Agroecologia e crisi climatica

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Vandana Shiva  •  Andre Leu

Agroecologia e crisi climatica

Le soluzioni sostenibili per affrontare il fallimento dell’agroindustria e diffondere una nuova forma di resilienza.



Vandana Shiva  •  Andre Leu

Agroecologia e crisi climatica Le soluzioni sostenibili per affrontare il fallimento dell’agroindustria e diffondere una nuova forma di resilienza.

Terra Nuova Edizioni


Questo non è un libro qualunque

Anche un libro ha la sua filiera. Proprio come una zucchina. Per portarti un «cibo per la mente» genuino, ecologico e giusto, Terra Nuova applica severi principi di sostenibilità ambientale e sociale: ecco quali.

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Agroecologia e crisi climatica è stampato su carta Eural Offset certificata FSC e Der Blue Angel per essere ottenuta con fibre provenienti al 100% da carta straccia, di cui almeno il 65% da raccolta differenziata. Questa scelta, rispetto a quella di carta da fibre vergini, ha consentito il risparmio di:

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La stampa

La rivista e i libri vengono stampati rigorosamente in Italia, utilizzando inchiostri naturali

Il circuito

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La comunità del cambiamento

Sono oltre 500 mila le persone che ogni giorno mettono in pratica i temi dell’ecologia attraverso la rivista, i siti e i libri di Terra Nuova.

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Indice

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 INTRODUZIONE 1. La crisi dell’attuale modello agro-alimentare e l’urgenza di un cambiamento di paradigma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 PARTE I: SEMI 2. Semi di biodiversità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 PARTE II: SUOLO E ACQUA 3. Biodiversità per rigenerare il suolo vivente .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 4. La coltivazione organica per conservare e rigenerare l’acqua .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 PARTE III: CLIMA E PESTICIDI 5. La biodiversità e la coltivazione organica come soluzione alla crisi climatica . . . . . . . 105 6. La biodiversità per il controllo dei parassiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 PARTE IV: SALUTE E BENESSERE 7. La biodiversità per la sicurezza alimentare, nutrizionale e sanitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 8. L a biodiversità e la coltivazione organica per la rigenerazione dei redditi degli agricoltori e delle economie rurali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 Navdanya International . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225 Bibliografia .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227


Prefazione

Nutrirsi è fondamentale. Ma quanto riflettiamo su ciò che mangiamo e ci permette di vivere? Quanti conoscono la forte correlazione tra cibo, crisi climatica ed emergenza sanitaria? In un mondo globalizzato, i problemi riguardano tutti, ma la consapevolezza delle cause che li hanno scatenati non è ancora diventata patrimonio della coscienza collettiva. Il modello agricolo industriale consolidato negli ultimi 50 anni ha generato dinamiche delle quali in pochi conoscono le conseguenze. Abbiamo percezione di anomalie ed eccessi nel manifestarsi delle stagioni, ma non tutti sanno che il sistema alimentare industriale è responsabile dal 30 al 50% della crisi climatica. Siamo consapevoli del degrado delle terre e dell’inquinamento delle acque, ma molto meno del fatto che l’agricoltura sia causa del degrado di tre quarti delle risorse naturali mondiali. Facciamo purtroppo esperienza diretta o indiretta di mali che derivano da malnutrizione e contaminazione degli alimenti, ma è poco diffusa la consapevolezza della responsabilità attribuibile all’agricoltura industriale per gran parte delle malattie non trasmissibili. Sono ancora meno considerate le iniquità sociali ed economiche legate al mondo rurale, la schiavitù dei braccianti agricoli e la conseguente migrazione verso le città o verso altre nazioni. Questo libro ci propone soluzioni possibili, delineando uno scenario diverso rispetto a quello che attualmente ci minaccia. Il testo offre un incomparabile approfondimento a chi si occupa di sistema alimentare e a chi si interessa di benessere sociale, contrapponendo ai problemi generati dell’agricoltura industriale quelli virtuosi dell’agroecologia. Costruito su solide basi, quelle della scienza ecologica, il testo è un elogio alla biodiversità e alle conoscenze tradizionali e indigene della gestione dei cicli naturali. Gli argomenti trattati sono numerosi e complessi: i benefici della sostanza organica dei microorganismi come apparato digerente del suolo che supporta la vita; la fotosintesi catalizzatrice del carbone attivo nel suolo

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come fattore stabilizzante del clima e del sistema idrico; la gestione dei parassiti nel quadro dell’ecologia degli insetti, contrapposta all’uso violento dei pesticidi; l’uso delle piante come fitofarmaci, efficaci strumenti contro i mali odierni. Tutte queste tematiche vengono affrontate evidenziando il bisogno di generare circoli virtuosi che favoriscano trasformazioni energetiche e nutritive vitali per la natura e per le persone. La standardizzazione dei metodi produttivi e la creazione di sistemi di dipendenza derivanti dalla catena di produzione industriale generano una semantica che rispecchia ed esprime una logica ottusa, che diffonde una cultura disfunzionale al benessere e alla giustizia sociale. Termini come “landraces” o “germoplasma”, utilizzati per indicare le varietà colturali contadine, sono la negazione stessa della biodiversità e dell’interdipendenza che esiste fra processo produttivo, ambiente e sapere contadino. Questo sistema di pensiero ha come obiettivo quello di presentare queste novità come innovazioni… che dovranno essere acquistate, alimentando il circolo vizioso di dipendenza dalle multinazionali. Parole d’ordine come “efficienza” e “produttività” hanno smantellato gli antichi processi circolari del mondo agricolo, che oggi rimpiangiamo e cerchiamo disperatamente di re-instaurare. In particolar modo, il concetto di cibo-carburante ha generato una ingente quantità di prodotti commerciali vuoti dal punto di vista nutrizionale, quando non contaminati dai fitofarmaci, che lungi dal costituire una risorsa sono fonte della crisi alimentare e dell’emergenza sanitaria che riscontriamo oggi. L’attuale duopolio dei semi e altri input agricoli, cosi come le aziende di trasformazione dei prodotti agroalimentari, costituiscono un danno qualitativo alla produzione del cibo, ma anche una trappola di debito che si riscontra in tutte le campagne del mondo. Le spaccature apparentemente insanabili fra agricoltura, nutrizione ed ecologia potranno essere


ricucite solo attraverso una conversione all’agricoltura biologica, che si basa su lavoro dignitoso e sistemi autonomi di gestione delle risorse. Sarà altresì fondamentale localizzare la produzione, per ripristinare la sovranità commerciale dei produttori e liberarli dallo sfruttamento delle corporazioni transnazionali e di altri mediatori. La relazione tra suolo e società, cioè tra natura e cultura, sono basate sulla reciprocità, sulla legge della restituzione, sulla minimizzazione degli sprechi. Questi valori, capaci di far rinascere il sistema agricolo, sono gli stessi che potranno sollevare la nostra società da un incombente degrado. Per realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), il testo propone principi basati sulla rigenerazione dell’economia della natura tramite la coltivazione biologica. Al centro di questo sistema di valori sta la valorizzazione della biodiversità, imprescindibile principio della salute del pianeta, ad esempio attraverso il ripristino dei cicli del carbonio e dell’azoto per la salute del suolo e degli ecosistemi e delle persone, delle quali il microbioma intestinale determinato dal cibo scandiscono la salute. La biodiversità delle coltivazioni garantisce, oltre che la sicurezza alimentare e nutrizionale, anche una stabilità commerciale in grado di tenere in considerazione i costi ambientali e sociali. Vandana ci offre una panoramica ampia ed eloquente, dove la giusta indignazione non cede il passo allo sconforto. Lontana dai sentieri battuti della dominante narrativa riduzionista, esprime una speranza salda, fondata su dati concreti e inequivocabili. Nella sua visione prevale il buonsenso delle leggi di coesistenza della natura, contrapposte alla logica bellica dell’agricoltura industriale che, come dimostrato nel libro, è la radice profonda della crisi ambientale, di tanti problemi di salute pubblica e dell’impoverimento delle realtà rurali. Dal campo alla tavola, questo libro svela l’assurdità del sistema industriale di produzione alimentare,

l’ingiustizia di una terra saccheggiata, la tragedia dei suicidi tra i contadini, la diffusione dei tumori, la crescente resistenza agli antibiotici, l’incremento di patologie neurologiche e riproduttive causate dai pesticidi, fertilizzanti di sintesi e sementi geneticamente modificate. La gravità di questi dati di fatto non viene mai minimizzata, ma un argomento alla volta vengono suggerite soluzioni semplici e concrete. Colpiscono la forza e la chiarezza del buonsenso, che spesso deriva dal semplice ascolto di coloro che gestivano le produzioni agricole prima che il delirio produttivista ne distruggesse gli equilibri. Ne sono luminoso esempio i membri dell’associazione Navdanya International, che lavorano sodo per riattivare nei campi la sana produttività basata sul lavoro e il sapere contadino. L’unicità e il valore di questo libro hanno solida base nei dati scientifici, e nel costante rimando ad esempi concreti che avvalorano le tesi illustrate. La grande quantità di dati raccolti proviene sia dalla letteratura occidentale, sia dall’esperienza trentennale di Navdanya, che trova nel sub-continente India uno straordinario campionario di modelli di agroecosistemi e di situazioni socioeconomiche. Perciò, questo testo coinvolge tutti, dalle realtà occidentali a quelle tropicali. Mette in gioco il nostro sistema di pensiero e di consumo, la nostra attenzione nei confronti della salvaguardia dell’ambiente e della salute dei nostri figli e nipoti. Pone l’attenzione su problematiche importanti, e ci invita a riflessioni che promuovano cambiamenti reali. Tutti coloro che già sono impegnati attivamente nella promozione di un’economia circolare, o di una qualsiasi forma di “green new deal”, troveranno suggerimenti pratici e risposte a domande sempre più urgenti. Con quest’invito all’alternativa agroecologica e alla democrazia, abbiamo tutti la responsabilità di proiettarci verso un futuro che promuova un sistema alimentare sano. Nadia El-Hage Scialabba, Membro della Commissione Internazionale sul Futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura, gruppo di lavoro su cibo e salute di Navdanya International

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Premessa

Siamo a una svolta epocale per l’agricoltura e il cibo a livello globale. Sono molti ormai gli studi e i documenti di Istituzioni Internazionali che prendono atto ed evidenziano il fallimento dell’attuale modello di agricoltura industriale. Un’attività che ha causato un alto impatto sull’ambiente, sul clima, sulla biodiversità e sulla salute senza peraltro risolvere, anzi aggravando, i problemi della fame e della malnutrizione e l’esigenza di garantire un reddito dignitoso per gli agricoltori. Questi stessi documenti pongono l’urgenza di cambiare metodo di coltivazione per restituire fertilità al suolo, contrastare l’emergenza climatica e garantire una stabilità di produzione per le generazioni future, indicando l’approccio agroecologico come innovazione strategica per una nuova visione dell’agricoltura e del cibo. Ultimo in ordine di tempo, il Climate Change and Land, il rapporto su clima e suolo dell’Ipcc, il braccio scientifico dell’ONU che si occupa di cambiamenti climatici e che raccoglie una rete di scienziati da tutto il mondo. Questo documento, che si rivolge soprattutto ai decisori politici, ha messo al centro la relazione tra cambiamenti climatici e il modo in cui vengono sfruttate le nostre terre, e ha lanciato l’ennesimo grido dall’allarme. Agricoltura, silvicoltura e altri usi intensivi del suolo sono responsabili di quasi un quarto di tutte le emissioni di gas serra causate dall’attività umana, ma sono allo stesso tempo causa e vittime della crisi climatica. Gli effetti del riscaldamento globale, infatti, stanno facendo aumentare siccità e piogge estreme in tutto il mondo con impatti disastrosi proprio sulla produzione agricola e sulla sicurezza alimentare. Un circolo vizioso del quale pagano le conseguenze le popolazioni più povere di Asia e Africa con guerre e migrazioni. Per l’ennesima volta, anche con questo rapporto viene indicata l’urgenza di cambiamento delle diete alimentari e del modello di produzione del cibo verso metodi sostenibili che garantiscono la gestione

