Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. IX edizione

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asso ciazi one cultu rale

ATLANTE

DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO

Nona edizione



ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO Nona edizione A tutti coloro che hanno voglia di informarsi A tutti quelli che rifiutano le notizie spazzatura A chi pensa, a ragione, che la buona informazione sia indispensabile per democrazia e pace

Associazione 46° Parallelo


In redazione Daniele Bellesi Emanuele Giordana Alice Pistolesi Maurizio Sacchi Beatrice Taddei Saltini ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO NONA EDIZIONE

Organizzazione Paolo Bisesti

Direttore Responsabile Raffaele Crocco

Hanno collaborato Paolo Affatato Giuliano Battiston Adalberto Belfiore Fabio Bucciarelli Camilla Caparrini Alessandro De Pascale Teresa Di Mauro Marika Di Pierri Danilo Elia Alfredo Falvo Angelo Ferrari Marina Forti Federico Fossi Lucia Frigo

Un ringraziamento speciale a: Riccardo Noury, Portavoce di Amnesty International

Redazione Associazione 46° Parallelo Via Salita dei Giardini, 2/4 38122 Trento info@atlanteguerre.it

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Marica Di Pierri, Presidente Cdca Giovanni Scotto, Docente del corso di laurea Sviluppo economico, cooperazione internazionale, socio-sanitaria e gestione dei conflitti (SECI) e Laurea magistrale in scienze politiche (RISE)

www.atlanteguerre.it Testata registrata presso il Tribunale di Trento n° 1389RS del 10 luglio 2009

Il progetto, Tentativi di Pace, è stato realizzato con la collaborazione di studenti del SECI e del corso di laurea in Scienze Politiche: Francesca Cerulli, Alberto Giachetti, Sarra Khalafallah e Luana Soldano.

Progetto grafico ed impaginazione Daniele Bellesi Progetto grafico della copertina Daniele Bellesi

Elia Gerola Rosella Idéo Massimo Morello Riccardo Noury Ilaria Pedrali Andrea Pira Maurizio Sacchi Ilaria Maria Sala Luciano Scalettari Giovanni Scotto Paolo Siccardi

Tutti i diritti di copyright sono riservati ISSN: 2037-3279 ISBN-13: 978-8866815242 Finito di stampare nel settembre 2019 Grafiche Garattoni - Rimini Foto di copertina Confine Messico-Stati Uniti sulla spiaggia di Tijuana, 10 dicembre 2018, Messico. Sul lato americano, un'auto della pattuglia di frontiera degli Stati Uniti (USBP) illumina il muro per evitare che i migranti centroamericani provino ad attraversare il confine. ©Fabio Bucciarelli www.fabiobucciarelli.com


Camerun Ciad Libia Mali Niger Nigeria Repubblica Centrafricana Repubblica Democratica del Congo Sahara Occidentale Somalia Sudan Sudan del Sud

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Afghanistan Cina/Tibet Filippine Iraq Kashmir Kurdistan Myanmar Nagorno Karabakh Pakistan Pashtun Yemen/Arabia Saudita

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Cecenia Cipro Georgia Kosovo Ucraina

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Israele/Palestina Libano Siria

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Editoriale Raffaele Crocco Saluti Amministratori Introduzione Riccardo Noury Introduzione Campagna Italiana contro le Mine Introduzione Marica Di Pierri Introduzione Kostas Moschochoritis Introduzione Giuseppe Castronovo Istruzioni per l’uso La Redazione La situazione Raffaele Crocco Guerra e finanza Fondazione Finanza Etica SPECIALE EMERGENZE Emergenza: l'intervento umanitario di fronte a una crisi acuta Alice Pistolesi e Luciano Scalettari Rep. Centrafricana: dall'emergenza nasce la speranza Luciano Scalettari Africa In Africa la democrazia resta un sogno lontano Amnesty International L'Africa riparte dal mercato comune Giovanni Scotto Non c'è pace nel continente delle "terre ruibate" Cdca La Cina sempre più protagonista nel Continente La Redazione SCHEDE AFRICA Situazioni di crisi Algeria - Burkina Faso - Burundi - Costa d'Avorio Etiopia/Eritrea - Uganda - Zimbabwe America L'America tutta è chiusa nei muri Amnesty International Bisogna difendere gli attivisti ambientali Giovanni Scotto Il nuovo continente e il vecchio modello estrattivista Cdca Gli Usa chiudono la porta a Russia e Cina La Redazione Situazioni di crisi Colombia - Haiti - Venezuela - Macro area Asia Violenze sistematiche nel continente asiatico Amnesty International L'Asia punta tutto sulle scienze del clima Giovanni Scotto Rivoluzione verde: i costi ambientali e sociali dell'agro business Cdca Le nuove guerre e violenze: Asia sempre in ginocchio La Redazione SCHEDE ASIA Situazioni di crisi Cina/Xinjiang - Corea Nord/Corea Sud - Hong Kong India - Iran - Thailandia - Macro Area Europa Guerre e diritti. Europa in retromarcia Amnesty International Il Mediterraneo nuova frontiera Giovanni Scotto I cambiamenti climatici arrivano in tribunale Cdca La vecchia Europa è sempre nei guai La Redazione SCHEDE EUROPA Situazioni di crisi Bosnia - Irlanda del Nord - Macro Area Vicino Oriente Stragi di civili negate al mondo Amnesty International Istruzione e cultura: il futuro è lì Giovanni Scotto Vicino Oriente e dintorni: crisi idriche e conflitti Cdca Un'area travagliata con troppi protagonisti La Redazione SCHEDE VICINO ORIENTE Le missioni Onu Nazioni Unite - I Caschi Blu Raffaele Crocco Vittime di guerra Federico Fossi WARS PREMIO FOTOGRAFICO Dossier: La via della seta La Redazione Dossier: Guerra e mine Emanuele Giordana Dossier: Guerra e atomica Elia Gerola Dossier: Guerra e lavoro La Redazione LE NOSTRE INFOGRAFICHE 1 - Arrivi via mare in Italia 2 - Le strade dei migranti 3 - Atlante cambiamenti climatici 4 - Atlante pena di morte 5 - Atlante nucleare militare 6 - Atlante di mine e cluster 7 - Atlante missioni Onu 8 - Atlante libertà di stampa Gruppo di lavoro Fonti e Glossario Ringraziamenti e altri saluti

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Indice

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© Alfredo Falvo/Contrasto

In collaborazione con Idea e progetto Associazione 46° Parallelo Via Salita dei Giardini, 2/4 - 38122 Trento

Editrice AAM Terra Nuova S.r.l. Via Ponte di Mezzo, 1 - 50127 Firenze Tel. +39 055 3215729 info@aamterranuova.it www.aamterranuova.it

Edizione

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Associazione 46° Parallelo Via Salita dei Giardini, 2/4 - 38122 Trento info@atlanteguerre.it - www.atlanteguerre.it

Con il supporto di

Con il contributo di Con la collaborazione di

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Partecipano


Editoriale

Il Mondo in Pace è possibile se non chiudiamo gli occhi

© Paolo Siccardi

La foto a pagina seguente è di © Fabio Bucciarelli I palestinesi urlano durante la "protesta della marcia del ritorno" al confine orientale di Gaza City con Israele il 13 aprile 2018. La "grande marcia del ritorno" è un'ondata pubblica di proteste, un movimento civile volto a spezzare l'assedio israeliano della Striscia di Gaza e difendere il diritto palestinese al ritorno in patria.

