In questa azione artistica e intellettuale Giovanni XXIII è nuovamente vivo e presente tra noi, ponendo il Papa come ambasciatore, ha dimostrato come la grandezza del suo apostolato sia ancora forte e coinvolgente. Un accorato discorso postumo rivolto “agli uomini di buona volontà”. Chiara Voltarel

Senza titolo _ cm 70x70, acrilico, quarzo, barra ottone

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Senza titolo _ cm 40x40, acrilico, quarzo, barra ottone

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Senza titolo _ cm 35x50, acrilico, quarzo, polvere di rame, barra bronzo


Senza titolo _ cm 50x50, acrilico, quarzo, barra rame

Senza titolo _ cm 100x100, acrilico, quarzo, barra rame

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Senza titolo _ cm 80x80, acrilico, quarzo, barra ottone

Senza titolo _ cm 40x40, acrilico, quarzo, barra rame

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Senza titolo _ cm 35x50, acrilico, quarzo, barra rame

Senza titolo _ cm 50x70, acrilico, quarzo, barra rame

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Senza titolo _ cm 50x50, acrilico, quarzo, barra ottone

Senza titolo _ cm 50x60, acrilico, quarzo, barra rame

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Senza titolo _ cm 50x75, acrilico, quarzo, barra alluminio

Senza titolo _ cm 12x18, acrilico, quarzo, barra ottone

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Senza titolo _ cm 80x100, acrilico, quarzo, barra rame

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Senza titolo _ cm 70x100, lamiera, barra inox

Senza titolo _ cm 80x100, lamiera, barra inox

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Senza titolo _ cm 40x40, lamiera, barra ottone

Il senso della provvisorietà In continuità e coerenza con la propria ricerca che, però, non si sviluppa su se stessa ma, si potrebbe dire, che si moltiplica per cicli, Davide Leoni propone, oggi, una serie di opere che, ai miei occhi, appare sempre più raffinata sia per il modo in cui tratta i materiali usati ( colori, metalli, ecc.) sia per la sintesi formale raggiunta. Un processo di approfondimento , del giovane artista pesarese dunque, che tiene in continuo equilibrio e rapporto dialogico quelle che si potrebbero definire l’anima della materia e lo spirito umano; quest’ultimo non è, come nella lettura di tanta arte, un luogo inquietante o folle ma logico e, se non proprio sereno, certamente nitido. Si prenda questa mia osservazione come pura ipotesi, naturalmente. A me sembra, tral’altro, che la sovraimpressione proposta dall’artista, soprattutto nelle recenti opere in acciaio traslucido ricondotto a superficie specchiante, dia luogo ad una raffigurazione che supera il fare pittorico ma che , al tempo stesso, sia ancora dentro la rappresentazione dell’immagine, comei proposizione antagonista. L’immagine specchiata diviene priva di qualsiasi materia e percepita quale forma dell’antimateria. L’osservatore, catturato all’interno del quadro, è coinvolto nel divenire dell’immagine e finisce per trovarsi al centro di uno spazio la cui prospettiva multipla lo rende ambiguo, volutamente oscillante in una sorta di ambivalenza, priva di punti fermi e, pertanto, relativa. Una prospettiva in continua metamorfosi, dunque, dove chi guarda e la sua realtà spaziale sembrano sdoppiarsi incorporandosi nella cosa guardata. È come se lo spettatore perdesse ogni riferimento concreto, non avesse più radici e vivesse nel vuoto della sua percezione. Questo porre l’osservatore e la sua immagine al centro di uno spazio dove non si possiedono più né il centro prospettico dell’arte quattrocentesca né l’appiattimento e riduzione a bidimensionalità dell’arte moderna o, almeno, di una parte di essa, permette a Leoni di situare ambiguamente le sue forme in uno spazio senza profondità né punti cardinali. Così è anche quando le sue opere, perdendo la qualità specchiante, acquisendo l’opacità cromatica, possono essere lette, nel caso, dall’alto in basso, dal basso in alto, dal dentro in fuori e viceversa. Sconvolta la concezione dello spazio, infatti, anche quella del luogo e del tempo si sfalda e perde ogni significato e diviene vano l’estremo tentativo dell’artista di definire anche in termini fisici un ipotetico orizzonte. Si è perso ormai ineluttabilmente il senso del tempo e quindi anche la dinamica della storia. 14


