PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!
Scintilla
Gennaio 2013
Organo di espressione di Piattaforma Comunista teoriaeprassi@yahoo.it
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1 euro
Nessun voto proletario alla politica di austerità e di guerra Varianti di una sola politica Chi vincerà le elezioni? La risposta l’hanno fornita i principali protagonisti della politica italiana e mondiale: la criminale politica di austerità e di guerra. Questo significa che il programma del prossimo governo indipendentemente dal fatto che avrà più voti il polo social-liberista di Bersani o la coalizione ultraconservatrice per Monti premier - è già scritto: continuare a scaricare il peso della crisi e dei debiti capitalistici esclusivamente sulle spalle dei lavoratori e dei popoli. Vale a dire, salvare le banche, licenziare gli operai, chiudere gli ospedali, peggiorare le condizioni di vita della maggioranza dei lavoratori. Il direttorio UE-BCE-FMI, la NATO, le forze dirigenti del capitalismo italiano, il Vaticano, hanno dapprima imposto il loro governo dei banchieri, ora rendono obbligatoria - a forza di ricatti e ingerenze - la loro linea antioperaia per qualunque altro governo. I “poteri che contano” non si preoccupano solo di tracciare il cammino delle controriforme con l’Agenda del capitale, di coordinare l’attacco al movimento operaio, di rafforzare l’arsenale repressivo e bellico. Vi sarà anche il monitoraggio dell’applicazione delle misure richieste: se ne occuperà chi salirà al Colle. Siamo di fronte alla farsa elettorale più clamorosa del dopoguerra, nella quale i poli borghesi si combattono con spade di cartone, mentre affilano spade di ferro contro il proletariato. Siamo di fronte alla graduale liquidazione della democrazia borghese e della sovranità nazionale, alla decomposizione del sistema dei partiti borghesi, rese evidenti dall’egemonia dell’oligarchia finanziaria. SEGUE IN SECONDA
I nostri candidati non hanno trovato posto in nessuna lista Pag. 3
Prosegue la lotta per il fronte popolare
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Appello per la celebrazione del 60° anniversario della morte del compagno Stalin
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Risoluzione della CIPOML sulla Siria
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Togliere consenso a tutti i partiti borghesi Nei mesi scorsi abbiamo chiamato alla formazione di un fronte popolare, con la classe operaia alla sua testa, per sviluppare l’azione nel campo della lotta politica, compresa la tattica elettorale. Esistevano le condizioni ed il terreno sociale per realizzare una coalizione completamente indipendente e distinta dai poli borghesi, che avesse una piattaforma politica di rottura col neoliberismo e il socialliberismo, con la politica di guerra dell’imperialismo. Un fronte di mobilitazione che agitasse un programma di difesa intransigente degli interessi delle masse lavoratrici, contro gli eurotrattati e il Fiscal compact. E che su queste basi si presentasse alle elezioni, con una lista di unità proletaria e popolare. Questa coalizione anticapitalista, contrapposta ai poli borghesi, avrebbe potuto formarsi attorno ai promotori del No Monti Day. Una scelta del genere avrebbe rafforzato la mobilitazione, l’organizzazione e lo sviluppo della coscienza delle masse oppresse e sfruttate. Oltre ai limiti interni di questa esperienza, gli opportunisti di destra (e quelli di “sinistra”) hanno impedito tale prospettiva. Rifondazione e Pdci, pur di garantirsi la loro sopravvivenza, confluiscono in un cartello elettorale composto da magistrati liberali, intellettuali riformisti, ceto politico socialdemocratico, eco-liberisti e altri politicanti che vogliono rifarsi una verginità. o Personaggi che, a parte le chiacchiere, non hanno mosso un dito contro la politica di austerità, che non sono mai scesi in piazza
insieme, che non hanno alcun retroterra politico e sociale comune, che puntano a fare da appendice al PD e ai suoi vassalli, e che in nome del “confronto” si preparano a dare copertura alla politica del rigore. Il programma del baraccone arancione (peggiore della devastante lista “Arcobaleno”) rafforza il culto dello Stato borghese e serve gli interessi degli industriali. Non rompe col Fiscal compact e col pareggio di bilancio che rendono permanenti i piani di austerità, ma favoleggia la democratizzazione del capitale. La colla che unisce questi soggetti è il più squallido elettoralismo e l’arrembaggio a qualche seggio parlamentare. Il “polo arancione” è il polo dell’interclassismo, della subalternità all’UE dei monopoli e dell’assenza di prospettive della sinistra borghese. E’ il polo dell’abbandono della bandiera rossa e di nuove illusioni sulla possibilità di cambiare la società nel quadro dell’imperialismo. Certamente la mancanza di una lista di fronte popolare non giova al campo proletario. E’ una conseguenza del prevalere degli opportunisti nel movimento operaio e popolare. Ma è con questa realtà, con l’assenza di una rappresentanza politica della classe operaia che occorre fare i conti, senza cadere prede dalla demagogia grillina. Appoggiare Grillo non può essere, infatti, un gesto di ribellione, perché il suo movimento populista, autoritario e liberista, dichiaratamente schierato contro il movimento operaio e sindacale, fa comodo ai padroni, coprendo in modo
inoffensivo e congeniale al loro sistema un vuoto politico. Il voto a certi i saltimbanchi può aumentare solo la confusione e il disimpegno tra i proletari. In questa situazione c’è una sola scelta da compiere: negare il voto ai partiti borghesi e piccolo borghesi che appoggiano, direttamente o indirettamente, la politica di austerità e di guerra, che sono responsabili delle sconfitte e della miseria della classe operaia. “Noi la crisi non la paghiamo” oggi significa: noi non vi votiamo, tanto più con questo sistema elettorale schifoso. Chiamiamo dunque al boicottaggio attivo che può assumere diverse forme. Chi si recherà ai seggi annulli la scheda con parole d’ordine rivoluzionarie e rivendicazioni di classe. Dobbiamo togliere consenso popolare alla politica di austerità, ai politicanti borghesi e al prossimo governo che sarà al servizio esclusivo dell’oligarchia. Va approfondito il distacco fra i proletari e le istituzioni borghesi.