Il Direttore Raffaele Crocco

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na buona notizia, quest’anno iniziamo da quella: le guerre sono 30 - per come le contiamo noi dell’Atlante - e sono 16 le situazioni di crisi. Tre in meno rispetto all’inizio del 2018. Vuol dire meno morti, meno sofferenza, meno persone costrette a fuggire. Algeria, Haiti e uno dei conflitti Indiani sono diventati “zona di crisi”, insomma si è abbassato il livello dello scontro. Se sarà pace, lo vedremo nel tempo. Proseguiamo con le cose belle. Nel 2018, milioni di ragazzi sono scesi in piazza sollecitati da una di loro, Greta Thunberg. Hanno manifestato in modo civile, più volte, in tutto il Mondo, per dire a noi adulti che vogliono un Pianeta pulito, migliore, dove si possa davvero vivere. Vogliono fermare la corsa al suicidio. Lo hanno detto in modo chiaro. Potrebbero essere loro il cambiamento che ci serve. L’introduzione dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del mondo numero nove parte da questi due elementi positivi, perché siamo sempre più convinti che avremmo - tutti, tutti insieme - la possibilità di fermare le guerre, il degrado, potremmo davvero costruire un Mondo giusto. Avremmo gli strumenti, le conoscenze, la tecnologia, la ricchezza necessarie. Non farlo - e non lo stiamo facendo - è una scelta politica precisa, che ci trova tutti coinvolti, come vittime e come complici. Possiamo cambiare le cose, dicevamo. In realtà, rendiamo tutto complesso. Gli ultimi dati – li ha forniti l’Onu – dicono che abbiamo solo 12 anni di tempo per invertire la rotta del clima e ridare un futuro alla nostra presenza sul Pianeta. Tempi strettissimi, cui nessuno bada. Stati Uniti e un pezzo di Europa - Italia compresa - vanno avanti come se nulla fosse. Ora, in democrazie come le nostre, tutti noi cittadini dovremmo essere in grado di reagire. Dovremmo costringere i nostri rappresentanti - perché di questo si tratta: chi governa ci rappresenta, nulla di più - a cambiare modo di agire. Non accade. Spesso non succede, perché come cittadini siamo pigri, distratti, male informati. Tornare a fare informazione in modo corretto sta diventando urgente e vitale. C’è da spaventarsi, scoprendo cosa si racconta in giro. Ad esempio, i sondaggi rivelano che il 7% dei brasiliani pensano la Terra sia piatta. Un dato clamoroso, come scoprire che oggi nel 40% delle scuole degli Stati Uniti - sì, proprio la maggiore potenza mondiale - si insegna che il mondo è stato creato in una settimana, come dice la Bibbia. Stupido, direte, ma succede. Andiamo sul concreto: i conservatori britannici hanno deciso di eleggere Boris Johnson per puntare alla Brexit ad ogni costo, dimenticando che questo significherebbe - al di là del possibile disastro economico - l’uscita della Scozia dal Regno Unito. Contemporaneamente, in tutto il Mondo, i cittadini - lavoratori consentono al sistema di tagliare salari e diritti, praticamente senza reagire. Non ci sono state reazioni al taglio delle tasse per i ricchi - e solo per loro - passate da un’aliquota media mondiale del 62% prima del 2010 all’attuale 38%. Nessuno si è scandalizzato per un miliardario che ha dato alla moglie - per il divorzio - 38miliardi di dollari: eppure nel Mondo, un terzo della popolazione vive con meno di 1 dollaro e 90 centesimi al giorno. Metà del Pianeta vive con 5 dollari al giorno. Il problema è che le informazioni ormai non passano. La breve stagione della “cultura diffusa e per tutti” è diventata un mito del passato. Oggi, in Italia, il 40% della popolazione - lo dicono le statistiche - non è in grado di leggere e capire un libro. In Europa, solo il 22% compra almeno un libro l’anno. Negli Stati Uniti - modello virtuale delle nostre democrazie - i quotidiani non superano, complessivamente, i 60milioni di copie vendute: esattamente il numero di follower del Presidente Trump. Il ruolo dell’informazione è sempre stato centrale, in una democrazia. Esattamente quanto quello della cultura. Il sistema ha attaccato entrambi, costruendo i presupposti per ridurre gli spazi di libertà e democrazia. Questo ha consentito di erodere potere d’acquisto e diritti senza che le vittime reagissero. Ha portato, inevitabilmente, ad alzare i livelli di scontro e conflittualità. La cattiva distribuzione della ricchezza e l’affossamento dei diritti hanno alimentato le guerre e messo in movimento 250milioni di esseri umani, costretti a cercar fortuna e vita lontani da casa, altrove. Informazione e cultura dovrebbero essere i nostri occhi, dovrebbero essere ciò che ci permette di guardare il Mondo e di capirlo. Stiamo permettendo a chi non ama democrazia e pace di chiuderci gli occhi, facendoci credere che così si vive meglio. Non ci ricordano - e noi non ricordiamo - che gli occhi si chiudono quando si dorme e quando si muore.


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Saluti

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ran parte della nostra vita passa attraverso la costruzione o la rappresentazione di cose lontane o troppo grandi per noi, e da queste rappresentazioni passa la nostra percezione del mondo e della vita di tutti i giorni. Per questo è bella la scelta dei curatori dell'"Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo" di utilizzare la carta di Peters al posto della più nota "carta di Mercatore", grazie a questa carta le rappresentazioni dei continenti e delle nazioni sono più vicine alle dimensioni reali, ma assai diverse da come siamo abituati a vederle e, quindi a concepirle. Per questo è importante l'opera di diffusione e di conoscenza che da anni svolge l'Atlante delle guerre, perchè diversamente, senza una conoscenza approfondita dei conflitti che ancora oggi affliggono il nostro pianeta non riusciremmo a comprendere i fenomeni che ci interessano tutti i giorni, dalle migrazioni alle tensioni internazionali. La conoscenza è importante non solo per apprendere le sofferenze di uomini, donne, bambini e bambine fisicamente lontani da noi, lo è soprattutto perchè le conseguenze di quelle sofferenze arrivano fino a noi quotidianamente. Oggi in pochi secondi possiamo vedere le Instagram Stories da ogni parte del globo, possiamo in pochi minuti leggere e condividere uno status del Presidente dello Stato di un altro continente, ma è utile anche prendersi qualche ora della nostra affannosa settimana per leggere l'Atlante e conoscere storie e vicende che, la rappresentazione quotidiana dei media più accessibili, non ci propone. Brenda Barnini Sindaco di Empoli


Introduzione

Il mondo si muove grazie a Greta

La terra salvata dai "ragazzini"