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del carbonio organico nel suolo, la conservazione degli ecosistemi e la gestione sostenibile delle foreste. Vandana Shiva traccia i confini della fase di cambiamento in atto partendo dall’analisi di molti degli studi e dei rapporti condotti a livello internazionale e dal percorso concreto di ricerca partecipata realizzato in maniera coerente per oltre trent’anni con l’esperienza di Navdanya. Oggi appare chiaro in maniera emblematica come le intuizioni e il pensiero di Vandana siano stati precursori delle attuali evidenze sul modello di agricoltura industriale e come, a partire dai semi, dalla biodiversità e dal valore delle conoscenze tradizionali degli agricoltori e delle comunità rurali, abbiano dato vita a una vera e propria rivoluzione culturale sui temi dell’agricoltura e del cibo contribuendo in maniera determinante ed effettiva a creare le basi per un nuovo approccio agroecologico. Vandana affronta tutte le componenti fondamentali del sistema di produzione del cibo: i semi, il suolo, l’acqua, il clima, il controllo dei parassiti, la sicurezza alimentare e la salute umana dando risalto agli impatti e alle esternalità prodotte dal modello di agricoltura industriale e indicando, allo stesso tempo, le alternative e le pratiche concrete offerte dall’agroecologia. Il filo conduttore per ognuna delle componenti affrontate è sempre la biodiversità, come base fondante al centro del nuovo paradigma dell’agroecologia, perché è dalla diversità che si attivano connessioni e interazioni tra specie creando agroecosistemi dinamici, produttivi e sostenibili. Se l’attuale modello di agricoltura industriale ha creato le basi per la distruzione della biodiversità è mettendo al centro la biodiversità che si possono realizzare sistemi agricoli e alimentari sostenibili e resilienti per il futuro. Per Vandana – e questo è forse da sempre uno dei tratti più originali del suo pensiero - le conoscenze degli agricoltori e delle comunità rurali sono parte


integrante del concetto di biodiversità e costituiscono uno dei capisaldi fondamentali per ricostruire sistemi territoriali di produzione e consumo di cibo basati sulla sovranità alimentare, parte integrante del concetto di agroecologia. Nel percorso di riflessione su un nuovo paradigma per l’agricoltura, Vandana individua in modo chiaro il biologico come pratica agroecologica fondamentale per il futuro, già attuata concretamente e largamente diffusa a livello globale. E affronta un percorso di confronto parallelo tra produzione convenzionale e produzione biologica con i relativi impatti su ambiente e clima dovuti all’uso indiscriminato di fertilizzanti e pesticidi di sintesi chimica, indicando pratiche e soluzioni ecologiche tangibili molte delle quali condotte in tanti anni di lavoro nelle fattorie di Navdanya in India. In questo confronto parallelo prende in esame anche molti dei punti critici sollevati contro il biologico, in buona misura in modo strumentale, da una parte del mondo scientifico ancora fortemente legata al modello della “rivoluzione verde”. Il valore fondamentale del metodo di coltivazione biologica è rappresentato dal riciclo della sostanza organica, come protezione e incremento della fertilità dei suoli, in grado di trattenere grandi quantità di acqua, prevenire l’erosione e accrescere il contenuto di carbonio offrendo così un grande potenziale di contrasto e mitigazione del cambiamento climatico.

Garantire la fertilità del suolo attraverso il costante reintegro della sostanza organica significa realizzare esempi concreti di economia circolare, basati sul principio della restituzione, ottenendo una stabilità nella produzione in grado di rispondere alle esigenze del presente senza compromettere la capacità di rispondere ai bisogni del futuro. Ed è proprio questo concetto che i movimenti dei giovani per il clima stanno ponendo ad ogni livello: agire subito nel contrasto al cambiamento climatico per non rubare il futuro alle giovani generazioni. La capacità straordinaria di Vandana è sempre stata quella di riuscire a leggere e a comunicare in maniera limpida le dinamiche, gli effetti disastrosi sull’ambiente e le profonde ingiustizie prodotte da un modello economico fondato sulla guerra alla natura, rendendo sempre evidente come sfruttamento della natura e sfruttamento delle persone siano due facce della stessa medaglia. Ma al tempo stesso ha sempre avuto la stessa capacità straordinaria di accendere luci di speranza per il futuro, lavorando ad alternative concrete e confidando nella capacità delle persone, delle comunità grandi e piccole di riuscire a costruire nuovi percorsi in armonia e in connessione con la natura. Anche in questo caso è la chiave di lettura che ci offre e che ci dà lo spunto per continuare ad agire per diffondere sistemi alimentari sostenibili e giusti fondati sul rispetto della natura e delle persone. Maria Grazia Mammuccini, Presidente Federbio

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INTRODUZIONE capitolo

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La crisi dell’attuale modello agro-alimentare e l’urgenza di un cambiamento di paradigma

Ci troviamo di fronte a una triplice crisi che minaccia il nostro Pianeta e il nostro sistema alimentare. La prima crisi riguarda l’ecosistema in senso lato e si manifesta attraverso: • la grave erosione della biodiversità e sparizione di specie; • il cambiamento climatico, instabilità del clima e fenomeni atmosferici estremi; • l’erosione dei suoli, degrado dei terreni, desertificazione; • l’impoverimento delle risorse idriche e contaminazione delle acque; • la diffusione di residui tossici in tutto il sistema alimentare. La seconda crisi riguarda la salute pubblica e si manifesta con la diffusione di fame, malnutrizione ed epidemie di malattie croniche non trasmissibili. La terza crisi riguarda i mezzi di sussistenza dei contadini e si manifesta con il crescente indebitamento dei piccoli agricoltori (portato alla luce in tutto il mondo dalla catena di suicidi fra gli agricoltori indiani) a causa dell’elevato costo degli input, del loro trasferimento forzato dovuto al degrado dei terreni, la desertificazione e la drastica diminuzione delle risorse idriche. Benché spesso siano considerate come separate fra loro, queste tre crisi sono profondamente interconnesse. Il contributo più significativo a tutte e tre queste crisi deriva da un sistema di agricoltura industriale non sostenibile, basato

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sull’uso massiccio di combustibili fossili, di prodotti di sintesi e di capitali. Un metodo di coltivazione che sta distruggendo l’ambiente e mettendo a repentaglio la salute pubblica e la stessa sopravvivenza dei contadini. Gli impatti negativi sul pianeta e sulle persone sono parte integrante del paradigma scientifico ed economico e delle tecnologie su cui si basa il modello dell’agricoltura industriale sviluppatesi sulla base dell’assunto che tale approccio avrebbe aumentato la sicurezza alimentare grazie all’aumento della produzione di cibo e dei redditi degli agricoltori. Ma mentre la produzione di un numero molto limitato di prodotti agricoli è aumentata, la biodiversità delle colture, che è vitale per la nutrizione e la salute, è crollata. Il cibo industriale è «vuoto» dal punto di vista nutrizionale, contaminato da residui tossici e, spesso deteriorato, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, aggravando così la malnutrizione e le condizioni generali di salute. Tutto questo accade perché il paradigma scientifico e le tecnologie dell’agricoltura industriale affondano le loro radici nella guerra. Si basa su una visione del mondo militarista, di esseri umani in guerra con la natura, di contadini in competizione tra loro e di Stati impegnati in guerre commerciali. Gran parte dei prodotti chimici usati nell’agricoltura industriale hanno le loro origini nelle camere a gas dei campi di concentramento e quindi nella guerra. L’introduzione dei prodotti


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

chimici in agricoltura con la Rivoluzione Verde, in Occidente un secolo fa, e in India e negli altri paesi in via di sviluppo negli anni Sessanta, ha cambiato il paradigma dell’agricoltura e creato il più importante fattore di degrado del pianeta e della società. Ci si è concentrati sull’introduzione di prodotti chimici, trascurando il ruolo e la funzione della biodiversità di semi vitali in suoli vitali, dei cicli dell’acqua e dei nutrienti, che sostengono i sistemi climatici sulla Terra. Invece di lavorare con i processi ecologici incorporati nell’agroecologia, tenendo quindi conto del benessere e della salute dell’intero agroecosistema con le sue diverse specie, l’agricoltura è stata ridotta a un sistema basato su input esterni e adattato ai prodotti chimici. Un sistema che esternalizza gli alti costi di tali input scaricandoli sui contadini, sulla biodiversità, sul clima e sulla salute pubblica. L’agricoltura industriale è stata imposta con l’illusione che un paradigma basato sulla guerra contro la Terra fosse la sola «scienza» possibile, e che l’uso di prodotti chimici di origine bellica fosse l’unica tecnologia disponibile per garantire la sicurezza alimentare all’umanità. Biodiversità, agroecologia e agricoltura organica rigenerativa sono i sistemi per eliminare la povertà, la fame e i danni alla salute pubblica e all’ambiente che sono stati procurati da un’agricoltura industriale basata sull’uso massiccio di prodotti chimici di sintesi e combustibili fossili. Questo è lo spostamento di paradigma necessario per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (Sustainable Development Goals, SDGs), e in particolare gli obiettivi 1, 2 e 3. OBIETTIVO 1. Povertà zero: porre fine alla povertà in tutte le sue forme, ovunque. La povertà non consiste solamente nella mancanza di reddito e di risorse per assicurarsi la sussistenza. Tra le sue manifestazioni ci sono fame, malnutrizione, accesso limitato all’istruzione e ad altri servizi di base, discriminazione ed esclusione sociale, e anche mancanza di partecipazione ai processi decisionali. La crescita economica deve essere inclusiva per fornire lavoro sostenibile e promuovere l’uguaglianza. OBIETTIVO 2. Fame zero: porre fine alla fame, garantire le sicurezza alimentare, migliorare la nu-

trizione e promuovere l’agricoltura sostenibile È tempo di ripensare a come coltiviamo, condividiamo e consumiamo il nostro cibo. OBIETTIVO 3. Buona salute e benessere per le persone. Ovvero garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età. Assicurare una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età è essenziale per lo sviluppo sostenibile. Passi avanti significativi sono stati fatti con l’aumento dell’aspettativa di vita e la riduzione di alcune delle comuni cause di mortalità materna e infantile. Questo libro tratta dell’agroecologia, la scienza dei sistemi emergenti, che opera nel rispetto delle leggi naturali della diversità e della Legge della Restituzione. Le tecnologie produttive consistono nelle funzioni ecologiche fornite dalla biodiversità. Come dimostrano le pratiche e le ricerche di Navdanya degli ultimi trent’anni, conservando e intensificando la biodiversità negli agroecosistemi possiamo produrre più cibo e di migliore qualità nutrizionale, aumentare i redditi degli agricoltori, rigenerare il suolo, l’acqua, la biodiversità. Inoltre possiamo contrastare il cambiamento climatico riducendo l’accumulo di carbonio e azoto nell’atmosfera, incorporando questi stessi elementi nel terreno, dove migliorano le funzioni ecologiche della biodiversità del suolo. Ecco perché chiamiamo i nostri sistemi di coltivazione «agricoltura organica rigenerativa». Questo libro sintetizza 31 anni di pratiche e ricerca di Navdanya sulla coltivazione biologica biodiversa, che dimostrano come sia possibile raddoppiare la produzione di cibo vero in termini di capacità nutrizionale per ettaro, e aumentare il reddito netto degli agricoltori in termini di salute per ettaro e di contabilità basata sui reali costi di produzione. Le nostre ricerche ed esperienze si integrano con l’esperienza globale, in qualità di agricoltore biologico, di Andre Leu, ex presidente dell'IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements) e attualmente direttore internazionale di Regeneration International, un’organizzazione che abbiamo co-fondato insieme a Hans Herren dello IAASTD e a Ronnie Cummins della Organic Consumers Association.

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AGROECOLOGIA E CRISI CLIMATICA  •  Introduzione

1.1 Il degrado del Pianeta L’agricoltura industriale è responsabile delle quattro grandi crisi ambientali che il Pianeta sta affrontando: l’estinzione di massa delle specie, il cambiamento climatico, il degrado dei terreni e la crisi idrica. L’agricoltura industriale sta oggi provocando un massiccio declino della diversità biologica, ed è considerata uno dei principali fattori responsabili dell’estinzione dell’Antropocene. Quella che stiamo vivendo è la sesta estinzione più grande mai avvenuta sulla terra, e le sue cause risiedono chiaramente nelle molteplici attività umane che stanno distruggendo il Pianeta, con perdita di habitat, inquinamento, cambiamento climatico e diffusione di residui tossici nell’ambiente. L’agricoltura industriale è sicuramente responsabile della maggior parte delle perdite di habitat, contribuisce significativamente al cambiamento climatico e anche al declino di molte specie, come api, uccelli, rane a causa di composti chimici tossici che agiscono come interferenti endocrini, diminuiscono la fertilità e le difese immunitarie, causano difetti congeniti e molti altri effetti negativi sulla salute. Lo studio delle Nazioni Unite «The UN Millennium Ecosystem Assessment Synthesis Report» è il più vasto mai condotto sullo stato dell’ambiente sul Pianeta. Questo dettagliato rapporto, elaborato dai più importanti esperti scientifici del mondo, ha mostrato che le attuali pratiche agricole sono palesemente insostenibili. «Nel corso degli ultimi 50 anni» si legge nel rapporto «l’uomo ha modificato gli ecosistemi più rapidamente ed in modo più esteso che in qualsiasi altro comparabile periodo di tempo nella storia umana, in massima parte per rispondere a una rapidissima crescita della domanda di cibo, acqua dolce, legno, fibre tessili e carburanti. Tutto ciò si è tradotto in una perdita, sostanziale e largamente irreversibile, di diversità della vita sulla Terra».1 Uno studio del 2001 dell’Università della California afferma che l’agricoltura sarà il principale motore del cambiamento ambientale globale nei prossimi 50 anni, rivaleggiando in quanto a impatto con l’effetto dei gas serra. L’autore principale, David Tilman, ha osservato che l’uso di fitofarmaci, di