La campagna elettorale, gli spazi di agibilità e partecipazione politica vanno utilizzati per denunciare il sistema borghese dello sfruttamento e dell’oppressione, della coruzione e della repressione, per spingere le vittime della crisi capitalistica alla mobilitazione, dimostrando la necessità del fronte unico proletario e di un largo fronte popolare in lotta per il socialismo. Nell’immediato è importante che la politica di austerità e di guerra raccolga meno voti possibile, che il nuovo regime montista nasca indebolito. Ciò faciliterà lo sviluppo della mobilitazione nei prossimi mesi, ben sapendo che l’alternativa non verrà dalla lotta elettorale, ma dalla lotta rivoluzionaria della classe operaia e dei suoi alleati contro il capitalismo, diretta da un vero Partito comunista. Ed è proprio nel processo di formazione di questo Partito, con la guida sicura del marxismoleninismo, che i comunisti e gli operai avanzati devono impegnare le oro energie, per compiere decisi passi avanti.
segue dalla prima Siamo di fronte al fallimento della socialdemocrazia, completamente subalterna al liberismo dell’UE dei monopoli e pronta a svolgere fino in fondo il suo ruolo di supporto sociale del capitale. In questo scenario il nostro compito politico è delegittimare e indebolire il più possibile il prossimo Parlamento e il prossimo governo, probabilmente un Bersani-Monti non avendo Berlusconi alcuna possibilità di vincere le elezioni. Questo significa, prima di tutto, boicottare i partiti e le liste che in un modo o nell’altro, direttamente o
indirettamente, sostengono gli interessi del capitale finanziario e la politica di austerità, i licenziamenti, la liquidazione dei nostri diritti. Dobbiamo rifiutare la scelta fra zuppa o pan bagnato. Di fronte alla scelta tra varianti della stessa politica imperialista diciamo: niente lavoro, niente art. 18, niente pensioni, niente futuro? Nessun voto proletario e popolare ai partiti borghesi! Prepariamoci a un ciclo più aspro di lotte operaie e popolari, sapendo che il nuovo governo non godrà di nessuna “luna di miele” con gli
elettori. Stante il continuo impoverimento, i suoi primi provvedimenti incideranno sulla carne viva di vasti settori popolari. Non ci sarà da aspettare molto per vedere di nuovo le fabbriche in sciopero e le piazze piene. Il prolungamento e l’aggravamento della crisi economica acutizzerà la lotta fra le classi. Ogni rivendicazione immediata, ogni agitazione degli operai, dei disoccupati, dei lavoratori sfruttati, degli studenti, degli strati popolari colpiti dalla crisi, entrerà in rotta di collisione con la politica
dominante, renderà più instabile il precario equilibrio politico e più grave la crisi del capitalismo. Dovremo servirci di ogni battaglia parziale per accrescere il legame con le masse e sviluppare le loro forme di organizzazione e di lotta, per far si che gli scioperi, le occupazioni e le manifestazioni servano a compattare il fronte proletario, per trasmettere la necessità della rivoluzione sociale e avanzare nell’unione dei migliori elementi proletari, gettando le basi del Partito comunista. Questa è l’Agenda dei comunisti.
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Prosegue la lotta per il fronte popolare Stralci del nostro intervento all’assemblea nazionale del 15 dicembre 2012 per il varo della “Agenda No Monti”. ...Malgrado la politica di freno e di divisione delle lotte condotta dai molti complici di Monti, la resistenza alle misure antipopolari e alla repressione, non si è mai fermata....abbiamo costruito un processo di dibattito e di mobilitazione unitaria, che ha avuto significative espressioni nel No Monti Day ed anche nella giornata di lotta e solidarietà internazionale del 14 novembre. ....In questo scenario è necessario lavorare per l’unità politica delle forze che rifiutano la politica di austerità, i diktat dell’UE, le aggressioni imperialiste. E’ perciò importante dare continuità e rafforzare l’ambito collettivo che abbiamo costruito, radicarlo fra i lavoratori e gli strati popolari, per trasformarlo in un fattore politico e aprire la strada ad un’alternativa di rottura con il neoliberismo e il socialliberismo, col sistema che li genera. Riguardo la piattaforma comune: il suo pregio è di essere ispirata a questa rottura radicale con le politiche attuali dell’oligarchia. Insistiamo su un punto: la questione dei licenziamenti e
della chiusura delle fabbriche. I casi di Fiat, Ilva, Alcoa, Carbosulcis, etc. sono emblematici. Le multinazionali, i padroni, realizzano piani di soppressioni d’aziende, distruggono decine di migliaia di posti di lavoro. Interi rami produttivi, intere regioni, sono colpiti. Tutti i grandi gruppi hanno goduto di miliardi di sovvenzioni, aiuti e regali statali. Si tratta di fondi pubblici, grazie ai quali hanno decuplicato il fatturato. Ora, “lor signori” vogliono sbarazzarsi delle imprese che non reputano abbastanza redditizie, mentre aumentano lo sfruttamento per chi rimane in produzione. Questa situazione deve finire perché la classe operaia, i lavoratori non sono i responsabili di una crisi che hanno già pagato mille volte. Sono i capitalisti, i ricchi, i parassiti che devono pagare la loro crisi! Occorrono decisioni politiche e misure forti che mettano in discussione la libertà dei padroni di ristrutturare e chiudere le aziende per i loro interessi. Dobbiamo esigere il divieto dei licenziamenti nei gruppi che continuano a fare profitti a palate e nell’indotto.