Greta Thunberg

Riccardo Noury Portavoce Amnesty International

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er fortuna ogni 10 anni c’è un ragazzino o una ragazzina che ci sensibilizza su come vanno le cose nel mondo o ci spiega cosa dobbiamo fare per evitare l’estinzione. Nello scorso decennio, Malala Yusafzai ha rischiato di perdere la vita per ribadire il diritto universale all’istruzione, anche per le bambine: l’istruzione come arma per difendere i propri diritti, per pensare con la propria coscienza, per agire contro i fondamentalisti che basano il loro potere sull’ignoranza delle folle. Ancora prima di lei, Iqbal Masih rivelò al mondo - prima di essere assassinato - il grande inganno del divertimento pagato col sangue e il sudore dei lavoratori bambini: prodotti sportivi, tra cui palloni da calcio, realizzati in condizioni di schiavitù per le aziende globali che dominano il settore. E ora Greta Thunberg, la studentessa svedese promotrice dei “venerdì per il futuro”. Nell’agosto 2018 Greta decise di saltare la scuola ogni venerdì per protestare di fronte al parlamento del suo Paese fino a quando non avesse intrapreso azioni più serie per contrastare il cambiamento climatico. L’iniziativa di Greta per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi del clima è diventata rapidamente globale. Oltre un milione di studenti di ogni parte del mondo ha preso parte all’ultimo sciopero dei “venerdì per il futuro” del 24 maggio, con manifestazioni in oltre 100 Paesi. A Greta vanno molti meriti. Il primo è quello di aver mutato l’approccio dell’opinione pubblica sul cambiamento climatico. Se prima la crisi del clima era solitamente avvertita attraverso l’impatto che ha sul nostro ambiente naturale, ora le devastanti conseguenze sulle persone ne fanno anche una questione urgente di diritti umani. Diritti umani e crisi climatica vanno di pari passo. Non possiamo trovare soluzioni per i primi senza risolvere la seconda. Il cambiamento climatico significa impossibilità di nutrirsi coi prodotti della terra, abitazioni a rischio e salute in pericolo. Il secondo è di aver denunciato la clamorosa ingiustizia per cui le persone del Sud del mondo sono quelle che sono e saranno le più colpite dal cambiamento climatico pur essendo quelle meno responsabili. Si tratta di milioni e milioni di persone, colpite dalla prolungata siccità dell’Africa subsahariana e dalle tempeste che devastano l’Asia Sudorientale, i Caraibi e da ultimo hanno distrutto il Mozambico e parte dei Paesi limitrofi. Né dobbiamo dimenticare i mesi estivi del 2018 nell’emisfero Settentrionale, dal Circolo artico alla Grecia, dal Giappone fino agli Usa, dove le popolazioni hanno sofferto devastanti ondate di calore e incendi che hanno ucciso e ferito centinaia di persone. Greta si è fatta beffe del luogo comune per cui i giovani di oggi saranno i leader di domani. Ha spiegato che, se aspettiamo domani, non c’è alcun futuro per nessuno di noi. Per questo lei e il movimento studentesco dei “Venerdì per il futuro” sono stati nominati Ambasciatori della coscienza per il 2019 da Amnesty International. Greta è la leader di oggi e il mondo degli adulti, soprattutto di coloro che hanno il potere di prendere decisioni, deve seguirla.


Introduzione

Stop alle mine significa dire basta alla morte

Il disarmo umanitario è segnale di benessere

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l concetto di disarmo umanitario, pone il benessere dei civili al centro delle normative sul disarmo, ed è divenuto un metodo riconosciuto di regolare l’uso delle armi. Grazie all’impegno della società civile nel rivendicare il proprio ruolo attivo nel creare quella che è stata spesso definita “diplomazia dal basso” si è raggiunta l'adozione del Trattato per la messa al bando delle mine del 1997, dimostrando la sua piena validità di impegno ed incisiva capacità di promuovere il cambiamento con il raggiungimento della Convenzione sulle munizioni a grappolo del 2008. In molti, spaventati dalla capacità della società civile di promuovere cambiamenti al di fuori dei percorsi diplomatici, si sono affannati a sminuire la portata del successo di tale impegno che - dopo aver avuto il riconoscimento del Premio Nobel per la Pace del 1997 - ha rappresentato una scuola per le molte altre campagne di successo, come ad esempio quella sul bando del nucleare Premio Nobel per la Pace 2017. C’è chi non si rassegna alla narrazione del primato delle armi sulla forza del dialogo e rivendica in modi diversi e incisivi il diritto alla pace ed alla sicurezza delle popolazioni civili, vere vittime del risiko mondiale. Oggi sappiamo che ogni guerra ha i suoi pretesti ammantati da argomenti a cui sottendono ben altre motivazioni, siano esse geopolitiche o la voglia di far cassa bendandosi gli occhi per mercanteggiare armi e il corredo di sofferenza che gli appartiene per loro stessa intrinseca natura. Sappiamo anche però che, qualsiasi sia la scusa o la ragione, il risultato comune a tutti i conflitti rimane il medesimo: la sofferenza dei civili. Questa pubblicazione ci aiuta a superare quei limiti di una legge di comunicazione che ci vuole proporzionalmente meno empatici e informati su ciò che avviene maggiormente lontano da noi. In un panorama in cui ogni politico pesca il “particolare” caro al suo elettorato di riferimento, l’Atlante delle Guerre ci racconta il mondo, ci racconta i conflitti e apre la nostra porta a una conoscenza scomoda ma preziosa, grave ma indispensabile. Le guerre ci regalano migliaia e migliaia di ordigni inesplosi seminati sui fertili campi arati dalla guerra, semplici e crudeli semi di carneficina. Il nostro impegno e quello delle tante associazioni impegnate nella “Mine Action” nel mondo è quello di non smettere di reclamare una terra sicura. Un terra dove non piangere più di fronte ai corpi straziati dei civili. Campagna Italiana Contro le Mine Parte della Interantional Campaign to Ban Landmines, della Cluster Munitions Coalition


Introduzione

Il climate change è una guerra al pianeta

Verso un inevitabile "apartheid climatico"

Philip Alston

Marica Di Pierri Presidente Cdca Centro Documentazione Conflitti Ambientali

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l pianeta è in fiamme. Ma ad accendere ovunque alti roghi non sono solo le bombe dei conflitti armati. Desertificazione, siccità lunghe e drammatiche, inondazioni, eventi meteorologici estremi sono alla base di un numero incalcolabile di emergenze diffuse, che rappresentano sintomi localizzati di assai pericolosi processi globali. Si tratta di emergenze sociali, ambientali, alimentari, migratorie che coinvolgono e mettono in ginocchio comunità, a volte interi popoli, e causano ogni anno di più massicci esodi forzati. A giugno il relatore delle Nazioni Unite su povertà e diritti umani Philip Alston ha parlato chiaramente, per la prima volta, di “apartheid climatico”, riferendosi al fatto che le fasce più ricche della popolazione avranno i mezzi per sfuggire a fame e catastrofi causate dai cambiamenti climatici, mentre il resto - che è la stragrande, schiacciante maggioranza della popolazione del pianeta - è destinato a soffrire, in un crudele circolo vizioso di moltiplicazione di ingiustizie. La nefasta previsione è che i Paesi meno sviluppati pagheranno i tre quarti dei costi sociali dei cambiamenti climatici, pur contribuendo alle emissioni per appena un decimo. Secondo l'Onu, il climate change "minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi nello sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà e potrebbe condurre oltre 120milioni di persone in situazione in povertà entro il 2030". Ma i cambiamenti climatici non sono qui per caso. Sono la conseguenza di un modello economico - di estrazione, produzione, consumo e smaltimento - basato sullo sfruttamento intensivo di risorse naturali ed esseri umani e sulla generazione di profitti concentrati in poche mani e di esternalità negative scaricate sulla collettività. Da questo punto di vista ogni Paese, ogni Continente, ha una storia da raccontare. Storie di dominazione, di imposizione, di diritti violati. Ma anche storie di resistenza, di rivendicazione, di cambiamenti. In questa edizione dell'Atlante, il focus curato dal Cdca - Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali - attraversa i continenti raccontando le dinamiche e le forme che caratterizzano queste storie. L'Asia e la sua “rivoluzione verde”, con l'implementazione di un modello selvaggio di agrobusiness dai devastanti impatti in termini di sovranità alimentare, salute pubblica, tutela della biodiversità. Il nuovo Continente, le Americhe, dominato ancora dal vecchissimo modello estrattivista. Frontiere estrattive sempre più estreme per l'oil&gas a Nord; un destino di devastazione scritto sui corpi dei minatori lungo le Ande, seguendo una linea storica che si dipana da secoli, dal colonialismo ai giorni nostri. L'Africa del land grabbing, nuovo campo di conquista e di violazione dei diritti in cui Governi e imprese straniere giocano indisturbati la parte degli speculatori senza scrupoli. La nostra Europa, alle prese con migliaia di conflitti sociali attivi contro le più disparate fonti di contaminazione. E l'avanguardia delle battaglie giudiziarie, che ormai da anni portano i cambiamenti climatici di fronte ai giudici, nei tribunali, per inchiodare i decisori politici alle loro responsabilità. Infine, l'infografica che fotografa la situazione dei cambiamenti climatici a livello globale. Chi emette di più, chi ne paga i costi, chi ha ratificato Parigi, la mappa del rischio, l'andamento delle concentrazioni in atmosfera e molto altro. Perché avere tutti gli elementi per comprendere la realtà, in un'era di semplificazione, è ciò che fa la differenza. L'unica cosa in grado di renderci cittadini consapevoli.