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fertilizzanti di sintesi e la distruzione degli habitat hanno causato importanti fenomeni di estinzione, che sta riducendo la biodiversità del mondo e modificando profondamente la sua ecologia. Tilman afferma: «Né la società, né la maggior parte degli scienziati comprendono l’impatto dell’agricoltura. Essa viene grossolanamente mal interpretata, e pressoché ignorata, mentre è altrettanto importante quanto il cambiamento climatico. Dobbiamo trovare modi più saggi di coltivare».2 Il già citato Rapporto IAASTD costituisce la più ampia analisi dei nostri attuali sistemi agricoli mai realizzata. Si è trattato di un processo multilaterale che ha coinvolto più di 400 ricercatori e 61 paesi, con un comitato sponsorizzato dalla FAO (United Nations Food and Agriculture Organization), dal Fondo Globale per l’Ambiente (GEF, Global Environment Facility), dall’UNDP (United Nations Development Program, UNDP), dall’UNEP (United Nations Environment Program), dall’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), dalla Banca Mondiale e dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità (World Health Organization, WHO). Il Rapporto ha messo in luce una serie di problemi che influiscono sulla sostenibilità della produzione agricola globale. Eccone alcuni: A. Degrado dei terreni ed esaurimento dei nutrienti • Il degrado dei terreni agricoli interessa circa 2 miliardi di ettari in tutto il mondo, il 38% delle terre coltivate. • La diminuzione degli elementi nutritivi nel suolo, che provoca carenze di azoto, fosforo e potassio, ha riguardato rispettivamente il 59%, l’85% e il 90% delle aree in cui è stata effettuata la raccolta nell’anno 2000. • Tali fenomeni sono associati a 1,14 miliardi di tonnellate all’anno di perdite di produzione globali. • 1,9 miliardi di ettari (e 2,6 miliardi di persone) sono oggi interessati da livelli significativi di degrado dei suoli. B. Salinizzazione • La salinizzazione interessa il 10% circa delle terre irrigate del mondo.


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

C. Perdita di biodiversità (sopra e sotto il livello del suolo) e delle funzioni agroecologiche a essa associate) • L’uso ripetuto di pratiche monocolturali. • Uso eccessivo di agrochimici. • Espansione agricola in ambienti fragili. • Eliminazione eccessiva della vegetazione naturale nel territorio, con ripercussioni negative sulla produttività. D. Riduzione della qualità, della disponibilità e dell’accesso all’acqua • Cinquant’anni fa il prelievo idrico dai fiumi era un terzo di quello attuale. • L’agricoltura consuma il 75% di tutta l’acqua dolce prelevata a livello globale. E. Aumento dell’inquinamento di aria, acqua, suoli. La crescita dell’inquinamento contribuisce ai problemi di qualità dell’acqua che colpiscono fiumi e torrenti • Si sono verificati impatti negativi sui suoli, l’aria e le risorse idriche in tutto il mondo, dovuti all’uso di fitofarmaci e fertilizzanti. • L’agricoltura contribuisce per il 60% delle emissioni antropogeniche di metano, e per circa il 50% di quelle di ossidi di azoto. • Concimazioni inappropriate hanno portato all’eutrofizzazione e a vaste zone morte in molte aree costiere. • L’uso improprio di antiparassitari ha provocato l’inquinamento delle falde, problemi di salute e perdita di biodiversità.3 Il Rapporto IAASTD afferma che «il modo in cui il mondo coltiva il suo cibo dovrà cambiare radicalmente per rispondere meglio alla povertà e alla fame, affinché il mondo possa affrontare la crescita della popolazione e il cambiamento climatico, evitando nel contempo la crisi sociale e il collasso ambientale». Il rapporto non considera gli OGM e i paradigmi dell’agricoltura industriale come soluzioni in grado di migliorare la sostenibilità, ma propone invece di puntare di più sulle produzioni a livello locale con minori input, aziende agricole a conduzione familiare e i sistemi colturali ecologici avvalorati, inclusa la coltivazione biologica.

Il Rapporto conclude che i nostri attuali sistemi di produzione agricola sono insostenibili e devono cambiare. «Business as usual non è più un’opzione, se vogliamo raggiungere la sostenibilità ambientale».4 L’agricoltura industriale e le monocolture hanno ridotto più del 75% dell’agrobiodiversità, così come il 75% della popolazione apistica mondiale è stata decimata a causa dei pesticidi tossici. Eppure Einstein ci aveva messo in guardia avvertendo che quando scomparirà l’ultima ape, scomparirà anche il genere umano. Nella Giornata Mondiale della Biodiversità del 2018, la FAO ha dichiarato che «la biodiversità agricola aumenta la resilienza, aiuta gli agricoltori a ridurre i rischi climatici ed economici, e può migliorare la produttività, la stabilità, la sicurezza alimentare e la nutrizione. Purtroppo però i cambiamenti globali nella produzione di cibo e nei modelli alimentari stanno minacciando la biodiversità agricola. Oggi, solo 30 specie forniscono il 95% delle calorie che le persone traggono dal cibo, e appena 4 specie – mais, riso, frumento e patate – ne forniscono più del 60%. Questa crescente dipendenza da un ventaglio sempre più ristretto di colture, di varietà e di razze animali mina alla base la capacità dell’agricoltura di adattarsi al cambiamento climatico, poiché molte varietà vegetali e razze animali locali sono più resilienti di quelle moderne che le stanno rimpiazzando». L’agricoltura convenzionale non restituisce la sostanza organica e la fertilità al suolo. Inoltre richiede più acqua e distrugge la capacità di ritenzione idrica dei suoli. Come abbiamo già visto, il 75% dell’acqua sul pianeta è stata esaurita o inquinata a causa delle irrigazioni intensive richieste dall’agricoltura industriale. I nitrati nell’acqua, provenienti dalle aziende agricole intensive, stanno creando «zone morte» negli oceani. Un recente rapporto della FAO ha riconosciuto nell’agricoltura industriale una delle principali cause della crisi idrica. Il 75% del degrado dei terreni è causato dalla coltivazione chimica industriale. L’Intergovernmental Panel on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) ha avvertito che il degrado dei terreni, la desertificazione e la scomparsa di biodiversità stanno già colpendo i redditi e la sopravvivenza di milioni di persone. Si calcola che nei prossimi anni

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ci potranno essere 700 milioni di rifugiati se tale degradazione non verrà fermata, e se i suoli, la biodiversità e gli ecosistemi non saranno al più presto rigenerati. Il suolo fertile viene perso con un tasso di 24 miliardi di tonnellate all’anno, a causa delle coltivazioni intensive e dell’agricoltura non sostenibile. Il 40% delle emissioni dei gas serra responsabili del cambiamento climatico derivano dal sistema agricolo globalizzato ad alto consumo di combustibili fossili e di prodotti chimici. Come ho analizzato nel mio libro Soil, not oil, l’agricoltura industriale è uno dei principali fattori che contribuiscono al cambiamento climatico, mentre la coltivazione biologica biodiversa contribuisce alla mitigazione e facilita l’adattamento e la resilienza.

1.2 Il degrado della salute pubblica L’agricoltura industriale non solo ha danneggiato la salute del Pianeta, ma ha anche messo a repentaglio il diritto al cibo e deteriorato la salute delle persone. Il 75% delle malattie croniche affondano le loro radici nel cibo che mangiamo e nelle sostanze tossiche presenti nell’ambiente.5, 6 Mentre la distruzione ecologica della biodiversità e del capitale naturale viene giustificata con la necessità di «nutrire la gente», il problema della fame non ha fatto che aumentare. Un miliardo di persone combattono permanentemente con la fame, altri 2 miliardi soffrono di malattie collegate al cibo, come l’obesità. E la fame e la malnutrizione sono parte integrante di un sistema alimentare guidato dal profitto, invece che dalla salute e dalla sostenibilità. Come abbiamo già detto, il vecchio paradigma dell’agricoltura ha le sue radici nella guerra. Un’industria che era cresciuta producendo esplosivi e sostanze chimiche per uso bellico alla fine della Seconda guerra mondiale, si è rimodellata come industria agro-chimica. Fabbriche di esplosivi iniziarono a produrre fertilizzanti di sintesi, prodotti chimici ad uso bellico iniziarono a essere utilizzati come erbicidi e antiparassitari. Una fuga di gas da una fabbrica di pesticidi ha provocato la tragedia di Bhopal nel 1984, uccidendo nell’immediato dalle 3.000 alle 7.000 persone, che con

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il tempo diventarono più di 30.000, lasciandone centinaia di migliaia menomate e invalide. Bhopal rappresenta un chiaro monito della grande pericolosità dei pesticidi. E anche oggi i pesticidi continuano a uccidere braccianti, agricoltori e consumatori. Secondo il Rapporto delle Nazioni Unite su Pesticidi e diritto al cibo «si stima che i pesticidi causino ogni anno 200.000 morti per avvelenamento acuto, il 99% delle quali si registrano nei paesi in via di sviluppo. I pesticidi nocivi impongono costi consistenti ai governi, hanno impatti catastrofici sulla salute e spesso sono motivo di violazione dei diritti umani di contadini e braccianti, delle comunità residenti nei pressi dei terreni agricoli, delle comunità indigene, delle donne in gravidanza e dei bambini».7 Come mostra il libro di Navdanya Poisons in our Food, c’è un legame tra malattie epidemiche come il cancro e l’uso degli antiparassitari in agricoltura.8 Anche i libri di Andre Leu The Myth of Safe Pesticides e Poisoning our children documentano il danno alla salute pubblica derivante dagli agrochimici.

1.3 Il degrado dei mezzi di sussistenza dei contadini e delle economie rurali

Il sistema agricolo ad uso intensivo di capitali e di input esterni ha anche accresciuto i costi di produzione, rendendo l’agricoltura un’economia negativa in cui gli agricoltori spendono più di quanto ricavano, intrappolandoli così nel circolo vizioso dei debiti. L’agricoltura industriale combinata con la globalizzazione del commercio dei prodotti alimentari ha creato una crisi senza precedenti tra gli agricoltori, scatenando un’epidemia di suicidi in tutto il mondo, e in particolare in India.9, 10, 11, 12 La scienza e l’economia riduzioniste camminano di pari passo nel renderci ciechi di fronte al ruolo centrale della biodiversità e ai suoi molteplici contributi ecologici ed economici, nel fornire cibo abbondante e nel rendere l’agricoltura un mezzo di sussistenza degno ed economicamente vantaggioso. Per promuovere l’agricoltura industriale è stato creato un falso paradigma economico, che presenta un’economia in perdita come «produttiva» e necessaria per alimentare il mondo. In realtà, è


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

dimostrato che le coltivazioni industriali usano dieci volte più energia in entrata di quanta ne producano in termini di cibo.13 Inoltre l’agricoltura industriale utilizza input finanziari più elevati rispetto a quanto gli agricoltori possano ottenere dai prezzi in caduta libera delle derrate commerciate a livello globale. «Lo pseudo calcolo della produttività inoltre nasconde i veri costi, e lascia che il costo dei danni venga sostenuto dalla Terra e dalla società. Queste esternalità nascoste sono la base della crisi ecologica, della crisi degli agricoltori e della crisi della salute associate all’agricoltura industriale. Sulla base del mito della produttività, l’agricoltura si è concentrata su grandi aziende industriali che producono, attraverso monocolture supportate dalla chimica, un ristretto numero di derrate commerciabili. Non appena i costi di produzione sono aumentati, gli agricoltori sono stati intrappolati dai debiti, e le piccole aziende hanno iniziato a scomparire. I grandi proprietari terrieri hanno potuto affermarsi non perché le grandi aziende siano più efficienti, ma perché è a loro che va la maggior parte dei sussidi. I sussidi totali in agricoltura consistono in circa 500 miliardi di dollari, e favoriscono le aziende di larga scala».14 In realtà in termini di efficienza nell’uso delle risorse e produttività, le piccole aziende sono più produttive. A riconoscere questa evidenza è stato lo stesso ex-premier indiano Charan Singh: «Poiché l’agricoltura è un processo vitale, nella pratica attuale, in certe condizioni, la resa per acro si riduce all’aumentare delle dimensioni aziendali (o, in altre parole, al diminuire dell’utilizzo di lavoro per acro). Quanto appena detto è pressoché universale: il rendimento per acro di investimento è superiore nelle piccole aziende che in quelle grandi. Perciò, se un paese sovrappopolato e povero di capitali come l’India può scegliere tra una sola azienda di 100 acri o 40 aziende di 2,5 acri, il costo del capitale per l’economia nazionale sarà inferiore se il paese sceglierà le piccole aziende».15 Ciò nonostante, sono le piccole aziende e i piccoli produttori a essere rovinati dalla diffusione dell’agricoltura industriale, dalla globalizzazione e dalle riforme economiche trainate dal commercio. Milioni di posti di lavoro in agricoltura sono scomparsi da quando le «riforme» sono state introdotte. A