Dobbiamo rivendicare l’esproprio senza indennizzo delle imprese che chiudono o trasferiscono all’estero i macchinari come conseguenza della logica del capitale, volta al massimo profitto. Lo stesso deve valere per quei padroni che compiono crimini e disastri ambientali, che si rifiutano di risanare le aziende e territorio, che negano i diritti e le libertà dei lavoratori e dei loro sindacati. Sulla sorte di queste imprese devono decidere i lavoratori. Queste rivendicazioni devono emergere assieme a quelle sul rifiuto degli accordi su flessibilità e produttività, sulla riduzione dell’orario e della vita lavorativa a parità di salario, che significano crescita dell’occupazione e assunzione per tutti i precari. Dunque, la piattaforma unitaria non può che essere anticapitalista e mettere al suo centro le esigenze della classe che è il
bersaglio diretto dell’offensiva padronale: il proletariato. Su queste basi va raggiunta un’intesa fra le forze politiche, sindacali e sociali che vogliono la trasformazione sociale e va formata un’ampia coalizione. La possibilità e la necessità di un fronte popolare contrapposto al blocco oligarchico si impone oggi con più forza. La classe operaia, i giovani, le masse popolari hanno bisogno di uno strumento di resistenza e di lotta alla politica reazionaria del grande capitale. Dobbiamo puntare a costruire una forza reale, con basi popolari, organizzata e strutturata a partire dal basso, indispensabile nella lotta contro il capitale e per battere soluzioni di destra. Una forza dal carattere rivoluzionario, perché è la gravità stessa della crisi che impone un’alternativa di rottura con un sistema che ha fatto il suo tempo.
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Il debito “pubblico” cresce nonostante i sacrifici L’unica soluzione sta nel ripudiarlo Rompere la gabbia dell’UE e dell’euro! Nonostante i sacrifici, i tagli alla spesa pubblica, le privatizzazioni e l’aumento delle tasse per la povera gente, il debito “pubblico” (in realtà debito creato per incrementare la rendita dei borghesi) è giunto a quota 2.014 miliardi, il livello più alto di sempre. Come si spiega l’inarrestabile aumento? A far aumentare il debito sono gli interessi pagati ai suoi detentori, pari a circa 80 miliardi l’anno (il 5% del PIL). Chi sono questi possessori del debito? Per l’87% banche d’affari, assicurazioni, fondi pensioni e d’investimento, imprese di capitalisti italiani, francesi, tedeschi, britannici, statunitensi, cinesi, etc.
Con la crisi economica (Pil in calo del 2,5%) non si produce abbastanza ricchezza rispetto all’onere del debito, cioè gli interessi, che fanno cumulo sul debito originario. La fallimentare politica di austerità – solo con le ultime manovre di Tremonti e di Monti sono stati saccheggiati più di 80 miliardi dagli strati popolari - a sua volta amplifica la recessione. L’aumento del debito è dunque direttamente proporzionale all’entità dei sacrifici imposti alle masse. Inoltre, questo aumento è causato dalle politiche di salvataggio dei monopoli capitalisti (vedi MPS, Riva, etc), dalla politica di guerra, da una classe dominante corrotta e
parassitaria che vi mangia sopra. Il pagamento del debito comporta enormi privazioni per le masse, lo strangolamento dei lavoratori e delle prossime generazioni, lo sprofondamento in un declino e un degrado economico e sociale ancor più profondi. Un’esigua minoranza si arricchisce sempre più mentre la stragrande maggioranza della popolazione si impoverisce. Come uscirne fuori? C’è un solo modo: rifiutarsi di pagare il debito posseduto dalle banche e dalle società finanziarie, dai padroni, dai ricchi, dai parassiti. Al ricatto della borghesia “pagate il debito o sarà il
disastro” va risposto che il vero disastro per i lavoratori è proprio pagare il debito. Questa proposta di rottura con la politica borghese è legata all’uscita dall'UE e dall'euro, poiché da ciò dipende lo strozzinaggio richiesto dal sistema imperialista mondiale. Solo un governo operaio potrà spezzare il circolo vizioso del debito e le sue conseguenze sociali, adottando misure spietate contro il capitalismo e la reazione. Ecco la soluzione politica rivoluzionaria che noi indichiamo per la soluzione dei problemi vitali che interessano le masse. E’ necessaria dunque la conquista del potere politico da parte del proletariato!