Introduzione

Proteggere significa difendere i diritti di ogni individuo

Un essere umano ogni 70 è in area di crisi

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roteggere, nel linguaggio umanitario, significa mettere in atto ogni intervento finalizzato a garantire il pieno rispetto dei diritti degli individui riconosciuti dal diritto umanitario internazionale e dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Concretamente vuol dire molte cose, come: garantire accesso alle cure mediche, all’educazione, al cibo e all’acqua, a ripari d’emergenza e strutture abitative, alla documentazione legale per tutelare l’identità delle persone, fornire supporto psicologico a chi ha subito traumi e violenze, prevenire violenza e discriminazione di genere e assistere le vittime, proteggere dallo sfruttamento del lavoro, con particolare attenzione al lavoro minorile, e in genere da ogni forma di sfruttamento. È questa la missione di Intersos ed è per questo che abbiamo deciso di avviare una collaborazione, fondata sulla condivisione di contenuti, con l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti. I bisogni umanitari sono in continua crescita. Secondo il Global Humanitarian Overview dell'Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari), una persona su 70, nel mondo, si trova coinvolta in situazioni di crisi e ha urgente bisogno di assistenza e protezione umanitaria. Il numero di sfollati e rifugiati a causa di conflitti ha superato, secondo i dati Unhcr, i 70 milioni. Dieci anni fa erano 42 milioni. Nonostante gli oltre 20 miliardi di dollari raccolti nel corso dell’anno per attività umanitarie, i finanziamenti sono ben lontani dal soddisfare la crescita dei bisogni. Lo stesso concetto di guerra cambia sotto i nostri occhi. Cresce il numero di conflitti interni e asimmetrici, con un’alta frammentazione di attori armati coinvolti. Crisi sempre più complesse, protratte o cronicizzate, sfidano le nostre capacità. L’aiuto umanitario è spesso ostacolato da problemi di sicurezza, attacchi alle strutture e agli operatori, limiti politici e burocratici. Di fronte a questo quadro, è sempre più urgente rilanciare un’alleanza, un movimento di uomini e donne uniti dalla comune adesione a un sistema di valori rappresentato da quattro parole: umanità, indipendenza, imparzialità, neutralità, i quattro principi umanitari su cui si fonda il nostro lavoro. Sono valori che accomunano gli esseri umani e che ci dicono che non dobbiamo mai sentirci soli, ma trovare sempre luoghi di incontro e di confronto. Come questa pubblicazione e questo gruppo di amici e professionisti, con cui da quest’anno abbiamo scelto di camminare insieme. Kostas Moschochoritis Segretario Generale Intersos

© Alessandro Rocca


Introduzione

Un impegno categorico per proteggere i civili

Contro i danni irreversibili delle guerre

Cav. di Gran Croce Giuseppe Castronovo Presidente Nazionale Anvcg

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ent’anni fa, per la prima volta, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approvava la risoluzione 1265 per la protezione dei civili nei conflitti armati. Sebbene nel corso del tempo la tematica abbia acquisito sempre più rilevanza, oggi i civili costituiscono ancora la maggioranza delle vittime delle guerre. Io stesso sono una vittima civile di guerra. Ho perso la vista all’età di nove anni a causa dell’esplosione di un ordigno bellico ingannatore e ciò, se da un lato mi ha costretto ad una vita di sacrifici e privazioni, dall'altro mi ha concesso l’onore di presiedere l’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra (Anvcg). Un sodalizio benemerito costituito da mutilati, invalidi, ciechi, vedove e orfani per fatto di guerra, che dal 1943 rappresenta e tutela per legge le vittime e le loro famiglie, ovunque esse si trovino. Per il nostro impegno in difesa degli “interessi morali e materiali delle vittime di tutte le guerre anche al di fuori dei confini nazionali” Anvcg è stata insignita nel 1998 della Medaglia d’Oro al Merito Civile. Oggi, l'Anvcg ha proiettato la sua missione e la sua naturale ragione d’esistenza a livello internazionale, impegnandosi nel campo della Protezione dei Civili nei conflitti armati e per l’assistenza alle vittime. È in questo senso che si configurano la creazione di un Osservatorio sulle vittime civili dei conflitti, con cui cerchiamo di documentare le conseguenze sociali ed economiche delle guerre, l’istituzione del 1 febbraio come Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo e la nostra partecipazione alla rete internazionale Inew per la protezione dei civili dalle inutili sofferenze causate dalle armi esplosive. Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario delle Convenzioni di Ginevra, nelle quali si fa espresso divieto di coinvolgere i civili nelle operazioni militari. Può sembrare un fatto normale che la vita e l’esistenza delle persone comuni siano sconvolte e spazzate via dai conflitti. Le guerre urbane, quelle che noi siamo abituati a vedere in tv, del resto, sono proprio questo. Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi i campi di battaglia si sono spostati nelle città: le bombe cadono quasi deliberatamente su scuole, mercati, piazze e lasciano il loro carico di devastazione, morti e feriti. Secondo l’ultimo Rapporto sulla Protezione dei Civili nei Conflitti Armati, oggi più di 50milioni di persone sono coinvolte nei conflitti nelle zone urbane. Desta preoccupazione l’impatto umanitario delle armi esplosive nelle aree popolate, tema a noi caro e al centro della nostra campagna “Stop alle bombe sui civili”, per combatterne l’uso indiscriminato: nel 2018 le vittime civili della violenza esplosiva sono state 20.384, praticamente 26 civili al giorno. Quando le armi esplosive sono usate nelle guerre urbane, il 91% delle vittime sono civili, percentuale che scende al 20% quando passiamo nelle aree non urbane. Sembra quasi che tutte le Convenzioni di Ginevra del mondo non siano sufficienti a rendere le vittime civili di guerra un episodio del passato. Noi vittime civili di guerra ci rifiutiamo categoricamente di rassegnarci all’idea che gli attacchi indiscriminati ai civili nei conflitti siano classificabili come danni collaterali. Occorrono sempre più informazioni dettagliate e aggiornate, appelli, coinvolgimento delle Istituzioni e delle persone e testimonianze di invalidità, cecità e mutilazioni per ricordare il principio che le vittime civili debbano essere considerate un’anomalia e non una conseguenza normale della guerra; che la Protezione dei Civili nei Conflitti Armati deve essere un impegno categorico delle parti in conflitto ai sensi del Diritto Internazionale Umanitario e che è obbligo morale della comunità internazionale parlare di disarmo dal punto di vista delle vittime e non come una questione di deterrenza o realpolitik. Consideriamo l’Atlante delle Guerre un alleato naturale per raggiungere questi obiettivi e ne sosteniamo la pubblicazione con grandissimo piacere. Ricorda alle nostre coscienze che dobbiamo agire per proteggere le vittime da inutili sofferenze e - come Associazione impegnata a testimoniare le conseguenze della guerra alle giovani generazioni - abbiamo intenzione di farne un prezioso strumento per i nostri soci e i nostri promotri di pace. Pensiamo infatti che l’Atlante debba avere una portata internazionale e per questo abbiamo deciso di renderlo accessibile a livello europeo, pubblicandone una versione anche in lingua inglese.


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Costa d’Avorio

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SITUAZIONI DI CRISI Burkina Faso

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costa d’avorio

venezuela

GUERRE, MISSIONI ONU E SITUAZIONI DI CRISI

Algeria

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SITUAZIONE A GIUGNO 2019

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MINUSCA

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MONUSCO

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UNIFIL

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Repubblica Centrafricana

Myanmar

R.D. del Congo

Nagorno Karabakh

Sahara Occidentale

Pakistan Pashtun

Somalia

Yemen Arabia Saud.