partire dal 1995, 300 milacontadini si sono suicidati in India a causa dell’insostenibilità del sistema colturale ad alto utilizzo di capitale e di input chimici. E l’impatto negativo sui piccoli agricoltori ha anche avuto un effetto sulla salute dei cittadini. L’espansione di grandi aziende basate su crescenti input di combustibili fossili e prodotti chimici, sulle monocolture e sulla scomparsa delle piccole aziende, hanno avuto un impatto negativo anche sulla salute e la nutrizione delle persone. La dieta umana è passata dal contemplare circa 8.500 specie vegetali a circa 8 derrate commerciate su scala globale. Cibi vuoti dal punto di vista nutrizionale ma pieni di sostanze tossiche. Diversità e decentralizzazione vanno di pari passo, così come vanno insieme monocolture e concentrazione nelle mani di poche multinazionali. La distruzione delle piccole aziende basate sulla biodiversità ha avuto un effetto significativo sulla salute e ha portato a una crescita di epidemie di malattie croniche non trasmissibili come cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione, problemi neurologici, problemi intestinali, infertilità. Quando la produzione di derrate destinate al commercio diventa l’obiettivo principale e prende il sopravvento sullo scopo primario della nutrizione, la conseguenza diretta sono fame e malnutrizione. Oggi solo il 10% del mais e della soia coltivati è utilizzato per l’alimentazione umana: il resto è usato per la nutrizione animale e come biocarburante. Le derrate commerciali non nutrono la gente, solo il cibo lo fa. E per alimentare la salute delle persone, il cibo deve essere nutriente: ricco in elementi nutritivi e privo di sostanze tossiche. Questo sistema basato su input esterni ad alto costo viene artificialmente tenuto a galla da 500 miliardi di dollari di sussidi: più di un miliardo al giorno. I prodotti agricoli «a basso prezzo» hanno altissimi costi finanziari, ecologici e sociali. L’agricoltura convenzionale industriale causa l’allontanamento delle famiglie contadine produttive dalla loro terra e crea debiti. Debiti e mutui sono inoltre i motivi principali della sparizione delle piccole aziende agricole a conduzione familiare. In casi estremi, specialmente nella fascia cotoniera dell’India, i debiti originati dall’acquisto di semi e prodotti chimici molto costosi hanno spinto più di

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300.000 agricoltori al suicidio in poco più di due decadi. Uscire da questa economia del suicidio è diventato urgente per il benessere dei contadini, dei consumatori e di tutta la vita sulla Terra. Il paradigma scientifico e quello economico sono stati entrambi alterati per promuovere l’agricoltura chimica industriale. Invece di un sistema basato su un approccio ecologico e sull’interconnessione, l’agricoltura è stata compartimentalizzata in discipline separate, basandosi su un paradigma riduzionista e meccanicistico. Invece di mettere l’accento sulle funzioni ecologiche della biodiversità del suolo, di piante, animali e insetti, l’agricoltura è stata ridotta a un’attività basata unicamente su input esterni di fertilizzanti di sintesi, insetticidi, fungicidi ed erbicidi. Proprio come il PIL non è in grado di misurare l’economia reale, la salute della natura e della società, così la categoria della «resa» non riesce a misurare i costi reali degli input esterni e la produzione reale dei sistemi colturali. Come hanno osservato le Nazioni Unite, le cosiddette «varietà ad alta resa» (High Yielding Varieties, HYVs) della Rivoluzione Verde dovrebbero in realtà essere chiamate «varietà ad alta risposta», dal momento che sono state create in funzione di un elevato impiego di prodotti chimici, e non sono quindi ad alta resa di per sé. Il parametro assai ristretto della «resa» ha spinto l’agricoltura verso il rafforzamento delle monocolture, la rimozione della diversità, la distruzione delle funzioni e dei servizi ecologici della biodiversità, l’erosione del capitale naturale e sociale. Restando all’interno del modello industriale di agricoltura, sarà impossibile per l’India e altri paesi raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) come si erano impegnati a fare.

1.4 Il bisogno di un nuovo approccio alla produzione agricola: la biodiversità e l’agricoltura organica rigenerativa

Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma per lavorare insieme alla natura, e non contro le sue leggi e la sostenibilità ecologica. Le leggi della natura sono basate sulla biodiversità e l’agroecologia. L’agricoltura industriale è basata sugli input esterni di prodotti chimici, che distruggono la biodiversità e le sue funzioni ecologiche.

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Esiste un ampio consenso sul fatto che gli attuali sistemi di produzione agricola intensiva, alla base della produzione mondiale di cibo devono cambiare, essendo palesemente insostenibili. Molti esperti concordano anche nell’affermare che l’attuale conoscenza di base a cui si fa riferimento per sostenere l’agricoltura convenzionale non è affatto adeguata a questo scopo. «Il sistema formale AKST (Agricultural Knowledge, Science and Technology) non è attrezzato per promuovere la transizione verso la sostenibilità. Gli attuali modi di organizzare la generazione e la diffusione della tecnologia saranno sempre più inadeguati per affrontare le nuove sfide ambientali, la multi-funzionalità dell’agricoltura, la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico. Concentrare i sistemi e gli attori AKST sulla sostenibilità richiede un nuovo approccio e una nuova visione del mondo, che guidino lo sviluppo di conoscenza, scienza e tecnologia, ma anche di cambiamenti politici e istituzionali,che possano renderli sostenibili. Anche la conoscenza di base richiederà un nuovo approccio [...]».16 Negli ultimi anni sta emergendo un diverso paradigma, ben fondato dal punto di vista scientifico, che mette al centro la biodiversità, l’agroecologia e l’agricoltura organica rigenerativa. Esso affronta tutte e tre le crisi descritte all’inizio del capitolo, e invece di degradare il pianeta, indebolire la nostra salute e mettere a repentaglio la sussistenza delle popolazioni rurali, le rinvigorisce e le rigenera. Questo nuovo paradigma scientifico non è altro che l’agroecologia, la scienza ecologica applicata all’agricoltura. Invece di favorire l’impiego di prodotti chimici di sintesi che danneggiano l’ambiente e la salute pubblica, questo paradigma è basato sulla biodiversità: la diversità di piante, animali e microrganismi, e delle loro diverse funzioni ecologiche. Le pratiche ecologiche sostenibili affrontano la povertà, la fame, l’epidemia di malattie croniche e le molteplici crisi ecologiche. I sistemi ecologici rigenerano il suolo, l’acqua, la biodiversità, i sistemi climatici, promuovono la salute pubblica e migliorano la sussistenza dei contadini. L’agroecologia pone proprio la biodiversità al cuore della produzione di cibo. Sostituisce la misura della produttività intesa come resa delle monocolture commerciali prodotte con ingenti con-


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

sumi di carburanti e prodotti chimici, con la produttività basata sulla biodiversità e la produzione totale dei sistemi biodiversi, che include le funzioni ecologiche interne fornite dalla biodiversità, in alternativa agli input chimici. La pratica e la ricerca trentennali di Navdanya hanno mostrato che possiamo rigenerare la biodiversità, il suolo, l’acqua, mitigare il cambiamento climatico, migliorare la nutrizione e la salute, raddoppiare la produzione di cibo e i redditi degli agricoltori grazie al paradigma emergente dell’agricoltura biodiversa, rigenerativa ed ecologica. Dagli anni ’80 ho praticato e promosso un’agricoltura biodiversa e non violenta e mi sono resa conto che ciò che ho definito «monocoltura della mente» non è che un sistema di pensiero concentrato principalmente sulla «resa» parziale di alcune componenti del biologico agricolo, che presentava questo aumento parziale, ottenuto con input esterni ad alto costo, come un aumento della produzione agricola totale, pensando che potesse rappresentare una risposta per la sicurezza alimentare. In realtà, quando ho cominciato a osservare la produttività basata sulla biodiversità, ho scoperto che la produzione totale è molto maggiore delle rese delle monocolture tipiche dell’agricoltura convenzionale. Abbiamo allora cominciato a misurare la «salute per acro» e la «nutrizione per acro», invece della resa per acro. L’agricoltura biologica intensiva e biodiversa è in grado di nutrire il doppio della popolazione indiana, salvaguardando nel contempo le risorse naturali di base.17 L’agricoltura organica biodiversa, inoltre, contribuisce alla salute, come evidenziato nel testo di Navdanya Annam: Food as Health (2017). Anche la FAO ha ribadito il legame tra biodiversità e dieta nel suo comunicato stampa in occasione della Giornata mondiale della biodiversità, nel 2018. È ormai riconosciuto che la biodiversità nei nostri campi è connessa alla biodiversità della nostra dieta, mentre le monocolture nei campi contribuiscono al peggioramento della qualità dell’alimentazione e alle malattie a carattere epidemico. Come ha dimostrato la ricerca di Navdanya sulle coltivazioni biologiche biodiverse, i sistemi ecologici generano maggiori produzioni diversificate e redditi più alti per le famiglie rurali. Il nostro rapporto Wealth per acre mostra che i sistemi ecologici producono più cibo, quando la produzione

viene misurata in termini di capacità nutrizionale per acro. Siamo in grado cioè di raddoppiare la produzione di cibo in maniera ecologica. Utilizzando i contributi multifunzionali della biodiversità e i principi dell’agroecologia, l’agricoltura biologica basata sulla biodiversità riduce i costi e aumenta i redditi degli agricoltori. E così la biodiversità e l’agroecologia costituiscono una risposta alla povertà rurale, al declino dei redditi agricoli e alla crisi agraria. I sistemi agricoli ecologici si basano sulla cura, la compassione e la cooperazione, migliorano la resilienza e la diversità ecologiche, la sussistenza sostenibile e la salute. Il nuovo paradigma agricolo crea economie viventi e culture viventi, migliorando così il benessere di tutti gli uomini e degli altri esseri sulla terra. Al cuore della nuova agricoltura ci sono dunque la biodiversità e l’ecologia, entrambi come paradigma e come mezzi di produzione.

1.5 Biodiversità Essendo nata nelle foreste dell’Himalaya, ho letteralmente camminato sulla strada della biodiversità già dall’infanzia. Negli anni ’70, quando diventai una volontaria del movimento Chipko, il contrasto tra i due paradigmi della silvicoltura, uno basato sul commercio e le monocolture, l’altro sul sostentamento e la diversità, divenne evidente. Dalle mie sorelle che non avevano mai frequentato l’università ho appreso lezioni di biodiversità e di interconnessione su come la foresta fosse connessa ai torrenti e ai fiumi da una parte, e all’agricoltura sostenibile dall’altra. Lo slogan delle donne era che i prodotti primari delle foreste non erano il legname, la resina e il reddito, ma piuttosto il suolo, l’acqua e l’aria pura. Nel 1981 il movimento Chipko riuscì ad aggiudicarsi un bando di disboscamento nell’alto Himalaya, e da allora le foreste montane sono state riconosciute per le loro funzioni ecologiche di conservazione del suolo e dell’acqua, e di ripristino dell’aria pulita. La mia formazione sulle funzioni ecologiche della biodiversità ebbe luogo in ciò che io chiamo l’università Chipko della biodiversità, anche mentre stavo svolgendo il mio dottorato (PhD) all’Università del West Ontario in Canada.