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Il decreto sull’Ilva e la Costituzione Alcuni esperti costituzionalisti hanno osservato che il decreto del governo Monti che permette a Riva di continuare nella produzione dei profitti, della morte e delle malattie per gli operai e la popolazione di Taranto è incostituzionale. Entrerebbe in contrasto con l’art. 32 (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…”) e 41 (“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…”) della Costituzione italiana. Questi professori hanno ad un tempo perfettamente ragione e perfettamente torto. Hanno ragione perché il contrasto esiste ed è profondo; hanno torto perché l’estrazione del profitto è il fondamento stesso dell’ordinamento borghese e dunque della sua legge fondamentale. I nostri buoni democratici borghesi ritengono che la Costituzione non abbia un contenuto di classe e sia veramente democratica e progressista. Pensano che esista uno Stato di
diritto “puro” al di sopra delle classi e dei loro interessi. Di conseguenza, i vizi e gli errori di fondo dell’attuale società possono essere risolti appellandosi alle sacre tavole. La loro è una concezione borghese della società borghese, simile a quella dei revisionisti. Le cose stanno in maniera diversa. La Costituzione italiana dice di fondarsi sul lavoro, ed abbiamo il massimo storico di disoccupati. Ripudia la guerra, e la guerra è in corso da anni. Afferma che i lavoratori hanno diritto a retribuzioni sufficienti ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa, ed in milioni fanno la fame. Sancisce alcuni diritti democratici, come quello di manifestazione, ma qualsiasi tutore dell’ordine può farsene beffe e massacrarci di botte rimanendo impunito. Vieta il fascismo, ma i fascisti sfilano impunemente per le strade. E’ una Costituzione borghese, in cui i principi più avanzati – imposti dalla lotta della classe operaia contro il fascismo - non sono mai stati applicati e seguiti dai fatti. Le sue previsioni sono libertà e diritti formali giornalmente violati dalla classe dominante. Al di sopra di ogni libertà e
diritto formale del popolo, la Costituzione borghese riconosce e difende il diritto alla proprietà privata capitalista ed al sacro profitto. Sancisce il potere politico, legislativo ed esecutivo esclusivo della borghesia. Conferisce basi legali agli organi dello Stato affinchè essi opprimano il popolo e restringano le libertà e i diritti riconosciuti. Tale è il presupposto del decreto del governo sull’Ilva. Noi comunisti difendiamo a spada tratta le libertà e i diritti che la borghesia calpesta, ma
non ci limitiamo ad essi e non concepiamo la Costituzione come una bibbia. Lottiamo per un nuovo ordinamento sociale, che per affermarsi dovrà inevitabilmente vedere le grandi masse rimuovere quegli ostacoli descritti nell’art. 3 della Costituzione, rovesciando l’ordine borghese. Solo così la produzione sociale potrà essere volta al soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali di tutta la società, rispettando la salute e l’ambiente naturale.
Come continuare la lotta per il contratto? L’accordo separato sul contratto dei metalmeccanici e l’intesa separata sulla “produttività” sono due aspetti dello stesso attacco capitalista volto a ridurre salari, aumentare orari, in sintesi intensificare lo sfruttamento per chi rimane in fabbrica. A ciò si aggiunge l’aumento del dispotismo padronale e una sfacciata politica di divisione degli operai, grazie al ruolo svolto dai capi sindacali collaborazionisti. Questi accordi segnano il fallimento della linea moderata dei vertici Cgil e Fiom, basata sul tentativo di far rispettare l’accordo del 28 giugno 2011. I capi riformisti raccolgono così i frutti dell’appoggio a Monti, che ha lavorato per l’estensione della linea Marchionne. Anche la sinistra sindacale deve riflettere su questo. E’
necessaria la più netta opposizione sindacale organizzata, l’unificazione dei settori che resistono, non le mezze parole, le beghe di apparato e l'accettazione tacita dell'accordo del 28 giugno. Così come non è possibile sostituire l’azione comune di lotta degli operai, la spinta dal basso, con le vie legali. La chiave per organizzare la risposta sta nella politica di fronte unico di lotta del proletariato. Per far saltare gli accordi reazionari bisogna mobilitare la massa dei lavoratori, farla esprimere nelle assemblee contro i collaborazionisti, è indispensabile la creazione di comitati operai di agitazione e di sciopero, composti da operai di tutte le tendenze. Servono scioperi duri, con i picchetti e il blocco delle merci,
l’occupazione delle fabbriche che chiudono. Dopo lo sciopero del 5-6 dicembre lo scontro va continuato in ogni azienda (a partire dalla Fiat e dalle altre aziende coinvolte in piani di ristrutturazioni e licenziamenti) e nel territorio, anche per conquistare pre-contratti basati sulla difesa degli interessi di classe. Solo costruendo nelle fabbriche i rapporti di forza necessari si potrà ribaltare il quadro attuale. Il tempo delle illusioni, della concertazione e della pace sociale è alle nostre spalle. Questo sistema basato sullo sfruttamento dell’uomo e della natura non è riformabile, è parassitismo e reazione a tutto campo. La battaglia che dobbiamo affrontare non è dunque quella fra Bersani e Monti, fra centrodestra e
centrosinistra borghesi, ma è fra capitale e lavoro, senza limitarci a combattere gli effetti della crisi, ma lottando contro il sistema sociale che inevitabilmente la produce, per porre fine alle drammatiche condizioni attuali.