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Cecenia

Sudan del Sud

Cipro


Istruzioni per l'uso La Redazione

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Piccola guida alla lettura della nona edizione Come ogni anno, premettiamo alla lettura una “piccola guida”, una specie di brevissimo libretto d’istruzioni per leggere correttamente questo volume. Le abbiamo sempre scritte queste indicazioni - come qualcuno sa - ma ci pare giusto ripeterle ed eventualmente aggiungere cose, visto che questo è un libro in perenne mutamento. Partiamo dal presupposto che, in un libro che parla di guerra, le parole possono avere più significati, possano essere interpretate, piegate, rielaborate per giustificare, spiegare, convincere. Questo vale anche per le scelte grafiche, le immagini, il tipo di carte geografiche. È, insomma, un’operazione politica e come tale è giusto entrarci dentro, raccontare le ragioni di alcune scelte, per fare in modo che chi legge sappia cosa si trova dinnanzi. La forma grafica è essenziale: abbiamo scelto di essere Atlante. Sempre per scelta, ogni guerra ha esattamente lo stesso spazio delle altre, il medesimo numero di pagine. Questo per evitare di dare a qualcuna una maggiore importanza rispetto alle altre. È una visione “politica”: mettiamo tutte le guerre allo stesso livello. Per la stessa ragione abbiamo scelto di metterle in ordine alfabetico, per continente: un modo per renderle uguali. A premessa delle schede, là dove introduciamo i continenti, quest’anno abbiamo cambiato formula. Oltre all’approfondimento di Amnesty sullo stato dei diritti, abbiamo aggiunto una breve valutazione sulla situazione ambientale, sui tentativi di pace e, infine, sui movimenti socio-economici. Quattro pagine dense, utili per capire ciò che viene dopo, cioè le schede conflitto. Altra novità, da quest'anno la sezione dedicata alle aree di crisi non si chiama più "Inoltre", ma appunto "Situazioni di crisi". Questo per rendere più immediata la lettura. A dare una mano sono, come sempre, anche i vari dossier. Uno spazio apposito - guardate in fondo al volume - è dedicato all’uso delle parole. Le abbiamo codificate, in modo di avvisare chi ci legge che noi le usiamo in quel modo e solo con quel significato. Ci pare un passaggio fondamentale per evitare ambiguità e interpretazioni sui fatti, che restano l’elemento base su cui lavoriamo. La scelta, se volete, non è scientifica e certamente qualcuno non sarà d’accordo su come usiamo le parole, ma tant’è: almeno stabiliamo un codice comune e condiviso. Ancora: abbiamo scelto di usare la carta di Peters. Anche questa è una scelta politica, per chiarire la nostra visione del Mondo. Le foto che troverete sono frutto di varie collaborazioni con agenzie e singoli fotografi, che hanno messo a disposizione i loro materiali. Infine, troverete o ritroverete i Tentativi di Pace, per raccontare ciò che di positivo si muove e incontrerete le infografiche generali, pensate per raccontarvi le molte cause che portano alle troppe guerre nel Mondo. Ci pare sia tutto. Come sempre, buona lettura. La Redazione


La situazione Raffaele Crocco

Foto in alto © Paolo Siccardi

Segnatevi la data: 10 maggio 2019. Da quel giorno l’Unione Europea è ufficialmente in debito nei confronti del Pianeta. Significa che dal 10 maggio ha iniziato a consumare le risorse del 2020. L’Italia non è da meno: il nostro Overshoot Day, il giorno in cui si può considerare esaurita la biocapacità del Pianeta, è stato il 15 maggio, solo cinque giorni dopo. Per il resto del Mondo, la data fatale - quella del debito - è arrivata alla fine di luglio. Nel 2018 era stato il 1° agosto. Noi europei, che siamo solo il 7% della popolazione globale, siamo dei veri signori e spendiamo le risorse altrui a mani basse. Per mantenere il nostro attuale stile di vita, servono 2,8 Terre ogni anno. Pensate: gli indiani, che sono più del doppio rispetto a noi, ne usano appena lo 0,70%. Problema serio, questo. Uno dei tanti che sono alla base delle guerre. Il clima che cambia è stato il vero “tema forte” degli ultimi tempi. Lo è stato per alcuni, a dire il vero, cioè per quei milioni di ragazzi che, nel 2018, sono scesi in piazza per dire agli adulti: dobbiamo cambiare. Per ora, non è successo nulla. Così, continuiamo a leggere il Pianeta attraverso due indicatori, due segnali spia: le migrazioni e le guerre. Si muovono sempre paralleli, cioè per le medesime cause. Mancanza di diritti, ingiusta distribuzione della ricchezza, spreco di risorse, devastazioni ambientali sono gli elementi che portano, inesorabilmente, a guerre - 30 quelle che contiamo quest’anno, con 18 situazioni di crisi - o alla fuga degli esseri umani. Questi, quelli in fuga o in cerca di una sorte migliore, sono circa 258milioni. A dirlo è una ricerca delle Nazioni Unite, che spiega anche che le persone che hanno lasciato i loro Paesi di nascita e ora vivono altrove sono aumentate del 49% rispetto al 2000. Allora erano “solo” 173milioni i migranti planetari. Dalla ricerca emerge che oltre il 60% di tutti i migranti vive in Asia (80milioni) ed Europa (78milioni). Nel Nord America ce ne sono 58milioni, in Africa 25. Due terzi di questi emigranti sono distribuiti in appena venti Paesi: 50milioni sono negli Usa, poi in Arabia Saudita, Germania e Russia, tutti Paesi che ne ospitano ciascuno più o meno dodici milioni. Segue la Gran Bretagna con 9milioni. L'Italia è all'undicesimo posto- dietro anche a Emirati Arabi, Francia, Canada, Spagna - con 5,9milioni di persone che vivono stabilmente sul territorio nazionale. Questi i numeri del fenomeno migratorio nel 2019. È interessante, però accorgersi che, come per le guerre, parliamo di migranti quasi sempre come “effetto”. Ci chiediamo: quanti sono? Dove sono? Quali problemi incontrano o fanno nascere? Quasi mai parliamo di migrazioni cercandone le cause, indagando le ragioni che spingono un essere umano a lasciare casa, affetti, storia, per cercare di vivere altrove. Eppure, sono lì visibili e sono - lo ripeto - le medesime che scatenano la guerra. Ad esempio: la cattiva distribuzione della ricchezza. Secondo la più recente ricerca di Oxfam, l’1% della popolazione mondiale controlla una ricchezza aggregata, complessiva, pari al 47,2% della ricchezza mondiale. Contemporaneamente, il 50% della popolazione mondiale - cioè 3miliardi e 800milioni di individui - hanno tutti assieme lo 0,4% della ricchezza del Pianeta. Nel 2018, la ricchezza in mano ai 1.900 esseri umani più ricchi è cresciuta - complessivamente - di oltre 900miliardi di dollari, cioè del 12%, vale a dire 2,5miliardi di dollari al giorno. Nello stesso periodo, la ricchezza totale della metà più povera del Pianeta è calata dell’11%. Il risultato è che

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Ricchi sempre più ricchi e il Pianeta così muore