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Nel 1982 l’Università delle Nazioni Unite mi chiese di condurre uno studio quinquennale sui conflitti per le risorse naturali. Nel 1984, come parte di quel progetto, la mia attenzione venne attirata dalle tragedie del Punjab e di Bhopal, e condussi una ricerca pubblicata nel libro The violence of the Green Revolution. Il mio viaggio nella biodiversità agricola iniziò proprio con il tentativo di capire la violenza insita nell’agricoltura industriale. La cecità nei confronti della biodiversità e delle sue funzioni ecologiche è stata fondamentale per poter introdurre prodotti chimici che danneggiano la terra, la sua biodiversità e la nostra salute. L’agricoltura intensiva ci ha fatto dimenticare il ruolo che la biodiversità gioca nell’agricoltura sostenibile. La biodiversità è la varietà di piante, animali e microrganismi nel mondo, le loro funzioni ecologiche e le relazioni tra i molteplici organismi di un ecosistema. Maggiore è la diversità, tanto più sono multidimensionali le funzioni ecologiche della diversità. E più il sistema è stabile e sostenibile, tanto maggiori saranno i beni e i servizi che può fornire. La biodiversità, rappresentata da semi e varietà vegetali, è necessaria per migliorare la salute del suolo, la conservazione dell’acqua e il sequestro del carbonio. La diversità delle funzioni ecologiche svolte dalla biodiversità rinnova la fertilità del suolo, e contribuisce al controllo dei parassiti e delle infestanti. L’alternativa a fertilizzanti, antiparassitari ed erbicidi di sintesi, che stanno minando la salute del pianeta e delle persone, è la biodiversità di piante, insetti, uccelli, organismi terricoli e animali d’allevamento. Il livello delle interazioni tra le varie componenti biotiche e abiotiche determina il comportamento complessivo di un agroecosistema, che si traduce in efficienza agricola. Livelli crescenti di biodiversità funzionale all’interno di un agroecosistema attivano fenomeni di sinergia che migliorano la biologia del suolo, il riciclo dei nutrienti, l’efficienza fotosintetica ecc. In altre parole, un alto livello di biodiversità pone l’intero agroecosistema in uno stato di maggiore dinamismo. Quanto più un agroecosistema è dinamico, tanto più sarà produttivo e sostenibile. Gli agricoltori tradizionali sono intrisi della sag-

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gezza della biodiversità, e hanno sviluppato varie tattiche per migliorare la biodiversità a ogni livello nei loro sistemi agricoli. Ciò è dovuto al fatto che l’agricoltura tradizionale è sopravvissuta per millenni. Non solo è sopravvissuta, ma ha funzionato bene e in modo sostenibile. Riecheggiando la biodiversità vivente, l’agricoltura tradizionale è di per se eterna. Favorire sempre la biodiversità è il segreto dell’evoluzione: i contadini tradizionali hanno sempre capito questa realtà, esprimendola nelle loro strategie colturali. La loro scoperta di nuove varietà, e la caratterizzazione di ognuna di esse, è un modo meraviglioso di arricchire l’agricoltura con nuove esperienze. L’erosione della biodiversità ha portato all’erosione dell’agricoltura tradizionale. Recentemente, i fautori dell’agricoltura industriale hanno tentato di diffamarla. Nel frattempo, mentre la maggior parte delle varietà locali di parecchie colture alimentari scompariva (forse per sempre), l’agricoltura tradizionale ha perso molto del suo splendore, rimanendo confinata in poche aree povere, isolate, inaccessibili, dove l’erosione genetica non ha potuto verificarsi. Ciò nonostante, la biodiversità nelle pratiche agricole può essere ripristinata in molti modi, seguendo i principi dell’agroecologia. Molti ricercatori hanno sottolineato l’importanza fondamentale della biodiversità in agricoltura, e suggerito metodi e mezzi per ripristinarla.18, 19, 20,

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Ecco alcune strategie per la diversificazione di un agroecosistema nel tempo e nello spazio: 1. Sistemi agroforestali: alberi o altre perenni legnose, colture annuali e bestiame vengono integrati allo scopo di migliorare le relazioni di complementarietà tra i componenti, accrescendo gli usi molteplici degli agroecosistemi. 2. Policolture (o consociazioni): due o più specie vengono coltivate insieme (per esempio miglio, che ha radici superficiali, con leguminose dalle radici profonde), in modo da ottenere una maggior resa di più di un prodotto per unità di superficie. 3. Colture di copertura: leguminose o altre annuali, in purezza o in miscuglio, vengono seminate per migliorare la fertilità del suolo, per il controllo biologico dei parassiti e per migliorare il microclima.


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

4. Rotazioni colturali: diversità temporale nei sistemi colturali, che fornisce elementi nutritivi e interrompe i cicli vitali di molti insetti dannosi, funghi e infestanti. 5. Allevamento: l’integrazione del bestiame negli agroecosistemi crea ulteriori percorsi dei nutrienti e dell’energia, producendo cibo, energia di trazione e trasporto, e migliorando il riciclo dei nutrienti. Secondo l’agronomo ed entomologo Miguel Altieri, tutte le forme diversificate di agroecosistemi hanno in comune le seguenti caratteristiche: • mantengono la copertura vegetale, in quanto misura efficace per la conservazione del suolo e dell’acqua, con l’utilizzo di pratiche di non-lavorazione, pacciamatura, uso di colture di copertura e altri metodi appropriati; • forniscono un apporto regolare di sostanza organica grazie all’utilizzo di letame, compost, e alla promozione dell’attività biotica del terreno; • migliorano il meccanismo di riciclo degli elementi nutritivi utilizzando sistemi di allevamento basati sulle leguminose ecc; • promuovono la difesa dai parassiti favorendo l’attività degli agenti di controllo biologico, ottenuta introducendo e/o conservando i nemici naturali e gli antagonisti.31 La biodiversità è il centro del nostro approccio alla progettazione di sistemi colturali basati sui principi dell’agroecologia. Negli agroecosistemi, la biodiversità è della massima importanza per diversi motivi. Altieri (1994) e Gliessman (1998) sottolineano i seguenti: • Quando la diversità aumenta, crescono anche le opportunità per la coesistenza e le interazioni benefiche tra specie, che possono migliorare la sostenibilità dell’agroecosistema. • Una più ampia diversità spesso permette una migliore efficienza nell’uso delle risorse in un agroecosistema. C’è un miglior adattamento, a livello di sistema, all’eterogeneità degli habitat, il che porta alla complementarietà dei bisogni delle specie coltivate, alla diversificazione delle nicchie, alla loro sovrapposizione, e alla ripartizione delle risorse. • Gli ecosistemi in cui sono presenti associazioni di specie vegetali, le stesse specie tra loro mescolate possiedono una maggiore resistenza agli erbivori.

• Un insieme di colture diverse può creare una gamma di microclimi differenti all’interno del sistema colturale, che possono essere occupati da una serie di organismi non coltivati di grande importanza per l’intero sistema, tra cui predatori e parassiti benefici, impollinatori, fauna terricola e antagonisti. • La diversità nei comprensori agricoli può contribuire alla conservazione della biodiversità negli ecosistemi naturali circostanti. • La diversità del suolo svolge una serie di funzioni ecologiche, come il riciclo dei nutrienti, la degradazione di sostanze chimiche nocive e la regolazione della crescita delle piante. • La diversità riduce il rischio per gli agricoltori, specialmente in aree marginali con condizioni ambientali meno prevedibili. Se una coltura va male, il reddito delle altre può compensare le perdite. La Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica è stata firmata da 150 capi di governo al Summit della Terra di Rio nel 1992, per promuovere la conservazione della biodiversità, il suo utilizzo sostenibile e la sua equa condivisione. Poiché le funzioni ecologiche della biodiversità includono la fornitura di aria pulita, cibo, acqua, medicine, riparo, la sua conservazione è collegata ai bisogni di base delle persone. L’agroecologia basata sulla biodiversità è vitale per la sicurezza alimentare e nutrizionale. L’erosione globale della biodiversità La diversità è una caratteristica fondamentale della natura e la base della stabilità ecologica. Ecosistemi diversi danno origine a diverse forme di vita e a diverse colture, creando così le basi della sostenibilità. La co-evoluzione di colture, forme di vita e habitat, ha conservato la diversità biologica su questo pianeta. La diversità culturale e quella biologica vanno dunque di pari passo. Ovunque nel mondo le comunità hanno sviluppato conoscenze e trovato modi per trarre i loro mezzi di sussistenza dall’abbondanza della diversità della natura, nelle sue forme selvatiche o domesticate. Le comunità di cacciatori e raccoglitori hanno utilizzato migliaia di specie animali e vegetali per procurarsi cibo, medicine e riparo. Anche le comunità di pastori, contadini e pescatori hanno sviluppato conoscenze e abilità per trarre la loro sussistenza

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dalla diversità del mondo vivente sulla terra e nei fiumi, laghi e oceani. La conoscenza ecologica profonda e sofisticata della biodiversità ha dato origine a regole culturali per la sua conservazione, che vediamo riflesse nelle nozioni di sacralità e di tabù. Oggi però la diversità degli ecosistemi, delle forme di vita e dei modi di vivere delle diverse comunità sono a rischio di estinzione. Gli habitat sono stati recintati o distrutti, la diversità è stata soppressa e i mezzi di sussistenza derivanti dalla biodiversità sono minacciati. Le foreste umide tropicali coprono solo il 7% delle terre emerse, ma contengono almeno la metà delle specie esistenti. La deforestazione in queste regioni sta continuando a ritmo serrato: stime molto prudenti indicano un tasso del 6,5% in Costa d’Avorio, e medie del 6% all’anno (circa 7,3 milioni di ettari) per tutte le regioni tropicali. A questo tasso, che si riferisce al saldo netto, includendo quindi la riforestazione e la crescita naturale, tutte le foreste tropicali chiuse saranno scomparse da qui a 177 anni.32 Raven (1988) stima che circa il 48% delle specie vegetali del mondo si trovi all’interno o intorno alle aree forestali, più del 90% delle quali verrà distrutto nel corso dei prossimi 20 anni, portando alla perdita di circa un quarto di queste specie. Wilson (1988) ha stimato che il tasso attuale di estinzione è di 1000 specie all’anno. A partire dagli anni Novanta, questa cifra è aumentata fino a 10.000 specie all’anno (una specie ogni ora). Nei prossimi 30 anni potrebbero scomparire un milione di specie! Anche la diversità biologica negli ecosistemi marini è notevole, e a volte le barriere coralline vengono paragonate alle foreste tropicali in termini di diversità.33 Gli habitat marini e la vita marina sono gravemente minacciati; con la distruzione della diversità, le basi della pesca in molte regioni costiere sono sull’orlo del collasso. La crescita della vulnerabilità ecologica L’erosione della biodiversità è molto grave anche negli agrosistemi agricoli. Tali ecosistemi, in particolare nella fascia tropicale, costituiscono da tempo immemorabile la fonte del cibo mondiale. Frumento, riso, patate, verdura e frutta si sono distribuiti in tutto il mondo a partire da questi centri di origine della diversità. In questa zona climaticasono presenti alcune varietà resistenti

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alla siccità, ai parassiti, oltre a specie con proprietà repellenti per i parassiti, piante medicinali, e piante che hanno soddisfatto i bisogni dell’umanità in termini di riparo e vestiario. Le varietà indigene sono resistenti ai parassiti e alle malattie presenti localmente. Se si presenta una malattia, alcuni ecotipi potrebbero essere suscettibili, ma ce ne sono altri che invece possono resistere e sopravvivere. Anche pratiche colturali tradizionali come le rotazioni sono state d’aiuto nel controllo dei parassiti: poiché molti parassiti sono specifici solo di certe piante, coltivare specie differenti in differenti stagioni riduce di molto le popolazioni degli organismi nocivi. Tali sistemi colturali non richiedono forti riduzioni delle popolazioni di parassiti, né irrigazioni intensive, pratiche queste che favoriscono la diffusione dei parassiti e riducono la biodiversità. Questi sistemi colturali tradizionali svolgono quindi un ruolo di protezione nei confronti della biodiversità stessa. L’agricoltura tradizionale non conosce il concetto di «erba infestante». Tutte le piante hanno il loro utilizzo: alcune ne hanno più di uno, in alcuni casi le varie parti di una singola pianta hanno usi diversi. Daniel Querol scrive di una fattoria in Messico in cui erano presenti 214 cosiddette erbacce. L’agricoltore però conosceva un utilizzo specifico per ognuna di queste piante: per lui nessuna era un’infestante da distruggere. Secondo il paradigma attuale la diversità è nemica perché contrasta la produttività; ciò conduce all’uniformità dei cloni e ha generato la paradossale situazione in cui il miglioramento genetico vegetale si è basato sulla distruzione della biodiversità, che però ne costituisce la materia prima. L’ironia del miglioramento genetico di piante e animali è che esso distrugge gli elementi fondamentali da cui la stessa tecnologia dipende. Gli schemi di sviluppo della silvicoltura introducono cloni di specie utili ai fini industriali come l’eucalipto, spingendo verso l’estinzione la diversità delle specie autoctone, che rispondono alle necessità locali. Gli schemi della modernizzazione agricola introducono colture nuove e uniformi nei campi, distruggendo la diversità delle varietà locali. Come afferma il professor Garrison Wilkes dell’Università del Massachusetts “è come prendere pietre dalle fondamenta di un palazzo per ripararne il tetto”.