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La «favola» dei mercati e la realtà del capitale Ogni giorno, i quotidiani e le televisioni ci bombardano di messaggi intimidatori. Dobbiamo accettare il "patto di stabilità? «Ce lo chiedono i mercati». Dobbiamo subire i tagli imposti dalla spending review? «Ce lo chiedono i mercati». Dobbiamo sopportare le conseguenze del Fiscal compact? «Ce lo chiedono i mercati». Chi sono questi misteriosi «mercati»? Ci vengono presentati come dei soggetti senza nome, come qualcosa di arcano e di impersonale. E soprattutto come qualcosa di onnipotente alla cui volontà bisognerebbe piegarsi. I mercati finanziari non sono affatto qualcosa di neutro, ma sono l'espressione di una consolidata gerarchia di potere capitalistico. In pratica, essa ha la forma di una piramide al vertice della quale si trova un piccolo numero di vandali dell’alta finanza (una vera e propria oligarchia in grado di controllare attualmente oltre il 65 per cento dei flussi finanziari globali), nei gradini intermedi un certa quantità di operatori finanziari minori e alla base una miriade di piccoli risparmiatori. Secondo dati forniti dalla Federal Reserve americana, dal 1980 al 2005 si sono verificate, sul mercato bancario, circa 11.000 fusioni (con una media di 440 all'anno), che hanno ridotto il numero delle banche attualmente esistenti a meno di 7.500. Cinque banche d'affari (JPMorgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, HSBC USA) e cinque grandi banche (Deutsche Bank,
BBS, Crédit Suisse, CitycorpMerrill Linch, BNP-Paribas) controllano oltre il 90% dei cosiddetti «prodotti derivati». La stessa concentrazione di potere si riscontra nel campo delle famigerate agenzie di rating, quelle di cui ci parlano quotidianamente i telegiornali, quelle che assegnano o tolgono la "tripla A" a una banca (o "declassano" un'intera nazione), valutandone la solvibilità. Dovrebbero esercitare una funzione di controllo, ma «chi« controlla «chi»? Queste agenzie sono anch'esse delle imprese capitalistiche private, il cui scopo è il profitto. Oggi ne esistono al mondo circa centocinquanta. Ma quelle che contano davvero e che controllano di fatto il mercato mondiale del rating sono soltanto tre: le tre grandi agenzie americane Standard & Poor's (fondata nel 1916), Moody's Investors Service (fondata nel 1909) e Fitch Ratings (fondata nel 1913). Esse detengono, complessivamente, il 95% del mercato del rating. Nei loro consigli di amministrazione siedono ex dirigenti di grandi banche, ex direttori di grandi corporations nordamericane, professori universitari legati al mondo della finanza: un intreccio perverso di controllori e di controllati, che come abbiamo visto negli ultimi anni - ha condotto alla rovina migliaia di piccoli risparmiatori. Spesso, da alcuni partecipanti alle grandi manifestazioni popolari che scuotono oggi
l'Europa vengono lanciate parole d'ordine sbagliate e di contenuto piccolo-borghese che individuano nelle banche (o nell'usura) il "nemico" da abbattere. Per i proletari il nemico di classe non è l'istituto bancario in quanto tale, ma il capitale finanziario, quella fusione fra le banche, le grandi compagnie di assicurazione, le società di gestione dei fondi di investimento, e le maggiori imprese industriali e commerciali: quella simbiosi di capitale bancario e di capitale industriale che è caratteristica dell'epoca in cui viviamo, l'epoca dell'imperialismo così profondamente analizzata da Lenin.
Direttori di grandi banche sono membri del consiglio di amministrazione di grandi imprese industriali, così come grossi azionisti di imprese industriali siedono nel consiglio di amministrazione delle maggiori banche e società finanziarie. Gli uni e gli altri alla ricerca del massimo profitto. E' dunque il capitalismo, il modo di produzione capitalistico - in tutti i suoi aspetti e le sue strutture che bisogna distruggere, così come bisogna abbattere il potere statale borghese che ne è lo strumento. Solo il socialismo può salvare noi proletari dalla rovina economica e dare a tutti coloro che sono sfruttati e oppressi dal capitale la sicurezza della vita e del lavoro.
Solidarietà agli operai della Rockwool L’accanita resistenza dei lavoratori del Sulcis per difendere il posto di lavoro e un futuro, continua nelle profondità della miniera Villamarina di Monteponi. Non è più l’Asinara, l’isola dei cassintegrati, ma lo spazio stretto e buio dove un gruppo di lavoratori della Rockwool hanno scelto di passare le feste di fine anno per protesta. Sono lì per chiedere che la Regione dia risposte e occupazione. Chiedono il rispetto dell'accordo siglato un anno fa, l'inquadramento nell'organismo Carbosulcis, a
tempo indeterminato, e non quanto proposto dai politicanti della Giunta, con la stabilizzazione a tempi determinato nell'Ati-Infras che si occuperà delle bonifiche nelle aree minerarie dismesse. Gli operai chiedono certezze e non continui rinvii, come quelli che hanno accompagnato la vicenda della Eurallumina, arrivata al quarto anno di fermata produttiva. Per far capire meglio le loro intenzioni i lavoratori si sono barricati nella miniera abbandonata. Al di là del muro i lavoratori
non sono soli, un gruppo di giovani che si sono definiti “Figli della crisi” hanno allestito una tenda davanti al palazzo del Consiglio regionale. Sono studenti, giovani del Sulcis, figli, nipoti, parenti di chi in questi anni ha cercato di salvare il posto di lavoro con manifestazioni di piazza, occupazioni, costretti a lunghe trasferte per protestare davanti i palazzi del potere romani. Agli operai ed ai giovani sardi giunga la nostra solidarietà e l’augurio fraterno per un nuovo anno di lotte e di
organizzazione di classe per combattere contro il dannato sistema capitalistico, in cui i mezzi di produzione e la ricchezza e sono nelle mani di parassiti che prima si appropriano del nostro lavoro e poi ci gettano nella fame e nella miseria. La lotta proletaria può e deve avere una prospettiva di emancipazione per noi e per i nostri figli solo se combattuta all’interno della più generale battaglia per la sconfitta rivoluzionaria del capitalismo e del suo marcio sistema politico.