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negli ultimi tre anni è ripresa a crescere la povertà assoluta. In questo momento, 3,4miliardi di persone vivono con meno di 5,5 dollari al giorno. Quasi 2miliardi e mezzo sono sotto la soglia della povertà estrema, cioè non raggiungono 1,9 dollari al giorno. Le conseguenze sono devastanti: si calcola che ogni giorno, nel Mondo, 10mila persone muoiano, perché non sono in grado di accedere a cure mediche adeguate a causa della loro povertà. In India, una donna di rango elevato vive mediamente 15 anni in più rispetto a una povera. In 137 Paesi ad economia instabile, un bambino povero ha il doppio delle probabilità di morire prima dei cinque anni rispetto ad un coetaneo ricco. Ad aumentare le cause di disuguaglianza, un fenomeno bizzarro, ma conosciutissimo: l’iniqua distribuzione delle tasse. Si può tradurre con un semplice: “chi meno ha, più paga”. La tendenza è in corso da anni. Si tratta della graduale erosione della progressività dei sistemi fiscali e dello spostamento deciso del carico fiscale dalla tassazione della ricchezza e dei redditi d’impresa a quella sui redditi da lavoro e sui consumi. Ad esempio: a livello mondiale, nel 2015 appena 4 centesimi per ogni dollaro raccolto dal fisco, erano legati a imposte sul patrimonio. Ripeto: 4 centesimo ogni dollaro. Il resto veniva da tasse e imposte su redditi da lavoro o del mercato. Nei Paesi ricchi, la quota d’imposta per i rediti più alti è crollata dal 62% del 1970 al 38% attuale. L’aliquota di imposta di 90 società multinazionali, è scesa dal 34% al 24% negli ultimi 18 anni. E il risparmio fiscale non ha portato ad alcun maggiore investimento, non ha creato occupazione. Una specie di vicolo cieco, almeno per metà dell’umanità. Pensate: se all’1% della popolazione più ricca venissero oggi aumentate le tasse dello 0,5%, in un solo anno risolveremmo alla radice i problemi dei 2miliardi e 400milioni di esseri umani più poveri. Li risolveremmo per sempre. Invece, 830milioni di individui rischiano la morte per fame. Quasi 2miliardi di persone hanno problemi con l’acqua, con il pozzo più vicino ad almeno mezz’ora di strada. 260milioni bambini non hanno alcuna possibilità di andare a scuola. Sono ragioni per avere guerre? Sì, lo sono. Senza alcun dubbio. Lo dimostra la coincidenza geografica fra Paesi in difficoltà - poveri e senza diritti - e luoghi dove ci sono guerre e migrazioni. Le altre ragioni - gli altri motivi - sono nelle troppe cose che non vanno. In molti Paesi africani Liberia, Etiopia, Somalia per citarne alcuni - non si arriva ad avere un medico ogni mille abitanti. In quegli stessi Paesi, lì dove si muore facilmente, la popolazione però continua a crescere, alla media del 3%annuo. Entro il 2020, saranno 2miliardi e mezzo gli africani, con una età media attorno ai 20 anni. Saranno giovani, tanti, in una continente che fatica a creare condizioni di vita buone. Cosa faranno? Continueranno ad emigrare verso le città, innanzitutto, creando megalopoli di 60 90 milioni di abitanti, con problemi di cibo, acqua, assistenza. Altri, lasceranno le loro terre e andranno a cercar fortuna altrove. A mandarli via dalle campagne sarà la desertificazione: inquinamento, siccità, deforestazioni sono le cause principali. Negli ultimi 45 anni, una superficie pari a 1,2miliardi di ettari, cioè l’11% della superficie vegetale della Terra, non è più utilizzabile per l’agricoltura. Si calcola, che ogni anno vengano perduti tra i 5 e i 12milioni di ettari. Una superficie immensa. La più colpita - come sempre - l’Africa, dove è degradato circa il 65% dei terreni agricoli. Poi l’America latina (51%), in Asia (38%) e l’America Settentrionale (34%). Dove non arriva il nuovo deserto, arriva l’accaparramento delle terre, il Land Grabbing. Secondo le stime ufficiali sono 88 i milioni di ettari di terre cedute in uso a Governi o multinazionali, pari a 8 volte la superficie del Portogallo. Da quei terreni, per speculazione finanziaria o per controllo del mercato, vengono cacciate milioni di persone ogni anno. Non possono più coltivare la loro terra, sostituiti con la forza da altri lavoratori. In queste condizioni il Pianeta guarda al futuro. Sapendo, però, di avere potenzialmente tra le mani gli strumenti e le idee per risolvere i problemi, creare giustizia, affrontare i conflitti prima che diventino guerre. Si tratta solo di capire cosa ci conviene fare e di iniziare, come cittadini di questo Pianeta, a muoverci per costruire un Mondo in grado di ospitarci, bene, tutti. Farlo non è solo giusto. È conveniente, perché saremmo tutti più ricchi. È intelligente, perché vivremmo meglio. È possibile, perché sappiamo quali sono i fattori di conflitto. I ragazzi in piazza nel 2018 - seguendo le orme di Greta Thunberg - ce l’hanno spiegato. Proviamo ad ascoltarli.

© Francesco Cavalli


Finanza e guerra Fondazione Banca Etica

I conflitti sono spesso causati da motivi economici. In modo palese o occulto, follow the money e capirai i motivi delle guerre, se non altro perché oggi tutto, o quasi tutto, è traducibile nel linguaggio universale del denaro. In modo generico, siamo portati a ricondurre al potere opaco della finanza le cause scatenanti di molte nefandezze, fra cui la guerra. Ma di cosa esattamente parliamo? I fabbricanti di armi non sono più, se mai lo sono stati, dei loschi figuri che agiscono nell'ombra, al di fuori della legge, fra riciclaggio di denaro sporco e traffici illegali di armi. No, sono in realtà ben rispettate e finanziate imprese moderne; tanto rispettabili che talvolta gli Stati (cioè, noi cittadini) ne sono i maggiori azionisti, o i committenti o ancora i soggetti che autorizzano la commercializzazione dei prodotti come vanto e produttori di ricchezza nazionali. Il made in Italy è anche questo. Certo, spesso è più difficile e gravoso leggere i bilanci di queste imprese che non immaginarci l'Alberto Sordi di turno di “Finché c'è guerra, c'è speranza”, ma farlo e interrogare azionisti e management di queste aziende può essere più efficace e comunque utile. È quello che facciamo come Fondazione Finanza Etica, insieme a diverse realtà della società civile italiana ed europea, con l'attività di azionariato critico. Compriamo microscopiche quote di azioni di imprese di armi quotate in borsa, assumendo così i diritti (e i doveri) degli azionisti, ovvero dei proprietari (in quota parte) dell'azienda e ingaggiamo management e azionisti dell'azienda per sollecitare la riflessione degli amministratori e degli azionisti sugli impatti che le imprese quotate in borsa possono avere in campo ambientale e sociale e le conseguenze che ne possono derivare per i bilanci e la reputazione delle stesse imprese. Dal 2007 interveniamo nelle Assemblee generali degli azionisti e poniamo domande, spesso imbarazzanti ma sempre documentate e puntuali, sui comportamenti dell'azienda, mettendo l'accento, non solo sui dividendi, ma anzi soprattutto su ciò che quei dividendi significano in termini di violazioni dei diritti umani, impatti negativi sull'ambiente, ecc. Lo facciamo anche nei confronti di due primarie aziende del settore della difesa, una italiana e l'altra tedesca (che controlla però una italiana). Leonardo, già Finmeccanica, è l'azienda leader del settore; partecipata al 30,2% dal ministero dell'Economia e Finanze. In collaborazione con Rete Disarmo, Greenpeace Germany e la rete europea di investitori istituzionali "SfC - Shareholders for Change” (che abbiamo contribuito a costituire e che include undici investitori da Italia, Francia, Austria, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Svizzera e rappresenta asset totali per circa 140miliardi di euro) a nome dei quali parliamo in assemblea degli azionisti, poniamo domande molto specifiche e puntuali al management dell'azienda. Quest'anno ci siamo concentrati sulla vendita di elicotteri Aw 109 al Turkmenistan, retto da una dittatura totalitaria monopartitica, considerato da organizzazioni