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

L’introduzione dei «semi miracolosi» della Rivoluzione Verde ha fatto passare il concetto che solo uno dei prodotti della pianta è utile: quello commerciabile. Le varietà ad alta resa (HYVs), o meglio ad alta risposta, della Rivoluzione Verde hanno considerato solo la granella come prodotto utile. Le piante che non producevano abbastanza granella erano viste come erbacce e distrutte, anche se soddisfacevano altri bisogni dell’agricoltore, per foraggio o materiale di copertura per tetti (ad esempio nel caso delle varietà di riso). In India, prima della Rivoluzione Verde, si coltivavano 30 mila varietà indigene di riso, oggi non sono più di 50. Uniformità significa che i campi non possono essere usati per coltivare più di una specie alla volta. E così laddove i contadini coltivavano ceci insieme a varietà locali di frumento, o senape insieme a miglio indiano, l’uniformità richiedeva l’immediata eliminazione di queste pratiche. Quindi l’autosufficienza alimentare scomparve insieme a specie come il bathua e l’amaranto. Inoltre, dal momento che solo la granella era divenuta importante, divenne imperativo non lasciare i campi incolti, ma piantare cereali in successione, andando così a costituire un accumulo di parassiti nel suolo. In India l’Istituto Centrale per la ricerca sul Riso afferma che l’introduzione delle HYVs ha determinato un cambiamento sostanziale nello stato dei parassiti, visto che la maggior parte di tali varietà è risultata suscettibile ai principali parassiti, facendo registrare perdite dal 30 al 100%. Inoltre queste varietà non sono risultate adatte alla coltivazione nei terreni tipici indiani. Le HYVs hanno prodotto grandi quantità di granella solo quando sono state fornite loro enormi quantità di prodotti chimici sotto forma di fertilizzanti e antiparassitari. Anche il fabbisogno irriguo è aumentato; tutto ciò ha causato il grave inquinamento e la saturazione idrica nei suoli. Le monocolture sono ecologicamente insostenibili. Per definizione, esse producono piante identiche, per cui, se una pianta è suscettibile a un parassita, allora lo sono tutte. Nel 1970-71, la regione della «Corn Belt» degli Stati Uniti fu devastata dalla ruggine delle foglie del mais. Il riso in Asia fu colpito dalla ruggine batterica nell’annata 196869, e dal virus tungro nel 1970-71. Più di 800.000 ettari di risaie in Indonesia furono attaccate da parassiti nel 1975. Non più tardi del 1992-93, le colti-

vazioni di patate nel nord dell’India hanno subìto forti perdite, specialmente nell’Uttar Pradesh. Questa crescente vulnerabilità delle colture vegetali si ritrova anche nella zootecnia. Le razze tradizionali di bovini da latte stanno cedendo il passo a incroci tra Jersey e Holstein, che sono molto più suscettibili alle malattie e richiedono strategie più organizzate per la loro alimentazione rispetto alle razze indigene, che sono invece in grado di mantenersi autonomamente. Questi nuovi incroci non producono sufficiente letame, il principale fertilizzante organico dei piccoli agricoltori, ma sono soltanto produttori di latte. L’erosione della biodiversità dà origine a una reazione a catena. La scomparsa di una specie è correlata all’estinzione di innumerevoli altre specie con cui essa è interconnessa attraverso le reti e le catene alimentari, riguardo le quali l’umanità è totalmente ignara. La rimozione di queste varietà e razze indigene, sia vegetali che animali, non conduce soltanto alla perdita di diversità, ma causa anche serie conseguenze ecologiche che compromettono la produttività. Si tratta, in pratica, di una crisi che minaccia i sistemi che supportano la vita e la sopravvivenza di milioni di persone nei paesi del Terzo Mondo. La biodiversità è il principale mezzo di produzione dell’agricoltura sostenibile di piccola scala. Le funzioni ecologiche della biodiversità forniscono gli input interni, permettendo così all’agricoltore di liberarsi dalla dipendenza dagli input chimici esterni, come fertilizzanti, antiparassitari ed erbicidi. L’approccio di Navdanya alla conservazione della biodiversità in agricoltura è basato sulla conservazione della diversità a 5 livelli: 1. diversità dell’ecosistema; 2. diversità del sistema colturale; 3. diversità delle specie; 4. diversità varietale o genetica; 5. diversità dei prodotti. L’India è un grande paese, con un’alta diversità negli ecosistemi. La diversità degli ecosistemi conduce a diversi sistemi colturali, nei quali la terra, l’acqua e la biodiversità sono gestite in modi differenti, con differenti connessioni tra bestiame, alberi e colture erbacee. Tali sistemi colturali sono costruiti sulla conoscenza peculiare dell’ecosistema e della biodiversità che le comunità rurali

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AGROECOLOGIA E CRISI CLIMATICA  •  Introduzione

hanno sviluppato e affinato per generazioni. Le comunità hanno anche evoluto strategie di conservazione, che assicurano l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. Il fatto che, malgrado le minacce di erosione, continui ad esistere una certa diversità di specie e di varietà, è il risultato delle pratiche colturali e dei sistemi di conoscenza di milioni di contadini sconosciuti e invisibili. Infine, la maggior parte delle specie nei sistemi agricoli indiani soddisfano più di un bisogno o funzione. La conservazione della diversità nelle fattorie viene realizzata con la consapevolezza che la misurazione di un singolo prodotto distorce il pieno potenziale di specie diverse con rese multiple nei sistemi colturali diversificati. La biodiversità costituisce anche la base dell’Agroecologia. Agroecologia: il paradigma scientifico per l’agricoltura sostenibile. L’agricoltura è, come è necessario che sia, un fenomeno che migliora la qualità della vita. Produrre una varietà di cibi salutari e nutrienti richiede un agroecosistema produttivo e sano, che riflette la biodiversità delle sue foreste, delle terre coltivate e degli animali allevati. L’agricoltura basata su un agroecosistema sano, ad elevata biodiversità e vitale, è l’agricoltura radicata nella sua inesauribile fonte naturale: l’agroecosistema alimentato a energia solare. L’agroecologia è lo studio olistico degli agroecosistemi, e include tutti gli elementi ambientali e umani. Si concentra sulla forma, la dinamica e le funzioni delle loro interrelazioni, e sui processi nei quali sono coinvolti.34, 35 Le consociazioni, l’agrosilvicoltura e altri metodi tradizionali mimano i processi ecologici naturali: la sostenibilità di molte pratiche locali si fonda sui modelli ecologici seguiti dagli agroecologi. Progettando sistemi colturali che imitano la natura è possibile utilizzare al meglio la luce solare, i nutrienti del terreno e le piogge.36 L’agroecologia conferisce un significato più profondo all’agricoltura, integrandola con l’ecologia: ciò ci permette di capire la relazione diretta che esiste tra le due discipline. Ci insegna a sintonizzarci con la natura mentre produciamo una varietà di cibi salutari, nutrienti e squisiti usando le risorse naturali. L’agroecologia, in sostanza, è la fi-

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losofia di assaporare tutto quanto di commestibile produce la natura e, nello stesso tempo, di nutrire la natura per permetterle di fiorire con le sue biodiversità. L’agroecologia è ora una disciplina distinta dall’agricoltura, così come dall’ecologia, e il suo concetto di base è costituito da tutte le buone idee, le alternative, le filosofie, gli approcci, le strategie della vita, come le coltivazioni naturali, l’agricoltura tradizionale, la permacoltura, la coltivazione biodinamica, il controllo integrato dei parassiti, l’agricoltura biologica e quella sostenibile. L’agroecologia utilizza le teorie ecologiche per studiare, progettare, gestire e valutare i sistemi di produzione alimentare. È la stessa idea sulla quale si basa ciò che chiamiamo agricoltura sostenibile, la quale assicura il futuro dell’agricoltura. È attraverso l’applicazione dei principi agroecologici che siamo in grado di proteggere, conservare e accrescere le risorse naturali, come le foreste, le praterie, la biodiversità delle foreste, l’agrobiodiversità, il bestiame, il suolo, le risorse idriche, e le colture agricole nel loro complesso. L’agroecologia riconosce e rafforza le interazioni tra tutte le componenti essenziali, biofisiche, socioeconomiche e tecniche, degli agroecosistemi. Tutte le componenti sono viste come unità fondamentali di un sistema integrato. L’agroecologia ci aiuta a comprendere e a preservare i cicli minerali vitali, i processi biologici, le trasformazioni energetiche e le relazioni socioeconomiche in maniera integrata. Le strategie agricole intessute intorno ai principi dell’agroecologia considerano le specificità locali geografiche e socioeconomiche e quelle ambientali e culturali, e rispettano le tradizioni dei popoli, come abitudini alimentari, festività e valori etici ed estetici. La visione unidimensionale delle monocolture a input esterni dell’agricoltura convenzionale non trova spazio in questo sistema: è invece necessaria la comprensione dei livelli ecologici e sociali di co-evoluzione, struttura e funzione.37 Invece di concentrarsi su un particolare componente dell’agroecosistema, l’agroecologia pone l’accento sull’interconnessione di tutte le componenti dell’agroecosistema, e sulla complessa dinamica dei processi ecologici.38


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

È una risposta olistica all’agrobusiness che è promosso dall’agricoltura industriale sulla base delle tecnologie e del commercio per il profitto, in cui non c’è posto per altri valori della vita, e che non si preoccupa del futuro del pianeta. L’agroecologia, al contrario, pur non trascurando gli aspetti tecnici ed economici, è molto sensibile alle questioni sociali, culturali e ambientali, si adopera per il benessere presente e futuro della società e promuove tutti i valori della vita. I fabbisogni presenti e futuri di produzione alimentare sono centrali nella visione agroecologica. I criteri di efficienza in agroecologia prendono in considerazione questioni vitali contemporanee, quali la sostenibilità ecologica, la sicurezza alimentare, la cattura del carbonio e il cambiamento climatico. Quindi, questa concezione di agricoltura, che è connessa anche con i sistemi agricoli tradizionali e primitivi, e che tiene in adeguata considerazione anche le coltivazioni biologiche, naturali ed ecologiche, si propone di risolvere numerose questioni che spaziano dal livello della famiglia individuale fino a quello globale, dal seme allo Swaraj (autogoverno, sovranità), dall’impero dell’agrobusiness al vero socialismo, dalla sicurezza alimentare alla sovranità alimentare, dal disastro ecologico al benessere ecologico, dal caos climatico all’ordine climatico.

1.6 Principi dell’agroecologia I principi dell’agroecologia ruotano intorno all’agroecosistema, cioè una comunità di piante, animali e microrganismi (le tre componenti biotiche funzionali) che interagiscono tra loro e con l’ambiente fisico-chimico modificato dagli agricoltori per produrre cibo, foraggio, fibre tessili, carburante e altri prodotti utili. L’agroecologia ci fornisce quindi l’opportunità di comprendere in modo olistico gli agroecosistemi che progettiamo e gestiamo per produrre cibo. La progettazione degli agroecosistemi si basa sui seguenti principi agroecologici definiti da Reijntjes e colleghi, ed esaminati approfonditamente da Altieri e Singh: • favorire il riciclo delle biomasse, ottimizzare la disponibilità di elementi nutritivi ed equilibrare il flusso di nutrienti; • assicurare condizioni del suolo favorevoli alla

crescita delle piante, in particolare gestendo la sostanza organica e migliorando l’attività biotica del terreno; • minimizzare le perdite dovute ai flussi di radiazione solare, di aria e di acqua attraverso la creazione di microclimi, la raccolta dell’acqua e la gestione dei terreni con incremento della copertura del suolo; • promuovere la diversificazione di specie e varietà dell’agroecosistema nel tempo e nello spazio; • migliorare le interazioni biologiche benefiche e le sinergie tra le componenti dell’agroecosistema, con il risultato di promuovere processi e servizi ecologici fondamentali.39, 40, 41, 42 È necessario adottare varie tecniche e strategie, ognuna delle quali ha effetti diversi su produttività, stabilità e resilienza all’interno di un dato agroecosistema, e che dipendono dalle opportunità presenti localmente, dai limiti delle risorse disponibili e, spesso, dal mercato. L’obiettivo finale della progettazione agroecologica, come sottolinea Altieri, è di: • integrare le varie componenti in modo che l’efficienza biologica complessiva risulti migliorata; • preservare la biodiversità; • mantenere la produttività e la capacità di auto-sostentamento dell’agroecosistema; • progettare una serie di agroecosistemi all’interno di un territorio, ognuno dei quali imiti la struttura e le funzioni degli ecosistemi naturali.43 Da quando Altieri e Reijntjes hanno elaborato i principi dell’agroecologia, molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi è necessario fissare nuovi obiettivi da aggiungere a quelli stabiliti da loro. Gli obiettivi finali della progettazione e gestione degli agroecosistemi, alla luce del mutare delle circostanze, sono oggi di: • migliorare l’integrità ecologica per una produzione alimentare sostenibile; • creare un ambiente socioeconomico e culturale favorevole all’affermazione della sovranità alimentare; • costruire microclimi; • aumentare il sequestro del carbonio per affrontare in maniera efficace lo scenario emergente del cambiamento climatico. Aumentare la biodiversità negli agroecosistemi è la base dei processi ecologici: è attraverso la biodiversità che un agroecosistema funziona. È la cosa

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AGROECOLOGIA E CRISI CLIMATICA  •  Introduzione

più importante, che si tratti di biodiversità delle aree non coltivate, di quelle coltivate, dei suoli o degli animali. La biodiversità è il principio attivo dell’efficienza di un agroecosistema, e la causa prima del funzionamento della biosfera. Ecosistemi meno diversificati o basati sulla monocoltura sono estremamente vulnerabili e non sostenibili. Quando la biodiversità aumenta in un ecosistema, cresce anche il suo livello di resilienza e sostenibilità: la massima diversità porta alla massima resilienza e al più alto livello di sostenibilità. Dal punto di vista della gestione, l’obiettivo dell’agroecologia è fornire ambienti equilibrati, sostenere le rese, la fertilità del suolo mediata biologicamente e il controllo naturale dei parassiti attraverso la progettazione di agroecosistemi diversificati e l’uso di tecnologie a bassi input.44, 45 Progettando sistemi colturali che mimano la natura è possibile utilizzare al meglio la luce solare, gli elementi nutritivi del suolo e le piogge.46, 47

1.7 Agroecologia e agricoltura sostenibile Nessun sistema può essere sostenibile senza la sua propria integrità ecologica. La Rivoluzione Verde e l’agricoltura LPG (acronimo che sta per Liberalizzazione, privatizzazione, globalizzazione) basate sulle biotecnologie non sono sostenibili, visto che prescindono dalla sostenibilità ecologica. L’agroecologia, invece, si basa su di essa. L’ecologia, in effetti, è la vera essenza dell’agricoltura sostenibile: il tipo di agricoltura che risponde ai bisogni del presente senza compromettere la sua capacità di rispondere ai bisogni del futuro. Un’agricoltura sostenibile progettata sulla base dei principi dell’agroecologia dovrebbe avere le seguenti caratteristiche di base: ecologicamente vitale, conomicamente praticabile e socio-culturalmente giusta. Ecco nel dettaglio: Ecologicamente vitale. È l’agricoltura che comprende in tutte le sue componenti i più alti livelli di biodiversità, ha un più alto rapporto foreste/ superfici coltivate, è energeticamente efficiente, gestisce i flussi e i cicli dei nutrienti, è rigenerativa, possiede un’alta resilienza e difese immunitarie nei suoi componenti, è orientata verso la conservazione delle risorse, migliora il sequestro del carbonio e contribuisce alla regolazione del clima.