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Appello per una celebrazione unitaria del 60° anniversario della morte del compagno Stalin Il prossimo 5 marzo si compiranno 60 anni dalla morte del compagno Giuseppe Stalin. In questa occasione noi comunisti intendiamo ricordare degnamente il suo pensiero e la sua opera. Vogliamo farlo rilanciando e mettendo in risalto il loro significato di classe e rivoluzionario, l’attualità dell’incessante lotta contro il capitalismo e l’imperialismo, per il socialismo e il comunismo che il compagno Stalin ha svolto. Non una celebrazione retorica o storiografica, dunque, ma un momento e un aspetto del lavoro da sviluppare, in modo combattivo e unitario, nella situazione concreta, per dare una risposta ideologica e politica all’offensiva della classe dominante e rilanciare le ragioni della rivoluzione sociale del proletariato, per costruire una società senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, senza crisi di sovrapproduzione, disoccupazione cronica, impoverimento materiale e culturale, crescente oppressione delle masse, parassitismo, reazione sfrenata, guerre di rapina. Facciamo perciò appello per un’iniziativa unitaria in occasione del 60°anniversario, da realizzare in un’ottica di confronto aperto e serrato sulle questioni che la profonda crisi capitalistica pone di nuovo all’ordine del giorno della lotta di classe degli sfruttati: la questione della trasformazione sociale, del benessere dei
lavoratori, della pianificazione, della libertà e dell’uguaglianza, della democrazia per la stragrande maggioranza della popolazione. Riteniamo inopportuno e sbagliato, specie nelle condizioni attuali di continue aggressioni reazionarie della borghesia, realizzare su questa scadenza iniziative separate o contrapposte delle forze che si richiamano al movimento comunista ed operaio. Di fronte alla canea antistalinista, cioè anticomunista, che la borghesia e gli opportunisti portano avanti, dobbiamo e possiamo dare una risposta decisa e coesa, facendo pesare la presenza dei comunisti nella situazione italiana. La base politica e ideologica comune di questa manifestazione unitaria non può che consistere nel riconoscimento della dittatura del proletariato, che il compagno Stalin ha edificato, consolidato e difeso, seguendo
gli insegnamenti di Marx, Engels e Lenin. Di conseguenza, nel giudizio positivo sul suo pensiero, sulla sua opera, sul ruolo che ha giocato in Unione Sovietica e nel movimento comunista internazionale. Ciò comporta l’affermazione della natura rivoluzionaria della conquista del potere politico da parte del proletariato, e nella fase di costruzione della società socialista, l’indispensabile sostituzione della proprietà privata dei mezzi di produzione con la proprietà sociale e la liquidazione di ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, l’organizzazione cosciente dell’economia secondo un piano, al fine di soddisfare le crescenti esigenze materiali e culturali dell’intera società; così come comporta la condanna del rovesciamento della dittatura del proletariato e della conseguente restaurazione del capitalismo, ad opera dei revisionisti al potere in URSS. Come ai tempi di Marx, Engels, Lenin e Stalin anche oggi la lotta al revisionismo e ai revisionisti della dottrina comunista, responsabili della sconfitta del socialismo realizzato nel ventesimo secolo e attualmente in combutta con la sinistra borghese, clericale e capitalistica, è indispensabile per abbattere il sistema capitalistico, costruire il socialismo ed edificare la società comunista. Riteniamo che su questa base nulla può giustificare iniziative separate o contrapposte. Un’iniziativa nazionale unica in occasione del 60° anniversario
della scomparsa del grande dirigente bolscevico, non solo porrebbe la figura e l'opera di Stalin come lo spartiacque più reciso, il bastione che si erge fra i comunisti e tutti i nostri nemici, ma corrisponderebbe alle aspirazioni di tanti compagni e lavoratori. Essa avrebbe inoltre un’importanza in termini di dibattito e cooperazione tra forze che lavorano per la ripresa del movimento comunista ed operaio. Chiamiamo perciò tutti i partiti, le organizzazioni e i singoli compagni comunisti, gli operai avanzati, i giovani rivoluzionari, gli antifascisti, gli anticapitalisti, i progressisti, tutti coloro che lottano per la libertà e l’indipendenza, la democrazia e il socialismo, ad aderire a questo appello per realizzare unitariamente nella prima decade di marzo 2013, in località da stabilire, il convegno nazionale “L’attualità di Stalin 60 anni dopo”. Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista Piattaforma Comunista Per adesioni: info@pciml.org teoriaeprassi@yahoo.it Hanno già aderito: GAMaDi, Redazione “Guardare Avanti”, Associazione Stalin, CSP-Partito Comunista, Centro culturale e casa editrice “La Città del Sole”, Scintilla Onlus, S. Manes, L. Parodi, E. Giardino, A. Bianco, A. Lirica, B. Maran, A. Curatoli, E. De Robertis, R. Coppola, M. Capurso, E. Barone
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gennaio 2013
Risoluzione CIPOML sulla Siria Proseguiamo nella pubblicazione dei documenti approvati dal XVIII Plenum della CIPOML, presentando un’importante risoluzione che chiama alla solidarietà col popolo siriano e alla lotta su due fronti: contro l’imperialismo e i suoi fantocci e contro i regimi borghesi oppressivi. Il XVIII Plenum della CIPOML, tenutosi nel corso di questo mese per la prima volta in Africa, riafferma il suo appoggio al diritto del popolo siriano di vivere in un regime democratico. Un regime in grado di garantirgli la libertà, l'eguaglianza, la giustizia sociale e la dignità e di garantire al paese la sua unità e la sua completa indipendenza, compreso il recupero del Golan occupato, a partire dal 1967, dal sionismo. La CIPOML: 1. Denuncia il pericoloso andamento degli avvenimenti in Siria. Il movimento popolare di contestazione si è trasformato in una sporca e devastante guerra civile, a causa della sanguinosa repressione abbattutasi sul popolo siriano e del rifiuto, fin dall'inizio, del regime di Assad di ogni riforma democratica
capace di soddisfare le aspirazioni del popolo siriano. Questa situazione è anche la conseguenza dell'intervento esterno reazionario, imperialista e sionista attraverso la Turchia, il Qatar e l'Arabia Saudita che stanno dietro al cosiddetto «esercito libero» col pretesto di salvare il popolo siriano. 2. Conferma che questa guerra non ha oggi alcun legame con gli interessi e le aspirazioni del popolo siriano. Al contrario. essa è al servizio di forze reazionarie interne, regionali e internazionali. La Siria è diventata attualmente il luogo di scontro fra: da un lato, gli Stati Uniti, la Francia, Israele e le reazioni araba e turca che cercano di sottomettere la Siria al dominio occidentale e spingerla a rompere ogni legame con l'Iran e gli Hezbollah; dall'altro, la Russia e la Cina che sostengono il regime al potere per tutelare i loro interessi strategici in Siria e nella regione, dopo aver perduto la loro influenza in Libia.