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Il ruolo delle banche nella rete della guerra


internazionali come Human Rights Watch al pari di Corea del Nord ed Eritrea sul piano del rispetto dei diritti umani e della libertà di stampa: questa transazione è stata autorizzata dallo Stato italiano attraverso le procedure di legge? Elicotteri che possono essere utilizzati in operazioni militari: in tal caso Leonardo lo comunicherà allo Stato italiano (che, ricordiamo, è l'azionista di riferimento dell'azienda)? Il Ceo Alessandro Profumo (sì, lui, già Unicredit e poi Monte dei Paschi) risponde con il cinismo che si addice ai capitani d'azienda d'altri tempi: “Era una cosa talmente nota, autorizzata con licenza di esportazione rilasciata da Uama [Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, prevista dalla L.185/90, ndr]. Nessun obbligo di informazione perché eravamo autorizzati all’esportazione degli elicotteri 109 in Turkmenistan”. Ancora, abbiamo chiesto se Leonardo può escludere che siano utilizzate armi, componenti di armi o sistemi d’arma prodotti dal Gruppo nella guerra dello Yemen? La risposta, come sopra, è: “La Società ha uno stringente programma di controllo delle esportazioni di prodotti della difesa che vengono esportati solo con licenze di esportazione rilasciate dalle Autorità competenti nel rispetto dei regimi internazionali di controllo. Non possiamo escludere che i Governi che le ricevono legittimamente, e sottolineo legittimamente, li possano poi impiegare nel conflitto in Yemen”. Poi abbiamo chiesto se corrisponda al vero il coinvolgimento di Leonardo nell’arsenale nucleare francese attraverso Mbda-System, come descritto nel rapporto “Don’t bank on the bomb”. Qui la risposta ha rasentato il ridicolo, se non fosse tragica: Leonardo è azionista di Mbda al 25% e Mbda Francia “è responsabile dello sviluppo e della produzione di alcuni componenti del sistema missilistico del programma di deterrenza francese (Asmpa - Air Sol Moyenne Portée-Amélioré), esclusa la testata nucleare. Tutti i missili Asmpa attualmente detenuti dalle forze francesi sono stati consegnati tra il 2009 e il 2011 e saranno supportati da Mbda, per quanto possibile sapere, in quanto è un programma classificato”. Tradotto per noi umani: noi partecipiamo alla costruzione del missile, ma la testata nucleare è del Governo francese, quindi Mbda non è coinvolta nella produzione di testate nucleari. Ma, sempre noi umani (e azionisti) diciamo: una testata nucleare da sola, se non supportata da un vettore per essere trasportata a lunga o media distanza, che razza di arma è? Suicida? E, infatti, Profumo prosegue che, siccome il Governo francese ha affermato la necessità di “sostituire intorno al 2035 l’attuale generazione della componente avionica del programma francese di deterrenza con un nuovo missile chiamato Asn4g; Mbda ha avviato studi iniziali per prepararsi su come sostenere questo requisito nel tempo”. Per noi è una risposta affermativa (ma negativa,

dal nostro punto di vista): Leonardo partecipa e parteciperà anche in futuro alla produzione di un sistema d'arma con capacità nucleari. Il caso dell'azionariato critico nei confronti di Leonardo mette in evidenza una serie di problematiche importanti quali la contraddizione dell'azionista di riferimento, lo Stato italiano, che è contemporaneamente regolatore (in quanto autorizza la commercializzazione dei sistemi d'arma prodotti da Leonardo), programmatore (in quanto titolare della politica estera del Paese) e operatore (in quando maggiore azionista, e dunque percettore dei dividendi, dell'azienda); oppure la labilità di un sistema autorizzatorio e concettuale della commercializzazione delle armi che consente di vendere armi a Paesi dittatoriali, o a vendere armi a Paesi in modo indifferente rispetto al loro utilizzo. In ogni caso l'azionariato critico dà la possibilità di dialogare, appunto, criticamente con l'azienda, chiedendo trasparenza nel suo modus operandi, indagando su quali siano le conseguenze non


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finanziarie di scelte finanziarie e risalendo la corrente per cercare di capire dove e come hanno origine delle situazioni e ingaggiare l'azienda per cambiarle. È il caso di scuola dell'azionariato critico su Rheinmetall, l'azienda tedesca che “possiede” l'italiana Rwm a cui si fa risalire la vendita di armi (bombe nella fattispecie) all'Arabia Saudita, impiegate nel conflitto - non dichiarato e non riconosciuto dall'Onu - in Yemen, la più grande catastrofe umanitaria del nostro presente. Fondazione Finanza Etica, insieme alla banca cattolica tedesca Bank für Kirche und Caritas (anch'essa membro fondatore di Shareholders for Change) e in collaborazione con Rete Disarmo e con il Coordinamento sardo di associazioni e comitati locali ambientalisti e pacifisti contro la Rwm, partecipa da due anni all'Assemblea generale degli azionisti della società sollevando domande e critiche sulla sua condotta. Nel 2018 ci siamo concentrati sulle violazioni di normative da parte di Rwm - e dunque della casa madre Rheinmetall - delle normative italiane in occasione dell’ampliamento dello stabilimento di Domusnovas-Iglesias, per le quali è comparsa dinanzi alla magistratura amministrativa a giustificare il proprio operato nell’udienza del Tar Sardegna del 19 giugno 2019. Illegittimità relative allo spezzettamento del piano industriale per evitare la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e aggirare le norme urbanistiche del comune di Iglesias, il mancato aggiornamento del Piano di Emergenza Esterno (scaduto nel 2012) per stabilimenti industriali ad alto rischio di incidenti rilevanti, l'assenza di VIA dell’impianto di produzione e del campo prove nonché della valutazione dell’impatto che la sua attività potrebbe arrecare alle specie protette nel vicino Sito di Importanza Comunitario Monte Linas-Marganai e il mancato rispetto della normativa sulla trasparenza e sul diritto alle informazioni di carattere ambientale della comunità residente. Questioni, dunque, locali che si affiancano a quelle di portata generale inerenti la responsabilità di vendita di armi ad un Paese, l'Arabia Saudita, verso cui dovrebbe essere vietata l'esportazione di armi in quanto coinvolta in un conflitto armato senza alcun mandato e legittimazione internazionali (fatto che riporta in campo le responsabilità del soggetto autorizzatorio, cioè il Governo italiano). Di tutto ciò, abbiamo chiesto, la proprietà di Rwm è a conoscenza? È consapevole dei rischi reputazionali, giudiziari e infine finanziari che il Gruppo corre per i comportamenti della controllata Rwm? Seguire il denaro (follow the money) vuol dire anche risalire la catena delle responsabilità; capire il perché di certe scelte; comprendere i meccanismi decisionali e di pressioni sulle autorità politiche e, infine, le implicazioni economiche e finanziarie delle scelte. Che in questo caso conducono anche a comprendere perché una piccola banca, la Valsabbina, con sede nell'omonima valle in provincia di Brescia (dove ha la sua sede legale la Rwm Italia), risulti nella Relazione 2018 del Governo al Parlamento sull'export di armamenti come una delle maggiori banche operanti nel settore (per un totale di 93.563.619,65 euro di importi segnalati, che per difetto della Relazione sono certamente inferiori alle operazioni autorizzate). Abbiamo “tracciato” la locuzione con cui abbiamo iniziato questo scritto: alla base dei conflitti ci sono scelte finanziarie ed economiche. In questo caso dallo Yemen arriviamo in Italia, in Sardegna, nella Val Sabbina e infine in Germania, dove un Governo ha autorizzato (in violazione di una legge dello stesso Stato italiano, la 185/90) la vendita di bombe prodotte da un'industria sarda, finanziata da una banca bresciana (che utilizza, ovviamente, anche i risparmi degli inconsapevoli risparmiatori della Val Sabbina), posseduta da una grande impresa quotata tedesca. Abbiamo preso parola dentro l'impresa-madre in qualità di azionisti, chiedendo conto di questa catena di responsabilità, parlando con il managment e con gli altri azionisti. Non abbiamo cambiato il mondo, d'accordo; ma abbiamo contribuito a capirlo un po' meglio, abbiamo alzato la voce, speriamo anche di aver fatto riflettere quanti - cittadini, imprese e Governi - sono diversamente collocati lungo questa catena di responsabilità su come le scelte finanziarie non siano mai neutre e abbiano ricadute gravi e non solo economiche che, possiamo e dobbiamo indirizzare verso fini più umani.