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Economicamente praticabile. È l’agricoltura produttiva al suo potenziale massimo e in maniera continuativa, che soddisfa tutte le esigenze necessarie alla vita oltre alla sicurezza alimentare e nutrizionale, come l’istruzione dei bambini o altri bisogni elementari di ogni giorno. La maggioranza degli input, se non tutti, vengono prodotti all’interno del sistema. Il rapporto tra i valori degli output e degli input deve essere sufficientemente grande, ossia il prezzo dei prodotti deve essere superiore al costo degli input. Ciò significa anche che la sua natura è di esportare, piuttosto che di importare. Socio-culturalmente giusta. È l’agricoltura che si prende cura delle comunità rurali e di tutte le persone, piuttosto che degli interessi privati. Le risorse alimentari sono accessibili a tutti; la sicurezza alimentare e nutrizionale è garantita per tutti. Rispetta le abitudini alimentari locali e la diversità culturale, riconosce e promuove la conoscenza ecologica tradizionale e le innovazioni della popolazione, è governata dalle comunità rurali, contribuisce a integrare le società e stimola la coesione fra le persone. Vitalità ecologica, sostenibilità economica e giustizia socio-culturale sono le caratteristiche fondamentali dell’agricoltura sostenibile. Tenendo a mente questi aspetti e applicando i principi dell’agroecologia, la sostenibilità può essere attuata come segue: 1. Mantenendo un equilibrio ecologico attraverso un elevato rapporto foreste/terreni coltivati, garantendo la piena tutela delle aree forestali e aumentando la biodiversità all’interno dell’agroecosistema. 2. Favorendo l’ottimizzazione dei processi ecologici negli agroecosistemi mediante: • il rafforzamento delle difese immunitarie (funzionamento adeguato del controllo naturale dei parassiti); • la diminuzione della tossicità attraverso l’eliminazione degli agrochimici; • l’ottimizzazione delle funzioni metaboliche (decomposizione della sostanza organica e riciclo dei nutrienti); • il riequilibrio dei sistemi regolatori (cicli dei nutrienti, bilancio idrico, flussi di energia, controllo delle popolazioni di parassiti ecc.);


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

• il miglioramento della conservazione e rigenerazione delle risorse idriche del suolo e della biodiversità; • l’aumento e la costanza della produttività a lungo termine. 3. Implementando meccanismi volti a migliorare le difese immunitarie dell’agroecosistema mediante: • l’aumento delle specie vegetali e della diversità genetica nel tempo e nello spazio; • il miglioramento della biodiversità funzionale (nemici naturali, antagonisti ecc.); • l’aumento della sostanza organica del suolo e dell’attività biologica; • l’aumento della copertura del suolo e delle capacità competitive delle colture; • l’eliminazione di input e residui tossici. 4. Ottimizzando l’uso delle risorse disponibili localmente combinando le diverse componenti del sistema aziendale, cioè piante, animali, suolo, acqua, clima e persone, in modo che siano complementari fra loro e godano dei maggiori effetti sinergici possibili. 5. Riducendo l’utilizzo degli input non aziendali, esterni e non rinnovabili, che possono danneggiare l’ambiente o nuocere alla salute degli agricoltori e dei consumatori, e facendo un uso più mirato degli altri input nell’ottica di minimizzare i costi variabili. 6. Facendo affidamento soprattutto sulle risorse interne all’agroecosistema, sostituendo gli input esterni con il riciclo dei nutrienti, una migliore conservazione e con un maggior ricorso alle risorse locali. 7. Migliorando la corrispondenza tra gli schemi colturali, il potenziale produttivo e i limiti ambientali e climatici del territorio, in modo da assicurare la sostenibilità a lungo termine degli attuali livelli produttivi. 8. Lavorando per valorizzare e conservare la diversità biologica, sia nelle aree selvatiche che in quelle coltivate, e facendo un uso ottimale del potenziale biologico e genetico delle specie vegetali e animali. 9. Sfruttando appieno le conoscenze e le pratiche locali, inclusi gli approcci innovativi non ancora completamente compresi dagli scienziati, ma ampiamente adottati dagli agricoltori.48, 49, 50, 51, 52

1.8 Il ciclo della sostenibilità La sostenibilità non è un fenomeno statico, ma al contrario può definirsi dinamico. Non è nemmeno un risultato definitivo: è un processo ciclico. Gli agricoltori tradizionali gestiscono il terreno in modo che continui a essere rifornito di elementi nutritivi attraverso il letame, il riciclo, le consociazioni, la pacciamatura e altre pratiche. Essi rispettano ancora un vecchio proverbio: non nutrire la pianta, nutri il suolo che nutrirà la pianta. I contadini coltivano tanta agrobiodiversità quanta più è possibile in una data area. Inoltre gestiscono la biodiversità naturale nelle aree non coltivate (foreste, prati, pascoli ecc.). Questa biodiversità è un fattore chiave per la sostenibilità: maggiore è il grado di biodiversità, maggiore sarà il livello di sostenibilità. I contadini gestiscono anche i flussi ciclici dei nutrienti: qualunque nutriente venga asportato dai campi, esso sarà riciclato nello stesso terreno grazie al letame. La fertilità del suolo viene ulteriormente accresciuta apportando supplementi di elementi nutritivi con il suolo forestale. Questa meravigliosa pratica tradizionale è un esempio della gestione della sostenibilità nell’agricoltura tradizionale. (Fig. 1)

Suolo vivente

Biodiversitàcomplessità

Ciclo della sostenibilità

Incremento di nutrienti dalle foreste

Flussi ciclici dei nutrienti

Fig. 1 - Il ciclo della sostenibilità

Quindi, la sostenibilità dell’agricoltura non è qualcosa a sé stante: non è uno stato delle cose, e nemmeno un certo livello produttivo. È invece un paradigma e un processo, un fenomeno dinamico,

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AGROECOLOGIA E CRISI CLIMATICA  •  Introduzione

un ciclo composto da quattro fasi: biodiversità/ complessità, flusso di nutrienti, apporto di nutrienti dalle foreste e suolo vivo. Diversi sistemi di agricoltura sostenibile praticano l’agroecologia con nomi e approcci leggermente differenti. Permacoltura, biodinamica, coltivazione naturale, coltivazione biologica sono scuole diverse di pratica. I principi di tutti i sistemi agricoli non basati sull’industria chimica sono i principi dell’agroecologia. La FAO ha identificato i seguenti 10 elementi dell’agroecologia per la progettazione, la gestione e la valutazione delle transizioni agroecologiche: • diversità; • co-creazione di conoscenza e approcci interdisciplinari all’innovazione; • sinergie; • efficienza; • riciclo; • resilienza; • valori umani e sociali; • cultura e tradizioni alimentari; • governi responsabili; • economia circolare e solidale.53 Ci concentriamo sull’Agricoltura Organica Rigenerativa perché, data la triplice emergenza delle crisi dell’ecologia, della salute e dell’economia rurale, è divenuto fondamentale rigenerare la nostra biodiversità; i nostri sistemi di sementi, suolo, acqua e clima; la nostra nutrizione; la nostra salute e l’economia contadina. Aspetti, questi, che sono stati tutti degradati dall’agricoltura industriale.

1.9 La coltivazione biologica come pratica agroecologica. I principi dell’agricoltura biologica I quattro principi dell’agricoltura biologica sono stati sviluppati a partire dalle pratiche biologiche esistenti, attraverso vaste consultazioni a livello mondiale condotte dall’IFOAM. Essi costituiscono il consenso internazionale sulle basi fondamentali della produzione organica. Questi principi vengono utilizzati dall’IFOAM e da altre organizzazioni di agricoltura biologica per fornire informazioni per lo sviluppo di pratiche, incarichi, programmi e standard.

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L’agricoltura biologica si basa su: • Il principio del benessere; • Il principio dell’ecologia; • Il principio dell’equità; • Il principio della precauzione. L’IFOAM è un movimento internazionale di coordinamento, che si occupa di guidare e unire il settore del biologico nel mondo. È l’organizzazione che stabilisce gli standard internazionali, le politiche, le definizioni e gli incarichi intorno alla multifunzionalità dell’agricoltura biologica, attraverso consultazioni coi suoi membri, che coprono l’intero spettro del settore nella maggioranza dei paesi del mondo. Di conseguenza, i documenti dell’IFOAM sono considerati una fonte credibile di materiale di riferimento. La definizione di agricoltura biologica L’IFOAM ha sviluppato una definizione condivisa dell’agricoltura biologica che mostra chiaramente come i sistemi biologici siano basati sulla sostenibilità ambientale e sociale, lavorando con le scienze ecologiche, i cicli naturali e le persone. «L’agricoltura biologica è un sistema produttivo che sostiene la salute dei suoli, degli ecosistemi e delle persone. Si basa su processi ecologici, biodiversità e cicli adattati alle condizioni locali, piuttosto che sull’uso di input con effetti avversi. L’agricoltura biologica unisce tradizione, innovazione e scienza a beneficio dell’ambiente condiviso, e promuove relazioni eque e buona qualità della vita per tutti i soggetti coinvolti».54

1.10 Due differenze significative tra i sistemi convenzionale e biologico La maggior parte degli standard di produzione biologica esclude l’uso di fertilizzanti e di fitofarmaci di sintesi. Lo standard internazionale della FAO per il commercio dei prodotti alimentari, il Codex Alimentarius, ha una sezione che si occupa della produzione biologica. Le Linee guida del Codex Alimentarius per la produzione, lavorazione, etichettatura e commercio degli alimenti prodotti in modo biologico affermano che «l’agricoltura biologica si basa sulla riduzione al minimo dell’uso di input esterni, evitando l’uso di fertilizzanti di sintesi e di fitofarmaci.»


capitolo 1  • La crisi dell’attuale modello agro-alimentare

Questa è un’importante distinzione tra i prodotti convenzionali e quelli bio. Sfortunatamente però ha portato all’erronea conclusione che i sistemi biologici, poiché non utilizzano questi due input fondamentali per la coltivazione convenzionale, non usino nessun fertilizzante per correggere le carenze nutrizionali e nessun metodo per evitare parassiti e malattie. Il biologico è visto da alcuni autori come una coltivazione «negligente», che fornisce basse rese di prodotti scadenti.55, 56 In realtà non è così, e questo libro, pur non essendo un manuale sulle pratiche di coltivazione biologica, ne presenta i principali benefici ambientali, basandosi su pubblicazioni attendibili. Vari studi comparativi, sottoposti a diverse revisioni su riviste scientifiche, hanno dimostrato che i sistemi agricoli biologici sono i più sostenibili dal punto di vista ambientale, e hanno un minore impatto verso l’esterno dei nostri attuali sistemi agricoli.57, 58, 59, 60, 61, 62 Per la sostenibilità ambientale è fondamentale lavorare con i tecniche ecologiche e assicurare ecosistemi sani preoccupandosi attivamente dei modi di produzione. L’agricoltura biologica non è un sistema di sostituzione degli input esterni, e nemmeno un sistema «negligente». Combatte la necessità di antiparassitari e fertilizzanti di sintesi intensificando la biodiversità e le sue funzioni ecologiche. Migliora la fertilità del suolo, utilizzando compost, minerali naturali, colture di copertura, e riciclando i materiali organici. Biodiversità e sistemi di gestione colturale ed ecologica vengono utilizzati come mezzo principale di controllo dei parassiti, delle infestanti e delle malattie, con un uso limitato di biocidi naturali di origine minerale, vegetale e biologica come strumenti di ultima istanza.