Conferenza fa appello al popolo turco perché respinga ogni intervento della Turchia in Siria. Lancia analogo appello ai lavoratori e ai popoli dei paesi occidentali, in primo luogo degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia, i cui dirigenti brandiscono minacce di intervento militare in Siria, e li esorta a premere sui loro governi per impedire loro di portare ad effetto questa strategia criminale che ha condotto, in passato, ai disastri in Afghanistan, in Irak, in Somalia, in Libia… 4. Considera che il popolo siriano è il solo a cui spetta, in prima ed ultima istanza, di decidere della propria sorte. Esorta le forze patriottiche e democratiche siriane ad unire i loro sforzi per salvare la Siria dagli artigli del regime di Assad e dalle bande armate, e per impedire alle potenze straniere di ipotecare il suo avvenire e di strumentalizzare una parte delle sue minoranze per minare la sua unità. Le chiama a costruire una Siria nuova, democratica, laica, indipendente e unita nella quale convivano le diverse religioni e nazionalità nella libertà e nell'eguaglianza.
3. Respinge ogni intervento della NATO in Siria sotto qualsiasi pretesto o copertura, visti i pericoli che esso rappresenta per il popolo siriano, i popoli della regione e 5. Chiama le forze patriottiche, la pace mondiale in generale. La democratiche e progressiste
della regione ad agire con la massima urgenza e ad intraprendere le iniziative di solidarietà che si impongono per dare appoggio alle forze patriottiche e democratiche in Siria. Esse debbono operare al fine di porre termine ai massacri commessi contro il popolo siriano, fermare la distruzione e lo smantellamento del paese, evitargli ogni intervento straniero e facilitare il dialogo fra le sue figlie e i suoi figli per il soddisfacimento delle loro esigenze ed aspirazioni, in rottura con la tirannia e la dominazione straniera. Tunisi, novembre 2012 Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML)
www.cipoml.info
Libertà per Abigail, Cristina e tutti i “10”! Grazie alla mobilitazione, sette dei "10 di Luluncoto” sono liberi. Mancano ancora all’appello Abigail Heras e Cristina Campaña, ricoverate in ospedale a seguito dello sciopero della fame. Un’altra compagna è a piede libero perché incinta. È una vittoria parziale nella battaglia politica e legale contro il governo di Rafael Correa che li accusa di sabotaggio e terrorismo. Il compagno R. Vinueza, coordinatore del Comitato dei familiari dei “10 di Luluncoto”, ha dichiarato che la risoluzione dei giudici è incompleta, e che mantenere Cristina ed Abigaíl in prigione è una illegalità. Senza dubbio la mobilitazione che si è svolta in Ecuador e a livello internazionale, l’opinione
di diversi settori sociali, la denuncia propagandata su molti mezzi di comunicazione e sui social network ha influito sulla decisione dei giudici. "Siamo contenti perché i nostri compagni recuperano la libertà, noi proseguiamo la lotta fino ad ottenere la nostra" ha detto Abigail dopo aver conosciuto la sentenza del tribunale. Cristina ha aggiunto: "Non siamo terroristi, siamo attivisti sociali; continueremo con lo sciopero della fame e dimostreremo la nostra innocenza”. Continuiamo ad esigere la libertà per tutti i prigionieri della sinistra rivoluzionaria in Ecuador, fra cui il compagno Marcelo Rivera, ingiustamente imprigionato da tre anni.