Con le sue opere specchianti, inoltre, Leoni sembra quasi voler reagire e respingere l’opacità della storia contemporanea, tra l’altro, voglio rimarcare, che questo rifiuto è proprio dei giovani e della loro arte, essi sentono e non accettano il grande peso di una existence lourde che in questo primo decennio del XXI secolo sembra qualificare la società e la sua cultura. Da quest’ottica i suoi riflessi ( di Leoni, intendo), il suo visibile-invisibile diventano forza espressiva operante, come se fossero un altro lato della stessa scena. Non si devono, inoltre, trascurare nella lettura di questi lavori, gli aspetti insiti nella specifica natura dell’arte, elementi che la fanno divenire realtà autonoma il cui linguaggio va letto ed interpretato secondo i valori formali che gli sono propri, cioè la capacità, il modo, la forma di trasmettere, comunicare e far rivivere l’emozione che definisce la differenza qualitativa dell’arte stessa. Come è noto, però, l’emozione in sé, fenomeno strettamente correlato alla sensibilità, in quanto tale, non fa riferimento esclusivamente . Affermare questo, rimandare l’arte alle sue specificità linguistico-formali, in ogni modo, non significa ignorare o rifiutarne la capacità evocativa. L’arte concepita come forma del traslato, evocatrice quindi dell’altro, diviene infatti, con tutti i rischi e i pericoli possibili, simbolo di ciò che in realtà non è. Si tratta, allora, per il lavoro di questo artista, di porre l’accento sugli aspetti di una ricerca permanente e di un operare in divenire non qualificabile secondo i parametri correnti. Le motivazioni che muovono l’analisi di Davide Leoni, come quella di tanti giovani, infatti, sono ragioni profondamente diverse dalle argomentazioni che stavano alla base dell’operare delle generazioni precedenti, e nelle sue opere prevalgono elementi del tutto personali e soggettivi. Per i giovani di oggi il problema non è più la sintesi di una concezione culturale della vita e del mondo bensì quello di una identità che non trova più risposte nell’identificazione di sé con il mondo, essi, allora, cercano tali ragioni e le trovano nella propria esistenza, nelle loro esperienze;attraverso quelle cercano di stabilire un rapporto con il reale. L’artista pesarese, a me sembra, avverte, in modo acuto il senso della provvisorietà, dell’instabilità di una realtà tutt’altro che afferrabile, dove ogni cosa diviene imprendibile e scivola dalle mani per la fluidità della sua natura talvolta contraddittoria, questo lo porta a concentrarsi sul proprio vissuto visto come unica certezza possibile cui ancorarsi; il rapporto con il mondo esterno è solo un possibile punto d’arrivo ma non un dato ineludibile. La sua arte, di conseguenza, a parer mio, è carica d’esperienze personali, una sorta di scrittura con cui comunicare il vissuto individuale. Vitaliano Angelini

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Senza titolo _ cm 30x30 lamiera, barra ottone

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Senza titolo _ cm 10x20 , alluminio, ottone, inox


ESPOSIZIONI: 2006 2007 2007 2008 2009 2009 2009 2010 2010 2010 2011 2011 2011 2011

Gabicce Mare, ex acquedotto Gabicce Mare, ex acquedotto Pesaro, chiesa della Maddalena Pesaro, Galleria Art065 Pesaro, Galleria Art065 Ravenna, Fondazione casa Oriani Osimo, Ia Rassegna Naz. d’Arte, Accolta Alexander Palace Museum Novi Ligure, Museo dei Campionissimi Forte dei Marmi, Proponendo, Fiera nuove proposte per l’arte contemporanea Urbino, Collegio Raffaello Carrara, “Giorni D’arte” Complesso Fieristico di Carrara Fermignano, Sala Bramante Novilara, Sala Comunale Fondazione AIIA San Pietro di Feletto, Treviso

Davide Leoni nasce a Zug (Svizzera) il 07/09/1968. Vive e lavora a Pesaro.


Finito di stampare ottobre 2011


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