Glossario

Terroristi Tutti coloro che usano armi o mettono in atto attentati contro popolazioni inermi, colpendo obiettivi civili deliberatamente. In questo libro, questa è la definizione di terrorista, a prescindere dalle ragioni che lo muovono. Ne deriva che in questo volume viene definito Attentato Terroristico ogni attacco compiuto con fini distruttivi o di morte nei confronti di una popolazione inerme e civile al puro scopo di seminare terrore, paura o per esercitare pressioni politiche. Ovvero ogni attacco compiuto contro obiettivi militari, ma che consapevolmente coinvolge anche popolazioni inermi e civili. Resistenti Gruppi o singoli che si oppongono, armati o disarmati, all’occupazione del proprio territorio da parte di forze straniere, colpendo nella loro azione obiettivi prevalentemente militari. Anche in questo caso diamo questa definizione senza entrare nel merito delle ragioni. Gli attacchi di gruppi di resistenti a forze armate regolari in questo libro vengono definite Operazioni di Resistenza o Militari. Forze di Occupazione Ogni Forza Armata straniera che occupa, al di là della ragione per cui avviene, un altro Paese per un qualsiasi lasso di tempo. Forze di Interposizione Internazionali Sono invece Forze Armate, create su mandato dell’Onu o di altre organizzazioni multinazionali e rappresentative, che in presenza di precise regole di ingaggio e combattimento che ne limitano l’uso, si collocano lungo la linea di combattimento per impedire il confronto armato fra due o più contendenti. Le definizioni seguenti sono quelle ufficiali definite e riportate dall’Unchr nei documenti e rapporti e a cui noi ci rifacciamo Profugo Termine generico che indica chi lascia il proprio paese a causa di guerre, persecuzioni o catastrofi naturali.

Richiedente asilo Colui che è fuori dal proprio paese e inoltra, in un altro stato, una domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato. La sua domanda viene poi esaminata dalle autorità di quel paese. Fino al momento della decisione in merito alla domanda, egli è un richiedente asilo (asylum-seeker). Rifugiato Il rifugiato (refugee) è un termine giuridico che indica chi è fuggito o è stato espulso dal suo Paese originario a causa di discriminazioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale, per le sue opinioni politiche, o a causa di una guerra, e trova ospitalità in un Paese straniero che riconosce legalmente il suo status. Sfollato Spesso usato come traduzione dell’espressione inglese Internally displaced person (Idp). Per sfollato si intende colui che abbandona la propria abitazione per gli stessi motivi del rifugiato, ma non oltrepassa un confine internazionale, restando dunque all’interno del proprio paese. In altri contesti, si parla genericamente di sfollato come di chi fugge anche a causa di catastrofi naturali. Migrante Termine generico che indica chi sceglie di lasciare il proprio paese per stabilirsi, temporaneamente o definitivamente, in un altro paese. Tale decisione, che ha carattere volontario anche se spesso è indotta da misere condizioni di vita, dipende generalmente da ragioni economiche ed avviene cioè quando una persona cerca in un altro paese un lavoro e migliori condizioni di vita. Migrante irregolare Chi, per qualsiasi ragione, entra irregolarmente in un altro paese. In maniera piuttosto impropria queste persone vengono spesso chiamate ‘clandestini’ in Italia. A causa della mancanza di validi documenti di viaggio, molte persone in fuga da guerre e persecuzioni giungono in modo irregolare in un altro paese, nel quale poi inoltrano domanda d’asilo. Extracomunitario Persona non cittadina di uno dei ventisette paesi che attualmente compongono l’Unione Europea, ad esempio uno svizzero.

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Guerre e conflitti Situazioni di scontro armato fra stati o popoli, ovvero a confronti armati fra fazioni rivali all’interno di un medesimo Paese. Includiamo in questo elenco i Paesi o i luoghi in cui esiste un latente conflitto, bloccato da una tregua garantita da forze di interposizione internazionali.


Voglio ringraziare Queste sono davvero, ogni anno, le ultime righe che scrivo dell’Atlante. Le tengo lì, come si dice “in caldo” per ringraziare i tanti che rendono possibile questo lavoro. Chi ci segue sa che il progetto partito proprio dalla pubblicazione del numero 1 nel 2009 - è cresciuto, diventando tanto altro: un sito, mostre, film, incontri, corsi di formazione e teatro. Viviamo sul filo, sempre a caccia di risorse e di idee, ma andiamo avanti. Così, voglio partire ringraziando i tanti che ci fanno sentire il loro affetto e il loro interesse seguendoci nei tanti incontri o scrivendoci. Poi, i ringraziamenti più diretti. Il primo va a Beatrice Taddei Saltini, colonna storica assieme a Daniele Bellesi e a me. Si sobbarca il lavoro di editing e di rilettura, sopportando bizze e tempi strani di noi giornalisti. Alle volte sbotta, ma alla fine è lei che garantisce il buon livello di ciò che facciamo. Poi, Daniele Bellesi, che quest’anno oltre a fare ciò che fa bene da sempre - il grafico - ha tentato la strada del caporedattore: meno male, per tutti noi. Un abbraccio, come sempre, va a Emanuele Giordana, diventato fondamentale anche per il sito www.atlanteguerre.it assieme a Alice Pistolesi, che oltre alla scrittura crea progetti di formazione bellissimi. Paolo Bisesti e Giorgia Stefani sono stati invece gli elementi indispensabili: senza di loro avremmo vissuto nel caos. Il benvenuto va a Maurizio Sacchi, entrato in questa avventura. Non dimentico altre pedine fondamentali del nostro fare: Lucia Frigo e Elia Gerola, che curano i social e Edvard Cucek e Teresa Di Mauro, che collaborano con idee, spunti e articoli. Luciano Scalettari, è invece fondamentale per cucire i rapporti con Intersos e tenere aperti gli occhi sull’Africa. Per ultimo, ma solo per ricordarlo meglio, voglio ringraziare Fabio Bucciarelli: il suo apporto è prezioso, non solo per le grandi immagini, ma per le idee, la voglia di fare, la capacità di scherzare. Era importante, quest’anno, ringraziare la squadra, tutta, compresi i tanti che hanno scritto schede e pezzi per il volume. I nomi li trovate, non li metto qui per ragioni di tempo. Devono sapere, però, che se siamo ancora qui a tener duro, è anche merito loro.

Altri saluti Gli altri saluti li riservo agli amici di sempre: Elisabetta Bozzarelli, Carlo Basani, Sara Ferrari. Negli anni, sono stati loro ad aiutarci a rimaner vivi. Vorrei aggiungere Giacomo e Giovanni di Intersos, il gruppo di comunicazione di Montura, Simone Siliani di banca Etica, Brenda Barnini, sindaca di Empoli, che ci sono vicini con idee e risorse: vi garantisco che non è poco. Infine, un grazie a tutti quelli che credono che l’Atlante sia un buono strumento d’informazione e lo sostengono: quando siamo in crisi, vi pensiamo e andiamo avanti. Grazie Raffaele Crocco


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Risp R spettttaaree spe l’l’ig iggie gieen enee deel soonn nnoo

• ZANZARE Un’altra estate al veleno? • XYLELLA L’’invasione degli ulivi usa-e-getta • TATUAGGI Rischio inchiostri e nanoparticelle

ECOTURISMO

• COSMESI Il benessere termale • AROMATICHE Le alleate in cucina • BIOEDILIZIA La casa di paglia di riso

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Il biologico sotto sot tto assedio tto tt asssedio

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ISBN-13: 978-8866815242

9

788866

815242

€ 20,00


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