1.11 Il riciclo della sostanza organica è

la base fondamentale della coltivazione biologica

L’elemento chiave per la salute degli ecosistemi agricoli consiste nell’assicurarsi che il suolo, che produce l’insieme dei cicli della rete alimentare, sia costantemente alimentato con sostanza organica. Questa è la base fondamentale dell’agricoltura biologica, e anche la ragione per cui J.I. Rodale rese

popolare il termine «organico» negli anni Quaranta. Rodale fu ispirato da Albert Howard, inviato in India nel 1905 dall’Impero Britannico in qualità di «botanico economico imperiale». Quando Howard arrivò in India, si rese conto che i terreni erano fertili e che non c’erano parassiti nei campi. A quel punto, decise di fare dei parassiti e dei contadini i suoi docenti, per capire come fare una buona agricoltura. Da queste lezioni nacque il l’ormai classico The Agricultural Testament, a cui si ispirò Rodale. Rodale fu il primo importante autore ed editore di libri e riviste sulla coltivazione organica a livello internazionale. La sua principale rivista si chiamava Organic Farming and Gardening, e fu diffusamente letta da molte migliaia di persone in tutto il mondo. Rodale dichiarò in varie occasioni che la base fondamentale della coltivazione biologica era il miglioramento della salute del suolo, e l’accumulo di humus mediante una varietà di pratiche volte al riciclo della sostanza organica.63 L’agricoltura ecologica rigenerativa è basata sul riciclo della sostanza organica, e di conseguenza sul riciclo dei nutrienti. È basata sulla Legge della Restituzione e sul ritorno dei nutrienti al suolo, non sfruttandolo semplicemente per ricavarne nutrimento. Prendere senza dare costituisce un furto al suolo e «un tipo particolare di saccheggio, poiché implica rubare alle generazioni future, che non sono qui per difendersi».64 Come riconoscevano gli antichi Veda 4000 anni fa: «Da questa manciata di terra dipende la nostra sopravvivenza. Prendetevene cura, ed essa farà crescere il nostro cibo, il nostro combustibile, il nostro riparo e ci attornierà di bellezza. Abusatene, e la terra collasserà e morirà, portando con sé l’umanità.» Nei suoli viventi risiede la prosperità e la sicurezza della civiltà; la morte del suolo è anche la morte della civiltà. Il nostro futuro è inseparabile dal futuro della terra. Non è un caso che la parola «umano» derivi da «humus», termine latino per suolo, e che il nome Adamo, il primo essere umano nelle tradizioni abramitiche, derivi da «adam», terra in ebraico. Non dobbiamo dimenticare che siamo terra. E che nel prenderci cura della terra rivendichiamo la nostra umanità.

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Navdanya International

Navdanya è un’organizzazione fondata 30 anni fa in India da Vandana Shiva che diede origine ad un movimento per la difesa della sovranità alimentare, dei semi e dei diritti dei piccoli agricoltori in tutto il mondo. In riposta alla crisi dell’erosione della biodiversità, Navdanya ha combattuto per molto tempo contro la diffusione degli OGM e contro l’uso forzato dei diritti di proprietà intellettuale e la conseguente applicazione di brevetti sui semi. Tra le battaglie di Navdanya figura anche l’opposizione ai cosiddetti trattati di libero commercio di nuova generazione, alla “biopirateria” e alla deprecabile pratica delle multinazionali di appropriarsi delle conoscenze indigene tramite brevetti. Navdanya ha affrontato e vinto diversi casi in India, come quelli della pianta tradizionale medicinale Neem, del riso basmati e del grano. Navdanya promuove un nuovo paradigma agricolo ed economico, una cultura del “cibo come salute”, in cui la responsabilità ecologica e la giustizia economica prendono il posto dell’avidità, del consumismo e della concorrenza, che dominano la società attuale. Ha come scopo il riscatto dei beni comuni come fondamento di un rinnovato senso di comunità, solidarietà e di una cultura di pace. A questo scopo Navdanya lavora strenuamente per avvicinarci a questa visione attraverso la conservazione, il rinnovamento e la rigenerazione dei doni della biodiversità che abbiamo ricevuto dalla natura e dai nostri antenati, e nella difesa di questi doni perché restino beni comuni. Negli ultimi 30 anni la ricerca di Navdanya nel campo dell’agricoltura ecologica e biodiversa ha dimostrato come l’agroecologia sia in grado di migliorare la nutrizione e la salute, di incrementare il reddito dei piccoli agricoltori, mentre allo stesso tempo rigenera il suolo, l’acqua e la biodiversità e migliora la resilienza climatica. È nella fattoria di Navdanya “per la conservazione della biodiversità” (Navdanya Biodiversity Conservation Farm), fondata in India nel 1995, che si mettono in pratica i metodi di agricoltura biolo-

gica ed agroecologia. La fattoria è un sistema vivente, dal quale agricoltori, studenti, partecipanti ai corsi e tirocinanti possono apprendere. Presso l’Università della Terra, centro educativo situato nella fattoria stessa, agricoltori da ogni parte dell’India si recano per imparare le pratica dell’agricoltura biologica per creare insieme il futuro dell’agroecologia. Speciali corsi vengono organizzati ogni anno per persone da tutto il mondo e rappresentanti/membri di organizzioni della società civile per esplorare i principi e le pratiche della sostenibilità e della diversità, per imparare dalle ricerche più avanzate dell’agroecologia sia nella teoria che nella pratica. L’importante lavoro di Navdanya nella conservazione della biodiversità è incentrato sulle oltre 124 banche comunitarie di semi tradizionali a cui ha dato inizio attraverso tutta l’india. Questi centri permettono agli agricoltori di liberarsi dalla dipendenza di dover acquistare semi commerciali costosi, inaffidabili e nutrizionalmente vuoti. Essi li aiutano anche a riscattarsi dalla vulnerabilità e ad aumentare la resilienza, specialmente nel contesto del cambiamento climatico. Navdanya International è stata creata in Italia nel 2011 allo scopo di sostenere la missione di Navdanya a livello internazionale. Fra gli obiettivi dell’organizzazione, ci sono la protezione della natura e della biodiversità, la difesa delle culture e delle conoscenze indigene e tradizionali, la difesa del diritto dei consumatori ad un’alimentazione sana e libera da veleni, la tutela del diritto degli agricoltori e dei cittadini comuni di conservare, scambiare, coltivare e selezionare liberamente i semi. Nell’ottobre del 2012, Navdanya International ha lanciato la Campagna Globale per la Libertà dei Semi (Seed Freedom) in risposta alla crescente crisi dovuta al tentativo delle multinazionali di imporre il proprio monopolio sui semi e sul cibo. La Campagna è stata concepita allo scopo di portare all’attenzione dei cittadini il ruolo cruciale dei semi nella lotta per la difesa della sicurezza e

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della sovranità alimentare e di rafforzare le reti e i movimenti di conservazione e scambio di semi in tutto il mondo. Nell’attuale realtà politica e sociale globale in cui i problemi relativi ai semi e al cibo sono sempre più pressanti, Navdanya International ha dato origine al Movimento Globale per la Libertà dei Semi, con l’obiettivo di consolidare alleanze tra i diversi movimenti impegnati nella promozione e nella pratica dell’ agro-ecologia, nella salvaguardia dei semi e nella resistenza ad un numero crescente di leggi che, in tutto il mondo, stanno cercando di criminalizzare la libera conservazione e il libero scambio dei semi. Il Movimento ha inoltre favorito e sostenuto azioni di mobilizzazione congiunte e coordinate contro un sistema alimentare impoverito dall’industrializzazione e dall’uso di sostanze chimiche dannose in agricoltura. Nel corso degli anni il movimenti è cresciuto fino a diventare una forte e vitale “comunità globale”, che continua ad espandersi attraverso il continuo evolversi di centinaia di piccoli e grandi gruppi e reti in tutto il mondo, che conservano i semi, organizzano incontri, seminari, festival, manifestazioni e promuovono campagne a livello politico. Il lavoro di Navdanya International ha contribuito in modo significativo a dare risalto nel dibattito globale alla stretta connessioni tra le diverse

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crisi naturali e sociali in una prospettiva olistica e allo stesso tempo nel facilitare il collegamento tra diversi movimenti per l’attuazione di strategie comuni e interconnesse. Le campagne internazionali, il coordinamento di incontri, dibattiti e conferenze e le campagne politiche di Navdanya International sono incentrate sull’analisi del contesto dei sistemi agro-alimentari e del loro stretto legame con le condizioni del suolo, della biodiversità e degli ecosistemi, con la resilienza climatica e la giustizia sociale. Il progetto Earth Democracy (Democrazia della Terra) di Navdanya International è incentrato sulla promozione di una nuova visione di Cittadinanza Planetaria, una visione del mondo alternativa, basata sulla comprensione reciproca e sulla cura della Terra e della Società. Una visione globale basata sulla Legge di Reciprocità, secondo cui la responsabilità verso l’ecologia e la giustizia nell’economia ha un ruolo centrale nella creazione di un futuro sostenibile per l’umanità. Sede in Italia: Navdanya International, Piazzale Donatello 2, 50132 Firenze Ufficio di Roma: Via Marin Sanudo 27, 00176 Roma www.navdanyainternational.it info@navdanyainternational.it


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Direzione editoriale: Mimmo Tringale e Nicholas Bawtree Autori: Vandana Shiva e Andre Leu Titolo originale: Biodiversity, Agroecology, Regenerative Organic Agricolture Westville Publishing House, New Delhi, India. ©2018 Vandana Shiva e Andre Leu Traduzione: Elena Panei Editing: Gabriele Bindi Progetto grafico e copertina: Andrea Calvetti Illustrazioni: Arianna Comunelli Impaginazione: Andrea Calvetti, Daniela Annetta ©2019, Editrice Aam Terra Nuova, via Ponte di Mezzo 1 50127 Firenze - tel 055 3215729 - fax 055 3215793 libri@terranuova.it - www.terranuovalibri.it I edizione: novembre 2019 Ristampa VI V IV III II I 2024 2023 2022 2021 2020 2019 Collana: Agricoltura naturale Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero dati o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, inclusi fotocopie, registrazione o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possano derivare dal loro utilizzo. Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)


La crisi ambientale, sociale ed economica che viviamo oggi ha un principale colpevole: l’attuale modello agroalimentare, che espone l’intero Pianeta ai pericoli di una nuova estinzione di massa, depredando le risorse naturali, come l’acqua e la fertilità dei suoli. In questo nuovo libro, Vandana Shiva e Andre Leu presentano i risultati delle ultime ricerche scientifiche, dimostrando che un altro modello agricolo non solo è possibile, ma anche necessario, per combattere la fame, frenare i cambiamenti climatici e arginare la devastazione del Pianeta. La questione ha anche una valenza di ordine sociale e politico. L’agricoltura industriale, basata su monocolture, pesticidi e biotecnologie, rende sempre più dipendenti e indebitati gli agricoltori consegnando i saperi, i mezzi di produzione e gli stessi semi nelle mani di poche multinazionali, con una concentrazione di potere senza precedenti nella storia. In un testo destinato a fare storia, gli autori smontano un modello produttivo a lungo celebrato come efficiente, ma che ad uno sguardo più attento si mostra del tutto incapace ad affrontare le sfide della crisi climatica, la fame nel Sud del mondo e la malnutrizione cronica nei paesi cosiddetti sviluppati. La soluzione è nelle pratiche agricole sostenibili supportate da nuove conoscenze agronomiche in grado di valorizzare la complessità del vivente, garantire cibo sano per tutti e una nuova democrazia per il futuro del Pianeta.

Vandana Shiva è da oltre trent’anni impegnata nelle battaglie per la protezione della biodiversità e la

promozione dell’agricoltura biologica. Fondatrice di Navdanya International, unisce l’acuta indagine intellettuale a un coraggioso attivismo. Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award, considerato il Premio Nobel alternativo. Time l’ha nominata “eroe ambientale” nel 2003, mentre Asiaweek l’ha definita uno dei cinque più potenti comunicatori dell’Asia e Forbes tra le sette donne più autorevoli al mondo. I suoi numerosi libri sono stati diffusi a livello globale. Per Terra Nuova Edizioni segnaliamo Cibo e salute. Manuale di resistenza alimentare, che include anche il suo ultimo Manifesto Food for Health.

Andre Leu è il direttore di Regeneration International, un’organizzazione che promuove sistemi alimentari

e agricoli che rigenerano e stabilizzano i sistemi climatici, la salute del Pianeta e delle persone. È stato presidente dell’International Federation of Organic Agriculture Movements (IFOAM). Lavora con governi, agricoltori, consumatori e ONG per promuovere i benefici dell’agricoltura organica rigenerativa.

www.terranuovalibri.it ISBN 88 6681 511 2

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