8
gennaio 2013
Sulla situazione nella subregione ovest-africana e nel Mali Con la crisi che colpisce il sistema capitalistico, la più grave dopo il 1929, le rivalità fra le grandi potenze imperialiste per la spartizione del mondo si sono inasprite, e si estendono in modo particolare al continente africano, oggetto delle loro cupidigie e di quelle dei nuovi attori, come la Cina, l'India, il Brasile, ecc. Perciò, a partire dal 2010, la subregione ovest-africana, e in particolare la zona sahelosahariana, sono caratterizzate dalle ingerenze e dagli interventi militari delle potenze imperialiste col pretesto della «lotta contro il terrorismo», il grande banditismo transfrontaliero, i narcotrafficanti, ecc. In realtà, le vere poste in gioco di queste ingerenze e di questi interventi militari delle grandi potenze imperialiste sono: - Politiche, geostrategiche e militari in relazione alla lotta per la spartizione del mondo e del continente africano. - Economiche (accesso al petrolio del Golfo di Guinea, all'uranio del Niger e ai metalli preziosi di cui abbonda la sub-regione, all'energia solare, al cacao, al caffé, ecc.). - La lotta degli imperialisti anglosassoni (USA, Gran Bretagna) e francesi per ostacolare la penetrazione nella sub-regione di nuovi attori come la Cina, l'India, il Brasile, ecc. - La volontà delle potenze imperialiste di soffocare ogni tipo di contestazione delle masse popolari ridotte alla miseria, prive di libertà politica e soggette alla repressione esercitata su di loro da poteri corrotti; e la volontà delle potenze imperialiste di schiacciare ogni movimento rivoluzionario insurrezionale. Fanno parte di questo quadro complessivo la crisi politicomilitare nel Mali, caratterizzata dalla gestione caotica e mafiosa del regime di ATT; la secessione del Nord del paese; il colpo di Stato militare attuato il 22 marzo 2012 dal CNRDRE (Comitato Nazionale di Risollevamento, di Difesa e di Restaurazione dello Stato); l'occupazione militare del Mali settentrionale da parte del MNLA e dei jihadisti (AQMI, Ansar Dine, Mujao, Boko Haram, ecc.) La crisi politico-militare nel Mali
ha delle gravi conseguenze per i paesi vicini (la Costa d'Avorio, l'Algeria, il Niger, il Burkina Faso, la Mauritania) e per l'insieme dei paesi della sub-regione ovestafricana (destabilizzazione degli Stati, proliferazione delle armi, massicci spostamenti delle popolazioni verso il sud del Mali e di centinaia di migliaia di rifugiati nei paesi vicini). Questa crisi maliana, benché provocata sottomano dalle potenze imperialiste, e in particolare da quella francese, si rivela, per le sue conseguenze locali e regionali, come una minaccia per gli interessi dell'imperialismo, soprattutto francese, nel Mali e nella subregione. Di qui le manovre preparatorie di un aperto intervento militare nel Mali, condotto dalle truppe fornite dai paesi membri della CEDEAO e dell'UA con l'appoggio logistico delle grandi potenze (USA, Francia, UE), dell'ONU e della NATO, col pretesto di assicurare la transizione, di «ristabilire la vita costituzionale», di «ristabilire l'integrità territoriale del Mali» e di «lottare contro il terrorismo». I due partiti, il Partito Comunista del Benin e il Partito Comunista Rivoluzionario Voltaico, dichiarano che si tratta di un piano reazionario delle potenze imperialiste e dei loro alleati nella sub-regione per mantenere e rafforzare il loro dominio. Di fronte a una grave situazione come questa, carica di pericoli per il proletariato e i popoli del Mali e degli altri paesi della sub-regione ovest-africana, il PCB e il PCRV: 1) Denunciano la presenza di truppe di aggressione straniere e imperialiste nell'Africa Occidentale, particolarmente nella zona sahelo-sahariana, ed esigono la loro partenza. 2) Condannano i poteri fantoccio che hanno aperto i loro territori a quelle truppe (in particolare, il Mali, la Costa d'Avorio, il Burkina Faso, il Niger, il Senegal, la Mauritania). 3) Condannano il piano reazionario della CEDEAO, dell'UA e degli imperialisti soprattutto francesi per l'invio di truppe dei paesi membri della CEDEADO e dell'UA nel Mali. 4) Condannano la politica
Denunciamo la vergognosa risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che apre la strada a un intervento militare imperialista nel Mali
avventuristica e criminale del clan mafioso di Blaise Compaoré, che rappresenta un pericolo per il proletariato e i popoli del Mali, del Burkina Faso, e per l'intera subregione ovest-africana. Denunciano e condannano la politica guerrafondaia di Boni Yayi, Presidente in carica dell'Unione Africana, portavoce degli aggressori imperialisti francesi e americani e acceso sostenitore dell'intervento militare nel Mali. 5) Condannano la proclamazione dell'indipendenza dello Stato dell'AZAWAD da parte del MLNA come manifestazione di un complotto ordito dall'imperialismo francese contro i popoli del Mali al fine di dividerli per meglio asservirli e sfruttarli. Fanno appello ai rivoluzionari maliani affinché pongano in essere una giusta politica nazionale che permetta ad ogni maliano (quali che siano la sua nazionalità, la sua razza, le sue origini) di sentirsi a proprio agio in un Mali indipendente e unificato, poiché in tutti i paesi africani la questione nazionale esige di essere trattata con molta circospezione su basi corrette. 6) Appoggiano fermamente le esigenze delle forze patriottiche e democratiche maliane che si oppongono ad ogni intervento straniero sui loro territori, e chiedono che i problemi specifici del Mali siano regolati dal popolo maliano nel pieno esercizio della sua sovranità e senza ingerenze straniere. 7) Denunciano e condannano i crimini perpetrati contro i popoli
del Mali settentrionale dal gruppo terrorista AQMI, dal MNLA e dai gruppi jihadisti Ansar Dine, MUJAO. Appoggiano la coraggiosa resistenza dei popoli, e in particolare dei giovani, contro l'oppressione e le politiche medievali di quei gruppi reazionari e oscurantisti. 8) Riaffermano la loro contrarietà al terrorismo e al putschismo, che non sono le vie idonee per la rivoluzione e l'instaurazione del socialismo. Si impegnano, sulla base dell'internazionalismo proletario, a: - lavorare per mobilitare e organizzare il proletariato e i popoli deii rispettivi paesi (Benin, Burkina Faso) per lottare contro l'intervento delle truppe straniere nel Mali, per esigere la partenza dall'Africa Occidentale delle truppe di aggressione delle grandi potenze (USA-Francia-UE); - dare appoggio nelle forme più varie al proletariato e ai popoli del Mali nella difficile situazione che stanno vivendo. Lanciano un appello al proletariato, ai popoli, alle forze democratiche e rivoluzionarie dei paesi imperialisti perché si oppongano all'intervento militare dei paesi imperialisti nel Mali, perché solidarizzino con la lotta del proletariato e dei popoli del Mali e dell'intera regione ovestafricana. Cotonou, 10 dicembre 2012 Partito Comunista del Benin (PCB) Partito Comunista Rivoluzionario Voltaico (PCRV, Burkina Faso)